Letteratura e Arte

(GP, 20 novembre 1915)

“[Francesco de Sanctis e Renato Serra] sono stati veramente maestri, come intendevano i greci, cioè mistagoghi, ma hanno iniziato ai misteri mostrando che questi misteri sono vane costruzioni di letterati, e che tutto è chiaro, limpido per chi ha l'occhio puro e vede la luce come colore e non come vibrazione di ioni ed elettroni. Essi sono collaboratori della poesia, lettori della poesia. Ogni loro saggio è una nuova luce che s'accende per noi. Ci sentiamo come assorbiti in un incanto. Il mondo che ci circonda non arriva più ai nostri sensi, non li stimola a reagire. Non esiste che l'opera d'arte, noi e il maestro che ci guida. La nostra umanità è tutta tesa al bello e solo questo sente. La presa di possesso è rapida, immediata. E' un uomo che si avvicina ad un altro uomo e lo sente rivivere in sé come tale e poi come creatore di bellezza.

La parola non è più elemento grammaticale, da casellare in regole e in ischemi libreschi; è un suono, è una nota di un periodo musicale che si snoda, si riprende, si amplia in volute leggere, aeree che ci conquistano lo spirito e lo fanno vibrare all'unisono con quello dell' autore. Le immagini vivono una loro vita propria, stimolano le nostre facoltà creative, agitano tutto il mondo delle nostre esperienze, destano echi lontani di cose passate che si rinnovano e si affermano vigorose nell'atto del nostro leggere. Noi vibriamo in tutte le fibre del nostro essere, ci sentiamo purificati da questa fusione con un altro essere che ci ha scossi, che ci ha fatto partecipare alla sua vita, che ci ha dato l'illusione di essere noi i creatori di quelle armonie, tanto le sentiamo nostre, e sentiamo che mai più cesseranno di far parte del nostro spirito

Dopo una di queste letture ci sentiamo stanchi, quasi sazi di bellezza. Ma il mago ci riprende nelle sue reti. Un suo nuovo scritto ci rinnova, ci libera da ogni ricordo del passato, ci riconduce puri ad un'altra sorgente e si ripete in noi, ormai scaltriti, l'esperienza nuova. E il nostro gusto si raffina, i nostri nervi pare si assottiglino per cogliere anche le minime vibrazioni. Sentiamo che anche da soli, senza il maestro, possiamo accostarci all'opera d'arte con più freschezza, con più sincerità. Quanti veli sono caduti, quanti idoli infranti, quanti valori rovesciati. Verità che prima non eravamo riusciti a comprendere, ora senza accorgercene ci salgono spontaneamente alle labbra.”

 

(AV, 22 marzo 1917)

“Il dramma, perché sia veramente tale, e non inutile iridescenza di parole, deve avere un contenuto morale, deve essere la rappresentazione di un urto necessario tra due mondi interiori, tra due concezioni, tra due vite morali. In quanto l'urto è necessario il dramma ha immediata presa sugli animi degli spettatori, e questi lo rivivono in tutta la sua integrità, in tutte le motivazioni da quelle più elementari a quelle più squisitamente storiche. E rivivendo il mondo interiore del dramma, ne rivivono anche l'arte, la forma artistica che a quel mondo ha dato vita concreta, che quel mondo ha concretato in una rappresentazione viva e sicura di individualità umane che soffrono, gioiscono, lottano per superare continuamente se stesse, per migliorare continuamente la tempra morale della propria personalità storica, attuale, immersa nella vita del mondo.”

