Natura umana

Q7 §35

L’affermazione di Feuerbach: "L’uomo è quello che mangia", può essere, presa in sé, interpretata variamente. Interpretazione gretta e stolta: cioè l’uomo è volta per volta quello che mangia materialmente, cioè i cibi hanno una immediata influenza determinatrice sul modo di pensare. Ricordare l’affermazione di Amadeo che se si sapesse ciò che un uomo ha mangiato prima di un discorso, per esempio, si sarebbe in grado di interpretare meglio il discorso stesso. Affermazione infantile, e, di fatto, estranea anche alla scienza positiva, poiché il cervello non viene nutrito di fave o di tartufi, ma i cibi giungono a ricostituire le molecole del cervello trasformati in sostanze omogenee e assimilabili, che hanno cioè la "stessa natura" potenziale delle molecole cerebrali. 

Se questa affermazione fosse vera, la storia avrebbe la sua matrice determinante nella cucina e le rivoluzioni coinciderebbero coi mutamenti radicali dell’alimentazione di massa. Il contrario è storicamente vero: cioè sono le rivoluzioni e il complesso sviluppo storico che hanno modificato l’alimentazione e creato i "gusti" successivi nella scelta dei cibi. Non è la semina regolare del frumento che ha fatto cessare il nomadismo, ma viceversa, le condizioni emergenti contro il nomadismo hanno spinto alle semine regolari ecc. […].

D’altronde è anche vero che "l’uomo è quello che mangia", in quanto l’alimentazione è una delle espressioni dei rapporti sociali nel loro complesso, e ogni raggruppamento sociale ha una sua fondamentale alimentazione, ma allo stesso modo si può dire che l’"uomo è il suo appartamento", l’"uomo è il suo particolare modo di riprodursi cioè la sua famiglia", poiché l’alimentazione, l’abbigliamento, la casa, la riproduzione sono elementi della vita sociale in cui appunto in modo più evidente e più diffuso (cioè con estensione di massa) si manifesta il complesso dei rapporti sociali.

Il problema di cos’è l’uomo è dunque sempre il così detto problema della "natura umana", o anche quello del così detto "uomo in generale", cioè la ricerca di creare una scienza dell’uomo (una filosofia) che parte da un concetto inizialmente "unitario", da un’astrazione in cui si possa contenere tutto l’"umano". Ma l’"umano" è un punto di partenza o un punto di arrivo, come concetto e fatto unitario? o non è piuttosto, questa ricerca, un residuo "teologico" e "metafisico" in quanto posto come punto di partenza? La filosofia non può essere ridotta ad una naturalistica "antropologia", cioè l’unità del genere umano non è data dalla natura "biologica" dell’uomo; le differenze dell’uomo, che contano nella storia non sono quelle biologiche (razze, conformazione del cranio, colore della pelle ecc.; e a ciò si riduce poi l’affermazione "l’uomo è ciò che mangia" -- mangia grano in Europa, riso in Asia ecc. -- che si ridurrebbe poi all’altra affermazione: "l’uomo è il paese dove abita", poiché la gran parte degli alimenti, in generale, è legata alla terra abitata) e neppure l’"unità biologica" ha mai contato gran che nella storia (l’uomo è quell’animale che ha mangiato se stesso, proprio quando era più vicino allo "stato naturale", cioè quando non poteva moltiplicare "artificiosamente" la produzione dei beni naturali. Neanche la facoltà di "ragionare" o lo "spirito" ha creato unità o può essere riconosciuto come fatto unitario, perché concetto solo formale, categorico. Non il "pensiero", ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini. 

Che la "natura umana" sia il "complesso dei rapporti sociali" è la risposta più soddisfacente, perché include l’idea del divenire: l’uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega l’"uomo in generale": infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale. L’uomo è aristocratico in quanto è servo della gleba ecc. […].

Si può anche dire che la natura dell’uomo è la "storia" (e in questo senso, posta storia=spirito, che la natura dell’uomo è lo spirito) se appunto si dà a storia il significato di "divenire" in una "concordia discors" che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la "natura umana" non può ritrovarsi in nessun uomo a particolare ma in tutta la storia del genere umano (e il fatto che si adoperi la parola "genere", di carattere naturalistico, ha il suo significato) mentre in ogni singolo si trovano caratteri messi in rilievo dalla contraddizione con quelli di altri. 

