Cultura e Pensiero critico

 

(CF, cit.)

“Modello è lo schema tipico di un determinato fenomeno, di una determinata legge. Il succedersi in modo uniforme dei fatti permette di fissarne le leggi, di tracciarne gli schemi, di costruirne i modelli. Purché non si diano a queste astrazioni dell'intelletto valori assoluti, esse hanno una ragguardevole utilità pedagogica: servono mirabilmente per riuscire a collocarsi nel centro stesso dell'atto fenomenico che si svolge e va elaborando tutte le sue possibilità, tutte le sue tendenze finalistiche. E quando si è riusciti a compiere questo atto iniziale, il più è fatto: l'intelligenza riesce ormai a sorprendere il divenire del fatto, lo comprende nella sua totalità e quindi nella sua individualità. Il modello, la legge, lo schema sono in sostanza espedienti metodologici che aiutano a impadronirsi della realtà; sono espedienti critici per iniziarsi alla conoscenza e al saper esatto.”

 

(GP, 29 gennaio 1916)

“Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l'uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici, di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell'umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri. Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore, così bene fustigato a sangue da Romain Rolland, che ha partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, più deleteri per la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide per la bellezza e la sanità fisica dei corpi.

Lo studentucolo che sa un po' di latino e di storia, l'avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori, crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce.

La cultura è una cosa ben diversa. E' organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà, come avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L'uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe altrimenti il perché, essendo sempre esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori di ricchezza e consumatori egoistici di essa, non si sia ancora realizzato il socialismo.

Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l'umanità ha acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri che si trovavano nelle stesse condizioni.”

 

(GP, 29 gennaio 1916)

“Critica vuol dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica. Critica vuol dire appunto quella coscienza dell'io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di repulsione. Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non si può ottenere ciò se non si conoscono anche gli altri, la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò che sono, per creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la nostra. Vuol dire avere nozioni di cosa è la natura e le sue leggi per conoscere le leggi che governano lo spirito. E tutto imparare senza perdere di vista lo scopo ultimo che è di meglio conoscere se stessi attraverso gli altri e gli altri attraverso se stessi.”

 

(CF, cit.)

“Lo sforzo fatto per conquistare una verità, fa apparire un po' come propria la verità stessa, anche se alla sua nuova enunciazione non si è aggiunto nulla di veramente proprio, non s'è data neppure una lieve colorazione personale. Ecco perché spesso si plagiano gli altri inconsciamente, e si rimane disillusi per la freddezza con cui vengono accolte affermazioni che riputavamo capaci di scuotere, di entusiasmare. Amico mio, ci ripetiamo sconsolatamente, il tuo era l'uovo di Colombo. Ebbene, non mi importa di essere lo scopritore dell'uovo di Colombo. Preferisco ripetere una verità già conosciuta al cincischiarmi l'intelligenza per fabbricare paradossi brillanti, spiritosi giochi di parole, acrobatismi verbali, che fanno sorridere, ma non fanno pensare.

La giardiniera plebea è sempre la minestra più nutriente e più appetitosa appunto perché preparata con le civaie più usuali. Mi piace vederla ingoiare a larghe cucchiaiate dagli uomini gagliardi e ricchi di succhi gastrici che contengono nella forza della loro volontà e dei loro muscoli l'avvenire. La più trita verità non è mai stata ripetuta quanto basti perché essa diventi massima e stimolo all'azione in tutti gli uomini.”

 

Q1 §43

Trovare la reale identità sotto l'apparente differenziazione e contraddizione e trovare la sostanziale diversità sotto l'apparente identità, ecco la più essenziale qualità del critico delle idee e dello storico dello sviluppo sociale. Il lavoro educativo-formativo che un centro omogeneo di cultura svolge, l'elaborazione di una coscienza critica che esso promuove e favorisce su una determinata base storica che contenga le premesse materiali a questa elaborazione, non può limitarsi alla semplice enunciazione teorica di principi "chiari" di metodo; questa sarebbe pura azione "illuministica". Il lavoro necessario è complesso e deve essere articolato e graduato: ci deve essere la deduzione e l'induzione combinate, l'identificazione e la distinzione, la dimostrazione positiva e la distruzione del vecchio. Ma non in astratto, in concreto: sulla base del reale. Ma come sapere quali sono gli errori radicati o più generalmente diffusi? Evidentemente è impossibile una "statistica" dei modi di pensare e delle singole opinioni individuali, che dia un quadro organico e sistematico: non rimane che la revisione della letteratura più diffusa e più popolare combinata con lo studio e la critica delle correnti ideologiche precedenti, ognuna delle quali "può" aver lasciato un sedimento, variamente combinatosi con quelli precedenti e susseguenti.

