Stato e Istituzioni

(CF, 11 febbraio 1917)

”Come idea-limite il programma liberale crea lo stato etico, uno stato cioè che idealmente sta al disopra delle competizioni di classe, del vario intrecciarsi ed urtarsi degli aggruppamenti che ne sono la realtà economica e tradizionale. È un'aspirazione politica questo stato, più che una realtà politica; esiste solo come modello utopistico, ma è appunto questo suo essere un miraggio che lo irrobustisce e ne fa una forza di conservazione. Nella speranza che finalmente esso si realizzi nella sua compiuta perfezione, molti trovano la forza per non rinnegarlo, e non cercare quindi di sostituirlo.”

 

(ON, 12 luglio 1919)

“Lo Stato è sempre stato il protagonista della storia, perché nei suoi organi si accentra la potenza della classe proprietaria, nello Stato la classe proprietaria si disciplina e si compone in unità, sopra i dissidi e i cozzi della concorrenza, per mantenere intatta la condizione di privilegio nella fase suprema della concorrenza stessa: la lotta di classe per il potere, per la preminenza nella direzione e nel disciplinamento della società.”

 

(ON, 27 settembre 1919)

“Come principio di potere politico, lo Stato si dissolverà tanto più rapidamente quanto più i lavoratori saranno compatti e disciplinati nell'ordinarsi socialmente, nel fondersi cioè in gruppi accomunati dal lavoro, coordinati e sistemati tra loro secondo i momenti della produzione: dal nucleo elementare del mestiere in un reparto, al reparto in una fabbrica, alla fabbrica in una città, in una regione, nelle unità sempre più vaste fino al mondo intero. L'Internazionale è lo «Stato» dei lavoratori, cioè la base vera e propria del progresso nella storia specificatamente comunista e proletaria.

Lo Stato rimarrà apparato di potere politico fin quando esisteranno le classi, fin quando, cioè, i lavoratori armati non saranno riusciti  attraverso lo Stato politico (o Dittatura) attrezzato dai capitalisti come una bardatura dell'organismo economico  a dominare e possedere realmente l'apparato nazionale di produzione e a farne la condizione permanente della loro libertà.“

 

(ON, 1° marzo 1924)

“Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza. Finché sarà necessario uno Stato, finché sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un «capo».”

 

Q4 §53

L’Università è la scuola della classe dirigente in proprio ed è il meccanismo attraverso il quale essa seleziona gli elementi individuali delle altre classi da incorporare nel suo personale governativo, amministrativo e dirigente. Ma con l’esistenza, a parità di condizioni, delle Università cattoliche, anche la formazione di questo personale dirigente non sarà più unitaria e omogenea. Non solo: ma la casta, nelle Università proprie, realizzerà una concentrazione di cultura laico-religiosa quale da molti decenni non si vedeva più e si troverà di fatto in condizioni molto migliori della concentrazione laica. Non è infatti nemmeno lontanamente paragonabile l’efficienza organizzativa della Chiesa, che sta tutta come un blocco dietro e a sostegno della propria Università, con l’efficienza organizzativa della cultura laica.

Se lo Stato, di fatto, non è più questa organizzazione, perché la sua legislazione in materia di religione è quello che è, e la sua equivocità non può non essere favorevole alla Chiesa, data la sua formidabile struttura e il suo peso di massa organizzata omogeneamente, e se i titoli dei due tipi di Università sono equiparati, è evidente che si formerà la tendenza delle Università cattoliche ad essere esse il meccanismo di selezione degli elementi più intelligenti e capaci delle classi inferiori da immettere nella classe dirigente. Favoriranno questa tendenza: il fatto che non c’è discontinuità educativa tra le scuole medie e l’Università cattolica, mentre questa discontinuità c’è con le Università statali e il fatto che la Chiesa in tutta la sua struttura è già attrezzata per questo lavoro di selezione dal basso. La Chiesa, da questo punto di vista, è un organismo perfettamente democratico: il figlio di un contadino o di un artigiano, se intelligente e capace, e se duttile abbastanza per lasciarsi assimilare dalla struttura ecclesiastica e per sentirne il particolare spirito di corpo e di conservazione e gli interessi presenti e futuri, può diventare cardinale e papa. Se nell’alta gerarchia ecclesiastica l’origine democratica è meno frequente di quanto si creda, ciò avviene per ragioni complesse, in cui solo parzialmente incide la pressione delle grandi famiglie aristocratiche cattoliche o la ragione di Stato (internazionale): una ragione molto forte è che molti seminari sono molto male attrezzati e non mettono in valore dei giovani intelligenti, mentre il giovane aristocratico, dal suo stesso ambiente famigliare riceve senza sforzo di apprendimento una serie di qualità che sono di primo ordine per la carriera ecclesiastica: la tranquilla sicurezza della propria dignità e autorità e l’arte di trattare e governare gli altri. (…) 

