Filosofia

 

Q4 §25

Il materialismo storico non studia una macchina per stabilirne la struttura fisico-chimico-meccanica dei suoi componenti naturali, ma in quanto è oggetto di produzione e di proprietà, in quanto in essa è cristallizzato un rapporto sociale e questo corrisponde a un determinato periodo storico. 

L’insieme delle forze materiali di produzione è l’elemento meno variabile nello sviluppo storico, è quello che volta per volta può essere misurato con esattezza matematica, che può dar luogo pertanto a una scienza sperimentale della storia, nel senso ben preciso in cui si può parlare di "sperimentale" nella storia. La variabilità dell’insieme delle forze [materiali] di produzione è anch’essa misurabile e si può stabilire con una certa precisione quando il suo sviluppo da quantitativo diventa qualitativo. L’insieme delle forze materiali di produzione è nello stesso tempo "tutta la storia passata cristallizzata" e la base della storia presente e avvenire, è un documento e una forza attiva attuale. Ma il concetto di attività di queste forze materiali non può essere confuso con quello di attività nel senso fisico o metafisico. 

L’elettricità è storicamente attiva, non come pura forza naturale, ma come elemento di produzione dominato dall’uomo e incorporato nell’insieme delle forze materiali di produzione, oggetto di proprietà. Come forza naturale l’elettricità esisteva anche prima della sua riduzione a forza di produzione ma non operava nella storia, non era elemento storico, della storia umana (non della storia naturale e quindi in misura determinata anche della storia umana, in quanto la storia umana è una parte della storia naturale). Queste osservazioni servono a far capire come l’elemento causale preso dalle scienze naturali per spiegare la storia sia un ritorno alla vecchia storiografia ideologica (idealistica o materialistica).

 

Q4 §37

Per la quistione della "obbiettività" della conoscenza secondo il materialismo storico, il punto di partenza deve essere l’affermazione di Marx (nell’introduzione alla Critica dell’economia politica, brano famoso sul materialismo storico) che "gli uomini diventano consapevoli (di questo conflitto) nel terreno ideologico" delle forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche. Ma questa consapevolezza è solo limitata al conflitto tra le forze materiali di produzione e i rapporti di produzione - come materialmente dice il testo marxista - o si riferisce a ogni consapevolezza, cioè a ogni conoscenza? Questo è il problema: che può essere risolto con tutto l’insieme della dottrina filosofica del valore delle superstrutture ideologiche. Come dovrà essere concepito un "monismo" in queste condizioni? Né il monismo materialista né quello idealista, né "Materia" né "Spirito" evidentemente, ma "materialismo storico", cioè attività dell’uomo (storia) in concreto, cioè applicata a una certa "materia" organizzata (forze materiali di produzione), alla "natura" trasformata dall’uomo.

 

Q4 §39

Una trattazione sistematica del materialismo storico non può trascurare nessuna delle parti costitutive del marxismo. Ma in che senso ciò deve essere inteso? Essa deve trattare tutta la parte generale filosofica e in più deve essere: una teoria della storia, una teoria della politica, una teoria dell’economia. Ciò come schema generale che deve concretamente assumere una forma vivente, non schematica. Si dirà, ma il materialismo storico non è specificamente una teoria della storia? È giusto, ma dalla storia appunto non possono staccarsi la politica e l’economia, anche nelle fasi specializzate di scienza-arte della politica e di scienza-economica. Cioè: dopo avere svolto il compito principale nella parte filosofica generale, che è il vero e proprio materialismo storico, in cui i concetti generali della storia, della politica e dell’economia si annodano in unità organica, è utile, in un saggio popolare, dare le nozioni generali di ogni parte costitutiva in quanto scienza indipendente e distinta. Ciò vorrebbe dire che dopo aver studiato la filosofia generale [cioè il nesso organico di storia-politica-economica] si studia: come la storia e la politica si riflettano nell’economia, come l’economia e la politica si riflettano nella storia, come la storia e l’economia si riflettano nella politica.

 

Q4 §45

Che il materialismo storico concepisca se stesso come una fase transitoria del pensiero filosofico dovrebbe apparire dall’affermazione di Engels che lo sviluppo storico sarà caratterizzato a un certo punto dal passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. Tutta la filosofia finora esistita è nata ed è l’espressione delle contraddizioni intime della società: ma ogni sistema filosofico a sé preso non è l’espressione cosciente di queste contraddizioni, poiché questa espressione può essere data solo dall’insieme dei sistemi filosofici. 

