Capitalismo

 

(CF, cit.)

“Come idea-limite il programma liberale crea lo stato etico, uno stato cioè che idealmente sta al disopra delle competizioni di classe, del vario intrecciarsi ed urtarsi degli aggruppamenti che ne sono la realtà economica e tradizionale. È un'aspirazione politica questo stato, più che una realtà politica; esiste solo come modello utopistico, ma è appunto questo suo essere un miraggio che lo irrobustisce e ne fa una forza di conservazione. Nella speranza che finalmente esso si realizzi nella sua compiuta perfezione, molti trovano la forza per non rinnegarlo, e non cercare quindi di sostituirlo.”

 

(CF, cit.)

“Liberismo è la formula che comprende tutta una storia di lotte, di movimenti rivoluzionari per la conquista di singole libertà. E’ la forma mentis venutasi creando attraverso questi movimenti. È la convinzione venutasi formando nel sempre maggior numero di cittadini che vennero attraverso queste lotte a partecipare all'attività pubblica, che nella libera manifestazione dei propri convincimenti, nel libero esplicarsi delle forze produttive e legislative del paese era il segreto della felicità. Della felicità, naturalmente, intesa nel senso che di tutto ciò che succede di male, non possa andare la colpa a singoli, e di tutto ciò che non riesce debba ricercarsi la ragione solo nel fatto che gli iniziatori non possedevano ancora la forza per affermare vittoriosamente il loro programma.”

 

(ON, 27 settembre 1920)

“Non si può dire quindi che il regime borghese non sia un regime di libertà; tutta la storia è un succedersi di regimi di libertà, ma di libertà individuale o politica, cioè libertà formale per tutti e libertà effettiva per i possessori dei mezzi di produzione e di scambio. ”

 

Q1 §61

L'americanismo può essere una fase intermedia dell'attuale crisi storica? La concentrazione plutocratica può determinare una nuova fase dell'industrialismo europeo sul modello dell'industria americana? Il tentativo probabilmente sarà fatto (razionalizzazione, sistema Bedaux, taylorismo ecc.). Ma può riuscire? L'Europa reagisce, contrapponendo alla "vergine" America le sue tradizioni di cultura. Questa reazione è interessante non perché una così detta tradizione di cultura possa impedire una rivoluzione nell'organizzazione industriale, ma perché essa è la reazione della "situazione" europea alla "situazione" americana. In realtà, l'americanismo, nella sua forma più compiuta, domanda una condizione preliminare: "la razionalizzazione della popolazione", cioè che non esistano classi numerose senza una funzione nel mondo della produzione, cioè classi assolutamente parassitarie. La "tradizione" europea è proprio invece caratterizzata dall'esistenza di queste classi, create da questi elementi sociali: l'amministrazione statale, il clero e gli intellettuali, la proprietà terriera, il commercio…

L'America senza "tradizione", ma anche senza questa cappa di piombo: questa una delle ragioni della formidabile accumulazione di capitali, nonostante i salari relativamente migliori di quelli europei. La non esistenza di queste sedimentazioni vischiose delle fasi storiche passate ha permesso una base sana all'industria e specialmente al commercio e permette sempre più la riduzione dei trasporti e del commercio a una reale attività subalterna della produzione, coll'assorbimento di questa attività da parte dell'industria stessa (vedi Ford e quali "risparmi" abbia fatto sui trasporti e sul commercio assorbendoli). Questa "razionalizzazione" preliminare delle condizioni generali della produzione, già esistente o facilitata dalla storia, ha permesso di razionalizzare la produzione, combinando la forza (- distruzione del sindacalismo --) con la persuasione - salari e altri benefizi -; per collocare tutta la vita del paese sulla base dell'industria.

