CF
“Le diserzioni dal socialismo di molti cosiddetti intellettuali
(a proposito: intellettuale vuol sempre dire intelligente?) sono
diventate per gli sciocchi la miglior prova della povertà morale
della nostra idea. Il fatto è che fenomeni simili sono avvenuti
e avvengono per il positivismo, per il nazionalismo, per il
futurismo, e per tutti gli altri ismi. Ci sono i crisaioli, le
animucce sempre in cerca di un punto fermo, che si buttano sulla
prima idea che si presenti con l'apparenza di poter diventare un
ideale e se ne nutrono fino a quando dura lo sforzo per
impossessarsene. Quando si è arrivati alla fine dello sforzo e
ci si accorge (ma questo è effetto della poca profondità
spirituale, del poco ingegno, in fondo) che essa non basta a
tutto, che ci sono problemi la cui soluzione (se pur esiste) è
fuori di quella ideologia (ma forse è ad essa coordinata in un
piano superiore), ci si butta su qualche altra cosa che sia una
verità, che rappresenti ancora un incognito e quindi presenti
probabilità di soddisfazioni nuove. Gli uomini cercano sempre
fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali; non
vogliono convincersi che la causa ne è sempre e solo la loro
animuccia, la loro mancanza di carattere e di intelligenza. Ci
sono i dilettanti della fede, così come i dilettanti del
sapere.”
CF
“Preferisco che al movimento si accosti un contadino più che un
professore d'università. Solo che il contadino dovrebbe cercare
di farsi tanta esperienza e tanta larghezza di mente quanta ne
può avere un professore d'università, per non rendere sterile la
sua azione e il possibile suo sacrificio.”
SO, gennaio 1930
“1° In ogni paese lo strato degli intellettuali è stato radicalmente modificato dallo sviluppo del capitalismo. Il vecchio tipo dell'intellettuale era l'elemento organizzativo di una società a base contadina e artigiana prevalentemente; per organizzare lo Stato, per organizzare il commercio la classe dominante allevava un particolare tipo di intellettuale. L'industria ha introdotto un nuovo tipo di intellettuale; l'organizzatore tecnico, lo specialista della scienza applicata. Nelle società, dove le forze economiche si sono sviluppate in senso capitalistico, fino ad assorbire la maggior parte dell'attività nazionale, è questo secondo tipo di intellettuale che ha prevalso, con tutte le sue caratteristiche di ordine e disciplina intellettuale. Nei paesi invece dove l'agricoltura esercita un ruolo ancora notevole o addirittura preponderante, è rimasto in prevalenza il vecchio tipo, che dà la massima parte del personale statale e che anche localmente, nel villaggio e nel borgo rurale, esercita la funzione di intermediario tra il contadino e l'Amministrazione in generale. Nell'Italia meridionale predomina questo tipo, con tutte le sue caratteristiche: democratico nella faccia contadina, reazionario nella faccia rivolta verso il grande proprietario e il governo, politicante, corrotto, sleale; non si comprenderebbe la figura tradizionale dei Partiti politici meridionali, se non si tenesse conto dei caratteri di questo strato sociale.
2° L'intellettuale meridionale esce prevalentemente da un ceto che nel Mezzogiorno è ancora notevole: il borghese rurale, cioè il piccolo e medio proprietario di terre che non è contadino, che non lavora la terra, che si vergognerebbe di fare l'agricoltore, ma che dalla poca terra che ha, data in affitto o a mezzadria semplice, vuol ricavare: di che vivere convenientemente, di che mandare all'università o in seminario i figlioli, di che far la dote alle figlie che devono sposare un ufficiale o un funzionario civile dello Stato. Da questo ceto gli intellettuali ricevono un'aspra avversione per il contadino lavoratore, considerato come macchina da lavoro che deve essere smunta fino all'osso e che può essere sostituita facilmente data la superpopolazione lavoratrice: ricavano anche il sentimento atavico e istintivo della folle paura del contadino e delle sue violenze distruggitrici e quindi un abito di ipocrisia raffinata e una raffinatissima arte di ingannare e addomesticare le masse contadine.
