Al nome del prof. Achille Loria non manca una certa risonanza
internazionale '. Taluno dei libri del Loria è stato tradotto
in francese e in tedesco, e si leggono di frequente, nelle riviste
straniere di economia e sociologia, articoli suoi 0 riferimenti alle
sue «teorie». Anche nel Devenir social, in uno degli
ultimi fascicoli, il Kovalevsky ha avuto occasione di accennarvi. In
Italia poi egli non solo ha goduto, negli ultimi anni, universale
reputazione d'ingegno originale e di scopritore di «nuovi
orizzonti», ma è stato singolarmente diletto al partito
socialista, che, senza annoverarlo ufficialmente nelle sue file, lo
ha considerato quasi come il teorico italiano del socialismo. E il
prof. Loria è riuscito a essere, tutt'insieme, autore
insignito del gran premio reale dall'Accademia dei Lincei e
collaboratore ben accetto della Critica sociale; antiborghese e
fregiato di quelle onorificenze cavalleresche, che sono bersaglio
prediletto della stessa satira borghese; noto, per una parte, come
critico fiero di Carlo Marx, e per l'altra, come suo prosecutore e
perfezionatore.
In qual modo si spiega codesta duplice opposta fortuna, codesto
concorso di amori molteplici, sebbene accompagnati da giudizi che
formano contrasto? La spiegazione si cominciava già da
qualche tempo a bisbigliare tra i non molti conoscitori esatti delle
dottrine del Marx, che sono in Italia. Ma l'anno passato essa prese
forma pubblica nella prefazione dell'Engels al terzo volume del
Capitale, della quale parecchie pagine sono rivolte al Loria. Il
segreto si dice in due parole. Il Loria ha eseguito un plagio delle
idee fondamentali storico-economiche del Marx, abilmente
dissimulato, in modo che sembra talora una correzione, tal'altra una
confutazione. Plagiando e censurando il Marx, era facile passare per
pensatore di gran nerbo e più o meno socialistico. La poca
conoscenza del Marx, solita nei nostri economisti ufficiali, e la
confusione dottrinale in cui si agita il movimento socialistico (il
quale è appena ai suoi inizi in Italia), hanno preparato il
terreno pel giuoco ben giocato3.
Con l'accusa dell'Engels, e più ancora con la difesa del
Loria4, veramente compassionevole per l'imbarazzo e le scuse
mendicate, il processo può considerarsi chiuso. Gli studiosi
hanno innanzi tutti i documenti per giudicare da sé5.
Né io ho intenzione di riaprirlo, o di riesporlo, e molto
meno di aggiungere colpi ai colpi: le parole adoperate dall'Engels
contro il Loria, e nella prefazione di un libro come il Capitale,
han molto peso, e sarebbe poco utile, e insieme poco generoso,
insistere qui nell'accusa. Anzi, io metto affatto da banda la
faccenda del plagio, e dico invece: — Facciamo l'ipotesi che il
Loria abbia fin dal principio adempiuto al proprio dovere, chiarendo
nettamente la sua relazione verso il Marx; che nel testo, anzi nelle
introduzioni dei suoi libri, ci siano tutte quelle avvertenze, e a
pie di pagina tutte quelle note, che non ci sono; e domandiamoci che
cosa egli ha prodotto per suo conto, e come ha rettificate,
applicate o semplicemente intese le idee del Marx. Se ha avuto la
debolezza di voler apparire più di quel ch'egli è
realmente, questa debolezza non ci tocca. Lasciamogliela espiare
sotto il flagello del vecchio Engels (che quasi per testamento ha
provveduto a somministrargli una seconda flagellazione6); e
restringiamoci, dal canto nostro, a esaminare l'elaborazione
scientifica, e sia anche la mera esposizione letteraria, ch'egli ha
data di quelle idee non sue.
La divulgazione dei libri del Loria, la nominanza da lui goduta in Italia, e non solo in Italia, rendono necessaria tale disamina: tanto più che anche di recente si è visto combattere il materialismo storico nel suo rappresentante perfezionato, il prof. Loria7. Ricerchiamo, dunque, se egli, pur avendo usurpato l'altrui, è poi perfezionatore, o, per lo meno, buon espositore e comentatore.
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1 I libri del Loria, ai quali mi riferisco, sono: La rendita
fondiaria e la sua elisione naturale (Milano, Hoepli, ISSO); La
teoria economica della costituzione politica (Roma, Bocca, 1886);
Analisi della proprietà capitalistica (ivi, 1889, due voll.);
La terra ed il sistema sociale, prolusione (Verona, Drucker, 1892);
Les bases économiques de la constitution biadale (ampliamento
della Teoria economica, ecc., Paris, Alcan, 1893); Problemi sociali
contemporanei (Milano, Kantorowicz, 1894) — ; oltre alcuni articoli,
che citerò ai luoghi loro.
2 Questo saggio, come si è avvertito nella prefazione, fu
scritto per Le devenir social.
3 L'accademia dei Lincei, nel rapporto ufficiale pel conferimento
del premio reale all'opus majus dell'Analisi della proprietà
capitalista, la diceva: «opera veramente originale, nel senso
e più genuino ed elevato della parola (!)». Ed ecco un
aneddoto, che tolgo dallo stesso Loria: «Un de nos meilleurs
députés, M. Giustino Fortunato, disait à la
Chambre italienne, le 17 février 1890:—En
réaiité, Loria a raison! Tons les systèmes
politiques, toutes Ics constitutions de gouvernement, sous quelque
forme que ce soit, s'inspirent toujours, consciemmeut ou non, des
intérèts prédominants des classes sociale?, qui
out la direction suprème de l'état» (Les bases,
p. 144 n). Un professore, suo scolaro, lo chiama (nella Crit.soc,
IV, 250): «il continuatore dell'opera scientifica di Eicardo e
di Marx». Sopra una grande parte delle teoriche economiche del
Marx (è detto nella stessa Crit. soc, IV, 265) il Loria
«ha rivolto la sua irresistibile e geniale forza
dissolvitrice».
4 Intorno ad alcune critiche dell'Engels, nella Riforma sociale del
25 febbraio 1895.
5 Questi documenti si possono vedere raccolti nell'opuscolo: Dal
terzo volume del Capitale di Carlo Marx, prefazione e commenti di
Federico Engels, trad. di P. Martignetti (Roma, tipogr. editrice
romana, 1896).
6 Alludo alle polemiche ed aggiunte postume, edite nella Neue Zeit,
XIV, vol. I, pp. 4-11, 37-11. Quest'ultimo scritto dell'Engels si
trova anche nel citato opuscolo italiano: Dal terzo volume del
Capitale.
7 Si veda lo scritto del prof. C. F. Ferraris, Il materialismo
storico e lo Stato, iu Nuova Antologia, aprile e maggio 1896 (e in
volume, Palermo, Sandron, 1897). Il Ferraris scrive che il Loria ha
cercato di dare al materialismo storico «una forma originale,
e vi ha aggiunto svolgimenti elle mancano nei libri dei due Santi
Padri del socialismo scientifico (Marx ed Engels)». Anche il
dr. Paul Barth, Die sogenannte materialistische
Geschichtsphilosophie, nei Jahrbülcher dello Hildebrand,
fascic. di gennaio 1896, spende parecchie pagine nella critica del
Loria, pp. 21-28 (si veda ora il vol. dello stesso Barth, Die
Philosophic der Geschichte als Sociologie, Lipsia, Reisland, 1897).
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I
La concezione materialistica ha molteplici precedenti così
nel campo dei fatti come in quello del pensiero; ma di tutta questa
varia storia il Loria, nella prima edizione del libro, la Teoria
economica della costituzione politica, si mostra affatto ignaro.
Egli, con certa leziosaggine da letterato che gli è propria,
narra nella prefazione la leggenda di un guerriero anglosassone, che
trovò a casa sua, dopo una lunga assenza, un bambinello, che
la sposa gli disse esser nato da un fiocco di neve; onde colui,
condottolo seco in Italia, l'uccise, e al ritorno dichiarò
che «il fikocco di neve s'era sciolto nella terra del
sole». Così la nebulosa concezione germanica del
socialismo di Stato si sarebbe disciolta innanzi al limpido ingegno
italico (Loria), che, dissipando lo false parvenze, all'idea etica
dello Stato avrebbe contrapposto la chiara dimostrazione del
fondamento affatto economico dello Stato. Insomma, secondo questo
dire, il materialismo storico sarebbe senz'altro nato in Italia, per
mezzo del Loria, e come critica del socialismo di Stato8.
Nella seconda edizione ampliata e pubblicata in francese, serba
parimente il tono dell'inventore. Egli sarebbe stato condotto alla
scoperta «da una lunga peregrinazione intellettuale attraverso
il vasto campo della sociologia economica». La buona fortuna
del suo piccolo libro viene colà attribuita «alla
serena franchezza, con cui denunzia le enormità della morale
e della politica contemporanee (?), contrapponendo alla
falsificazione sistematica delle cose, solita alla sociologia
moderna, la sincera affermazione della verità».
