Educazione e formazione

Q1 §15

Delle università italiane. Perché non esercitano nel paese quell'influsso di regolatrici della vita culturale che esercitano in altri paesi? Uno dei motivi deve ricercarsi in ciò che nelle università il contatto tra insegnanti e studenti non è organizzato. Il professore insegna dalla cattedra alla massa degli ascoltatori, cioè svolge la sua lezione, e se ne va. Solo nel periodo della laurea avviene che lo studente si avvicini al professore, gli chieda un tema e consigli specifici sul metodo della ricerca scientifica. Per la massa degli studenti i corsi non sono altro che una serie di conferenze, ascoltate con maggiore o minore attenzione, tutte o solo una parte: lo studente si affida alle dispense, all'opera che il docente stesso ha scritto sull'argomento o alla bibliografia che ha indicato. Un maggiore contatto esiste tra i singoli insegnanti e singoli studenti che vogliono specializzarsi su una determinata disciplina: questo contatto si forma, per lo più, casualmente ed ha una importanza enorme per la continuità accademica e per la fortuna delle varie discipline. Si forma, per esempio, per cause religiose, politiche, di amicizia famigliare. Uno studente diventa assiduo di un professore, che lo incontra in biblioteca, lo invita a casa, gli consiglia libri da leggere e ricerche da tentare. Ogni insegnante tende a formare una sua "scuola", ha suoi determinati punti di vista (chiamati "teorie") su determinate parti della sua scienza, che vorrebbe veder sostenuti da "suoi seguaci o discepoli". Ogni professore vuole che dalla sua università, in concorrenza con le altre, escano giovani "distinti" che portino contributi "seri" alla sua scienza. Perciò nella stessa facoltà c'è concorrenza tra professori di materie affini per contendersi certi giovani che si siano già distinti con una recensione o un articoletto o in discussioni scolastiche (dove se ne fanno). Il professore allora guida veramente il suo allievo; gli indica un tema, lo consiglia nello svolgimento, gli facilita le ricerche, con le sue conversazioni assidue accelera la sua formazione scientifica, gli fa pubblicare i primi saggi nelle riviste specializzate, lo mette in rapporto con altri specialisti e lo accaparra definitivamente. 

Questo costume, salvo casi sporadici di camorra, è benefico, perché integra la funzione delle università. Dovrebbe, da fatto personale, di iniziativa personale, diventare funzione organica: non so fino a che punto, ma mi pare che i seminari di tipo tedesco, rappresentino questa funzione o cerchino di svolgerla. Intorno a certi professori c'è ressa di procaccianti, che sperano raggiungere più facilmente una cattedra universitaria. Molti giovani invece, che vengono dai licei di provincia specialmente, sono spaesati e nell'ambiente sociale universitario e nell'ambiente di studio. I primi sei mesi del corso servono per orientarsi sul carattere specifico degli studi universitari e la timidezza nei rapporti personali è immancabile tra docente e discepolo. Nei seminari ciò non si verificherebbe o almeno non nella stessa misura. 

In ogni modo, questa struttura generale della vita universitaria non crea, già all'università, alcuna gerarchia intellettuale permanente tra professori e massa di studenti; dopo l'università anche quei pochi legami si sciolgono e nel paese manca ogni struttura culturale che si impernii sull'università.

 

Q1 §89

Lo Stato ha una sua concezione della vita e cerca di diffonderla: è un suo compito e un suo dovere. Questa diffusione non avviene su una tabula rasa; entra in concorrenza e si urta per es. col folklore e "deve" superarlo. Conoscere il folklore significa per l'insegnante conoscere quali altre concezioni lavorano alla formazione intellettuale e morale delle generazioni giovani. Solo che bisognerebbe mutare lo spirito delle ricerche folkloristiche oltre che approfondirle: il folklore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola, una cosa tutt'al più pittoresca: ma deve essere concepito come una cosa molto seria e da prendere sul serio. 

Solo così l'insegnamento sarà più efficace e più formativo della cultura delle grandi masse popolari e sparirà il distacco tra cultura moderna e cultura popolare, o folklore.

 

Q1 §123

Cercare l'origine storica esatta di alcuni principi della pedagogia moderna: la scuola attiva ossia la collaborazione amichevole tra maestro e alunno; la scuola all'aperto; la necessità di lasciar libero, sotto il vigile ma non appariscente controllo del maestro, lo sviluppo delle facoltà spontanee dello scolaro.

La Svizzera ha dato un grande contributo alla pedagogia moderna (Pestalozzi ecc.), per la tradizione ginevrina di Rousseau; in realtà questa pedagogia è una forma confusa di filosofia connessa a una serie di regole empiriche. Non si è tenuto conto che le idee di Rousseau sono una reazione violenta alla scuola e ai metodi pedagogici dei Gesuiti e in quanto tale rappresentano un progresso: ma si è poi formata una specie di chiesa che ha paralizzato gli studi pedagogici e ha dato luogo a delle curiose involuzioni (nelle dottrine di Gentile e del Lombardo-Radice).

