Antonio Gramsci

Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
Editori riuniti, 1996

III. Il giornalismo


Q 14 § 66 [Giornalismo integrale.] Il tipo di giornalismo che si considera in queste note è quello che si potrebbe chiamare «integrale» (nel senso che acquisterà significato sempre piú chiaro nel corso delle note stesse), cioè quello che non solo intende soddisfare tutti i bisogni (di una certa categoria) del suo pubblico, ma intende di creare e sviluppare questi bisogni e quindi di suscitare, in un certo senso, il suo pubblico e di estenderne progressivamente l'area. Se si esaminano tutte le forme di giornalismo e di attività pubblicistica-editoriale in genere esistenti, si vede che ognuna di esse presuppone altre forze da integrare o alle quali coordinarsi «meccanicamente». Per svolgere criticamente l'argomento e studiarne tutti i lati, pare piú opportuno (ai fini metodologici e didattici) presupporre un'altra situazione: che esista, come punto di partenza, un aggruppamento culturale (in senso lato) piú o meno omogeneo, di un certo tipo, di un certo livello e specialmente con un certo orientamento generale e che su tale aggruppamento si voglia far leva per costruire un edificio culturale completo, autarchico, cominciando addirittura dalla... lingua, cioè dal mezzo di espressione e di contatto reciproco. Tutto l'edifizio dovrebbe essere costruito secondo principî «razionali», cioè funzionali, in quanto si hanno determinate premesse e si vogliono raggiungere determinate conseguenze. Certo, durante l'elaborazione del «piano» le premesse necessariamente mutano, perché se è vero che un certo fine presuppone certe premesse è anche vero che, durante l'elaborazione reale dell'attività data, le premesse sono necessariamente mutate e trasformate e la coscienza del fine, allargandosi e concretandosi, reagisce sulle premesse «conformandole» sempre piú. L'esistenza oggettiva delle premesse permette di pensare a certi fini, cioè le premesse date sono tali solo in rapporto a certi fini pensabili come concreti. Ma se i fini cominciano progressivamente a realizzarsi, per il fatto di tale realizzazione, dell'effettualità raggiunta, mutano necessariamente le premesse iniziali, che intanto non sono piú... iniziali e quindi mutano anche i fini pensabili e cosí via. A questo nesso si pensa ben raramente, quantunque sia di evidenza immediata. La sua manifestazione la vediamo nelle imprese «secondo un piano» che non sono puri «meccanismi», appunto perché si basano secondo questo modo di pensare in cui la parte della libertà e dello spirito d'iniziativa (spirito di «combinazioni») è molto piú grande di quanto non vogliano ammettere, per il ruolo di maschere da commedia dell'arte che è loro proprio, i rappresentanti ufficiali della «libertà» e dell'«iniziativa» astrattamente concepite (o troppo «concretamente» concepite). Questo nesso è dunque vero, tuttavia è anche vero che le «premesse» iniziali si ripresentano continuamente, sia pure in altre condizioni. Che una «leva scolastica» impari l'alfabeto non significa che l'analfabetismo scompaia di colpo e per sempre; ogni anno ci sarà una nuova «leva» a cui insegnare l'alfabeto. Tuttavia è evidente che quanto piú l'analfabetismo diventa raro negli adulti, tanto meno difficoltà si presenteranno per popolare le scuole elementari fino al 100%: ci saranno sempre «analfabeti» ma essi tenderanno a scomparire fino al limite normale dei fanciulli di cinque-sei anni.

Q 14 § 62 I lettori. I lettori devono essere considerati da due punti di vista principali: 1) come elementi ideologici, «trasformabili» filosoficamente, capaci, duttili, malleabili alla trasformazione; 2) come elementi «economici», capaci di acquistare le pubblicazioni e di farle acquistare ad altri. I due elementi, nella realtà, non sono sempre distaccabili, in quanto l'elemento ideologico è uno stimolo all'atto economico dell'acquisto e della diffusione. Tuttavia, occorre, nel costruire un piano editoriale, tenere distinti i due aspetti, perché i calcoli siano realisti e non secondo i propri desideri. D'altronde, nella sfera economica, le possibilità non corrispondono alla volontà e all'impulso ideologico e pertanto occorre predisporre perché sia data la possibilità dell'acquisto «indiretto», cioè compensato con servizi (diffusione). Un'impresa editoriale pubblica tipi diversi di riviste e libri, graduati secondo livelli diversi di cultura. È difficile stabilire quanti «clienti» possibili esistano di ogni livello. Occorre partire dal livello piú basso e su questo si può stabilire il piano commerciale «minimo», cioè il preventivo piú realistico, tenendo conto tuttavia che l'attività può modificare (e deve modificare) le condizioni di partenza non solo nel senso che la sfera della clientela può (deve) essere allargata, ma che può (deve) determinarsi una gerarchia di bisogni da soddisfare e quindi di attività da svolgere. È osservazione ovvia che le imprese finora esistite si sono burocratizzate, cioè non hanno stimolato i bisogni e organizzato il loro soddisfacimento, per cui è spesso avvenuto che l'iniziativa individuale caotica ha dato migliori frutti dell'iniziativa organizzata. La verità era che in questo secondo caso non esisteva «iniziativa» e non esisteva «organizzazione» ma solo burocrazia e andazzo fatalistico. Spesso la cosí detta organizzazione invece di essere un potenziamento di sforzi era un narcotico, un deprimente, addirittura un ostruzionismo o un sabotaggio. D'altronde non si può parlare di azienda giornalistica ed editoriale seria se manca questo elemento: l'organizzazione del cliente, della vendita, che essendo un cliente particolare (almeno nella sua massa) ha bisogno di una organizzazione particolare, strettamente legata all'indirizzo ideologico della «merce» venduta. È osservazione comune che in un giornale moderno il vero direttore è il direttore amministrativo e non quello redazionale.

Q 14 § 71 Movimenti e centri intellettuali. È dovere dell'attività giornalistica (nelle sue varie manifestazioni) seguire e controllare tutti i movimenti e i centri intellettuali che esistono e si formano nel paese. Tutti. Cioè con l'esclusione appena di quelli che hanno un carattere arbitrario e pazzesco; sebbene anche questi, col tono che si meritano, devono essere per lo meno registrati. Distinzione tra centri e movimenti intellettuali e altre distinzioni e graduazioni. Per esempio il cattolicismo è un grande centro e un grande movimento: ma nel suo interno esistono movimenti e centri parziali che tendono a trasformare l'intero, o ad altri fini piú concreti e limitati e di cui occorre tener conto. Pare che prima di ogni altra cosa occorra «disegnare» la mappa intellettuale e morale del paese, cioè circoscrivere i grandi movimenti d'idee e i grandi centri (ma non sempre ai grandi movimenti corrispondono grandi centri, almeno coi caratteri di visibilità e di concretezza che di solito si attribuisce a questa parola e l'esempio tipico è il centro cattolico). Occorre poi tener conto delle spinte innovatrici che si verificano, che non sempre sono vitali, cioè hanno una conseguenza, ma non perciò devono essere meno seguite e controllate. Intanto all'inizio un movimento è sempre incerto, di avvenire dubbio, ecc.; bisognerà attendere che abbia acquistato tutta la sua forza e consistenza per occuparsene? Neanche è necessario che esso sia fornito delle doti di coerenza e di ricchezza intellettuale: non sempre sono i movimenti piú coerenti ed intellettualmente ricchi quelli che trionfano. Spesso anzi un movimento trionfa proprio per la sua mediocrità ed elasticità logica: tutto ci può stare, i compromessi piú vistosi sono possibili e questi appunto possono essere ragioni di trionfo. Leggere le riviste dei giovani oltre quelle che si sono già affermate e rappresentano interessi seri e ben certi. Nell'«Almanacco letterario» Bompiani del 1933 (pp. 360-361) sono indicati i programmi essenziali di sei riviste di giovani che dovrebbero rappresentare le spinte di movimento della nostra cultura: «Il Saggiatore», «Ottobre», «Il Ventuno», «L'Italia vivente», «L'Orto», «Espero» che non paiono molto perspicue, eccetto forse qualcuna. L'«Espero» per esempio, «per la filosofia» si propone «di ospitare i postidealisti, che eseguiscono con attenta critica dell'idealismo, e quei soli idealisti che sanno tener conto di tale critica». Il direttore di «Espero» è Aldo Capasso, ed essere postidealista è qualcosa come essere «contemporaneo», cioè proprio nulla. Piú chiaro, anzi forse il solo chiaro, è il programma di «Ottobre». Tuttavia tutti questi movimenti sarebbero da esaminare, snobismo a parte.

Distinzione tra movimenti militanti, che sono i piú interessanti, e movimenti di retroguardia o di idee acquisite e divenute classiche o commerciali. Tra questi dove mettere l'«Italia Letteraria»? Non certo militante e neppure classica! Sacco di patate mi pare proprio la definizione piú esatta e appropriata.

Q 6 § 120 L'essere evolutivo finale. Aneddoto del corso di storia della filosofia del professor D'Ercole e dell'«essere evolutivo finale». Per quarant'anni non parlò che della filosofia cinese e di Lao-tse: ogni anno, «nuovi allievi» che non avevano sentito le lezioni dell'anno precedente e quindi occorreva ricominciare. Cosí tra le generazioni di allievi «l'essere evolutivo finale» diventò una leggenda.

In certi movimenti culturali, che arruolano i loro elementi tra chi inizia solo allora la propria vita culturale, per il rapido estendersi del movimento stesso che conquista sempre nuovi adepti e perché i già conquistati non hanno autoiniziativa culturale, non pare possibile uscire mai dall'abc. Questo fatto ha gravi ripercussioni nell'attività giornalistica in generale, quotidiani, settimanali, riviste, ecc.; pare che non si debba mai superare un certo livello. D'altronde, il non tener conto di questo ordine di esigenze, spiega il lavoro di Sisifo delle cosí dette «piccole riviste», che si rivolgono a tutti e a nessuno e a un certo punto diventano veramente del tutto inutili.

L'esempio piú tipico è stato quello della «Voce», che a un certo punto si scisse in «Lacerba», «La Voce» e l'«Unità» con la tendenza in ognuna a scindersi all'infinito. Le redazioni, se non sono legate a un movimento disciplinato di base, tendono, o a diventare conventicole di «profeti disarmati» o a scindersi secondo i movimenti incomposti e caotici che si determinano tra i diversi gruppi e strati di lettori.

Bisogna quindi riconoscere apertamente che le riviste di per sé sono sterili, se non diventano la forza motrice e formatrice di istituzioni culturali a tipo associativo di massa, cioè non a quadri chiusi. Ciò deve dirsi anche per le riviste di partito; non bisogna credere che il partito costituisca di per sé l'«istituzione» culturale di massa della rivista. Il partito è essenzialmente politico e anche la sua attività culturale è attività di politica culturale; le «istituzioni» culturali devono essere non solo di «politica culturale», ma di «tecnica culturale». Esempio: in un partito ci sono degli analfabeti e la politica culturale del partito è la lotta contro l'analfabetismo. Un gruppo per la lotta contro l'analfabetismo non è ancora precisamente una «scuola per analfabeti»; in una scuola per analfabeti si insegna a leggere e a scrivere; in un gruppo per la lotta contro l'analfabetismo si predispongono tutti i mezzi piú efficaci per estirpare l'analfabetismo dalle grandi masse della popolazione di un paese, ecc.