Ogni filosofo è e non può non essere convinto di esprimere l’unità dello spirito umano, cioè l’unità della storia e della natura: altrimenti gli uomini non opererebbero, non creerebbero nuova storia, cioè le filosofie non potrebbero diventare "ideologie", non potrebbero nella pratica assumere,a granitica compattezza fanatica delle "credenze popolari" che hanno il valore di "forze materiali". 

Hegel rappresenta, nella storia del pensiero filosofico, un posto a sé, perché, nel suo sistema, in un modo o nell’altro, pur nella forma di "romanzo filosofico", si riesce a comprendere cos’è la realtà, cioè si ha, in un solo sistema e in un solo filosofo, quella coscienza delle contraddizioni che prima era data dall’insieme dei sistemi, dall’insieme dei filosofi, in lotta tra loro, in contraddizione tra loro. 

In un certo senso, adunque, il materialismo storico è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è la filosofia liberata da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni in cui lo stesso filosofo, individualmente inteso o inteso come intero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni, ma pone se stesso come elemento della contraddizione, e eleva questo elemento a principio politico e d’azione. L’"uomo in generale" viene negato e tutti i concetti "unitari" staticamente vengono dileggiati e distrutti, in quanto espressione del concetto di "uomo in generale" o di "natura umana" immanente in ogni uomo. 

Ma anche il materialismo storico è espressione delle contraddizioni storiche, anzi è l’espressione perfetta, compiuta di tali contraddizioni: è una espressione della necessità, quindi, non della libertà, che non esiste e non può esistere. Ma se si dimostra che le contraddizioni spariranno, si dimostra implicitamente che sparirà anche il materialismo storico, e che dal regno della necessità si passerà al regno della libertà, cioè a un periodo in cui il "pensiero", le idee non nasceranno più sul terreno delle contraddizioni. Il filosofo attuale può affermare ciò e non andare più oltre: infatti egli non può evadere dal terreno attuale delle contraddizioni, non può affermare, più che genericamente, un mondo senza contraddizioni, senza creare immediatamente una utopia. Ciò non significa che l’utopia non abbia un valore filosofico, poiché essa ha un valore politico, e ogni politica è implicitamente una filosofia. 

La religione è la più "mastodontica" utopia, cioè la più "mastodontica" metafisica apparsa nella storia, essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni storiche: essa afferma, è vero, che l’uomo ha la stessa "natura", che esiste l’uomo in generale, creato simile a Dio e perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri uomini, e che tale egli si può concepire specchiandosi in Dio, "autocoscienza" dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo, ma di un altro (utopia). Ma intanto le idee di uguaglianza, di libertà, di fraternità fermentano in mezzo agli uomini, agli uomini che non sono uguali, né fratelli di altri uomini, né si vedono liberi fra di essi. E avviene nella storia, che ogni sommovimento generale delle moltitudini, in un modo o nell’altro, sotto forme e con ideologie determinate, pone queste rivendicazioni.

 

Q6 §64

“Quando un’opera di poesia o un ciclo di opere poetiche si è formato, è impossibile proseguire quel ciclo con lo studio e con l’imitazione e con le variazioni intorno a quelle opere; per questa via si ottiene solamente la cosiddetta scuola poetica, il servum pecus degli epigoni. Poesia non genera poesia; la partenogenesi non ha luogo; si richiede l’intervento dell’elemento maschile, di ciò che è reale, passionale, pratico, morale. I più alti critici di poesia ammoniscono, in questo caso, di non ricorrere a ricette letterarie, ma, com’essi dicono, di "rifare l’uomo". Rifatto l’uomo, rinfrescato lo spirito, sorta una nuova vita di affetti, da essa sorgerà, se sorgerà, una nuova poesia". (B. Croce, Cultura e Vita morale, pp. 241-42; capitolo Troppa filosofia del 1922). 

