Valentino Gerratana
PREFAZIONE

(all'Edizione critica dei Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1977)

I criteri seguiti nella realizzazione di questa nuova edizione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, pur corrispondendo nell'ispirazione a quelli già enunciati a suo tempo quando tale edizione fu progettata1, non possono essere adeguatamente motivati senza insistere sulla travagliata genesi dell’opera e della sua fortuna. Da quest'aspetto le controversie interpretative sollevate dall'opera gramsciana preferiscono di solito prescindere. Si tende a considerare questa genesi come un semplice dato di fatto, una circostanza esterna, qualcosa cioè a cui non deve darsi eccessivo peso nella valutazione dell'importanza e del significato teorico dell'opera. Si può riconoscere in tale atteggiamento un elemento positivo: il rifiuto a ridurre il valore dell'opera gramsciana nei limiti di una dimensione eroico-sentimentale di «testimonianza del tempo», suscettibile soltanto di rievocazioni commemorative. Non vi è dubbio tuttavia che distogliere il tessuto di determinate nozioni teoriche dal modo con cui esso si è formato esponga più facilmente al rischio di fraintenderlo, e ciò nel caso di Gramsci è successo più di una volta.

Qualcosa di simile è accaduto del resto anche per i giudizi sull'uomo Gramsci. L'ombra della leggenda ha sempre accompagnato la sua attività e la sua opera. Oggetto di odi implacabili e di sarcasmi sprezzanti per il modo con cui si era impegnato nella lotta politica, poteva suscitare per lo stesso motivo un'ammirazione che sconfinava spesso nell'iperbole o in amplificazioni deformanti. Anche nel noto ritratto tracciato da Gobetti nel 1924 per «La Rivoluzione liberale»2, quando Gramsci fu eletto deputato in un Parlamento già fascistizzato, sono inseriti alcuni elementi leggendari: vi è l'immagine di un Gramsci come «profeta» rivoluzionario («più che un tattico o un combattente»), e vi sono altri tratti in cui appare riflesso più il carattere del ritrattista che quello del suo modello. Non si può dire che quella immagine fosse falsa, senza alcun rapporto con la realtà. Si deve dire piuttosto che in questo Gramsci gobettiano, come in altre raffigurazioni leggendarie evocate in questo stesso periodo, la realtà è trasfigurata, diventa soprattutto messaggio d'azione, fonte di ripercussioni emotive, almeno fino a quando esso riesca a trovare destinatari appassionati.

Certo non erano allora molti questi destinatari; nell'ombra discontinua della sua leggenda i vuoti prevalevano forse sui pieni. Nel 1927, ancor prima che fosse celebrato il processo del Tribunale Speciale, Togliatti scriveva su «Lo Stato operaio», la rivista del partito comunista italiano pubblicata nell'emigrazione, il suo primo articolo su Gramsci, «un capo della classe operaia»: «La storia del nostro partito è ancora da scrivere. Chi la scriverà, e saprà cogliere, al di sopra delle particolari vicende politiche e amministrative, la grande linea della formazione storica di esso come avanguardia della classe operaia, dovrà dare ad Antonio Gramsci il posto d'onore»3. Poteva però anche accadere che di li a poco, quando Gramsci arriverà nel reclusorio di Turi per scontarvi la pena inflittagli dal Tribunale Speciale, i primi detenuti politici, anche quelli del suo stesso partito, con cui prende contatto, ignorassero perfino il suo nome e accogliessero il nuovo venuto come «uno qualunque»4.

Lo stesso Gramsci ha lasciato una descrizione colorita dell'esperienza che aveva potuto fare della propria «fama» durante le peregrinazioni per le carceri italiane nei primi mesi di detenzione. In una lettera del 19 febbraio 1927 (scritta per rallegrare la cognata in apprensione per la sua sorte) troviamo queste annotazioni divertite: «Io non sono conosciuto all'infuori di una cerchia abbastanza ristretta; il mio nome è storpiato perciò in tutti i modi più inverosimili: Gramasci, Granusci, Gramisci, Granisci, Gramasci, fino a Garamàscon, con tutti gli intermedi più bizzarri». Nel carcere di Palermo, durante un «transito», un anarchico ultraindividualista, che rifiutava ogni nome che non fosse «l'Unico» («sono l'Unico e basta») lo presenta a un altro detenuto: «Mi presentò: l'altro mi guardò a lungo, poi domandò: "Gramsci, Antonio?" Si, Antonio!, risposi. "Non può essere, replicò, perché Antonio Gramsci deve essere un gigante e non un uomo così piccolo". Non disse più nulla, si ritirò in un angolo [...] e stette, come Mario sulle rovine di Cartagine, a meditare sulle proprie illusioni perdute». Più tardi anche il brigadiere della scorta, che gli chiede durante l'appello se fosse parente del «famoso deputato Gramsci», prova sconcerto nell'apprendere che era proprio il «famoso deputato» il recluso affidato alle sue cure: «Mi disse che si era immaginato sempre la mia persona come "ciclopica" e che era molto disilluso da questo punto di vista». Ma poi non rinuncia a esibirgli la sua variopinta cultura da autodidatta, e a un certo punto comincia a chiamarlo «maestro»5.

In questi episodi, per quanto marginali, è lecito vedere il segno emblematico dei limiti a cui andava soggetta la diffusione di una leggenda affidata in gran parte a una tradizione orale, alle testimonianze degli amici e dei compagni di lotta. Indirettamente anche Gramsci aveva contribuito, senza volerlo, a determinare questi limiti, con il suo rifiuto, ad esempio, di autorizzare raccolte dei suoi scritti giornalistici, apparsi per la maggior parte anonimi sul «Grido del popolo» e sull’«Avanti!» torinese, su «L'Ordine Nuovo» settimanale, e poi su tutti gli organi di stampa del nuovo partito comunista. Le ragioni di moralità culturale con cui egli ha giustificato questo rifiuto (parlando di scritti alla giornata, che dovevano morire «dopo la giornata») non dicono forse tutto. Di più certo aiuta a comprendere il carattere dell'uomo  che influisce profondamente, se non andiamo errati, sul carattere della sua opera — quello sforzo continuo di costruzione di se stesso che è il connotato più originale e inconfondibile della sua personalità quale emerge dai Quaderni e dalle Lettere dal carcere. In questa faticosa costruzione di se stesso Gramsci non ha mai visto il compito di un «gigante», bensì piuttosto il semplice dovere di un «uomo medio».

Così in una pagina famosa dei Quaderni poteva parlare della propria esperienza come peculiare ad un «triplice o quadruplice provinciale» i cui processi vitali «sono caratterizzati dal continuo tentativo di superare un modo di vivere e di pensare arretrato»6 e in una lettera meno nota (del novembre 1927) sentiva il bisogno di reagire ad alcune manifestazioni di panico che gli era parso di avvertire in atteggiamenti di persone della sua famiglia, ricordando le sofferenze patite fin dalla giovinezza e le condizioni penose che gli avevano temprato il carattere: «Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l'eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo»7.

Anche se si volesse pensare che questa «posizione morale» non abbia molto a che fare con il contenuto dei Quaderni, con i temi politico-teorici che oggi interessano il lettore contemporaneo, è difficile negare che abbia a che fare con la loro genesi e struttura. Gramsci inizia la stesura dei Quaderni, nel carcere di Turi, l'8 febbraio 1929, esattamente due anni e tre mesi dopo l'arresto (8 novembre 1926). La lentezza di questa gestazione dipende solo in parte da condizioni esterne. Prigioniero di quel regime in cui il marxismo è diventato un reato, egli sa di dover essere preparato a tutto : anche a «sparire come un sasso nell'oceano» (è questa la prima impressione che riceve quando nel carcere romano di Regina Coeli apprende, erroneamente, di essere destinato alla deportazione in Somalia)8. Nell'incertezza della sorte che l'attende, anche quando sembra aprirsi per un momento lo spiraglio di una prospettiva meno pessimistica, il problema dello studio gli si presenta inizialmente come un sistema di autodifesa contro il pericolo di abbrutimento intellettuale da cui si sente minacciato. Ad Ustica, quando chiede, e ottiene, il fraterno aiuto dell'amico Piero Sraffa per un rifornimento regolare di libri e riviste, è a questo soprattutto che pensa9.

Ma Ustica non è che una breve parentesi (con qualche aspetto non del tutto sgradevole, dopo i sedici giorni passati a Regina Coeli nel più completo isolamento), e nel carcere di.Milano, in attesa del processo (7 febbraio 1927-11 maggio 1928), il problema dello studio si ripresenta in una forma più assillante, per la confluenza di esigenze contrastanti. Leggere e studiare per occupare il tempo in modo utile, per difendersi dalla degradazione intellettuale e morale a cui sospinge la vita carceraria, continua ancora ad apparire come un'esigenza vitale, a condizione però che essa trovi uno scopo superiore, in un risultato perseguito per se stesso, e non solo come mezzo strumentale per sopravvivere fisicamente. Tra lo studio come ragione di vita e lo studio come mezzo di sopravvivenza si determina una tensione che non è facile risolvere in termini di equilibrio. Da questa tensione sorge la prima idea dei futuri Quaderni.