 

Q4 §36

Criteri di giudizio "letterario". Un lavoro può essere pregevole: 1°) perché espone una nuova scoperta che fa progredire una determinata attività scientifica. Ma non solo l’"originalità" assoluta è un pregio. Può avvenire inoltre: 2°) che fatti ed argomenti già noti siano scelti e disposti secondo un criterio più adeguato di quelli precedenti. La struttura (l’ordine) di un lavoro scientifico può essere "originale". 3°) I fatti e gli argomenti già noti possono aver dato luogo a "nuove" considerazioni, subordinate ma tuttavia importanti. Ancora, il giudizio deve adeguarsi ai fini che un’opera si propone: di creazione e riorganizzazione scientifica, o di divulgazione dei fatti ed argomenti noti in un determinato gruppo culturale, di un determinato livello culturale ecc.: esiste una "tecnica" della divulgazione e se non esiste occorre crearla; la divulgazione è un fatto strettamente pratico, in cui bisogna giudicare la conformità al fine dei mezzi (tecnica nel senso più generale) adoperati. Ma anche la ricerca [e il giudizio] del fatto o dell’argomentazione "originale", ossia dell’"originalità" dei fatti (concetti-nessi di pensiero) e degli argomenti è molto difficile e complicata e domanda le più ampie cognizioni storiche. (…)
Si presentano i casi estremi: chi non trova che ci sia mai nulla di nuovo sotto il sole e che tutto il mondo è paese anche nel mondo delle idee e chi invece trova "originalità" a tutto spiano e pretende sia originale una rimasticatura per via della nuova saliva.

 

Q5 §54

Bisognerà fissare bene ciò che deve intendersi per "interessante" nell’arte in generale e specialmente nella letteratura narrativa e nel teatro. L’elemento "interessante" muta secondo gli individui o i gruppi sociali o la folla in generale: è quindi un elemento della cultura, non dell’arte, ecc. Ma è perciò un fatto completamente estraneo e separato dall’arte? Intanto l’arte stessa interessa, è interessante [cioè] per se stessa, in quanto soddisfa una esigenza della vita. Ancora: oltre questo carattere più intimo all’arte di essere interessante per se stessa, quali altri elementi di "interesse" può presentare un’opera d’arte, per esempio un romanzo o un poema o un dramma? Teoricamente infinito. Ma quelli che "interessano" non sono infiniti: sono precisamente solo gli elementi che si ritiene contribuiscano più direttamente alla "fortuna" immediata o mediata (in primo grado) del romanzo, del poema, del dramma. 

Un grammatico si può interessare ad un dramma di Pirandello perché vuol sapere quanti elementi lessicali, morfologici e sintattici di marca siciliana il Pirandello introduce o può introdurre nella lingua italiana letteraria: ecco un elemento "interessante" che non contribuirà molto alla diffusione del dramma in parola. I "metri barbari" del Carducci erano un elemento "interessante" per una cerchia più vasta, per la corporazione dei letterati di professione, e per quelli che intendevano diventarlo: furono dunque un elemento di "fortuna" immediata già notevole, contribuirono a diffondere qualche migliaia di copie dei versi scritti in metri barbari. 

Questi elementi "interessanti" variano secondo i tempi, i climi culturali e secondo le idiosincrasie personali. L’elemento più stabile di "interesse" è certamente l’interesse "morale" positivo o negativo, cioè per adesione o per contraddizione: "stabile" in un certo senso, cioè nel senso della "categoria morale", non del contenuto concreto morale. Strettamente legato a questo è l’elemento "tecnico" in un certo senso particolare, cioè "tecnico" come modo di far capire nel modo più immediato e più drammatico il contenuto morale, il contrasto morale del romanzo, del poema, del dramma: così abbiamo nel dramma i "colpi" di scena, nel romanzo l’"intrigo" prevalente, ecc. 