La "spontaneità" è una di queste involuzioni: si immagina quasi che nel bambino il cervello sia come un gomitolo che il maestro aiuta a sgomitolare. In realtà ogni generazione educa la nuova generazione, cioè la forma, e l'educazione è una lotta contro gli istinti legati alle funzioni biologiche elementari, una lotta contro la natura, per dominarla e creare l'uomo "attuale" alla sua epoca. Non si tiene conto che il bambino da quando incomincia a "vedere e a toccare", forse da pochi giorni dopo la nascita, accumula sensazioni e immagini, che si moltiplicano e diventano complesse con l'apprendimento del linguaggio. La "spontaneità" se analizzata diventa sempre più problematica. Inoltre la "scuola", cioè l'attività educativa diretta, è solo una frazione della vita dell'alunno, che entra in contatto sia con la società umana sia con la societas rerum e si forma criteri da queste fonti "extrascolastiche" molto più importanti di quanto comunemente si creda. La scuola unica, intellettuale e manuale, ha anche questo vantaggio, che pone contemporaneamente il bambino a contatto con la storia umana e con la storia delle "cose" sotto il controllo del maestro.

 

Q4 §50

La scuola unitaria. Un punto importante nello studio dell’organizzazione pratica della scuola unitaria è la fissazione della carriera scolastica nei suoi vari gradi secondo l’età e la maturità intellettuale-morale dei giovani e secondo i fini che la scuola vuol raggiungere. La scuola unitaria o di cultura generale "umanistica" (intesa in senso largo e non solo nel senso tradizionale) dovrebbe proporsi di immettere nella vita attiva i giovani con una certa autonomia intellettuale, cioè con un certo grado di capacità alla creazione intellettuale e pratica, di orientamento indipendente. La fissazione dell’età scolastica obbligatoria varia col variare delle condizioni economiche generali da cui dipendono due conseguenze secondo il nostro punto di vista della scuola unitaria: 1) la necessità di far lavorare i giovani per averne subito un certo apporto produttivo immediato; 2) la disponibilità finanziaria statale da dedicare all’educazione pubblica che dovrebbe essere di una certa grandezza per l’estensione che la scuola assumerebbe come edifizi, come materiale didattico in senso largo, come corpo di insegnanti; il corpo degli insegnanti specialmente crescerebbe di molto, perché la efficienza della scuola è tanto maggiore e rapida quanto più è piccolo il rapporto tra allievi e maestri, ma ciò pone il problema della formazione di un tal corpo, non certo di facile e rapida soluzione. 

Anche la quistione degli edifizi non è semplice, perché questo tipo di scuola, proponendosi anche la rapidità, deve essere una scuola-collegio, con dormitori, refettori, biblioteche specializzate, sale adatte per il lavoro di seminario ecc. Si può dire che inizialmente il nuovo tipo di scuola dovrà e non potrà non essere di élites di giovani scelti per concorso o indicati sotto la loro responsabilità dalle istituzioni private idonee. Prendendo come tipo di riferimento la attuale scuola classica: 1) elementari, 2) ginnasio, 3) liceo, 4) università con le specializzazioni professionali, teoretiche o pratiche si può dire che la scuola unitaria comprenderebbe i primi tre gradi riorganizzati, non solo per il contenuto e il metodo dell’insegnamento, ma anche per la disposizione della carriera scolastica. Le elementari dovrebbero essere di tre-quattro anni e insegnare dogmaticamente (sempre in modo relativo) i primi elementi della nuova concezione del mondo, lottando contro la concezione del mondo data dall’ambiente tradizionale (folklore in tutta la sua estensione) oltre [a dare], s’intende, gli strumenti primordiali della cultura: leggere, scrivere, far di conto, nozioni di geografia, storia, diritti e doveri (cioè prime nozioni sullo Stato e la società). Il ginnasio potrebbe essere ridotto a quattro anni e il liceo a due, in modo che un bambino che è entrato in iscuola a sei anni potrebbe a quindici-sedici aver percorso tutta la scuola unitaria. 

A chi può obbiettare che un tale corso scolastico è troppo faticoso per la sua rapidità se si vogliono raggiungere gli stessi risultati dell’attuale organizzazione della scuola classica, si può rispondere che il complesso della nuova organizzazione contiene in sé gli elementi generali per cui già oggi per un certo numero di allievi l’attuale organizzazione è invece troppo lenta. 

Quali sono questi elementi? In una serie di famiglie specialmente delle classi intellettuali, i ragazzi trovano nella vita famigliare una continuazione e una integrazione della vita scolastica, apprendono come si dice "nell’aria" tutta una quantità di nozioni e di attitudini che facilitano la carriera scolastica propriamente detta; inoltre essi cominciano ad apprendere qualche anno prima dell’inizio delle elementari la lingua letteraria, cioè un mezzo di espressione e di pensiero superiore a quello della media della popolazione scolastica dai sei ai dieci anni. Così c’è una differenza tra gli allievi della città e quelli della campagna: per il solo fatto di vivere in città un bambino da uno a sei anni assorbe tutta una quantità di nozioni e di attitudini che rendono più facile, più proficua e più rapida la carriera scolastica.

Nell’organizzazione della scuola unitaria devono esistere almeno le principali di queste condizioni. Intanto è da supporre che durante il suo sviluppo si sviluppino parallelamente gli asili infantili, istituzioni in cui anche sotto i sei anni i bambini si abituano a una certa disciplina collettiva ed acquistano nozioni ed attitudini prescolastiche. Lo stesso avverrà successivamente, se la scuola porterà con sé la vita di collegio diurna e notturna, liberata dalle attuali forme di disciplina ipocrita e meccanica e con l’assistenza agli allievi non solo in classe, ma anche nelle ore di studio individuale, con la partecipazione a questa assistenza dei migliori allievi, ecc. 

Il problema fondamentale si pone in quella fase dell’attuale carriera scolastica che oggi è rappresentata dal liceo, e che oggi non si differenzia per nulla, come tipo d’insegnamento, dalle classi precedenti, altro che per la supposizione di una maggiore maturità intellettuale e morale dell’allievo come un portato della maggiore età e dell’esperienza accumulata precedentemente. Di fatto però tra liceo e università c’è un salto, una vera soluzione di continuità, non un passaggio normale dalla quantità (età) alla qualità (maturità intellettuale e morale). Dall’insegnamento quasi puramente ricettivo si passa alla scuola creativa; dalla scuola con disciplina dello studio imposta e controllata dal di fuori si passa alla scuola in cui l’autodisciplina [intellettuale] e l’autonomia morale è teoricamente illimitata. A ciò avviene subito dopo la crisi della pubertà, quando la foga delle passioni istintive ed elementari non ha ancora finito di lottare coi freni del carattere e della coscienza morale. In Italia poi, dove nelle Università non è diffuso il principio del "seminario", il passaggio è ancora più brusco e meccanico. Ecco dunque che nella scuola unitaria la fase del Liceo deve essere concepita come la fase transitoria più importante in cui la scuola tende a creare i valori fondamentali dell’"umanesimo", l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale necessarie per l’ulteriore specializzazione, sia che essa sia di carattere intellettuale (studi universitari) sia che sia di carattere immediatamente pratico-produttivo (industria, organizzazione degli scambi, burocrazia ecc.). 

Lo studio del metodo scientifico deve cominciare nel Liceo e non essere più un monopolio dell’Università: il Liceo deve essere già un elemento fondamentale dello studio creativo e non solo ricettivo (io faccio una differenza tra scuola creativa e scuola attiva: tutta la scuola unitaria è scuola attiva, mentre la scuola creativa è una fase, il coronamento della scuola attiva. Naturalmente sia scuola attiva che scuola creativa devono essere intese rettamente: la scuola attiva, dalla fase romantica in cui gli elementi della lotta contro la scuola meccanica e gesuitica si sono dilatati morbosamente per ragioni di contrasto e di polemica, deve trovare e raggiungere la fase classica, liberata dagli elementi spuri polemici e che trova in se stessa e nei fini che vuol raggiungere la sua ragione di essere e l’impulso a trovare le sue forme e i suoi metodi. Così scuola creativa non significa scuola di "inventori e scopritori" di fatti ed argomenti originali in senso assoluto, ma scuola in cui la "recezione" avviene per uno sforzo spontaneo e autonomo dell’allievo e in cui il maestro esercita specialmente una funzione di controllo e di guida amichevole come avviene, o dovrebbe avvenire oggi nelle Università. Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e impulsi esterni, una verità è "creazione", anche se la verità è vecchia: in ogni modo si entra nella fase intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove, poiché da se stessi si è raggiunta la conoscenza, si è scoperta una "verità" vecchia). 

Nel Liceo dunque l’attività scolastica fondamentale si svolgerà nei seminari, nelle biblioteche, nei gabinetti sperimentali, nei laboratori: in esso si raccoglieranno gli elementi fondamentali per l’orientazione professionale. Un’innovazione essenziale sarà determinata dall’avvento della scuola unitaria nei rapporti oggi esistenti tra Università e Accademie.

Oggi queste due istituzioni sono indipendenti l’una dall’altra e le Accademie (le grandi Accademie, naturalmente) hanno un posto gerarchicamente superiore a quello delle Università. Colla scuola unitaria, le Accademie dovranno diventare l’organizzazione intellettuale (di sistemazione e creazione intellettuale) di quegli elementi che dopo la scuola unitaria non faranno l’Università, ma si inizieranno subito a una professione. Questi elementi non dovranno cadere nella passività intellettuale, ma dovranno avere a disposizione un organismo, specializzato in tutte le branche industriali e intellettuali, al quale potranno collaborare e nel quale dovranno trovare tutti i mezzi necessari per il lavoro creativo che vogliono intraprendere. Il sistema accademico verrà riorganizzato e vivificato. Territorialmente esso avrà una gerarchia: un centro nazionale che si aggregherà le grandi accademie nazionali, delle sezioni provinciali e dei circoli locali urbani e rurali. Si dividerà poi per sezioni specializzate che saranno tutte rappresentate al centro e nelle province e solo parzialmente nei circoli locali. Il principio sarà quello degli Istituti di Cultura di un determinato raggruppamento sociale. 