Se lo Stato rinunzia a essere centro di cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare. Tanto più che lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa all’infuori dell’idealismo attuale pappagallizzato. Le conseguenze di questa situazione saranno della massima importanza; ma le cose non andranno liscie per molto tempo: la Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok ebreo: essa vorrà la sua libbra di carne e si infischierà del dissanguamento della vittima.

 

Q4 §69

A un certo punto dello sviluppo storico, le classi si staccano dai loro partiti tradizionali, cioè i partiti tradizionali in quella data forma organizzativa, con quei determinati uomini che li costituiscono o li dirigono, non rappresentano più la loro classe o frazione di classe. È questa la crisi più delicata e pericolosa, perché offre il campo agli uomini provvidenziali o carismatici. 

[…] La crisi è pericolosa quando essa si diffonde in tutti i partiti, in tutte le classi, quando cioè non avviene, in forma acceleratissima, il passaggio delle truppe di uno o vari partiti in un partito che meglio riassume gli interessi generali. Questo ultimo è un fenomeno organico [e normale], anche se il suo ritmo di avveramento sia rapidissimo in confronto ai periodi normali: rappresenta la fusione di una classe sotto una sola direzione per risolvere un problema dominante ed esistenziale. Quando la crisi non trova questa soluzione organica, ma quella dell’uomo provvidenziale, significa che esiste un equilibrio statico, che nessuna classe, né la conservatrice né la progressiva hanno la forza di vincere, ma anche la classe conservatrice ha bisogno di un padrone.

 

Q6 §12

Finché esiste lo Stato-classe non può esistere la società regolata, altro che per metafora, cioè solo nel senso che anche lo Stato-classe è una società regolata. 

Gli utopisti, in quanto esprimevano una critica della società esistente al loro tempo, comprendevano benissimo che lo Stato-classe non poteva essere la società regolata, tanto vero che nei tipi di società rappresentati dalle diverse utopie, s’introduce l’uguaglianza economica come base necessaria della riforma progettata: ora in questo gli utopisti non erano utopisti, ma concreti scienziati della politica e critica congruenti. Il carattere utopistico di alcuni di essi era dato dal fatto che ritenevano si potesse introdurre la uguaglianza economica con leggi arbitrarie, con un atto di volontà, ecc. Rimane però esatto il concetto, che si trova anche in altri scrittori di politica (anche di destra, cioè nei critici della democrazia, in quanto essa si serve del modello svizzero o danese per ritenere il sistema ragionevole in tutti i paesi) che non può esistere eguaglianza politica completa e perfetta senza eguaglianza economica.

 

Q6 §19

Sulla verità ossia sul dire la verità in politica. È opinione molto diffusa in alcuni ambienti (e questa diffusione è un segno della statura politica e culturale di questi ambienti) che sia essenziale dell’arte politica il mentire, il sapere astutamente nascondere le proprie vere opinioni e i veri fini a cui si tende, il saper far credere il contrario di ciò che realmente si vuole ecc. ecc. L’opinione è tanto radicata e diffusa che a dire la verità non si è creduti. Gli italiani in genere sono all’estero ritenuti maestri nell’arte della simulazione e dissimulazione, ecc. Ricordare l’aneddoto ebreo: "Dove vai?", domanda Isacco a Beniamino, "A Cracovia", risponde Beniamino. "Bugiardo che sei! Tu dici di andare a Cracovia perché io creda invece che tu vada a Lemberg; ma io so benissimo che vai a Cracovia: che bisogno c’è dunque di mentire?". In politica si potrà parlare di riservatezza, non di menzogna nel senso meschino che molti pensano: nella politica di massa dire la verità è una necessità politica, precisamente.