Tutti questi elementi non sono necessariamente "artistici", ma non sono neanche necessariamente non artistici. Dal punto di vista dell’arte essi sono in un certo senso "indifferenti", cioè extra-artistici: sono dati di storia della cultura e da questo punto di vista devono essere valutati. Che ciò avvenga, che così sia, è appunto provato dalla così detta letteratura mercantile, che è una sezione della letteratura popolare-nazionale: il carattere "mercantile" è dato dal fatto che l’elemento "interessante" non è "ingenuo", "spontaneo", intimamente fuso nella concezione artistica, ma ricercato dall’esterno, meccanicamente, dosato industrialmente come elemento certo di "fortuna" immediata. Ciò significa, in ogni caso, però, che anche la letteratura commerciale non dev’essere trascurata nella storia della cultura: essa anzi ha un valore grandissimo proprio da questo punto di vista, perché il successo di un libro di letteratura commerciale indica (e spesso è il solo indicatore esistente) quale sia la "filosofia dell’epoca", cioè quale massa di sentimenti [e di concezioni del mondo] predomini nella moltitudine "silenziosa". 

Questa letteratura è uno "stupefacente" popolare, è un "oppio". (Da questo punto di vista si potrebbe fare un’analisi del Conte di Montecristo di A. Dumas, che è forse il più "oppiaceo" dei romanzi popolari: quale uomo del popolo non crede di aver subito un’ingiustizia dai potenti e non fantastica sulla "punizione" da infliggere loro? Edmondo Dantès gli offre il modello, lo "ubbriaca" di esaltazione, sostituisce il credo di una giustizia trascendente in cui non crede più "sistematicamente"). 

 

Q6 §38

C’è dunque distacco tra scrittori e pubblico e il pubblico cerca la sua letteratura all’estero, e la sente più sua di quella nazionale. Questo è il problema. Perché se è vero che ogni secolo o frazione di secolo ha la sua letteratura non è sempre vero che questa letteratura si ritrovi nella stessa comunità nazionale: ogni popolo ha la sua letteratura ma questa può venirgli da un altro popolo, cioè il popolo in parola può essere subordinato all’egemonia intellettuale di altri popoli. Questo è spesso il paradosso più stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che, mentre fanno grandi piani di loro egemonie, non si accorgono di essere soggetti ad egemonie straniere, così come, mentre fanno piani imperialistici, in realtà sono oggetto di altri imperialismi, ecc. D’altronde non si sa se il centro dirigente politico non capisca benissimo la situazione di fatto e per accontentare i cervelli vuoti esalti il proprio imperialismo per non far sentire quello a cui si è soggetti di fatto.

 

Q6 §62

Il De Sanctis in qualche parte scrive che egli, prima di scrivere un saggio o fare una lezione su un canto di Dante, per esempio, leggeva parecchie volte ad alta voce il canto, lo studiava a memoria ecc. ecc. Ciò si ricorda per sostenere l’osservazione che l’elemento artistico di un’opera non può essere, eccettuate rare occasioni (e si vedrà quali), gustato a prima lettura, spesso neppure dai grandi specialisti come era il De Sanctis. La prima lettura dà solo la possibilità di introdursi nel mondo culturale e sentimentale dello scrittore, e neanche questo è sempre vero, specialmente per gli scrittori non contemporanei, il cui mondo culturale e sentimentale è diverso dall’attuale: una poesia di un cannibale sulla gioia di un lauto banchetto di carne umana, può essere concepita come bella, e domandare per essere artisticamente gustata, senza pregiudizi "extraestetici", un certo distacco psicologico dalla cultura odierna. 

Ma l’opera d’arte contiene anche altri elementi "storicistici" oltre al determinato mondo culturale e sentimentale, ed è il linguaggio, inteso non solo come espressione puramente verbale, quale può essere fotografato in un certo tempo e luogo dalla grammatica, ma come un insieme di immagini e modi di esprimersi che non rientrano nella grammatica. Questi elementi appaiono più chiaramente nelle altre arti. La lingua giapponese appare subito diversa dalla lingua italiana, non così il linguaggio della pittura, della musica e delle arti figurative in genere: eppure esistono anche queste differenze di linguaggio ed esse sono tanto più appariscenti quanto più dalle manifestazioni artistiche degli artisti si scende alle manifestazioni artistiche del folklore in cui il linguaggio di queste arti è ridotto all’elemento più autoctono e primordiale (ricordare l’aneddoto del disegnatore che fa il profilo di un negro e gli altri negri scherniscono il ritrattato perché il pittore gli ha riprodotto "solo mezza faccia". 

