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Il Sufismo o Tasawwuf (arabo: تصوّف - taṣawwuf) è la forma di
ricerca mistica (da Mysticos, cioè "pertinente
l'iniziazione") tipica della cultura islamica.
Il Sufismo viene a volte definito come l'unione antica del
Cristianesimo e del neoplatonismo, che diede vita ad una forma di
ricerca interiore, il misticismo dell'Islam.
Il Sufismo è la scienza della conoscenza diretta di Dio; le
sue dottrine e i suoi metodi sono derivati dal Corano, anche se il
Sufismo utilizza concetti derivati da fonti tanto greche come
persiane antiche e indù. Comunque, nonostante le idee prese
in prestito da culture e religioni precedenti, si può
affermare che l'essenza del Sufismo sia prettamente islamica.
La tradizione sufi afferma che il movimento nacque con
l'assembramento di fedeli musulmani disoccupati ("quelli della
panca") nella moschea di Medina ai tempi di Muhammad di fronte alla
stanza di sua moglie 'À'isha.
Etimologia
Il termine arabo "tasàwwuf" deriverebbe dalla lana (in arabo
sùf) con cui erano intessuti gli umili panni dei primi
mistici musulmani che per questo vennero chiamati "sufi", ma
un'altra etimologia si rifà al vocabolo suffa, "portico"
antistante la casa-moschea di Muhammad a Medina, sotto il quale si
raccoglievano alcuni pii musulmani, ospitati volentieri dal Profeta
per la loro povertà che s'accompagnava a un atteggiamento
assai pio. Altri riconducono il termine all'arabo safà'
(purezza) o si richiamano alla collocazione dei sufi 'in prima fila'
(saff al-àwwal) al cospetto di Dio.
Diffusione e caratteri del Sufismo
Il tasàwwuf - che ha in sé, forte, il concetto
dell'esoterismo (da cui andranno però espunti i cascami
ideologici che spesso al termine s'accompagnano) - è fenomeno
trasversale e diffusissimo nell'Islam, per quanto poco avvertibile
all'occhio laico a causa della grande riservatezza osservata dai
praticanti. Il suo grande successo, come nell'Ebraismo, deriva in
modo tutt'altro che secondario dalla particolare struttura
fideistica delle due religioni semitiche, entrambe convinte della
letterale Rivelazione ai Suoi profeti da parte di Dio della Sua
precisa volontà.
Il tasawwuf è particolarmente diffuso nel sunnismo e assai
meno nello sciismo, in cui sono attive infatti solo due
confraternite islamiche, la Ni'matullāhiyya e la Dhahabiyya, a
fronte delle decine di confraternite sunnite tuttora operanti.
Ciò dipende essenzialmente dal fatto che, per conoscere Allah
e la Sua volontà, lo sciismo può stabilmente contare
sull'attiva opera dei suoi dotti che, se non costituiscono un
formale sacerdozio, come il resto dell'Islam, hanno acquistato
però un incontestabile profilo di tipo clericale per il fatto
che i loro ulema di maggior dottrina, e in particolar modo i marja'
al-taqlid, sono ispirati in modo ineffabile dall'"imam "nascosto".
Nell'Islam sunnita la totale mancanza di sacerdozio e di una classe
di tipo clericale che possa assolvere alla funzione intermediatrice
fra Dio e le Sue creature comporta una ricerca di Dio e della Sua
volontà assai più faticosa e rischiosa. È
dunque perfettamente normale, legittimo e doveroso per il Sufismo
che il musulmano ricerchi personalmente quale sia la volontà
di Dio, obbedire alla quale permette di evitare il peccato che,
nell'Islam, altro non è se non la disubbidienza alle Sue
disposizioni (tant'è vero che muslim, "musulmano", significa
proprio "chi si assoggetta alla Volontà di Dio").
