Pasquale Turiello

 

da La storia d'Italia, la Biblioteca di Repubblica, Roma 2005 vol. 19

Non fu certamente un caso che nel giro di pochi anni uscissero Governo e governati in Italia (1882) di Pasquale Turiello; Sulla teorica dei governi e sul governo rappresentativo (1884), Le costituzioni moderne (1887) e gli Elementi di scienza politica (1896) di Gaetano Mosca; le Cronache per il «Giornale degli economisti» (1893-1897) e i Systèmes socialistes (1902) di Pareto; il Rosmini e Gioberti (1898) e La filosofia di Marx (1899) di Giovanni Gentile; Materialismo storico ed economia marxistica (1899) di Benedetto Croce: opere senza dubbio assai diverse fra loro e diversamente importanti per l'influsso effettivo che esercitarono, ma intimamente collegate nella comune funzione «demistificante» della realtà contemporanea e nel proposito di richiamare la classe dirigente, e in particolare gli intellettuali, a una considerazione «realistica- dei problemi contemporanei, vale a dire, a liberarsi dalla mitologia progressista, democratica e umanitaria, dalle sue implicazioni pratiche e dal suo retroterra culturale. Non interessa qui ritessere l'ordito teoretico di questa alta produzione, quanto delinearne ed evidenziarne le deduzioni politiche, che furono molteplici.

Turiello può definirsi come un inverecondo reazionario, nel quale indagine storica superficiale e sociologismo non meno epidermico, si davano la mano per sostenere, con un'enfasi tutt'affatto partenopea, un autoritarismo che pretendeva di essere il prodotto di una visione realistica mentre era una specie di lucido delirio generato dall'osservazione del cattivo funzionamento delle istituzioni e dalla sua interpretazione in chiave nazionalistico-razziale. Le ragioni della larga fortuna goduta da Governo e governati (specialmente nella seconda edizione del 1889-1890 nella quale l'insistenza sull'espansionismo coloniale si accentuò presentandolo come una efficace soluzione dei problemi interni del Paese) non si può spiegare che richiamandosi proprio agli aspetti retorico-sentimentali travestiti in maschera scientifica di cui questa e le altre opere di Tunello erano tutte intessute. Quantunque sia rituale assegnare a questi scritti la qualifica di opere realistiche, occorre precisare che
il realismo di Turiello era un realismo che si limitava alla constatazione dei fatti e in gran parte si vanificava quando dall'osservazione empirica egli passava a cercare una spiegazione e a suggerire dei rimedi. Aggredendo la realtà rappresentata dal parlamentarismo, dal trasformismo e dal clientelismo, Turiello ne forniva un'interpretazione sostanzialmente astratta e mitologica, in quanto, pur arrivando, come ogni conseguente reazionario ottocentesco, a individuare nella rivoluzione dell'Ottantanove l'origine di tutti i mali del presente, in verità spiegava la contemporanea degenerazione politica del Paese con il «carattere» italiano, determinato dalla razza e dal clima e ulteriormente peggiorato dalle modalità nelle quali s'era compiuta l'unificazione nazionale come miracolo di minoranza. La natura «disciolta» degli Italiani, cioè la mancanza in loro di «virilità» e di «disciplina», alla quale si era aggiunto il dottrinarismo dell'élite risorgimentale, era la base della sua critica e delle proposte che egli avanzava; ma la concretezza di queste proposte era, tutto sommato, piuttosto esigua, dal momento che si riduceva a un pesante rinvigorimento dell'esecutivo. Certo la tematica di Turiello poteva apparire - e in parte era - notevolmente più complessa; tuttavia l'applicabilità e la funzionalità delle sue prospettive venivano drasticamente ridimensionate proprio da quella realtà che egli si vantava di avere svelata, ma il cui intendimento in larga parte gli restava precluso. Cosa proponeva in effetti Turiello? In sostanza proponeva una «rieducazione» e la costruzione di uno Stato «organico» lasciandone intatta, anzi rinvigorendone, la struttura centralistica. Per quanto concerneva l'educazione, si trattava d'instaurare Soldati italiani una pedagogia di tipo militare (educazione fisica, culto della disciplina e della virilità, eec); per quanto concerneva lo Stato, si trattava di ristrutturare la rappresentanza politica su basi corporative opportunamente adeguate ai «ceti diversi» e alle loro diverse capacità. Su questa strada Turiello celebrava un vero e proprio saturnale antisocialista che non aveva neppure la scusante dell’emotività presente in Crispi. «Ricorso violento verso la barbarie», il socia-lismo andava combattuto radicalmente, sia per il suo carattere sovversivo, che ne faceva una variante dell'anarchismo, sia perché altro non era se non una rotella d'un meccanismo antitaliano montato dalla Francia. Gli operai andavano intanto rinchiusi in una spe-cie di ghetto politico e privati dell'influenza che cominciavano a  esercitare a livello del governo e dell'amministrazione.

Quanti lavoravano «in miniere e in chiuse officine» avrebbero dovuto votare in speciali collegi e si sarebbe dovuto creare qualcosa di simile al regime delle arti della Firenze medievale. Turiello rifiutava in blocco tutte le riforme introdotte negli anni Ottanta: dall'allargamento del suffragio, che aveva aperto le porte alla demagogia, all'abolizione della pena di morte, al modesto decentramento; in una delle sue più irresponsabili previsioni, preconizzava i più imponenti successi all'autocrazia zarista, che assieme all'autoritarismo prussiano e giapponese, costituiva una triade di modelli da seguire, in quanto a loro era riservato un sicuro successo nell'avvenire. Accanto all'educazione virile, Turiello poneva come corrispondenti ideali, l'espansionismo coloniale e la guerra: il primo, valvola di sicurezza del disagio interno e discriminante fra i «patrioti» e i «liberali dottrinari ormai pericolosi alla patria»; la seconda, forgiatrice di carattere e scuola di disciplina.

A parte tutte queste elucubrazioni che di realistico non avevano molto, la vera e concreta proposta di Turiello si limitava a prospettare un ritorno allo spirito originario dello statuto, cioè al sistema costituzionale, nel quale l'esecutivo fosse indipendente e non subordinato al legislativo, nel quale la corona riacquistasse tutto il peso che il regime parlamentare le aveva sottratto. Era tuttavia importante che questa proposta venisse inquadrata in un progetto autoritario articolato in profondità, la cui irrealizzabilità nasceva non da contraddizioni ma da una logica - anche se astratta - coerenza.

Turiello finiva con il contestare non i vizi e le disfunzioni del sistema, ma il sistema stesso e una gran parte dei valori che ne costituivano la base: in ciò, egli si differenziava profondamente sia da Mosca, che da Pareto, che dallo stesso Sonnino del quale a torto venne considerato un precursore.