Gramsci su Oriani

Nota di lettura di L. A.

Quando Gramsci avvia la scrittura dei Quaderni, l'astro di Oriani nel Pantheon fascista è asceso già da tempo. La visita di Mussolini alla casa avita dello scrittore, con un seguito di fascisti inneggianti al suo nome, risale al 1924. In occasione di tale visita, la casa viene definita monumento nazionale. Nel 1930 si avvia la pubblicazione dell'opera omnia dello scrittore, che consterà di ben trenta volumi con prefazioni di Musoolini stesso.

Non è sorprendente che un movimento come quello fascista giunto al potere sulla base di pochi principi inseriti in un cornice ideologica piuttosto confusa cerchi di trovare nel passato dei precursori e di dotarsi di uno spessore culturale. Oriani si presta magnificamente a questo scopo con le sue aspre critiche alla democrazia liberale, al socialismo e al comunismo, e con gli accesi richiami ad una Nazione che, nonostante un glorioso passato culturale, è andata incontro, in seguito  al raggiungimento dell'unità, ad un processo di "degenerazione" borghese e ha bisogno di espandersi, anche sul piano del colonialismo, per trovare un posto al sole in Europa e nel mondo.

L'assunzione di Oriani come precursore del fascismo non tiene conto, però, al di là del carattere dell'autore - solitario, aspro e spigoloso -, di quella che Gramsci, che pure emette a suo riguardo giudizi stroncanti, definisce un "movimento sano di pensiero". Questo movimento sano è da ricondurre all'ideale di un popolo che, sotto la guida di un'élite, ascende culturalmente fino a raggiungere una coesione profonda e un'identità "spirituale".

Apparentemente, questi sono gli stessi ideali del fascismo. Il problema è che nulla più del populismo fascista, della retorica della forza, della parata, delle parole d'ordine, degli slogan sarebbero stati lontani dallo spirito di Oriani.

Assumere questi come precursore del fascismo equivale, mutati mutandis, all'assumere Nietzsche come precursore del nazismo.


Q4 §68 Il libro di don Chisciotte di E. Scarfoglio [Alfredo Oriani].

È un episodio della lotta per svecchiare la cultura italiana e sprovincializzarla. In sé il libro è mediocre. Vale per il tempo e perché forse è stato il primo tentativo del genere.

Dovendo scrivere su Oriani è da notare il brano che gli dedica lo Scarfoglio (p. 227 dell’edizione Mondadori, 1925). Per lo Scarfoglio (che scrive verso il 1884) l’Oriani e un debole, uno sconfitto, che si consola atterrando tutto e tutti: «Il signor di Banzole ha la memoria ammucchiata di letture frettolose e smozzicate, di teoriche male intese e mal digerite, di fantasmi malamente e fiaccamente formati; di più, l’instrumento della lingua non gli sta troppo sicuramente nelle mani». È interessante una citazione, forse dal libro Quartetto, in cui Oriani scrive: «Vinto ad ogni battaglia ed insultato come tutti i vinti, non scesi mai né scenderò mai alla scempiaggine della replica, alla bassezza del lamento: i vinti hanno torto». Questo tratto mi pare fondamentale del carattere di Oriani, che era un velleitario, sempre scontento di tutti perché nessuno riconosceva il suo genio e che, in fondo, rinunziava a combattere per imporsi, cioè aveva egli stesso una ben strana stima di sé. È uno pseudo‑titano; e nonostante certe sue innegabili doti, prevale in lui il «genio incompreso» di provincia che sogna la gloria, la potenza, il trionfo, proprio come la signorina sogna il principe azzurro.

Q6 §68 Alfredo Oriani. Floriano Del Secolo, Contributo alla biografia di Oriani. Con lettere inedite, nel «Pègaso» dell’ottobre 1930.