 

Q3 §11

Il problema non è se in America esista una nuova civiltà, una nuova cultura, e se queste nuove civiltà e cultura stiano invadendo l‘Europa: se il problema dovesse porsi così, la risposta sarebbe facile: no, non esiste ecc., e anzi in America non si fa che rimasticare la vecchia cultura europea. Il problema è questo: se l’America, col peso implacabile della sua produzione economica, costringerà e sta già costringendo l’Europa a un rivolgimento della sua assise economica-sociale, che sarebbe avvenuto lo stesso ma con ritmo lento e che invece si presenta come un contraccolpo della "prepotenza" americana, se cioè si sta creando una trasformazione delle basi materiali della civiltà, ciò che a lungo andare (e non molto lungo, perché nel periodo attuale tutto è più rapido che nei periodi passati) porterà a un travolgimento della civiltà stessa esistente e alla nascita di una nuova. Gli elementi di vita che oggi si diffondono sotto l‘etichetta americana, sono appena i primi tentativi a tastoni, dovuti, non già all’"ordine" che nasce dalla nuova assise che non si è formata ancora, ma all’iniziativa degli elementi déclassés dagli inizi dell’operare di questa nuova assise.

Ciò che oggi si chiama americanismo è in grandissima parte un fenomeno di panico sociale, di dissoluzione, di disperazione dei vecchi strati che dal nuovo ordine saranno appunto schiacciati: sono in gran parte "reazione" incosciente e non ricostruzione: non è dagli strati "condannati" dal nuovo ordine che si può attendere la ricostruzione, ma dalla classe che crea le basi materiali di questo nuovo ordine e deve trovare il sistema di vita per far diventare "libertà" ciò che è oggi "necessità". Questo criterio che le prime reazioni intellettuali e morali allo stabilirsi di un nuovo metodo produttivo sono dovute più ai detriti delle vecchie classi in isfacelo che alle nuove classi il cui destino è legato ai nuovi metodi, mi pare di estrema importanza. Un‘altra quistione è che non si tratta di una nuova civiltà, perché non muta il carattere delle classi fondamentali, ma di un prolungamento ed intensificazione della civiltà europea, che ha però assunto determinati caratteri nell‘ambiente americano.

 

Q4 §38

Rientra nella categoria dell’economismo tanto il movimento teorico del libero scambio come il sindacalismo teorico. Il significato di queste due tendenze è molto diverso. Il primo è proprio di un raggruppamento dominante, il secondo di un raggruppamento subalterno.
Nel primo caso si specula incoscientemente (per un errore teorico di cui non è difficile identificare il sofisma) sulla distinzione tra società politica e società civile e si afferma che l’attività economica è propria della società civile e la società politica non deve intervenire nella sua regolamentazione. Ma in realtà questa distinzione è puramente metodica, non organica e nella concreta vita storica società politica e società civile sono una stessa cosa. D’altronde anche il liberismo deve essere introdotto per legge, per intervento cioè del potere politico: è un fatto di volontà, non l’espressione spontanea, automatica del fatto economico. Diverso è il caso del sindacalismo teorico, in quanto esso si riferisce a un raggruppamento subalterno, al quale con questa teoria si impedisce di diventare mai dominante, di uscire dalla fase economico-corporativa per elevarsi alla fase di egemonia politico-intellettuale nella società civile e diventare dominante nella società politica. 

Nel caso del liberismo teorico si ha il caso di una frazione del raggruppamento dominante che vuole modificare la società politica, che vuole riformare la legislazione esistente nella parte di politica commerciale e indirettamente industriale (è innegabile che il protezionismo, specialmente nei paesi a mercato povero e ristretto, limita, almeno parzialmente, la libertà di iniziativa industriale e favorisce morbosamente il nascere dei monopoli); la quistione è di rotazione al potere governativo di una frazione invece che di un’altra del raggruppamento dominante, non di fondazione e organizzazione di una nuova società politica e tanto meno di un nuovo tipo di società civile. Nel caso del sindacalismo teorico la cosa è più complessa: è innegabile che in esso la indipendenza e l’autonomia del raggruppamento subalterno che si dice di esprimere, è invece sacrificata all’egemonia intellettuale del raggruppamento dominante, poiché il sindacalismo teorico è un aspetto del liberismo economico giustificato con alcune affermazioni del materialismo storico. Perché e come avviene questo "sacrifizio"? Perché si esclude la trasformazione del raggruppamento subordinato in dominante, o non ponendosi affatto il problema (fabianesimo, De Man, parte notevole del laburismo), o lo si pone in forma incongrua e inefficiente (socialdemocrazia) o si afferma il salto immediato dal regime dei raggruppamenti a quello della perfetta eguaglianza (sindacalismo teorico in senso stretto). 

È per lo meno strano l’atteggiamento dell’economismo verso la volontà, l’azione e l’iniziativa politica, come se esse non fossero espressione dell’economia e anzi l’espressione efficiente dell’economia; come è strano che impostare concretamente la quistione dell’egemonia sia interpretato come fatto che subordina il raggruppamento egemone. 

Evidentemente il fatto dell’egemonia presuppone che si tenga conto degli interessi e delle tendenze dei raggruppamenti su cui l’egemonia verrà esercitata, che si formi un certo equilibrio, che cioè il raggruppamento egemone faccia dei sacrifizi di ordine economico corporativo, ma questi sacrifizi non possono riguardare l’essenziale, poiché l’egemonia è politica, ma anche e specialmente economica, ha la sua base materiale nella funzione decisiva che il raggruppamento egemone esercita sul nucleo decisivo dell’attività economica. 

L’economismo si presenta sotto molte altre forme oltre che il liberismo teorico e il sindacalismo teorico. Appartengono all’economismo tutte le forme di astensionismo elettorale (esempio l’astensionismo dei clericali italiani dal 1870 al 1919, divenuto dopo il 1900 sempre più parziale fino a sparire del tutto) che possono essere svariatissime, nel senso che ci può essere semi-astensionismo, un quarto ecc. Non sempre l’economismo è contrario all’azione [politica] e al partito politico, che viene però considerato come organismo educativo di tipo sindacale. La così detta "intransigenza" è una forma di economismo: così la "formula tanto peggio tanto meglio" ecc.

 

Q4 §52

Il Taylor esprime con cinismo e senza sottintesi il fine della società americana: sviluppare nell’uomo lavoratore al massimo la parte macchinale, spezzare il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato che domandava una certa partecipazione dell’intelligenza, dell’iniziativa, della fantasia del lavoratore, per ridurre le operazioni di produzione al solo aspetto fisico. Ma in realtà non si tratta di una cosa nuova. 

Si tratta della fase più recente di un processo che si è iniziato col nascere dello stesso industrialismo: questa fase più recente è più intensa delle precedenti e si manifesta in una forma più brutale, ma anche essa verrà superata e un nuovo nesso psico-fisico si andrà creando, di un tipo diverso di quelli precedenti e indubbiamente di un tipo superiore. Ci sarà indubbiamente una selezione forzata e una parte della vecchia classe lavoratrice verrà implacabilmente eliminata dal mondo della produzione e dal mondo tout court. Da questo punto di vista occorre vedere le iniziative "puritane" degli industriali americani tipo Ford. È evidente che essi non si preoccupano dell’"umanità", della "spiritualità" del lavoratore che viene schiantata. Questa umanità, questa spiritualità si realizzava nel mondo del lavoro, nella "creazione" produttiva: essa era massima nell’artigianato, in cui l’individualità del lavoratore si rifletteva tutta nell’oggetto creato, in cui si manteneva ancora molto forte il legame tra arte e lavoro. Ma appunto contro questa forma di umanità e di spiritualità lotta il nuovo industrialismo. 

Le iniziative "puritane" hanno solo questo fine: conservare un equilibrio psico-fisico fuori del lavoro, per impedire che il nuovo metodo porti al collasso fisiologico del lavoratore. Questo equilibrio è puramente esterno, per ora non è interiore. L’equilibrio interiore non può essere creato che dallo stesso lavoratore e dalla sua particolare società, con mezzi propri e originali. 

L’industriale si preoccupa della continuità dell’efficienza fisica del lavoratore, dell’efficienza muscolare-nervosa: è suo interesse costituire una maestranza stabile, un complesso industriale affiatato permanentemente, perché anche il complesso umano è una macchina che non deve essere troppo spesso smontata e rinnovata nei suoi ingranaggi singoli senza gravi perdite. L’alto salario è un elemento di questa necessità: ma l’alto salario è un’arma a due tagli. Occorre che il lavoratore spenda "razionalmente" per rinnovare, mantenere e possibilmente accrescere la sua efficienza muscolare nervosa, non per distruggerla o intaccarla. Ecco la lotta contro l’alcoolismo, l’agente più pericoloso delle forze di lavoro, che diventa funzione di Stato. È possibile che anche altre lotte "puritane" divengano funzione di Stato, se l’iniziativa privata degli industriali si dimostra insufficiente e si manifesta una crisi di moralità troppo estesa nelle masse lavoratrici, ciò che potrebbe avvenire in conseguenza di crisi troppo vaste e prolungate di disoccupazione. (…)

Come si cammina senza bisogno di riflettere a tutti i movimenti necessari per muovere le gambe e tutto il corpo in quel determinato modo che è necessario per camminare, così in molti mestieri è avvenuto per i gesti professionali fondamentali. Si cammina e si pensa a tutto ciò che si vuole. Gli industriali americani hanno ben capito questo. Essi intuiscono che il "gorilla ammaestrato" rimane pur sempre uomo e pensa di più o per lo meno ha molta maggior possibilità di pensare, almeno quando ha superato la crisi di adattamento. Non solo pensa, ma l’assenza di soddisfazione immediata dal lavoro, l’essere stato come lavoratore ridotto a gorilla ammaestrato, lo può portare a un corso di pensieri poco conformista. Che una tale preoccupazione esista appare da tutta una serie di fatti e di iniziative educative. D’altronde è ovvio pensare che i così detti alti salari sono una forma transitoria di retribuzione. 

L’adattamento ai nuovi metodi di lavoro non può avvenire solo per coercizione: l’apparato di coercizione necessario per ottenere un tale risultato costerebbe certo di più degli alti salari. La coercizione è combinata con la convinzione, nelle forme proprie della società data: il denaro. Ma se il metodo nuovo si affermerà creando un tipo nuovo di operaio, se l’apparecchio meccanico materiale sarà ancora perfezionato, se il turnover esagerato sarà automaticamente limitato dalla disoccupazione estesa, anche i salari diminuiranno. L’industria americana sfrutta ancora profitti di monopolio perché ha avuto l’iniziativa dei nuovi metodi e può dare più alti salari; ma il monopolio sarà necessariamente limitato nel tempo e la concorrenza estera sullo stesso piano farà sparire con i profitti i salari. D’altronde è noto che gli alti salari sono appunto solo legati a una aristocrazia operaia, non sono di tutti i lavoratori americani.

 

Q13 §18

L’impostazione del movimento del libero scambio si basa su un errore teorico di cui non è difficile identificare l’origine pratica: sulla distinzione cioè tra società politica e società  civile, che da distinzione metodica viene fatta diventare ed è presentata come distinzione organica. Così si afferma che l’attività economica è propria della società civile e che lo Stato non deve intervenire nella sua regolamentazione. Ma siccome nella realtà effettuale società civile e Stato si identificano, è da fissare che anche il liberismo è una "regolamentazione" di carattere statale, introdotto e mantenuto per via legislativa e coercitiva: è un fatto di volontà consapevole dei propri fini e non l’espressione spontanea, automatica del fatto economico. Pertanto il liberismo è un programma politico, destinato a mutare, in quanto trionfa, il personale dirigente di uno Stato e il programma economico dello Stato stesso, cioè a mutare la distribuzione del reddito nazionale.

