Quaderno 21

Nota di lettura

La dimensione esistenziale


Il lungo catalogo di questioni che Gramsci stila nel § 1, che gravita intorno alla "non esistenza di una letteratura popolare in senso stretto (romanzi d’appendice, d’avventure, scientifici, polizieschi ecc.) e «popolarità» persistente di questo tipo di romanzo tradotto da lingue straniere", non contiene la più importante, che pure è implicita: a che serve la letteratura  popolare?

Nel tentativo di rispondere a tale domanda, egli contesta l'ipotesi che "tutta la letteratura e la poesia sarebbe [...] uno stupefacente contro la banalità quotidiana?".  Se questo fosse vero, infatti, la letteratura popolare, date le condizioni di vita dei ceti subordinati, dovrebbe avere  un carattere di evasione e di fuga dalla realtà ancora più marcato.

Di fatto all'epoca così è, ma Gramsci fornisce di questo fenomeno un'interpretazione sociologico-politica. Posto, infatti, che "il gran numero degli uomini è tormentato proprio dall’ossessione della non «prevedibilità del domani», dalla precarietà della propria vita quotidiana, cioè da un eccesso di «avventure» probabili", essi, fruendo della letteratura popolare (scritta per il popolo non dal popolo), aspirerebbe "all’avventura «bella» e interessante, perché dovuta alla propria iniziativa libera, contro l’avventura «brutta» e rivoltante, perché dovuta alle condizioni imposte da altri e non proposte."

L'interpretazione non è infondata, ma riduttiva.

All'epoca in cui il Quaderno è scritto, il Fascismo ha già varato una legislazione assistenziale e previdenziale che riduce i rischi della precarietà per i lavoratori e ha avviato un ambizioso programma di lavori pubblici per sostenere l'occupazione. Nonostante questo, però, il modello dell'economia corporativa rimane in gran parte sulla carta per la resistenza opposta dai proprietari agrari e dagli industriali, i salari degli operai italiani rimangono i più bassi d'Europa (dopo la Spagna), e quelli dei contadini vengono compressi ai fini di reggere la concorrenza straniera favorita dall'alto corso della lira.

La precarietà, dunque, c'è, associata al risentimento per le promesse populistiche non mantenute. Ma c'è già, ancor più, nell'aria il presagio di una guerra che si prepara, la peggiore delle avventure per le masse popolari, che hanno già dato un pesantissimo contributo a quella che è alle spalle da pochi anni.

Questo sfondo storico rende persuasiva l'analisi gramsciana, che, ovviamente, demistifica l'imperante trionfalismo fascista. Ma in che senso la si può ritenere riduttiva?

Discutendo, in una nota precedente, del modo in cui Gramsci analizza l'irrequietezza dei cittadini ho già fatto cenno alla sua difficoltà di tenere conto, al di là dei riflessi psicologici delle circostanze sociali, ad aspetti della psicologia umana che fanno capo alla struttura stessa dell'essere umano: aspetti affiorati, sul finire del secolo XIX, con il nichilismo di Nietzsche, con l'annuncio della morte di Dio, con le filosofie irrazionalistiche, con la psicoanalisi e con l'esistenzialismo (Essere e tempo di Heidegger è pubblicato nel 1927).

Gramsci iscrive d'emblée questi orientamenti filosofici nell'ambito della decadenza della civiltà borghese. Ha difficoltà, insomma, nel comprendere che essi pongono in luce un nodo di problemi inerenti l'esperienza umana che sono giunti storicamente a maturazione.

L'uomo è un animale naturalmente ansioso: gettato nel mondo dal caso, egli acquisisce inesorabilmente con il crescere la consapevolezza intuitiva d'essere vulnerabile, precario, finito e destinato a finire. Si dà insomma, al fondo della mente umana, un nodo di contenuti emozionali e cognitivi ansiogeni, che sono costitutivi del suo singolare apparato mentale. Tali contenuti fluttuano senz'altro in conseguenza della situazione sociale, ma non potrebbero essere presumibilmente azzerati neppure in una società comunista.

Tutta la cultura moderna, avviando un processo di irreversibile secolarizzazione e di disgregazione delle comunità preesistenti, ha contribuito ad inattivare le difese adottate secolarmente: la fede religiosa e l'appartenenza ad un gruppo parentale.

Da questo punto di vista, il marxismo ha funzionato come una peste (il materialismo immanentista) e un vaccino (la riorganizzazione della società sotto forma comunitaristica, solidale e universale). Il vaccino, però, stenta a funzionare, e gli esseri umani, all'epoca di Gramsci come nella nostra, si ritrovano ad essere nel loro intimo preda del caso e della necessità (la realtà storica).

L'insicurezza e l'inquietudine esistenziale dell'uomo non sono incompatibili con l'antropologia marxista e tanto meno con una società comunista che se ne dovrebbe fare carico attraverso la socialità, la solidarietà, l'assistenza, la previdenza, la riflessione individuale e collettiva. Occorrerebbe però riconoscerla come un dato ontologico, discendente dalla struttura stessa dell'apparato mentale umano che comporta un orizzonte previsionale esteso all'infinito in rapporto al quale l'individuo acquisisce, voglia o non voglia, consapevolezza della sua finitezza.

La minimizzazione di questo aspetto risale a Marx che, nel regno della libertà comunista, intravede una sorta di "paradiso terrestre". Gramsci non riprende esplicitamente questo tema, ma dall'approccio aspramente critico nei confronti di alcuni autori che cercano di introdurre in Italia una sorta di velato esistenzialismo (per es. G. Rensi) è evidente che egli ritiene la problematica esistenziale espressiva solo della decadenza della cultura borghese.

Questo è tanto più sorprendente se si tiene conto che, proprio negli anni in cui è stato scritto il Quaderno 21, egli è impegnato a fronteggiare una grave crisi esistenziale, che lo porta sull'orlo della disperazione. Certo, la crisi fa capo a circostanze oggettive ben note (la detenzione, la difficoltà di comunicazione con l'esterno, i lunghissimi silenzi della moglie, l'intuizione di essere stato abbandonato, se non addirittura tradito dai compagni, ecc.). ma la disperazione umana, la disperazione che solo esseri umani possono sperimentare, al di là delle motivazioni oggettive, tocca sempre corde più profonde.