Esiste però, dal punto di vista culturale e storico, una grande differenza tra l’espressione linguistica della parola scritta e parlata e le espressioni linguistiche delle altre arti. Il linguaggio "letterario" è strettamente legato alla vita delle moltitudini nazionali e si sviluppa lentamente e solo molecolarmente; se si può dire che ogni gruppo sociale ha una sua "lingua", tuttavia occorre notare (salvo rare eccezioni) che tra la lingua popolare e quella delle classi colte c’è una continua aderenza e un continuo scambio. Ciò non avviene per i linguaggi delle altre arti, per i quali, si può notare che attualmente si verificano due ordini di fenomeni: 

1) in essi sono sempre vivi, per lo meno in quantità enormemente maggiore che per la lingua letteraria, gli elementi espressivi del passato, si può dire di tutto il passato;

2) in essi si forma rapidamente una lingua cosmopolita che assorbe gli elementi tecnico-espressivi di tutte le nazioni che volta per volta producono grandi pittori, scrittori, musicisti, ecc. 

Wagner ha dato alla musica elementi linguistici che tutta la letteratura tedesca non ha dato in tutta la sua storia, ecc. Ciò avviene perché il popolo partecipa scarsamente alla produzione di questi linguaggi, che sono propri di una élite internazionale ecc., mentre può abbastanza rapidamente (e come collettività, non come singoli) giungere alla loro comprensione. Tutto ciò per indicare che realmente il "gusto" puramente estetico, se può chiamarsi primario come forma e attività dello spirito, non è tale praticamente, in senso cronologico, cioè. 

È stato detto da taluno (per esempio da Prezzolini, nel volumetto Mi pare...) che il teatro non può dirsi un’arte ma uno svago di carattere meccanicistico. Ciò perché gli spettatori non possono gustare esteticamente il dramma rappresentato, ma si interessano solo all’intrigo ecc. (o qualcosa di simile). L’osservazione è falsa nel senso che, nella rappresentazione teatrale, l’elemento artistico non è dato solo dal dramma nel senso letterario, il creatore non è solo lo scrittore: l’autore interviene nella rappresentazione teatrale con le parole e con le didascalie che limitano l’arbitrio dell’attore e del régisseur, ma realmente nella rappresentazione l’elemento letterario diventa occasione a nuove creazioni artistiche, che da complementari e critico-interpretative stanno diventando sempre più importanti: l’interpretazione dell’autore singolo e il complesso scenico creato dal régisseur. È giusto però che solo la lettura ripetuta può far gustare il dramma così come l’autore l’ha prodotto. 

La conclusione è questa: un’opera d’arte è tanto più "artisticamente" popolare quanto più il suo contenuto morale, culturale, sentimentale è aderente alla moralità, alla cultura, ai sentimenti nazionali, e non intesi come qualcosa di statico, ma come un’attività in continuo sviluppo. L’immediata presa di contatto tra lettore e scrittore avviene quando nel lettore l’unità di contenuto e forma ha la premessa di unità del mondo poetico e sentimentale: altrimenti il lettore deve incominciare a tradurre la "lingua" del contenuto nella sua propria lingua: si può dire che si forma la situazione come di uno che ha imparato l’inglese in un corso accelerato Berlitz e poi legge Shakespeare; la fatica della comprensione letterale, ottenuta con il continuo sussidio di un mediocre dizionario, riduce la lettura a un esercizio scolastico pedantesco e nulla più.

 

Q7 §7

La metafora dell’ostetrica e quella di Michelangelo. La metafora dell’ostetrica che aiuta, coi ferri, il neonato a nascere dall’alvo materno e il principio espresso da Michelangelo nei versi: "Non ha l’ottimo artista alcun concetto -- che un marmo solo in sé non circoscriva -- col suo soverchio e solo a quello arriva -- la mano che obbedisce all’intelletto". Togliere il soverchio di marmo che nasconde la figura concepita dall’artista a gran colpi di martello sul blocco corrisponde all’operazione dell’ostetrica che trae alla luce il neonato squarciando il seno materno.