L'idea, legata a un primo programma di lavoro, è esposta nella nota lettera a Tania del 19 marzo 1927. Qui Gramsci comincia intanto col registrare come lo studio sia «molto più difficile di quanto non sembrerebbe». Per leggere, legge molto («più di un volume al giorno, oltre i giornali»). Ma non ne è soddisfatto: «Sono assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa "für ewig", secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli. Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore». Segue la traccia di un «piano» articolato in quattro punti, il primo dei quali appare certo il più significativo e rimarrà caratterizzante per lo svolgimento del lavoro concreto dei Quaderni-, «una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso», cioè «sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc.». In questo «ecc. ecc.» è da comprendere in primo luogo il legame dei tema con quel programma di azione politica che ha portato Gramsci in carcere: vi accenna in fondo egli stesso richiamando poco dopo, per chiarire la natura dell'argomento, il suo saggio sulla questione meridionale scritto poco prima dell'arresto: «Ebbene, vorrei svolgere ampiamente la tesi che avevo allora abbozzato, da un punto di vista disinteressato", "für ewig "»10.

Questa insistenza sul «für ewig», sul carattere «disinteressato» della ricerca, dovrà poi provocare in qualcuno non poche perplessità, derivanti soprattutto dalla propensione ad accreditare una versione pragmatica del marxismo. Un segno di disimpegno politico, una tentazione metafisica? In realtà, rispetto a una interpretazione così semplificante Gramsci si era preventivamente premurato di sottolineare la complessità della concezione goethiana del «für ewig»; ma neanche può sfuggire quel suo richiamo inconsueto a Pascoli, un autore a lui così poco congeniale, se si pensa che proprio in una lirica pascoliana il significato di «per sempre» è legato all'idea della morte. Anche se l'idea della propria morte gli era già diventata familiare e questa familiarità aveva segnato, come egli stesso ricorda, una «svolta morale» nella sua esistenza11 —, Gramsci non si era mai rassegnato ad accettarla come un fato ineluttabile, come un contrassegno d'impotenza. Non aveva scelto la parte del martire o dell'eroe, e voleva essere soltanto, come s'è visto, «un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo».

Ma i due canali principali di cui si era servito, prima dell'arresto, per diffondere queste sue convinzioni — la conversazione orale e la parola scritta sul giornale —, si erano ora ostruiti, e non era facile sostituirli. Se per il primo, il canale della conversazione orale (e si sa, per testimonianze concordi, quale importanza esso abbia avuto per Gramsci, che non era un oratore da comizi), poteva sforzarsi di trovare un succedaneo nella scarna corrispondenza che gli era concesso di tenere, per il secondo il problema della trasformazione appariva ancor più complesso e difficile. Bisognava scrivere, non per un pubblico immediato, per raggiungere effetti immediati, su argomenti condizionati da circostanze esterne immediate, ma per lettori ideali presuntivi, senza sapere se e quando essi si sarebbero incarnati in lettori reali. La scelta degli argomenti, e in primo luogo del «piano» della ricerca, doveva essere quindi svincolata dai limiti dell'immediatezza e non poteva che scaturire da uno sforzo di approfondimento teorico di tutta la sua esperienza (dalla centralizzazione della sua vita interiore, secondo l'espressione dello stesso Gramsci).

Un'idea ben chiara, che tuttavia richiede ancora, per passare alla fase di realizzazione, un lungo collaudo preliminare. Già nel momento in cui l'idea è esposta nella lettera citata del 19 marzo Gramsci non nasconde alcune esitazioni e sembra interrogarsi sulla validità del suo progetto. Il fatto stesso di aver pensato a quattro argomenti distinti provoca in lui qualche perplessità («già questo è un indice che non riesco a raccogliermi»), ma poi sottolinea che in fondo «a chi ben osservi» esiste tra loro una certa omogeneità: «lo spirito popolare creativo nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo, è alla base di essi in misura uguale». In realtà, attorno a questo asse omogeneo si muovono esperienze assai diverse, e anche distanziate nel tempo: il primo argomento rinvia alle riflessioni sulla funzione degli intellettuali italiani nello sviluppo della questione meridionale, sulla base del recente abbozzo del 1926; il secondo riporta ai suoi primi studi giovanili, alla scuola di Matteo Bartoli, nell'Università di Torino, con un nuovo progetto di studio di linguistica comparata (e qui il «für ewig» ritorna con una variante ironica: «che cosa potrebbe essere più "disinteressato" e "für ewig" di ciò?»); il terzo e quarto argomento infine (uno studio sul teatro di Pirandello e «un saggio sui romanzi d'appendice e il gusto popolare in letteratura») riflettono l'esperienza del Gramsci critico teatrale tra il 1915 e il 1920.

Sebbene in misura diversa, tutti questi fili risulteranno poi effettivamente intrecciati, insieme a molti altri, nel tessuto unitario dei Quaderni; ma in quel primo progetto le linee del quadro non potevano che apparire incerte, e per precisarle occorreva ancora molto lavoro, di verifiche e di scavo interiore. Un lavoro tanto più impegnativo se si pensa alle drammatiche esperienze storiche di cui Gramsci è stato partecipe nell'ultimo decennio, e che sono lo sfondo implicito di queste sue ricerche, non tanto come loro cornice quanto piuttosto come loro fondamentale ragion d'essere: guerra e dopoguerra, sviluppo e crisi del movimento operaio, rivoluzione d'Ottobre e Internazionale comunista, lotta delle masse e crisi dello Stato, nascita e avvento del fascismo.

Si capisce anche come Gramsci sentisse il bisogno, già in questa prima fase del suo progetto, di cercare uno stimolo dialogico per evitare di rinchiudersi in riflessioni troppo solitarie; si sa ad esempio di una sua lettera a Bordiga per esporgli l'idea del lavoro sugli «intellettuali italiani» e per chiedergli di assumere la parte di «avvocato del diavolo»11. Ma questo tipo di dialogo, tutt'altro che facile anche in condizioni ordinarie, doveva risultare semplicemente impossibile nella situazione del tutto aleatoria delle comunicazioni intercarcerarie, e Gramsci deve rendersi conto ben presto che ancora una volta non può contare che sulle proprie forze. Queste forze d'altra parte andavano difese, reintegrate e protette dagli squilibri psicologici indotti dalla vita carceraria; inoltre per tutto il periodo della detenzione a Milano Gramsci non riesce a ottenere l'uso dei mezzi materiali necessari per scrivere in cella, e ciò lo costringe al metodo" delle letture disordinate che finiscono con lo svuotarsi di ogni interesse nel momento in cui rischia di andare smarrito il filo conduttore del suo progetto iniziale. In questa situazione l'idea di una ricerca «disinteressata» e «für ewig» dovrà essere temporaneamente accantonata. Sembra anzi — ma questa è solo un'apparenza — che per qualche tempo Gramsci preferisca ripiegare su un tipo di studio visto nei limiti di un semplice mezzo terapeutico, da combinare quindi con altri mezzi della stessa natura.

Così in una lettera del 23 maggio 1927 comunica a Tania di essersi dedicato regolarmente ad alcuni quotidiani esercizi fisici, che ritiene gli giovino «anche psicologicamente» perché lo distraggono «specialmente dalle letture troppo insulse e fatte solo per ammazzare il tempo» : «un vero e proprio studio credo che mi sia impossibile, per tante ragioni, non solo psicologiche, ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli armonicamente». Per questo pensa invece di dedicarsi allo studio delle lingue in modo sistematico, a cominciare dallo studio grammaticale (senza più accontentarsi di sapere quanto basta «per parlare e specialmente per leggere»), e progetta una serie di esercizi di traduzione, che saranno poi ripresi e continuati anche nel futuro lavoro dei Quaderni. In definitiva, chiarisce: «sono proprio deciso a fare dello studio delle lingue la mia occupazione predominante»12.

Non sarà tuttavia questa decisione tra quelle destinate ad essere mantenute. Non solo perché, per un organismo come quello di Gramsci, nessun mezzo sarebbe risultato adatto allo scopo al di là di un breve periodo di cattività, ma anche perché in realtà mai Gramsci riuscirà a distaccarsi da quell'ordine di pensieri che gli avevano ispirato il progetto iniziale di un lavoro «für ewig». Già nel momento stesso in cui proclamava la sua decisione di fare dello studio delle lingue la sua «occupazione predominante», parlava poi dei libri della sua «biblioteca permanente»: «cioè dei libri di mia proprietà, che scorro continuamente e che cerco di studiare»13. E non si tratta di libri che abbiano a che fare con lo studio delle lingue. Inoltre non rinuncia a servirsi della biblioteca del carcere, e non sempre trova queste letture del tutto insulse, utili solo ad «ammazzare il tempo»: si vanta anzi di saper «razzolare» anche nei « letamai» (o di riuscire a «cavar sangue anche da una rapa»), cioè di possedere «una capacità abbastanza felice di trovare un qualche lato interessante anche nella più bassa produzione intellettuale14. Sta di fatto che tali letture disordinate  documentate, almeno in parte, nell'epistolario di questo periodo non andranno del tutto perdute, e anche di esse si trovano precise tracce nel futuro lavoro dei Quaderni.