3° Poiché al gruppo sociale degli intellettuali appartiene il clero, occorre notare la diversità di caratteristiche tra il clero meridionale nel suo complesso e il clero settentrionale. Il prete settentrionale comunemente è il figlio di un artigiano o di un contadino; ha sentimenti democratici, è più legato alla massa dei contadini; moralmente è più corretto del prete meridionale, il quale spesso convive quasi apertamente con una donna, e perciò esercita un ufficio spirituale più completo socialmente, cioè è un dirigente di tutta l'attività di una famiglia. Nel Settentrione la separazione della chiesa dallo stato e l'espropriazione dei beni ecclesiastici è stata più radicale che nel Mezzogiorno, dove le parrocchie e i conventi o hanno conservato o hanno ricostituito notevoli proprietà immobiliari e mobiliari. Nel Mezzogiorno il prete si presenta al contadino: 1° come un amministratore di terre col quale il contadino entra in conflitto per la quistione degli affitti; 2° come un usuraio che domanda elevatissimi tassi di interesse e fa giocare l'elemento religioso per riscuotere sicuramente o l'affitto o l'usura; 3° come un uomo sottoposto alle passioni comuni (donne e danaro) e che pertanto spiritualmente non dà affidamento di discrezione e di imparzialità. La confessione esercita perciò uno scarsissimo ufficio dirigente e il contadino meridionale, se spesso è superstizioso in senso pagano, non è clericale. Tutto questo complesso spiega il perché nel Mezzogiorno il Partito Popolare (eccettuata qualche zona della Sicilia) non abbia una posizione notevole, non possieda nessuna rete di istituzioni e di organizzazioni di massa. L'atteggiamento del contadino verso il clero è riassunto nel detto popolare: «Il prete è prete sull'altare; fuori è un uomo come tutti gli altri».
Il contadino meridionale è legato al grande proprietario
terriero per il tramite dell'intellettuale. I movimenti dei
contadini, in quanto si riassumono non in organizzazioni di
massa autonome e indipendenti sia pure formalmente (cioè capaci
di selezionare quadri contadini di origine contadina e di
registrare e accumulare le differenziazioni e i progressi che
nel movimento si realizzano), finiscono col sistemarsi sempre
nelle ordinarie articolazioni dell'apparato statale - Comuni,
Province, Camera dei Deputati - attraverso composizioni e
scomposizioni dei Partiti locali, il cui personale è costituito
di intellettuali, ma che sono controllati dai grandi proprietari
e dai loro uomini di fiducia, come Salandra, Orlando, Di
Cesarò.”
SO, gennaio 1930)
“Il proletariato, come classe, è povero di elementi
organizzativi, non ha e non può formarsi un proprio strato di
intellettuali che molto lentamente, molto faticosamente e solo
dopo la conquista del potere statale. Ma è anche importante e
utile che nella massa degli intellettuali si determini una
frattura di carattere organico, storicamente caratterizzata: che
si formi, come formazione di massa, una tendenza di sinistra,
nel significato moderno della parola, cioè orientata verso il
proletariato rivoluzionario. L'alleanza tra proletariato e masse
contadine esige questa formazione: tanto più la esige l'alleanza
tra il proletariato e le masse contadine del Mezzogiorno. Il
proletariato distruggerà il blocco agrario meridionale nella
misura in cui riuscirà, attraverso il suo Partito, ad
organizzare in formazioni autonome e indipendenti, sempre più
notevoli masse di contadini poveri; ma riuscirà in misura più o
meno larga in tale suo compito obbligatorio anche
subordinatamente alla sua capacità di disgregare il blocco
intellettuale che è l'armatura flessibile ma resistentissima del
blocco agrario. ”
Q 1 § 43
Anche l'intellettuale è un "professionista" che ha le sue "macchine" specializzate e il suo "tirocinio", che ha un suo sistema Taylor. E' illusorio attribuire a tutti questa capacità "acquisita" e non innata. E' illusorio pensare che una "idea chiara" opportunamente diffusa si inserisca nelle diverse coscienze con gli stessi effetti "organizzatori" di chiarezza diffusa. E' un errore "illuministico". La capacità dell'intellettuale di professione di combinare abilmente l'induzione e la deduzione, di generalizzare, di dedurre, di trasportare da una sfera a un'altra un criterio di discriminazione, adattandolo alle nuove condizioni, ecc. è una "specialità", non è un dato del "senso comune". Ecco dunque che non basta la premessa della "diffusione organica da un centro omogeneo di un modo di pensare e di operare omogeneo". Lo stesso raggio luminoso passa per prismi diversi e dà rifrazioni di luce diverse: se si vuole la stessa rifrazione occorre tutta una serie di rettificazioni dei singoli prismi. La "ripetizione" paziente e sistematica è il principio metodico fondamentale. Ma la ripetizione non meccanica, materiale: l'adattamento di ogni principio alle diverse peculiarità, il presentarlo e ripresentarlo in tutti i suoi aspetti positivi e nelle sue negazioni tradizionali, organizzando sempre ogni aspetto parziale nella totalità…
Per intellettuali occorre intendere non [solo] quei ceti comunemente intesi con questa denominazione, ma in generale tutta la massa sociale che esercita funzioni organizzative in senso lato, sia nel campo della produzione, sia nel campo della cultura, sia nel campo amministrativo-politico: corrispondono ai sott'ufficiali e agli ufficiali subalterni nell'esercito (e anche a una parte degli ufficiali superiori con esclusione degli stati maggiori nel senso più ristretto della parola).