Quel libro ha mostrato che, dove si credeva esservi la mistica
Iside, si trova invece un avido e spietato coccodrillo; e, come
tutti i libri geniali, «ha svelato il segreto di tutti».
Senonchè, in uno degli ultimi capitoli (p. III, e. V) il
Loria si risolve, infine, a raccogliere alcuni ragguagli storici sui
suoi predecessori. Ma quali ragguagli! Comincia dallo Harrington
(1656), che per altro sembra rinviarlo fin su ad Aristotele, e
continua con Davenant, Montesquieu, Hertzberg, i fisiocrati. Adamo
Smith; ritrova lo stesso concetto, benché con qualche
indecisione, nel Mario; e, finalmente, lo vede «exposé
de la manière la plus nette, par Jones, Proudhon (!!), Marx,
lequel, à ce propos aussi, a quelques vues lumineuses,
Engels, Lassalle, Scheel, de Molinari, Gumplowicz et de
Greef». — Marx e il signor de Molinari, Engels e il signor de
Greef9: così si fa la storia delle idee. E con siffatto
procedere si può concludere addirittura che le idee non hanno
storia, perché tutte le idee sono esistite sempre. Il Loria
sconosce con mirabile franchezza i canoni elementari di tali
ricerche, e come altro sia metter fuori un'osservazione incidentale,
che si lascia poi cadere senza svolgerla, ed altro stabilire un
principio di cui si sono scorte le feconde conseguenze; altro
enunciare un pensiero generico ed astratto, ed altro pensarlo
realmente e in concreto ; altro, finalmente, inventare, ed altro
ripetere di seconda o di terza mano. Quella concezione storica
vivifica tutta l'opera del Marx, ed è stata da lui plasmata
in alcuni opuscoli narrativi, singolarmente importanti, come Il 18
Brumaio di Luigi Bonnparte, e le due serie di articoli sulle Lotte
di classe in Francia, e la Rivoluzione in Germania nel 1848-4910.
Sul significato preciso che ad essa spetta, ho avuto occasione
recente di dire il mio avviso. Il Marx e l'Engels non hanno mai
ridotto quella concezione a teoria rigorosa e saldamente ragionata,
né potevano ridurvela, non essendovi in quel caso gli
elementi costitutivi di una teoria. L'uno e l'altro non ci hanno
lasciato sul proposito se non aforismi generali ed applicazioni
particolari. E quella concezione, per restare vera e feconda nei
rispetti della storiografia, non deve uscire da codesti termini:
dalla forma aforistica dell'enunciazione, e dalla forma pratica
dell'applicazione. Con gli sforzi fatti in diverso indirizzo, si
rischia di snaturarla. Essa deve servire di avvertenza e stimolo
agli interpretri della storia, e deve vivere nelle opere storiche
che ha ispirate e verrà ispirando. Chi ben l'intende, ne
accoglie in sé le suggestioni; ma suggestione non vuol dire
conclusione11.
Ai frettolosi seguaci, che vogliono avere in tasca tutta la storia
in una forraola, e ai facili oppositori, fa comodo semplificarla e
irrigidirla, in modo che poi diventa oggetto di vuote, noiose,
interminabili logomachie. Semplificazione, che nel Loria tocca il
culmine.
Per lui, veramente, il solo uomo che esista è l'astratto homo
oeconomicus, noto agli studiosi di economia pura, e ch'egli
interpetra come l'uomo egoistico per eccellenza. Tutte le altre
manifestazioni dello spirito sono gli strumenti, di cui l'homo
oeconomicus si serve. La variopinta scena dei sentimenti e della
fantasia è un semplice «miraggio» degli interessi
economici. Ogni fatto ha «un nòcciolo essenzialmente
economico».
Gli sfruttatori (padroni di schiavi, signori di servi, assoldatori
di salariati) hanno bisogno di una serie di «istituzioni
connettive», com'egli le battezza12, per assicurarsi la
sottomissione di coloro, che essi sfruttano. Queste istituzioni
«connettive» sarebbero lo Stato, il diritto, la
religione, per non dire della scienza e dell'arte: cose tutte, la
cui essenza si chiarirebbe in ultimo, come si è detto,
meramente economica.
Ma di tutte codeste istituzioni gli sfruttatori non possono essere
diretti amministratori; onde si servono di una classe di mandatari,
che il Loria chiama, risuscitando una vecchia e disputata
denominazione economica, «lavoratori improduttivi».
Sono, nel campo della morale e della religione, i preti e i
moralisti; in quello del diritto, i giuristi, i magistrati, gli
avvocati; in quello dello Stato, ora i sovrani assoluti, ora i
deputati eletti dagli sfruttatori o fatti eleggere mercè la
violenza e la corruttela; e, negli altri campi, i poeti, gli
artisti, gli scienziati, i filosofi13 .
L'invenzione sarebbe infernale e invincibile; ma il crescere della
popolazione, e il congiunto decrescere della produttività
della terra, mettono, un brutto giorno, gli sfruttatori nella
necessità di restringere o ritirare affatto i pagamenti ai
loro mandatari, ai loro preti, ai loro scienziati, ai loro avvocati,
ai loro poeti, e via enumerando. Che cosa fare in questo caso?
Cercare un altro padrone. E i lavoratori improduttivi passano a
servigio degli sfruttati; donde le successive crisi storiche. Le
quali insomma, per il Loria, si riducono a una ribellione di
servitori a spasso!
Di crisi in crisi, si giungerà alla crisi ultima, in cui si
attingerà la forma-limite. E allora si stabilirà il
libero giuoco degli egoismi di tutti: si avrà l'attuazione
piena e integrale, non solo dell'homo oeconomicus, ma della societas
economica.
In tutta questa trama di teorie colpisce, in primo luogo, la curiosa
incapacità del Loria a porre e mantenere la distinzione tra
il fatto e l'idea, o meglio, tra il fatto particolare e il concetto
del fatto: operazione elementare senza cui qualsiasi disputa
scientifica è impossibile.
Mi spiego con alcuni esempȋ, e comincio da ciò che egli dice
della morale. Il Loria entra sbadatamente, come uno che ozi tra i
libri, in mezzo alle varie teorie sull'etica, e senza aver afferrato
il punto della discussione, si mette a criticarle. — C'è
(egli dice) la teoria, che riduce la morale all'egoismo; ma questa
teoria è unilaterale, perché, se conviene interamente
alle classi dominanti, non conviene alle classi oppresse, che
operano secondo il proprio egoismo apparente, ma, nel fatto,
altruisticamente. C'è l'altra teoria (continua), che la
riduce all'altruismo; ma, per la medesima ragione, è anche
meno resistente alla prova dei fatti, ed ha a mala pena un'apparenza
di verità quando venga riferita alle classi oppresse. Ce
n'è una terza, che ammette l'egoismo di specie, ossia istinti
altruistici che trovano la loro soddisfazione in azioni giuste e
benefiche. Ma, se questa teoria fosse vera (egli obietta
trionfalmente), se ci fosse tale istinto, la scissione degli uomini
in due classi non produrrebbe danno alcuno. E continua allo stesso
modo esponendo le altre teorie, per accettare in ultimo quella
dell'egoismo, che percorre un graduale svolgimento e trova completa
e universale attuazione nella forma-limite della società.
Ora, la stortura di queste critiche salta agli occhi sol che si
consideri che la indagine non volge punto sul fatto dell'esistenza
di egoisti e di altruisti, di persone che sbagliano strada, e
così via. La discussione che s'agita tra quei filosofi, i
quali il Loria critica e combatte senza intendere, è invece
sulla qualità dell'ideale morale. Nell'animo umano si fanno
vivi sentimenti di obbligazione incondizionata, che si chiamano
sentimenti morali. Come si giustificano? Su che si fondano? Sopra un
comando divino? Sopra un principio speciale di evidenza, ch'è
un giudizio assoluto di pregio? 0 sopra un'illusione, come hanno
sostenuto i sofisti nell'antichità, e tanti altri nei tempi
moderni, della quale teoria gli «eminenti» Spencer sono
ultimi e non classici rappresentanti? Queste furono e sono le
questioni trattate dai moralisti teorici. - Il Loria è
padrone di accettare l'ultima delle vedute ora accennate,
eh'è la più superficiale; e credere per suo conto
facile e indubitata riduzione quella, p. es., della benevolenza
all'egoismo, che, a fil di logica, non è riuscito ancora ad
alcuno di dimostrare. Ma non può sbrigarsi delle altre teorie
in nome delle condizioni di fatto, perché non è di
queste che si tratta. —
Simile errore fondamentale (ignoratio elenchi) appare qua e
là nelle sue critiche del diritto e dello Stato. La
concezione etica dello Stato, per esempio, sarà, ora come
ora, un assurdo pratico, ma non è assurda come concezione
ideale. Lo Stato pedagogo, creduto, pensato e quasi ipostatato da
tanti filosofi tedeschi, è qualche cosa di affine (almeno in
idea) al governo tecnico vagheggiato dai socialisti, specie
sansimoniani. L'errore comincia quando si confonde quella
costruzione razionale con gli Stati esistenti, nei quali appunto,
per condizioni di fatto (ossia per le antitesi degl'interessi di
classe, direbbe un marxista), l'idea etica dello Stato non
può liberamente attuarsi14. Lo stesso «contratto
sociale», al quale il Loria avventa tardivi ed inutili strali,
ha il suo lato serio, se lo si consideri quale ricerca del
fondamento razionale dello Stato, e non già della origine
storica di esso. Ed è noto, infatti, che negli scrittori del
secolo decimottavo era un continuo ondegg-iamento sul modo di
intendere lo «stato di natura», il «contratto
sociale» e simili concetti: se cioè si dovessero
considerare come realtà storiche, o come semplici posizioni
intellettuali15.