Quando infine questo lavoro potrà essere concretamente iniziato, nella solitudine di una cella del reclusorio di Turi, molte cose sono cambiate, e non certo in meglio dal punto di vista psicologico. La prospettiva di una lunga detenzione (garantita ormai dalla «sentenza» del Tribunale Speciale) potrebbe apparire astrattamente una condizione propizia per un'analisi teorica concepita «für ewig»; ma molto meno propizia per un detenuto come Gramsci che non è mai riuscito ad abituarsi — anche perché nemmeno voleva abituarsi — alle angustie e alle sofferenze della vita carceraria. Le Lettere ci attestano come queste sofferenze si siano non attutite, ma aggravate, fino a diventare laceranti, col trascorrere del tempo che demoliva implacabilmente le resistenze fisiologiche del suo organismo. Le prime avvisaglie di questa progressiva demolizione le avverte pochi mesi dopo il suo arrivo a Turi (19 luglio 1928): in dicembre un attacco di acidi urici non gli permette più di muoversi senza difficoltà, e per camminare durante le ore del «passeggio» ha bisogno per qualche tempo del sostegno di altri detenuti. È in queste condizioni che gli arriva infine il permesso per scrivere in cella. Rimossa così l'impossibilità tecnica che si era opposta fino a quel momento alla realizzazione del suo progetto, si trattava di superare le difficoltà psicologiche che lo stesso Gramsci aveva potuto sperimentare nei due anni precedenti. Prende per questo due misure, che almeno per qualche tempo si riveleranno utili: la prima è di evitare la casualità delle letture che lo distrae dalla riflessione intorno ai punti specifici del suo piano di lavoro15; la seconda è di dedicare una parte del suo tempo a una serie di esercizi di traduzione che gli servono per «rifarsi la mano» e per «distendere i nervi»16.

L'inizio della stesura dei Quaderni ha quindi, ancora una volta, un andamento lento, almeno per la parte creativa, relativamente allo svolgimento del piano di lavoro che egli si è proposto. Un abbozzo di tale piano, molto più articolato del primo programma delineato nella lettera ricordata del 19 marzo 1927, ma tuttavia con la stessa ispirazione, apre quello che Gramsci intitola «Primo Quaderno» (segnando la data d'inizio: 8 febbraio 1929)17, ma per l'inizio effettivo della stesura regolare delle note lascia passare ancora alcuni mesi : ha bisogno prima di rimettere ordine nei suoi pensieri, mentre si dedica alla fatica distensiva degli esercizi di traduzione. Dalla seconda metà del 1929 il lavoro tuttavia appare avviato in modo regolare, e sembra raggiunto un relativo equilibrio tra lo svolgimento del piano di lavoro dei Quaderni e l'uso del «mezzo terapeutico» degli esercizi di traduzione. Questa fase dura per circa due anni, fino ai primi di agosto del 1931, quando Gramsci è colpito improvvisamente da una prima grave crisi del suo organismo logorato18.

In questo periodo aveva iniziato, e in gran parte completato, dieci quaderni, di cui tre di soli esercizi di traduzione. Anche escludendo questi ultimi, il lavoro, come ora si può constatare, si era sviluppato in modo assai ampio e analitico, con caratteristiche di frammentarietà che lasciano però chiaramente intravedere il disegno unitario della ricerca. Rispetto al piano originario si nota una certa disuguaglianza di sviluppi: alcuni temi sono stati soltanto sfiorati, mentre altri nuovi, che non erano stati esplicitamente previsti, sono stati aggiunti e sviluppati con notevole ampiezza. La metodologia di Gramsci sente l'attrazione del «particolare» e non è disposta a rinunciare all'esigenza di penetrarlo nella sua carica simbolica o semplicemente di annotarlo come premessa filologica delle future ricerche; egli però avverte al tempo stesso il pericolo di dispersione derivante da questo metodo di lavoro, e si sforza quindi di concentrare la sua attenzione sui temi che più gli sembrano adatti ad annodare e conglobare tutti gli altri. In una lettera del 17 novembre 1930 scrive: «Mi sono fissato su tre o quattro argomenti principali, uno dei quali è quello della funzione cosmopolita che hanno avuto gli intellettuali italiani fino al Settecento, che poi si scinde in tante sezioni: il Rinascimento e Machiavelli, ecc. Se avessi la possibilità di consultare il materiale necessario, credo che ci sarebbe da fare un libro veramente interessante [...]. Intanto scrivo delle note, anche perché la lettura del relativamente poco che ho mi fa ricordare le vecchie letture del passato»19. Quest'ultima osservazione è da sottolineare: è importante tener conto del fatto che il materiale di cui Gramsci si serve nella stesura dei Quaderni non è solo quello tratto dai libri, riviste e giornali che riesce a leggere in carcere, ma anche quello riscavato dalla sua memoria nelle letture, negli studi e nelle esperienze di tutto il periodo precedente. Tutto ciò che Gramsci è stato, attraverso i modi della sua formazione e del suo sviluppo, rivive nei Quaderni, ed è, in questo rivivere, giudicato, approfondito e sviluppato.

Non si potrebbe diversamente capire la ricchezza di contenuto che si ritrova già nei primi sette quaderni scritti tra il 1929 e l'agosto del 1931. In tale periodo non sono mancati momenti che hanno aggravato l'amarezza di Gramsci, e accresciuto il penoso sentimento di solitudine da cui si sente profondamente investito. Nel mese di giugno del 1930. riceve la visita del fratello Gennaro, quella visita che determina «un corso a zig-zag» dei suoi pensieri20. Gennaro viene dalla Francia, ambasciatore ufficioso delle novità sulla vita del partito: il problema della «svolta», i contrasti nel gruppo dirigente, l'espulsione dei «tre», ecc. Gramsci non è convinto, evidentemente, che tutto vada per il meglio, e alcuni mesi dopo, nel novembre, inizia una serie di conversazioni e di dibattiti politici con il gruppo di compagni di partito che ha modo di vedere durante il «passeggio». Le sue posizioni provocano però vivaci reazioni nella maggioranza dei compagni, ed egli preferisce troncare la discussione per evitare che essa degeneri, nel chiuso della vita carceraria, in una meschina bega frazionistica21. Ancora una volta Gramsci è costretto a rifugiarsi nel suo isolamento; ma non pare che il lavoro dei Quaderni ne abbia in qualche modo sofferto, anche se certo l'episodio ha contribuito ad accrescere le tensioni psicologiche che attanagliano l'esistenza del prigioniero di Turi.

Una nuova fase del lavoro dei Quaderni ha inizio invece dopo la crisi del 3 agosto 1931. Già negli ultimi mesi aveva cominciato ad avvertire i segni di un serio indebolimento che comprometteva il ritmo del suo lavoro22 e proprio il 3 agosto, a poche ore dalla crisi, ne aveva tratto sconsolate conclusioni sulle possibilità di condurre in porto le ricerche iniziate: «Si può dire che ormai non ho più un vero programma di studi e di lavoro e naturalmente ciò doveva avvenire. Io mi ero proposto di riflettere su una certa serie di quistioni, ma doveva avvenire che a un certo punto queste riflessioni avrebbero dovuto passare alla fase di una documentazione e quindi ad una fase di lavoro e di elaborazione che domanda grandi biblioteche. Ciò non vuol dire che perda completamente il tempo, ma, ecco, non ho più delle grandi curiosità in determinate direzioni generali, almeno per ora»23. Ma la crisi seguita poco dopo, nella notte del 3 agosto, diventa una nuova sferzata che riaccelera il ritmo di lavoro seguito fino a quel momento. La sua salute avrebbe ora bisogno di riposo assoluto e di cure adeguate, cose impossibili nelle sue condizioni; ma non c'è più nemmeno da pensare a un qualche tipo di lavoro che serva ancora come mezzo terapeutico. Abbandona infatti gli esercizi di traduzione e si concentra invece nello sforzo di approfondire la ricerca e di ristrutturarla in una nuova serie di quaderni.

Il piano di lavoro è riformulato sotto il titolo generale Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani, ed è accompagnato da un elenco di «Raggruppamenti di materia», che servirà poi a Gramsci per raccogliere e rielaborare in «quaderni speciali», dedicati ciascuno a un solo tema, note sparse in diversi quaderni scritti precedentemente in forma miscellanea24. Rimarrà questo in sostanza il piano definitivo dei Quaderni, anche se modificato nel corso ulteriore del lavoro con alcuni arricchimenti e varianti.