Per analizzare le funzioni sociali degli intellettuali occorre
ricercare ed esaminare il loro atteggiamento psicologico verso
le grandi classi che essi mettono a contatto nei diversi campi:
hanno atteggiamento "paternalistico" verso le classi
strumentali? o "credono" di esserne una espressione organica?
hanno atteggiamento "servile" verso le classi dirigenti o si
credono essi stessi dirigenti, parte integrante delle classi
dirigenti?
Q 1 § 44
Non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma ogni
classe ha i suoi intellettuali; però gli intellettuali della
classe storicamente progressiva esercitano un tale potere di
attrazione, che finiscono, in ultima analisi, col subordinarsi
gli intellettuali delle altre classi e col creare l'ambiente di
una solidarietà di tutti gli intellettuali con legami di
carattere psicologico (vanità ecc.) e spesso di casta
(tecnico-giuridici, corporativi).
Questo fenomeno si verifica "spontaneamente" nei periodi in cui quella determinata classe è realmente progressiva, cioè fa avanzare l'intera società, soddisfacendo alle sue esigenze esistenziali non solo, ma ampliando continuamente i suoi quadri per una continua presa di possesso di nuove sfere di attività industriale-produttiva. Quando la classe dominante ha esaurito la sua funzione, il blocco ideologico tende a sgretolarsi e allora alla "spontaneità" succede la "costrizione" in forme sempre meno larvate e indirette, fino alle misure vere e proprie di polizia e ai colpi di Stato.
Q 4 § 33
Passaggio dal sapere al comprendere al sentire e viceversa dal sentire al comprendere al sapere.
L’elemento popolare "sente", ma non comprende né sa; l’elemento intellettuale "sa" ma non comprende e specialmente non sente. I due estremi sono dunque la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, tutt’altro: la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo o la demagogia appassionata. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato, cioè che l’intellettuale possa esser tale se distinto e staccato dal popolo: non si fa storia politica senza passione, cioè senza essere sentimentalmente uniti al popolo, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole, cioè spiegandole [e giustificandole] nella determinata situazione storica e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, cioè a una superiore concezione del mondo, scientificamente elaborata, il "sapere".
Se l’intellettuale non comprende e non sente, i suoi rapporti
col popolo-massa sono o si riducono a puramente burocratici,
formali: gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio
(centralismo organico): se il rapporto tra intellettuali e
popolo-massa, tra dirigenti e diretti, tra governanti e
governati, è dato da una adesione organica in cui il sentimento
passione diventa comprensione e quindi sapere (non
meccanicamente, ma in modo vivente), allora solo il rapporto è
di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali
tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si
realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea
il "blocco storico".
Q 4 § 49
Prima quistione: gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria di intellettuali? Il problema è complesso per le varie forme che ha assunto finora il processo storico di formazione delle diverse categorie intellettuali. Le più importanti di queste forme sono due:
1) Ogni gruppo sociale, nascendo sulla base originaria di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, crea insieme, organicamente, un ceto o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione nel campo economico: l’imprenditore capitalista crea con sé l’economista, lo scienziato dell’economia politica. Inoltre c’è il fatto che ogni imprenditore è anche un intellettuale, nel senso che deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nel campo economico in senso stretto, anche in altri campi, almeno in quelli più vicini alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse di uomini, deve essere un organizzatore della "fiducia" dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce, ecc.); se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità tecnica (di ordine intellettuale) di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi fino allo Stato, per avere le condizioni più favorevoli all’espansione del proprio gruppo, o per lo meno la capacità di scegliere i "commessi" specializzati in questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni all’impresa. Anche i signori feudali erano detentori di una particolare forma di capacità: quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnica militare che si inizia la crisi del feudalismo.