Q 6 § 79 Dilettantismo e disciplina. Necessità di una critica interna severa e rigorosa, senza convenzionalismi e mezze misure. Esiste una tendenza del materialismo storico che sollecita e favorisce tutte le cattive tradizioni della media cultura italiana e sembra aderire ad alcuni tratti del carattere italiano: l'improvvisazione, il «talentismo», la pigrizia fatalistica, il dilettantismo scervellato, la mancanza di disciplina intellettuale, l'irresponsabilità e la slealtà morale ed intellettuale. Il materialismo storico distrugge tutta una serie di pregiudizi e di convenzionalità, di falsi doveri, di ipocrite obbligazioni: ma non per ciò giustifica che si cada nello scetticismo e nel cinismo snobistico. Lo stesso risultato aveva avuto il machiavellismo, per una arbitraria estensione o confusione tra la «morale» politica e la «morale» privata, cioè tra la politica e l'etica, confusione che non esisteva certo nel Machiavelli, tutt'altro, poiché anzi la grandezza del Machiavelli consiste nell'aver distinto la politica dall'etica. Non può esistere associazione permanente e con capacità di sviluppo che non sia sostenuta da determinati principî etici, che l'associazione stessa pone ai suoi singoli componenti in vista della compattezza interna e dell'omogeneità necessarie per raggiungere il fine. Non perciò questi principî sono sprovvisti di carattere universale. Cosí sarebbe se l'associazione avesse fine in se stessa, fosse cioè una sètta o un'associazione a delinquere (in questo solo caso mi pare si possa dire che politica ed etica si confondono, appunto perché il «particolare» è elevato a «universale»). Ma un'associazione normale concepisce se stessa come aristocrazia, una élite, un'avanguardia, cioè concepisce se stessa come legata da milioni di fili a un dato raggruppamento sociale e per il suo tramite a tutta l'umanità. Pertanto questa associazione non si pone come un qualche cosa di definitivo e di irrigidito, ma come tendente ad allargarsi a tutto un raggruppamento sociale, che anch'esso è concepito come tendente a unificare tutta l'umanità. Tutti questi rapporti danno carattere tendenzialmente universale all'etica di gruppo che deve essere concepita come capace di diventare norma di condotta di tutta l'umanità. La politica è concepita come un processo che sboccherà nella morale, cioè come tendente a sboccare in una forma di convivenza in cui politica e quindi morale saranno superate entrambe. (Da questo punto di vista storicistico può solo spiegarsi l'angoscia di molti sul contrasto tra morale privata e morale pubblica-politica: essa è un riflesso inconsapevole e sentimentalmente acritico delle contraddizioni della attuale società, cioè dell'assenza di uguaglianza dei soggetti morali).

Ma non può parlarsi di élite-aristocrazia, avanguardia come di una collettività indistinta e caotica; in cui, per grazia di un misterioso spirito santo, o di altra misteriosa e metafisica deità ignota, cali la grazia dell'intelligenza, della capacità, dell'educazione, della preparazione tecnica ecc.; eppure questo modo di concepire è comune. Si riflette in piccolo ciò che avveniva su scala nazionale, quando lo Stato era concepito come qualcosa di astratto dalla collettività dei cittadini, come un padre eterno che avrebbe pensato a tutto, provveduto a tutto ecc.; da ciò l'assenza di una democrazia reale, di una reale volontà collettiva nazionale e quindi, in questa passività dei singoli, la necessità di un dispotismo piú o meno larvato della burocrazia. La collettività deve essere intesa come prodotto di una elaborazione di volontà e pensiero collettivo raggiunto attraverso lo sforzo individuale concreto, e non per un processo fatale estraneo ai singoli: quindi obbligo della disciplina interiore e non solo di quella esterna e meccanica. Se ci devono essere polemiche e scissioni, non bisogna aver paura di affrontarle e superarle: esse sono inevitabili in questi processi di sviluppo ed evitarle significa solo rimandarle a quando saranno precisamente pericolose o addirittura catastrofiche, ecc.

Q 24 § 3 [Riviste tipiche.] All'ingrosso si possono stabilire tre tipi fondamentali di riviste, caratterizzate dal modo con cui sono compilate, dal tipo di lettori cui intendono rivolgersi, dai fini educativi che vogliono raggiungere. Il primo tipo può essere offerto dalla combinazione degli elementi direttivi che si riscontrano in modo specializzato nella «Critica» di B. Croce, nella «Politica» di F. Coppola e nella «Nuova Rivista Storica» di C. Barbagallo. Il secondo tipo «critico-storico-bibliografico» dalla combinazione degli elementi che caratterizzavano i fascicoli meglio riusciti del «Leonardo» di L. Russo, l'«Unità» di Rerum Scriptor e la «Voce» di Prezzolini. Il terzo tipo dalla combinazione di alcuni elementi del secondo tipo e il tipo di settimanale inglese come il «Manchester Guardian Weekly», o il «Times Weekly».

Ognuno di questi tipi dovrebbe essere caratterizzato da un indirizzo intellettuale molto unitario e non antologico, cioè dovrebbe avere una redazione omogenea e disciplinata; quindi pochi collaboratori «principali» dovrebbero scrivere il corpo essenziale di ogni fascicolo. L'indirizzo redazionale dovrebbe essere fortemente organizzato in modo da produrre un lavoro omogeneo intellettualmente, pur nella necessaria varietà dello stile e delle personalità letterarie; la redazione dovrebbe avere uno statuto scritto che, per ciò che può servire, impedisca le scorribande, i conflitti, le contraddizioni (per esempio, il contenuto di ogni fascicolo dovrebbe essere approvato dalla maggioranza redazionale prima della pubblicazione).

Un organismo unitario di cultura che offrisse ai diversi strati del pubblico i tre tipi su accennati di riviste (e d'altronde tra i tre tipi dovrebbe circolare uno spirito comune) coadiuvate da collezioni librarie corrispondenti, darebbe soddisfazione alle esigenze di una certa massa di pubblico che è piú attiva intellettualmente, ma solo allo stato potenziale, che piú importa elaborare, far pensare concretamente, trasformare, omogeneizzare, secondo un processo di sviluppo organico che conduca dal semplice senso comune al pensiero coerente e sistematico.

Tipo critico-storico-bibliografico: esame analitico di opere, fatto dal punto di vista dei lettori della rivista che non possono, generalmente, leggere le opere stesse. Uno studioso che esamina un fenomeno storico determinato, per costruire un saggio sintetico, deve compiere tutta una serie di ricerche e operazioni intellettuali preliminari che solo in piccola parte risultano utilizzate. Questo lavorio può essere invece utilizzabile per questo tipo medio di rivista, dedicato a un lettore che ha bisogno per svilupparsi intellettualmente di aver dinanzi, oltre al saggio sintetico, tutta l'attività analitica nel suo complesso che ha condotto a quel tale risultato. Il lettore comune non ha e non può avere un abito «scientifico», che solo si acquista col lavoro specializzato: occorre perciò aiutarlo a procurarsene almeno il «senso» con una attività critica opportuna. Non basta dargli dei concetti già elaborati e fissati nell'espressione «definitiva»; la loro concretezza, che è nel processo che ha condotto a quella affermazione, gli sfugge, occorre perciò offrirgli tutta la serie dei ragionamenti e dei nessi intermedi, ben individualizzati e non solo per accenni. Per esempio: un movimento storico complesso si scompone nel tempo e nello spazio e inoltre può scomporsi in piani diversi: cosí l'Azione Cattolica, pur avendo sempre avuto una direttiva unica e centralizzata, mostra grandi differenze (e anche contrasti) di atteggiamenti regionali nei diversi tempi e a seconda dei problemi speciali (per esempio la quistione agraria, l'indirizzo sindacale, ecc.).

Nelle riviste di questo tipo sono indispensabili o utili alcune rubriche: 1) un dizionario enciclopedico politico-scientifico-filosofico, in questo senso: in ogni fascicolo sono da pubblicarsi una (o piú) piccola monografia di carattere enciclopedico su concetti politici, filosofici, scientifici che ricorrono spesso nei giornali e nelle riviste e che il lettore medio difficilmente comprende o addirittura travisa. In realtà ogni corrente culturale crea un suo linguaggio, cioè partecipa allo sviluppo generale di una determinata lingua nazionale, introducendo termini nuovi, arricchendo di contenuto nuovo termini già in uso, creando metafore, servendosi di nomi storici per facilitare la comprensione e il giudizio su determinate situazioni attuali, ecc. ecc. Le trattazioni dovrebbero essere «pratiche», cioè riallacciarsi a esigenze realmente sentite, ed essere, per la forma dell'esposizione, adeguate alla media dei lettori. I compilatori dovrebbero essere possibilmente informati degli errori piú diffusi e risalire alle fonti stesse degli errori, cioè alle pubblicazioni di paccotiglia scientifica, tipo «Biblioteca popolare Sonzogno» o dizionari enciclopedici (Melzi, Premoli, Bonacci, ecc.) o enciclopedie popolari piú diffuse (quella Sonzogno, ecc.). Queste trattazioni non dovrebbero presentarsi in forma organica (per esempio, in un ordine alfabetico o di raggruppamenti per materia), né secondo un'economia prefissata di spazio, come se già fosse in vista un'opera complessiva, ma invece dovrebbero essere messe in rapporto immediato con gli argomenti svolti dalla stessa rivista o da quelle collegate di tipo superiore o piú elementare: l'ampiezza della trattazione dovrebbe essere fissata volta a volta non dall'importanza intrinseca dell'argomento ma dall'interesse immediato giornalistico (tutto ciò sia detto in generale e col solito grano di sale): insomma la rubrica non deve presentarsi come un libro pubblicato a puntate, ma come, ogni volta, trattazione di argomenti interessanti per se stessi, da cui potrà scaturire un libro, ma non necessariamente.

2) Legata alla precedente è la rubrica delle biografie, da intendersi in due sensi: sia in quanto tutta la vita di un uomo può interessare la cultura generale di un certo strato sociale, sia in quanto un nome storico può entrare in un dizionario enciclopedico per un determinato concetto o evento suggestivo. Cosí, per esempio, può darsi che si debba parlare di lord Carson, per accennare al fatto che la crisi del regime parlamentare esisteva già prima della guerra mondiale e proprio in Inghilterra, nel paese, cioè, dove questo regime pareva piú efficiente e sostanziale; ciò non vorrà dire che si debba fare tutta la biografia di lord Carson. A una persona di media cultura interessano due soli dati biografici: a) lord Carson nel 1914, alla vigilia della guerra, arruolò nell'Ulster un corpo armato numerosissimo per opporsi con l'insurrezione a che fosse applicata la legge del Home Rule irlandese, approvata dal Parlamento che, secondo «il modo di dire» inglese, «può far tutto eccetto che un uomo diventi donna»; b) lord Carson non solo non fu punito per «alto tradimento», ma divenne ministro poco dopo, allo scoppio della guerra. (Può essere utile che le biografie complete siano presentate in rubrica separata).

3) Altra rubrica può essere quella delle autobiografie politico-intellettuali. Se ben costruite, con sincerità e semplicità, esse possono essere del massimo interesse giornalistico e di grande efficacia formativa. Come uno sia riuscito a districarsi da un certo ambiente provinciale o corporativo, attraverso quali impulsi esterni e quali lotte interiori, per raggiungere una personalità superiore storicamente, può suggerire, in forma vivente, un indirizzo intellettuale e morale, oltre che essere un documento dello sviluppo culturale in certe epoche.