Un metodo che si può validamente affiancare al recepimento di
quanto suggerito dagli ulema è perciò quello
dell'indagine personale, da conseguire tramite una lunga disciplina
spirituale e mentale che - senza far trascurare lo studio della
dottrina esoterica ufficiale - possa aprire la Via esoterica verso
Dio (il termine tarīqa ha questo significato, oltre a significare
confraternita islamica), per imboccare e percorrere la quale
sarà necessaria l'opera educativa di un Maestro che funga da
"guida".
Il Sufismo rappresenta l'atteggiamento più individualistico
della pietas musulmana, la quale si è manifestata, oltre che
in questa forma mistica, anche come protesta - con gli sciiti - e in
forme più storicizzate, come nell'opposizione delle sette
religiose contro i marwanidi, fedeli a Marwan ibn al-Hakam, califfo
in Siria dal 684 al 685 imposto dalle tribù dei Kalb al posto
di Abd Allah ibn al-Zubayr. Dato che quest'ultimo era il legittimo
successore di Yazid I, Marwan fu da alcuni considerato un
anti-califfo e pertanto contestato.
Dalla shahada, uno dei pilastri dell'Islam, ovvero la percezione che
solo la Realtà Assoluta è reale, principio informatore
dell'Islam, discende la coincidenza di questa Realtà Assoluta
con l'intera creazione e ciò dà ragione dell'essenza
sostanzialmente islamica del Sufismo, malgrado tutte le influenze
provenienti da altre culture. È vero che certe scuole di
pensiero, persiane in particolare, svolsero una funzione di
catalizzatore delle potenzialità mistiche dell'Islam. Ma il
Sufismo resta il "vero" cuore dell'Islam e lo si ritrova in tutto il
mondo islamico come la più pura dimensione interiore.
Per i sufi, il grande e unico maestro resta il Profeta Maometto, che
trasmise ai suoi compagni la baraka (che significa 'benedizione')
ricevuta da Dio; questi a loro volta la tramandarono alle
generazioni successive, creando così la catena iniziatica, la
cosiddetta silsila. Tutti gli autentici ordini sufi sono legati
l'uno all'altro in questa catena.
Le riunioni spirituali sufi sono così descritte, con parole
attribuite al Profeta: "Chiunque si riunisca con altri per invocare
il nome di Dio, verrà circondato da angeli e dal furore
divino, la pace scenderà su di loro e Dio ricorderà
questa assemblea".
Nella silsila dei sufi, anche Ali, cugino e genero del Profeta
Muhammad, ha un ruolo fondamentale, indipendentemente dalla sua
importanza come primo Imam degli sciiti. Viene infatti considerato
fonte di dottrina esoterica subito dopo il Profeta, ma soprattutto
è portatore di una concezione particolarmente intensa della
pietas musulmana, insieme alla nobiltà d'animo e alla
profonda conoscenza che distinguono gli sciiti dai sunniti, almeno
nella loro autopercezione.
Storia
Storicamente, i sufi si sono raggruppati in organizzazioni chiamate
tawaʾif (pl. di taʾifah) e anche, con un termine più
conosciuto, turuq (pl. di tarīqa, "via"). Il termine tarīqa è
ormai un vero e proprio termine tecnico che sta ad indicare la via
esoterica dell'Islam.
Turuq sono pertanto le congregazioni di discepoli o confraternite
islamiche che si riuniscono intorno ad un maestro per prendere parte
agli esercizi spirituali (majālis) nei cenobi, denominati secondo la
posizione geografica ribat, zāwiya, khānaqa, o tekke.
Alcune delle congregazioni più famose risalgono ai secoli XII
e XIII, ma ne esistono anche di moderne.
Da una prima fase in cui l'esperienza sufi restò
caratterizzata da un forte individualismo (Rābiʿa al-ʿAdawiyya,
Maʿrūf al-Kharkhī, al-Hārith al-Muhāsibī, Dhū l-Nūn al-Misrī, Sahl
al-Tustarī, al-Junayd ibn Muhammad), si passò verso il XII
secolo alla creazione di turuq, con un numero più o meno
ampio di discepoli (murīd, pl. murīdūn ) radunati attorno a un
Maestro (shaykh in arabo, pir in persiano - che significano entrambi
"anziano" - e dede in turco, lett. "nonno").