Questa incapacità si riattacca alla forma
antifilosofìca della sua testa. L'Engels ha detto (e non ha
detto cosa peregrina, ma cito lui, perché nessuno
vorrà sospettarlo di metafisicherie e di vuote astrazioni)
che l'arte di operare coi concetti non è alcunché
d'innato o di dato nella coscienza comune, ma è un lavoro
tecnico del pensiero, che ha una lunga storia, ne più
né meno della ricerca sperimentale delle scienze naturali16.
Il Loria è affatto estraneo a questa attitudine e a
quest'abito mentale, senza cui si potrà fare forse, fino a un
certo segno, la storia narrativa o l'economia descrittiva, ma non si
può lavorare sui principi ossia sui concetti fondamentali
della scienza. Si guardi, infatti, la posizione ch'egli assume verso
i due tentativi di concezione del valore, condotti sotto aspetti
diversi ma con pari intenti di rigore logico: la concezione, diciamo
così, classica e obbiettiva della scuola
ricardiano-marxistica, che riduce il valore al lavoro, e la
concezione utilitaria, propugnata dalla scuola che si suol chiamare
austriaca17.
Verso la prima, dopo averne discusso infinite volte per dieci anni,
il Loria conchiude: «Del valore a cuile merci non si vendono,
ne possono vendersi mai, nessun economista che abbia fior di senno
si è occupato né vorrà mai occuparsi;
perché quello strano e inarrivabile valore sarebbe una specie
di noumeno, che non si manifesterebbe giammai nelle cose (?), e del
quale il teorico potrebbe tutto impunemente affermare (?). Ora il
Marx, sostenendo che il valore delle merci è determinato dal
lavoro, ma che le merci non si vendono mai al loro valore, giunge
precisamente alla creazione assurda di un valore-noumeno, avulso,
nonché da quelle della realtà, dalle leggi stesse del
pensiero (?)»18. Egli non sospetta che di codesti
«noumeni», come li chiama (ossia, in prosa, concetti
generali, concetti tipici, o concetti-limite, secondo i casi), e che
gli paiono tanto mostruosi, sono piene tutte le scienze; e non le
sole scienze, perché si tratta di un ordinario ed ovvio
procedimento intellettuale. E il concetto del valore della seconda
scuola, che comprende così i prodotti ottenuti in condizioni
di libera concorrenza come quelli di monopolio, questa eh'è
unificazione di due concetti parziali in un concetto più
generale, un ritrovamento della vera qualità dei fatti
economici, sembra a lui «un'unificazione verbale», che
«eleva una condizione generalissima dello scambio a legge del
valore medesimo»19 .
Soggiungo ancora un esempio che tocca il concetto stesso della
scienza economica, e ch'io tolgo da una critica ch'egli muove al
Messedaglia. Questo egregio economista italiano espone la
distinzione fra una teoria dei dati fondamentali economici, che
sarebbe la scienza generale, e una disciplina descrittiva delle
forme concrete (o storiche) dell'economia. Ma il Loria obietta che
siffatta distinzione è ormai oltrepassata. perché
nella storia della scienza si possono distinguere, egli dice, tre
stadi (di divisioni in tre stadi, nella storia della scienza, il
Loria ne ha immaginate non so quante, parodiando a ogni pie sospinto
Turgot, Hegel e Comte): nel primo dei quali la natura e la
società vengono concepite come stazionarie; nel secondo si
continua a concepirle così, ma poi «la mente si
abbandona, quasi sussidiariamente, e per isfogo di perdonabile
fantasia (?), ad elucubrazioni piìi o meno fondate, sulla
legge di trasformazione dei fenomeni o delle loro parvenze esteriori
(?)». E a questo stadio apparterrebbe la distinzione del
Messedaglia. Ma ora siamo nel terzo stadio, avvolti dalla gran luce
della dottrina dell'Evoluzione; e quella distinzione non ha
più ragion d'essere. «Per una filosofia, che tutte le
cose concepisce nel movimento, non esiste alcun dato fondamentale
che del movimento non sia esso pure il prodotto: per essa, quindi,
lo studio scientifico non può mai assumere ad obbiettivo la
immobilità, eh'è un non-senso, ma deve appuntarsi al
movimento medesimo»20. Vero è che l'umile logica
insegna che le cose mutano sì, ma i loro concetti possono
essere fissati, tanto che ci appaiono come extra-tcmporarì.
Ma il Loria intende l'evoluzione proprio a questo bel modo: ch'essa
renda impossibile il pensamento logico del concetto.
Per un altro verso, della sua finezza d'interpretazione psicologica
dà saggio la classe, da lui immaginata, dei «lavoratori
improduttivi». Trascurata l'efficacia che le persuasioni
intellettuali e morali hanno nella psicologia individuale, per lui
l'uomo è spinto sempre, consapevole o no, dai propri
interessi materiali ed egoistici. I pensatori si mettono a servigio
dei proletari, quando non sono più retribuiti in modo
soddisfacente dai capitalisti. E verrebbe la voglia di domandare se
anche quel «rôle modeste et pratique», che il
Loria affida alla scienza di fronte all'Evoluzione, non si
esplicherà se non quando gli scienziati e i professori di
università vedranno diminuire i loro onorari.
Intendiamoci bene: qui non si nega che le idee, o le asserzioni
d'idee, siano talvolta, o anche di frequente, interessi larvati,
più o meno consapevoli; ma sono pure, altre volte,
convincimenti e persuasioni, che si formano ed operano come tali, e
tali realmente sono. Il processo psicologico è assai sovente
l'inverso di quello che descrive il Loria. Ecco, per esempio, un
ideologo che, pure avendo in cima ai suoi pensieri ciò
ch'egli chiama il trionfo del bene, per incompleta conoscenza della
situazione reale delle cose giunge a conclusioni ed espedienti
pratici, che aiutano o raffermano il trionfo del male. Come parlare
qui della suggestione degl'interessi? Come c'entrano gl'interessi?
La suggestione è degli errori intellettuali. E, del pari,
l'accrescersi dei pensatori e idealisti, che si mettono a servigio
delle classi rivoluzionarie nei periodi critici, può essere
effetto in parte e per molti della suggestione degl'interessi
egoistici, ma nasce anche, d'altra parte e in molti altri,
dall'acquistato convincimento che ideali e fini, creduti prima
inconseguibili, trovano nella nuova condizione delle cose la
possibilità dell'attuarsi; dal fatto che, dove si credeva non
esserci via di uscita, a un tratto si mostra innanzi chiaro e netto
il cammino da percorrere. Per lo storico dei moti sociali codeste
differenze psicologiche potranno avere importanza secondaria; ma,
pel moralista, esse sono tutto.
Delizioso è il quadretto che il Loria delinea dell'etica
nella sua società perfetta, ossia nella forma-limite della
società. Ivi l'egoismo individuale basterà da solo a
determinare un sistema d'azioni morali, che assicurino il benessere
sociale e «rispondano all'ideale di virtù più
elevato (!)> che possa mai immaginarsi (?)». Il neminem
loede non solo, ma il quantum potes iuva si attueranno nel modo
più completo, facile ed elegante, per effetto immediato
dell'egoismo individuale; giacché il danno fatto ad un socio
si rivolgerà immediatamente a danno di chi l'ha operato, e il
beneficio a beneficio. Il produttore di capitale, mostrandosi
benefico verso il lavoratore semplice o verso l'altro socio
produttore di capitale, accrescerà l'azione produttiva di
questi ultimi, e, per conseguenza, il prodotto totale, e, per
ulteriore conseguenza, la quota che toccherà a lui,
benefattore, nella ripartizione finale!