 

Q6 §75

Dovrebbe essere una massima di governo cercare di elevare il livello della vita materiale del popolo oltre un certo livello. In questo indirizzo non è da ricercare uno speciale motivo "umanitario" e neppure una tendenza "democratica": anche il governo più oligarchico e reazionario dovrebbe riconoscere la validità "obbiettiva" di questa massima, cioè il suo valore essenzialmente politico (universale nella sfera della politica, nell’arte di conservare e accrescere la potenza dello Stato). Ogni governo non può prescindere dall’ipotesi di una crisi economica e specialmente non può prescindere dall’ipotesi di essere costretto a fare una guerra, cioè a dover superare la massima crisi cui può essere sottoposta una compagine statale e sociale. E poiché ogni crisi significa un arretramento del tenore di vita popolare, è evidente che occorre la preesistenza di una zona di arretramento sufficiente perché la resistenza "biologica" e quindi psicologica del popolo non crolli al primo urto con la nuova realtà. 

Il grado di potenza reale di uno Stato deve essere pertanto misurato anche alla stregua di questo elemento, che è poi coordinato agli altri elementi di giudizio sulla solidità strutturale di un paese. Se infatti le classi dominanti di una nazione non sono riuscite a superare la fase economica-corporativa che le porta a sfruttare le masse popolari fino all’estremo consentito dalle condizioni di forza, cioè a ridurle solo alla vegetatività biologica, è evidente che non si può parlare di potenza dello Stato, ma solo di mascheratura di potenza. 

 

Q6 §88

Stato gendarme - guardiano notturno, ecc. È da meditare questo argomento: la concezione dello Stato gendarme - guardiano notturno, ecc. (a parte la specificazione di carattere polemico: gendarme, guardiano notturno, ecc.) non è poi la concezione dello Stato che sola superi le estreme fasi "corporative- economiche"? Siamo sempre nel terreno della identificazione di Stato e Governo, identificazione che appunto è un ripresentarsi della forma corporativa-economica, cioè della confusione tra società civile e società politica, poiché è da notare che nella nozione generale di Stato entrano elementi che sono da riportare alla nozione di società civile (nel senso, si potrebbe dire, che Stato = società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di coercizione). In una dottrina dello Stato che concepisca questo come possibile tendenzialmente di esaurimento e di risoluzione della società regolata, l’argomento è fondamentale. 

L’elemento Stato-coercizione si può immaginare esaurentesi mano a mano che si affermano elementi sempre più cospicui di società regolata (o Stato etico o società civile). Le espressioni di Stato etico o di società civile verrebbero a significare che quest’"immagine" di Stato senza Stato era presente ai maggiori scienziati della politica e del diritto in quanto si ponevano nel terreno della pura scienza (= pura utopia, in quanto basata sul presupposto che tutti gli uomini sono realmente uguali e quindi ugualmente ragionevoli e morali, cioè passibili di accettare la legge spontaneamente, liberamente e non per coercizione, come imposta da altra classe, come cosa esterna alla coscienza). 

Occorre ricordare che l’espressione di guardiano notturno per lo Stato liberale è di Lassalle, cioè di uno statalista dogmatico e non dialettico. (Cfr bene la dottrina di Lassalle su questo punto e sullo Stato in generale, in contrasto col marxismo). Nella dottrina dello Stato - società regolata, da una fase in cui Stato sarà uguale Governo, e Stato si identificherà con società civile, si dovrà passare a una fase di Stato - guardiano notturno, cioè di una organizzazione coercitiva che tutelerà lo sviluppo degli elementi di società regolata in continuo incremento, e pertanto riducente gradatamente i suoi interventi autoritari e coattivi. Né ciò può far pensare a un nuovo "liberalismo", sebbene sia per essere l’inizio di un’era di libertà organica. 