 

Q3 §62

Quale deve essere l’atteggiamento di un gruppo politico innovatore verso il passato, specialmente verso il passato più prossimo? Naturalmente deve essere un atteggiamento essenzialmente "politico", determinato dalle necessità pratiche, ma la quistione consiste precisamente nella determinazione dei "limiti" di un tale atteggiamento. Una politica realistica non deve solo tener presente il successo immediato (per determinati gruppi politici, però, il successo immediato è tutto: si tratta dei movimenti puramente repressivi, per i quali si tratta specialmente di date un gran colpo ai nemici immediati, di terrorizzare i gregari di questi e quindi acquistare il respiro necessario per riorganizzare e rafforzare con istituzioni appropriate la macchina repressiva dello Stato), ma anche salvaguardare e creare le condizioni necessarie per l’attività avvenire e tra queste condizioni è l’educazione popolare. Questo è il punto. L’atteggiamento sarà tanto più "imparziale", cioè storicamente "obbiettivo", quanto più elevato sarà il livello culturale e sviluppato lo spirito critico, il senso delle distinzioni. Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a differenziarsene, o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi nell’entusiasmo declamatorio.

 

Q4 §49

In attesa che si formi un gruppo di intellettuali abbastanza preparati per essere in grado di produrre una regolare attività libraria (s’intende di libri organici e non di pubblicazioni d’occasione o di raccolte di articoli) e come mezzo per accelerare questa formazione, intorno alle riviste tipo dovrebbe costituirsi un circolo di cultura, che collegialmente criticasse ed elaborasse i lavori dei singoli, distribuiti secondo  un piano e riguardanti quistioni di principio (programmatiche). I lavori, nella elaborazione definitiva, cioè dopo aver subito la critica e la revisione collegiale, dopo aver raggiunto una estrinsecazione su cui l’opinione collegiale sia fondamentalmente concorde, dovrebbero essere raccolti nell’Annuario a cui accennai nella nota. Attraverso la discussione e la critica collegiale (fatta di suggerimenti,di consigli, di indicazioni metodiche, critica costruttiva e rivolta alla educazione reciproca) si innalzerebbe il livello medio dei membri del circolo, fino a raggiungere l’altezza e la capacità del più preparato. Dopo i primi lavori sarebbe possibile all’ufficio di presidenza o di segreteria avere dei criteri e delle indicazioni sui lavori ulteriori da assegnare e sulla loro distribuzione organica, in modo da indurre i singoli a specializzarsi e a crearsi le condizioni di specializzazione: schedari, spogli bibliografici, raccolte delle opere fondamentali specializzate, ecc. Il metodo di lavoro dovrebbe essere molto severo e rigoroso: nessuna improvvisazione e declamazione. I lavori, scritti e distribuiti preventivamente a tutti i soci del circolo, dovrebbero essere criticati per iscritto, in note stringate, che elencassero le manchevolezze, i suggerimenti, i punti necessari di chiarimento, ecc. Si potrebbe introdurre un principio fecondo di lavoro: ogni membro del circolo incaricato di un certo lavoro potrebbe scegliere tra gli altri un consigliere guida che lo indirizzi e lo aiuti con arte "maieutica", cioè che non si sostituisca a lui ma solo lo aiuti a lavorare e a sviluppare in sé una disciplina di lavoro, un metodo di produzione, che lo "taylorizzi" intellettualmente, per così dire.

 

Q6 §77

A proposito della quistione delle glorie nazionali legate alle invenzioni di singoli individui geniali, le cui scoperte e invenzioni non hanno però avuto applicazione o riconoscimento nel paese d’origine si può ancora osservare: che le invenzioni e le scoperte possono essere e sono spesso infatti casuali, non solo, ma che i singoli inventori possono essere legati a correnti culturali e scientifiche che hanno avuto origine e sviluppo in altri paesi, presso altre nazioni. 