In questa seconda fase, che va dalla fine del 1931 alla fine del 1933, il lavoro compiuto risulta particolarmente intenso e impegnativo, tanto più se si pensa che sono i due anni peggiori per le condizioni di salute di Gramsci, quelli in cui le risorse naturali del suo organismo vengono compromesse irrimediabilmente. In questo periodo, ai primi sette quaderni già iniziati (oltre ai tre quaderni di sole traduzioni) se ne aggiungono altri dieci25 che conservano un posto centrale nella struttura di tutti i Quaderni, anche se alcuni di essi saranno completati solo nel periodo successivo. Quaderni di note miscellanee e «quaderni speciali» si alternano nel lavoro di questa fase: Gramsci continua ad esplorare il terreno della sua ricerca, mentre si sforza al tempo stesso di riordinare il materiale già raccolto riscrivendo in seconda stesura note già abbozzate nei quaderni precedenti. In nessun momento però ritiene di aver raggiunto la forma definitiva dei «saggi» progettati: questi non saranno mai scritti, e rispetto ad essi tutte le note dei Quaderni, nelle diverse stesure, rappresentano solo una raccolta di materiali preparatori. Sul carattere provvisorio (di «prima approssimazione») delle sue annotazioni Gramsci aveva già richiamato l'attenzione in uno dei primi quaderni26, ed ora, nella nuova fase del suo lavoro, sente il bisogno di ripetere più volte la stessa avvertenza. Nella premessa al nuovo piano di lavoro chiarisce come il carattere provvisorio delle sue note non sia da riferire solo all'aspetto formale (alla «distinzione tra la parte principale e quella secondaria dell'esposizione, tra ciò che sarebbe il "testo" e ciò che dovrebbero essere le "note"»), ma investa anche le stesse determinazioni del contenuto: «si tratta spesso di affermazioni non controllate, che potrebbero dirsi di "prima approssimazione": qualcuna di esse nelle ulteriori ricerche potrebbe essere abbandonata e magari l'affermazione opposta potrebbe dimostrarsi quella esatta»27.

In questo rifiuto di legarsi le mani con conclusioni o formulazioni di carattere definitivo pesa non solo lo scrupolo dello studioso che sa di non poter disporre degli strumenti necessari di controllo filologico, ma con ogni probabilità anche l'esigenza politica di controllare sugli sviluppi reali del movimento, in atto nel mondo «esterno» da cui era stato escluso, la validità della trama ideale che egli va intessendo in queste sue solitarie riflessioni carcerarie. Gramsci ha sentito tutto il peso del suo isolamento, tanto più crescente con il peggioramento delle sue condizioni di salute che rendono sempre meno sicura la prospettiva di poter riannodare i «fili strappati» del suo legame col mondo28. L'amico Sraffa, a cui Tania in questo periodo trasmette le lettere di Gramsci, cerca di farsi interlocutore indiretto nelle riflessioni dei Quaderni suggerendo a Tania argomenti da proporre al recluso isolato, nuovi stimoli ai suoi bisogni intellettuali minacciati dal logorio della vita carceraria. Si avvicinano però i momenti più acuti di una lotta per la sopravvivenza di un organismo che reagisce con sussulti disperati ai colpi di maglio che lo demoliscono. Sono i momenti più pericolosi e Gramsci ne è ben consapevole. «Sono giunto a un punto tale che le mie forze di resistenza stanno per crollare completamente, non so con quali conseguenze», scrive a Tania il 29 agosto 193229; seguono settimane di «vera frenesia nevrastenica»30, fino ad arrivare alla nuova più grave crisi del marzo 1933: deliqui, stati di allucinazione e di ossessione. A questi mali fisici si accompagnano vere e proprie tempeste psicologiche, e Gramsci si chiede freddamente se il prolungarsi di queste condizioni non rischi di sottrarlo a qualsiasi possibilità di autocontrollo razionale: si pensi all'insistenza con cui si sofferma sull'apologo dei naufraghi (che diventano antropofaghi, senza aver mai prima sospettato una tale eventualità) in una lettera a Tania e poi in un lucido passo dei Quaderni31.

È forse questo uno dei pochi punti in cui le sofferenze lancinanti di questo periodo si riflettono direttamente nei Quaderni. Ma in tal modo esse riescono in qualche misura anche a spersonalizzarsi, a diventare esperienze esemplari, dotate di quella «pedagogica universalità e chiarezza» che acquistano i «fatti particolari» nelle riflessioni raccolte sotto il titolo di rubrica Passato e presente. Sono però tutti i «quaderni» di questo periodo a rappresentare una sfida continua contro l'immediatezza delle vicende personali del prigioniero, la vittoria del controllo della ragione sugli impulsi centrifughi degli istinti primordiali, la riduzione del ribollire caotico di vitali forze spontanee nell'alveo della sobrietà e dell'ordine intellettuali. È evidente tuttavia che questo tipo di tensione non poteva durare troppo a lungo, e al medesimo livello, nelle condizioni drammatiche in cui, come s'è visto, Gramsci ha dovuto lavorare. Con il trasferimento dal carcere di Turi, alla fine del 1933, alla clinica di Formia (ancora in stato di detenzione fino all'ottobre del 1934) ha inizio una nuova fase anche nella stesura dei Quaderni.

Questa terza ed ultima fase interessa altri dodici quaderni, la maggior parte dei quali però lasciati incompleti e alcuni di sole poche pagine. È vero che nello stesso periodo (1934-35) Gramsci utilizza anche, per aggiungere nuove note e integrare con nuove osservazioni, alcuni dei quaderni iniziati nel periodo precedente, ma complessivamente si deve dire che il ritmo del lavoro appare piuttosto rallentato. Le condizioni di esistenza formalmente meno sfavorevoli non si sono tradotte in un sensibile miglioramento del suo stato di salute. L'organismo, profondamente intaccato, non rivela più possibilità di ripresa, e del resto non sembra nemmeno che nella clinica di Formia gli siano apprestate cure adeguate alla gravità dei suoi mali. Con forze permanentemente indebolite la ripresa dello studio e della stesura dei Quaderni è ancora una continuazione del lavoro precedente, ma non riesce ad andare oltre certi limiti. Tutti i quaderni di Formia sono «quaderni speciali», divisi salvo poche eccezioni secondo i «raggruppamenti di materia» stabiliti alla fine del 1931. Il lavoro prevalente consiste quindi nel riprendere le note sparse nei diversi quaderni miscellanei per raggrupparle secondo l'argomento nei nuovi «quaderni speciali». Nella nuova stesura le note sono a volte rielaborate, con qualche aggiornamento sulla base di nuove letture e di nuovi dati acquisiti, ma più spesso sono soltanto riprese alla lettera, come in una semplice copiatura meccanica. I momenti più creativi sono forse consegnati in alcune note aggiunte nei quaderni del periodo precedente.

Nulla muta sostanzialmente in questa situazione quando, nell'ottobre del 1934, Gramsci ottiene la libertà condizionale, sulla base delle disposizioni generali stabilite in materia; né quando più tardi, nell'agosto del 1935, viene ricoverato nella clinica «Quisisana» di Roma. Nelle sue condizioni fisiche, e sotto un regime di strettissima sorveglianza poliziesca, la vita del «libero vigilato» non è praticamente diversa da quella del recluso. La mente rimane lucida, ma le sue energie lo abbandonano a poco a poco. L'organismo, estenuato, si spegne lentamente. Il lavoro dei Quaderni è finito, e non potrà più essere completato.

Subito dopo la morte di Gramsci (27 aprile 1937) Tania Schucht provvede a mettere in salvo i manoscritti dei Quaderni. Molto si deve all'abnegazione e allo spirito di sacrificio di questa donna: grazie alla sua attività silenziosa e discreta sono stati anche sventati i primi e più gravi pericoli di una dispersione dell'opera gramsciana. Se questi manoscritti non si fossero salvati, di Gramsci sarebbe rimasto soprattutto il ricordo di una leggenda. Al di là dell'Italia ufficiale, la commozione per la sua scomparsa è profonda, tra i suoi compagni di partito e negli ambienti antifascisti, ma era anche forse abbastanza diffusa l'impressione che la sua personalità non avesse avuto modo di esprimersi in tutta la sua pienezza32. È un'impressione che potrà essere superata solo dopo che sarà conosciuta l'opera dei Quaderni.

Naturalmente, a una pubblicazione immediata di questo materiale in Italia non c'era nemmeno da pensare in quel periodo. Inoltre i manoscritti erano tutt'altro che approntati per la stampa, e si ponevano a questo proposito, problemi di non facile soluzione. Secondo la testimonianza di Tania33, Gramsci le aveva affidato a suo tempo l'incarico di trasmettere tutto alla moglie Giulia, riservandosi di dare in seguito altre disposizioni. Queste ultime in realtà non erano più venute, e Tania quindi aveva pensato di chiedere a Sraffa se volesse assumersi l'incarico di «mettere in ordine» i manoscritti, per avere la certezza che questo lavoro fosse compiuto «da una persona competente», in attesa di poter mandare tutto a Mosca. Sraffa tuttavia, sapendo quanto questi manoscritti stessero a cuore a Togliatti e agli altri dirigenti del partito34, ritiene che non sia opportuna una qualsiasi sua interferenza, e consiglia a Tania di non trattenere il prezioso materiale presso di sé oltre il necessario ma di mandarlo a Mosca appena potrà approfittare di un sicuro mezzo di trasporto.