Intorno a queste sue teorie il Loria ha raccolto un copioso
materiale di notizie storiche. Parlando di sopra del materialismo
storico del Marx, ho manifestato il mio avviso, che quella
concezione debba affermarsi nella pratica delia storiografia, ossia
nel cercar di risolvere problemi storici che con le precedenti
dottrine restano insoluti, o risoluti in modo poco soddisfacente. Ma
la storia è cosa assai complicata e delicata, e richiede il
dubbio continuo, il più scrupoloso esame e riesame, la
pazienza: essa non tollera di essere trattata bruscamente, ed in
essa, come già disse Machiavelli, non vale se non ciò
che «particolarmente» si descrive.
Per le quali considerazioni, non entrerò ad esaminare a parte
a parte il materiale di fatti che ci offre il Loria, inefficace come
prova delle teorie, perché i meri fatti non provano e hanno
bisogno di essere essi spiegati, e, come tentativo storico, privo
d'importanza, perché sono una congerie di fatti non
presentati né chiariti secondo il loro ordine reale, ma
disposti secondo categorie prestabilite, e spesso così
genericamente e indeterminatamente enunciati, che non si può
dirli né esatti né inesatti. Il Ferraris in Italia e
il Barth in Germania hanno enumerato a lor modo gli errori di fatto
e d'interpretazione del Loria, e ne hanno formato cataloghi non
brevi ; e di recente il Kovalevsky ha notato lo sbaglio che il Loria
commette nell'assimilare la storia delle colonie del Nuovo Mondo a
quella dello svolgimento economico dell'Europa primitiva.
Bisogna, per altro, riconoscere, che il materiale raccolto dal Loria
da libri svariatissimi, italiani, francesi, spagnuoli, tedeschi;
olandesi, inglesi, russi, ecc., dimostra letture assai estese, e
potrà riuscire utile a chi se ne varrà con la cautela
e il discernimento che in lui non abbondano.
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8 Questa prefazione è ora incorporata nel testo dell'edizione
francese, dove può leggersi a p. 371 segg.
9 Quanto al de Greef, cfr. poi p. 429 n, in cui dice che le idee di
lui sul proposito «ne sortent pas des plates-bandes fleuries
de la littérature phraséologiqne». Dunque,
ragione di più per unirlo col Marx e con 1' Engels. —
È strano poi che il Loria non faccia mai menzione di un libro
italiano, pubblicato sin dal 1893. di Amilcare Puviani. Del sistema
economico borghese in rapporto alla civiltà (Bologna,
Zanichelli, 1&93.1, libro, per altro, che gli era noto,
perché ne scrisse una recensione nella Rivista critica delle
scienze giuridiche e sociali (Roma, 1883, p. 118). Le relazioni di
esso coi volumi del Loria (La rendita della terra), e dei libri del
Loria con esso, sono evidenti. L'opera del Puviani è uno
studio sullo svolgimento del sistema borghese e sulla efficacia
delle condizioni economiche nella vita politica, sociale e
spirituale, ed insieme un tentativo di previsione del modo in cui il
sistema borghese si dissolverà. Per il tempo in cui fu
scritta, e per l'intenzione che la muove, non è priva
d'interesse, quantunque appaia, nell'esecuzione, lavoro di giovane
ancora inesperto. E da notare che anche in questo libro del Puviani
manca ogni sentore circa le origini storiche delle dottrine che
l'autore espone, e manca la piena coscienza della loro importanza e
del loro valore filosofico.
10 Al Loria si potrebbero rivolgere le stesse parole ch'egli scrive
a proposito della teoria dell'evoluzione: «È cosa ben
nota: quando un pensatore scopre una verità, v'ha sempre un
professore, il quale scopre ch'essa era stata già detta da un
altro» (Prob. soc, p. 97).
11 Si veda il saggio precedente.
12 Il Barth, nell'articolo citato, vuole che per l'esatta
espressione analogica si sai'ebbe dovuto dire
«connessive».
13 II Ferraris, l. c, scrive: «Il materialismo storico rivela
tutta la sua grossolanità, il suo volgare concetto della
vita, quando, per la mancanza di carattere economico, per non essere
produttori di ricchezze materiali, è condotto necessariamente
a designare quali lavoratori improduttivi Dante, Shakespeare,
ecc.». Non mi par giusto attribuire al materialismo storico in
genere le grossolanità particolari del prof. Loria.
14 Altrove, e segnatamente in Germania, le vecchie abitudini
feudali, l'ipocrisia protestante, e la viltà di una borghesia
che sfrutta le favorevoli contingenze economiche senza portarci
dentro né spirito né coraggio rivoluzionario,
mantengono all'ente Stato le mentite apparenze di una missione etica
da compiere. Oh zucconi e parrucconi di professori tedeschi, in
quante salse poco appetitose e digeribili avete voi cucinata cotesta
etica dello Stato, prussiano per giunta! "(A. Labriola, Del
materialismo storico, p. 43). Qui l'illusione è riportata
alle sue cause reali.
15 Raccolgo di passata questa bella spiegazione storica dei concetti
etico-religiosi del Kant. La teoria kantiana (dice il Loria), che fa
di Dio un postulato della ragion pratica, «répond
merveilleusement à l'âge féodal, auquel
l'Allemagne de Kant appartenait encore, âge qui, pour
détourner les maasses des actions conformes à leur
égoisme réel, a besoin de recourir aux croyances
religieuses» (Les bases, p. 40). E dire che il Kant fu
ammiratore del Rousseau, sostenitore della estrema sinistra
egalitaria del diritto, e scrisse in modo da poter passare per un
collaboratore della costituzione del '93, tanto che Enrico Heine
soleva metterlo a una riga col Robespierre.
16 Si veda la prefazione all'Anti-Dühring (3ª ediz.,
Stuttgart, 1894).
17 A parlare correttamente, la teoria proposta dal Ricardo e
perfezionata dal Marx non è una teoria generale del valore,
ossia non è propriamente una teoria del valore. Questa teoria
generale è invece' l'assunto della scuola edonistica o
austriaca. Che cosa è, dunque, la concezione del valore nel
Capitale del Marx? E' la determinazione di quella particolare
formazione di valore, che ha luogo in una data società
(capitalistica) in quanto diverge da quella che avrebbe luogo in una
società ipotetica e tipica. È, insomma, il paragone
tra due valori particolari. Questo paragone ellittico forma una
delle principali difficoltà per la comprensione dell'opera
del Marx. In pura economia, il valore di un bene è eguale
alla somma degli sforzi (pene, sacrifici, astensioni, ecc.), che
sono necessari per la sua riproduzione; e salari e profitti del
capitale sono entrambi economicamente necessari, posta la
società capitalistica. È impossibile giungere mai, per
deduzione puramente economica, a circoscrivere il valore delle merci
al solo lavoro e ad escludere da esso la parte del capitale, e
quindi a considerare il profitto come nascente da sopralavoro non
pagato, e i prezzi come deviazione dai valori reali per effetto
della concorrenza dei capitalisti; se non si tenga a riscontro, come
tipo, un altro valore particolare, quello cioè che avrebbero
i beni aumentabili col lavoro in una società in cui non
esistessero gl'impedimenti della società capitalistica e la
forza-lavoro non fosse una merce.
Si mediti quel passo nel quale il Marx dice che la natura del valore
non può apparire chiara se non in una società in cui
«il concetto della eguaglianza umana ha raggiunto la saldezza
di una persuasione popolare»; ed ivi anche le osservazioni sui
concetti economici di Aristotele (vol. 1, 4ª ediz., pp. 26-7).
E, infatti, evidente che, se la forza-lavoro fosse considerata come
forza puramente naturale, come la fecondità delia terra o del
lavoro dell'animale, non ci sarebbe modo di stabilire un
sopravalore. L'eguaglianza umana, affermata e presunta nella stessa
società capitalistica, è ciò che mette in grado
di qualificare sopralavoro e sopravalore la derivazione del
profitto. — Per tali ragioni bisogna concludere che è vano
ogni tentativo di confutazione delle teorie del Marx in nome delle
teorie edonistiche, come del pari è assurda la confutazione
di queste in nome di quelle; e che l'apparente antitesi delle due
diverse teorie del valore si risolve col riconoscere che la teoria
della scuola edonistica è, senz'altro, la teoria del valore,
e la teoria del Marx è un'altra cosa. Che quest'altra cosa
non sia poi una vanità o una fantasticheria, basterebbe a
provarlo il fatto che il concetto marxista del Mehrwerth è
restato confitto come dardo acuminato nel fianco della
società borghese, e nessuno ancora è riuscito a
strappamelo. Ci vuol ben altra radice medica che non i ragionamenti
dei Böhm Bawerk e simili critici, per sanare la piaga. — Si
veda lo svolgimento di questa interpretazione nel presente volume,
saggio 1II, § 1 e 2, e saggio V.
18 L'opera posuma di Carlo Marx, in uova Antologia, 1" febbraio
1895, pp. 477-8. A quest'articolo si riferiscono le osservazioni
dell' Engels nello scritto postumo, citato di sopra.
19 La scuola austriaca dell'economia politica, in Nuova Antolcijia,
l" aprile 1890, pp. 496-7. Anche in quest'articolo egli mette
innanzi l'idea, ripetuta poi da altri, che la scuola austriaca sia
sorta dal bisogno di difendere il presente sistema sociale contro le
teorie delle scuole socialistica ed evoluzionistica. Che è
una insinuazione calunniosa e un errore teorico, giacché
l'economia pura, appunto per essere pura, non prende partito pro o
contro il socialismo o il capitalismo, quale che poi sia
l'atteggiamento politico individuale dei suoi cultori. L'Engels
stesso (prefazione al III volume del Capitale, p. XII) ha
riconosciuto che sulla teoria del grado terminale di utilità
si può costruire ugualmente il socialismo (egli dice: un
«socialismo volgare»); e uno dei rappresentanti del
purismo, il Pantaleoni, dichiara che l'economia pura vuole soltanto
correggere e migliorare la forma dei teoremi economici del Ricardo,
del Mill e del Cairnes (Principi di economia pura, Firenze,
Barbèra, 1889, p. 172 n).
20 La terra ed il sistema sociale, pp. 48-53.
II
Senonchè il Loria non si è ristretto a cercare le
« basi» della costituzione sociale, riponendole, secondo
che si è visto, nella vita economica. Di questa vita
economica ha voluto scoprire, a sua volta, la «basi»;
cioè a dire, l'ultima causa, che verrebbe quindi ad essere
(per la riduzione già indicata) causa di tutta la vita
sociale, di ogni e qualunque storia. Egli ha voluto scoprire la
legge delle leggi, come la chiama, la legge dell'evoluzione
economica. E questa scoperta è la sua gloria di scienziato.
Della solenne scoperta delinea altresì la storia, focendole
percorrere i soliti tre stadi. Nel qual punto confesso il mio
impaccio, perché trovo, nei suoi volumi, una doppia serie di
tre stadi. Nel 1889 diceva che nel primo stadio «l'uomo
contempla i fenomeni sociali come l'emanazione della sua
volontà o del capriccio individuale, e ravvisa quale causa
del movimento storico umano se stesso, le sue passioni, le sue
costumanze, il suo genio. Dappoi, questo concetto si perfeziona, e
causa del progresso umano si proclama l'intelligenza, che trascina
nel proprio sviluppo lo sviluppo sociale». Ma si guardava dal
pur accennare in quali tempi e luoghi si sarebbe mai svolto codesto
primo stadio. A voi, dunque, buoni filologi, che vi affaticate a
cercare nei poeti e storici ellenici per un verso, e nei profeti
ebraici per l'altro, i primi germi della filosofia della storia,
addito e abbandono il vasto territorio, scoperto dal Loria, e a voi,
finora, inaccessibile e ignoto.
Il secondo stadio aveva qualche particolare determinazione, che
permetteva di collocarlo nel tempo e nello spazio, perché in
esso, egli diceva, «sorge il concetto che non piìi la
mente umana nella sua universalità, ma la sua esplicazione
tecnica ovvero lo stromento di produzione, sia la causa del
movimento storico umano, e che le grandi metamorfosi sociali non
siano che il prodotto delle metamorfosi nello stromento
produttivo»; e a rappresentanti ricordava il Fourier, il Marx,
l'Engels. Sicché, meno male, pareva che si fosse nel secolo
decimonono e nell'Europa occidentale. Ma nel terzo stadio, infine —
rappresentata tutto dal sistema di lui, Loria — si fa strada il
concetto, che la causa della storia è riposta nella stessa
natura; che «la storia umana è un fenomeno della
natura»; e che «a base dell'evoluzione sociale siede ed
impera, regina ignorata, la terra»1.
Invece, in uno scritto di solo due anni dopo, il primo stadio
s'identifica con le teorie sociali dell'economia classica, del
darvinismo, della dottrina delle razze, e dell'antropologia
criminale; il secondo, con le teorie storiche del socialismo, e (si
dia buona attenzione) con quelle degli economisti che propugnano il
mono o bimetallismo, il protezionismo o il libero scambio, e
simili2; e il terzo è sempre rappresentato, tutto intero, da
esso Loria; il quale, a quanto pare, modestamente si costituisce da
sé in epoca storica.
Rinunziando a mettere le mani in questa che a me sembra una assai
arruffata matassa, mi fermo solo a ciò che ora importa:
all'esposizione e critica, che il Loria fa, della teoria del Marx.
Secondo lui, dunque, il Marx riduce lo svolgimento economico al
cangiare degli strumenti tecnici; e il brano al quale si riferisce
è quello ben noto della prefazione al libro Zur Kritik der
politischen Oekonomic. Dove il Marx testualmente dice: «Nella
produzione sociale della loro vita gli uomini entran fra loro in
rapporti determinati, necessari ed indipendenti dal loro ai'bitrio,
cioè in rapporti di produzione, i quali corrispondono a un
determinato grado di sviluppo delle materiali forze di produzione.
L'insieme di tali rapporti costituisce la struttura economica della
società, ossia la base reale sulla quale si eleva una
soprastrazione politica e giuridica, e alla quale corrispondono
determinate forme sociali della coscienza... A un determinato punto
del loro sviluppo, le forze produttive materiali della
società si trovano in contraddizione coi preesistenti
rapporti della produzione (cioè coi rapporti della
proprietà, il che è l'equivalente giuridico di tale
espressione), dentro dei quali esse forze per l'innanzi s'eran
mosse. Questi rapporti della produzione, da forme di sviluppo delle
forze produttive, si convertono in loro impedimento. E allora
subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Col cangiare del
fondamento economico si rivoluziona e precipita, più o meno
rapidamente, la soprastante colossale soprastruzione... Una
formazione sociale non perisce, finché non si sieno
sviluppate tutte le forze produttive per le quali essa ha campo
sufficiente; e nuovi rapporti di produzione non subentrano, se prima
le condizioni materiali di loro esistenza non siano state covate nel
seno della società che è in essere»3.
Ora ecco uno dei parecchi burleschi, anzi maccheronici «
rifacimenti» di questa pagina, che si leggono nelle opere del
Loria: «Ad un dato stadio dello stromento produttivo
corrisponde, e sovr'esso si erige, un dato sistema di produzione,
quindi di rapporti economici, i quali foggiano poi tutto il modo di
essere della società. Ma l'evoluzione incessante dei metodi
produttivi genera tosto o tardi una metamorfosi radicale dello
stromento tecnico, la quale rende intollerabile quel sistema di
produzione e di economia, che sullo stadio anteriore della tecnica
era fondato. Allora la forza economica invecchiata vien distrutta
mediante una rivoluzione sociale e sostituita con una forma
economica superiore, rispondente alla nuova fase dello stromento
produttivo»4.
La sostituzione dell'espressione: «forze materiali di
produzione» con l'altra: «strumento tecnico»,
è affatto arbitraria; perché il Marx enuncia: 1°)
la dipendenza della restante vita sociale dall'economica; 2°) lo
sviluppo obiettivo e naturale dell'economia; 3°) il prepararsi
delle epoche rivoluzionarie per la contraddizione che si genera tra
il progresso della ricchezza e l'ordinamento (giuridico) della
proprietà (esempio, nel periodo borghese, le crisi e la
produzione capitalistica fondata sulla proprietà). Ma,
sebbene egli abbia altrove messo in rilievo l'importanza storica
delle invenzioni tecniche, e invocato una storia della tecnica5, non
si è mai sognato di fare dello « stromento
tecnico» la causa unica e suprema dello svolgimento economico.
«Grado di sviluppo delle materiali forze di produzione»,
«maniera di produzione della vita materiale»,
«condizioni economiche della produzione», queste e
simili espressioni, che s'incontrano nel passo soprariferito,
affermano bensì che lo svolgimento economico è
determinato da condizioni materiali, ma non punto riducono esse
tutte alla sola «metamorfosi dello stromento tecnico».
Né il Marx si è mai proposto questa indagine intorno
alla causa ultima della vita economica. La sua filosofìa non
era cosi a buon mercato. Non aveva «civettato» invano
con la dialettica dello Hegel, per andar poi a cercare le
«cause ultime».
Che cosa significa, invero, che la causa della vita economica
è la terra? Il Loria medesimo, con la sola terra, non riesce
a movere alcuna storia. Ed lia bisogno di ricorrere, se ho ben
contato, almeno a cinque elementi, che sono: 1°) la terra;
2°) la popolazione; 3°) il variante rapporto dell'una
rispetto all'altra; 4°) l'homo oeconomicus; 5°) la forza
brutale, o l'inganno, il quale renda possibile l'usurpazione che una
parte della popolazione compie sull'altra. E, stando alla storia
cosi semplificata dal Loria, si potrebbe dire alla pari che la
regina dello svolgimento sia la terra, o la popolazione, o la forza
brutale, o altro degli elementi enumerati. Ma il vero è che
cercare la causa unica di un fatto che risulta da elementi
cooperanti è contradittorio, e che la legge suprema
dell'evoluzione o dello svolgimento è nient'altro che una
frase, e «legge» ed «evoluzione» sono due
parole che non vanno d'accordo. L'evoluzione s'interpretra e
descrive, ma non se ne cerca la legge; salvo che non si adoperi come
i positivisti, i quali raddoppiano il fatto e lo chiamano legge.
Il Marx ha pensato così poco a far movere la storia dal solo
strumento tecnico senza tener conto della terra, che la pretesa
correzione del Loria è tolta dallo stesso Marx. Non bisogna
lasciarsi ingannare dal tono col quale il Loria offre i
«risultati della sua sorpresa», le scoperte che gli
vennero fatte quando, «per circostanze accidentali», fu
posto sulla traccia fortunata, e « pensò» di
« analizzare» la storia delle colonie del Nuovo Mondo.
Non bisogna farsi ingannare dal suo continuo dire: «Aguzza
qui, lettor, ben gli occhi al vero». Quantunque l'architettura
della sua opera sia diversa, quantunque egli vi abbia stivato
negl'interstizi una quantità grandissima di aneddoti,
l'ispirazione glien'ò venuta tutta dal Capitale; e
specialmente dall'ultimo capitolo del primo volume (cap. XXV), in
cui si discorre della systematic colonisation del Wakefield, e si
adopera l'esempio della terra libera per far meglio risaltare il
carattere di sfruttamento della produzione capitalistica. Anche il
Marx ricorda il caso di quel tale signor Peel, che parti
dall'Inghilterra per Swan Kiver nella Nuova Olanda con cinquantamila
sterline e tremila lavoratori, uomini, donne e fanciulli, e che,
giunto al luogo da lui designato, si trovò, dopo pochi
giorni, sempre con cinquantamila sterline, ma senza un servo che gli
rifacesse il letto o gli attingesse l'acqua dal fiume. «Povero
signor Peel! (comenta il Marx): egli pensò a trasportare ogni
cosa, ma dimenticò solo di trasportare a Swan Kiver le
condizioni economiche dell'Inghilterra». Il Marx soggiunge
ch'egli non intende trattare dello stato delle colonie, bastandogli
l'averle ricordate come riscontro; ed ecco il Loria a profittare di
questo tema, abbandonato dall'autore del Capitale, per rifinire
l'opera del Marx nell'ordine inverso, con materiale di notizie in
parte vario, col cangiamento di qualche teorica particolare, ma con
le stesse linee fondamentali. II che, eseguito per bene,
potrà anche dar luogo a un libro utile, ma non
costituirà già una scoperta né porgerà
alcuna correzione.
Del resto, nemmeno dalla moltiplicità di elementi,
surrettiziamente da lui introdotta, il Loria è in grado di
dedurre, come immagina, l'evoluzione necessaria della costituzione
economica; perché egli non può far altro, e altro non
fa, che aggruppare quegli elementi variamente, e, secondo il vario
aggruppare e le varie ipotesi, stabilire verità come le
seguenti:
1° Poste la terra libera e una data popolazione, guidata in
ciascuno dei suoi individui dall'interesse strettamente economico,
non è possibile se non o l'economia dissociata o
l'associazione libera a condizioni eguali e senza profitto.
2° Il profitto non può nascere se non:
a) dalla violenta scissione del lavoratore dalla terra con la forma
della schiavitù, e, crescendo ancora la popolazione, con la
forma mitigata del servaggio;
b) dall'occupazione della terra, ossia dalla cessazione della terra
libera, resa possibile dalla crescente popolazione, di cui la parte,
ch'è esclusa con la violenza dall'occupazione della terra,
cade nella condizione di salariata.
È questo il contenuto della legge delle leggi, che il Loria
raccoglie poi in una formola generale: «La legge generale
dell'evoluzione economica è questa: la terra libera determina
la negazione dell'economia capitalista, la quale perciò non
può fondarsi che sulla soppressione della terra libera,
ottenibile con metodi che sono diversi in ragione dei gradi
successivi dell'occupazione della terra, e che condizionano
altrettante forme successive della costituzione economica».
Non starò a esaminare se le deduzioni qui accennate siano in
ogni parte corrette, quantunque a me sembri che, a guardarle nei
particolari, vi si noterebbero parecchi salti e un poco legittimo
miscuglio di analisi astratta e di dati storici. Noterò,
tuttavia, che il Loria si fa un'altra illusione nel credere ch'egli
riesca a provare la verità delle sue leggi non solo
«coi liberi erramenti» (è la sua parolai)
«della deduzione», ma con l'induzione, col più
perfetto dei metodi, col metodo di concordanza e differenza. In
realtà, egli non può altro che mostrare come i suoi
astratti aggruppamenti abbiano operato molte volte in questa e
quella parte delia storia, sempre che altri elementi non siano
sopravvenuti a impedirne l'azione. Tutto il materiale di fatti, che
raccoglie nel secondo volume dell'Analisi della proprietà
capitalista, varrà come scelta di esempî, e sarà
anche istruttivo, ma non ha forza probante.
Tra le deduzioni del Loria ve n'ha una, che splende di singolare
importanza, perché, nientemeno, ci metterebbe in grado di
conoscere con sicurezza la prossima fase della evoluzione sociale.
Al Villari, il quale, appunto per aver fatto tutta la sua vita il
positivista, movendo in un'inconsapevole nostalgia metafisica una
serie di accuse al metodo storico, scriveva che la storia «non
c'illumina sulle tendenze ulteriori della società, sui suoi
ulteriori destini, sulla via che si deve seguire, sulla mèta
verso cui si deve tendere», il Loria è pronto a
rispondere: che la storia scientifica, come lui, Loria, la
costruisce, sana questo peccato, e predetermina gli ulteriori
destini dell'umanità6.
Per il Loria, infatti, la cosa è assai semplice: il crescere
della popolcizione romperà la forma capitalistica presente
per dar luogo a una forma più produttiva, con la
ricostituzione della terra libera, che sarà la forma ultima e
definitiva della società.
Ma, poiché qui siamo nel campo della deduzione, io non trovo,
nel gioco degli elementi stabiliti dal Loria, nessuna
necessità logica per la quale il crescere della popolazione
debba far abolire il salariato. La sovrapopolazione in certi limiti,
come è noto, è condizione indispensabile del sistema
capitalistico. Pel caso che diventi o superflua o pericolosa, non si
vede perché non si debbano accettare le conclusioni del
Malthus, anzi che quelle del Loria. Pestilenze e carestie
aiuteranno7.
Lo stadio futuro, di cui egli discorre con tanta sicurezza e come
qualche cosa che non già si congetturi ma di cui la scienza
«predetermini» l'avvento, non ha alcun carattere di
necessità razionale, come, del resto, non possono aver mai
tal carattere le previsioni storiche. Nelle quali le forze,
indeterminate nella qualità e nell'intensità,
permettono solo un certo calcolo dei probabili. Calcolo che
farà nascere in noi il sentimento della speranza, quando
favorisce gli ideali da noi vagheggiati; ma perché si generi
qualcosa di più, ossia un'operosità pratica e
politica, è necessario che intervenga la persuasione
dell'efficacia degli sforzi individuali e collettivi a cooperare con
le condizioni o forze obbiettive, coordinandole e indirizzandole.
Che questa persuasione sia viva e operante nel movimento
socialistico, quale è stato concepito dal Marx e dall'Engels,
mi sembra indubbio, perché, se anche le espressioni
filosofiche, di cui il Marx e l'Engels qualche volta si servirono,
suonano equivoche, la loro azione politica parla chiaro. Ma il Loria
invece, mentre da una parte esagera la forza del moto obiettivo
delle cose, cangicindola quasi in una necessità esterna,
dall'altra toglie forza al movimento stesso col privarlo
dell'elemento volitivo e morale. Gli è perciò che, a
dispetto di tutte le arie e di tutte le declamazioni dell'autore, il
sistema sociale del Loria è quietistico; e, infatti, in
Italia, i conservatori di ogni sorta, ben sentendo il nessun
pericolo di quelle dottrine, non hanno mancato di fare al Loria
grandi feste e di colmarlo di carezze e di onorificenze.
È questo il luogo di esaminare la seconda delle obiezioni,
che il Loria muove alla concezione storico-economica del Marx. Si
è veduta la prima: che cioè quella concezione si
arresti all' istrumento tecnico, come a causa ultima della
evoluzione. Ora al Loria sembra inaccettabile «il concetto
mistico di una coincidenza quasi provvidenziale fra le esigenze
mutate dello stromento di produzione e la esplosione vulcanica delle
passioni, che risulta dalla metaformosi dei rapporti produttivi.
Imperocché non sa vedersi quale connessione si riscontri tra
la difettiva conciliabilità del processo tecnico coi rapporti
produttivi e lo sviluppo psicologico reagente nei partecipi della
produzione. Se veramente lo stromento di produzione, giunto ad un
certo stadio, pone il problema, ma, in luogo di risolverlo esso
stesso, ne affida la soluzione alle passioni umane, con-vien
dimostrare che queste risolutrici del problema addivengano a
maturanza assieme al problema e non prima né poi. Questa
simultanea maturanza di due fenomeni assolutamente disgregati e
diversi, l'uno appartenente al mondo tecnico, l'altro al mondo
psichico, sembra addirittura insuscettibile di
dimostrazione»8.
Il Loria non ha compreso che il Marx non fa della storia
alcunché di automatico. L'organismo capitalistico produce la
proletarizzazione e l'anarchia sociale e mondiale: sono condizioni
di fatto; e tali condizioni rendono possibile l'azione proletaria
per un nuovo assetto sociale. «L'umanità non si propone
se non quei problemi che essa può risolvere»9. Ecco
l'ovvio nesso tra il fatto economico e l'azione rivoluzionaria, che
al Loria sembra un «concetto mistico». Di questa azione
e formazione proletaria, che prende sempre maggiore importanza, che
cosa giudica il Loria? Dobbiamo porre tale domanda per veder chiaro
nel fondo del suo pensiero. Egli non crede possibile nessun'azione
in nessun senso: né l'azione dello Stato, né l'azione
violenta delle masse. Ma con questa « azione violenta»
accenna al movimento socialistico? Mistero. Dice anche, qualche
volta, che i «lavoratori improduttivi», quando non
saranno pagati pili dai capitalisti, si uniranno alle masse oppresse
per «rischiararne le rivendicazioni». Ma come si
esplicherà quest'azione dei lavoratori improduttivi, e,
daccapo, in quale relazione si troverà col movimento reale
del socialismo democratico? Mistero.
— Dopo essersi aggirato in molte parole, non vede speranza di
salvezza se non nella Scienza, la quale deve rischiarare (ecco un
altro rischiaramento!) la classe capitalistica, «guidarne la
legislazione», e prepararla a cedere il posto di buona grazia
alla forma superiore. Quanto ai socialisti democratici, il Loria non
è loro avaro di lodi e complimenti; ma li confonde in uno
stesso abbraccio coi socialisti di Stato, coi socialisti cristiani,
coi liberi scambisti e simile genia utopica e malfida10. Il suo
cuore è grande. Ai socialisti teorici poi, ossia ai seguaci
del Marx, memore forse di qualche piccolo debito verso di essi, e
riconoscendo che i sofisti (Marx) aprirono la via a Socrate
(Loria?)11 , è disposto ad assegnare un posto privilegiato.
Essi formano «una legione irregolare, che talvolta è
indisciplinata, che spesso intralcia i movimenti dell'esercito
irreggimentato, ma che però, nel giorno del pericolo,
può porgere (all'esercito degli scienziati) preziosissimo
aiuto, e decidere l'esito della battaglia»12 . Quale
battaglia? Quale pericolo? La battaglia e il pericolo
dell'accensione dei lumi per rischiarare la classe capitalistica? 0
si tratta di cosa alquanto più grave? Anche qui: mistero.
Giova fermare chiaramente che la forma futura, la forma-limite,
verso la quale si volge il desiderio del Loria, non è la
forma comunistica. Ben diversa dal comunismo, la forma da lui
scoperta, «lungi dall'imporre un soffocante intervento della
potestà collettiva nel meccanismo della produzione, della
distribuzione e del consumo, limita l'opera dello Stato a guarentire
la proprietà libera della terra, a conservare intatta la base
sulla quale poi l'interesse personale illuminato verrà
spontaneamente a foggiare la forma economica adeguata e l'equilibrio
sociale». «Questo ideale, ci sia lecito osservarlo (egli
continua), risponde assai meglio dell'ideale socialista al nostro
carattere nazionale: perché quella terribile onnipotenza
della collettività, che tanto agl'intelletti germanici piace,
a noi genti latine ha qualche cosa di spaventoso e di
ributtante, che ce la rende più intollerabile di tutti i
moderni squilibri»13.
Ch'egli poi riesca a determinare con qualche nettezza i caratteri di
cotesta sua forina futura, anticapitalistica e anticomunistica ad
una, non oserei affermare. Al solito, molte parole e immagini:
questa forma si può dire che differirà meno di tutte
le precedenti dalla forma dell'umanità primitiva: «come
il volto dell'uomo assume la sua suprema bellezza nel momento della
nascita e nel momento della morte». I popoli primitivi l'hanno
divinata; e qui il misterioso Kneph, emblema del ritorno eterno
delle cose, il paradiso terrestre, l'età dell'oro, — e ancora
la leggenda commovente di Mazeppa, «simbolo meraviglioso e
pittoresco del movimento storico umano», e simili eleganze14.
Ma sarà un ritorno alla costituzione dell'umanità
primitiva la sua «associazione mista», «nella
quale uno o più produttori di capitale si aggiungerà
uno o più lavoratori semplici a lavorare con esso, dividendo
il prodotto in parti uguali»? — Che egli stesso sia assai
impacciato su questo punto è comprovato dalla sua
dichiarazione, che della forma futura non si potrà dir nulla
di preciso se non quando «tutti gli eletti del pensiero»
(tutti i professori Loria dell'universo?) «faranno convergere
verso di essa le loro forze in un'alleanza fraterna»15.
Aspetteremo
---
1 Analisi, II, 455 sgg.
2 La terra ed il sistema sociale, p. 9 sgg.
3 Ho citato secondo la traduzione, che dà del brano il prof.
Labriola, nel suo scritto: In memoria del «Manifesto dei
comunisti
4 La terra ed il sistema sociale, p. 19.
5 Dan Kapital, I, 113 n, 335-6 n.
6 La terra ed il sistema sociale, pp. 36-7.
7 II pensiero del Loria sembra più particolarmente questo: la
piccola proprietà tende a elidere la rendita della terra a
vantaggio delle classi industriale e lavoratrice; ma l'istituzione
universale della piccola proprietà sarà resa
necessaria, come forma più produttiva, dal crescere della
popolazione; dunque, il crescere della popolazione risolverà
automaticamente la questione sociale. Cosi pare si possa
raccoglierlo dal libro sulla Rendita della terra; e non mette conto
notare l'arbitrio di ciascuna di queste proposizioni e deduzioni.
8 La rendita della terra, l. c.
9 K. Marx, pref. al Zur Kritik. Cfr. Das kommuniistische Manifest:
«La borghesia uon ha solo foggiato le armi che le portano la
morte: essa ha anche prodotto gli uomini che le maneggeranno, i
moderni lavoratori, i proletari». E più oltre:
«Con lo svolgimento dell'industria il proletariato non solo
aumenta di numero, ma é raccolto insieme in masse sempre
più grandi; cresce la sua forza e cresce la coscienza che
esso ne ha» (6ª ed. ted., pp. 14-15).
10 La terra ed il sistema sociale, pp. 58-60. Per intendere il suo
pensiero in proposito, basta guardare la pagina precedente, e vi si
troverà detto che il socialismo cristiano e il socialismo di
Stato, «benché in apparenza ispirato alla filantropia
ed alla tutela dei deboli, si rivela alla indagine spregiudicata
come l'organo incosciente degl'interessi della proprietà
fondiaria, i quali si vantaggiano dei limiti al commercio dei
cereali, nonché dei freni opposti alla libertà
dell'industria». Critica per una parte non nuova, e per
un'altra non vera, ma atta a lasciar intendere quale stima egli
faccia del socialismo democratico, lodato alla pari degli altri due,
che qualifica a quel modo.
11 Problemi sociali, p. 77.
12 Ivi, ivi.
13 La terra ed il sistema sociale, pp. 60-1. Fino a pochi anni fa,
la «libertà» era considerata attributo dello
«spirito germanico»; per il Loria la cosa sta proprio al
contrario, e non dico che abbia torto, ma dico che sarebbe tempo di
finirla con gli spiriti « germanici» e
«latini», che si prestano a ogni sorta di giuoco. —
Controia forma comunistica, cfr. anche Probi, soc, pp. 734.
14 Les bases, pp. 390-1.
15 Op. cit., p. 389.
---
III
Queste contraddizioni e ondeggiamenti delle sue idee hanno
riscontro, e forse origine, in un difetto radicale del suo spirito.
Debbo dire la mia impressione: il Loria non mi pare che prenda
troppo sul serio né le sorti della scienza né quelle
della società. Egli è un vero temperamento di
letterato, di quelli che amano scrivere libri, dare prova di
ingegnosità ed eloquenza, raccogliere elogi e lasciarsi
applaudire dagli studenti. Credo che ciò volesse intendere
l'Engels, quando violentemente lo definiva: «un avventuriero
letterario, che in cuor suo s'infischia di tutta l'economia
politica»16.
Si guardi il suo modo di scrivere. Il Loria è scrittore
facile, abbondante, immaginoso, fiorito. È in lui evidente la
tentata imitazione della forma piena di umore e di fantasia di Carlo
Marx, e di quel presentare in modo figurato e animato le astratte
categorie dell'economia politica. Ma la forma del Marx risponde al
carattere dell'autore, è intima e significante, laddove nel
Loria è appiccicata e vuota: calore, indignazione, ironia
ritengono in lui un ufficio puramente esornativo. Si ascolti:
«Il ruggito bestiale della proprietà, defraudata del suo profitto
della terra libera, eeheggia nella vergognosa crociata ch'essa,
bandisce contro la libertà del lavoratore»17. E
sullo stesso argomento: «La distruzione della terra libera
è Dalila, che recide la chioma del gigante lavoratore;
è la demoniaca potenza, che fa dell'uomo nominalmente libero
il servo della proprietà fondiaria e del capitale; è
la forza misteriosa e maligna, la quale consente che, di mezzo ad
una libertà giuridica universale, si elabori e si accresca la
servitù delle masse, e che il capitale, senza usurpazioni,
senza oppressioni e violenze, possa conquistare un profitto. Come il
ritirarsi delle onde lascia scoperti i continenti, così il
cessare della terra libera lascia scoperto il profitto automatico,
il quale d'improvviso fa la sua apparizione nella storia»18.
Ecco un Marx retore e secentista19.
E si guardi anche il suo atteggiamento di fronte agli avversari. Il
Loria si mostra affatto privo di quella asperità, che
è una pecca senza dubbio, ma una pecca solita negli uomini di
forti convincimenti. Fa di cappello a tutti, s'infiamma per tutti, e
alle opinioni di tutti dà gran peso. Nelle ultime pagine del
volume Les bases économiques, nel capitolo Examen
d'objections, s'incontreranno in fila «uno scrittore
eminente», «uno dei nostri più spiritosi
scrittori», « due altri scrittori di grande
ingegno», «un eminente pubblicista», «un
eminente filosofo», e « un illustre scrittore», e
«un altro assai distinto»; e poi «uno splendido
articolo» (contro di lui), «un altro pieno della
più possente eloquenza», una terza critica,
«scritta con quella grazia di stile che tutti riconoscono al
suo autore», e che contiene « una pagina di squisita
eleganza»; e chi più ne ha, più ne metta. Veniam
petimus damusque vicissim: egli s'inebria di lodi, ma offre in giro
coppe spumeggianti dello stesso vino.
Gli è perciò che le sue parole contradittorie intorno
al Marx a me sembrano contenere alcunché d'ingenuo. Per lui
il Marx è «il più grande pensatore che abbia
avuto la scienza sociale dopo Ricardo», « uno dei
più grandi pensatori del secolo» ; la sua opera
«è libro magistrale, meraviglioso, il più
perfetto, il più simmetrico (?), che conosca»; è
« un capolavoro» ; ha «un carattere altamente
scientifico» ; il terzo volume del Capitale gli desta il
bisogno «di una genuflessione morale innanzi alla potenza
meravigliosa di una mente senza pari». D'altra parte, il
Capitale è «imbevuto dei più viziosi
sofismi», anzi di «consaputi» sofismi; il Marx fa
uso di «paralogismi, pur sapendoli tali»; quando non
riesce a risolvere una difficoltà, la rimanda, con
«ingegnoso espediente», a un volume, — che si proponeva
di non scrivere mai. Senonchè il volume, di cui il Loria
aveva arditamente affermato la non esistenza, si pubblica davvero,
postumo; e il Loria, dopo le genuflessioni sopracitate, e dopo
avervi attinto le maggiori gioie intellettuali, giudica che la
soluzione data dal Marx è «il gioco di frasi più
volgare», anzi, è «una mistificazione»:
come si può conciliare l'insulto con la stima, l'insinuazione
maligna con l'effusione entusiastica del cuore? Ma il Loria,
abituato ad ammirare sé stesso, ossia l'abilità,
l'ingegnosità e i falsi brillanti della fraseologia e della
rettorica, abituato a concepire la scienza come fuoco d'artifizio,
non deve essersi reso conto della gravità delle accuse che
scagliava.
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16 «...ein literarischer Abenteuer, der im Grande seines
Herzens auf die ganze Oekonomie pfeift». (Prefazione al III
vol. del CapitaleXXII, pp. ).
17 Analisi, II, 171.
18 Op. cit., II, 233.
19 Qualche altro esempio, in nota. Discorrendo del terzo volume del
Capitale: «Soltanto, qua e là, fra le pagine astratte e
le disquisizioni matematiche, spunta qualche parola corrucciata di
minaccia o di sdegno, come, fra il sereno delle nostre campagne,
spunta di quando in quando una croce a ricordare qualche antico
misfatto». Paragona il secondo volume della stessa opera alla
seconda parte del Faust: «poiché, se in questa trovo
una serie di scene inanimate, splendidamente interrotte dall'
incantevole episodio di Elena, nel secondo volume di Marx le
squisite pagine sul giro del capitale sono la gemma fulgida e
solitaria, cinta da una triste corona d'inutili raziocini. Se ti
piacesse, o lettore, una diversa rassomiglianza, direi che il primo
Capitale sta al terzo come il primo al terzo Bonaparte, e che il
secondo, rannicchiantesi tra l'uno e l'altro, ha tutta la moritura,
fiacchezza e la cadaverica tinta del Re di Roma» (artic. cit.
della Nuova Antol., pp. 464, 471). Se codesta è
rettorica di pessimo gusto, talvolta, se anche di rado, diventa
addirittura scorretta: come quando, in un certo punto, egli si
propone «di disossare il complicato fenomeno della
proprietà» (Probl. soc, p. 60): un fenomeno che ha le
ossa!; o sul principio della prolusione letta nell'università
di Padova, in cui dice che sale su quella cattedra di economia
politica, «come lo sposo, che per la prima volta s'inoltra
nella camera nuziale».
---
IV
Che il socialismo si svolga lento e spesso incoerente in Italia, non
è certo colpa di alcuno. Ciò deriva dalle condizioni
del proletariato, dal ritardato sviluppo dell'industria, dai modi di
formazione politica del nostro paese, e da tante altre cose, che
sono poi le cose tutte che fanno la storia. Ma è certo
notevole il fatto che il socialismo dei propagandisti non fu, fino a
qualche anno fa, se non del bakuninismo irrancidito, e che tutta la
discussione dottrinale di quest'ultimo decennio (fatta eccezione di
qualche solitario pensatore, la cui cultura e il cui sviluppo
mentale sono di altra origine), si è aggirata nell'equivoco
di un Loria, creduto scopritore del materialismo storico, e
correttore e perfezionatore di quel Marx, di cui poi nessuno sapeva
niente di preciso per dire in che fosse stato corretto e
perfezionato.
E finisco con un paragone, ch'è insieme un aneddoto della
storia del socialismo in Italia. Alla costituzione della prima
sezione dell'Internazionale, a Napoli, nel 1867, nel bel mezzo della
seduta, fu introdotto, con improvvisa e melodrammatica apertura di
uscio, un personaggio straniero, molto alto e molto biondo, dai modi
dei vecchi cospiratori e dal parlare misterioso. Intervenne come per
consacrare la sezione. Ancora cinque anni fa, un avvocato
napoletano, ottima creatura, un sopravvissuto di quella adunanza,
raccontava, con piena persuasione, che quell'uomo alto e biondo
fosse stato Carlo Marx, recatosi appositamente a Napoli per
così grossa impresa. Ci volle tutta la scienza di un meglio
informato per persuadere l'avvocato (oh delusione!), che il Marx
genuino era di media statura, scuro di carnagione e di capelli
nerissimi. — Bisogna riconoscere che molti concetti del Marx sono
stati più tardi introdotti e divulgati in Italia per opera
del Loria: ma ahimè!, era un Marx, anche il suo, alto e
biondo!20.
Settembre 1896.
20 II prof. Loria ha poi raccolto in volume i suoi vari scritti sul
Marx (Marx e la sua dottrina, Palermo, Sandron, 1902). Si veda
ciò che ne ho detto nella rivista La Critica, I, 118-9, ora
in Conversazioni critiche, I, 291-94.