Pochi sono nei Quaderni i riferimenti al movimento anarchico e ai
suoi capi. Bakunin viene citato solo una decina di volte, ancor
meno Kropotkin e, tra gli italiani, Malatesta, Costa,
Cafiero. I riferimenti sono, quando non asettici, implicitamente
critici.
La cosa non sorprende. L'ostilità reciproca tra comunisti
e anarchici risale allo scontro tra Marx e Bakunin, che viene
così ricostruito su un sito web
(http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/marxbakunin.htm):
"Il primo scontro indiretto tra Marx e Bakunin risale al 1868:
un'anno prima si era formata a Ginevra una Lega della pace e della
libertà, unione degli “amici della democrazia” che, grazie
all'azione carismatica del russo, si era in pochi mesi epurata di
tutti i pregiudizi borghesi per aderire ad un programma di
decisa impronta socialista, basato sulla diffusione dei principi
di federazione, emancipazione della classe operaia e insegnamento
pubblico laico.
Nello stesso anno risale la domanda di adesione
all'Internazionale, in cui il russo presentava la Lega come
“espressione politica dei principi dell'Internazionale”; la
risposta fu scontata: riunitasi a Bruxelles, l'Associazione dei
lavoratori rispose all'unanimità in maniera negativa,
sostenendo l'inutilità di esistere della Lega e invitando
questa a dissolversi nell'Internazionale.
I sospetti di Bakunin sulla mano invisibile di Marx erano
incalzanti e il primo vero attacco contro l'avversario fu
scagliato alla seconda riunione della Lega: “Detesto il comunismo
perché è la negazione della libertà, e io non
posso concepire nulla di umano senza la libertà. Non sono
comunista prchè il comunismo concentra e annega nelle mani
dello Stato tutta la forza della società, perché
conduce necessariamente alla centralizzazione della
proprietà nelle mani dello Stato, mentre io voglio
l'abolizione dello Stato, la radicale estirpazione di quel
principio dell'autorità e della tutela statale che finora,
col pretesto di moralizzare e incivilire gli uomini, li ha
asserviti, oppressi, sfruttati e corrotti. Voglio l'organizzazione
della società e della proprietà collettiva o sociale
dal basso all'alto, mediante libera associazione, e non dall'alto
al basso mediante un'autorità qualsivoglia. Volendo
l'abolizione dello Stato, voglio anche l'abolizione della
proprietà individualmente ereditata, che non è se
non un'istituzione statale, una conseguenza diretta del principio
dello Stato. Ecco, signori, in che senso sono collettivista, e
niente affatto comunista”.
Espulso dalla Lega per l'eccessivo estremismo dei suoi programmi,
Bakunin fondò con i suoi fedelissimi l'Alleanza della
democrazia socialista e, alla fine del 1868, presentò
nuovamente domanda di ammissione al Consiglio generale di Londra
dell'Internazionale, in cui, oltre alla richiesta del mantenimento
della sua indipendenza, esigeva che l'Alleanza avesse la funzione
ispiratrice in merito alle idee dell'Internazionale. Marx,
infuriato, decise di ripudiare in chiave privata l'associazione di
Bakunin; è il 1968, alle soglie del primo Congresso
dell'Internazionale a Basilea, quando l'Alleanza decide di
dissolversi nell'Internazionale, diventando sezione di Ginevra.
Il Congresso vide il secondo scontro indiretto tra i due; dopo
essersi schierato contro il referendum in quanto “faccenda
politica borghese”, il russo si soffermò su un punto
critico per il dissidio con i marxisti, ossia quello del principio
di eredità. Al contrario di Bakunin , Marx riteneva che la
proprietà privata era causa del principio di
eredità, e non viceversa, poiché abolire solo
l'eredità (Bakunin) significava ammettere giusta e
legittima la proprietà privata non acquisità tramite
questa.
La rottura completa tra i due era ormai imminente. Nel 1870 Marx
ed Engels convocarono una conferenza privata a Londra,
affinché i bakunisti (il cui prestigio cresceva sempre
più, specie in Spagna e Italia) fossero messi con le spalle
al muro; punti principali furono: a) la scomunica di Nacaev
(giovane amico di Bakunin, che aveva ucciso lo studente russo
Ivanov, accusandolo di spionaggio); b) il rifiuto di ogni
organizzazione indipendente settaria al di fuori
dell'Internazionale; c) l'opportunità, concessa al gruppo
di Bakunin (sezione del Giura) di entrare come sezione
dell'Internazionale, unendosi alla sezione di Ginevra da cui si
era scissa, a patto di perdere il suo titolo di “Federazione del
Giura”.