 

Q6 §90

Specialmente nei periodi di crisi finanziaria si sente molto parlare di "psicologia" come di causa efficiente di determinati fenomeni marginali. Psicologia (sfiducia), panico, ecc. Ma cosa significa in questo caso "psicologia"? È una pudica foglia di fico per indicare la "politica", cioè una determinata situazione politica. Poiché di solito per "politica" s’intende l’azione delle frazioni parlamentari, dei partiti, dei giornali e in generale ogni azione che si esplica secondo una direttiva palese e predeterminata, si dà il nome di "psicologia" ai fenomeni elementari di massa, non predeterminati, non organizzati, non diretti palesemente, i quali manifestano una frattura nell’unità sociale tra governati e governanti. Attraverso queste "pressioni psicologiche" i governati esprimono la loro sfiducia nei dirigenti e domandano che siano mutate le persone e gli indirizzi dell’attività finanziaria e quindi economica. I risparmiatori non investono risparmi e disinvestono da determinate attività che appaiono particolarmente rischiose, ecc.: si accontentano di interessi minimi e anche di interessi zero; qualche volta preferiscono perdere addirittura una parte del capitale per mettere al sicuro il resto. Può bastare l’"educazione" per evitare queste crisi di sfiducia generica? Esse sono sintomatiche appunto perché "generiche" e contro la "genericità " è difficile educare una nuova fiducia. Il succedersi frequente di tali crisi psicologiche indica che un organismo è malato, cioè che l’insieme sociale non è più in grado di esprimere dirigenti capaci. Si tratta dunque di crisi politiche e anzi politico- sociali del raggruppamento dirigente.

 

Q6 §97

Demagogia vuol dire parecchie cose: nel senso deteriore significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni (il parlamentarismo e l’elezionismo offrono un terreno propizio per questa forma particolare di demagogia, che culmina nel cesarismo e nel bonapartismo coi suoi regimi plebiscitari). Ma se il capo non considera le masse umane come uno strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi buttar via, ma tende a raggiungere fini politici organici di cui queste masse sono il necessario protagonista storico, se il capo svolge opera "costituente" costruttiva, allora si ha una "demagogia" superiore; le masse non possono non essere aiutate a elevarsi attraverso l’elevarsi di singoli individui e di interi strati "culturali". Il "demagogo" deteriore pone se stesso come insostituibile, crea il deserto intorno a sé, sistematicamente schiaccia ed elimina i possibili concorrenti, vuole entrare in rapporto con le masse direttamente (plebiscito, ecc., grande oratoria, colpi di scena, apparato coreografico fantasmagorico: si tratta di ciò che il Michels ha chiamato "capo carismatico"). 

Il capo politico dalla grande ambizione invece tende a suscitare uno strato intermedio tra sé e la massa, a suscitare possibili "concorrenti" ed eguali, a elevare il livello di capacità delle masse, a creare elementi che possano sostituirlo nella funzione di capo. Egli pensa secondo gli interessi della massa e questi vogliono che un apparecchio di conquista [o di dominio] non si sfasci per la morte o il venir meno del singolo capo, ripiombando la massa nel caos e nell’impotenza primitiva. Se è vero che ogni partito è partito di una sola classe, il capo deve poggiare su di questa ed elaborarne uno stato maggiore e tutta una gerarchia; se il capo è di origine "carismatica", deve rinnegare la sua origine e lavorare a rendere organica la funzione della direzione, organica e coi caratteri della permanenza e continuità.