 

Q8 §122

Uno degli atteggiamenti più caratteristici del pubblico popolare verso la sua letteratura è questo: non importa il nome e la personalità dell’autore, ma la persona del protagonista. Gli eroi della letteratura popolare, quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale popolare, si staccano dalla loro origine "letteraria" e acquistano la validità del personaggio storico. Tutta la loro vita interessa, dalla nascita alla morte, e ciò spiega la fortuna delle "continuazioni", anche se artefatte: cioè può avvenire che il primo creatore del tipo, nel suo lavoro, faccia morire l’eroe e il "continuatore" lo faccia rivivere, con grande soddisfazione del pubblico che si appassiona nuovamente, e rinnova l’immagine prolungandola col nuovo materiale che gli è stato offerto. Non bisogna intendere "personaggio storico" in senso letterale, sebbene anche questo avvenga, che dei lettori popolari non sappiano più distinguere tra mondo effettuale della storia passata e mondo fantastico e discutano sui personaggi romanzeschi come farebbero su quelli che hanno vissuto, ma in un modo traslato, per comprendere che il mondo fantastico acquista nella vita intellettuale popolare una concretezza fiabesca particolare. Così avviene per esempio che avvengano delle contaminazioni tra romanzi diversi, perché i personaggi si rassomigliano: il raccontatore popolare unisce in un solo eroe le avventure dei vari eroi ed è persuaso che così debba essere fatto per essere "intelligenti".

 

Q8 §145

Cosa deve interessare di più un artista, il consenso all’opera sua della "nazione" o quello degli "spiriti eletti"? Ma può esserci separazione tra "spiriti eletti" e "nazione"? Il fatto che la quistione sia stata posta e si continui a porre in questi termini, mostra per se stesso una situazione determinata storicamente di distacco tra intellettuali e nazione. Quali sono poi gli "spiriti" riputati "eletti"? Ogni scrittore o artista ha i suoi "spiriti eletti", cioè si ha la realtà di una disgregazione degli intellettuali in combriccole e sette di "spiriti eletti", disgregazione che appunto dipende dalla non aderenza alla nazione-popolo, dal fatto che il "contenuto" sentimentale dell’arte, il mondo culturale è astratto dalle correnti profonde della vita popolare-nazionale, che essa stessa rimane disgregata e senza espressione. Ogni movimento intellettuale diventa o ridiventa nazionale se si è verificata una "andata al popolo", se si è avuta una fase "Riforma" e non solo una fase "Rinascimento" e se le fasi "Riforma-Rinascimento" si susseguono organicamente e non coincidono con fasi storiche distinte (come in Italia, in cui tra il movimento comunale [- riforma -] e quello del Rinascimento c’è stato un iato storico dal punto di vista della partecipazione popolare alla vita pubblica). Anche se si dovesse cominciare con lo scrivere "romanzi d’appendice" e versi da melodramma, senza un periodo di andata al popolo non c’è "Rinascimento" e non c’è letteratura nazionale.

 

Q9 §121

Ho accennato altrove all’importanza culturale che in ogni paese hanno avuto i grandi genii (come Shakespeare per l’Inghilterra, Dante per l’Italia, Goethe per la Germania). Di essi, che siano operanti anche oggi, o che abbiano operato fino all’avantiguerra, solo due: Shakespeare e Goethe, specialmente quest’ultimo, per la singolarità della sua figura. Si è affermato che l’ufficio di queste grandi figure è quello d’insegnare come filosofi quello che dobbiamo credere, come poeti quello che dobbiamo intuire (sentire), come uomini quello che dobbiamo fare. Ma quanti possono rientrare in questa definizione? Non Dante, per la sua lontananza nel tempo, e per il periodo che esprime, il passaggio del Medio Evo all’età moderna. Solo Goethe è sempre di una certa attualità, perché egli esprime in forma serena e classica ciò che nel Leopardi, per esempio, è ancora torbido romanticismo: la fiducia nell’attività creatrice dell’uomo, in una natura vista non come nemica e antagonista, ma come una forza da conoscere e dominare, con l’abbandono senza rimpianto e disperazione delle "favole antiche" di cui si conserva il profumo di poesia, che le rende ancor più morte come credenze e fedi.