Questa osservazione può essere propria del materialismo storico. La letteratura non genera letteratura ecc., cioè le ideologie non creano ideologie, le superstrutture non generano superstrutture altro che come eredità di inerzia e di passività: esse sono generate, non per "partenogenesi" ma per l’intervento dell’elemento "maschile" - la storia - l’attività rivoluzionaria che crea il "nuovo uomo", cioè nuovi rapporti sociali. Da ciò si deduce anche questo: che il vecchio "uomo", per il cambiamento, diventa anch’esso "nuovo", poiché entra in nuovi rapporti, essendo stati quelli primitivi capovolti. Donde il fatto che, prima che il "nuovo uomo" creato positivamente abbia dato poesia, si possa assistere al "canto del cigno" del vecchio uomo rinnovato negativamente: e spesso questo canto del cigno è di mirabile splendore; il nuovo vi si unisce al vecchio, le passioni vi si arroventano in modo incomparabile ecc. (Non è forse la Divina Commedia un po’ il canto del cigno medioevale, che pure anticipa i nuovi tempi e la nuova storia?).

 

Q6 §28

C’è sempre stata una parte di umanità la cui vita è stata sempre taylorizzata, e che questa umanità ha cercato di evadere dai limiti angusti dell’organizzazione esistente che la schiacciava, con la fantasia e col sogno. La più grande avventura, la più grande "utopia", che l’umanità ha creato collettivamente, la religione, non è un modo di evadere dal mondo terreno? E non è in questo senso che Marx parla di "oppio del popolo"? Adesso la quistione si "aggrava" per il fatto che la razionalizzazione della vita minaccia di colpire le classi medie e intellettuali in una misura inaudita: quindi preoccupazioni e scongiuri ed esorcismi. Ma il fenomeno è vecchio almeno come le religioni.

 

Q7 §4

La base scientifica di una morale del materialismo storico è da cercare, mi pare, nell’affermazione che "la società non si pone compiti per la soluzione dei quali non esistano già le condizioni di risoluzione". Esistendo le condizioni, la soluzione dei compiti diviene "dovere", la "volontà" diviene libera. La morale diventerebbe una ricerca delle condizioni necessarie per la libertà del volere in un certo senso, verso un certo fine e la dimostrazione che queste condizioni esistono. Si dovrebbe trattare anche non di una gerarchia dei fini, ma di una graduazione dei fini da raggiungere, dato che si vuole "moralizzare" non solo ogni individuo singolarmente preso, ma anche tutta una società di individui.

 

Q7 §45

Quando si può dire che una filosofia ha un’importanza storica? Molte ricerche e studi intorno al significato storico delle diverse filosofie sono assolutamente sterili e cervellotici perché non si tiene conto del fatto che molti sistemi filosofici sono espressioni puramente (o quasi) individuali e che la parte che di essi può chiamarsi storica è spesso minima e annegata in un complesso di astrazioni di origine puramente razionale e astratto. Si può dire che il valore storico di una filosofia può essere "calcolato" dall’efficacia "pratica" che essa ha conquistato (e "pratica" deve essere intesa in senso largo). Se è vero che ogni filosofia è l’espressione di una società, dovrebbe reagire sulla società, determinare certi effetti, positivi e negativi: la misura in cui appunto reagisce è la misura della sua portata storica, del suo non essere "elucubrazione" individuale, ma "fatto storico".

 

Q8 §177

La realtà "oggettiva". Cosa significa "oggettivo"? Non significherà "umanamente oggettivo" e non sarà perciò anche umanamente "soggettivo"? L’oggettivo sarebbe allora l’universale soggettivo, cioè: il soggetto conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario. La lotta per l’oggettività sarebbe quindi la lotta per l’unificazione culturale del genere umano: il processo di quella unificazione sarebbe il processo di oggettivazione del soggetto, che diventa sempre più un universale concreto, storicamente concreto. La scienza sperimentale è il terreno in cui una tale oggettivazione ha raggiunto il massimo di realtà; è l’elemento culturale che ha più contribuito a unificare l’umanità, e la soggettività più oggettivata e universalizzata concretamente. Il concetto di oggettivo della filosofia materialistica volgare pare che voglia intendere una oggettività superiore all’uomo, che potrebbe essere conosciuta anche all’infuori dell’uomo: si tratta quindi di una forma banale di misticismo e di metafisicheria. Quando si dice che una certa cosa esisterebbe anche se non esistesse l’uomo, o si fa una metafora o si cade appunto nel misticismo. Noi conosciamo i fenomeni in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è un divenire, anche la conoscenza è un divenire, pertanto anche l’oggettività è un divenire ecc.