Il contrattacco dei bakunisti fu imminente; nel 1871 a Sonvellier
un congresso di anarchici rispose al consiglio di Londra emanando
un famoso documento di condanna dell'Internazionale: “Se
v'è un fatto incontestabile, mille volte attestato
dall'esperienza, è l'effetto corruttore
dell'autorità su coloro nelle cui mani è riposta
(…). Il mandato di membro del consiglio generale è divenuto
in mano di alcuni individui simile ad una proprietà
personale… . Essendo diventati ai propri occhi una specie di
governo, era naturale che considerassero le loro idee particolari
come la teoria ufficiale dell'Associazione, la sola che vi avesse
diritto di cittadinanza, mentre le idee divergenti espresse in
altri gruppi apparivano loro non più come manifestazione
legittima di un'opinione eguale in diritto alla loro, ma come vera
e propria eresia”.
Al congresso dell'Aja del 1872, infine, si decise per l'espulsione
di Bakunin e dell'amico Guillame dall'Internazionale.
Risalgono a questo periodo le numerose lettere che Marx ed
Engels spedirono ai vari corrispondenti, e che riassumono la
polemica con Bakunin, non rispiarmando critiche violente
sull'avversario, oltre che sul suo “sterile pensiero”. Le
invettive del russo trovano invece spazio soprattutto in “Stato e
anarchia”, opera in cui viene condannato il “comunismo di Stato”
di Marx (paragonato a Lassalle), soprattutto nel concetto di
“dittatura del proletariato”."
Queste reciproche accuse sono state ripetute infinite volte nel
corso del tempo, rendendo incolmabile il vallo tra il movimento
comunista e quello anarchico.
Di fatto, le differenze ideologiche e strategiche sono state
sempre estremamente rilevanti, a partire dal diverso modo di
concepire la possibilità di pervenire ad una società
senza Stato: obiettivo comune che, secondo i comunisti,
postula come passaggio intermedio una fase di dittatura del
proletariato (e quindi l'organizzazione politica del proletariato
stesso, che deve giungere alla presa del potere per via
rivoluzionaria e amministrare il potere acquisito in maniera da
porre i presupposti per un ulteriore passaggio al comunismo),
mentre si pone per gli anarchici come conseguenza immediata
dell'abbattimento delle strutture di potere statali, che
può avvenire solo se gli anarchici stessi riescono ad
attivare, con le loro azioni esemplari, la rabbia popolare.
Si tratta, evidentemente, di due utopie rivoluzionarie. Se la
prima, però, almeno sul piano teorico, può essere
riformulata in termini che tengono della forza del potere borghese
e del radicamento della sua ideologia in larghi strati della
popolazione (a questo, in ultima analisi, si è dedicato
Gramsci), quella anarchica sembra del tutto incapace di tenere
conto della realtà storica. Essa rimane vincolata al
riferimento ad un potere assoluto che opprime una popolazione che
non aspetta altro che un'occasione (la scintilla prodotta dal
terrorismo anarchico) per ribellarsi ed esplodere.
Detto questo, il mancato riconoscimento, da parte di Gramsci,
come peraltro di tutti i comunisti, della dedizione alla causa
rivoluzionaria degli anarchici, dei loro atti di coraggio (talora
estremi), di uno stile di vita affrancato dalle convenzioni
borghesi, va al di là delle differenze ideologiche e
strategiche: implica l'incapacità di capire che
l'impazienza rivoluzionaria, vale a dire l'intolleranza nei
confronti del mondo così com'è, alimentata dal
riferimento al come esso dovrebbe essere, è un male comune
al comunismo e all'anarchia. Gramsci stesso ha sperimentato tale
intolleranza all'epoca del biennio rosso. A posteriori, la stessa
rivoluzione bolscevica, alla quale egli fa riferimento per
sottolineare la validità della strategia comunista,
incentrata sull'organizzazione delle masse, rispetto a quella
anarco-individualista, è in realtà una rivoluzione
"anarchica" che abbatte il potere costituito dando per scontato
che la popolazione è pronta a procedere verso un nuovo
mondo.
Al di là di questo aspetto, ce n'è un altro ancora
più importante. Se l'analisi della realtà sociale e
degli strumenti per sormontarla è profondamente diversa,
l'antropologia marxista e quella anarchica hanno molteplici punti
di contatto. Entrambe hanno fiducia nell'uomo, nelle sue
potenzialità, nella sua sete, per quanto solitamente
rimossa, di libertà e di giustizia. Entrambe ritengono che
l'uomo possa diventare molto migliore di come è
apparso nel corso dello sviluppo storico. Entrambe, infine,
rifiutano il principio, proprio della civiltà borghese, per
cui l'uomo ha bisogno di un potere che lo sovrasta - il potere
dello Stato, delle leggi, delle istituzioni - per regolare i suoi
rapporti con gli altri esseri umani senza cadere nell'arbitrio
della sopraffazione e della legge del più forte.
Per questo aspetto, la lettura del saggio di Kropotkin che, con
la sua insistenza sulla natura radicalmente sociale dell'uomo, ha
anticipato alcune scoperte della neurobiologia contemporanea
è oltremodo significativa. Gli accenti, infatti, sono gli
stessi che risuonano nei Manoscritti economico-filosofici del 1844
di Marx (che Gramsci, peraltro, non ha mai potuto leggere).