[…] Nella storia l’"uguaglianza" reale, cioè il grado di "spiritualità" raggiunto dal processo storico della "natura umana", si identifica nel sistema di associazioni "private e pubbliche", esplicite ed implicite, che si annodano nello "Stato" e nel sistema mondiale politico: si tratta di "uguaglianze" sentite come tali fra i membri di una associazione e di "diseguaglianze" sentite tra le diverse associazioni, uguaglianze e disuguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo. Si giunge così anche all’eguaglianza o equazione tra "filosofia e politica", tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della praxis. Tutto è politica, anche la filosofia o le filosofie (confronta note sul carattere delle ideologie) e la sola "filosofia" è la storia in atto, cioè è la vita stessa. In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca -- e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell’egemonia fatta da Ilici è stata anche un grande avvenimento "metafisico".

 

Q8 §151

Cosa significa dire che una certa azione è "naturale", o che essa è invece "contro natura"? Ognuno, nel suo intimo, crede di sapere esattamente cosa ciò significa, ma se si domanda una risposta esplicita, si vede che la cosa non è poi così facile. Intanto occorre fissare che non si può parlare di "natura" come qualcosa di fisso e oggettivo; in questo caso "naturale" significa giusto e normale secondo la nostra attuale coscienza storica, che è poi la nostra "natura". Molte azioni che alla nostra coscienza appaiono contro natura, per altri sono naturali perché gli animali le compiono e non sono forse gli animali gli "esseri più naturali del mondo"?
Queste forme di ragionamento si sentono talvolta fare a proposito di problemi connessi ai rapporti sessuali. Perché l’incesto sarebbe "contro natura" se esso è comune nella "natura"? Intanto anche queste affermazioni sugli animali non sempre sono esatte, perché le osservazioni sono fatte su animali addomesticati dall’uomo per il suo utile e costretti a una forma di vita che per loro non è naturale, ma è secondo la volontà umana. Ma se anche ciò fosse vero, che valore avrebbe ciò per l’uomo? La natura dell’uomo è l’insieme dei rapporti sociali che determina una coscienza storicamente definita, e questa coscienza indica ciò che è "naturale" o no [ed esiste così una natura umana contraddittoria perché è l’insieme dei rapporti sociali]. Si parla di "seconda natura"; una certa abitudine è diventata una seconda natura; ma la "prima natura" sarà stata proprio "prima". Non c’è in questo modo di esprimersi del senso comune l’accenno alla storicità della natura umana?

 

Q16 §12

Cosa significa dire che una certa azione, un certo modo di vivere, un certo atteggiamento o costume sono "naturali" o che essi invece sono "contro natura"? Ognuno, nel suo intimo, crede di sapere esattamente cosa ciò significhi, ma se si domanda una risposta esplicita e motivata si vede che la cosa non è poi così facile come poteva sembrare. Occorre intanto fissare che non si può parlare di "natura" come di alcunché di fisso, immutabile e oggettivo. Ci si accorge che quasi sempre "naturale" significa "giusto e normale" secondo la nostra attuale coscienza storica, ma i più non hanno coscienza di questa attualità determinata storicamente e ritengono il loro modo di pensare eterno e immutabile. Si osserva presso alcuni gruppi fanatici della "naturalità" questa opinione: azioni che alla nostra coscienza appaiono "contro natura" sono per essi "naturali" perché compiute dagli animali; e non sono gli animali "gli esseri più naturali del mondo"? Questa opinione si sente espressa in certi ambienti frequentemente a proposito soprattutto di questioni connesse ai rapporti sessuali. Per esempio: perché l’incesto sarebbe "contro natura" se esso è diffuso nella "natura"? Intanto anche tali affermazioni sugli animali non sempre sono esatte, perché le osservazioni sono fatte su animali addomesticati dall’uomo per il suo utile e costretti a una forma di vita che per gli animali stessi non è "naturale" ma è conforme ai fini dell’uomo. Ma se fosse anche vero che certi atti si verificano tra gli animali, che significato avrebbe ciò per l’uomo? Perché dovrebbe derivarne una norma di condotta?

La "natura" dell’uomo è l’insieme dei rapporti sociali che determina una coscienza storicamente definita; questa coscienza solo può indicare ciò che è "naturale" o "contro natura". Inoltre: l’insieme dei rapporti sociali è contradditorio in ogni momento ed è in continuo svolgimento, sicché la "natura" dell’uomo non è qualcosa di omogeneo per tutti gli uomini in tutti i tempi. 

Si sente dire spesso che una certa abitudine è diventata una "seconda natura"; ma la "prima natura" sarà stata proprio la "prima"? In questo modo di esprimersi del senso comune non è implicito l’accenno alla storicità della "natura umana"?