Questo consiglio è seguito da Tania, che provvede intanto ad applicare all'esterno dei quaderni delle etichette con una numerazione di controllo, che non tiene conto del periodo di stesura di ogni quaderno. Tale numerazione progressiva riguarda 31 quaderni, mentre rimangono esclusi altri due quaderni che hanno già segnato un numero in copertina: il n. 111 per un quaderno intitolato La filosofia di benedetto Croce, e il n. IVbis per un quaderno intitolato Niccolò Machiavelli II. Sono quindi in tutto 33 i quaderni gramsciani che Tania consegna per l'inoltro a Mosca, il 6 luglio 193735. La spedizione sarà però rinviata, e ancora per un anno i manoscritti rimarranno a Roma, custoditi in luogo sicuro. Arriveranno a Mosca, insieme ai libri e agli effetti personali di Gramsci, solo nel luglio del 1938. Li prende in consegna Vincenzo Bianco, in qualità di rappresentante italiano al Komintern. Togliatti è in Spagna, ma riceve presto le prime fotocopie dei quaderni e comincia a studiare, insieme ad altri compagni, i primi progetti di pubblicazione36.


In effetti il precipitare degli avvenimenti politici e infine la guerra mondiale non possono che intralciare e ritardare qualsiasi progetto del genere. Gramsci sarebbe stato certo l'ultimo, se fosse stato ancora in vita, a dolersi di un tale ritardo : non per nulla aveva voluto dedicare il suo lavoro carcerario ad una ricerca «fiir ewig», che potesse sopravvivere al di là della battaglia politica immediata. Come combattente politico aveva fatto, anche in carcere, tutto quello che aveva potuto. Non aveva scelto volontariamente la via del martirio, ed anzi aveva lottato disperatamente per la sua sopravvivenza fisica, ma aveva sempre rifiutato di barattare la propria salvezza con quella domanda di grazia che gli era stata più volte sollecitata e che egli considerava un «suicidio politico». In questo tipo di decisioni Gramsci era tutt'altro che un isolato: continuava ad essere parte integrante di un movimento di lotta chiamato ad impegnarsi su tutti i fronti in accaniti combattimenti quotidiani. Solo una serie di successi in questi combattimenti avrebbe potuto garantire la prospettiva di quei tempi lunghi per cui Gramsci aveva lavorato nei Quaderni.

La lotta contro il fascismo è ancora in corso, e l'Italia non è stata ancora del tutto liberata, quando appaiono i primi annunci della prossima pubblicazione degli inediti gramsciani37. Alcuni di tali annunci erano in realtà prematuri, troppo in anticipo sulla possibilità materiale di preparazione dei testi38. Solo dopo la fine della guerra, quando è possibile infine far tornare in Italia gli originali dei quaderni e delle lettere, il lavoro di preparazione editoriale può essere avviato concretamente39. Nel 1947 vede la luce la prima edizione delle Lettere dal carcere e l'anno successivo ha inizio la pubblicazione dei volumi dei Quaderni. Nel corso di quattro anni, tra il 1948 e il 1951, escono sei volumi, diventati notissimi attraverso innumerevoli ristampe con i titoli redazionali scelti dai curatori: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura  e vita nazionale; Passato e presente. Con un ritmo più lento, per la difficoltà di individuare tutti gli scritti non firmati, vedranno poi la luce i volumi che raccolgono gli articoli e gli altri testi gramsciani scritti prima dell'arresto40.

La circolazione delle idee di Gramsci, grazie alla risonanza avuta da queste pubblicazioni, non solo in Italia, difficilmente avrebbe potuto essere maggiore. Del resto il fatto che Gramsci sia diventato, negli ultimi decenni, una delle figure più rilevanti della cultura marxista internazionale, ormai rientra perfino nel novero delle nozioni comuni. Non sarebbe quindi ragionevole sottovalutare in alcun modo l'importanza e i meriti della prima edizione dei Quaderni del carcere. La scelta allora compiuta, di raggruppare le note gramsciane per argomenti e per temi omogenei, e di ordinare tali raggruppamenti in una serie di volumi indipendenti, era in ogni caso il mezzo più idoneo per assicurare la più larga circolazione al contenuto dei Quaderni. D'altra parte lo stato di frammentarietà in cui il materiale era disposto nei manoscritti originali, e i successivi tentativi dello stesso Gramsci di riordinare le sue note secondo un criterio tematico, sembravano autorizzare la soluzione editoriale prescelta. Tuttavia i limiti e gli inconvenienti di questo ordinamento non potevano non venire alla luce quando sì è incominciato ad approfondire lo studio dell'opera gramsciana. Non si può certo dire che l'ordine sistematico seguito risulti estraneo alla tematica affrontata nei Quaderni, era in fondo una scelta possibile che lo stesso Gramsci avrebbe potuto fare se si fosse deciso a dare una forma definitiva al suo lavoro. Ma questa scelta Gramsci non l'ha fatta, e di ciò non si può non tener conto nella lettura e nell'interpretazione di queste pagine.

Anche se non ha lasciato precise disposizioni sul modo di utilizzare la sua eredità letteraria, Gramsci ha fornito però precise indicazioni sul modo con cui vanno lette le opere postume: «È evidente che il contenuto di queste opere postume deve essere assunto con molta discrezione e cautela, perché non può essere ritenuto definitivo, ma solo materiale ancora in elaborazione, ancora provvisorio; non può escludersi che queste opere, specialmente se da lungo tempo in elaborazione e che l'autore non si decideva mai a compiere, in tutto o in parte fossero ripudiate dall'autore e non ritenute soddisfacenti»; «un'opera non può mai essere identificata col materiale bruto, raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposizione degli elementi componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto ciò che costituisce l'opera effettiva»41.

Si è già visto d'altra parte come Gramsci tenesse a sottolineare il carattere provvisorio del proprio lavoro, anche nelle nuove stesure delle sue note. Tutto ciò comporta, se si guarda bene, al di là del richiamo alla «discrezione» e alla «cautela», l'invito a una lettura maggiormente responsabilizzata, non limitata a una semplice ricezione passiva. Il che non vuol dire affatto una lettura aperta a qualsiasi possibilità d'interpretazione. Gramsci scriveva in un'epoca di profonde trasformazioni, per lettori che avrebbero dovuto affrontare nuove esperienze e sarebbero stati in possesso di nuovi elementi di giudizio che egli, nell'isolamento del carcere, poteva solo confusamente intravedere. A questi lettori offriva una riflessione approfondita della propria esperienza politica e culturale e la costruzione teorica di una complessa metodologia critica per aggredire attivamente i processi in atto nel mondo contemporaneo. È lecito supporre che pensasse a lettori capaci di completarlo, e in qualche punto anche di correggerlo: come marxista antidogmatico non avrebbe potuto desiderare lettori diversi. Ma tanto più era importante che ciò che era stato scritto come «materiale ancora in elaborazione» venisse letto come tale, che il «provvisorio» non apparisse come «definitivo».

A questa esigenza intende rispondere la presente edizione dei Quaderni del carcere. Ma anche se tale orientamento dovesse incontrare delle riserve, rimane a giustificare i criteri scelti la necessità di offrire uno strumento di lettura che permetta di seguire il ritmo di sviluppo con cui la ricerca gramsciana si snoda nelle pagine dei Quaderni. Questa edizione cioè presume di non essere gravata da ipoteche interpretative, pur essendo nata nel quadro di una linea di interpretazione del pensiero di Gramsci. A confermare tale aspirazione possono servire anche i chiarimenti tecnici che seguono.

1. Si è cercato in primo luogo di riprodurre il testo dei Quaderni, così come sono stati scritti da Gramsci, in modo che niente di esterno si interponga tra questo testo e il lettore. A questo scopo l'apparato critico, comprese le note redazionali esplicative, è separato dal testo di Gramsci e lo segue in fondo all'opera. Il lettore potrà ricorrervi tutte le volte che ne senta il bisogno, senza essere tuttavia distratto da continui richiami nella sua lettura indipendente. A piè di pagina sono aggiunte solo le poche e brevissime note che segnalano varianti del testo o rettifiche apportate.

2. I «quaderni» sono stati ordinati secondo l'ordine cronologico di stesura ricostruito sulla base di riscontri oggettivi, indicati nella «Descrizione dei Quaderni» (che è una sezione dell'apparato critico). Su questa base i quaderni sono stati numerati in ordine progressivo, conservando tuttavia, tra parentesi, le vecchie numerazioni apportate da Tania, come s'è visto, in semplice funzione di controllo
. I quaderni così numerati sono ventinove: da 1 (XVI) a 29 (XXI). Con un diverso tipo di numerazione sono contraddistinti gli altri quattro quaderni che contengono solo esercizi di traduzioni: a (XIX), b (XV), c(XXVI), d (XXXI). Anche in questo caso il numero romano tra parentesi si riferisce alla vecchia numerazione di Tania Schucht. La ricostruzione dell'ordine cronologico dei quaderni è stata possibile quasi sempre, come si vedrà, senza apprezzabili margini d'incertezza, ma è da avvertire che tale ordine riguarda solo l'inizio della stesura dei diversi quaderni, ai quali però Gramsci, a quanto risulta, lavorava spesso contemporaneamente, completandoli in alcuni casi a grande distanza di tempo. All'interno di ogni quaderno si è seguito in linea di massima l'ordine materiale delle pagine, salvo quando risultava chiaramente che Gramsci si era attenuto a un ordine diverso. In ogni caso il numero delle pagine originali di ogni quaderno è segnato a margine nel testo della presente edizione.