2) Ma ogni gruppo sociale, emergendo alla storia dalla struttura economica, trova o ha trovato, nella storia almeno fino ad ora svoltasi, delle categorie intellettuali preesistenti, e che apparivano anzi come rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai più complicati mutamenti delle forme sociali e politiche. La più tipica di queste categorie intellettuali è quella degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo tempo di alcuni servizi essenziali (l’ideologia religiosa, la scuola e l’istruzione, e in generale la "teoria", con riferimento alla scienza, alla filosofia, alla morale, alla giustizia ecc., oltre alla beneficenza e all’assistenza ecc.), ma ce ne sono parecchie altre che in regime feudale furono in parte, almeno, equiparate giuridicamente all’aristocrazia (il clero, in realtà, esercitava la proprietà feudale della terra come i nobili ed economicamente era equiparato ai nobili, ma c’era per esempio, un’aristocrazia della toga, oltre a quella della spada, ecc.: nel paragrafo precedente, agli economisti, nati con gli imprenditori, occorre aggiungere i tecnici industriali e gli scienziati "applicati", categoria intellettuale strettamente connessa al gruppo sociale degli imprenditori, ecc.), gli scienziati "teorici", i filosofi non ecclesiastici, ecc. Siccome queste categorie sentono con "spirito di corpo" la continuità della loro qualifica intellettuale (Croce si sente come legato ad Aristotele più che ad Agnelli, ecc.) così appare una certa loro autonomia dal gruppo sociale dominante e il loro complesso può apparire come un gruppo sociale indipendente con propri caratteri, ecc.
Seconda quistione: quali sono i limiti massimi dell’accezione di "intellettuale". È difficile trovare un criterio unico che caratterizzi ugualmente tutte le disparate attività intellettuali e nello stesso tempo le distingua in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali. L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questa caratteristica essenziale nell’intrinseco dell’attività intellettuale e non invece nel sistema di rapporti in cui essa (o il raggruppamento che la impersona) si viene a trovare nel complesso generale dei rapporti sociali. Invero:
1) L’operaio non è specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione del Taylor di "gorilla ammaestrato" è una metafora per indicare un limite in una certa direzione: c’è, in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate condizioni e in determinati rapporti sociali.
2) È stato già notato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che si caratterizzano dalla posizione dell’imprenditore nell’industria.
Fatte queste distinzioni si può concludere per ora: il rapporto tra gli intellettuali e la produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è mediato ed è mediato da due tipi di organizzazione sociale: a) dalla società civile, cioè dall’insieme di organizzazioni private della società, b) dallo Stato.
Gli intellettuali hanno una funzione nell’"egemonia" che il gruppo dominante esercita in tutta la società e nel "dominio" su di essa che si incarna nello Stato e questa funzione è precisamente "organizzativa" o connettiva: gli intellettuali hanno la funzione di organizzare l’egemonia sociale di un gruppo e il suo dominio statale, cioè il consenso dato dal prestigio della funzione nel mondo produttivo e l’apparato di coercizione per quei gruppi che non "consentono" né attivamente né passivamente o per quei momenti di crisi di comando e di direzione in cui il consenso spontaneo subisce una crisi.
Da quest’analisi risulta un’estensione molto grande del concetto di intellettuali, ma solo così mi pare sia possibile giungere ad una approssimazione concreta della realtà. La maggiore difficoltà ad accogliere questo modo di impostare la quistione mi pare venga da ciò: che la funzione organizzativa dell’egemonia sociale e del dominio statale ha vari gradi e che tra questi gradi ce ne sono di quelli puramente manuali e strumentali, di ordine e non di concetto, di agente e non di funzionario o di ufficiale, ecc., ma evidentemente nulla impedisce di fare questa distinzione (infermieri e medici in un ospedale, sacristi-bidelli e preti in una chiesa, bidelli e professori in una scuola, ecc. ecc.).
Dal punto di vista intrinseco, l’attività intellettuale può essere distinta in gradi, che nei momenti di estrema opposizione danno una vera e propria differenza qualitativa: nel più alto gradino troviamo i "creatori" delle varie scienze, della filosofia, della poesia ecc.; nel più basso i più umili "amministratori e divulgatori" della ricchezza intellettuale tradizionale, ma nell’insieme tutte le parti si sentono solidali. Avviene anzi che gli strati più bassi sentano di più questa solidarietà di corpo e ne traggano una certa "boria" che spesso li espone ai frizzi e ai motteggi. È da notare che nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa, si è ampliata in misura inaudita. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica tecnica e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza individuale che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, ecc.
Diversa posizione degli intellettuali di tipo urbano e di tipo
rurale. Gli intellettuali di tipo urbano sono piuttosto legati
all’industria; essi hanno la stessa funzione che gli ufficiali
subalterni nell’esercito: mettono in rapporto l’imprenditore con
la massa strumentale, rendono esecutivo il piano di produzione
stabilito dallo stato maggiore dell’industria.
Gli intellettuali urbani sono molto standardizzati nella loro
media generale, mentre gli alti intellettuali si confondono
sempre più col vero e proprio stato maggiore "organico"
dell’alta classe industriale.
Gli intellettuali di tipo rurale mettono a contatto la massa contadina con l’amministrazione statale o locale (avvocati, notai, ecc.) e per questa stessa funzione hanno una maggiore importanza politica: questa mediazione professionale infatti e difficilmente scindibile dalla mediazione politica. Inoltre: nella campagna l’intellettuale (prete, avvocato, maestro, notaio, medico, ecc.) rappresenta per il medio contadino un modello sociale nell’aspirazione a uscire dalla propria situazione per migliorare. Il contadino pensa sempre che almeno un suo figlio potrebbe diventare intellettuale (specialmente prete), cioè diventare un signore, elevando il grado sociale della famiglia e facilitandone la vita economica con le aderenze che non potrà non avere tra gli altri signori. L’atteggiamento del contadino verso l’intellettuale è duplice: egli ammira la posizione sociale dell’intellettuale e in generale del dipendente statale, ma finge talvolta di disprezzarla, cioè la sua ammirazione istintiva è intrisa da elementi d’invidia e di rabbia appassionata.
Non si comprende nulla dei contadini se non si considera questa
loro subordinazione effettiva agli intellettuali e non si
comprende che ogni sviluppo delle masse contadine fino a un
certo punto è legato ai movimenti degli intellettuali e ne
dipende.
Altro è il caso per gli intellettuali urbani; i tecnici di
fabbrica non esercitano nessun influsso politico sulle masse
strumentali, o almeno è questa una fase già oltrepassata;
talvolta avviene proprio il contrario, che le masse strumentali,
almeno attraverso i loro propri intellettuali organici,
esercitano un influsso sui tecnici. Il punto centrale della
quistione rimane però la distinzione tra intellettuali come
categoria organica di ogni gruppo sociale e intellettuali come
categoria tradizionale, distinzione da cui scaturisce tutta una
serie di problemi e di possibili ricerche storiche.
Q 6 § 10
Il grande intellettuale deve anch’egli tuffarsi nella vita
pratica, diventare un organizzatore degli aspetti pratici della
cultura, se vuole continuare a dirigere; deve democratizzarsi,
essere più attuale: l’uomo del Rinascimento non è più possibile
nel mondo moderno, quando alla storia partecipano attivamente e
direttamente masse umane sempre più ingenti.
Q 9 § 44
Atteggiamento da intellettuali è quello di prendere a noia le
discussioni troppo lunghe e sottili, che si sbriciolano
analiticamente nei minuti particolari e mostrano di non voler
finire se non quando tra i dissertanti si sia venuti a un
accordo perfetto su tutto il piano di attrito o per lo meno le
opinioni in contrasto si siano affrontate totalmente.
L’intellettuale crede sufficiente un accordo sommario, sui
principii generali, sulle linee direttrici fondamentali e
presuppone che il lavorio individuale di riflessione porterà
necessariamente all’accordo sulle "minuzie".
Perciò nelle discussioni tra intellettuali si procede spesso per
accenni rapidi: si tasta, per così dire, la formazione culturale
reciproca, il "linguaggio" reciproco, e fatta la scoperta che ci
si trova su un terreno comune, con un linguaggio comune, con
modi di ragionamento comuni, si procede oltre rapidamente. La
quistione appunto è che le discussioni non avvengono sempre tra
intellettuali professionali, ma anzi un terreno comune
culturale, un linguaggio comune, modi di ragionamento comuni
occorre creare tra non intellettuali, che non hanno acquistato
l’abito professionale e la disciplina intellettuale necessari
per la rapida connessione di concetti apparentemente disparati,
come viceversa per la rapida analisi, scomposizione, scoperta
delle differenze essenziali tra concetti apparentemente simili.