 

Q8 §211

Una delle ragioni, e forse la più importante, della riduzione al materialismo tradizionale del materialismo storico, è da ricercare in ciò che il materialismo storico non poteva non rappresentare una fase prevalentemente critica della filosofia, mentre si ha sempre "bisogno" di un sistema compiuto e perfetto. Ma i sistemi compiuti e perfetti sono sempre opera di singoli filosofi, e in essi accanto alla parte storica attuale, cioè corrispondente alle attuali condizioni di vita, esiste sempre una parte astratta, "astorica", nel senso che è legata alle precedenti filosofie (pensiero che crea pensiero astrattamente), che è dovuta a necessità esteriori e meccaniche di sistema (armonia interna e architettura del sistema) e che è dovuta a idiosincrasie personali.  
Ma la filosofia di un’epoca non è nessuna filosofia individuale o di gruppo: è l’insieme di tutte le filosofie individuali e di gruppo [+ le opinioni scientifiche] + la religione + il senso comune. Si può formare una filosofia di tal genere "artificiosamente" per opera individuale o di gruppo? La attività critica è la sola possibile, specialmente nel senso di porre e risolvere criticamente determinati problemi filosofici. Ma intanto occorre partire dal concetto che la nuova filosofia non è nessuna delle filosofie passate ecc.

 

Q10 §17

La storia della filosofia come si intende comunemente, cioè la storia delle filosofie dei filosofi, è la storia dei tentativi e delle iniziative ideologiche di una determinata classe di persone per mutare, correggere, perfezionare le concezioni del mondo esistenti in ogni determinata epoca e per mutare quindi le conformi e relative norme di condotta, ossia per mutare la attività pratica nel suo complesso. Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica due diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l’attenzione sulle altre parti della storia della filosofia: cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari complessi culturali e la filosofia dei filosofi. La filosofia di un’epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: è una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d’azione collettiva, cioè diventa "storia" concreta e completa (integrale).   La filosofia di un’epoca storica non è dunque altro che la "storia" di quella stessa epoca, non è altro che la massa di variazioni che il gruppo dirigente è riuscito a determinare nella realtà precedente: storia e filosofia sono inscindibili in questo senso, formano "blocco". Possono però essere "distinti" gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi: come filosofia dei filosofi, come concezione dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di "combinazione" ideologica.

 

Q10 §52

Posto il principio che tutti gli uomini sono "filosofi", che cioè tra i filosofi professionali o "tecnici" e gli altri uomini non c'è differenza "qualitativa" ma solo "quantitativa" (e in questo caso "quantità" ha un significato suo particolare, che non può essere confuso con somma aritmetica, poiché indica maggiore o minore "omogeneità", "coerenza", "logicità" ecc., cioè quantità di elementi qualitativi), è tuttavia da vedere in che consista propriamente la differenza. Così non sarà esatto chiamare "filosofia" ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni "concezione del mondo e della vita". Il filosofo si potrà chiamare "un operaio qualificato" in confronto ai manovali, ma neanche questo è esatto, perché nell’industria, oltre al manovale e all’operaio qualificato c'è l'ingegnere, il quale non solo conosce il mestiere praticamente, ma lo conosce teoricamente e storicamente. Il filosofo professionale o tecnico non solo "pensa" con maggior rigore logico, con maggiore coerenza, con maggiore spirito di sistema degli altri uomini, ma conosce tutta la storia del pensiero, cioè sa rendersi ragione dello sviluppo che il pensiero ha avuto fino a lui ed è in grado di riprendere i problemi dal punto in cui essi si trovano dopo aver subito il massimo di tentativo di soluzione ecc. Hanno nel campo del pensiero la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno gli specialisti.

Tuttavia c’è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'avere fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, è appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano "entomologhi" empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli altri uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò "comuni"), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il pensare è proprio dell’uomo come tale (a meno che non sia patologicamente idiota).