 

Q15 §38

Il concetto che l’arte è arte e non propaganda politica "voluta" e proposta, è poi, in se stesso, un ostacolo alla formazione di determinate correnti culturali che siano il riflesso del loro tempo e che contribuiscano a rafforzare determinate correnti politiche? Non pare, anzi pare che tale concetto ponga il problema in termini più radicali e di una critica più efficiente e conclusiva. Posto il principio che nell’opera d’arte sia solamente da ricercare il carattere artistico, non è per nulla esclusa la ricerca di quale massa di sentimenti, di quale atteggiamento verso la vita circoli nell’opera d’arte stessa. Anzi che ciò sia ammesso dalle moderne correnti estetiche si vede nel De Sanctis e nello stesso Croce. Ciò che si esclude è che un’opera sia bella per il suo contenuto morale e politico e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato. Ancora si ricerca se un’opera d’arte non sia fallita perché l’autore sia stato deviato da preoccupazioni pratiche esteriori, cioè posticce e insincere.

Questo pare il punto cruciale della polemica: Tizio "vuole" esprimere artificiosamente un determinato contenuto e non fa opera d’arte. Il fallimento artistico dell’opera d’arte data (poiché Tizio ha dimostrato di essere artista in altre opere da lui realmente sentite e vissute) dimostra che quel tale contenuto in Tizio è materia sorda e ribelle, che l’entusiasmo di Tizio è fittizio e voluto esteriormente, che Tizio in realtà non è, in quel determinato caso, artista, ma servo che vuol piacere ai padroni. Ci sono dunque due serie di fatti: uno di carattere estetico, o di arte pura, l’altro di politica culturale (cioè di politica senz’altro). Il fatto che si giunge a negare il carattere artistico di un’opera può servire al critico politico come tale per dimostrare che Tizio come artista non appartiene a quel determinato mondo politico, e poiché la sua personalità  è prevalentemente artistica, che nella sua vita intima e più sua, quel determinato mondo non opera, non esiste: Tizio pertanto è un commediante della politica, vuol far credere di essere ciò che non è ecc. ecc. Il critico politico dunque denuncia Tizio, non come artista, ma come "opportunista politico".

Che l’uomo politico faccia una pressione perché l’arte del suo tempo esprima un determinato mondo culturale è attività politica, non di critica artistica: se il mondo culturale per il quale si lotta è un fatto vivente e necessario, la sua espansività  sarà  irresistibile, esso troverà  i suoi artisti. Ma se nonostante la pressione, questa irresistibilità non si vede e non opera, significa che si trattava di un mondo fittizio e posticcio, elucubrazione cartacea di mediocri che si lamentano che gli uomini di maggior statura non siano d’accordo con loro.  Lo stesso modo di porre la quistione può essere un indizio della saldezza di un tal mondo morale e culturale: e infatti il così detto "calligrafismo" non è che la difesa di piccoli artisti che opportunisticamente affermano certi principii ma si sentono incapaci di esprimerli artisticamente cioè nell’attività  loro propria e allora vaneggiano di pura forma che è il suo stesso contenuto ecc. ecc. Il principio formale della distinzione delle categorie spirituali e della loro unità di circolazione, pur nel suo astrattismo, permette di cogliere la realtà  effettuale e di criticare l’arbitrarietà  e la pseudovita di chi non vuole giocare a carte scoperte o è semplicemente un mediocre che è stato dal caso posto a un luogo di comando.

