Quaderno 2

Nota di lettura

Psicologia delle folle e bisogno "religioso"


Scritto in un arco temporale piuttosto ampio, dal 1929 al 1933, il Quaderno 2 è una raccolta di materiali bibliografici disparati ed eterogenei.

Con esso, composto in gran parte di schede di lettura e riferimenti bibliografici, si entra nel laboratorio gramsciano, laddove le informazioni vengono onnivoramente attinte da libri e riviste per essere elaborate nei Quaderni ulteriori.

Se c'è un filo che lega i paragrafi, e differenzia il secondo Quaderno dal primo, è l'allargamento degli orizzonti della ricerca, che pur concedendo ancora spazio e attenzione al Risorgimento e agli eventi del primo Novecento,  si estende ormai a livello globale nel tempo e nello spazio.

Gramsci ricostruisce le vicissitudini degli inquieti rapporti tra le nazioni europee, l'entrata in campo degli Stati Uniti con la loro formidabile potenza, il problema ancora del tutto aperto delle imprese coloniali, gli esiti dello smantellamento dell'Impero turco, ecc.

L'allargamento degli orizzonti della ricerca produce intuizioni formidabili.

Nel §78 Gramsci avanza l'ipotesi che l'asse del mondo è destinato a spostarsi nel Pacifico se la Cina e l'India dovessero decollare sul piano industriale. Previsione avveniristica che si sta realizzando.

Il §90, dedicato alla nuova evoluzione dell'Islam, affronta il problema del contatto di una civiltà di antichissime tradizioni, che pur non essendo mai stata isolata, è rimasta fedele (fin troppo) a se stessa, con la frenetica civiltà occidentale. Anche al riguardo, Gramsci anticipa avveniristicamente che tale contatto di fatto produrrà sempre di più il motivo del ritorno alle "origini". Intuisce, insomma, l'inesorabile "scontro di civiltà" che fa parte del nostro tempo.

È vero. Gramsci trae gran parte delle informazioni dalle riviste, ma le interpreta spesso in maniera estremamente creativa; legge in esse più di quanto dicano.

Aver ricavato dalla mediocre esperienza di Luigi Cadorna (§121) una categoria militare e politica di significato universale - il cadornismo - è un colpo di genio. Tanto più se si tiene conto che, in altro paragrafo (§75) l'analisi della teoria dei partiti politici di R. Michels focalizza il tema del capo carismatico.

L'intimo nesso tra i paragrafi è evidente. Essi fanno capo a due diversi tipi di potere: quello burocratico, che prevale nell'Esercito, la cui organizzazione  gerarchica implica una selezione dall'alto, e quello carismatico, che implica invece una selezione dal basso, vale a dire la capacità del capo di catturare il consenso popolare.

Nè Cadorna né Mussolini sono chiamati in gioco come persone, ma come metafore del potere (il cadornismo e il fascismo).  Il cadornismo è un modo burocratico di rapportarsi alla realtà, che implica l'adozione di schemi astratti che fanno violenza ad essa e producono sacrifici umani. Esso si realizza più facilmente a livello militare (nel corso della prima guerra mondiale al Cadorna italiano corrisponde il generale francese Neville), ma può riguardare anche la politica allorché un capo, infatuato dei suoi schemi astratti, porta alla rovina un'intera nazione.

Il fascismo, invece, fa leva sul bisogno delle masse, non giunte ancora ad un livello  sufficiente di maturità e di consapevolezza, di affidare il loro destino ad una figura idealizzata e investita di caratteristiche onnipotenti.

Di questo secondo fenomeno Gramsci fornisce un'interpretazione  politica. Scrive: "il cosidetto «charisma», nel senso del Michels, nel mondo moderno coincide sempre con una fase primitiva dei partiti di massa, con la fase in cui la dottrina si presenta alle masse come qualcosa di nebuloso e incoerente, che ha bisogno di un papa infallibile per essere interpretata e adattata alle circostanze; tanto più avviene questo fenomeno, quanto più il partito nasce e si forma non sulla base di una concezione del mondo unitaria e ricca di sviluppi perché espressione di una classe storicamente essenziale e progressiva, ma sulla base di ideologie incoerenti e arruffate, che si nutrono di sentimenti ed emozioni che non hanno raggiunto ancora il punto terminale di dissolvimento, perché le classi (o la classe) di cui è espressione, quantunque in dissoluzione, storicamente, hanno ancora una certa base e si attaccano  alle glorie del passato per farsene scudo contro l’avvenire)."

C'è, ovviamente, del vero in questa interpretazione. Le masse sperimentano più facilmente il bisogno di un capo carismatico quando, nel rapporto con una realtà storica turbolenta o in troppo rapida evoluzione, si sentono smarrite e tendono a regredire sul registro di un affidamento passivo (o addirittura cieco) a chi le rassicura e indica loro obiettivi dotati di una forte carica emozionale.