 

Q10 §54

Che cosa è l’uomo? È questa la domanda prima e principale della filosofia. Come si può rispondere? La definizione si può trovare nell’uomo stesso; e cioè in ogni singolo uomo. Ma è giusta? In ogni singolo uomo si può trovare che cosa è ogni "singolo uomo". Ma a noi non interessa che cosa è ogni singolo uomo, che poi significa che cosa è ogni singolo uomo in ogni singolo momento. Se ci pensiamo, vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l’uomo vogliamo dire: che cosa l’uomo può diventare, se cioè l’uomo può dominare il proprio destino, può "farsi", può crearsi una vita. Diciamo dunque che l’uomo è un processo e precisamente è il processo dei suoi atti.   Se ci pensiamo, la stessa domanda: cosa è l’uomo? non è una domanda astratta, o "obbiettiva". Essa è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo "fabbri di noi stessi", della nostra vita, del nostro destino. E ciò vogliamo saperlo "oggi", nelle condizioni date oggi, della vita "odierna" e non di una qualsiasi vita e di un qualsiasi uomo. La domanda è nata, riceve il suo contenuto da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l’uomo: il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo.

In realtà, domandandoci: "cos’è l’uomo", quale importanza ha la sua volontà e la sua concreta attività nel creare se stesso e la vita che vive, vogliamo dire: "è il cattolicismo una concezione esatta dell’uomo e della vita? essendo cattolici, cioè facendo del cattolicismo una norma di vita, sbagliamo o siamo nel vero?" Tutti hanno la vaga intuizione che facendo del cattolicismo una norma di vita sbagliano, tanto vero che nessuno si attiene al cattolicismo come norma di vita, pur dichiarandosi cattolico. Un cattolico integrale, che cioè applicasse in ogni atto della vita le norme cattoliche, sembrerebbe un mostro, ciò che è, a pensarci, la critica più rigorosa del cattolicismo stesso e la più perentoria. I cattolici diranno che nessuna altra concezione è seguita puntualmente, ed hanno ragione, ma ciò dimostra solo che non esiste di fatto, storicamente, un modo di concepire ed operare uguale per tutti gli uomini e niente altro; non ha nessuna ragione favorevole al cattolicismo, sebbene questo modo di pensare ed operare da secoli sia organizzato a questo scopo, ciò che ancora non è avvenuto per nessun’altra religione con gli stessi mezzi, con lo stesso spirito di sistema, con la stessa continuità e centralizzazione. Dal punto di vista "filosofico" ciò che non soddisfa nel cattolicismo è il fatto che esso, nonostante tutto, pone la causa del male nell’uomo stesso individuo, cioè concepisce l’uomo come individuo ben definito e limitato. Tutte le filosofie finora esistite può dirsi che riproducono questa posizione del cattolicismo, cioè concepiscono l’uomo come individuo limitato alla sua individualità e lo spirito come tale individualità.

È su questo punto che occorre riformare il concetto dell’uomo. Cioè occorre concepire l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individualità ha la massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l’individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e il 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l’uomo non entra in rapporto con la natura semplicemente, per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica.

Ancora. Questi rapporti non sono meccanici. Sono attivi e coscienti, cioè corrispondono a un grado maggiore o minore d’intelligenza che di essi ha il singolo uomo. Perciò si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente, inteso per ambiente l’insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte. Se la propria individualità è l’insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria personalità significa modificare l’insieme di questi rapporti. Ma questi rapporti, come si è detto, non sono semplici.   Intanto, alcuni di essi sono necessari, altri volontari. Inoltre averne coscienza più o meno profonda (cioè conoscere più o meno il modo con cui si possono modificare) già li modifica. Gli stessi rapporti necessari in quanto sono conosciuti nella loro necessità, cambiano d’aspetto e d’importanza. La conoscenza è potere, in questo senso.

Ma il problema è complesso anche per un altro aspetto: che non basta conoscere l’insieme dei rapporti in quanto esistono in un momento dato come un dato sistema, ma importa conoscerli geneticamente, nel loro moto di formazione, poiché ogni individuo non solo è la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò che è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e, se questo cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile. Società alle quali un singolo può partecipare: sono molto numerose, più di quanto può sembrare. È attraverso queste "società" che il singolo fa parte del genere umano. Così sono molteplici i modi con cui il singolo entra in rapporto colla natura, poiché per tecnica, deve intendersi non solo quell’insieme di nozioni scientifiche applicate industrialmente che di solito s’intende, ma anche gli strumenti "mentali", la conoscenza filosofica.