 

Q21 §1

L’arte è sempre legata a una determinata cultura o civiltà, e che lottando per riformare la cultura si giunge a modificare il "contenuto" dell’arte, si lavora a creare una nuova arte, non dall’esterno (pretendendo un’arte didascalica, a tesi, moralistica), ma dall’intimo, perché si modifica tutto l’uomo in quanto si modificano i suoi sentimenti, le sue concezioni e i rapporti di cui l’uomo è l’espressione necessaria.

 

Q21 §4

Quistione del perché e del come una letteratura sia popolare. La "bellezza" non basta: ci vuole un determinato contenuto intellettuale e morale che sia l’espressione elaborata e compiuta delle aspirazioni più profonde di un determinato pubblico, cioè della nazione-popolo in una certa fase del suo sviluppo storico. La letteratura deve essere nello stesso tempo elemento attuale di civiltà e opera d’arte, altrimenti alla letteratura d’arte viene preferita la letteratura d’appendice che, a modo suo, è un elemento attuale di cultura, di una cultura degradata quanto si vuole ma sentita vivamente.

 

Q21 §5

Gli intellettuali non escono dal popolo, anche se accidentalmente qualcuno di essi è d’origine popolana, non si sentono legati ad esso (a parte la retorica), non ne conoscono e non ne sentono i bisogni, le aspirazioni, i sentimenti diffusi, ma, nei confronti del popolo, sono qualcosa di staccato, di campato in aria, una casta, cioè, e non un’articolazione, con funzioni organiche, del popolo stesso. La quistione deve essere estesa a tutta la cultura nazionale-popolare e non ristretta alla sola letteratura narrativa: le stesse cose si devono dire del teatro, della letteratura scientifica in generale (scienze della natura, storia ecc.). […]

In assenza di una sua letteratura "moderna", alcuni strati del popolo minuto soddisfano in vari modi le esigenze intellettuali e artistiche che pur esistono, sia pure in forma elementare ed incondita: diffusione del romanzo cavalleresco medioevale - Reali di Francia, Guerino detto il Meschino ecc. - specialmente nell’Italia meridionale e nelle montagne; I Maggi in Toscana (gli argomenti rappresentati dai Maggi sono tratti dai libri, novelle e specialmente da leggende divenute popolari, come la Pia dei Tolomei; esistono varie pubblicazioni sui Maggi e sul loro repertorio). I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori della intellettualità e della coscienza morale del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno "umanesimo" capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti, come era necessario dal punto di vista nazionale, per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino, astratto, troppo individualistico o di casta. […] Ma se i laici hanno fallito, i cattolici non hanno avuto miglior successo. Non bisogna lasciarsi illudere dalla discreta diffusione che hanno certi libri cattolici: essa è dovuta alla vasta e potente organizzazione della chiesa, non ad una intima forza di espansività: i libri vengono regalati nelle cerimonie numerosissime e vengono letti per castigo, per imposizione o per disperazione. Colpisce il fatto che nel campo della letteratura avventurosa i cattolici non abbiano saputo esprimere che meschinerie: eppure essi hanno una sorgente di prim’ordine nei viaggi e nella vita movimentata e spesso arrischiata dei missionari.

 

Q21 §13

Il problema: perché è diffusa la letteratura poliziesca? è un aspetto particolare del problema più generale: perché è diffusa la letteratura non-artistica? Per ragioni pratiche e culturali (politiche e morali), indubbiamente: e questa risposta generica è la più precisa, nei suoi limiti approssimativi. Ma anche la letteratura artistica non si diffonde anch’essa per ragioni pratiche e politico-morali e solo mediatamente per ragioni di gusto artistico, di ricerca e godimento della bellezza? In realtà si legge un libro per impulsi pratici (e occorre ricercare perché certi impulsi si generalizzino più di altri) e si rilegge per ragioni artistiche. L’emozione estetica non è quasi mai di prima lettura.  