Il lavoro accademico tradizionale, cioè la sistemazione del sapere esistente (tipo italiano attuale dell’Accademia) e la guida e stabilizzazione secondo una media [(pensiero medio)] delle attività intellettuali (tipo francese dell’Accademia) diventerà [solo] un aspetto della nuova organizzazione che dovrà avere un’attività creativa e di divulgazione con autorità collettiva. Essa controllerà le conferenze industriali, le conferenze e le attività di organizzazione scientifica del lavoro, i gabinetti sperimentali di fabbrica, ecc. e sarà il meccanismo selettivo per mettere in valore le capacità individuali della periferia. Ogni circolo locale di questa organizzazione dovrà avere la sezione di scienze morali e politiche, ma potrà crearsi, a domanda degli interessati, una sezione di scienze applicate, per discutere dal punto di vista della cultura, le quistioni industriali, agrarie, di organizzazione e razionalizzazione del lavoro di fabbrica, agricolo, burocratico. Congressi periodici, elettivi per i rappresentanti, metteranno in luce i più capaci presso i dirigenti dei gradi superiori, ecc. 

Nelle sezioni provinciali e al centro tutte le attività dovranno essere rappresentate, con laboratori, biblioteche, ecc. I contatti gerarchici saranno tenuti dai conferenzieri e da ispettori: le sezioni provinciali e il Centro (che potrebbe riprodurre l’attuale Collegio di Francia) dovrebbero periodicamente invitare, a fare relazioni accademiche, rappresentanti delle sezioni subordinate, fare dei concorsi, stabilire dei premi (borse di studio all’interno e all’estero). Sarebbe utile avere l’elenco completo delle Accademie attualmente esistenti e delle materie che sono prevalentemente trattate nei loro Atti: in gran parte si tratta di cimiteri della cultura. La collaborazione tra questa organizzazione e le Università dovrebbe essere stretta, così come con le scuole superiori specializzate di altri rami (militare, navale, ecc.). Si avrebbe, con questa organizzazione, una centralizzazione e un impulso della cultura inaudito su tutta l’area nazionale. Inizialmente si potrebbero avere il Centro-nazionale e i circoli locali con poche sezioni. Lo schema esposto indica solo una linea programmatica di principio, che potrebbe essere percorsa gradualmente. Quindi sarebbe necessario integrare lo schema con le misure transitorie indispensabili: in ogni modo anche queste misure transitorie dovrebbero essere concepite nello spirito generale di questa linea, in modo che le istituzioni transitorie possano mano a mano essere assorbite nello schema fondamentale senza soluzione di continuità e crisi.

 

Q4 §55

Un mediocre insegnante può riuscire a ottenere che gli allievi diventino più istruiti, non riuscirà mai a ottenere che siano più colti: la parte meccanica della scuola egli la svolgerà con scrupolo e coscienza, e l’allievo, se è un cervello attivo, ordinerà per conto suo il "bagaglio".
[…] Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e di aridità. 

Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse "coattivamente", per "coercizione meccanica" assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare di lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno. (Si potrà migliorare molto, indubbiamente, ma su questa base). 

[…] Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare, ad analizzare un corpo storico che si può trattare come un cadavere ma che continuamente si ricompone in vita. […] Si studia la storia letteraria, la storia dei libri scritti in quella,lingua, la storia politica, le gesta degli uomini che parlavano quella lingua. È questo complesso organico che determina l’educazione del giovinetto, il fatto che anche solo materialmente ha percorso tutto quell’itinerario, con quelle tappe, ecc. ecc. Questo studio educava senza averne la volontà espressamente dichiarata, anche col minimo intervento dell’insegnante. Esperienze logiche, psicologiche, artistiche, ecc. erano fatte senza riflettervi su, ma era fatta specialmente una grande esperienza storica, di sviluppo storico. 

Naturalmente io non credo che il latino e il greco abbiano delle qualità taumaturgiche intrinseche: dico che in un dato ambiente, in una data cultura, con una data tradizione, lo studio così graduato dava quei determinati effetti. Si può sostituire il latino e il greco e li si sostituirà utilmente, ma occorrerà sapere disporre didatticamente la nuova materia o la nuova serie di materie, in modo da ottenere risultati equivalenti di educazione generale dell’uomo, partendo dal ragazzetto fino all’età della scelta professionale. In questo periodo lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere disinteressato, cioè non avere scopi pratici immediati o troppo immediatamente mediati: deve essere formativo, anche se "istruttivo", cioè ricco di nozioni concrete. 

Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola "formativa" immediatamente disinteressata. La cosa più paradossale è che questo tipo di scuola appare e viene predicata come "democratica", mentre invece essa e proprio destinata a perpetuare le differenze sociali. Come si spiega questo paradosso? Dipende, mi pare, da un errore di prospettiva storica tra quantità e qualità. La scuola tradizionale è stata "oligarchica" perché frequentata solo dai figli della classe superiore destinati a diventare dirigenti: ma non era "oligarchica" per il modo del suo insegnamento.
Non è l’acquisto di capacità direttive, non è la tendenza a formare uomini superiori che dà carattere sociale a un tipo di scuola. Il carattere sociale della scuola è dato dal fatto che ogni strato sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in quello strato una determinata funzione tradizionale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovane fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come uomo capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige. 

Il moltiplicarsi di tipi di scuole professionali tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in esse, tende anche a creare nuove stratificazioni interne, ecco che nasce l’impressione della sua tendenza democratica. Manovale e operaio qualificato per esempio. Contadino e geometra o piccolo agronomo, ecc. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un manovale diventi operaio qualificato, ma che ogni "cittadino" può diventare "governante" e che la società lo pone sia pure "astrattamente" nelle condizioni generali di poterlo diventare: la "democrazia politica" tende a far coincidere governanti e governati, assicurando a ogni governato l’apprendimento più o meno gratuito della preparazione "tecnica" generale necessaria. Ma nella realtà, il tipo di scuola praticamente imperante, mostra che si tratta di un’illusione verbale. 

La scuola va organizzandosi sempre più in modo da restringere la base della classe governativa tecnicamente preparata, cioè con una preparazione universale storico-critica.
[…] Anche lo studio è un mestiere e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare "facilitazioni". Molti pensano addirittura che la difficoltà sia artificiale, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. È una quistione complessa. Certo il ragazzo di una famiglia tradizionalmente di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psicofisico: egli già entrando la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sugli altri scolari, ha un’ambientazione già acquisita per le abitudini famigliari. Così il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini o di un contadino già sviluppato per la vita dei campi. Anche il regime dei cibi ha un’importanza, ecc. ecc. Ecco perché molti del "popolo" pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un "trucco" a loro danno; vedono il signore (per molti, nelle campagne specialmente, "signore" vuol dire "intellettuale") compiere con scioltezza e con apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un "trucco". 

In una nuova situazione politica, queste quistioni diventeranno asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite.

 

Q6 §206

Il sistema delle lezioni-conferenze porta l’insegnante a non ripetersi o a ripetersi il meno possibile: le quistioni sono così presentate solo entro un quadro determinato, ciò che le rende unilaterali per lo studente. Lo studente assorbe uno o due del cento detto dall’insegnante; ma se il cento è formato di cento unilateralità diverse, l’assorbimento non può essere che molto basso. Un corso universitario è concepito come un libro sull’argomento: ma si può diventare colti con la lettura di un solo libro? Si tratta quindi della quistione del metodo nell’insegnamento universitario: all’Università si deve studiare o studiare per saper studiare? Si devono studiare "fatti" o il metodo per studiare i "fatti"? La pratica del "seminario" dovrebbe appunto integrare e vivificare l’insegnamento orale.

 

Q10 §44

Ogni atto storico non può non essere compiuto dall’"uomo collettivo", cioè presuppone il raggiungimento di una unità "culturale-sociale" per cui una molteplicità di voleri disgregati, con eterogeneità di fini, si saldano insieme per uno stesso fine, sulla base di una (uguale) e comune concezione del mondo (generale e particolare, transitoriamente operante - per via emozionale - o permanente, per cui la base intellettuale è così radicata, assimilata, vissuta, che può diventare passione). Poiché così avviene, appare l’importanza della quistione linguistica generale, cioè del raggiungimento collettivo di uno stesso "clima" culturale. Questo problema può e deve essere avvicinato all’impostazione moderna della dottrina e della pratica pedagogica, secondo cui il rapporto tra maestro e scolaro è un rapporto attivo, di relazioni reciproche e pertanto ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro. Ma il rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti specificatamente "scolastici", per i quali le nuove generazioni entrano in contatto con le anziane e ne assorbono le esperienze e i valori storicamente necessari "maturando" e sviluppando una propria personalità storicamente e culturalmente superiore.

Questo rapporto esiste in tutta la società nel suo complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di "egemonia" è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali. Perciò si può dire che la personalità storica di un filosofo individuale è data anche dal rapporto attivo tra lui e l’ambiente culturale che egli vuole modificare, ambiente che reagisce sul filosofo e, costringendolo a una continua autocritica, funziona da "maestro".

 

Q12 §1

La scuola unitaria o di formazione umanistica (inteso questo termine di umanismo in senso largo e non solo nel senso tradizionale) o di cultura generale, dovrebbe proporsi di immettere nell’attività sociale i giovani dopo averli portati a un certo grado di maturità e capacità alla creazione intellettuale e pratica e di autonomia nell’orientamento e nell’iniziativa.

La fissazione dell’età scolastica obbligatoria dipende dalle condizioni economiche generali, poiché queste possono costringere a domandare ai giovani e ai ragazzi un certo apporto produttivo immediato. La scuola unitaria domanda che lo Stato possa assumersi le spese che oggi sono a carico della famiglia per il mantenimento degli scolari, cioè trasforma il bilancio del dicastero dell’educazione nazionale da cima a fondo, estendendolo in modo inaudito e complicandolo: la intera funzione dell’educazione e formazione delle nuove generazioni diventa da privata, pubblica, poiché solo così essa può coinvolgere tutte le generazioni senza divisioni di gruppi o caste. Ma questa trasformazione dell’attività scolastica domanda un allargamento inaudito dell’organizzazione pratica della scuola, cioè degli edifizi, del materiale scientifico, del corpo insegnante ecc. Il corpo insegnante specialmente dovrebbe essere aumentato, perché la efficienza della scuola è tanto maggiore e intensa quanto più piccolo è il rapporto tra maestro e allievi, ciò che prospetta altri problemi non di facile e rapida soluzione.

