Ideologia

Q1 §43

È impossibile una "statistica" dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, che dia un quadro organico e sistematico: non rimane che la revisione della letteratura più diffusa e più popolare combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche precedenti, ognuna delle quali "può" aver lasciato un sedimento, variamente combinatosi con quelli precedenti e susseguenti. 

In questo stesso ordine di osservazioni si inserisce un criterio più generale: i mutamenti nei modi di pensare, nelle credenze, nelle opinioni, non avvengono per "esplosioni" rapide e generalizzate, avvengono per lo più per "combinazioni successive" secondo "formule" disparatissime.

L'illusione "esplosiva" nasce da assenza di spirito critico. Come non si è passati, nei metodi di trazione, dalla diligenza a trazione animale, agli espressi moderni elettrici, ma si è passati attraverso una serie di "combinazioni intermedie" che in parte ancora sussistono (come la trazione animale su rotaie ecc. ecc.) e come avviene che il materiale ferroviario invecchiato negli Stati Uniti viene ancora utilizzato per molti anni in Cina e vi rappresenta un progresso tecnico - così nella sfera della cultura i diversi strati ideologici si combinano variamente e ciò che è diventato "ferravecchio" nella città è ancora "utensile" in provincia.

Nella sfera della coltura anzi, le "esplosioni" sono ancora meno frequenti e meno intense che nella sfera della tecnica. Si confonde l'esplosione "di passioni" politiche accumulate in un periodo di trasformazioni tecniche alle quali non corrispondono adeguate nuove forme di organizzazione giuridica con le sostituzioni di nuove forme di cultura alle vecchie.

L'accenno al fatto che talvolta ciò che è diventato "ferravecchio" in città è ancora "utensile" in provincia può essere utilmente svolto. I rapporti tra popolazione urbana e popolazione rurale non sono sempre gli stessi. Bisogna determinare i "tipi" di urbano e di rurale. Si verifica il paradosso che il tipo rurale sia più progressivo del tipo urbano. Una città "industriale" è sempre più progressiva della campagna che ne dipende. Ma in Italia non tutte le città sono "industriali" e sono meno ancora le città "tipicamente" industriali.

Le "cento" città italiane. In Italia l'urbanesimo non è solo e nemmeno "specialmente" un fenomeno industriale. La più grande città italiana, Napoli, non è una città industriale. Tuttavia anche in queste città esistono nuclei di popolazione tipicamente urbana. Ma qual è la loro posizione relativa? Essi sono sommersi, premuti, schiacciati dall'altra parte che è rurale, di tipo rurale, ed è la grandissima maggioranza.

Le città del "silenzio". In questo tipo di città esiste una unità "urbana" ideologica contro la campagna: c'è ancora l'odio e il disprezzo contro il "villano": per reciproca c'è un'avversione "generica" della campagna contro la città.

 

Q3 §2

Una cosa è essere particolari, altra cosa predicare il particolarismo. Qui è l’equivoco del nazionalismo, che in base a questo equivoco pretende spesso di essere il vero universalista, il vero pacifista. Nazionale, cioè, è diverso da nazionalista. Goethe era "nazionale" tedesco, Stendhal "nazionale" francese, ma né l’uno né l’altro nazionalista. Un’idea non è efficace se non è espressa in qualche modo, artisticamente, cioè particolarmente. Ma uno spirito è particolare in quanto nazionale? La nazionalità è una particolarità primaria; ma il grande scrittore si particolarizza ancora tra i suoi connazionali e questa seconda "particolarità" non è il prolungamento della prima. Renan, in quanto Renan non è affatto una conseguenza necessaria dello spirito francese; egli è, per rapporto a questo spirito, un evento originale, arbitrario, imprevedibile (come dice Bergson). E tuttavia Renan resta francese, come l’uomo, pur essendo uomo, rimane un mammifero; ma il suo valore, come per l’uomo, è appunto nella sua differenza dal gruppo donde è nato. Ciò appunto non vogliono i nazionalisti, per i quali il valore dei maestri consiste nella loro somiglianza con lo spirito del loro gruppo, nella loro fedeltà, nella loro puntualità ad esprimere questo spirito (che d’altronde viene definito come lo spirito dei maestri, per cui si finisce sempre con l’aver ragione).

 

Q6 §30

L’affermazione che "non si può distruggere, senza creare" è molto diffusa. L’ho letta, già prima del 1914, nell’"Idea nazionale", che pure era un bric-à-brac di banalità e luoghi comuni. Ogni gruppo o gruppetto che crede di essere portatore di novità storiche (e si tratta di vecchierie con tanto di barba) si afferma dignitosamente distruttore-creatore. Bisogna togliere la banalità all’affermazione divenuta banale. Non è vero che "distrugga" chiunque vuol distruggere. Distruggere è molto difficile, tanto difficile appunto quanto creare. Poiché non si tratta di distruggere cose materiali, si tratta di distruggere "rapporti" invisibili, impalpabili, anche se si nascondono nelle cose materiali. È distruttore-creatore chi distrugge il vecchio per mettere alla luce, fare affiorare il nuovo che è divenuto "necessario" e urge implacabilmente al limitare della storia. Perciò si può dire che si distrugge in quanto si crea. Molti sedicenti distruttori non sono altro che "procuratori di mancati aborti", passibili del codice penale della storia.