Perciò una invenzione o scoperta perde il carattere individuale e casuale e può essere giudicata nazionale quando: l’individuo è strettamente [e necessariamente] collegato a una organizzazione di cultura che ha caratteri nazionali o quando l’invenzione è approfondita, applicata, sviluppata in tutte le sue possibilità dall’organizzazione culturale della nazione d’origine. 

Fuori di queste condizioni non rimane che l’elemento "razza" cioè una entità imponderabile e che d’altronde può essere rivendicato da tutti i paesi e che in ultima analisi si confonde con la così detta "natura umana". Si può dunque chiamare nazionale l’individuo che è conseguenza della realtà concreta nazionale e che inizia una fase determinata dell’operosità pratica o teorica nazionale. Bisognerebbe poi mettere in luce che una nuova scoperta che rimane cosa inerte non è un valore: l’"originalità" consiste tanto nello "scoprire" quanto nell’"approfondire" e nello "sviluppare" e nel "socializzare", cioè nel trasformare in elemento di civiltà universale: ma appunto in questi campi si manifesta l’energia nazionale, che è collettiva, che è l’insieme dei rapporti interni di una nazione. 

 

Q6 §170

Ogni governo ha una politica culturale e può difenderla dal suo punto di vista e dimostrare di aver innalzato il livello culturale nazionale. Tutto sta nel vedere quale sia la misura di questo livello. Un governo può organizzare meglio l’alta cultura e deprimere la cultura popolare, e ancora: dell’alta cultura può organizzare meglio la sezione riguardante la tecnologia e le scienze naturali, paternalisticamente mettendo a sua disposizione somme di denaro come prima non si faceva, ecc. Il criterio di giudizio può essere solo questo: un sistema di governo è repressivo o espansivo? e anche questo criterio deve essere precisato: un governo repressivo per alcuni aspetti, è espansivo per altri? Un sistema di governo è espansivo quando facilita e promuove lo sviluppo dal basso in alto, quando eleva il livello di cultura nazionale-popolare e rende quindi possibile una selezione di "cime intellettuali" su più vasta area. Un deserto con un gruppo di alte palme è sempre un deserto: anzi è proprio del deserto avere delle piccole oasi con gruppi di alte palme.

 

Q8 §153

Constatato che essendo contraddittorio l’insieme dei rapporti sociali, è contraddittoria la coscienza storica degli uomini, si pone il problema del come si manifesti tale contraddittorietà: si manifesta nell’intero corpo sociale, per l’esistenza di coscienze storiche di gruppo, e si manifesta negli individui come riflesso di queste antinomie di gruppo. Nei gruppi subalterni, per l’assenza di iniziativa storica, la disgregazione è più grave, è più forte la lotta per liberarsi da principii imposti e non proposti autonomamente, per il raggiungimento di una, coscienza storica autonoma. Come si formerà? Come ognuno dovrà scegliere gli elementi che costituiranno la coscienza autonoma? Ogni elemento "imposto" sarà perciò da ripudiare a priori? Sarà da ripudiare come imposto, ma non in se stesso, cioè occorrerà dargli una nuova forma che sia legata al gruppo dato. Che l’istruzione sia "obbligatoria" non significa che sia da ripudiare: occorre fare "libertà" di ciò che è "necessario", ma perciò occorre riconoscere una necessità "obbiettiva", cioè che sia obbiettiva anche per il gruppo in parola.   Bisogna riferirsi quindi ai rapporti tecnici di produzione, a un determinato tipo di produzione che per essere continuato e sviluppato domanda un determinato modo di vivere e quindi determinate regole di condotta. Bisogna persuadersi che non solo è "oggettivo" e necessario un certo attrezzo, ma anche un certo modo di comportarsi, una certa educazione, una certa civiltà; in questa oggettività e necessità storica si può porre l’universalità del principio morale, anzi non è mai esistita altra universalità che questa oggettiva necessità, spiegata con ideologie trascendenti e presentata nel modo più efficace volta per volta perché si ottenesse lo scopo.