4) Una rubrica fondamentale può essere costituita dall'esame critico-storico-bibliografico delle situazioni regionali (intendendo per regione un organismo geoeconomico differenziato). Molti vorrebbero conoscere e studiare le situazioni locali, che interessano sempre molto, ma non sanno come fare, da dove incominciare: non conoscono il materiale bibliografico, non sanno fare ricerche nelle biblioteche, ecc. Si tratterebbe dunque di dare l'ordito generale di un problema concreto (o di un tema scientifico), indicando i libri che l'hanno trattato, gli articoli delle riviste specializzate, oltre che il materiale ancora grezzo (statistiche, ecc.), in forma di rassegne bibliografiche, con speciale diffusione per le pubblicazioni poco comuni o in lingue straniere. Questo lavoro, oltre che per le regioni, può essere fatto, da diversi punti di vista, per problemi generali, di cultura ecc.

5) Uno spoglio sistematico di giornali e riviste per la parte che interessa le rubriche fondamentali: sola citazione degli autori, dei titoli, con brevi cenni sulle tendenze: questa rubrica bibliografica dovrebbe essere compilata per ogni fascicolo, e per alcuni argomenti dovrebbe essere anche retrospettiva.

6) Recensioni di libri. Due tipi di recensione. Un tipo critico-informativo: si suppone che il lettore medio non possa leggere il libro dato, ma che sia utile per lui conoscerne il contenuto e le conclusioni. Un tipo teorico-critico: si suppone che il lettore debba leggere il libro dato e quindi esso non viene semplicemente riassunto, ma si svolgono criticamente le obiezioni che si possono muovere, si pone l'accento sulle parti piú interessanti, si svolge qualche parte che vi è sacrificata, ecc. Questo secondo tipo di recensione è piú adatto per le riviste di grado superiore.

7) Uno spoglio critico bibliografico, ordinato per argomenti o gruppi di quistioni, della letteratura riguardante gli autori e le quistioni fondamentali per la concezione del mondo che è alla base delle riviste pubblicate: per gli autori italiani e per le traduzioni in italiano degli autori stranieri. Questo spoglio dovrebbe essere molto minuzioso e circostanziato, poiché occorre tener presente che attraverso questo lavoro e questa elaborazione critica sistematica si può solo raggiungere la fonte autentica di tutta una serie di concetti errati che circolano senza controllo e censura. Occorre tener presente che in ogni regione italiana, data la ricchissima varietà di tradizioni locali, esistono gruppi e gruppetti caratterizzati da motivi ideologici e psicologici particolari: «ogni paese ha o ha avuto il suo santo locale, quindi il suo culto e la sua cappella».

La elaborazione nazionale unitaria di una coscienza collettiva omogenea domanda condizioni e iniziative molteplici. La diffusione da un centro omogeneo di un modo di pensare e di operare omogeneo è la condizione principale, ma non deve e non può essere la sola. Un errore molto diffuso consiste nel pensare che ogni strato sociale elabori la sua coscienza e la sua cultura allo stesso modo, con gli stessi metodi, cioè i metodi degli intellettuali di professione. L'intellettuale è un «professionista» (skilled), che conosce il funzionamento di proprie «macchine» specializzate; ha un suo «tirocinio» e un suo «sistema Taylor». È puerile e illusorio attribuire a tutti gli uomini questa capacità acquisita e non innata, cosí come sarebbe puerile credere che ogni manovale può fare il macchinista ferroviario. È puerile pensare che un «concetto chiaro», opportunamente diffuso, si inserisca nelle diverse coscienze con gli stessi effetti «organizzatori» di chiarezza diffusa: è questo un errore «illuministico». La capacità dell'intellettuale di professione di combinare abilmente l'induzione e la deduzione, di generalizzare senza cadere nel vuoto formalismo, di trasportare da una sfera a un'altra di giudizio certi criteri di discriminazione, adattandoli alle nuove condizioni ecc., è una «specialità», una «qualifica», non è un dato del volgare senso comune. Ecco dunque che non basta la premessa della «diffusione organica da un centro omogeneo di un modo di pensare e operare omogeneo». Lo stesso raggio luminoso passando per prismi diversi dà rifrazioni di luce diversa: se si vuole la stessa rifrazione occorre tutta una serie di rettificazioni dei singoli prismi.

La «ripetizione» paziente e sistematica è un principio metodico fondamentale: ma la ripetizione non meccanica, «ossessionante», materiale; ma l'adattamento di ogni concetto alle diverse peculiarità e tradizioni culturali, il presentarlo e ripresentarlo in tutti i suoi aspetti positivi e nelle sue negazioni tradizionali, organando sempre ogni aspetto parziale nella totalità. Trovare la reale identità sotto l'apparente differenziazione e contraddizione, e trovare la sostanziale diversità sotto l'apparente identità, è la piú delicata, incompresa eppure essenziale dote del critico delle idee e dello storico dello sviluppo storico. Il lavoro educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l'elaborazione di una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base storica che contenga le premesse concrete per tale elaborazione, non può limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principî «chiari» di metodo: questa sarebbe pura azione da «filosofi» del Settecento. Il lavoro necessario è complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e l'induzione combinate, la logica formale e la dialettica, l'identificazione e la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non in astratto, ma in concreto, sulla base del reale e dell'esperienza effettiva. Ma come sapere quali siano gli errori piú diffusi e radicati? Evidentemente è impossibile una «statistica» dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, con tutte le combinazioni che ne risultano per gruppi e gruppetti, che dia un quadro organico e sistematico della situazione culturale effettiva: dei modi in cui si presenta realmente il «senso comune»; non rimane altro che la revisione sistematica della letteratura piú diffusa e piú accetta al popolo, combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche del passato, ognuna delle quali «può» aver lasciato un sedimento, variamente combinandosi con quelle precedenti e susseguenti.

In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce un criterio piú generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze, nelle opinioni, non avvengono per «esplosioni» rapide, simultanee e generalizzate, avvengono invece quasi sempre per «combinazioni successive», secondo «formule» disparatissime e incontrollabili «d'autorità». La illusione «esplosiva» nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei metodi di trazione, dalla diligenza a motore animale ai moderni espressi elettrici, ma si è passati attraverso una serie di combinazioni intermedie, che in parte sussistono ancora (come la trazione animale su rotaie, ecc. ecc.) e come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti sia utilizzato ancora per molti anni in Cina e vi rappresenti un progresso tecnico, cosí nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano variamente e ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia. Nella sfera della cultura, anzi, le «esplosioni» sono ancora meno frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica, in cui una innovazione si diffonde, almeno nel piano piú elevato, con relativa rapidità e simultaneità. Si confonde l'«esplosione» di passioni politiche accumulatesi in un periodo di trasformazioni tecniche, alle quali non corrispondono forme nuove di una adeguata organizzazione giuridica, ma immediatamente un certo grado di coercizioni dirette e indirette, con le trasformazioni culturali, che sono lente e graduali, perché se la passione è impulsiva, la cultura è prodotto di una elaborazione complessa. (L'accenno al fatto che talvolta ciò che è diventato «ferravecchio» in città è ancora «utensile» in provincia può essere utilmente svolto).

Per una esposizione generale dei tipi principali di riviste è da ricordare l'attività giornalistica di Carlo Cattaneo. L'«Archivio Triennale» e il «Politecnico» sono da studiare con molta attenzione (accanto al «Politecnico» la rivista «Scientia» fondata dal Rignano).

Q 24 § 5 Annuari e almanacchi. Il tipo di rivista «Politica» - «Critica» esige immediatamente un corpo di redattori specializzati, in grado di fornire con una certa periodicità, un materiale scientificamente elaborato e selezionato; l'esistenza di questo corpo di redattori, che abbiano raggiunto tra loro un certo grado di omogeneità culturale, è cosa tutt'altro che facile, e rappresenta un punto d'arrivo nello svolgimento di un movimento culturale. Questo tipo di rivista può essere sostituito (o anticipato) con la pubblicazione di un «Annuario». Questi «Annuari» non dovrebbero avere niente di simile ad un comune «Almanacco» popolare (la cui compilazione è legata qualitativamente al quotidiano, cioè è predisposta tenendo di vista il lettore medio del quotidiano); non deve neanche essere una antologia occasionale di scritti troppo lunghi per essere accolti in altro tipo di rivista; dovrebbe invece essere preparato organicamente, secondo un piano generale, in modo da essere come il prospetto di un determinato programma di rivista. Potrebbe essere dedicato a un solo argomento oppure essere diviso in sezioni e trattare una serie organica di quistioni fondamentali (la costituzione dello Stato, la politica internazionale, la quistione agraria, ecc.). Ogni Annuario dovrebbe stare a sé (non dovrebbe avere scritti in continuazione) ed essere fornito di bibliografie, di indici analitici, ecc.

Studiare i diversi tipi di «Almanacchi» popolari (che sono, se ben fatti, delle piccole Enciclopedie dell'attualità).

Q24 § 4 [Riviste moraleggianti.] Una rivista tipica è stata l'«Osservatore» del Gozzi, cioè il tipo di rivista moraleggiante del Settecento (che raggiunse la perfezione in Inghilterra, dove era sorta, con lo «Spectator» dell'Addison) che ebbe un certo significato storico-culturale per diffondere la nuova concezione della vita, servendo di anello di passaggio, per il lettore medio, tra la religione e la civiltà moderna. Oggi il tipo, degenerato, si conserva specialmente nel campo cattolico, mentre nel campo della civiltà moderna, si è trasformato, incorporandosi nelle riviste umoristiche, che, a loro modo, vorrebbero essere una critica «costruttiva» del costume. Le pubblicazioni tipo «Fantasio», «Charivari», ecc., che non hanno corrispondenti in Italia (qualcosa del genere erano il primitivo «Asino» di Podrecca e il «Seme», scritto per i contadini). Per alcuni aspetti sono una derivazione della rivista moraleggiante settecentesca alcune rubriche della cronaca cittadina e della cronaca giudiziaria dei quotidiani e i cosí detti «piccoli elzeviri» o corsivi.

La «Frusta letteraria» del Baretti è una varietà del tipo: rivista di bibliografia universale ed enciclopedica, critica del contenuto con tendenze moralizzatrici (critica dei costumi, dei modi di vedere, dei punti di vista, prendendo lo spunto non dalla vita e dalla cronaca, ma dai libri). «Lacerba» di Papini, per la parte non artistica, rientrò in questo tipo in modo originale e avvincente per alcune qualità, ma la tendenza «satanistica» (Gesú peccatore, Viva il maiale, Contro la famiglia, ecc., di Papini; il Giornale di bordo di Soffici; gli articoli di Italo Tavolato: Elogio della prostituzione, ecc.) era sforzata e l'originalità troppo spesso era artificio.

Il tipo generale si può dire appartenga alla sfera del «senso comune» o «buon senso», perché il suo fine è di modificare l'opinione media di una certa società, criticando, suggerendo, sbeffeggiando, correggendo, svecchiando e, in definitiva, introducendo «nuovi luoghi comuni». Sebbene scritte con brio, con un certo senso di distacco (in modo da non assumere toni da predicatore), ma tuttavia con interesse cordiale per l'opinione media, le riviste di questo tipo possono avere grande diffusione ed esercitare un influsso profondo. Non devono avere nessuna «mutria», né scientifica né moralisteggiante, non devono essere «filistee» e accademiche, né apparire fanatiche o soverchiamente partigiane: debbono porsi nel campo stesso del «senso comune», distaccandosene quel tanto che permette il sorriso canzonatorio, ma non di disprezzo o di altezzosa superiorità.

«La Pietra» e la «Compagnia della Pietra». Motto dantesco dalle rime della Pietra: «Cosí nel mio parlar voglio esser aspro».

