Quaderno 15


Nota di lettura

Il non sapere di non sapere

Il problema centrale che Gramsci affronta nei Quaderni riguarda la possibilità di creare una volontà  collettiva orientata verso il superamento della realtà esistente, che, al di là dell'appropriazione delle risorse da parte dei capitalisti, si mantiene sulla base  del dominio ideologico dei valori borghesi, assunti come universali, e, a livello di società civile, dal senso comune ricavato da essi.

In Gramsci il solo cambiamento della struttura economica, non associato ad un profondo cambiamento di mentalità, non approssima l'umanità ad un livello di civiltà superiore perché esso, tutt'al più, può promuovere una diversa distribuzione della ricchezza sociale ma non necessariamente il suo uso ai fini della costruzione di un uomo nuovo, che richiede condizioni oggettive adeguate di sviluppo ma anche l'impegno individuale.

Questo problema porta Gramsci a elaborare analisi e strategie che possano produrre un nuovo senso comune, ma anche ad interessarsi degli ostacoli che possono ostacolarlo o impedirlo. Pur se la sua ottica privilegia gli ostacoli di natura politica e ideologica, non di rado si imbatte in altri che denuncia senza riuscire ad analizzarli perché fanno capo al funzionamento dell'apparato mentale umano.

Uno di questi è il seguente:

"§21 Passato e presente. Se si domanda a Tizio, che non ha mai studiato il cinese e conosce bene solo il dialetto della sua provincia, di tradurre un brano di cinese, egli molto ragionevolmente si meraviglierà, prenderà la domanda in ischerzo e, se si insiste, crederà di essere canzonato, si offenderà e farà ai pugni.

Eppure lo stesso Tizio, senza essere neanche sollecitato, si crederà autorizzato a parlare di tutta una serie di quistioni che conosce quanto il cinese, di cui ignora il linguaggio tecnico, la posizione storica, la connessione con altre quistioni, talvolta gli stessi elementi fondamentali distintivi.

Del cinese almeno sa che è una lingua di un determinato popolo che abita in un determinato punto del globo: di queste quistioni ignora la topografia ideale e i confini che le limitano."

Se gli uomini, come afferma ripetutamente Gramsci nei Quaderni, sono tutti filosofi, occorre aggiungere che essi lo sono di un genere particolare (peraltro rappresentato anche tra i filosofi di professione): sono tuttologi.

Sotto quale categoria si iscrive un fenomeno del genere? La categoria adeguata sembra quella del "non sapere di non sapere", diversa dall'ignoranza, che spesso porta a tacere. L'ignorare di ignorare promuove la tendenza ad affermare comunque qualcosa in rapporto a qualunque argomento, e spesso con la convinzione di essere nel giusto; insomma, ad aprire bocca e dare fiato.

Può sembrare un fenomeno marginale, ma invece è fondamentale nell'ottica di una filosofia - quella marxista - che non può prescindere da uno stato di coscienza critica - individuale e collettiva.

Il non sapere di non sapere è con tutta evidenza l'ostacolo maggiore sulla via dell'assunzione, da parte della coscienza, di uno statuto critico.

Come spiegarlo?

La condizione dell'uomo è caratterizzata dalla sua sprovvedutezza originaria, vale a dire da un bagaglio di istinti, vale a dire di preconoscenze e di moduli comportamentali automatici ereditati, ridotto al minimo. Egli in pratica deve apprendere tutto. La dipendenza dall'ambiente culturale e l'interazione con esso sopperisce in parte alla sprovvedutezza. Dall'ambiente l'individuo riceve un sapere già strutturato - su ciò che è vero e falso, buono e cattivo, giusto e ingiusto, ecc. - che gli fornisce un primo orientamento su come egli deve sentire, pensare ed agire. Il sapere in questione è ciò che Gramsci definisce senso comune: un insieme di nozioni teorico-pratiche che si acquisiscono con l'aria che si respira.

Ma il senso comune funziona meglio in società ristrette, i cui scambi con l'esterno sono ridotti, che non in società di massa inserite in un flusso storico che tende alla globalizzazione. In queste ultime società, l'essere umano ha una percezione intuitiva della straordinaria complessità della realtà in cui è immerso.

La reazione alla complessità dovrebbe essere il dubbio, la volontà di informarsi, di studiare, di capire, di prendere posizione. La reazione comune, invece, è il colmare le lacune delle proprie conoscenze con argomentazioni casuali, più o meno logiche, più o meno fondate, ecc. che danno all'individuo la falsa convinzione di avere un qualche controllo sulla realtà.

A ciò occorre aggiungere un ulteriore fattore di scala.

In società ristrette, l'individuo, nel corso della fase evolutiva, accumula - sotto forma di senso comune - un insieme di informazioni che corrispondono abbastanza puntualmente alla cultura del gruppo nella quale egli assume un ruolo adulto. In altri termini, il campione sociale nell'interazione con il quale egli apprende come si deve sentire, pensare e agire è abbastanza rappresentativo dell'insieme.

In una società di massa, l'esperienza del soggetto, invece, è microcontestuale: egli interagisce con un campione del mondo - la famiglia, la scuola, il quartiere - che è debolmente rappresentativo dell'insieme. Egli accumula insomma un patrimonio di informazioni minimo in rapporto mondo nella sua totalità. Ciò comporta il fatto che, affacciandosi ad esso, dovrebbe sviluppare la consapevolezza della sua complessità, che trascende di gran lunga il sapere di cui dispone.

Ciò che avviene, invece, a livello del tutto inconscio, è che le informazioni accumulate nella fase evolutiva vengono generalizzate e si trasformano in una visione del mondo totalizzante con tutte le approssimazioni, le lacune, le contraddizioni che ciò comporta.

La generalizzazione è la matrice del non sapere di non sapere.

Nello stesso Quaderno Gramsci accenna ad un fenomeno che pone in luce in maniera ottimale il problema in questione.

Analizzando la crisi economica avviatasi nel 1929, che è ancora in atto all'epoca, scrive:

"§ 5 1) Occorrerà combattere chiunque voglia di questi avvenimenti dare una definizione unica, o che è lo stesso, trovare una causa o un’origine unica. Si tratta di un processo, che ha molte manifestazioni e in cui cause ed effetti si complicano e si accavallano. Semplificare significa snaturare e falsificare. Dunque: processo complesso, come in molti altri fenomeni, e non «fatto» unico che si ripete in varie forme per una causa ad origine unica...

3) La crisi ha origine nei rapporti tecnici, cioè nelle posizioni di classe rispettive, o in altri fatti? Legislazioni, torbidi ecc.? Certo pare dimostrabile che la crisi ha origini «tecniche» cioè nei rapporti rispettivi di classe, ma che ai suoi inizi, le prime manifestazioni o previsioni dettero luogo a conflitti di vario genere e a interventi legislativi, che misero più in luce la «crisi» stessa, non la determinarono, o ne aumentarono alcuni fattori. Questi tre punti: 1) che la crisi è un processo complicato; 2) che si inizia almeno con la guerra, se pure questa non ne è la prima manifestazione; 3) che la crisi ha origini interne, nei modi di produzione e quindi di scambio, e non in fatti politici e giuridici, paiono i tre primi punti da chiarire con esattezza.

Altro punto è quello che si dimenticano i fatti semplici, cioè le contraddizioni fondamentali della società attuale...

Una delle contraddizioni fondamentali è questa: che mentre la vita economica ha come premessa necessaria l’internazionalismo o meglio il cosmopolitismo, la vita statale si è sempre più sviluppata nel senso del «nazionalismo», «del bastare a se stessi» ecc. Uno dei caratteri più appariscenti della «attuale crisi» è niente altro che l’esasperazione dell’elemento nazionalistico (statale nazionalistico) nell’economia: contingentamenti, clearing, restrizione al commercio delle divise, commercio bilanciato tra due soli Stati ecc. "

L'impostazione dell'analisi gramsciana della crisi è perfetta, soprattutto per quanto riguarda il conflitto tra il capitalismo che tende alla globalizzazione e i vincoli economici che le nazioni e i governi nazionali pongono ad esso.

Ma quanta di questa complessità può essere colta dal cittadino comune per il quale la crisi significa tout court aumento dei prezzi, riduzione del suo potere d'acquisto, disoccupazione, miseria, ecc.?

La complessità, però, soprattutto se si pone come oscura e indecifrabile,  è intollerabile per la mente umana. Sicché si può stare certi che il cittadino comune dirà la sua sulla crisi, la interpreterà in qualche modo, dando la colpa agli speculatori, ai governanti, ai socialisti, ecc.

Più o meno, purtroppo, le cose stanno così ancora oggi. Si sono anzi aggravate perché il cittadino medio, che ormai ha un certo livello culturale ed è investito da un flusso esorbitante di informazioni, è sicuro di sapere come stanno le cose. Legge, insomma, il testo del mondo scritto in cinese come se lo conoscesse.

E' un problema essenziale del marxismo contemporaneo mettere in grado la coscienza individuale e collettiva di confrontarsi con la complessità del reale senza fare ricorso a formule semplificate e a dogmi.