Di esse si ricordano in particolare la Qādiriyya, fondata nel XII
secolo da ʿAbd al-Qādir al-Gīlānī; la Suhrawardiyya, fondata nel
medesimo secolo da Omar Suhrawardi e suo zio paterno Abu l-Najib
Suhrawardi, [da non confondere con Shihabbodin Yahya Suhrawardi,
Shaykh al-Ishraq, la cui posterità è rappresentata
dall'ordine degli Ishraqiyun (benché la loro comunità
non abbia un'organizzazione esteriore)]; la Rifa'iyya, fondata da
Ahmad al-Rifāʿī ancora nel XII secolo come la Kubrawiyya, fondata da
Najm al-Din Kubra, la Shadhiliyya, fondata da Abū l-Hasan
al-Shādhilī nel XIII secolo, la Mawlawiyya, fondata nel XIII secolo
da Jalāl al-Dīn Rūmī di Konya, nota per i suoi dervisci roteanti; la
Cishtiyya fondata da Muʿīn al-Dīn Cishtī e, forse la più
vivace negli ultimi tempi, la Naqshbandiyya, fondata da Bahā al-Dīn
Naqshbandī, entrambe queste ultime attive dal XIII secolo. Altri
rami si sono innestati su quelli principali, è il caso della
"Jarrahiyya" fondata da Nur al-Dīn al-Jarrāhī (1678-1721) - riforma
dell'ordine "Khalwatiyya" (da cui la denominazione Jerrahi Halveti)
fondata da ʿUmar al-Khalwatī o, secondo altri, da Muhammad ibn Nūr
al-Bālisī o, ancora, da Yahyā al-Shirwānī al-Bākūbī[1].
Maestri Sufi
Il primo grande nome di sufi è quello di Hasan al-Basri
(642-728). Di lui nulla ci è pervenuto, se non tramite le
citazioni di altri autori. Nato a Medina, figlio di un mawla, si
stabilì a Bassora, dove divenne famoso per la sua profonda
preparazione culturale e attrasse a sé molti seguaci e
studenti. Era l'epoca omayyade e la sua mente fu un crogiolo di
intuizioni teologiche, mistiche e giuridiche che, più tardi,
sarebbero confluite in discipline diverse. È una figura
importantissima nella trasmissione dei vari hadith, perché
aveva conosciuto personalmente il Profeta. Gran parte delle catene
iniziatiche sufi passano per lui. È anche famoso per aver
affermato che il mondo è un ponte sul quale si passa, ma su
cui non conviene costruire nulla. Le prescrizioni da lui dettate ai
discepoli erano particolarmente severe e improntate a una rinuncia
quasi totale del mondo e dei beni terreni, al superamento delle
passioni e alla ricerca di una vita moderata. Grande sostenitore del
digiuno, si dice che si stupisse non di come la gente si perdeva, ma
di come potesse essere salvata.
Altri nomi di sufi famosi sono al-Junayd (m. 910), al-Gilani
(m.1166), Abu Madyan (m. 1198) e l'imam al-Shadhili (m. 1258).
Quest'ultimo escogitò un approccio intellettuale al Sufismo.
Altri grandi teorici furono Ibn Arabi, del secolo XIII, le cui
capacità dialettiche non riuscirono a scalfire minimamente
l'intensissima dimensione spirituale espressa dal Hasan al-Basri;
Gialal al-Din al-Rumi, al-Jili, al-Ghazali, Ibn Ata Allah Iskandari:
tutti costoro hanno lasciato abbondante materiale scritto accanto
agli insegnamenti orali, da cui è possibile desumere la
dottrina sufi nella sua interezza.
L'uomo di punta del Sufismo fu comunque al-Ghazali (m. 1111), il
grande teologo dell'Islam, al contempo giurista e sufi riconosciuto.