Ogni strato sociale ha il suo «senso comune» e il suo «buon senso», che sono in fondo la concezione della vita e dell'uomo piú diffusa. Ogni corrente filosofica lascia una sedimentazione di «senso comune»: è questo il documento della sua effettualità storica. Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente, arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel costume. Il «senso comune» è il folclore della filosofia e sta sempre di mezzo tra il folclore vero e proprio (cioè come è comunemente inteso) e la filosofia, la scienza, l'economia degli scienziati. Il senso comune crea il futuro folclore, cioè una fase relativamente irrigidita delle conoscenze popolari di un certo tempo e luogo.

Q 14 § 80 [Educazione politica.] La rivista di Gentile «Educazione politica», il cui nome fu poi trasformato. Il titolo è vecchio: Arcangelo Ghisleri diresse una rivista di questo titolo e aveva piú congruenza col fine proposto. Ma il Ghisleri quante riviste diresse e, a parte l'onestà dell'uomo, con quanta inutilità? È vero che l'educazione può prospettarsi in piani diversi per ottenere livelli diversi. Tutto sta nel livello che crede di avere il «direttore» ed è naturale che i direttori credono sempre di essere al livello piú alto e pongono come ideale la loro posizione per il minuto gregge dei lettori.

Q 14 § 73 [La veste esteriore.] Confronto tra il primo numero della rivista «Leonardo» edita dal Sansoni di Firenze, e i numeri editi da Casa Treves. La differenza è molto notevole e tuttavia Casa Treves è tipograficamente non delle ultime. Grande importanza che ha la veste esteriore di una rivista, sia commercialmente, sia «ideologicamente» per assicurare la fedeltà e l'affezione: in realtà in questo caso è difficile distinguere il fatto commerciale da quello ideologico. Fattori: pagina, composta dai margini, dagli intercolonni, dall'ampiezza delle colonne (lunghezza della linea), dalla compattezza della colonna, cioè dal numero delle lettere per linea e dall'occhio di ogni lettera, dalla carta e dall'inchiostro (bellezza dei titoli, nitidezza del carattere dovuto al maggiore o minore logorío delle matrici o delle lettere a mano, ecc.). Questi elementi non hanno importanza solo per le riviste, ma anche per i quotidiani. Il problema fondamentale di ogni periodico (quotidiano o no) è quello di assicurare una vendita stabile (possibilmente in continuo incremento), ciò che significa poi possibilità di costruire un piano commerciale (in isviluppo, ecc.). Certo l'elemento fondamentale di fortuna per un periodico è quello ideologico, cioè il fatto che soddisfa o no determinati bisogni intellettuali, politici. Ma sarebbe grosso errore il credere che questo sia l'unico elemento e specialmente che esso sia valido «isolatamente» preso. Solo in condizioni eccezionali, in determinati periodi di boom dell'opinione pubblica, avviene che un'opinione, qualunque sia la forma esteriore in cui è presentata, ha fortuna. Di solito, il modo di presentazione ha una grande importanza per la stabilità dell'azienda e l'importanza può essere positiva ma anche negativa. Dare gratis o sottocosto non sempre è una «buona speculazione», come non è buona speculazione far pagare troppo caro o dare «poco» per il «proprio denaro». Ciò almeno in politica.

Di una opinione la cui manifestazione stampata non costa nulla, il pubblico diffida, ci vede sotto il tranello. E viceversa: diffida «politicamente» di chi non sa amministrare bene i fondi che il pubblico stesso dà. Come potrebbe essere ritenuto capace di amministrare il potere di Stato un partito che non ha o non sa scegliere (il che è lo stesso) gli elementi per amministrare bene un giornale o una rivista? Viceversa: un gruppo che con mezzi scarsi sa ottenere giornalisticamente risultati apprezzabili, dimostra con ciò, o già con ciò, che saprà amministrare bene anche organismi piú ampi ecc.

Ecco perché «l'esteriore» di una pubblicazione deve essere curato con la stessa attenzione che il contenuto ideologico e intellettuale: in realtà le due cose sono inscindibili e giustamente. Un buon principio (ma non sempre) è quello di dare all'esterno di una pubblicazione una caratteristica che di per sé si faccia notare e ricordare: è una pubblicità gratuita, per cosí dire. Non sempre, perché dipende dalla psicologia del particolare pubblico che si vuole conquistare.

[Informazione critica.] Individualmente nessuno può seguire tutta la letteratura pubblicata su un gruppo di argomenti e neanche su un solo argomento. Il servizio di informazione critica, per un pubblico di mediocre cultura o che si inizia alla vita culturale, di tutte le pubblicazioni sul gruppo di argomenti che piú lo possono interessare, è un servizio d'obbligo. Come i governanti hanno una segreteria o un ufficio stampa che periodicamente o quotidianamente li tengono informati di tutto ciò che si pubblica per loro indispensabile da sapere, cosí una rivista fa per il suo pubblico. Fisserà il suo compito, lo limiterà, ma questo sarà il suo compito: ciò domanda però che si dia un corpo organico e completo di informazioni: limitato, ma organico e completo. Le recensioni non devono essere casuali e saltuarie, ma sistematiche, e non possono non essere accompagnate da «rassegne riassuntive» retrospettive sugli argomenti piú essenziali.

Una rivista, come un giornale, come un libro, come qualsiasi altro modo di espressione didattica che sia predisposto avendo di mira una determinata media di lettori, ascoltatori, ecc., di pubblico, non può accontentare tutti nella stessa misura, essere ugualmente utile a tutti, ecc.: l'importante è che sia uno stimolo per tutti, poiché nessuna pubblicazione può sostituire il cervello pensante o determinare ex novo interessi intellettuali e scientifici dove esiste solo interesse per le chiacchiere da caffè o si pensa che si vive per divertirsi e passarsela buona. Perciò non bisogna turbarsi della molteplicità delle critiche: anzi la molteplicità delle critiche è la prova che si è sulla buona strada; quando invece il motivo di critica è unico, occorre riflettere: 1) perché può trattarsi di una deficienza reale; 2) perché [ci] si può essere sbagliati sulla «media» dei lettori ai quali ci si riferisce, e lavora a vuoto, «per l'eternità».

Q 24 § 7 Saggi originali e traduzioni. La quistione si pone specialmente per le riviste di tipo medio ed elementare, che dovrebbero anch'esse essere composte prevalentemente di scritti originali. Occorre reagire contro l'abitudine tradizionale di riempire le riviste con traduzioni, anche se di scritti dovuti a persone «autorevoli». Tuttavia la collaborazione di scrittori stranieri non può essere abolita: essa ha la sua importanza culturale, di reazione contro il provincialismo e la meschinità. Diverse soluzioni: 1) ottenere una collaborazione originale; 2) riassumere i principali scritti della stampa internazionale, compilando una rubrica come quella dei Marginalia del «Marzocco»; 3) compilare dei supplementi periodici di sole traduzioni, con titolo parzialmente indipendente, con numerazione di pagine propria, che contenga una scelta organica, critico-informativa, delle pubblicazioni teoriche straniere. (È da vedere il tipo «Minerva» popolare, e il tipo «Rassegna della stampa estera» pubblicata dal ministero degli Esteri).

Q 7 § 81Collaborazione straniera. Non si può fare a meno di collaboratori stranieri, ma anche la collaborazione straniera deve essere organica e non antologica e sporadica o casuale. Perché sia organica è necessario che i collaboratori stranieri oltre a conoscere le correnti culturali del loro paese siano capaci di «confrontarle» con quelle del paese in cui la rivista è pubblicata, cioè conoscano le correnti culturali anche di questo e ne comprendano il «linguaggio» nazionale. La rivista pertanto (ossia il direttore della rivista) deve formare anche i suoi collaboratori stranieri per raggiungere l'organicità.

Nel Risorgimento ciò avvenne molto di rado e perciò la cultura italiana continuò a rimanere alquanto provinciale. Del resto una organicità di collaborazione internazionale si ebbe forse solo in Francia, perché la cultura francese, già prima dell'epoca liberale, aveva esercitato un'egemonia europea; erano quindi relativamente [numerosi] gli intellettuali tedeschi, inglesi, ecc. che sapevano informare sulla cultura dei loro paesi impiegando un «linguaggio» francese. Infatti non bastava che l'«Antologia» del Vieusseux pubblicasse articoli di «liberali» francesi o tedeschi o inglesi perché tali articoli potessero informare utilmente i liberali italiani, perché tali informazioni cioè potessero suscitare o rafforzare correnti ideologiche italiane: il pensiero rimaneva generico, astratto, cosmopolita. Sarebbe stato necessario suscitare collaboratori specializzati nella conoscenza dell'Italia, delle sue correnti intellettuali, dei suoi problemi, cioè collaboratori capaci di informare nello stesso tempo la Francia sull'Italia.

Tale tipo di collaboratore non esiste «spontaneamente», deve essere suscitato e coltivato. A questo modo razionale di intendere la collaborazione si oppone la superstizione di avere tra i propri collaboratori esteri i capiscuola, i grandi teorici, ecc. Non si nega l'utilità (specialmente commerciale) di avere grandi firme. Ma dal punto di vista pratico di promuovere la cultura, è piú importante il tipo di collaboratore affiatato con la rivista, che sa tradurre un mondo culturale nel linguaggio di un altro mondo culturale, perché sa trovare le somiglianze anche dove esse pare non esistano e sa trovare le differenze anche dove pare ci siano solo somiglianze, ecc.

Q 8 § 60 Le recensioni. Ho accennato a diversi tipi di recensione, ponendomi dal punto di vista delle esigenze culturali di un pubblico ben determinato e di un movimento culturale, anch'esso ben determinato, che si vorrebbe suscitare: quindi recensioni «riassuntive», per i libri che si pensa non potranno esser letti e recensioni-critiche per i libri che si ritiene necessario indicare alla lettura, ma non cosí, senz'altro, ma dopo averne fissato i limiti e indicato le deficienze parziali, ecc. Questa seconda forma è la piú importante e scientificamente degna e deve essere concepita come una collaborazione del recensente al tema trattato dal libro recensito. Quindi necessità di recensori specializzati e lotta contro l'estemporaneità e la genericità dei giudizi critici.

Queste osservazioni e note sulle riviste-tipo e su altri motivi di tecnica giornalistica potranno essere raccolte e organate insieme col titolo: Manualetto di tecnica giornalistica.

Q 5 § 131 Una rubrica grammaticale-linguistica. La rubrica Querelles de langage affidata nelle «Nouvelles Littéraires» ad Andre Thérive (che è il critico letterario del «Temps») mi ha colpito pensando alla utilità che una simile rubrica avrebbe nei giornali e nelle riviste italiane. Per l'Italia la rubrica sarebbe molto piú difficile da compilare, per la mancanza di grandi dizionari moderni e specialmente di grandi opere di insieme sulla storia della lingua (come i libri del Littré e del Brunot in Francia, e anche di altri) che potrebbero mettere in grado un qualsiasi medio letterato o giornalista di alimentare la rubrica stessa. L'unico esempio di tal genere di letteratura in Italia è stato l'Idioma Gentile del De Amicis; (oltre ai capitoli sul vocabolario nelle Pagine Sparse) che però aveva carattere troppo linguaiolo e retorico, oltre all'esasperante manzonismo. Carattere linguaiolo e per di piú leziosamente stucchevole aveva la rubrica iniziata da Alfredo Panzini nella prima «Fiera letteraria» di U. Fracchia, rapidamente smessa. Perché la rubrica sia interessante, il suo carattere dovrebbe essere molto spregiudicato e prevalentemente ideologico-storico, non linguaiolo e grammaticale: la lingua dovrebbe essere trattata come una concezione del mondo, come l'espressione di una concezione del mondo; il perfezionamento tecnico dell'espressione, sia quantitativo (acquisto di nuovi mezzi di espressione), sia qualitativo (acquisto delle sfumature di significato e di un ordine piú complesso sintattico e stilistico) significa ampliamento e approfondimento della concezione del mondo e della sua storia. Si potrebbe cominciare con notizie curiose: l'origine di «cretino», i significati di «villano», la stratificazione sedimentaria delle vecchie ideologie (per esempio: disastro dall'astrologia, sancire e sanzionare: rendere sacro, dalla concezione religiosa sacerdotale dello Stato, ecc.). Si dovrebbero cosí correggere gli errori piú comuni del popolo italiano, che in gran parte apprende la lingua dagli scritti (specialmente i giornali) e perciò non sa accentare giustamente le parole (per esempio «profúgo» durante la guerra: ho sentito persino, da un milanese, pronunciare «roséo» per roseo, ecc.). Errori molto gravi di significato (significato particolare esteso, o viceversa), errori e garbugli sintattici e morfologici molto curiosi (i congiuntivi dei siciliani: «si accomodasse, venisse», per «si accomodi, venga», ecc.).