 

Q6 §203

Un’opinione diffusa è questa: che mentre per i cittadini l’osservanza delle leggi è un obbligo giuridico, per lo "Stato" l’osservanza è solo un obbligo morale, cioè un obbligo senza sanzioni punitive per l’evasione. Si pone la quistione: che cosa si intende per "Stato", cioè chi ha solo l’obbligo "morale" di osservare la legge e non si finisce mai di constatare quanta gente crede di non avere obblighi "giuridici" e di godere dell’immunità e dell’impunità. Questo "stato d’animo" è legato a un costume o ha creato un costume? L’una cosa e l’altra sono vere. Cioè lo Stato, in quanto legge scritta permanente, non è stato mai concepito (e fatto concepire) come un obbligo oggettivo e universale. Questo modo di pensare è legato alla curiosa concezione del "dovere civico" indipendente dai "diritti", come se esistessero doveri senza diritti e viceversa: questa concezione è legata appunto all’altra della non obbligatorietà giuridica delle leggi per lo Stato, cioè per i funzionari e agenti statali i quali pare abbiano troppo da fare per obbligare gli altri perché rimanga loro tempo di obbligare se stessi.

 

Q6 §98

È opinione molto diffusa e anzi è opinione ritenuta realistica e intelligente che le leggi devono essere precedute dal costume, che la legge è efficace solo in quanto sanziona i costumi. […]

Il diritto non esprime tutta la società (per cui i violatori del diritto sarebbero esseri antisociali per natura, o minorati psichici), ma la classe dirigente, che "impone" a tutta la società quelle norme di condotta che sono più legate alla sua ragion d’essere e al suo sviluppo. La funzione massima del diritto è questa: di presupporre che tutti i cittadini devono accettare liberamente il conformismo segnato dal diritto, in quanto tutti possono diventare elementi della classe dirigente; nel diritto moderno cioè è implicita l’utopia democratica del secolo XVIII. 

[…] L’argomento rientra in quello più generale della diversa posizione che hanno avuto le classi subalterne prima di diventare dominanti. Certe classi subalterne devono avere un lungo periodo di intervento giuridico rigoroso e poi attenuato, a differenza di altre; c’è differenza anche nei modi: in certe classi l’espansività non cessa mai, fino all’assorbimento completo della società; in altre, al primo periodo di espansione succede un periodo di repressione. Questo carattere educativo, creativo, formativo del diritto è stato messo poco in luce da certe correnti intellettuali: si tratta di un residuo dello spontaneismo, del razionalismo astratto che si basa su un concetto della "natura umana" astrattamente ottimistico e facilone. Un altro problema si pone per queste correnti: quale deve essere l’organo legislativo "in senso lato", cioè la necessità di portare le discussioni legislative in tutti gli organismi di massa: una trasformazione organica del concetto di "referendum", pur mantenendo al governo la funzione di ultima istanza legislativa. 

 

Q7 §90

Stato e partiti. La funzione egemonica o di direzione politica dei partiti può essere valutata dallo svolgersi della vita interna dei partiti stessi. Se lo Stato rappresenta la forza coercitiva e punitiva di regolamentazione giuridica di un paese, i partiti, rappresentando lo spontaneo aderire di una élite a tale regolamentazione, considerata come tipo di convivenza collettiva a cui tutta la massa deve essere educata, devono mostrare nella loro vita particolare interna di aver assimilato come principii di condotta morale quelle regole che nello Stato sono obbligazioni legali. 

Nei partiti la necessità è già diventata libertà, e da ciò nasce il grandissimo valore politico (cioè di direzione politica) della disciplina interna di un partito, e quindi il valore di criterio di tal disciplina per valutare la forza di espansività dei diversi partiti. Da questo punto di vista i partiti possono essere considerati come scuole della vita statale. Elementi di vita dei partiti: carattere (resistenza agli impulsi delle culture oltrepassate), onore (volontà intrepida nel sostenere il nuovo tipo di cultura e di vita), dignità (coscienza di operare per un fine superiore), ecc.

 

Q8 §2

La rivoluzione portata dalla classe borghese nella concezione del diritto e quindi nella funzione dello Stato consiste specialmente nella volontà di conformismo (quindi eticità del diritto e dello Stato). Le classi dominanti precedenti erano essenzialmente conservatrici nel senso che non tendevano ad elaborare un passaggio organico dalle altre classi alla loro, ad allargare cioè la loro sfera di classe "tecnicamente" e ideologicamente: la concezione di casta chiusa. 