Anche la quistione degli edifizi non è semplice, perché questo tipo di scuola dovrebbe essere una scuola-collegio, con dormitori, refettori, biblioteche specializzate, sale adatte per il lavoro di seminario ecc. Perciò inizialmente il nuovo tipo di scuola dovrà e non potrà non essere che propria di gruppi ristretti, di giovani scelti per concorso o indicati sotto la loro responsabilità da istituzioni idonee.  

La scuola unitaria dovrebbe corrispondere al periodo rappresentato oggi dalle elementari e dalle medie, riorganizzate non solo per il contenuto e il metodo di insegnamento, ma anche per la disposizione dei vari gradi della carriera scolastica. Il primo grado elementare non dovrebbe essere di più che 3-4 anni e accanto all’insegnamento delle prime nozioni "strumentali" dell’istruzione -- leggere, scrivere, far di conto, geografia, storia -- dovrebbe specialmente svolgere la parte che oggi è trascurata dei "diritti e doveri", cioè le prime nozioni dello Stato e della società, come elementi primordiali di una nuova concezione del mondo che entra in lotta contro le concezioni date dai diversi ambienti sociali tradizionali, cioè le concezioni che si possono chiamare folcloristiche. Il problema didattico da risolvere è quello di temperare e fecondare l’indirizzo dogmatico che non può non essere proprio di questi primi anni. Il resto del corso non dovrebbe durare più di sei anni, in modo che a 15-16 anni si dovrebbe poter compiere tutti i gradi della scuola unitaria. Si può obbiettare che un tale corso è troppo faticoso per la sua rapidità, se si vogliono raggiungere effettivamente i risultati che l’attuale organizzazione della scuola classica si propone ma non raggiunge. Si può dire però che il complesso della nuova organizzazione dovrà contenere in se stessa gli elementi generali per cui oggi, per una parte degli allievi almeno, il corso è invece troppo lento. Quali sono questi elementi?

In una serie di famiglie, specialmente dei ceti intellettuali, i ragazzi trovano nella vita famigliare una preparazione, un prolungamento e un’integrazione della vita scolastica, assorbono, come si dice, dall’"aria" tutta una quantità di nozioni e di attitudini che facilitano la carriera scolastica propriamente detta: essi conoscono già e sviluppano la conoscenza della lingua letteraria, cioè il mezzo di espressione e di conoscenza, tecnicamente superiore ai mezzi posseduti dalla media della popolazione scolastica dai 6 ai 12 anni. Così gli allievi della città, per il solo fatto di vivere in città, hanno assorbito già prima dei 6 anni una quantità di nozioni e di attitudini che rendono più facile, più proficua e più rapida la carriera scolastica.   Nell’organizzazione intima della scuola unitaria devono essere create almeno le principali di queste condizioni, oltre al fatto, che è da supporre, che parallelamente alla scuola unitaria si sviluppi una rete di asili d’infanzia e altre istituzioni in cui, anche prima dell’età scolastica, i bambini siano abituati a una certa disciplina collettiva ed acquistino nozioni e attitudini prescolastiche. Infatti, la scuola unitaria dovrebbe essere organizzata come collegio, con vita collettiva diurna e notturna, liberata dalle attuali forme di disciplina ipocrita e meccanica, e lo studio dovrebbe essere fatto collettivamente, con l’assistenza dei maestri e dei migliori allievi, anche nelle ore di applicazione così detta individuale ecc.

Il problema fondamentale si pone per quella fase dell’attuale carriera scolastica che oggi è rappresentata dal liceo e che oggi non si differenzia per nulla, come tipo d’insegnamento, dalle classi precedenti, altro che per la supposizione astratta di una maggiore maturità intellettuale e morale dell’allievo conforme all’età maggiore e all’esperienza precedentemente accumulata. Di fatto tra liceo e università e cioè tra la scuola vera e propria e la vita c’è un salto, una vera soluzione di continuità, non un passaggio razionale dalla quantità (età) alla qualità (maturità intellettuale e morale). Dall’insegnamento quasi puramente dogmatico, in cui la memoria ha una grande parte, si passa alla fase creativa o di lavoro autonomo e indipendente; dalla scuola con disciplina dello studio imposta e controllata autoritativamente si passa a una fase di studio o di lavoro professionale in cui l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale è teoricamente illimitata. E ciò avviene subito dopo la crisi della pubertà, quando la foga delle passioni istintive ed elementari non ha ancora finito di lottare coi freni del carattere e della coscienza morale in formazione. In Italia poi, dove nelle Università non è diffuso il principio del lavoro di "seminario", il passaggio è ancora più brusco e meccanico. Ecco dunque che nella scuola unitaria la fase ultima deve essere concepita e organata come la fase decisiva in cui si tende a creare i valori fondamentali dell’"umanesimo", l’autodisciplina intellettuale e l’autonomia morale necessarie per l’ulteriore specializzazione sia essa di carattere scientifico (studi universitari) sia di carattere immediatamente pratico-produttivo (industria, burocrazia, organizzazione degli scambi, ecc.).  

Lo studio e l’apprendimento dei metodi creativi nella scienza e nella vita deve cominciare in questa ultima fase della scuola e non essere più un monopolio dell’Università o essere lasciato al caso della vita pratica: questa fase scolastica deve già contribuire a sviluppare l’elemento della responsabilità autonoma negli individui, essere una scuola creativa (occorre distinguere tra scuola creativa e scuola attiva, anche nella forma data dal metodo Dalton. Tutta la scuola unitaria è scuola attiva, sebbene occorra porre dei limiti alle ideologie libertarie in questo campo e rivendicare con una certa energia il dovere delle generazioni adulte, cioè dello Stato, di "conformare" le nuove generazioni.

Si è ancora nella fase romantica della scuola attiva, in cui gli elementi della lotta contro la scuola meccanica e gesuitica si sono dilatati morbosamente per ragioni di contrasto e di polemica: occorre entrare nella fase "classica", razionale, trovare nei fini da raggiungere la sorgente naturale per elaborare i metodi e le forme. La scuola creativa è il coronamento della scuola attiva: nella prima fase si tende a disciplinare, quindi anche a livellare, a ottenere una certa specie di "conformismo" che si può chiamare "dinamico"; nella fase creativa, sul fondamento raggiunto di "collettivizzazione" del tipo sociale, si tende a espandere la personalità, divenuta autonoma e responsabile, ma con una coscienza morale e sociale solida e omogenea. Così scuola creativa non significa scuola di "inventori e scopritori"; si indica una fase e un metodo di ricerca e di conoscenza, e non un "programma" predeterminato con l’obbligo dell’originalità e dell’innovazione a tutti i costi. Indica che l’apprendimento avviene specialmente per uno sforzo spontaneo e autonomo del discente, e in cui il maestro esercita solo una funzione di guida amichevole come avviene o dovrebbe avvenire nell’Università. Scoprire da se stessi, senza suggerimenti e aiuti esterni, una verità è creazione, anche se la verità è vecchia, e dimostra il possesso del metodo; indica che in ogni modo si è entrati nella fase di maturità intellettuale in cui si possono scoprire verità nuove. Perciò in questa fase l’attività scolastica fondamentale si svolgerà nei seminari, nelle biblioteche, nei laboratori sperimentali; in essa si raccoglieranno le indicazioni organiche per l’orientamento professionale).  

L’avvento della scuola unitaria significa l’inizio di nuovi rapporti tra lavoro intellettuale e lavoro industriale non solo nella scuola, ma in tutta la vita sociale. Il principio unitario si rifletterà perciò in tutti gli organismi di cultura, trasformandoli e dando loro un nuovo contenuto. Problema della nuova funzione che potranno assumere le Università e le Accademie. Oggi queste due istituzioni sono indipendenti l’una dall’altra e le Accademie sono il simbolo, spesso a ragione deriso, del distacco esistente tra l’alta cultura e la vita, tra gli intellettuali e il popolo (perciò quella certa fortuna che ebbero i futuristi nel loro primo periodo di Sturm und Drang antiaccademico, antitradizionalista ecc.). In una nuova situazione di rapporti tra vita e cultura, tra lavoro intellettuale e lavoro industriale, le accademie dovrebbero diventare l’organizzazione culturale (di sistemazione, espansione e creazione intellettuale) di quegli elementi che dopo la scuola unitaria passeranno al lavoro professionale, e un terreno d’incontro tra essi e gli universitari. Gli elementi sociali impiegati nel lavoro professionale non devono cadere nella passività intellettuale, ma devono avere a loro disposizione (per iniziativa collettiva e non di singoli, come funzione sociale organica riconosciuta di pubblica necessità ed utilità) istituti specializzati in tutte le branche di ricerca e di lavoro scientifico, ai quali potranno collaborare e in cui troveranno tutti i sussidi necessari per ogni forma di attività culturale che intendano intraprendere.

L’organizzazione accademica dovrà essere riorganizzata e vivificata da cima a fondo. Territorialmente avrà una centralizzazione di competenze e di specializzazione: centri nazionali che si aggregheranno le grandi istituzioni esistenti, sezioni regionali e provinciali e circoli locali urbani e rurali. Si sezionerà per competenze scientifico-culturali, che saranno tutte rappresentate nei centri superiori ma solo parzialmente nei circoli locali. Unificare i vari tipi di organizzazione culturale esistenti: Accademie, Istituti di cultura, circoli filologici ecc., integrando il lavoro accademico tradizionale, che si esplica prevalentemente nella sistemazione del sapere passato o nel cercare di fissare una media del pensiero nazionale come guida dell’attività intellettuale, con attività collegate alla vita collettiva, al mondo della produzione e del lavoro.  

Si controlleranno le conferenze industriali, l’attività dell’organizzazione scientifica del lavoro, i gabinetti sperimentali di fabbrica ecc. Si costruirà un meccanismo per selezionare e fare avanzare le capacità individuali della massa popolare, che oggi sono sacrificate e si smarriscono in errori e tentativi senza uscita. Ogni circolo locale dovrebbe avere necessariamente la sezione di scienze morali e politiche, e mano a mano organizzerà le altre sezioni speciali per discutere gli aspetti tecnici dei problemi industriali, agrari, di organizzazione e razionalizzazione del lavoro, di fabbrica, agricolo, burocratico ecc. Congressi periodici di diverso grado faranno conoscere i più capaci. Sarebbe utile avere l’elenco completo delle Accademie e delle altre organizzazioni culturali oggi  esistenti e degli argomenti che sono prevalentemente trattati nei loro lavori e pubblicati nei loro Atti: in gran parte si tratta di cimiteri della cultura, pure esse hanno una funzione nella psicologia della classe dirigente. La collaborazione tra questi organismi e le Università dovrebbe essere stretta, così come con tutte le scuole superiori specializzate di ogni genere (militari, navali, ecc.). Lo scopo è di ottenere una centralizzazione e un impulso della cultura nazionale che sarebbero superiori a quelli della Chiesa Cattolica. (Questo schema di organizzazione del lavoro culturale secondo i principi generali della scuola unitaria, dovrebbe essere sviluppato in tutte le sue parti accuratamente e servire di guida nella costituzione anche del più elementare e primitivo centro di cultura, che dovrebbe essere concepito come un embrione e una molecola di tutta la più massiccia struttura. Anche le iniziative che si sanno transitorie e di esperimento dovrebbero essere concepite come capaci di essere assorbite nello schema generale e nello stesso tempo come elementi vitali che tendono a creare tutto lo schema. Studiare con attenzione l’organizzazione e lo sviluppo del Rotary Club). 

 

Q12 §2

La coscienza individuale della stragrande maggioranza dei fanciulli riflette rapporti civili e culturali diversi e antagonistici con quelli che sono rappresentati dai programmi scolastici: il "certo" di una cultura progredita, diventa "vero" nei quadri di una cultura fossilizzata e anacronistica, non c’è unità tra scuola e vita, e perciò non c’è unità tra istruzione e educazione. Perciò si può dire che nella scuola il nesso istruzione educazione può solo essere rappresentato dal lavoro vivente del maestro, in quanto il maestro è consapevole dei contrasti tra il tipo di società e di cultura che egli rappresenta e il tipo di società e di cultura rappresentato dagli allievi ed è consapevole del suo compito che consiste nell’accelerare e nel disciplinare la formazione del fanciullo conforme al tipo superiore in lotta col tipo inferiore. Se il corpo magistrale è deficiente e il nesso istruzione-educazione viene sciolto per risolvere la quistione dell’insegnamento secondo schemi cartacei in cui l’educatività è esaltata, l’opera del maestro risulterà ancor più deficiente: si avrà una scuola retorica, senza serietà, perché mancherà la corposità materiale del certo, e il vero sarà vero di parole, appunto retorica. La degenerazione si vede ancor meglio nella scuola media, per i corsi di letteratura e filosofia. Prima gli allievi, per lo meno, si formavano un certo "bagaglio" o "corredo" (secondo i gusti) di nozioni concrete: ora che il maestro deve essere specialmente un filosofo e un esteta, l’allievo trascura le nozioni concrete e si "riempie la testa" di formule e parole che per lui non hanno senso, il più delle volte, e che vengono subito dimenticate.

 

Q27 §1

[L’] attività formativa dello Stato, che si esprime, oltre che nell’attività politica generale, specialmente nella scuola, non si svolge sul niente e dal niente: in realtà  essa è in concorrenza e in contradditorio con altre concezioni esplicite ed implicite e tra queste non delle minori e meno tenaci è il folclore, che pertanto deve essere "superato".  

Conoscere il "folclore" significa pertanto per l’insegnante conoscere quali altre concezioni del mondo e della vita lavorano di fatto alla formazione intellettuale e morale delle generazioni più giovani per estirparle e sostituirle con concezioni ritenute superiori. Dalle scuole elementari alle... Cattedre d’agricoltura, in realtà, il folclore era già sistematicamente battuto in breccia: l’insegnamento del folclore agli insegnanti dovrebbe rafforzare ancor più questo lavoro sistematico.  

È certo che per raggiungere il fine occorrerebbe mutare lo spirito delle ricerche folcloristiche oltre che approfondirle ed estenderle. Il folclore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio. Solo così l’insegnamento sarà più efficiente e determinerà realmente la nascita di una nuova cultura nelle grandi masse popolari, cioè sparirà il distacco tra cultura moderna e cultura popolare o folclore. Un’attività di questo genere, fatta in profondità, corrisponderebbe nel piano intellettuale a ciò che è stata la Riforma nei paesi protestanti.