 

Q8 §196

Non è molto "scientifico" o più semplicemente "molto serio", scegliere i propri avversari tra i più stupidi e mediocri, o ancora, scegliere tra le opinioni dei propri avversari le meno essenziali e più occasionali e presumere d’aver distrutto "tutto" l’avversario perché si è distrutta una sua opinione secondaria e occasionale, o d’aver distrutto un’ideologia o una dottrina perché si è dimostrata l’insufficienza teorica dei suoi campioni di terzo o quarto ordine. Ancora, occorre essere giusti coi propri avversari, nel senso che bisogna sforzarsi di comprendere ciò che essi realmente hanno voluto dire e non fermarsi ai significati superficiali e immediati delle loro espressioni. Ciò si dica, se il fine propostosi è quello di elevare il tono e il livello intellettuale dei propri seguaci, e non quello immediato di fare il deserto intorno a sé, con ogni mezzo e maniera. Occorre porsi da questo punto di vista: che il proprio seguace debba discutere e sostenere il proprio punto di vista nei confronti di avversari capaci e intelligenti, e non solo di persone incolte e impreparate, che si convincono "autoritativamente" o per via "emozionale".  
La possibilità dell’errore deve essere affermata e giustificata, senza con ciò venir meno alla propria concezione, poiché ciò che importa non è già l’opinione di Tizio, Caio, Sempronio, ma quell’insieme di opinioni che sono diventate collettive, sono diventate un elemento e una forza sociale: queste occorre confutare, nei loro esponenti teorici più rappresentativi e degni per altezza di pensiero e anche per "disinteresse" immediato, e non già pensando di aver con ciò "distrutto" l’elemento e la forza sociale corrispondente (ciò che sarebbe puro razionalismo illuministico), ma solo di aver contribuito: 1) a mantenere nella propria parte lo spirito di scissione e di distruzione: 2) a creare il terreno perché la propria parte assorba e vivifichi una propria dottrina originale, corrispondente alle proprie condizioni di vita.

 

Q10 §24

Nell’impostazione dei problemi storico-critici, non bisogna concepire la discussione scientifica come un processo giudiziario, in cui c’è un imputato e c’è un procuratore che, per obbligo d’ufficio, deve dimostrare che l’imputato è colpevole e degno di essere tolto dalla circolazione. Nella discussione scientifica, poiché si suppone che l’interesse sia la ricerca della verità e il progresso della scienza, si dimostra più "avanzato" chi si pone dal punto di vista che l’avversario può esprimere un’esigenza che deve essere incorporata, sia pure come momento subordinato, nella propria costruzione.  

Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell’avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essersi liberato dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista "critico", l’unico fecondo nella ricerca scientifica.

 

Q10 §48

Cos’è l’uomo? cos’è la natura umana? […] Se si concepisce l’uomo come l’insieme dei rapporti sociali, intanto appare che ogni paragone tra uomini nel tempo è impossibile, perché si tratta di cose diverse, se non eterogenee.  D’altronde, poiché l’uomo è anche l’insieme delle sue condizioni di vita, si può misurare quantitativamente la differenza tra il passato e il presente, poiché si può misurare la misura in cui l’uomo domina la natura e il caso. La possibilità non è la realtà, ma è anch’essa una realtà: che l’uomo possa fare una cosa o non possa farla, ha la sua importanza per valutare ciò che realmente si fa. Possibilità vuol dire "libertà". La misura delle libertà entra nel concetto d’uomo. Che ci siano le possibilità obbiettive di non morire di fame, e che si muoia di fame ha la sua importanza, a quanto pare. Ma l’esistenza delle condizioni obbiettive, o possibilità o libertà non è ancora sufficiente: occorre "conoscerle" e sapersene servire. Volersene servire. L’uomo, in questo senso, è volontà concreta, cioè applicazione effettuale dell’astratto volere o impulso vitale ai mezzi concreti che tale volontà realizzano. 