Q 11 § 12
Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente
creazione di una élite di intellettuali: una massa umana non si
"distingue" e non diventa indipendente "per sé" senza
organizzarsi (in senso lato) e non c’è organizzazione senza
intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza
che l’aspetto teorico del nesso teoria-pratica si distingua
concretamente in uno strato di persone "specializzate"
nell’elaborazione concettuale e filosofica. Ma questo processo
di creazione degli intellettuali è lungo, difficile, pieno di
contraddizioni, di avanzate e di ritirate, di sbandamenti e di
riaggruppamenti, in cui la "fedeltà" della massa (e la fedeltà e
la disciplina sono inizialmente la forma che assume l’adesione
della massa e la sua collaborazione allo sviluppo dell’intero
fenomeno culturale) è messa talvolta a dura prova. Il processo
di sviluppo è legato a una dialettica intellettuali-massa; lo
strato degli intellettuali si sviluppa quantitativamente e
qualitativamente, ma ogni sbalzo verso una nuova "ampiezza" e
complessità dello strato degli intellettuali è legato a un
movimento analogo della massa di semplici, che si innalza verso
livelli superiori di cultura e allarga simultaneamente la sua
cerchia di influenza, con punte individuali o anche di gruppi
più o meno importanti verso lo strato degli intellettuali
specializzati. Nel processo però si ripetono continuamente dei
momenti in cui tra massa e intellettuali (o certi di essi, o un
gruppo di essi) si forma un distacco, una perdita di contatto,
quindi l’impressione di "accessorio", di complementare, di
subordinato.
Q 11 § 16
Una delle caratteristiche degli intellettuali come categoria sociale cristallizzata (che cioè concepisce se stessa come continuazione ininterrotta nella storia, quindi indipendentemente dalla lotta dei gruppi e non come espressione di un processo dialettico, per cui ogni gruppo sociale dominante elabora una propria categoria di intellettuali) è appunto di ricongiungersi, nella sfera ideologica, a una precedente categoria intellettuale attraverso una stessa nomenclatura di concetti. Ogni nuovo organismo storico (tipo di società) crea una nuova superstruttura, i cui rappresentanti specializzati e portabandiera (gli intellettuali) non possono non essere concepiti come anch’essi "nuovi" intellettuali, sorti dalla nuova situazione e non continuazione della precedente intellettualità.
Se i "nuovi" intellettuali si pongono come continuazione diretta della precedente intellighenzia essi non sono affatto "nuovi", cioè non sono legati al nuovo gruppo sociale che rappresenta organicamente la nuova situazione storica, ma sono un rimasuglio conservatore e fossilizzato del gruppo sociale superato storicamente (ciò che poi è lo stesso che dire che la nuova situazione storica non è ancora giunta al grado di sviluppo necessario per avere la capacità di creare nuove superstrutture, ma vive ancora nell’involucro tarlato della vecchia storia). È tuttavia da tener conto che nessuna nuova situazione storica, sia pur essa dovuta al mutamento più radicale, trasforma completamente il linguaggio, almeno nel suo aspetto esterno, formale. Ma il contenuto del linguaggio dovrebbe essere mutato, anche se di tale mutazione è difficile avere coscienza esatta immediatamente. Il fenomeno è d’altronde storicamente complesso e complicato per l’esistenza di diverse culture tipiche nei diversi strati del nuovo gruppo sociale, alcuni dei quali, nel terreno ideologico, sono ancora immersi nella cultura di situazioni storiche precedenti talvolta anche alla più recentemente superata. Una classe, di cui alcuni strati sono ancora rimasti alla concezione tolemaica del mondo, può tuttavia essere la rappresentante di una situazione storica molto progredita; arretrati ideologicamente (o almeno per alcune sezioni della concezione del mondo, che è in essi ancora disgregata e ingenua) questi strati sono tuttavia avanzatissimi praticamente, cioè come funzione economica e politica.
Se il compito degli intellettuali è quello di determinare e
organizzare la riforma morale e intellettuale, cioè di adeguare
la cultura alla funzione pratica, è evidente che gli
intellettuali "cristallizzati" sono conservatori e reazionari.