La classe borghese pone se stessa come un organismo in continuo movimento, capace di assorbire tutta la società, assimilandola al suo livello culturale ed economico: tutta la funzione dello Stato è trasformata: lo Stato diventa "educatore", ecc.
[…] Una classe che ponga se stessa come passibile di assimilare tutta la società, e sia nello stesso tempo realmente capace di esprimere questo processo, porta alla perfezione questa concezione dello Stato e del diritto, tanto da concepire la fine dello Stato e del diritto come diventati inutili per aver esaurito il loro compito ed essere stati assorbiti dalla società civile.

 

Q8 §108

Mi pare che dal punto di vista economico-sociale il problema della burocrazia e dei funzionari occorra considerarlo in un quadro molto più vasto: nel quadro della "passività" sociale, passività relativa, e intesa dal punto di vista dell’attività produttiva di beni materiali. Cioè dal punto di vista di quei particolari beni o valori che gli economisti liberali chiamano "servizi". In una determinata società quale è la distribuzione della popolazione per rispetto alle "merci" e per rispetto ai "servizi" (E s’intende "merci" in senso ristretto, di "merci" materiali, di beni fisicamente consumabili come "spazio e volume")? 

È certo che quanto più è estesa la parte "servizi" tanto più una società è male organizzata. Uno dei fini della "razionalizzazione" è certo quello di restringere al mero necessario la sfera dei servizi. Il parassitismo si sviluppa specialmente in questa sfera. Il commercio e la distribuzione in generale appartengono a questa sfera. La disoccupazione "produttiva" determina "inflazione" di servizi (moltiplicazione del piccolo commercio).

 

Q8 §179

Mi pare che ciò che di più sensato e concreto si possa dire a proposito dello Stato etico e di cultura è questo: ogni Stato è etico in quanto una delle sue funzioni più importanti è quella di elevare la grande massa della popolazione a un determinato livello culturale e morale, livello (o tipo) che corrisponde alle necessità di sviluppo delle forze produttive e quindi agli interessi delle classi dominanti. La scuola come funzione educativa positiva e i tribunali come funzione educativa repressiva e negativa sono le attività statali più importanti in tal senso: ma in realtà al fine tendono una molteplicità di altre iniziative e attività cosidette private che formano l’apparato dell’egemonia politica e culturale delle classi dominanti.  
La concezione di Hegel è propria di un periodo in cui lo sviluppo in estensione della borghesia poteva apparire illimitato, quindi l’eticità o universalità di essa poteva essere affermata: tutto il genere umano sarà borghese. Ma in realtà solo il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominati ecc. e a creare un organismo sociale unitario tecnico-morale.

 

Q9 §42

"Stato" significa specialmente direzione consapevole delle grandi moltitudini nazionali, quindi necessario "contatto" sentimentale e ideologico con esse e in certa misura "simpatia" e comprensione dei loro bisogni ed esigenze.

 

Q15 §3

È strano come la identità "Stato-classe" non essendo di facile comprensione avvenga che un governo (Stato) possa fare rifluire sulla classe rappresentata come un merito e una ragione di prestigio l’aver finalmente fatto ciò che da più di cinquanta anni doveva essere fatto e quindi dovrebbe essere un demerito e una ragione di infamia. Si lascia morire di fame un uomo fino a cinquanta anni; a cinquanta anni ci si accorge di lui. Nella vita individuale ciò sarebbe ragione di una scarica di pedate. Nella vita statale appare un "merito". Non solo ma il "lavarsi" a cinquanta anni appare superiorità su altri uomini di cinquanta anni che si sono sempre lavati. (Ciò si dice per le bonifiche, i lavori pubblici, le strade ecc. cioè l’attrezzatura civile generale di un paese: che un paese si dia questa attrezzatura, che altri si son dati al loro tempo, è conclamato e strombazzato e si dice agli altri: fate altrettanto, se potete. Gli altri non possono, perchè l’hanno già fatto al loro tempo e ciò viene presentato come una loro "impotenza").