Quaderno 19

Nota di lettura

Politica e comunicazione


Tra i Quaderni scritti in carcere e quelli scritti dopo la liberazione si danno spesso concordanze e ripetizioni quasi letterali di interi paragrafi contenuti nei primi. Le concordanze e le ripetizioni non corrispondono solo all'esigenza gramsciana di riordinare il materiale in maniera tale da averlo sotto mano  per dedicarsi alla stesura dei vari saggi che si proponeva di scrivere. Esse corrispondono anche all'importanza che Gramsci assegna a determinati argomenti.

Non c'è da sorprendersi dunque se nel Quaderno 19 si trova riprodotto quasi alla lettera nel §24 il § 44 del Quaderno 1, che verte sul problema della direzione politica prima e dopo l'Unità di Italia, e, nel § 26, ampi estratti del § 43  per la parte che concerne il rapporto città-campagna.

Sono problemi strettamente correlati perché la rivoluzione risorgimentale è rimasta incompiuta proprio perché nessun movimento politico è riuscito a saldare lo scarto tra il Nord, già in via di sviluppo industriale, e un Sud rimasto vincolato al latifondo e al potere dei grandi proprietari agrari, con la conseguenza che l'Unità di Italia è avvenuta all'insegna di una frattura economica, sociale e culturale irrimediabile.

Frattura, tra l'altro, che si è perpetuata anche nel Novecento destinando al fallimento il tentativo, cui Gramsci ha attivamente partecipato, di porre in essere una rivoluzione comunista. All'organizzazione dei proletari del Nord, che sono giunti all'occupazione e al tentativo di gestire le fabbriche, sono corrisposti al Sud moti di protesta anche violenti ma incentrati sulla rivendicazione dei contadini delle terre, del passaggio cioè dal bracciantato alla piccola proprietà.

Gramsci stigmatizza duramente l'incapacità del Partito d'azione ottocentesco di farsi carico e di portare a soluzione il problema della scissione tra Nord e Sud. Di fatto, però, il problema non è stato risolto né dal Partito socialista (che, tra l'altro, era contrario alla piccola proprietà contadina) né da quello comunista, nonostante il loro radicamento sociale avesse dato luogo, soprattutto al Nord, alla nascita delle cooperative rosse, che rappresentarono i bersagli favoriti dallo squadrismo fascista.

A posteriori, si capisce meglio che il problema era (come giustamente afferma Gramsci) politico, ma non solo politico. Il consenso collettivo in rapporto ad un progetto rivoluzionario postula la diffusione delle idee, e quindi canali di comunicazione sociali. Nell'800 tali canali, per quanto riguarda i contadini, erano pressoché inesistenti, soprattutto al Sud.

In una fabbrica non è arduo raccogliere gli operai in assemblea e renderli partecipi di un progetto politico. In un'area agricola, laddove gli uomini sono distribuiti su di una vasta superficie, la difficoltà di un assemblamento è enorme e si può realizzare quasi solo sotto forma di sciopero.

Ciò non significa che, nell'800, i contadini siano rimasti abbandonati a se stessi. La creazione delle cooperative e delle Case del popolo, cui hanno contribuito a pari merito socialisti e anarchici, è stata un'impresa di vasta portata, che spiega, tra l'altro, il successo elettorale del partito socialista nei primi del Novecento.

Più di tanto, però, non si poteva fare sulla base dell'attivismo.

Non è un caso che, con il venire meno del non expedit, e potendo utilizzare l'istituzione ecclesiale (le Parrocchie), alla fine dell'Ottocento e nei primi del Novecento, si sia affermato, in opposizione con quelle rosse, il fenomeno delle leghe e delle cooperative bianche (democristiane), che si sono potute avvalere del sostegno logistico delle parrocchie distribuite su tutto il territorio nazionale.

Al di là delle incertezze e dei contrasti politici, per analizzare il persistente scarto tra città e campagna all'epoca di Gramsci , occorre dunque considerare un fattore tecnologico. Le idee, allora, potevano diffondersi solo attraverso la propaganda orale, la stampa, gli opuscoli, i libri. Questi ultimi mezzi, però, avevano un'incidenza limitatissima perché gran parte della popolazione contadina (e anche una parte di quella proletaria) era ancora analfabeta o semi-analfabeta.

L'insistenza con cui Gramsci, nei Quaderni, insiste sulla necessità di una crescita culturale dei ceti subordinati e sulla necessità che essa sia favorita da intellettuali "organici" ad essi riconosce la sua matrice nella consapevolezza dell'arretratezza culturale di tali ceti e nella difficoltà tecnologica di comunicare con essi al di là della propaganda orale.

Oggi ci si può rendere meglio conto dell'incidenza che quest'ultimo fattore ha giocato nella storia del marxismo, che è stato sempre svantaggiato da quel gap culturale e dall'esigenza di colmarlo nel vivo della lotta politica.

Lenin ha affermato che il socialismo è il potere sovietico più l'elettrificazione di tutto il paese.

In realtà, il vero problema del marxismo è stato sempre l'acculturazione, vale a dire il promuovere nelle masse una nuova visione del mondo rispetto a quella tradizionale. da questo punto di vista, un ruolo centrale è stato svolto dai mezzi di comunicazione, che sono rimasti a lungo carenti.

Non sarebbe irragionevole ricostruire la storia del capitalismo come storia di un sistema socio-economico che ha sviluppato una capacità produttiva di beni sempre maggiore ma senza farsi carico, se non marginalmente, dell'acculturazione delle masse.

L'aspetto della comunicazione politica oggi si può analizzare meglio tenendo conto della diffusione della televisione e del computer che, sul piano della circolazione delle informazioni, azzerano quasi lo scarto tra città e campagna. Il problema è che essi possono essere utilizzati come strumenti di propaganda da chiunque, sicché si ripropone ad un altro livello, lo scontro tra conservatorismo e progressismo...