Perché mentre il gruppo sociale nuovo sente almeno di essere
scisso e distinto da quello precedente, essi non sentono neppure
tale distinzione, ma pensano di potersi riallacciare al passato.
D’altronde non è detto che tutta l’eredità del passato debba
essere respinta: ci sono dei "valori strumentali" che non
possono non essere accolti integralmente per continuare ad
essere elaborati e raffinati. Ma come distinguere il valore
strumentale dal valore filosofico caduco e da respingere
senz’altro? Spesso avviene che perché si è accettato un valore
filosofico caduco di una determinata tendenza passata, si
respinge poi un valore strumentale di altra tendenza perché
contrastante con la prima, anche se tale valore strumentale
sarebbe stato utile ad esprimere il nuovo contenuto storico
culturale. Così si è visto il termine "materialismo" accolto con
contenuto passato e invece il termine "immanenza" respinto
perché nel passato aveva un determinato contenuto storico
culturale.
Q 12 § 1
Quali sono i limiti "massimi" dell’accezione di "intellettuale"? Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali e per distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali?
L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questo criterio di distinzione nell’intrinseco delle attività intellettuali e non invece nell’insieme del sistema di rapporti in cui esse (e quindi i gruppi che le impersonano) vengono a trovarsi nel complesso generale dei rapporti sociali. E invero l’operaio o proletario, per esempio, non è specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione del Taylor di "gorilla ammaestrato è una metafora per indicare un limite in una certa direzione: in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate condizioni e in determinati rapporti sociali. Ed è stato già osservato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che appunto caratterizzano la posizione dell’imprenditore nell’industria.
Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti). Si formano così storicamente delle categorie specializzate per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante. Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per l’assimilazione e la conquista "ideologica" degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che è tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici. L’enorme sviluppo preso dall’attività e dall’organizzazione scolastica (in senso largo) nelle società sorte dal mondo medioevale indica quale importanza abbiano assunto nel mondo moderno le categorie e le funzioni intellettuali: come si è cercato di approfondire e dilatare l’"intellettualità" di ogni individuo, così si è anche cercato di moltiplicare le specializzazioni e di affinarle. Ciò risulta dalle istituzioni scolastiche di diverso grado, fino agli organismi per promuovere la così detta "alta cultura", in ogni campo della scienza e della tecnica.
[…]-Gli intellettuali di tipo urbano sono concresciuti con l’industria e sono legati alle sue fortune. La loro funzione può essere paragonata a quella degli ufficiali subalterni nell’esercito: non hanno nessuna iniziativa autonoma nel costruire i piani di costruzione; mettono in rapporto, articolandola, la massa strumentale con l’imprenditore, elaborano l’esecuzione immediata del piano di produzione stabilito dallo stato maggiore dell’industria, controllandone le fasi lavorative elementari. Nella loro media generale gli intellettuali urbani sono molto standardizzati; gli alti intellettuali urbani si confondono sempre più col vero e proprio stato maggiore industriale. Gli intellettuali di tipo rurale sono in gran parte "tradizionali", cioè legati alla massa sociale campagnola e piccolo borghese, di città (specialmente dei centri minori), non ancora elaborata e messa in movimento dal sistema capitalistico: questo tipo di intellettuale mette a contatto la massa contadina con l’amministrazione statale o locale (avvocati, notai ecc.) e questa stessa funzione ha una grande funzione politico-sociale, perché la mediazione professionale è difficilmente scindibile dalla mediazione politica. Inoltre: nella campagna l’intellettuale (prete, avvocato, maestro, notaio, medico ecc.) ha un medio tenore di vita superiore o almeno diverso da quello del medio contadino e perciò rappresenta per questo un modello sociale nell’aspirazione a uscire dalla sua condizione e a migliorarla. Il contadino pensa a sempre che almeno un suo figliolo potrebbe diventare intellettuale (specialmente prete), cioè diventare un signore, elevando il grado sociale della famiglia e facilitandone la vita economica con le aderenze che non potrà non avere tra gli altri signori.