 

Q7 §19

Un elemento di errore nella considerazione del valore delle ideologie mi pare sia dovuto al fatto (fatto che d’altronde non è casuale) che si dà il nome di ideologia sia alla soprastruttura necessaria di una determinata struttura, sia alle elucubrazioni arbitrarie di determinati individui. Il senso deteriore della parola è diventato estensivo e ciò ha modificato e snaturato l’analisi teorica del concetto di ideologia. Il processo di questo errore può essere facilmente ricostruito: 

1°) si identifica l’ideologia come distinta dalla struttura e si afferma che non le ideologie mutano le strutture ma viceversa; 

2°) si afferma che una certa soluzione politica è "ideologica" cioè è insufficiente a mutare la struttura, mentre crede di poterla mutare si afferma che è inutile, stupida ecc.;

3°) si passa ad affermare che ogni ideologia è "pura" apparenza, inutile, stupida ecc. Bisogna dunque distinguere tra ideologie storicamente organiche, che sono cioè necessarie a una certa struttura, e ideologie arbitrarie, razionalistiche, "volute".

In quanto storicamente necessarie esse hanno una validità che è validità "psicologica", esse "organizzano" le masse umane, formano il terreno in cui gli uomini si muovono, acquistano coscienza della loro posizione, lottano ecc. In quanto "arbitrarie" non creano altro che "movimenti" individuali, polemiche ecc.; (non sono completamente inutili neanche esse, perché sono come l’errore che si contrappone alla verità e l’afferma).

 

Q15 §13

Come si può descrivere il feticismo. Un organismo collettivo è costituito di singoli individui, i quali formano l’organismo in quanto si sono dati e accettano attivamente una gerarchia e una direzione determinata. Se ognuno dei singoli componenti pensa l’organismo collettivo come un’entità  estranea a se stesso, è evidente che questo organismo non esiste più di fatto, ma diventa un fantasma dell’intelletto, un feticcio.

È da vedere se questo modo di pensare, molto diffuso, non sia un residuo della trascendenza cattolica e dei vecchi regimi paternalistici: esso è comune per una serie di organismi, dallo Stato, alla Nazione, ai Partiti politici ecc. È naturale che avvenga per la Chiesa, poiché, almeno in Italia, il lavorio secolare del centro vaticano per annientare ogni traccia di democrazia interna e di intervento dei fedeli nell’attività religiosa è pienamente riuscito ed è divenuto una seconda natura del fedele, sebbene abbia determinato per l’appunto quella speciale forma di cattolicismo che è propria del popolo italiano.  

Ciò che fa meraviglia, e che è caratteristico, è che il feticismo di questa specie si riproduca per organismi "volontari", di tipo non "pubblico" o statale, come i partiti e i sindacati. Si è portati a pensare i rapporti tra il singolo e l’organismo come un dualismo, e ad un atteggiamento critico esteriore del singolo verso l’organismo (se l’atteggiamento non è di una ammirazione entusiastica acritica). In ogni caso un rapporto feticistico. Il singolo s’aspetta che l’organismo faccia, anche se egli non opera e non riflette che appunto, essendo il suo atteggiamento molto diffuso, l’organismo è necessariamente inoperante. Inoltre è da riconoscere che essendo molto diffusa una concezione deterministica e meccanica della storia (concezione che è del senso comune ed è legata alla passività delle grandi masse popolari) ogni singolo, vedendo che, nonostante il suo non intervento, qualcosa tuttavia avviene, è portato a pensare che appunto al disopra dei singoli esiste una entità  fantasmagorica, l’astrazione dell’organismo collettivo, una specie di divinità  autonoma, che non pensa con nessuna testa concreta, ma tuttavia pensa, che non si muove con determinate gambe di uomini, ma tuttavia si muove ecc. 

 

Q15 §35

Storia dei 45 cavalieri ungheresi. Ettore Ciccotti, durante il governo Giolitti di prima del 1914, soleva spesso ricordare un episodio della guerra dei Trent’Anni: pare che 45 cavalieri ungari si fossero stabiliti nelle Fiandre e poiché la popolazione era stata disarmata e demoralizzata dalla lunga guerra, siano riusciti per oltre sei mesi a tiranneggiare il paese. In realtà, in ogni occasione è possibile che sorgano "45 cavalieri ungari", là dove non esiste un sistema protettivo delle popolazioni inermi, disperse, costrette al lavoro per vivere e quindi non in grado, in ogni momento, di respingere gli assalti, le scorrerie, le depredazioni, i colpi di mano eseguiti con un certo spirito di sistema e con un minimo di previsione "strategica". Eppure a quasi tutti pare impossibile che una situazione come questa da "45 cavalieri ungari" possa mai verificarsi: e in questa "miscredenza" è da vedere un documento di innocenza politica.  