3. Nella seconda fase di stesura dei Quaderni (19311933) e ancor più nella terza fase (1934-35), Gramsci procedendo ulteriormente nel lavoro ha cancellato (con larghi tratti di penna, che non ostacolano la lettura) molte delle note scritte in prima stesura per poi riprenderle quasi sempre, più o meno rielaborate, in altre note, di seconda stesura, soprattutto nei «quaderni speciali», in cui i testi sono raggruppati per argomento. La nostra edizione, che riproduce integralmente il testo gramsciano, ha lasciato le note di prima stesura nello stesso posto in cui sono collocate nei quaderni originali; ma anche per renderle immediatamente riconoscibili le ha contraddistinte con un carattere tipografico minore. Alla fine di ognuna di queste note segue il rinvio alle pagine originali del Quaderno in cui si può ritrovareJa stessa nota in seconda stesura. Allo stesso modo alla fine delle note di seconda stesura si troverà l'indicazione dei testi corrispondenti di prima stesura. Le note prive di questa indicazione di rinvio sono testi lasciati da Gramsci in stesura unica.

Nelle «Note» dell'apparato critico le indicazioni relative alle caratteristiche di ogni paragrafo del testo e ai loro collegamenti sono contenute in forma più dettagliata. Per maggior chiarezza, e per evitare eccessive ripetizioni, sono indicati come testi A quelli di prima stesura: come testi B quelli di stesura unica; come testi C quelli di seconda stesura.

Nel passaggio dai testi A ai testi C, Gramsci non segue un criterio uniforme. In alcuni casi diversi testi A sono ripresi in un unico testo C, in altri casi invece un unico testo A è suddiviso in diversi testi C; altre volte ancora vi è perfetta corrispondenza tra le note di prima stesura e quelle di seconda stesura. Anche il grado di rielaborazione dei testi è molto variabile: si va da casi in cui il testo di prima stesura è a stento riconoscibile nella seconda stesura, arricchita da notevolissime integrazioni, ad altri casi in cui invece il testo A è semplicemente ripetuto alla lettera nel corrispondente testo C.

4. ln tutti i quaderni le note di Gramsci hanno all'inizio, quasi sempre, un segno di paragrafo (§), seguito in molti casi da un titolo. Nel testo dell'edizione abbiamo conservato naturalmente queste indicazioni, integrando tuttavia il segno di paragrafo con un numero progressivo per ogni quaderno, in modo da soddisfare le esigenze di consultazione. Questi numeri aggiunti, come qualsiasi altra integrazione redazionale al testo di Gramsci, sono contrassegnate da parentesi angolari ( ) (che sono omesse invece, per ovvie ragioni, nell'apparato critico; che ha per intero carattere redazionale). La stessa avvertenza vale anche per i titoli dei Quaderni: sono redazionali quelli tra parentesi angolari, mentre, dove queste mancano, i -titoli sono di Gramsci. Nel testo le parentesi quadre [ ] sono state usate per indicare parole o frasi aggiunte da Gramsci in un secondo tempo, in interlinea o a margine del quaderno.

5. Nella nostra edizione sono riportati integralmente 29 quaderni, diciassette dei quali appartengono al periodo di Turi, e dodici al periodo di Formia. Gli altri quattro quaderni conservati, tutti del periodo di Turi, contengono, come s'è detto, esclusivamente esercizi di traduzione. Altri esercizi di traduzione occupano anche una parte di altri due quaderni: il 2 (xxiv) e il 7 (vii). Non si è ritenuta necessaria la riproduzione integrale di questi lavori, che avrebbe solo appesantito inutilmente un'edizione già così carica, giacché essi si collocano chiaramente al di fuori del piano di lavoro propostosi da Gramsci nella stesura dei Quaderni. Come già si è ricordato sulla base della testimonianza delle Lettere dal carcerey questi lavori di traduzione erano concepiti da Gramsci come un esercizio distensivo e un allenamento mentale utili per un certo periodo. Essi inoltre documentano il particolare interesse di Gramsci per alcuni argomenti e per l'approfondimento di due lingue da lui ritenute di speciale importanza (il tedesco e il russo); ma non presentano nessuna caratteristica che vada al di là dell'immediatezza pragmatica a cui intendevano rispondere. Tale lavoro è infatti interrotto quando le sue condizioni di salute cominciano ad aggravarsi, mentre sente il bisogno di intensificare il lavoro teorico e la stesura dei Quaderni. Si è quindi ritenuto sufficiente da un lato offrire ai lettori una minuziosa documentazione analitica di questi lavori di traduzione, nella «Descrizione dei Quaderni» compresa nell'apparato critico, e dall'altro riportare in Appendice al testo alcuni esempi delle traduzioni gramsciane dei testi di Marx, più direttamente legati alla tematica dei Quaderni.

6. In alcuni dei Quaderni vi sono pagine utilizzate da Gramsci per minute o appunti personali legati alle esigenze della vita carceraria e solo indirettamente, in alcuni casi, al lavoro dei Quaderni. Mentre non è parso opportuno inserire questo materiale eterogeneo (elenchi di libri, minute di lettere o di istanze, conti e calcoli vari, ecc.) nel testo vero e proprio, si è ritenuto utile riprodurlo integralmente, o quasi, per il suo valore documentario, nella citata «Descrizione dei Quaderni».

7. Nessun intervento, invece, è sembrato lecito che potesse menomare in qualche modo il carattere integrale della riproduzione delle note dei Quaderni: né per evitare ripetizioni o per eliminare annotazioni che potessero apparire superflue o prive d'interesse, né per attenuare giudizi polemici. Il carattere chiaramente provvisorio di queste pagine, così come le ripetute avvertenze di Gramsci sulla necessità in cui egli stesso avrebbe potuto trovarsi di correggere, o addirittura capovolgere, dopo eventuali controlli, affermazioni contenute nelle sue note, dovrebbero bastare a sollevare da ogni preoccupazione estranea al carattere «disinteressato» dell'opera gramsciana. Alcuni giudizi dei Quaderni sono particolarmente duri; come eccessivamente aspri, e non sempre equanimi, erano stati i giudizi del Gramsci impegnato, prima dell'arresto, nello scontro quotidiano e nella polemica politica immediata. Ma selezionare tali giudizi che vanno affidati serenamente al discernimento dei lettori sarebbe stato inammissibile in un’edizione critica.

8. Si sono rispettate tutte le particolarità stilistiche e lessicali del testo gramsciano. Nel caso di difformità nell'uso di forme lessicali di una stessa parola (ad esempio quistione e questione) si è preferito non uniformare. Quando si è corretto nel testo qualche lapsus evidente, trattandosi di casi piuttosto rari, si è ritenuto opportuno segnalare la cosa a piè di pagina. Ma in generale si è evitato di trasformare il criterio della trascrizione fedele in inutile pedanteria. Così si sono completate, senza avvertire, le parole abbreviate, quando l'abbreviazione è sembrata del tutto casuale e priva di significato; quando invece l'abbreviazione appariva intenzionale, per non allarmare la censura carceraria, la circostanza è stata segnalata in nota. Le precauzioni usate da Gramsci per difendere il lavoro dei Quaderni dalla sorveglianza delle autorità carcerarie variano nei diversi periodi della sua detenzione. Per questo motivo la presenza dei testi di prima stesura, in cui Gramsci dimostra di avere minori preoccupazioni al riguardo, rende il suo discorso più immediatamente intelligibile e facilita spesso la comprensione dei successivi testi di seconda stesura, dove abbondano invece le circonlocuzioni impiegate per occultare ai censori i riferimenti a temi politici e ideologici sospetti.

9. L'ampiezza dell'apparato critico vuole rispondere all’esigenza di fornire al lettore tutti gli strumenti utili a una più esatta comprensione del testo e all'approfondimento, dello studio dell'opera gramsciana. Anche nelle «Note al testo» si è cercato di evitare ogni prevaricazione di carattere interpretativo che pretendesse condizionare le scelte che spettano alla responsabilità e al senso critico del lettore. Le «Note» quindi non privilegiano il commento, ma contengono soprattutto indicazioni sulle fonti utilizzate da Gramsci, anche quando non sono dichiarate dal testo, chiarimenti sulle opere, sugli avvenimenti e i personaggi menzionati e sulle allusioni che non s'intendono da sé ma possono essere decifrabili in modo attendibile, e infine riferimenti ai rapporti con le Lettere dal carcere, ai nessi interni dei Quaderni e ai precedenti scritti di Gramsci che sono ad essi collegati a seconda dei temi di volta in volta trattati. Tutte le fonti sono state controllate (tranne pochissimi casi in cui non è stato possibile reperirle o individuarle), e ciò ha permesso in molte occasioni di chiarire il significato di riferimenti o di allusioni di Gramsci che diversamente sarebbero rimasti oscuri o generici.

I chiarimenti tecnici forniti non dovrebbero distogliere l'attenzione del lettore dalle motivazioni che li hanno resi necessari, anche se possono sembrare a prima vista un po' troppo minuziosi. Non sarebbe stato giusto tuttavia semplificare sostituendo alle «minuzie» della filologia le grandi linee di un perfetto impianto interpretativo. Anche in questo caso «semplificare» avrebbe significato, come avverte lo stesso Gramsci, «snaturare e falsificare»1. Né sarebbe stato utile insistere su ciò che già è noto, sui temi (egemonia, funzione degli intellettuali, «blocco storico», ecc.) che hanno reso celebre il pensiero di Gramsci come quello di uno dei pensatori più significativi del mondo contemporaneo. L'insistenza di Hegel nel sottolineare la contrapposizione tra ciò che è «noto» e ciò che è « conosciuto» merita forse di essere estesa anche al di là dell'ambito specifico della logica hegeliana. La tendenza ad imbalsamare il pensiero dei classici nella sua notorietà (e ciò è possibile anche ricamando su di essa infinite variazioni) continua ad operare come il mezzo più usuale per svuotare quel pensiero della sua vitalità.

Gramsci è già un classico, e per la sua opera era indispensabile accingersi a quel compito che egli stesso giudicava necessario per un altro classico: «occorre — scriveva pensando a Marx fare preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso» A questa esigenza abbiamo cercato di attenerci nella preparazione della nuova edizione critica dei Quaderni del carcere, senza sentire alcun imbarazzo a dedicare tanto tempo a un semplice lavoro «preliminare». Il risultato rende però ora possibile una nuova lettura di Gramsci; ed è lecito sperare che essa consentirà una conoscenza migliore della sua opera, forse in parte anche diversa, certo più esatta e approfondita.

VALENTINO GERRATANA

L'iniziativa della presente edizione è dell'Istituto Gramsci, che custodisce i manoscritti e la maggior parte dei libri che furono di Antonio Gramsci. Tutto il lavoro di preparazione si è svolto nella sede romana dell'Istituto, che, in collaborazione con l'editore Einaudi, ha approntato i mezzi materiali e organizzativi della ricerca. Nella prima fase di preparazione del lavoro, nel 1968-69 e nel 1969-70, abbiamo anche potuto usufruire di un contributo finanziario del Consiglio nazionale delle ricerche. Una speciale gratitudine dobbiamo a Eugenio Garin per i consigli e i suggerimenti con cui ha sorretto fin dall'inizio la nostra fatica.

Il lavoro del curatore è stato validamente coadiuvato da un gruppo di collaboratori specializzati che, individualmente o in équipe, hanno contribuito a realizzare il complesso programma di ricerche e di controlli bibliografici ed archivistici richiesti nelle varie fasi di preparazione dell'edizione. Nel primo anno d'impostazione del lavoro Bruno Anatra ha collaborato all'impianto degli schedari. Giacomina Nenci, Alberto Postígliola, Luciana Trentin, Dino Ferreri hanno collaborato alla collazione dei manoscritti originali, alla ricerca delle fonti e alla raccolta del materiale utilizzabile per la redazione delle note al testo. Il contributo di tutti ci è stato prezioso; ma non possono essere taciuti i particolari meriti di Ferreri, che per circa sei anni si è impegnato nel modo più attivo, e con risultati spesso particolarmente felici, in tutte le fasi principali della ricerca, oltre che nella fase finale di realizzazione editoriale. Nella elaborazione dell'apparato critico Ferreri ha collaborato alla stesura della «Descrizione dei Quaderni» e di una parte delle «Note al testo», e si è assunto inoltre l'incarico di redigere 1'«Indice delle opere e dei periodici citati». Alla preparazione dell'«Indice per argomenti» e della «Tavola delle concordanze» hanno collaborato rispettivamente Anna Maria Calvelli e Luciana Trentin. La preparazione dell'«Indice dei nomi» è stata curata da Carmine Donzelli, della casa editrice Einaudi.

Desideriamo inoltre esprimere un vivo ringraziamento al dottor Costanzo Casucci, dell'Archivio centrale dello Stato, che ha facilitato la consultazione dei fascicoli relativi a Gramsci conservati nell'acs; e a tutti coloro che ci hanno fornito utili informazioni o chiarimenti su specifiche questioni: Luigi Arbizzani, Nicola Auciello, Nicola Badaloni, Christine Buci-Glucksmann, Sergio Caprioglio, Gabriele De Rosa, Elsa Fubini, Pietro Grifone, Alfonso Leonetti, Attilio Marinari, Piero Melograni, Mazzino Montinari, Franco Moretti, Gaetano Perillo, Claudio Pozzoli, Ernesto Ragionieri, Aldo Ricci, Giulio Rughi, Arnaldo Satta, Paolo Spriano, Sebastiano Timpanaro, Paola Zambelli.

Di grande aiuto ci è stata la redazione della casa editrice Einaudi, in particolare con l'opera di Oreste Molina e Elena De Angeli, non solo per la normale assistenza tecnica, ma anche per la soluzione dei complessi problemi posti dalla sistemazione e dall'ordinamento delle diverse sezioni dell'apparato critico. Il direttore dell'Istituto Gramsci, Franco Ferri, e tutto il personale dell'Istituto hanno favorito la preparazione dell'edizione seguendone le varie fasi con partecipe e continuo interessamento.
v. g.

Note

 

1 Cfr Valentino Gerratana, Sulla preparazione di un'edizione critica dei «Quaderni del carcere», in Gramsci e la cultura contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi gramsciani tenuto a Cagliari il 23-27 aprile 1967, a cura di Pietro Rossi, vol. II, Editori Riuniti Istituto Gramsci, Roma 1970, pp. 455-76.

2 Cfr «La Rivoluzione liberale», 22 aprile 1924 (anno in, n. 17); Antonio Gramsci (nella rubrica 'Uomini e idee'); l'articolo è ora raccolto in Piero Gobetti, Scrìtti politici, a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino i960,

3  L'articolo è ora raccolto in Palmiro Togliatti, Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 3-6.

4 Cfr Ercole Piacentini, Con Gramsci a Turi, testimonianza raccolta da Paolo Giannotto, in «Rinascita», 25 ottobre 1974, p. 32: «Da due anni mi trovavo a Turi; una mattina la porta del cortile del "passeggio" si apri ed entrò un uomo piccolo di statura, un po' deforme Curiosi di sapere cosa avveniva^ fuori, ci avvicinammo. "Siete politici?" domandò"Mi chiamo Gramsci". Chiese ancora a quale movimento si appartenesse. Io e Ceresa dicemmo d'esser comunisti, gli altri erano tutti anarchici. Per la verità nessuno sapeva chi fosse Gramsci, era uno qualunque».

5 Cfr Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Sergio Caprioglio e Elsa Fubini, Einaudi, Torino 1965, pp. 50-51.

6 Cfr, nella presente edizione, p. 1776.

7 Gramsci, Lettere dal carcere cit.f p. 126.

8 Ibid., p. 398 (lettera alla moglie del 13 gennaio 1931).

9 Cfr la lettera a Piero Sraffa dell'i 1 dicembre 1926 (ibid.t p. 15).

10 Cfr la lettera citata alla moglie del 13 gennaio 1931, in cui rievoca la sinistra impressione subita alla notizia rivelatasi poi inesatta di una deportazione in Somalia: «Ora rido di ciò, tuttavia è stata una svolta morale nella mia vita, perché mi sono abituato all'idea di dover tra breve morire» Ubid., p. 398)

11 Questa lettera purtroppo è andata perduta; se ne ha però notizia attraverso la risposta di Bordiga (del 13 aprile 1927), pubblicata ora in «Studi storici», anno xvi, n. 1, gennaio-marzo 1975, pp. 152-54. Smarrite sono andate anche quasi tutte le lettere spedite da Gramsci, dal carcere di Milano, ad altri confinati di Ustica: se ne sono salvate solo alcune, dirette a Giuseppe Berti (ora comprese nella edizione citata delle Lettere dal carcere).

12 Gramsci, Lettere dal carcere cit., pp. 92-93.

13 Ibid., p. 93. Lo stesso Gramsci del resto confesserà più tardi che gli era passata questa «voglia di studiare le lingue»: cfr la lettera del 17 novembre 1930 (ibìdp. 375).

14 Ibid., pp.111 e 270.

15 Cfr nella lettera a Tania del 29 gennaio 1929: «Ti devo fare alcune raccomandazioni: di non mandarmi e non farmi mandare dalla Libreria, dei libri nuovi. Ora che potrò scrivere, mi farò un piano di studio e io stesso domanderò i libri che mi abbisognano»; e pochi giorni dopo, nella lettera del 9 febbraio 1929: «Ti ripeto ancora di avvertire che non mi mandino più dei nuovi libri. Ora che posso scrivere in cella, prenderò delle note dei libri che mi servono e ogni tanto le invierò alla Libreria. Adesso che posso prendere degli appunti di quaderno, voglio leggere secondo un piano e approfondire determinati argomenti e non più "divorare" i libri. Penso che solo eccezionalmente, per qualche bel libro di attualità, di cui io non posso conoscere resistenza, si può fare a meno del mio avviso» (ibidpp. 251 e 253).