 

Q4 §52

In America la razionalizzazione del lavoro e il proibizionismo sono indubbiamente connessi: le inchieste degli industriali sulla vita intima degli operai, i servizi di ispezione creati da alcune aziende per controllare la "moralità" degli operai sono necessità del nuovo metodo di lavoro. Chi irridesse a queste iniziative (anche se andate fallite) e vedesse in esse solo una manifestazione ipocrita di "puritanismo", si negherebbe ogni possibilità di capire l’importanza, il significato e la portata obbiettiva del fenomeno americano, che è anche il maggior sforzo collettivo verificatosi finora per creare con rapidità inaudita e con una coscienza del fine mai vista nella storia, un tipo nuovo di lavoratore e di uomo. La espressione "coscienza del fine" può sembrare per lo meno spiritosa a chi ricorda la frase del Taylor sul "gorilla ammaestrato". Il Taylor infatti esprime con cinismo brutale il fine della società americana: sviluppare nel lavoratore al massimo grado gli atteggiamenti macchinali ed automatici, spezzare il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato che domandava una certa partecipazione attiva dell’intelligenza, della fantasia, dell’iniziativa del lavoratore e ridurre le operazioni produttive al solo aspetto fisico macchinale. Ma in realtà non si tratta di novità originali: si tratta solo della fase più recente di un lungo processo che si è iniziato col nascere dello stesso industrialismo, fase che è solo più intensa delle precedenti e si manifesta in forme più brutali, ma che essa pure verrà superata con la creazione di un nuovo nesso psico-fisico di un tipo differente da quelli precedenti e indubbiamente di un tipo superiore. Avverrà ineluttabilmente una selezione forzata, una parte della vecchia classe lavoratrice verrà spietatamente eliminata dal mondo del lavoro e forse dal mondo tout court. Da questo punto di vista occorre studiare le iniziative "puritane" degli industriali americani tipo Ford. È certo che essi non si preoccupano dell’"umanità", della "spiritualità" del lavoratore che immediatamente viene schiantata. 

Questa "umanità e spiritualità" non può non realizzarsi che nel mondo della produzione e del lavoro, nella "creazione" produttiva; essa era massima nell’artigiano, nel "demiurgo", quando la personalità del lavoratore si rifletteva tutta nell’oggetto creato, quando era ancora molto forte il legame tra arte e lavoro. Ma appunto contro questo "umanesimo" lotta il nuovo industrialismo. Le iniziative "puritane" hanno solo il fine di conservare, fuori del lavoro, un certo equilibrio psico-fisico che impedisca il collasso fisiologico del lavoratore, spremuto dal nuovo metodo di produzione.

Questo equilibrio non può essere che puramente esteriore e meccanico, ma potrà diventare interiore se esso sarà proposto dal lavoratore stesso e non imposto dal di fuori, da una nuova forma di società, con mezzi appropriati e originali. L’industriale americano si preoccupa di mantenere la continuità dell’efficienza fisica del lavoratore, della sua efficienza muscolare-nervosa: è suo interesse avere una maestranza stabile, un complesso affiatato permanentemente, perchè anche il complesso umano (il lavoratore collettivo) di un’azienda è una macchina che non deve essere troppo spesso smontata e rinnovata nei suoi pezzi singoli senza perdite ingenti. Il così detto alto salario è un elemento dipendente da questa necessità: esso è lo strumento per selezionare una maestranza adatta al sistema di produzione e di lavoro e per mantenerla stabilmente. Ma l’alto salario è a due tagli: occorre che il lavoratore spenda "razionalmente" i quattrini più abbondanti, per mantenere, rinnovare e possibilmente per accrescere la sua efficienza muscolare-nervosa, non per distruggerla o intaccarla. Ed ecco la lotta contro l’alcool, l’agente più pericoloso di distruzione delle forze di lavoro, che diventa funzione di Stato. È possibile che anche altre lotte "puritane" divengano funzione di Stato, se l’iniziativa privata degli industriali si dimostra insufficiente o si scatena una crisi di moralità  troppo profonda ed estesa nelle masse lavoratrici, ciò che potrebbe avvenire in conseguenza di una crisi lunga ed estesa di disoccupazione.