Elementi di tale "miscredenza" sono specialmente una serie di "feticismi", di idoli, prima fra tutti quello del "popolo" sempre fremente e generoso contro i tiranni e le oppressioni. Ma forse che, proporzionalmente, sono più numerosi gli inglesi in India di quanto fossero i cavalieri ungari nelle Fiandre? E ancora: gli inglesi hanno i loro seguaci fra gli indiani, quelli che stanno sempre col più forte, non solo, ma anche dei seguaci "consapevoli", coscienti, ecc. Non si capisce che in ogni situazione politica la parte attiva è sempre una minoranza, e che se questa, quando è seguita dalle moltitudini, non organizza stabilmente questo seguito, e viene dispersa, per un’occasione qualsiasi propizia alla minoranza avversa, tutto l’apparecchio si sfascia e se ne forma uno nuovo, in cui le vecchie moltitudini non contano nulla e non possono più muoversi e operare. Ciò che si chiamava "massa" è stata polverizzata in tanti atomi senza volontà e orientamento e una nuova "massa" si forma, anche se di volume inferiore alla prima, ma più compatta e resistente, che ha la funzione di impedire che la primitiva massa si riformi e diventi efficiente.  

Tuttavia molti continuano a richiamarsi a questo fantasma del passato, lo immaginano sempre esistente, sempre fremente ecc. Così il Mazzini immaginava sempre l’Italia del 48 come un’entità permanente che occorreva solo indurre, con qualche artifizio, a ritornare in piazza ecc. L’errore è anche legato a un’assenza di "sperimentalità": il politico realista, che conosce le difficoltà di organizzare una volontà collettiva, non è portato a credere facilmente che essa si riformi meccanicamente dopo che si è disgregata. L’ideologo, che come il cuculo, ha posto le uova in un nido già preparato e non sa costruire nidi, pensa che le volontà collettive siano un dato di fatto naturalistico, che sbocciano e si sviluppano per ragioni insite nelle cose ecc.

 

Q15 §50

È certo che prevedere significa solo veder bene il presente e il passato in quanto movimento: veder bene, cioè identificare con esattezza gli elementi fondamentali e permanenti del processo. Ma è assurdo pensare a una previsione puramente "oggettiva". Chi fa la previsione in realtà ha un "programma" da far trionfare e la previsione è appunto un elemento di tale trionfo. Ciò non significa che la previsione debba sempre essere arbitraria e gratuita [o puramente tendenziosa]. Si può anzi dire che solo nella misura in cui l’aspetto oggettivo della previsione è connesso con un programma esso aspetto acquista oggettività : 1) perché solo la passione aguzza l’intelletto e coopera a rendere più chiara l’intuizione; 2) perché essendo la realtà il risultato di una applicazione della volontà umana alla società delle cose (del macchinista alla macchina), prescindere da ogni elemento volontario o calcolare solo l’intervento delle altrui volontà  come elemento oggettivo del gioco generale mutila la realtà  stessa. Solo chi fortemente vuole identifica gli elementi necessari alla realizzazione della sua volontà. Perciò ritenere che una determinata concezione del mondo e della vita abbia in se stessa una superiorità [di capacità di previsione] è un errore di grossolana fatuità e superficialità.  

Certo una concezione del mondo è implicita in ogni previsione e pertanto che essa sia una sconnessione di atti arbitrari del pensiero o una rigorosa e coerente visione non è senza importanza, ma l’importanza appunto l’acquista nel cervello vivente di chi fa la previsione e la vivifica con la sua forte volontà. Ciò si vede dalle previsioni fatte dai così detti "spassionati": esse abbondano di oziosità, di minuzie sottili, di eleganze congetturali. Solo l’esistenza nel "previsore" di un programma da realizzare fa sì che egli si attenga all’essenziale, a quegli elementi che essendo "organizzabili", suscettibili di essere diretti o deviati, in realtà  sono essi soli prevedibili. Ciò va contro il comune modo di considerare la quistione. Si pensa generalmente che ogni atto di previsione presuppone la determinazione di leggi di regolarità del tipo di quelle delle scienze naturali. Ma siccome queste leggi non esistono nel senso assoluto [o meccanico] che si suppone, non si tiene conto delle altrui volontà e non si "prevede" la loro applicazione. Pertanto si costruisce su una ipotesi arbitraria e non sulla realtà.

 

Q15 §6

Uno degli idoli più comuni è quello di credere che tutto ciò che esiste è "naturale" esista, non può a meno di esistere e che i propri tentativi di riforma, per male che vadano, non interromperanno la vita, perché le forze tradizionali continueranno ad operare e appunto continueranno la vita.  

In questo modo di pensare c’è del giusto, certamente, e guai se così non fosse, tuttavia questo modo di pensare oltre certi limiti diventa pericoloso (certi casi della politica del peggio) e in ogni modo, come si è detto, sussiste il criterio di giudizio filosofico, politico e storico.