Q 5 § 125 Rassegne critiche bibliografiche. Una importantissima sui risultati della critica storica applicata alle origini del Cristianesimo, alla personalità storica di Gesú, agli Evangeli, alle loro differenze, agli evangeli sinottici e a quello di Giovanni, agli evangeli cosí detti apocrifi, all'importanza di san Paolo e degli apostoli, alle discussioni se Gesú possa essere l'espressione di un mito ecc. (Cfr. i libri dell'Omodeo, ecc., le collezioni del Couchoud presso l'editore Rieder, ecc.).

Lo spunto mi è stato suggerito dall'articolo di Alessandro Chiappelli Il culto di Maria e gli errori della recente critica storica nella «Nuova Antologia» del 1° dicembre 1929, contro A. Drews e il suo libro Die Marienmythe. Su questi argomenti bisognerebbe vedere gli articoli di Luigi Salvatorelli (per esempio il suo articolo nella «Rivista storica italiana», nuova serie, VII, 1928, sul nome e il culto di un divino Joshua). Nelle note di questo articolo del Chiappelli ci sono molte citazioni bibliografiche.

Q 4 § 77 [Una rubrica scientifica.] Una rubrica permanente sulle correnti scientifiche. Ma non per divulgare nozioni scientifiche. Per esporre, criticare e inquadrare le «idee scientifiche» e le loro ripercussioni sulle ideologie e sulle concezioni del mondo e per promuovere il principio pedagogico-didattico della «storia della scienza e della tecnica come base dell'educazione formativa-storica nella nuova scuola».

Q 6 § 96 Economia. Rassegna di studi economici italiani. 1) L'Italia nell'economia mondiale. Opere generali in cui l'economia italiana è confrontata e inserita nell'economia mondiale. Libri tipo: Mortara, Prospettive economiche; Annuario economico della Società delle Nazioni; pubblicazioni della Dresdner Bank sulle forze economiche mondiali, ecc. Libri sulla Bilancia commerciale, sull'esportazione ed importazione, sui prestiti internazionali, sulle rimesse degli emigranti (e quindi sull'emigrazione e suoi caratteri), sul turismo internazionale in Italia e suo significato economico, sui trattati commerciali, sulle crisi economiche mondiali e suoi riflessi in Italia, sulla flotta marittima e introito dei noli, sui porti franchi, sul protezionismo e liberismo, sul commercio di transito e i suoi risultati per l'economia italiana, quindi sui porti e loro hinterland non italiano (Genova e la Svizzera, Trieste e i Balcani, ecc.), pesca nei mari non italiani, cartelli e trusts internazionali e loro effetti per l'Italia, Banche e loro espansione all'estero (Banca Commerciale all'estero, Banco di Roma all'estero, ecc.), capitale straniero in Italia e capitale italiano all'estero.

2) Attrezzatura economica e produzione nazionale. Libri d'insieme sulla produzione italiana e sulla politica economica italiana, sul regime delle imposte, sulla distribuzione regionale tra industria e agricoltura e attività economiche minori; distribuzione delle grandi zone economiche nazionali e loro caratteristiche: Italia settentrionale, Italia centrale, Mezzogiorno, Sicilia, Sardegna.

3) Studi sulle economie regionali (Piemonte, Lombardia, ecc.).

4) Studi sulle economie provinciali o di zone provinciali. Pubblicazioni delle Camere di Commercio, dei Consorzi Agrari e dei Consigli provinciali di economia; pubblicazioni delle banche locali, bollettini municipali per i capoluoghi di provincia, studi di singoli studiosi, pubblicazioni di osservatori economici come quello di Palermo per la Sicilia o quello di Bari per le Puglie, ecc. La Rassegna deve avere carattere attuale, ma nelle singole parti deve avere anche carattere storico, cioè è bene accennare a studi ormai superati, ecc. A questa Rassegna può seguire o precedere un'altra rassegna sugli studi e le scuole di scienza economica e le pubblicazioni periodiche di economia e di politica economica, e sulle personalità di singoli scienziati morti e viventi.

Q 6 § 105 Tradizione e sue sedimentazioni psicologiche. Che il libertarismo generico (cfr. concetto tutto italiano di «sovversivo») sia molto radicato nelle tradizioni popolari, si può studiare attraverso un esame della poesia e dei discorsi di P. Gori, che poeticamente (!) può essere paragonato (subordinatamente) al Cavallotti. C'è nel Gori tutto un modo di pensare e di esprimersi che sente di sagrestia e di eroismo di cartone. Tuttavia quei modi e quelle forme, lasciate diffondere senza contrasto e senza critica, sono penetrate molto profondamente nel popolo e hanno costituito un gusto (e forse lo costituiscono ancora).

Q 6 § 122 [Argomenti di giurisprudenza.] Rassegne su argomenti di giurisprudenza che interessano determinati movimenti. Per esempio: il concetto di «impiegato» secondo la giurisprudenza italiana, il concetto di «mezzadro», di «capotecnico» ecc., ciò che significa: quale posizione hanno, nella giurisprudenza italiana, le figure economiche di «impiegato», di «mezzadro», di «capotecnico» ecc. e per quali ragioni teorico-pratiche?

Le collezioni di riviste come «Il Foro italiano», ecc., con le sentenze pubblicate e gli articoli scritti da specialisti che le commentano, dovrebbero essere attentamente compulsate, per vedere quando certe quistioni si pongono e per quali ragioni, come si sviluppano, a quale sistemazione giungono (se giungono), ecc. In fondo anche questo è un aspetto (e molto importante) della storia del lavoro, cioè il riflesso giuridico-legislativo del movimento storico reale: vedere come questo riflesso si atteggi, significa studiare un aspetto della reazione statale al movimento stesso ecc. Accanto alle sentenze e agli articoli di queste riviste tecniche, bisognerebbe vedere le altre pubblicazioni di diritto (libri, riviste, ecc.), che in questi ultimi anni si sono moltiplicate in modo impressionante, anche se la qualità è scadente.

Q 6 § 126 [Guide e manualetti.] Serie di guide o manualetti per il lettore di giornali (e per il lettore in generale). Come si legge un listino di borsa, un bilancio di società industriale, ecc. (Non lunghi e solo i dati schematici fondamentali). Il riferimento dovrebbe essere il lettore medio italiano, che in generale è poco informato di queste nozioni, ecc.

L'insieme di questi manualetti potrebbe formare una collezione popolare di primo grado, che potrebbe svilupparsi in una seconda collezione di «secondo grado» di testi piú complessi e comprensivi ecc. – ambedue di tipo scolastico e compilati come sussidio a ipotetiche lezioni – e le due collezioni dovrebbero essere come introduttive alle collezioni dei testi scientifici di cultura generale e alle collezioni per specialisti. Cioè quattro collezioni: due scolastiche e due generali, graduate in piú e meno elementari ognuna nel suo genere.

Q 9 § 34 [Appendici.] Per essere veramente accessibile alla cultura media del lettore medio, ogni fascicolo di rivista dovrebbe avere due appendici: 1) una rubrica in cui tutti i nomi e le parole straniere che possono essere state usate nei vari articoli dovrebbero essere rappresentate in una trascrizione fonetica, la piú esatta possibile, della lingua italiana. Quindi la necessità di costruire, con criteri pratici e unitari, quali la struttura dell'italiano scritto permette, una tabella di traducibilità dei fonemi stranieri in fonemi italiani; 2) una rubrica in cui sia dato il significato delle parole specializzate nei vari linguaggi (filosofico, politico, scientifico, religioso, ecc.) o specializzate nell'uso di un determinato scrittore.

L'importanza di questi sussidi tecnici non viene di solito valutata perché non si riflette alla remora che costituiscono nel ricordare e specialmente nell'esprimere le proprie opinioni, l'ignoranza del come si pronunziano certi nomi e del significato di certi termini. Quando il lettore si incontra in troppi «Carneade» di pronunzia o di significato, si arresta, si sfiducia delle proprie forze e attitudini e non si riesce a farlo uscire da uno stato di passività intellettuale in cui impaluda la sua intelligenza.

Q 24 § 2 [Giornali d'informazione e giornali d'opinione.] Ecco come negli «Annali dell'Italia Cattolica» per il 1926 si descrivono i diversi tipi di giornale, con riferimento alla stampa cattolica: «In senso largo il giornale "cattolico" (o piuttosto "scritto da cattolici") è quello che non contiene nulla contro la dottrina e morale cattolica, e ne segue e difende le norme. Dentro tali linee il giornale può perseguire intenti politici, economico-sociali, o scientifici. Invece il giornale "cattolico" in senso stretto è quello che, d'intesa con l'Autorità Ecclesiastica, ha come scopo diretto un efficace apostolato sociale cristiano, a servizio della Chiesa e in aiuto dell'Azione Cattolica. Esso importa, almeno implicitamente, la responsabilità dell'Autorità Ecclesiastica, e però ne deve seguire le norme e direttive».

Si distingue, insomma, il giornale cosí detto d'informazione o «senza partito» esplicito, dal giornale d'opinione, dall'organo ufficiale di un determinato partito; il giornale per le masse popolari o giornale «popolare» da quello dedicato a un pubblico necessariamente ristretto.

Nella storia della tecnica giornalistica, per alcuni aspetti, può essere ritenuto «esemplare» il «Piccolo» di Trieste, come appare almeno dal libro dedicato alla storia di questo giornale da Silvio Benco (per rapporto alla legislazione austriaca sulla stampa, alla posizione dell'irredentismo italiano nell'Istria, al legalitarismo formale delle autorità imperiali e regie, alle lotte interne tra le diverse frazioni dell'irredentismo, al rapporto tra la massa popolare nazionale e la direzione politica del nazionalismo italiano, ecc.).

Per altri aspetti è stato molto interessante il «Corriere della Sera» nel periodo giolittiano o liberale in genere, se si tiene conto della situazione giornalistica e politico-culturale italiana, talmente diversa da quella francese e in generale da quella degli altri paesi europei. La divisione netta, esistente in Francia, tra giornali popolari e giornali d'opinione, non può esistere in Italia, dove manca un centro cosí popoloso e culturalmente predominante come Parigi (e dove esiste minore «indispensabilità» del giornale politico anche nelle classi superiori e cosí dette colte). È da notare inoltre come il «Corriere», pur essendo il giornale piú diffuso del paese, non sia mai stato ministeriale esplicitamente che per brevi periodi di tempo e anche a modo suo: per essere «statale» doveva anzi essere quasi sempre antiministeriale, esprimendo cosí una delle piú notevoli contraddizioni della vita nazionale.

Sarebbe utile ricercare nella storia del giornalismo italiano le ragioni tecniche e politico-culturali della fortuna che ebbe per un certo tempo il vecchio «Secolo» di Milano. Pare che nella storia del giornalismo italiano si possano distinguere due periodi: quello «primitivo» dell'indistinto generico politico culturale che rese possibile la grande diffusione del «Secolo» su un programma di un vago «laicismo» (contro l'influsso clericale) e di un vago «democraticismo» (contro l'influsso preponderante nella vita statale delle forze di destra): il «Secolo» inoltre fu il primo giornale italiano «moderno» con servizi dall'estero, con abbondanza di informazioni e di cronaca europea, ecc.; un periodo successivo in cui, attraverso il trasformismo, le forze di destra si «nazionalizzano» in senso popolare e il «Corriere» sostituisce il «Secolo» nella grande diffusione: il vago laicismo democratico del «Secolo» diventa nel «Corriere» unitarismo nazionale piú concreto, il laicismo è meno plebeo e sbracato e il nazionalismo meno popolaresco e democratizzante. È da notare come nessuno dei partiti distintisi dall'informe popolarismo «secolino» abbia tentato di ricreare l'unità democratica su un piano politico-culturale piú elevato e concreto di quello precedente e primitivo, ma questo compito sia stato abbandonato quasi senza lotta ai conservatori del «Corriere». Eppure questo dovrebbe essere il compito, dopo ogni processo di chiarificazione e distinzione: ricreare l'unità, rottasi nel movimento progressivo, su un piano superiore da parte della élite che dall'indistinto generico è riuscita a conquistare una piú concreta personalità, esercitando una funzione direttiva sul vecchio complesso da cui si è distinta e staccata. Lo stesso processo si è ripetuto nel mondo cattolico dopo la formazione del Partito Popolare, «distinzione» democratica che i destri sono riusciti a subordinare ai propri programmi. Nell'un caso e nell'altro i piccoli borghesi, pur essendo la maggioranza tra gli intellettuali dirigenti, sono stati soverchiati dagli elementi della classe fondamentale: nel campo laico gli industriali del «Corriere», nel campo cattolico la borghesia agraria unita ai grandi proprietari soverchiano i professionisti della politica del «Secolo» e del Partito Popolare, che pure rappresentano le grandi masse dei due campi, i semiproletari e piccoli borghesi della città e della campagna.

Q 6 § 58 [Supplementi settimanali.] Quali giornali italiani hanno pubblicato supplementi del tipo dei giornali inglesi e di quelli tedeschi? L'esempio classico è il «Fanfulla della Domenica» del «Fanfulla», e dico classico perché il supplemento aveva una sua personalità e autorità propria. I tipi di supplemento come la «Domenica del Corriere» o la «Tribuna illustrata» sono un'altra cosa e a mala pena si possono chiamare supplementi. La «Gazzetta del Popolo» fece dei tentativi di «pagine» dedicate a un solo argomento ed ebbe la «Gazzetta letteraria» ed oggi l'«Illustrazione del Popolo». Il tentativo piú organico fu fatto dal «Tempo» di Roma nel 1919-20 con veri e propri supplementi come quello «economico» e quello «sindacale», per l'Italia assai bene riuscito. Cosí ha avuto fortuna il «Giornale d'Italia Agricolo». Un quotidiano ben fatto e che tenda a introdursi attraverso i supplementi anche dove difficilmente penetrerebbe come quotidiano dovrebbe avere una serie di supplementi mensili, di formato diverso da quello del quotidiano ma col titolo del quotidiano seguito dalla speciale materia che vuole trattare. I supplementi principali dovrebbero essere almeno: 1) letterario, 2) economico industriale sindacale, 3) agricolo. Nel letterario dovrebbe essere trattata anche la filosofia, l'arte, il teatro. Il piú difficile da farsi è quello agrario: tecnico-agrario o politico-agrario per i contadini piú intelligenti? Questo secondo tipo dovrebbe avvicinarsi a un settimanale politico, cioè riassumere tutta la politica della settimana e in piú avere una parte specificatamente agricola (non del tipo della «Domenica dell'Agricoltore»): sarebbe agricolo solo nel senso principale che è destinato ai contadini che non leggono i quotidiani, quindi tipo «Amico delle famiglie» piú parte tecnica agricola piú popolare. Supplemento sportivo, ecc.

Il supplemento letterario dovrebbe avere anche la parte scolastica, ecc. Tutto di diverso formato, secondo il contenuto, e mensili. (Il letterario come l'«Ordine Nuovo» settimanale ecc., agrario come «Amico delle famiglie», economico come «Times» letterario, ecc.).

Q 6 § 65 [Giornali di Stato.] Ciò che Napoleone III disse del giornalismo durante la sua prigionia in Germania al giornalista inglese Mels-Cohn (cfr. Paul Guériot, La captivité de Napoléon III en Allemagne, pp. 250, Paris, Perrin). Napoleone avrebbe voluto fare del giornale ufficiale un foglio modello, da mandare gratuitamente a ogni elettore, con la collaborazione delle penne piú illustri del tempo e con le informazioni piú sicure e piú controllate da ogni parte del mondo. La polemica, esclusa, sarebbe rimasta confinata nei giornali particolari, ecc.

La concezione del giornale di Stato è logicamente legata alle strutture governative illiberali (cioè a quelle in cui la società civile si confonde con la società politica), siano esse dispotiche o democratiche (ossia in quelle in cui la minoranza oligarchica pretende essere tutta la società, o in quelle in cui il popolo indistinto pretende e crede di essere veramente lo Stato). Se la scuola è di Stato, perché non sarà di Stato anche il giornalismo, che è la scuola degli adulti?

Napoleone argomentava partendo dal concetto che, se è vero l'assioma giuridico che l'ignoranza delle leggi non è scusa per l'imputabilità, lo Stato deve gratuitamente tenere informati i cittadini di tutta la sua attività, deve cioè educarli: argomento democratico che si trasforma in giustificazione dell'attività oligarchica. L'argomento però non è senza pregio: esso può essere «democratico» solo nelle società in cui la unità storica di società civile e società politica è intesa dialetticamente (nella dialettica reale e non solo concettuale) e lo Stato è concepito come superabile dalla «società regolata»: in questa società il partito dominante non si confonde organicamente col governo, ma è strumento per il passaggio dalla società civile-politica alla «società regolata» in quanto assorbe in sé ambedue per superarle (non per perpetuarne la contraddizione), ecc.

A proposito del regime giornalistico sotto Napoleone III, ricordare l'episodio del prefetto di polizia che ammonisce un giornale perché in un articolo sui concimi non era fissato risolutamente quale concime era il migliore: ciò, secondo il prefetto, contribuiva a lasciare nell'incertezza il pubblico ed era perciò biasimevole e degno di richiamo da parte della polizia.

Q 24 § 9 Scuole di giornalismo. Nella «Nuova Antologia» del 1° luglio 1928 è pubblicato, con questo titolo, un articolo di Ermanno Amicucci, che forse in seguito è stato pubblicato in volume con altri. L'articolo è interessante per le informazioni e gli spunti che offre. È da rilevare tuttavia che in Italia la quistione è molto piú complessa da risolvere di quanto non paia leggendo questo articolo ed è da credere che i risultati delle iniziative scolastiche non possano essere molto grandi (almeno per ciò che riguarda il giornalismo tecnicamente inteso; le scuole di giornalismo saranno scuole di propaganda politica generale). Il principio, però, che il giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé, casualmente, attraverso la «praticaccia», è vitale e si andrà sempre piú imponendo, a mano a mano che il giornalismo, anche in Italia, diventerà un'industria piú complessa e un organismo civile piú responsabile. La quistione, in Italia, trova i suoi limiti nel fatto che non esistono grandi concentrazioni giornalistiche, per il decentramento della vita culturale nazionale, che i giornali sono molto pochi e la massa dei lettori è scarsa. Il personale giornalistico è molto limitato e quindi si alimenta attraverso le sue stesse gradazioni d'importanza: i giornali meno importanti (e i settimanali) servono da scuola per i giornali piú importanti e reciprocamente. Un redattore di secondo ordine del «Corriere» diventa direttore o redattore-capo di un giornale di provincia e un redattore rivelatosi di primo ordine in un giornale di provincia o in un settimanale, viene assorbito da un grande giornale, ecc. Non esistono in Italia centri come Parigi, Londra, Berlino, ecc., che contano migliaia di giornalisti, costituenti una vera categoria professionale diffusa, economicamente importante; inoltre le retribuzioni in Italia, come media, sono molto basse. In alcuni paesi, come quelli tedeschi, il numero dei giornali che si pubblicano in tutto il paese è imponente, e alla concentrazione di Berlino corrisponde una vasta stratificazione in provincia.

Quistione dei corrispondenti locali, che raramente (solo per le grandi città e in generale per quelle dove si pubblicano settimanali importanti) possono essere giornalisti di professione.

Per certi tipi di giornale il problema della scuola professionale deve essere risolto nell'ambito della stessa redazione, trasformando o integrando le riunioni periodiche redazionali in scuole organiche di giornalismo, ad assistere alle cui lezioni dovrebbero essere invitati anche elementi estranei alla redazione in senso stretto: giovani e studenti, fino ad assumere il carattere di vere scuole politico-giornalistiche, con lezioni di argomenti generali (di storia, di economia, di diritto costituzionale, ecc.) affidate anche a estranei competenti e che sappiano investirsi dei bisogni del giornale.

Si dovrebbe partire dal principio che ogni redattore o reporter dovrebbe essere messo in grado di compilare e dirigere tutte le parti del giornale, cosí come, subito, ogni redattore dovrebbe acquistare le qualità di reporter, cioè dare tutta la sua attività al giornale, ecc.

A proposito del numero dei giornalisti italiani, l'«Italia Letteraria» del 24 agosto 1930 riferisce i dati di un censimento eseguito dalla Segreteria del Sindacato Nazionale dei giornalisti: al 30 giugno erano inscritti 1.960 giornalisti dei quali 800 affiliati al Partito fascista, cosí ripartiti: sindacato di Bari 30 e 26, Bologna 108 e 40, Firenze 108 e 43, Genova 113 e 39, Milano 348 e 143, Napoli 106 e 45, Palermo 50 e 17, Roma 716 e 259, Torino 144 e 59, Trieste 90 e 62, Venezia 147 e 59.

Q 16 § 4 I giornali delle grandi capitali. Una serie di saggi sul giornalismo delle piú importanti capitali degli Stati del mondo, seguendo questi criteri: 1) Esame dei giornali quotidiani che in un giorno determinato (non scelto a caso, ma in cui è registrato un qualche avvenimento importante per lo Stato in quistione) escono in una capitale – Londra, Parigi, Madrid, Berlino, Roma, ecc., – per avere un termine il piú omogeneo possibile di comparazione, cioè l'avvenimento principale e la relativa somiglianza degli altri, in modo da avere un quadro del modo diverso con cui i partiti e le tendenze riflettono le loro opinioni e formano la cosí detta opinione pubblica. Ma perché nessun giornale quotidiano, specialmente in certi paesi, non è quotidianamente lo stesso dal punto di vista tecnico, occorrerà procurarsi per ognuno gli esemplari di una intera settimana o del periodo in cui si ha il ciclo completo di certe rubriche specializzate e di certi supplementi, il cui complesso permette di comprendere la fortuna che hanno presso gli assidui.

2) Esame di tutta la stampa periodica di ogni specie (da quella sportiva, ai bollettini parrocchiali) che completa l'esame dei quotidiani, in quanto sono pubblicati dopo il quotidiano tipo.

3) Informazioni sulla tiratura, sul personale, sulla direzione, sui finanziatori, sulla pubblicità. Insomma, si dovrebbe ricostruire per ogni capitale l'assieme del meccanismo editoriale periodico che diffonde le tendenze ideologiche che operano continuamente e simultaneamente sulla popolazione.

4) Stabilire il rapporto della stampa della capitale con quella delle province; questo rapporto varia da paese a paese. In Italia la diffusione dei giornali romani è molto inferiore a quella dei giornali milanesi. L'organizzazione territoriale della stampa francese è diversissima che in Germania ecc. Il tipo del settimanale politico italiano è forse unico nel mondo e corrisponde a un tipo di lettore determinato.

5) Per certi paesi occorre tener conto dell'esistenza di altri centri dominanti oltre la capitale, come Milano per l'Italia, Barcellona per la Spagna, Monaco per la Germania, Manchester e Glasgow per l'Inghilterra, ecc.

6) Per l'Italia lo studio potrebbe essere esteso a tutto il paese e a tutta la stampa periodica, graduando l'esposizione per importanza dei centri: per es.: 1° Roma, Milano; 2° Torino, Genova; 3° Trieste, Bologna, Napoli, Palermo, Firenze, ecc.; 4° Stampa settimanale politica; 5° Riviste politiche, letteratura, scienza, religione, ecc.

Q 6 § 104 [Settimanali provinciali.] Il tipo di settimanale provinciale che era diffuso tradizionalmente in Italia, coltivato specialmente dai cattolici e dai socialisti, rappresentava adeguatamente le condizioni culturali della provincia (villaggio e piccola città). Nessun interesse per la vita internazionale (altro che come curiosità e stranezza), poco interesse per la stessa vita nazionale, se non in quanto legata agli interessi locali, specialmente elettorali; tutto l'interesse per la vita locale, anche per i pettegolezzi e le minuzie. Grande importanza per la polemica personale (di carattere gaglioffesco e provinciale: far apparire stupido, ridicolo, disonesto l'avversario, ecc.). L'informazione ridotta solo alle corrispondenze dai vari villaggi. Commenti politici generici che presupponevano la informazione data dai quotidiani, che i lettori del settimanale non leggevano e si supponeva appunto non leggessero (per ciò si faceva per loro il settimanale).

Il redattore di questi settimanali era di solito un intellettuale mediocre, pretenzioso e ignorante, pieno di cavilli e di sofismi banali. Riassumere il quotidiano sarebbe stato per lui una «vergogna»: pretendeva fare un settimanale tutto di articoli di fondo e di pezzi «brillanti» e inventare teorie con tanto di barba in economia, in politica, in filosofia.

Proprio in Italia, data la infelice disposizione geografica e l'assenza di un centro politico e intellettuale nazionale, avrebbe invece dovuto aver fortuna il tipo di settimanale inglese («Observer», «Times Sunday», ecc.) che è redatto sul tipo del quotidiano: cioè ogni settimana informa i lettori che non leggono il giornale, o vogliono avere, ogni settimana, un quadro riassuntivo della vita di tutta la settimana. Questo tipo inglese è da studiare e adattare teoricamente alle condizioni italiane. Esso dovrebbe (settimanale, bisettimanale) sostituire il quotidiano in larghe zone dove il quotidiano non avrebbe le premesse sufficienti (Napoli, Firenze, Palermo, ecc.; in generale nei capoluoghi di regione e anche di provincia non industriali: ricordare esempi come Biella, Como, Tortona che volevano il settimanale benché industriali e consumatori di giornali. Cosí Alessandria, Cuneo, Fossano, ecc. In Italia il settimanale cosí redatto avrebbe lo stesso ufficio dei tanti piccoli quotidiani provinciali tedeschi e svizzeri).

Q 8 § 143 I titoli. Tendenza a titoli magniloquenti e pedanteschi, con opposta reazione di titoli cosí detti «giornalistici» cioè anodini e insignificanti. Difficoltà dell'arte dei titoli che dovrebbero riassumere alcune esigenze: di indicare sinteticamente l'argomento centrale trattato, di destare interesse e curiosità spingendo a leggere. Anche i titoli sono determinati dal pubblico al quale il giornale si rivolge e dall'atteggiamento del giornale verso il suo pubblico: atteggiamento demagogico-commerciale quando si vuole sfruttare le tendenze piú basse; atteggiamento educativo-didattico, ma senza pedanteria, quando si vuole sfruttare il sentimento predominante nel pubblico, come base di partenza per un suo elevamento. Il titolo «Brevi cenni sull'universo», come caricatura del titolo pedantesco e pretenzioso.

Q 6 § 106 Capocronista. Difficoltà di creare dei buoni capi cronisti, cioè dei giornalisti tecnicamente preparati a comprendere ed analizzare la vita organica di una grande città, impostando in questo quadro (senza pedanteria, ma anche non superficialmente e senza «brillanti» improvvisazioni) ogni singolo problema mano mano che diventa d'attualità. Ciò che si dice del capocronista può estendersi a tutta una serie d'attività pubbliche: un buon capocronista dovrebbe avere la preparazione tecnica sufficiente e necessaria per diventare podestà o anche prefetto, o presidente (effettivo) di un Consiglio provinciale d'economia tipo attuale; e dal punto di vista giornalistico dovrebbe corrispondere al corrispondente locale di una grande città (e via via, in ordine di competenza e di ampiezza decrescente dei problemi, delle medie, piccole città e dei villaggi).

In generale, le funzioni di un giornale dovrebbero essere equiparate a corrispondenti funzioni dirigenti della vita amministrativa e da questo punto di vista dovrebbero essere impostate le scuole di giornalismo, se si vuole che tale professione esca dallo stadio primitivo e dilettantesco in cui oggi si trova, diventi qualificata e abbia una compiuta indipendenza, cioè il giornale sia in grado di offrire al pubblico informazioni e giudizi non legati a interessi particolari. Se un capocronista informa il pubblico «giornalisticamente», come si dice, ciò significa che il capocronista accetta senza critica e senza giudizio indipendente informazioni e giudizi, attraverso interviste o tuyaux, di persone che intendono servirsi del giornale per promuovere determinati interessi particolari.

Dovrebbero esistere due tipi di capocronaca: 1) il tipo organico e 2) il tipo di piú spiccata attualità. Col tipo organico, per dare un punto di vista comprensivo, dovrebbe essere possibile compilare dei volumi sugli aspetti piú generali e costanti della vita di una città, dopo aver depurato gli articoli di quegli elementi d'attualità che devono esistere sempre in ogni pubblicazione giornalistica; ma per intendersi, in questi articoli «organici» l'elemento di attualità deve essere subordinato e non principale. Questi articoli organici perciò non devono essere molto frequenti. Il capocronista studia l'organismo urbano nel suo complesso e nella sua generalità, per avere la sua qualifica professionale (solo limitatamente un capocronista può cambiare di città: la sua superiore qualifica non può non essere legata a una determinata città): i risultati originali, o utili in generale, di questo studio organico, è giusto che non siano completamente disinteressati, che non siano solo premessa, ma si manifestino anche immediatamente, cogliendo uno spunto di attualità. La verità è che il lavoro di un capocronista è altrettanto vasto di quello di un redattore capo, o di un caposervizio in una organizzazione giornalistica con divisione del lavoro organica. In una scuola di giornalismo occorrerebbe avere una serie di monografie su grandi città e sulla loro vita complessa. Il solo problema dell'approvvigionamento di una grande città è tale da assorbire molto lavoro e molta attività (su altre branche d'attività di un capocronista ho scritto altre note). Cfr. il libro di W. P. Hedden, How great Cities are fed, Hearth, Boston, 1929, Doll. 2.80, recensito nel «Giornale degli Economisti» del gennaio del 1931. Lo Hedden prende in esame l'approvvigionamento di alcune città degli Stati Uniti, specialmente di New York.

Q 7 § 101 Corrispondenti dall'estero. Confrontare altra nota in proposito nella rubrica Riviste-tipo. In essa si accennava ai collaboratori stranieri di riviste italiane. Il tipo del «corrispondente dall'estero» di un quotidiano è qualcosa di diverso, tuttavia alcune osservazioni dell'altra nota sono valide anche per questa attività. Intanto non bisogna concepire il corrispondente dall'estero come un puro reporter o trasmettitore di notizie del giorno per telegramma o per telefono, cioè una integrazione delle agenzie telegrafiche. Il tipo moderno piú compiuto di corrispondente dall'estero è il pubblicista di partito, il critico politico che osserva e commenta le correnti politiche piú vitali di un paese straniero e tende a diventare uno «specialista» sulle quistioni di quel dato paese (i grandi giornali perciò hanno «uffici di corrispondenza» nei diversi paesi, e il capo ufficio è lo «scrittore politico», il direttore dell'ufficio). Il corrispondente dovrebbe mettersi in grado di scrivere, entro un tempo determinato, un libro sul paese dove è mandato per risiedervi permanentemente, un'opera completa su tutti gli aspetti vitali della sua vita nazionale ed internazionale. (Altro è il corrispondente viaggiante che va in un paese per informare su grandi avvenimenti immediati che vi si svolgono).

Criteri per la preparazione e la formazione di un corrispondente: 1) Giudicare gli avvenimenti nel quadro storico del paese stesso e non solo con riferimento al suo paese d'origine. Ciò significa che la posizione di un paese deve essere misurata dai progressi o regressi verificatisi in quel paese stesso e non può essere meccanicamente paragonata alla posizione di altri paesi, nello stesso momento. Il paragone tra Stato e Stato ha importanza, perché misura la posizione relativa di ognuno di essi: infatti un paese può progredire, ma se in altri il progresso è stato maggiore o minore, la posizione relativa muta, e muta la influenza internazionale del paese dato. Se giudichiamo l'Inghilterra da ciò che essa era prima della guerra, e non da ciò che essa è oggi in confronto della Germania, il giudizio muta, sebbene anche il giudizio di paragone abbia grande importanza. 2) I partiti in ogni paese hanno un carattere nazionale, oltre che internazionale: il liberalismo inglese non è uguale a quello francese o a quello tedesco, sebbene ci sia molto di comune, ecc. 3) Le giovani generazioni sono in lotta con le vecchie nella misura normale in cui i giovani sono in lotta coi vecchi, oppure i vecchi hanno un monopolio culturale divenuto artificiale o dannoso? I partiti rispondono ai problemi nuovi o sono superati e c'è crisi? ecc.

Ma l'errore piú grande e piú comune è quello di non saper uscire dal proprio guscio culturale e misurare l'estero con un metro che non gli è proprio: non vedere la differenza sotto le apparenze uguali e non vedere l'identità sotto le diverse apparenze.

Q 8 § 110 La rassegna della stampa. Nel giornalismo tradizionale italiano la rubrica della «rassegna della stampa» è sempre stata poco sviluppata, nonostante che in esso la parte polemica abbia sempre avuto una funzione spesso esorbitante: ma appunto si trattava di polemica spicciola, occasionale, legata piú al temperamento litigioso dell'individualismo italiano che a un disegno programmatico di rendere un servizio al pubblico dei lettori.