16 Cfr nella stessa lettera citata del 9 febbraio 1929: «Sai? Scrivo già in cella. Per adesso-faccio solo delle traduzioni, per rifarmi la mano: intanto metto ordine nei miei pensieri» (ibid.y p. 253); e più tardi, in una lettera alla moglie dell'i 1 marzo 1929: «mi sono ingolfato in traduzioni dal tedesco e questo lavoro mi calma i nervi e mi fa stare più tranquillo. Leggo meno, ma lavoro di più» (ibid., p. 262).

17 Cfr nella presente edizione, p. 5.

18 Cfr la lettera a Tania del 17 agosto 1931: «all'una del mattino del 3 agosto, proprio 15 giorni fa, ebbi uno sbocco di sangue, all'improvviso. Non si trattò di una vera e propria emorragia continuata, di un flusso irresistibile come ho sentito descrivere da altri: sentivo un gorgoglio nel respirare come quando si ha del catarro, seguiva un colpo di tosse e la bocca si riempiva di sangue [...]. Ciò durò fino alle quattro circa e in questo frattempo cacciai fuori 250-300 grammi di sangue. In seguito non mi vennero più boccate di sangue, ma ad intervalli del catarro con grumi di sangue» (ibid., p. 464)Gramsci cerca comunque in questa lettera di non allarmare troppo la cognata, e parla di «indisposizione» assicurando che «non c'è niente di preoccupante».

19 Cfr la lettera a Tania del 16 giugno 1930 (ibid., p. 350). L'episodio è ricostruito con alcuni dettagli, ricavati dalla testimonianza di Gennaro Gramsci, da Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1966, pp.
291-92.

20 I termini del dibattito sono riassunti nel noto «rapporto» di Athos
Lisa, pubblicato a cura di Franco Ferri in «Rinascita», 12 dicembre 1964,
pp. 17-21. Ma cfr anche Athos Lisa, Memorie. Dall'ergastolo di Santo Stefano alla casa penale di Turi, prefazione di Umberto Terracini, Feltrinelli, Milano 1973.    /

21 Cfr la lettera a Tania del 27 luglio 1931: «È vero che da qualche mese soffro molto di smemoratezza. Non ho più avuto da un pezzo delle forti emicranie come nel passato (emicranie che chiamerei "assolute"), ma in contraccambio mi risento di più, relativamente, di uno stato permanente che può essere indicato riassuntivamente come uno svaporamento di cervello; stanchezza diffusa, sbalordimento, incapacità di concentrare l'attenzione, rilassatezza della memoria ecc.» (ibid., p. 454).

22 Ibid.t p. 459.

23 Cfr, nella presente edizione, pp, 935-36.

24 Non si tiene conto qui del quarto quaderno di sole traduzioni, scritto nel 1932: in realtà un quadernetto di poche pagine, solo una distrazione di qualche ora. Nella nostra numerazione è il Quaderno d (XXXI).

25 Cfr, nella presente edizione, p. 438.

26 Cfr, nella presente edizione, p. 935. La stessa avvertenza ritorna poi in un quaderno successivo dello stesso periodo: si veda a p. 1365, dove quella che era un'osservazione incidentale viene privilegiata come avvertenza generale per tutti i Quaderni.

27 Cfr la lettera a Tania del 13 luglio 1931: «mi pare che ogni giorno si spezzi un nuovo filo dei miei legami col mondo del passato e che sia sempre più difficile riannodare tanti fili strappati» (Lettere dal carcere cit., p. 450). Alcuni giorni dopo, nella lettera citata del 3 agosto, ricordava, tornando sull'argomento, che anche in passato, prima del carcere, si era venuto a trovare in situazioni di isolamento, ma aggiungeva che allora si era trattato di scelte volontarie, necessarie per la formazione della sua personalità, e che ora invece la questione era tutta diversa: «mentre nel passato, come ho detto, mi sentivo quasi orgoglioso di trovarmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà» (ibid., pp. 458-59).

28 Ibid., p. 665.

29 Ibid., p. 687. Ibid., pp. 757-58; per il corrispondente passo nei Quaderni cfr, nella presente edizione, pp. 1762-64.

30 Per la ripercussione immediata della scomparsa di Gramsci cfr Paolo Spriano, Storia del partito comunista italiano, voi. Ili, Einaudi, Torino 1970, pp. 145-58 (cap. vili: La morte di Antonio Gramsci). Particolarmente significativo il paSso di una lettera di Mario Montagnana a Togliatti, citata da Spriano: «... senza dubbio pochi possono comprendere in pieno, cosi profondamente, come noi, la gravità della perdita subita dal partito e perciò da tutto il nostro popolo. E questo perché Antonio rivelava la sua grandezza, le sue enormi qualità politiche, intellettuali e morali, soprattutto nei colloqui, nella vita comune di tutte le ore. Mi ha colpito tuttavia sentire un giovane compagno che non ha neppure conosciuto Antonio dirmi che la cosa più tragica, più dolorosa, nella morte di Antonio, è il fatto che il suo genio è stato in gran parte, come dire?, inutilizzato e perciò sconosciuto» {ibid., p. 152).

31 Cfr la lettera di Tania a Sraffa del 12 maggio 1937, pubblicata in Appendice a Lettere dal carcere cit-, p. 915.

32 «La cura della eredità politica e letteraria di Antonio è cosa troppi importante perché possa essere lasciata al caso dei nostri incontri»: cosi Togliatti scrive a Sraffa in una lettera del 20 maggio 1937, da Mosca (pubblicata in «Rinascita» del 14 aprile 1967).

33 La notizia si ricava da una lettera di Tania a Sraffa in data 7 luglio 1937: «Ieri ho consegnato i quaderni (tutti quanti) ed anche il catalogo che avevo iniziato». Questo «catalogo» è un quaderno in cui la stessa Tania aveva progettato di redigere un indice-inventario di tutte le note scritte da Gramsci sui suoi quaderni. Porta un'etichetta con la dicitura «Catalogo I. Elenco degli argomenti trattati nei quaderni»; l'indice è completo per due quaderni, e incompleto per un terzo. Anche questo quaderno è ora conservato insieme ai manoscritti originali di Gramsci.

34 Cfr Spriano, Storia del partito comunista italiano, voi. Ili cit., p. 156.

35 Una prima descrizione sommaria dei Quaderni, «di cui presto dovrà iniziarsi la pubblicazione», è in un articolo apparso sull'«Unità» dì Napoli il 30 aprile 1944 {L'eredità letteraria di Gramsci). L'articolo non è firmato, ma dev'essere stato scritto da Palmiro Togliatti, da poco giunto in Italia. Qualche notizia sui Quaderni e sulle Lettere era già stata anticipata in un articolo di Mario Montagnana, Gli scritti inediti di Antonio Gramsci, pubblicato sulla rivista «Stato Operaio», New York, marzo-aprile 1942, insieme ad alcuni estratti di Lettere dal carcere. Montagnana tuttavia avvertiva che «i quaderni contenenti le note di Gramsci non sono ancora pronti per la pubblicazione».

36 È da ricordare che pochi giorni dopo la liberazione di Roma venne messo in circolazione (con la data 7 giugno 1944) il catalogo di una nuova casa editrice, «La Nuova Biblioteca», che annunciava tra l'altro la pubblicazione di Tutti gli scritti di Antonio Gramsci, a cura di Palmiro Togliatti: il piano, preparato con la collaborazione di Felice Platone, prevedeva cinque volumi, di cui due dedicati agli «Scritti nel carcere». Secondo la testimonianza dt Carlo Bernari, Togliatti interpellato aveva dato il suo assenso di massima all'iniziativa, Tra i consulenti scientifici della nuova casa editrice che non ebbe tuttavia lunga vita era Delio Canti mori.

37 La prima descrizione analitica dei Quaderni è nel lungo articolo di Felice Platone, L'eredità letteraria di Gramsci: Relazione sui quaderni del carcere , in «Rinascita», aprile 1946, pp. 81-90.

38 Sullo stato attuale delle edizioni degli scritti di Gramsci precedenti l'arresto, e sui problemi che si pongono per il loro riordinamento, cfr Valentino Germana, Note di filologia gramsciana, in «Studi storici», gennaio-marzo ; 1975 cit.

39 Cfr, nella presente edizione, pp. 1842-43.

40 Per i due quaderni non numerati da Tania perché già contrassegnati dai numeri provvisori ni e ivbis, si è preferito per ragioni di uniformità, e per evitare confusioni, integrare tra parentesi la numerazione incompleta di Tania Schucht: si tratta dei quaderni 10 (xxxiii) e 18 (xxxii  ivbis).

41 Cfr, nella presente edizione, p. 1755.