Nella sua opera al-munqidh min al-dalal (il salvatore dall'errore)
descrive il proprio interesse per il Sufismo in questi termini:
"Quando rivolsi il mio interesse verso il Sufismo, sapevo che non
avrei potuto percorrerlo tutto senza sperimentare sia la dottrina
che la pratica e che il senso fondamentale di tale insegnamento
consiste nel superare gli appetiti della carne, liberandosi da ogni
cattiva disposizione e brutta qualità. Solo così,
infatti, il cuore è libero di essere posseduto da Dio. Sapevo
anche che il mezzo per liberare il cuore da ogni male è il
dhikr Allah e la concentrazione di ogni pensiero su di Lui.
Ciò che accadde fu che la dottrina mi risultò
più semplice della pratica, cosicché cominciai ad
imparare le regole dei loro libri e i detti degli sheikh,
finché ne seppi a sufficienza e mi resi perfettamente conto
che ciò che è veramente caratteristico di questa
dottrina non può essere imparato, ma può solamente
essere raggiunto per esperienza diretta e immediata, attraverso
l'estasi e la trasformazione interiore. (...) non c'era modo di
raggiungere la conoscenza vera del Sufismo se non conducendo una
vita mistica. Ma gli interessi mondani mi pressavano da ogni parte."
A questo punto della sua vita, al-Ghazali si confina per due anni in
una stanza della moschea maggiore di Damasco, lasciando ogni cura
del mondo: insegnamento, figli e amicizie. Il munqidh min ad-dalal
descrive questa ricerca interiore, mentre la Ihyāʾ ʿulūm al-dīn (La
rivivificazione delle scienze religiose) è la sua summa sulle
religioni. Al-Ghazali giungerà alla conclusione che i sufi
sono i veri eredi del Profeta, essendo gli unici che potevano
raggiungere la conoscenza diretta di Dio, ma questa conoscenza era
viabile solo attraverso la mediazione della teologia e della legge.
Perciò egli ne divenne il più strenuo sostenitore.
Grazie a lui, l'islam risolse la contraddizione intellettuale
esistente tra mistica, teologia e questioni legislative.
Contrasti nell'ambito del mondo musulmano
La grande diffusione del Sufismo non è tuttavia sempre vista
di buon occhio dai musulmani ortodossi che ne sospettano talora una
deriva antinomistica che porterebbe a trascurare il dispositivo
formale della Legge religiosa in modo considerato arbitrario e
peccaminoso.
Da qui l'ostilità di alcuni ambienti teologico-giuridici
islamici ufficiali. Innanzi tutto di alcune propaggini del
neo-hanbalismo che sottovalutano come Ahmad ibn Hanbal (m. 855), il
fondatore della scuola giuridico-teologica che da lui prende il
nome, fosse tutt'altro che ostile all'ambiente sufi, o che il
hanbalita Ibn Taymiyya - vissuto in età mamelucca e
considerato oggi come il massimo ispiratore dei movimenti
"fondamentalistici" islamici - fosse anch'egli non sfavorevole a
un'equilibrata pratica sufi, e che alcune sue dure prese di
posizione contro il Sufismo riguardavano essenzialmente chi
maggiormente indulgeva a esagerazioni comportamentali (shatahāt) che
scandalizzavano e scandalizzano ancor oggi il mondo sunnita
ufficiale.
Letteratura del Sufismo
Il Sufismo ha prodotto nei secoli una letteratura pressoché
sterminata che si è espressa principalmente nell'ambito della
letteratura araba e della letteratura persiana, ma ha trovato
espressione anche in molte altre lingue (turche, indiane,
maleo-indonesiane ecc.). Tra i generi coltivati si annoverano: i
libri devozionali (preghiere, meditazione, esercizi spirituali
ecc.); i testi agiografici, contenenti le biografie e le sentenze
dei sufi più noti; i testi che illustrano le dimore o
stazioni della via spirituale; infine, i trattati teorici di vario
argomento, spesso di natura apologetica. Un'altra tipica espressione
del Sufismo è nella letteratura in versi che annovera poeti
di prima grandezza sia di espressione araba (Ibn al-Farid, Ibn
'Arabi) che persiana (Farid al-Din al-Attar, Rumi, Hafez, Gohar
Shahi). Vedasi in proposito la bibliografia.