Occorre distinguere tra la rassegna della stampa dei giornali d'informazione e quella dei giornali d'opinione: la prima è anch'essa un servizio d'informazione, cioè il giornale dato offre quotidianamente ai suoi lettori, ordinati e rubricati, i giudizi sugli avvenimenti in corso pubblicati dagli altri giornali (cosí fanno molti giornali francesi: i giornali italiani dànno queste informazioni nei servizi da Roma per i giornali della capitale ecc., cioè nel corpo del giornale stesso e come notizie a sé stanti); nei giornali d'opinione la rubrica ha un'altra funzione: serve per ribadire i propri punti di vista, per sminuzzarli, per presentarne, in contraddittorio, tutte le faccette e tutta la casistica. Appare quanto sia utile «didatticamente» questo modo di «ripetere» non meccanicamente e senza pedanteria le proprie opinioni: la «ripetizione» acquista un carattere quasi «drammatico» e di attualità, come obbligo di replicare a un avversario. A mia conoscenza, la migliore «rassegna della stampa» è quella dell'«Action Française» tanto piú se si considera come rassegna della stampa (come è in realtà) anche il quotidiano articolo di Maurras. Si vede che tra lo scritto di Maurras e la «rassegna della stampa» propriamente detta dell'«Action Française» c'è una divisione di lavoro: Maurras si attribuisce i «pezzi» polemici di maggiore importanza teorica. È da osservare che la rassegna della stampa non può essere lasciata a uno scagnozzo qualsiasi di redazione, come fanno spesso alcuni giornali: essa domanda il massimo di responsabilità politica e intellettuale e il massimo di capacità letteraria e di inventività negli spunti, nei titoletti ecc. poiché le ripetizioni, necessarie, dovrebbero essere presentate col massimo di varietà formale ed esteriore. (Esempio degli Scampoli di G. M. Serrati che, a loro modo, erano una rassegna della stampa: molto letti, forse la prima cosa che il lettore cercava ogni giorno, sebbene non fossero sistematici e non sempre di un alto livello intellettuale; le Opinioni del Missiroli nel «Resto del Carlino» e nella «Stampa» – in volume – cosí la rubrica del Fromboliere del «Popolo d'Italia» la Dogana in «Critica Fascista», la Rassegna della Stampa nell'«Italia Letteraria»).

Q 8 § 147 La cronaca giudiziaria. Si può osservare che la cronaca giudiziaria dei grandi giornali è redatta come un perpetuo «Mille e una notte» concepito secondo gli schemi del romanzo d'appendice. C'è la stessa varietà di schemi sentimentali e di motivi: la tragedia, il dramma frenetico, l'intrigo abile e intelligente, la farsa. Il «Corriere della Sera» non pubblica romanzi d'appendice: ma la sua pagina giudiziaria ne ha tutte le attrattive, con in piú la nozione, sempre presente, che si tratta di fatti veri.

Q 24 § 8 Rubriche scientifiche. Il tipo italiano del giornale quotidiano è determinato dall'insieme delle condizioni organizzative della vita culturale nel paese: mancanza di una vasta letteratura di divulgazione, sia attraverso il libro che la rivista. Il lettore del giornale vuole perciò trovare nel suo foglio un riflesso di tutti gli aspetti della complessa vita sociale di una nazione moderna. È da rilevare il fatto che il giornale italiano, relativamente meglio fatto e piú serio che in altri paesi, abbia nel paese trascurato l'informazione scientifica, mentre esisteva un corpo notevole di giornalisti specializzati per la letteratura economica, letteraria ed artistica. Anche nelle riviste piú importanti (come la «Nuova Antologia» e la «Rivista d'Italia») la parte dedicata alle scienze era quasi nulla (oggi le condizioni sono mutate da questo punto di vista e il «Corriere della Sera» ha una serie di collaboratori, specializzati nelle quistioni scientifiche, molto notevole). Sono sempre esistite riviste scientifiche di specialisti, ma mancavano le riviste di divulgazione (è da vedere l'«Arduo» che usciva a Bologna diretto da Sebastiano Timpanaro; molto diffusa la «Scienza per Tutti» della Casa Sonzogno, ma per un giudizio di essa basta ricordare che fu diretta per molti anni da... Massimo Rocca).

L'informazione scientifica dovrebbe essere integrante di qualsiasi giornale italiano, sia come notiziario scientifico-tecnologico, sia come esposizione critica delle ipotesi e opinioni scientifiche piú importanti (la parte igienico-sanitaria dovrebbe costituire una rubrica a sé). Un giornale popolare, piú degli altri, dovrebbe avere questa sezione scientifica, per controllare e dirigere la cultura dei suoi lettori, che spesso è «stregonesca» o fantastica e per «sprovincializzare» le nozioni correnti.

Difficoltà di avere specialisti che sappiano scrivere popolarmente: si potrebbe fare lo spoglio sistematico delle riviste generali e speciali di cultura professionale, degli atti delle Accademie, delle pubblicazioni straniere e compilare estratti e riassunti in appendici speciali, scegliendo accuratamente e con intelligenza delle esigenze culturali del popolo, gli argomenti e il materiale.

Q 14 § 60 Almanacchi. Poiché il giornalismo è stato considerato, nelle note ad esso dedicate, come esposizione di un gruppo che vuole, attraverso diverse attività pubblicistiche, diffondere una concezione integrale del mondo, si può prescindere dalla pubblicazione di un almanacco? L'almanacco è, in fondo, una pubblicazione periodica annuale, in cui, anno per anno, si esamina l'attività storica complessa di un anno da un certo punto di vista. L'almanacco è il «minimo» di «pubblicità» periodica che si può dare alle proprie idee e ai propri giudizi sul mondo e la sua varietà mostra quanto nel gruppo si sia venuto specializzando ogni singolo momento di tale storia, cosí come la organicità mostra la misura di omogeneità che il gruppo è venuto acquistando. Certo, per la diffusione, occorre che l'almanacco tenga conto di determinati bisogni del gruppo di compratori cui si rivolge, gruppo che non può, spesso, spendere due volte, per uno stesso bisogno. Occorrerà pertanto scegliere il contenuto: 1) quelle parti che rendono inutile l'acquisto di altro almanacco; 2) quella parte per cui si vuole influire sui lettori per indirizzarli secondo un senso prestabilito. La prima parte sarà ridotta al minimo: a quanto basta per soddisfare il bisogno dato. La seconda parte insisterà su quegli argomenti che si ritengono di maggior peso educativo e formativo.

Q 17 § 30 [Giornalismo.] Mark Twain, quando era direttore di un giornale in California, pubblicò una vignetta che rappresentava un asino morto in fondo a un pozzo, con la dicitura: «Questo asino è morto per non aver ragliato». Il Twain voleva porre in evidenza l'utilità della réclame giornalistica, ma la vignetta può avere anche altri significati.

Q 2 § 26 I giornali tedeschi. Tre grandi concentrazioni giornalistiche: Ullstein, Mosse, Scherl, le due prime democratiche, la terza di destra (stampa di Hugenberg).

La Casa Ullstein stampa: la «Vossische Zeitung», per il pubblico colto, di scarsa tiratura (40.000 copie?) ma di importanza europea, diretta da Giorgio Bernhard (passa per essere troppo francofila); la «Morgenpost», il piú diffuso giornale di Berlino e forse della Germania (forse 500.000 copie), per la piccola borghesia e gli operai; la «Berliner Allgemeine Zeitung», che si occupa di quistioni cittadine; la «Berliner Illustrierte» (come «La Domenica del Corriere»), diffusissima: la «Berliner Zeitung am Mittag», sensazionale e che trova ogni giorno 100.000 lettori; l'«Uhu», il «Querschnitt» («La trasversale») e «Die Koralle», tipo «Lettura»; e altre pubblicazioni di mode, di commercio, di tecnica, ecc. La Ullstein è legata col «Telegraaf» di Amsterdam, l'«Az Est» di Budapest, la «Neue Freie Presse» (a Ullstein si appoggia per le informazioni da Berlino il «Corriere della Sera»).

La casa editrice Rudolph Mosse pubblica il grande quotidiano democratico «Berliner Tageblatt» (300.000 copie), diretto da Teodoro Wolf con 17 supplementi (Beilagen) e con edizioni speciali per l'estero in tedesco, in francese, in inglese, di importanza europea, costoso e difficile per la piccola gente; «Berliner Morgenzeitung», «Berliner Volkszeitung», in istile popolare, ma delle stesse direttive politiche. Alla casa Mosse si appoggia la «Stampa» di Torino.

Casa editrice Scherl: «Lokal Anzeiger», lettura prediletta dei bottegai e della piccola borghesia fedele alla vecchia Germania imperiale; il «Tag», per un pubblico piú scelto; la «Woche», la «Gartenlaube» (il «Pergolato»).

Giornali da destra a sinistra: «Deutsche Zeitung», ultra nazionalista, ma poco diffusa; «Völkischer Beobachter» di Hitler, poco diffuso (20.000). Poco diffusa è anche la «Neue Preussische Zeitung» (10.000) che continua ad esser chiamata «Kreuzzeitung»: è l'organo classico degli Junker (latifondisti prussiani), ex-ufficiali nobili, monarchici e assolutisti, rimasti ricchi e solidi perché poggianti sulla proprietà terriera; ma invece tira 100.000 copie la «Deutsche Tageszeitung», organo del Bund der Landwirte (Federazione degli agrari), che va in mano dei minori proprietari e dei fattori e contribuisce a mantenere fedele all'antico regime l'opinione pubblica delle campagne.

Tedesco nazionali: il «Tag» (100.000); «Lokal Anzeiger» (180.000); «Schlesische Zeitung»; «Berliner Börsen Zeitung» (giornale finanziario di destra); «Tägliche Rundschau» (30.000), ma importante perché era ufficioso di Streseman; «Deutsche Allgemeine Zeitung», organo dell'industria pesante, anch'esso tedesco-popolare. Altri giornali tedesco-popolari, cioè di destra moderata con adesione condizionata all'attuale regime e diffusi tra gli industriali, sono: la «Magdeburgische Zeitung», la «Kölnische Zeitung» (52.000), di fama europea per la sua autorità in politica estera, l'«Hannoverschej Kurier», le «Münchner Neueste Nachrichten» (135.000) e le «Leipziger Neueste Nachrichten» (170.000).

Giornali del centro: la «Germania» (10.000), ma diffusissimi sono i giornali cattolici di provincia come la «Kölnische Volkszeitung».

I giornali democratici sono i meglio fatti: «Vossische Zeitung», «Berliner Tageblatt», «Berliner Börsen Courier», «Frankfurter Zeitung». I socialdemocratici hanno un giornale umoristico: «Lachen links» (risa a sinistra).

Q 6 § 121[Un manuale di giornalismo.] Albert Rival, Le journalisme appris en 18 leçons, Albin Michel, 1931, L. 3,50. In quattro parti: 1) Storia del giornalismo: Origini del giornalismo. I grandi giornalisti. 2) Come si fa un giornale: Redazione. Impressione: composizione, correzione, impaginazione, clichérie, tiratura. 3) Qualità richieste a un giornalista: Cos'è un giornalista? Attitudini richieste. Qualità richieste. La donna può aspirare al giornalismo? 4) Lo stile del giornalista: Stile in generale. Generi di stile. Della composizione. La descrizione. Come non bisogna scrivere. L'articolo d'informazione. Il grande reportage: come vien fatto. L'articolo di fondo. L'articolo polemico. Organizzazione d'un giornale. (Schema elementare e difettoso. Manca l'accenno ai diversi tipi di giornali, ecc.).

Q 6 § 169 Giornalismo. Confrontare Luigi Villari, Giornalismo britannico di ieri e di oggi, «Nuova Antologia», 1° maggio 1931.