L’atteggiamento del contadino verso l’intellettuale è duplice e
pare contraddittorio: egli ammira la posizione sociale
dell’intellettuale e in generale dell’ impiegato statale, ma
finge talvolta di disprezzarla, cioè la sua ammirazione è
intrisa istintivamente da elementi di invidia e di rabbia
appassionata. Non si comprende nulla della vita collettiva dei
contadini e dei germi e dei fermenti di sviluppo che vi esistono
se non si prende in considerazione, non si studia in concreto e
non si approfondisce, questa subordinazione affettiva agli
intellettuali: ogni sviluppo organico delle masse contadine,
fino a un certo punto, è legato ai movimenti degli intellettuali
e ne dipende. Altro è il caso per gli intellettuali urbani: i
tecnici di fabbrica non esplicano nessuna funzione politica
sulle loro masse strumentali, o almeno è questa una fase già
superata; talvolta avviene proprio il contrario, che le masse
strumentali, almeno attraverso i loro propri intellettuali
organici, esercitano un flusso politico sui tecnici. Il punto
centrale della quistione rimane la distinzione tra
intellettuali, categoria organica di ogni gruppo sociale
fondamentale e intellettuali, come categoria tradizionale;
distinzione da cui scaturisce tutta una serie di problemi e di
possibili ricerche storiche.
Q 12 § 3
Quando si distingue tra intellettuali e non-intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare-nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale. Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua a professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un "filosofo", un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.
Il problema della creazione di un nuovo ceto intellettuale
consiste pertanto nell’elaborare criticamente
l’attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo
grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo
muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che lo
stesso sforzo muscolare-nervoso, in quanto elemento di
un’attività pratica generale, che innova perpetuamente il
mondo fisico e sociale, diventi il fondamento di una nuova e
integrale concezione del mondo. Il tipo tradizionale e
volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal
filosofo, dall’artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di
essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i
"veri" intellettuali. Nel mondo moderno l’educazione tecnica,
strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo
o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di
intellettuale. Su questa base ha lavorato l’"Ordine Nuovo"
settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo
e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una
delle minori ragioni del suo successo, perché una tale
impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme
allo sviluppo delle forme reali di vita. Il modo di essere del
nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza,
motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni,
ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come
costruttore, organizzatore, "persuasore permanentemente" perché
non puro oratore - e tuttavia superiore allo spirito astratto
matematico; dalla tecnica- lavoro giunge alla tecnica-scienza e
alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane
"specialista" e non si diventa "dirigente"
(specialista+politico).
Q 19 § 24
Il problema della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in Italia.
[…] Non esiste una classe indipendente di intellettuali, ma
ogni gruppo sociale ha un proprio ceto di intellettuali o tende
a formarselo; però gli intellettuali della classe storicamente
(e realisticamente) progressiva, nelle condizioni date,
esercitano un tale potere d’attrazione che finiscono, in ultima
analisi, col subordinarsi gli intellettuali degli altri gruppi
sociali e quindi col creare un sistema di solidarietà fra
tutti gli intellettuali con legami di ordine psicologico
(vanità ecc.) e spesso di casta (tecnico-giuridici,
corporativi, ecc.). Questo fatto si verifica "spontaneamente"
nei periodi storici in cui il gruppo sociale dato è realmente
progressivo, cioè fa avanzare realmente l’intera società,
soddisfacendo non solo alle sue esigenze esistenziali, ma
ampliando continuamente i propri quadri per la continua presa di
possesso di nuove sfere di attività economico-produttiva.
Appena il gruppo sociale dominante ha esaurito la sua funzione,
il blocco ideologico tende a sgretolarsi e allora alla
"spontaneità" può sostituirsi la "costrizione" in forme sempre
meno larvate e indirette, fino alle misure vere e proprie di
polizia e ai colpi di Stato.
Q 21 § 3
Questa espressione - "gli umili" - è caratteristica per
comprendere l’atteggiamento tradizionale degli intellettuali
italiani verso il popolo e quindi il significato della
"letteratura per gli umili". Non si tratta del rapporto
contenuto nell’espressione dostoievschiana di "umiliati e
offesi". In Dostojevschij c’è potente il sentimento
nazionale-popolare, cioè la coscienza di una missione degli
intellettuali verso il popolo, che magari è "oggettivamente"
costituito di "umili" ma deve essere liberato da questa
"umiltà", trasformato, rigenerato. Nell’intellettuale italiano
l’espressione di "umili" indica un rapporto di protezione
paterna e padreternale, il sentimento "sufficiente" di una
propria indiscussa superiorità, il rapporto come tra due razze,
una ritenuta superiore e l’altra inferiore, il rapporto come tra
adulto e bambino nella vecchia pedagogia o peggio ancora un
rapporto da "società protettrice degli animali", o da
esercito della salute anglosassone verso i cannibali della
Papuasia.