 

Q22 §13

È ovvio pensare che i così detti alti salari sono una forma transitoria di retribuzione. L’adattamento ai nuovi metodi di produzione e di lavoro non può avvenire solo attraverso la coazione sociale: è questo un "pregiudizio" molto diffuso in Europa [e specialmente nel Giappone], dove non può tardare ad aver conseguenze gravi per la salute fisica e psichica dei lavoratori, "pregiudizio" che d’altronde ha una base solo nella endemica disoccupazione che si è verificata nel dopo guerra. Se la situazione fosse "normale", l’apparato di coercizione necessario per ottenere il risultato voluto costerebbe più degli alti salari. La coercizione perciò deve essere sapientemente combinata con la persuasione e il consenso e questo può essere ottenuto nelle forme proprie della società data da una maggiore retribuzione che permetta un determinato tenore di vita capace di mantenere e reintegrare le forze logorate dal nuovo tipo di fatica.  
Ma non appena i nuovi metodi di lavoro e di produzione si saranno generalizzati e diffusi, appena il tipo nuovo di operaio sarà creato universalmente e l’apparecchio di produzione materiale sarà ancora perfezionato, il turnover eccessivo verrà automaticamente ad essere limitato da una estesa disoccupazione e gli alti salari spariranno.

In realtà l’industria americana ad alti salari sfrutta ancora un monopolio dato dall’avere l’iniziativa dei nuovi metodi; ai profitti di monopolio corrispondono salari di monopolio. Ma il monopolio sarà necessariamente prima limitato e poi distrutto dalla diffusione dei nuovi metodi sia nell’interno degli S. U. sia all’estero (cfr il fenomeno giapponese dei bassi prezzi delle merci) e coi vasti prodotti spariranno gli alti salari.   

D’altronde è noto che gli alti salari sono necessariamente legati a una aristocrazia operaia e non sono dati a tutti i lavoratori americani. Tutta l’ideologia fordiana degli alti salari è un fenomeno derivato da una necessità obbiettiva dell’industria moderna giunta a un determinato grado di sviluppo e non un fenomeno primario. 

[…] L’industria Ford richiede una discriminazione, una qualifica, nei suoi operai che le altre industrie ancora non richiedono, un tipo di qualifica di nuovo genere, una forma di consumo di forza di lavoro e una quantità di forza consumata nello stesso tempo medio che sono più gravose e più estenuanti che altrove e che il salario non riesce a compensare in tutti, a ricostituire nelle condizioni date dalla società così com’è. 

Poste queste ragioni, si presenta il problema: se il tipo di industria e di organizzazione del lavoro e alla produzione proprio del Ford sia "razionale", possa e debba cioè generalizzarsi o se invece si tratti di un fenomeno morboso da combattere con la forza sindacale e con la legislazione. Se cioè sia possibile, con la pressione materiale e morale della società  e dello Stato, condurre gli operai come massa a subire tutto il processo di trasformazione psicofisica per ottenere che il tipo medio dell’operaio Ford diventi il tipo medio dell’operaio moderno o se ciò sia impossibile perchè porterebbe alla degenerazione fisica e al deterioramento della razza, distruggendo ogni forza di lavoro.  

Pare di poter rispondere che il metodo Ford è "razionale", cioè deve generalizzarsi, ma che perciò sia necessario un processo lungo, in cui avvenga un mutamento delle condizioni sociali e un mutamento dei costumi e delle abitudini individuali, ciò che non può avvenire con la sola "coercizione", ma solo con un contemperamento della coazione (autodisciplina) e della persuasione, sotto forma anche di alti salari, cioè di possibilità di miglior tenore di vita, o forse, più esattamente, di possibilità di realizzare il tenore di vita adeguato ai nuovi modi di produzione e di lavoro, che domandano un particolare dispendio di energie muscolari e nervose. In misura limitata, ma tuttavia rilevante, fenomeni simili a quelli determinati in larga scala dal Fordismo, si verificavano e si verificano in certi rami di industria o in certi stabilimenti non "fordizzati".