Si crea la propria personalità: 1) dando un indirizzo determinato e concreto ("razionale") al proprio impulso vitale o volontà; 2) identificando i mezzi che rendono tale volontà concreta e determinata e non arbitraria; 3) contribuendo a modificare l’insieme delle condizioni concrete che realizzano questa volontà nella misura dei propri limiti di potenza e nella forma più fruttuosa.   L’uomo è da concepire come un blocco storico di elementi puramente individuali e soggettivi e di elementi di massa e oggettivi o materiali coi quali l’individuo è in rapporto attivo. Trasformare il mondo esterno, i rapporti generali, significa potenziare se stesso, sviluppare se stesso. Che il "miglioramento" etico sia puramente individuale è illusione ed errore: la sintesi degli elementi costitutivi dell’individualità è "individuale", ma essa non si realizza e sviluppa senza un’attività verso l’esterno, modificatrice dei rapporti esterni, da quelli verso la natura a quelli verso gli altri uomini in vari gradi, nelle diverse cerchie sociali in cui si vive, fino al rapporto massimo, che abbraccia tutto il genere umano. Perciò si può dire che l’uomo è essenzialmente "politico", poiché l’attività per trasformare e dirigere coscientemente gli altri uomini realizza la sua "umanità", la sua "natura umana".

 

Q11 §12

È preferibile "pensare" senza averne consapevolezza critica, in modo disgregato e occasionale, cioè "partecipare" a una concezione del mondo "imposta" meccanicamente dall’ambiente esterno, e cioè da uno dei tanti gruppi sociali nei quali ognuno è automaticamente coinvolto fin dalla sua entrata nel mondo cosciente (e che può essere il proprio villaggio o la provincia, può avere origine nella parrocchia e nell’"attività intellettuale" del curato o del vecchione patriarcale la cui "saggezza" detta legge, nella donnetta che ha ereditato la sapienza dalle streghe o nel piccolo intellettuale inacidito nella propria stupidaggine e impotenza a operare) o è preferibile elaborare la propria concezione del mondo consapevolmente e criticamente e quindi, in connessione con tale lavorio del proprio cervello, scegliere la propria sfera di attività, partecipare attivamente alla produzione della storia del mondo, essere guida di se stessi e non già accettare passivamente e supinamente dall’esterno l’impronta alla propria personalità?

[…] Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre a un determinato aggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare. Si è conformisti di un qualche conformismo, si è sempre uomini-massa o uomini-collettivi. La quistione è questa: di che tipo storico è il conformismo, l’uomo-massa di cui si fa parte? Quando la concezione del mondo non è critica e coerente ma occasionale e disgregata, si appartiene simultaneamente a una molteplicità di uomini-massa, la propria personalità è composita in modo bizzarro: si trovano in essa elementi dell’uomo delle caverne e principii della scienza più moderna e progredita, pregiudizi di tutte le fasi storiche passate grettamente localistiche e intuizioni di una filosofia avvenire quale sarà propria del genere umano unificato mondialmente. Criticare la propria concezione del mondo significa dunque renderla unitaria e coerente e innalzarla fino al punto cui è giunto il pensiero mondiale più progredito. Significa quindi anche criticare tutta la filosofia finora esistita, in quanto essa ha lasciato stratificazioni consolidate nella filosofia popolare. L’inizio dell’elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un "conosci te stesso" come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario.

 

Q11 §12

Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali", significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, "socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto "filosofico" ben più importante e "originale" che non sia il ritrovamento da parte di un "genio" filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali.

 

Q15 §45

Il rapporto tra l’economia politica e l’economia critica non è stato saputo mantenere nelle sue forme organiche e storicamente attuali. […] Ciò che colpisce è questo: come un punto di vista critico che richiede il massimo di intelligenza, di spregiudicatezza, di freschezza mentale e di inventività scientifica sia divenuto il monopolio di biascicazione di cervelli ristretti e meschini, che solo per la posizione dogmatica riescono a mantenere una posizione non nella scienza, ma nella bibliografia marginale della scienza. Una forma di pensare ossificata è il pericolo più grande in queste quistioni: è da preferire una certa sbrigliatezza disordinata alla difesa filistea delle posizioni culturali costituite.

 

Q28 §11

Tutti i più ridicoli fantasticatori che nei loro nascondigli di genii incompresi fanno scoperte strabilianti e definitive, si precipitano su ogni movimento nuovo persuasi di poter spacciare le loro fanfaluche. D’altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà.