Strapaese e stracittà
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Strapaese
Movimento letterario e artistico, svoltosi in Italia dopo il 1926.
Partendo da posizioni nazionalistiche, Strapaese intendeva opporsi
alla letteratura cosmopolita ed esterofila che faceva capo alla
rivista Novecento di M. Bontempelli (poi a Stracittà) e
propugnava un'arte ispirata alle tradizioni paesane. Nella polemica
strapaesana si esprimeva la protesta dello squadrismo agrario
toscano contro l'imborghesimento del regime fascista, che aveva
rinnegato la provincia in nome di teorie statolatriche germogliate
nel clima romano; ma ortodossamente fascista era il gusto
strapaesano dell'autarchia culturale e della violenza becera, anche
se va riconosciuto a Strapaese il merito di avere fornito
un'immagine fedele della provincia italiana, delle sue delusioni e
dei suoi conati di rivolta negli anni più duri della
dittatura. Tale merito è da ascrivere pressoché
interamente alla rivista Il selvaggio, fondata da M. Maccari
nel 1924, mentre l'altro periodico strapaesano, L'Italiano,
fondato da L. Longanesi nel 1927, faceva leva sullo scetticismo e
sul conformismo borghese, integrandosi con il clima di indifferenza
morale e politica instaurato dal fascismo.
Tra i testi più significativi di Strapaese sono da ricordare:
Trastullo di Strapaese (1928) di M. Maccari, L'Arcitaliano
(1928) di C. Malaparte e Vita di Pisto (1931) di R.
Bilenchi.
Selvaggio, Il
Rivista quindicinale fondata a Colle Val d'Elsa nel 1924 come
periodico politico; trasferita a Firenze nel 1927, assunse sotto la
direzione di M. Maccari un indirizzo artistico-letterario di
carattere satirico che fece scuola per il valore dei collaboratori
(O. Rosai, C. Malaparte, G. Papini, L. Longanesi, A. Soffici, R.
Bilenchi, A. Benedetti) e per l'originalità dell'impostazione
grafica. Organo ufficiale del movimento di Strapaese, il Selvaggio
si pose come difensore dei valori tradizionali di un'Italia popolare
e contadina, in polemica con i modelli della civiltà borghese
e industrializzata e con i tentativi di sprovincializzazione della
cultura letteraria e artistica italiana proposti in quegli anni da
riviste come Il Baretti e 900. In questo senso rivalutò le
“radici contadine” del fascismo fiancheggiandolo nella
riproposizione delle antiche virtù italiche e latine. Fino al
1943, anno in cui cessò le pubblicazioni, esercitò un
certo spirito di fronda all'interno del regime che aveva disatteso
ormai ogni promessa rivoluzionaria, un dissenso (a tratti
però culturalmente ingenuo e politicamente innocuo)
testimoniato soprattutto dalla graffiante satira di costume degli
scritti e dei disegni di Maccari e Longanesi.
Stracittà
Movimento sorto in opposizione a Strapaese per riaffermare, di
contro al provincialismo e alla xenofobia degli “strapaesani”, i
valori di una cultura aperta agli stimoli culturali più
diversi, ricettiva rispetto alle avanguardie europee e al dibattito
sulla scienza e l'industria. Organo del movimento fu la rivista Novecento,
fondata da M. Bontempelli e C. Malaparte nel 1926.
Novecento
Rivista letteraria, fondata a Roma nel 1926 da M. Bontempelli e C.
Malaparte. Uscita dapprima in lingua francese, fu poi stampata in
due versioni, italiana e francese, e infine solo in lingua italiana.
Cessò le pubblicazioni nel 1929. Programma della rivista fu
l'ambizione di sprovincializzare la cultura italiana, aprendola
all'influsso delle avanguardie letterarie europee. A tale europeismo
intellettuale reagì C. Malaparte, che nel 1927 uscì
dalla rivista per entrare nelle file di Strapaese. Merito di
Novecento fu quello di aver combattuto l'inerzia della cultura
ufficiale, smussandone l'ostilità verso l'arte contemporanea,
e di avere raccolto sotto la sua sigla alcune delle
personalità più significative della cultura italiana
(C. Alvaro, E. Cecchi, A. Moravia, C. Carrà, O. Rosai, ecc.)
ed europea (R. Gómez de la Serna, I. Erenburg,J. Joyce, V.
Woolf,A. Malraux, P. Picasso).
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da http://www.storiadellaletteratura.it/main.php?cap=20&par=2
Antonio Piromalli
Storia della letteratura italiana
20 - § 2
La Ronda, Strapaese e Stracittà
La letteratura del ventennio dominato dal fascismo fu, nella sua
eterogeneità, caratterizzata dal ritorno all'ordine, dallo
spegnimento delle avanguardie, dai fuochi fatui futuristi e
strapaesani. Se il fascismo antemarcia aveva assunto anche simboli
futuristi il fascismo postmarcia, gestore degli interessi degli
industriali, poteva pretermettere la roboante letteratura della
macchina e accogliere i ritorni a Manzoni, Leopardi, Verga e quelli
degli studiosi delle arti figurative al Quattrocento. Pirandello era
fascistizzato quantunque la sua visione esistenziale fosse il
simbolo del disimpegno assoluto.
Nessun movimento di avanguardia, come l'espressionismo in Germania,
il surrealismo in Francia, si sviluppò in Italia. Qui abbiamo
avuto, invece, con la «Ronda» (una rivista romana uscita
dal 1919 al '23 a cura di Bacchelli, Baldini, Barilli, Cardarelli,
Cecchi, Montano, Saffi) un programma di indipendenza e autonomia
dell'arte, in nome di una letteratura separata dalla vita e dalla
pratica.
I rondisti intesero reagire contro gli avanguardisti, i futuristi e,
soprattutto, contro gli inquieti e problematici vociani
richiamandosi allo stile più levigato di Manzoni, al
linguaggio e al classicismo di Leopardi (del quale ignorarono
l'illuminismo). Perciò esaltarono la letteratura, il mestiere
del letterato che compie il suo lavoro «senza preoccuparsi
d'altro». In essi è la dichiarata nostalgia per
l'età in cui l'Italia era divisa politicamente e nei piccoli
Stati lo scrittore poteva essere europeo.
Passato leopoldino, vita dello Stato della chiesa, mondo borbonico,
vecchi feudi rurali diventavano per taluni rondisti i luoghi ideali
e tranquilli per gli ozi letterari, per lo stile del classicismo
borghese. Questi letterati scrivevano: «Noi non abbiamo paura,
quel che si dice paura del bolscevismo» e vissero sotto la
protezione del fascismo che ne nominò almeno tre accademici
d'Italia. I rondisti furono i creatori della prosa d'arte, del
capitolo, del calligrafismo, del bello scrivere separato dalla
politica, ma anche i creatori della difesa passiva nella letteratura
in tempi in cui l'impegno è inevitabile.
Letterariamente ideologica fu, nell'ambito del fascismo, una
polemica sorta fra Strapaese e Stracittà, tra le riviste
«Il Selvaggio» e «900». Lo strapaesanismo
è l'adulterazione del concetto di popolo sano di un'Italia
rurale, la mitizzazione del popolo sul piano etico dei valori
naturali e primitivi, agresti e selvaggi. La concezione populistica
non riconosce ruoli effettivi, dà paternalisticamente
benemerenze di buon selvaggismo.
In Soffici e Papini («mi sento perfettamente d'accordo con le
vacche […] e con la nostra cara e buona lingua di bifolchi e di
genii») il localismo toscano diventa il rifugio dalla cultura,
dalla scienza, dalla città, dal materialismo delle macchine.
Domenico Giuliotti, cattolico reazionario e già fondatore
della rivista «La torre» (1913: «la nostra fede
non è un inginocchiatoio ma un coltello […] chi crede vuole
che gli altri credano: noi siamo intolleranti» scriveva a
Federico Tozzi), fu suggeritore di alcuni motivi a Papini.
Molti sono gli scrittori che dal piano dei valori contadini
retoricamente proclamati scivolano nel sanfedismo. Soffici vorrebbe
il popolo «satollo e contento» ma poiché esso
prima di un certo tempo (stabilito come «tempus
quiescendi») «non saprà mai cosa significhi
libertà e spirito, mi piace intanto
che obbedisca, e lasci a chi lo sa la direzione della vita».
Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Erich Suckert, 1898-1957) di
Prato, appartenente al «900» e passato poi al
«Selvaggio», coniò la parola Strapaese per
definire coloro che aderivano al «Selvaggio» (1924-43),
periodico nato a Colle Val d'Elsa come interprete dello squadrismo
locale e dal 1926 trasferitosi a Firenze sotto la direzione di Mino
Maccari (1898) che lo arricchirà di vignette satiriche sue,
di disegni di Morandi, Carrà, Bartolini, Rossi, De Pisis,
Soffici.
La polemica coincide con la svolta autoritaria del fascismo. Il
«Selvaggio», scrisse Maccari, serve «per difendere
a spada tratta il carattere rurale e paesano della gente italiana
[…] contro l'invasione delle mode, del pensiero straniero e delle
civiltà moderniste» che potrebbe «annullare il
tesoro della nostra razza». Gli avversari sono coloro che
«non potendo vendere l'arrosto cotto al fuoco della
tradizione, vendono il fumo grigio del novecentismo» ma unita
all'esaltazione del popolano becero, manesco, manganellatore
c'è in Maccari la polemica contro i «fascisti
addomesticati, che consideriamo la peste bubbonica del P. N.
F.».
Tradizione, antiaccademismo, fascismo di «natura cattolica,
rurale», sobrio, antiaffarista sono i motivi della polemica di
Maccari al quale sarà ritirata la tessera fascista e il cui
«Selvaggio» (che ebbe collaboratori Baldini, Cardarelli,
Bacchelli, Palazzeschi, Interlandi, Soffici, Prezzolini, Bottai,
Berto Ricci, Longanesi, Bilenchi) verrà spesso sequestrato:
Economia : «L'ha detto anche il senatore Agnelli | che siamo
tutti fratelli»;
Pesi: «Che seccatura | l'Istituto Fascista di Cultura»;
Didattica: «Nelle scuole medie | si riscaldan le sedie»;
Pessimismo: «Dal Madagascar alla Catalogna | trionfa sempre la
carogna»;
Gli avidi: «Ci viene il vomito | a veder tanti lavorar di
gomito».
A quelli di Stracittà Maccari rinfacciava prebende e
guadagni:
Alle ruote del tuo carro
non è mancato il grasso né l'unto,
feluca in testa e lauro al tabarro,
t'hanno servito di tutto punto.
Malaparte, già autore della Rivolta dei santi maledetti
(1921) in cui vede il comportamento dei soldati italiani a Caporetto
determinato dagli errori dei politici e dei militari, diventa
strapaesano con le cantate dell'Arcitaliano (1928):
Tra il Bisenzio, l'Arno, l'Ombrone
e la Val d'Elsa è il nostro regno:
alla brutta e alla bella stagione
vi cresce l'erba dell'ingegno;
O Italiani ammazzavivi
il bel tempo torna già […]
Pace ai morti, botte ai vivi:
Spunta il sole e canta il gallo
o Mussolini monta a cavallo.
La rivista «900» (1926-29) diretta da Massimo
Bontempelli2 (1878-1960) di Como e, nei primi tempi, da Malaparte
sorse per sprovincializzare la cultura italiana, sostenne il valore
del novecentismo e il rapporto tra fascismo e mondo moderno.
Bontempelli ebbe come collaboratori Joyce, D. H. Lawrence, Malraux,
Soupault, Erenburg, V. Woolf, Antonio Aniante, Marcello Gallian,
Corrado Alvaro e altri. Sulla rivista Bontempelli teorizzò il
suo «realismo magico», una combinazione di fantasia e
intelligenza che ha come dato di base il surrealismo francese, la
vita cosmopolitica moderna e che lo scrittore tradusse in arte nei
romanzi Vita e morte di Adria e dei suoi figli (1930) e Gente
nel tempo (1937).
Strapaesani e stracittadini sguazzarono nella letteratura facendo
credere gli uni agli altri di combattere per la civiltà; essi
non riuscirono a confrontarsi con posizioni culturali diverse
né contrarie e contribuirono a creare alibi alla fisionomia
del fascismo. Nella polemica non c'è traccia di problemi, i
due gruppi cercarono soltanto di organizzarsi (con pubblico,
messaggi, atteggiamenti) culturalmente in relazione al momento
politico fascista: né gli uni né gli altri ebbero da
riprovare un solo aspetto del liberticidio di quegli anni.