Che l’uomo non possa concepirsi altro che vivente in società è luogo comune, tuttavia non se ne traggono tutte le conseguenze necessarie anche individuali: che una determinata società umana presupponga una determinata società delle cose e che la società umana sia possibile solo in quanto esiste una determinata società delle cose è anche luogo comune. È vero che finora a questi organismi oltre individuali è stato dato un significato meccanicistico e deterministico (sia la societas hominum che la societas rerum): quindi la reazione. Bisogna elaborare una dottrina in cui tutti questi rapporti sono attivi e in movimento, fissando ben chiaro che sede di questa attività è la coscienza dell’uomo singolo che conosce, vuole, ammira, crea, in quanto già conosce, vuole, ammira, crea ecc. e si concepisce non isolato ma ricco di possibilità offertegli dagli altri uomini e dalla società delle cose, di cui non può non avere una certa conoscenza. (Come ogni uomo è filosofo, ogni uomo è scienziato ecc.).

 

Q11 §12

Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici. Occorre pertanto dimostrare preliminarmente che tutti gli uomini sono "filosofi", definendo i limiti e i caratteri di questa "filosofia spontanea", propria di "tutto il mondo", e cioè della filosofia che è contenuta: 1) nel linguaggio stesso, che è un insieme di nozioni e di concetti determinati e non già e solo di parole grammaticalmente vuote di contenuto; 2) nel senso comune e buon senso; 3) nella religione popolare e anche quindi in tutto il sistema di credenze, superstizioni, opinioni, modi di vedere e di operare che si affacciano in quello che generalmente si chiama "folclore". 

 

Q11 §59

Cosa è la filosofia? Un’attività puramente ricettiva o tutto al più ordinatrice, oppure una attività assolutamente creativa? Occorre definire cosa s’intende per "ricettivo", "ordinatore","creativo". "Ricettivo" implica la certezza di un mondo esterno assolutamente immutabile, che esiste "in generale"; obbiettivamente nel senso volgare del termine. "Ordinatore" si avvicina a "ricettivo": sebbene implichi un’attività nel pensiero, questa attività è limitata e angusta. Ma cosa significa "creativo"? Significherà che il mondo esterno è creato dal pensiero? Ma da qual pensiero e di chi? Si può cadere nel solipsismo e infatti ogni forma di idealismo cade nel solipsismo necessariamente. Per sfuggire al solipsismo e nello stesso tempo alle concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attività ricettiva e ordinatrice, occorre porre la quistione "storicisticamente" e nello stesso tempo porre a base della filosofia la "volontà" (in ultima analisi l’attualità pratica o politica), ma una volontà razionale, non arbitraria, che si realizza in quanto corrisponde a necessità obbiettive storiche, cioè in quanto è la stessa storia universale nel momento della sua attuazione progressiva; se questa volontà è rappresentata inizialmente da un singolo individuo, la sua razionalità è documentata da ciò che essa viene accolta dal gran numero, e accolta permanentemente, cioè diventa una cultura, un (buon senso), una concezione del mondo, con una etica conforme alla sua struttura.  

Fino alla filosofia classica tedesca, la filosofia fu concepita come attività ricettiva o al massimo ordinatrice, cioè fu concepita come conoscenza di un meccanismo obbiettivamente funzionante all’infuori dell’uomo. La filosofia classica tedesca introdusse il concetto di "creatività" del pensiero, ma in senso idealistico e speculativo. Pare che solo la filosofia della prassi abbia fatto fare un passo in avanti al pensiero, sulla base della filosofia classica tedesca, evitando ogni tendenza al solipsismo, storicizzando il pensiero in quanto lo assume come concezione del mondo, come "buon senso" diffuso nel gran numero (e tale diffusione non sarebbe appunto pensabile senza la razionalità o storicità) e diffuso in modo tale da convertirsi in norma attiva di condotta. Creativo occorre intenderlo quindi nel senso "relativo", di pensiero che modifica il modo di sentire del maggior numero e quindi della realtà stessa che non può essere pensata senza questo maggior numero. Creativo anche nel senso che insegna come non esista una "realtà" per se stante, in sé e per sé, ma in rapporto storico con gli uomini che la modificano ecc.