Ciò si verifica ancor di più nel teatro, in cui l’emozione estetica è una "percentuale" minima dell’interesse dello spettatore, perché nella scena giocano altri elementi, molti dei quali non sono neppure d’ordine intellettuale, ma di ordine meramente fisiologico, come il "sex-appeal", ecc. In altri casi l’emozione estetica nel teatro non è originata dall’opera letteraria, ma dall’interpretazione degli attori e del regista: in questi casi occorre però che il testo letterario del dramma che dà  il pretesto all’interpretazione non sia "difficile" e ricercato psicologicamente, ma invece "elementare e popolare" nel senso che le passioni rappresentate siano le più profondamente "umane" e di immediata esperienza (vendetta, onore, amore materno, ecc.) e quindi l’analisi si complica anche in questi casi. […]

La più grande avventura, la più grande "utopia" che l’umanità  ha creato collettivamente, la religione, non è un modo di evadere dal "mondo terreno"? E non è in questo senso che Balzac parla del lotto come di oppio della miseria, frase ripresa poi da altri? […]. Ma il più notevole è che accanto a Don Chisciotte esiste Sancho Panza, che non vuole "avventure", ma certezza di vita e che il gran numero degli uomini è tormentato proprio dall’ossessione della non "prevedibilità del domani", dalla precarietà  della propria vita quotidiana, cioè da un eccesso di "avventure" probabili.  Nel mondo moderno la quistione si colorisce diversamente che nel passato per ciò che la razionalizzazione coercitiva dell’esistenza colpisce sempre più le classi medie e intellettuali, in una misura inaudita; ma anche per esse si tratta non di decadenza dell’avventura, ma di troppa avventurosità della vita quotidiana, cioè di troppa precarietà nell’esistenza, unita alla persuasione che contro tale precarietà non c’è modo individuale di arginamento: quindi si aspira all’avventura "bella" e interessante, perché dovuta alla propria iniziativa libera, contro l’avventura "brutta" e rivoltante, perché dovuta alle condizioni imposte da altri e non proposte. […]

Il fenomeno è vecchio almeno come la religione, ed è poliedrico, non unilaterale: ha anche un aspetto positivo, cioè il desiderio di "educarsi" conoscendo un modo di vita che si ritiene superiore al proprio, il desiderio di innalzare la propria personalità proponendosi modelli ideali […], il desiderio di conoscere più mondo e più uomini di quanto sia possibile in certe condizioni di vita, lo snobismo ecc. ecc.

 

Q23 §6

Che si debba parlare, per essere esatti, di lotta per una "nuova cultura" e non per una "nuova arte" (in senso immediato) pare evidente. Forse non si può neanche dire, per essere esatti, che si lotta per un nuovo contenuto dell’arte, perché questo non può essere pensato astrattamente, separato dalla forma. Lottare per una nuova arte significherebbe lottare per creare nuovi artisti individuali, ciò che è assurdo, poiché non si possono creare artificiosamente gli artisti. Si deve parlare di lotta per una nuova cultura, cioè per una nuova vita morale che non può non essere intimamente legata a una nuova intuizione della vita, fino a che essa diventi un nuovo modo di sentire e di vedere la realtà  e quindi mondo intimamente connaturato con gli "artisti possibili" e con le "opere d’arte possibili".   Che non si possa artificiosamente creare degli artisti individuali non significa quindi che il nuovo mondo culturale, per cui si lotta, suscitando passioni e calore di umanità, non susciti necessariamente "nuovi artisti"; non si può, cioè, dire che Tizio e Caio diventeranno artisti, ma si può affermare che dal movimento nasceranno nuovi artisti. Un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo intimo personalità  che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente in un certo senso. Così non si può dire che si formerà una nuova "aura poetica", secondo una frase che è stata di moda qualche anno fa. L’"aura poetica" è solo una metafora per esprimere l’insieme degli artisti già formatisi e rivelatisi o almeno il processo iniziato e già consolidato di formazione e rivelazione.