Appare l’Oriani nella così detta «tragedia» della sua vita intellettuale di «genio» incompreso dal pubblico nazionale, di apostolo senza seguaci ecc. Ma fu poi Oriani «incompreso», o si trattava di una sfinge senza enigmi, di un vulcano che eruttava solo topolini? E adesso è Oriani diventato «popolare», «maestro di vita», ecc.? Molto si pubblica su di lui, ma l’edizione nazionale delle sue opere è comprata e letta? C’è da dubitarne. Oriani e Sorel (in Francia). Ma Sorel è stato enormemente più attuale di Oriani.
Perché Oriani non riuscì a formarsi una scuola, un gruppo di discepoli, perché non organizzò una rivista? Voleva essere «riconosciuto» senza sforzo da parte sua (oltre ai lamenti presso gli amici più intimi). Mancava di volontà, di attitudini pratiche, e voleva influire sulla vita politica e morale della nazione. Ciò che lo rendeva antipatico a molti doveva essere appunto questo giudizio istintivo che si trattava di un velleitario che voleva essere pagato prima d’aver compiuto l’opera, che voleva esser riconosciuto «genio», «capo», «maestro», per un diritto divino da lui affermato perentoriamente. Certo Oriani deve essere avvicinato al Crispi come psicologia e a tutto uno strato di intellettuali italiani, che, in certi rappresentanti più bassi, cade nel ridicolo e nella farsa intellettuale.

Q8 §165 A. Oriani.

Occorre studiarlo come il rappresentante più onesto e appassionato per la grandezza nazionale‑popolare italiana fra gli intellettuali italiani della vecchia generazione. La sua posizione non è però critica‑ricostruttiva, e quindi tutti i motivi della sua sfortuna e dei suoi fallimenti. In realtà a chi si richiamava l’Oriani? Non alle classi dominanti, da cui tuttavia si attendeva riconoscimenti e onori, nonostante le sue diatribe corrosive. Non ai repubblicani, cui tuttavia si apparenta la sua forma mentale recriminatoria. La Lotta politica sembra il manifesto per un grande movimento democratico nazionale popolare, ma l’Oriani è troppo imbevuto di filosofia idealistica, quale si venne foggiando nell’epoca della Restaurazione, per saper parlare al popolo come capo e come eguale nello stesso tempo, per far partecipare il popolo alla critica di se stesso e delle sue debolezze senza tuttavia fargli perdere la fede nella propria forza e nel proprio avvenire.

La debolezza dell’Oriani è in questo carattere meramente intellettuale delle sue critiche, che creano una nuova forma di dottrinarismo e di astrattismo. Tuttavia vi è un movimento abbastanza sano di pensiero che si dovrebbe approfondire. La fortuna di Oriani in questi ultimi tempi è più un’imbalsamazione funeraria che un’esaltazione di nuova vita del suo pensiero.

Q9 §42 I nipotini di padre Bresciani.

[…]
La posizione di Alfredo Oriani è anche da rilevare, ma essa è astratta e retorica e annegata nel suo «titanismo» di genio incompreso.

Q9 §55 Rinascimento e Riforma.

Cfr A. Oriani, La lotta politica (p. 128, edizione milanese): «La varietà dell’ingegno italiano, che nella scienza poteva andare dal sublime buon senso di Galileo alle abbaglianti e bizzarre intuizioni di Cardano, si colora nullameno alla Riforma, e vi si scorgono tosto Marco Antonio Flaminio poeta latino, Jacopo Nardi storico, Renata d’Este moglie del duca Ercole II; Lelio Socini, ingegno superiore a Lutero e a Calvino, che la porta ben più alto fondando la setta degli unitari; Bernardo Ochino e Pietro Martire Vermiglio teologo, che passeranno, questi alla università di Oxford, quegli nel capitolo di Canterbury; Francesco Burlamacchi che ritenterà l’impossibile impresa di Stefano Porcari e vi perirà martire eroe; Pietro Carnesecchi e Antonio Palcario che vi perderanno entrambi nobilmente la vita. Ma questo moto incomunicato al popolo è piuttosto una crisi del pensiero filosofico e scientifico, naturalmente ritmata sulla grande rivoluzione germanica, che un processo di purificazione e di elevazione religiosa. Infatti Giordano Bruno e Tommaso Campanella riassumendolo, per quanto vissuti e morti entro l’orbita di un ordine monastico, sono due filosofi trascinati dalla speculazione oltre i confini non solo della Riforma ma del cristianesimo stesso. Quindi il popolo rimane così insensibile alla loro tragedia che sembra quasi ignorarla».

Ma cosa significa tutto ciò? Forse che anche la Riforma non è una crisi del pensiero filosofico e scientifico, cioè dell’atteggiamento verso il mondo, della concezione del mondo? Bisogna quindi dire che, a differenza degli altri paesi, neanche la religione in Italia era elemento di coesione tra il popolo e gli intellettuali, e perciò appunto la crisi filosofica degli intellettuali non si prolungava nel popolo, perché non aveva origini nel popolo, perché non esisteva un «blocco nazionale‑popolare» nel campo religioso. In Italia non esisteva «chiesa nazionale», ma cosmopolitismo religioso, perché gli intellettuali italiani erano collegati a tutta la cristianità immediatamente come dirigenti anazionali. Distacco tra scienza e vita, tra religione e vita popolare, tra filosofia e religione; i drammi individuali di Giordano Bruno ecc. sono del pensiero europeo e non italiano.

Q9 §56 Passato e presente. Il culto provinciale dell’intelligenza e la sua retorica. Cfr la lettera‑prefazione di Emilio Bodrero alla rivista «Accademie e Biblioteche d’Italia», vol. I, p. 5, dove si dice press’a poco che l’Italia «non ha nulla da esportare se non intelligenza». (Cfr «il rutto del pievano» di Maccari). Nei libri di Oriani questo elemento è frenetico. Ricordare l’aneddoto di Oriani che domandato se aveva da daziare risponde: «se l’intelligenza paga dazio, qui ce n’è a quintali». Sarà da notare che tale atteggiamento è degli intellettuali mediocri e falliti.

Q9 §89 Due lavori: uno sull’Età del Risorgimento e uno di Introduzione al Risorgimento.

[…]

2. Interpretazioni del Risorgimento italiano. Ne esiste un bel mucchio e il loro studio non è privo di interesse e di significato. Il loro valore è di carattere politico e ideologico, non storico, la portata nazionale è scarsa, sia per la troppa tendenziosità, sia per l’assenza di ogni apporto costruttivo, sia per il carattere troppo astratto, spesso bizzarro e romanzato. Si può vedere che queste interpretazioni fioriscono nei periodi più caratteristici di crisi politico‑sociale e sono conati per determinare una riorganizzazione delle forze politiche esistenti, per suscitare nuove correnti intellettuali nei vecchi organismi di partito, o per esalare sospiri e gemiti di disperazione e di nero pessimismo. Mi pare che tale letteratura possa dividersi provvisoriamente in due grandi gruppi: 1. Quello delle interpretazioni propriamente dette, come sarebbe quella contenuta nella Lotta politica in Italia e negli altri scritti di polemica politica di Alfredo Oriani, che ne ha determinato altre attraverso le opere di Mario Missiroli, come quella di Gobetti e di Guido Dorso…

Questa letteratura precede quella del gruppo Oriani‑Missiroli, che ha un significato più popolare‑nazionale e questa precede quella del gruppo Gobetti‑Dorso che ha ancora un altro significato più attuale. In ogni modo anche queste due nuove tendenze mantengono un carattere astratto e letterario: uno dei punti più interessanti è il problema della mancanza di una riforma protestante o religiosa in Italia, che è visto in modo meccanico ed esteriore e ripete uno dei canoni storici del Masaryk nei suoi studi di storia della Russia.

Q9 §106 2. Storia feticistica.

Si potrebbe chiamare così il modo di rappresentare gli avvenimenti storici nelle «interpretazioni» ideologiche della formazione italiana, per cui diventano protagonisti dei personaggi astratti e mitologici. Nella Lotta politica di Oriani si ha il più popolare di questi schemi mitologici, quello che ha prodotto e partorito una più lunga serie di figli degeneri. Vi troviamo la Federazione l’Unità, la Rivoluzione, l’Italia ecc. ecc. Nell’Oriani è chiara una delle cause di questo modo di concepire la storia. Il canone di ricerca che gli avvenimenti successivi gettano luce su quelli precedenti, che cioè tutto il processo storico è un «documento» storico di se stesso, viene meccanizzato ed esteriorizzato e ridotto, in fondo, a una legge deterministica di «rettilineità» e di «unilinearità». Il problema di ricercare le origini storiche di un fatto concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo «Stato», come unità o come nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente, come il pollo nell’uovo fecondato.

Q10 §29 Punti di riferimento per un saggio sul Croce.

I. Premesso che le due ultime storie, quella d’Italia e quella d’Europa, sono state pensate all’inizio della guerra mondiale, per concludere un processo di meditazioni e di riflessioni sulle cause di quegli avvenimenti del 1914 e 1915, si può domandare quale preciso scopo «educativo» esse abbiano. Preciso, specialmente preciso. E si conclude che non l’hanno, che anche esse rientrano in quella letteratura sul «Risorgimento» di carattere spiccatamente letterario e ideologico, che nella realtà non riuscì a interessare che ristretti gruppi intellettuali: tipico esempio il libro di Oriani sulla Lotta politica.

Q10 §41 Punti di riferimento per un saggio sul Croce.

Ancora: tutta la trattazione che il Croce fa nella sua Storia d’Europa del concetto di religione è una critica implicita delle ideologie piccolo borghesi (Oriani, Missiroli, Gobetti, Dorso ecc.) che spiegano le debolezze dell’organismo nazionale e statale italiano con l’assenza di una Riforma religiosa, intesa in senso angustamente confessionale.

Q19 §5 Interpretazioni del Risorgimento.

[…]

Per ora si può fissare provvisoriamente qualche punto di riferimento: 1) un gruppo di interpretazioni in senso stretto, come può essere quella contenuta nella Lotta politica in Italia e negli altri scritti di polemica politico‑culturale di Alfredo Oriani, che ne ha determinato tutta una serie attraverso gli scritti di Mario Missiroli; come quelle di Piero Gobetti e di Guido Dorso…

Il modo di rappresentare gli avvenimenti storici nelle interpretazioni ideologiche della formazione italiana si potrebbe chiamare «storia feticistica»: per essa infatti diventano protagonisti della storia «personaggi» astratti e mitologici. Nella Lotta politica dell’Oriani si ha il più popolare di questi schemi mitologici, quello che ha partorito una più lunga serie di figli degeneri. Vi troviamo la Federazione, l’Unità, la Rivoluzione, l’Italia ecc. Nell’Oriani è chiara una delle cause di questo modo di concepire la storia per figure mitologiche. Il canone critico che tutto lo sviluppo storico è documento di se stesso, che il presente illumina e giustifica il passato, viene meccanicizzato ed esteriorizzato e ridotto a una legge deterministica di rettilineità e di «unilinearità» (anche perché l’orizzonte storico viene ristretto ai confini geografici nazionali e l’evento avulso dal complesso della storia universale, dal sistema dei rapporti internazionali cui invece è necessariamente saldato). Il problema di ricercare le origini storiche di un evento concreto e circostanziato, la formazione dello Stato moderno italiano nel secolo XIX, viene trasformato in quello di vedere questo Stato, come Unità o come Nazione o genericamente come Italia, in tutta la storia precedente così come il pollo deve esistere nell’uovo fecondato.