Nonostante l'alleanza con gli industriali del Nord e i proprietari agrari del Sud, Mussolini cattura il consenso popolare ponendosi come un "papa infallibile" destinato a guidare una nazione lacerata dai conflitti e sostanzialmente caotica verso la terra promessa dell'ordine, della rinascita economica e della potenza internazionale sia pure sulla base di un'ideologia confusa e approssimativa.

Il problema, di cui Gramsci non ha che una vaga consapevolezza, è che in Unione Sovietica, laddove la classe dirigente ispira il suo operato ad una concezione del mondo unitaria e coerente - quella marxista, esplicitamente atea - sta accadendo qualcosa di analogo: si sta affermando, cioè, un capo carismatico e un regime dittatoriale.

L'interpretazione politica del fenomeno, dunque, non basta. Occorre tenere conto, infatti, dell'intreccio tra la politica e la psicologia delle masse che rimane, in profondità, contrassegnata da una lunga tradizione religiosa (forse ancora più viva nell'URSS che in Italia) in conseguenza della quale l'affidamento a un capo carismatico in situazioni critiche è una sorta di automatismo. Si tratta di un automatismo che passivizza le masse e le pone quasi in uno stato di "ipnosi" collettiva.

Questo aspetto è stato analizzato, verso la fine dell'800, da G. Le Bon, che, nel IV capitolo de La psicologia delle folle scrive:

"Esaminando da vicino le convinzioni delle folle, tanto nei movimenti religiosi quanto nei sollevamenti politici, come quelli dell'ultimo secolo, si può constatare che queste convinzioni presentano sempre una forma speciale, che non possono determinarsi meglio di così: dando loro il nome di sentimento religioso.

Questo sentimento ha delle caratteristiche semplicissime: adorazione di un essere ritenuto superiore, timore del potere che gli si attribuisce, sottomissione cieca ai suoi comandi, impossibilità di discutere i suoi dogmi, desiderio di divulgarli, tendenza a considerare come nemici tutti quelli che rifiutano di accettarli. Che un tale sentimento sia rivolto a un Dio invisibile, a un idolo di pietra, a un eroe o a un'idea politica, resta sempre essenzialmente religioso. Il soprannaturale e il miracoloso vi si riscontrano sempre. Le folle rivestono dello stesso potere misterioso la formula politica o il capo vittorioso che le affascina momentaneamente.

Non si è religiosi soltanto quando si adora una divinità, ma anche quando si mettono tutte le risorse dei proprio spirito, tutte le sottomissioni della volontà, tutti gli ardori del fanatismo, al servizio d'una causa o d'un uomo diventato lo scopo e la guida dei sentimenti e degli atti...

È un'inutile banalità ripetere che alle folle è necessaria una religione. Le credenze politiche, divine e sociali si radicano nelle folle soltanto quando rivestono forma religiosa, che le mette al sicuro da ogni discussione...

Non si possono ben capire, lo ripeto, certi avvenimenti storici - e precisamente i più importanti - se non ci si è resi conto della forma religiosa che sempre rivestono le opinioni delle folle."

Gramsci non cita Le Bon se non (Q 9 § 78) per ricordare che Mussolini ha esplicitamente affermato di avere studiato a fondo la sua opera. Oggi è noto che Le Bon è stato studiato meticolosamente anche da Hitler e da Stalin.

In tutti e tre i casi, il fenomeno dell'assoggettamento "religioso" delle masse al capo carismatico si è realizzato.

Per un marxista come Gramsci è sicuramente doloroso riconoscere che le cose stanno così. Anche prescindendo infatti dal riferimento a presunti "istinti primordiali" (ipotesi positivistica di Le Bon), è fuor di dubbio che la persistenza, nelle falde profonde dell'inconscio individuale e collettivo, del bisogno "religioso", dilata smisuratamente i tempi dell'evoluzione dell'umanità verso un livello di civiltà superiore, affrancato sia dalla trascendenza, sia dall'affidamento cieco ad un capo investito di qualità straordinarie.

Le Bon (come peraltro Freud che riprende l'analisi dello stesso fenomeno in Psicologia collettiva e analisi dell'Io del 1921) insiste nel sottolineare l'irrazionalità e l'infantilismo delle masse, ma la sua teoria non tiene conto di due aspetti. Il primo è che l'assoggettamento al capo carismatico si realizza anche in singoli soggetti dotati di un livello culturale piuttosto elevato.

Michels rappresenta, al riguardo, un esempio singolare. Egli avvia la sua carriera politica come socialista, partecipando anche all'Internazionale, si avvicina poi alla teoria elitista e al pensiero weberiano, e infine si aggrega al carro del nazionalismo giungendo ad aderire al Fascismo e assumendo il ruolo di "ambasciatore" culturale in giro per il mondo.

Il secondo aspetto è riconducibile al fatto che perché il bisogno "religioso" si realizzi occorre che un individuo sappia farsene carico, manipolarlo e soddisfarlo. È importante, dunque, interrogarsi sulla psicologia del capo carismatico nell'epoca moderna, che sembra in contrasto con la desacralizzazione del potere intervenuta con la Rivoluzione francese.

Al riguardo, la risposta la si può ricavare proprio dai capi carismatici attivi all'epoca di Gramsci: Mussolini, Stalin e Hitler. Si tratta di soggettività profondamente diverse tra loro, accomunate, però, da un orientamento caratteriale ribellistico (tal che la loro esperienza giovanile è tipicamente "deviante" ed esposta al rischio dell'emarginazione) e da complessi di inferiorità piuttosto intensi (in gran parte dovuti alle originarie condizioni socio-familiari e a tragitti di apprendimento piuttosto disordinati) compensati da una valutazione megalomanica di se stessi, vale a dire da un "delirio" di onnipotenza.

Tale "delirio" comporta l'identificazione del proprio sogno di grandezza con quello della Nazione (e, nel caso di Stalin, con la Causa).

Questo aspetto è reso evidente dalla parabola politica di Mussolini che si avvia sulla base di un socialismo anticapitalistico, al di sotto del quale c'è l'avversione per una classe - quella medio-alto borghese -, alla quale egli sa di non potere appartenere in conseguenza delle sue umili origini e della sua abborracciata cultura di autodidatta, ed esita nel fascismo, sotteso da una sorta di anticomunismo viscerale al di sotto del quale si dà il rifiuto dell'"appiattimento" dell'individuo che egli ritiene intrinseco al marxismo.

Se è inquietante prendere atto che la psicologia delle masse è impregnata di un bisogno di affidamento cieco ad un essere ritenuto onnipotente, è ancora più inquietante considerare che tale bisogno tende a realizzarsi solo quando esso si imbatte in personalità più o meno profondamente disturbate, la cui capacità carismatica è, per molti espressiva proprio del disturbo.

Questa circostanza infatti determina uno strano paradosso: quello per cui, sottratto a qualsivoglia controllo, il capo carismatico finisce univocamente per applicare alla realtà schemi astratti funzionali ad esaltare la sua grandezza e quella del popolo che governa ed ipnotizza, ma che causano la rovina di entrambi.

In riferimento a Mussolini (ma si potrebbe estendere il giudizio anche a Hitler e a Stalin), si può affermare che se il suo carisma è indubbio, egli giunge infine ad agire - mutatis mutandis - come Cadorna.

Il problema è che Cadorna viene contestato dai subordinati, mentre Mussolini, con la sua mediocre filosofia e la sua claudicante cultura, compensate dall'attivismo bellicistico, viene idealizzato.

La ribellione al capo carismatico sopravverrà (anni dopo la morte di Gramsci), ma essa rivelerà la brusca fluttuazione dall'idealizzazione alla demonizzazione: un altro tratto tipico della psicologia delle folle.

Mettendo da parte il primitivismo della psicologia popolare, cui fanno riferimento Le Bon e Freud, il funzionamento dell'inconscio sociale, nel quale si radica il bisogno "religioso" di affidamento ad un capo, è un problema di grande portata per il marxismo.

Fornendo un'interpretazione meramente politica del fenomeno del capo carismatico, che peraltro si riconduce alla categoria più ampia del populismo, Gramsci semplifica il problema. È vero che la filosofia marxista fornisce, in teoria, una risposta specifica al bisogno religioso affrancandolo dalla trascendenza e offrendo ad esso un nuovo oggetto: la religione dell'umanità, che implica, tra l'altro, il riscatto della specie da un terribile passato.

L'affrancamento dalla trascendenza, però, sembra impossibile se, al di là dell'eventuale conforto di una società fatta a misura d'uomo (non semplice da realizzare), all'interno della quale la solidarietà sociale si pone come un valore assoluto, gli uomini non accettano la loro condizione di esseri gettati casualmente nel mondo, la cui vicenda, sia sotto il profilo individuale che di specie, è destinata comunque a finire.

La religione dell'umanità marxista, che può sradicare il bisogno religioso ed impedirne una realizzazione "mitologica", è una visione del mondo unitaria e coerente, la quale implica però anche un consapevole disincanto: una quota insomma di nichilismo (positivo, nella misura in cui la scoperta dell'insignificanza oggettiva della vicenda umana promuove il bisogno di dare ad essa un significato soggettivo e sociale sul piano dell'umanizzazione di sé e del mondo).