La rivoluzione francese
da Storia Contemporanea (www.storiacontemporanea.eu)
Cos'è una rivoluzione?
La rivoluzione francese riveste numerosi spunti di interesse per la
storia contempo. Intanto introduce il concetto di rivoluzione nella
storia moderna. Una “rivoluzione” che è ben diversa da quella
trasformazione istituzionale conosciuta in Gran Bretagna, e ben
diversa anche dalle vicende americane. Ecco quindi il primo quesito:
COS'E' UNA RIVOLUZIONE?
Fino al XVII secolo il termine rivoluzione significava il moto
circolare intorno ad un punto fisso (“la rivoluzione della terra
intorno al sole”). Gli avvenimenti americani e francesi danno alla
parola rivoluzione un significato di sconvolgimento dell'assetto
politico e sociale allo scopo di crearne uno nuovo. Tra le metafore
più fortunate c'è quella del “mito solare”: il sole
sorge su una nuova era. La storia viene concepita come un movimento
in avanti, un continuo succedersi di progressi in tutti i campi.
Bisogna essere chiari sul fatto che ci sono due momenti che
caratterizzano i processi rivoluzionari:
state breaking (distruzione). Un'azione di massa dal basso distrugge
lo stato
state making (costruzione). Lo stato viene ricostruito in tutti i
suoi aspetti: leggi, governo, esercito, ordine pubblico
Se si distrugge la vecchia classe dirigente e al suo posto troviamo
una nuova forma di stato allora possiamo parlare di rivoluzione.
N.B. Il golpe si differenzia dalla rivoluzione perché
cambiano solo i dirigenti, mentre il sistema rimane lo stesso.
Inoltre non ha l'appoggio di una parte consistente della
popolazione.
Le cause
Verso il precipizio 1770-1789
Alla fine del Settecento la Francia poteva contare circa 28 milioni
di abitanti, uno degli eserciti più forti del mondo, una
burocrazia e un sistema amministrativo centralizzato tra i
più avanzati d'Europa. Tra i suoi cittadini c'erano le menti
più in vista del continente, le sue élite culturali (i
philosophes ) facevano scuola negli altri paesi; la sua
aristocrazia, e ancor di più la corte di Versailles, erano un
modello inarrivabile per i sovrani e i principi di tutti gli stati.
Il francese era, infine, la lingua ufficiale della diplomazia
internazionale. L'assolutismo sembrava ancora un sistema valido,
vista anche la rovinosa sconfitta inglese nella guerra contro i
coloni americani.
Le prime trasformazioni industriali (o protoindustriali) iniziavano
a cambiare il volto della manifattura anche nelle tante fabbriche
sparse nella campagna francese.
Quando Luigi XVI salì al trono (1774) una fase di declino e
ristagno prese il posto alla lenta crescita registrata negli anni
precedenti.
La crisi finanziaria precipitò nel volgere di pochi anni. Gli
oneri delle guerre d'oltreoceano avevano svuotato le casse statali;
i tentativi di riforma naufragarono tutti contro il veto incrociato
dei vari gruppi di potere. Da una parte nobiltà e clero
bloccarono qualunque tentativo di riforma fiscale che includesse le
alte rendite; dall'altra le misure antiprotezionistiche del
commercio trovò strenua resistenza nel potere di Parlamenti:
organi locali che rappresentavano una vera e propria “falla” nel
presunto assolutismo dei sovrani di Francia. Nel giro di pochi anni
il dicastero delle finanze vive un via vai continuo di ministri
“tecnici” che provano ricette diverse per uscire dalla crisi: prima
Tourgot, poi Necker, quindi Joly de Fleury, per arrivare al 1787 a
Charles Colonne.
I contrasti con aristocrazia (e clero) e Parlamenti indusse il re,
nel luglio 1788, a convocare gli Stati Generali come “extrema ratio”
per uscire dalla crisi. Nel decreto di convocazione venivano
sollecitati “tutte le persone istruite del regno … a inviare
suggerimenti o memorie relative alla prossima convocazione degli
stati generali”.
La crisi, non risolvibile con compromessi parziali, richiedeva una
soluzione definitiva. Anche il popolo – per la prima volta – era
chiamato a dire la sua.
La situazione inedita fu la visibilità del dibattito
pubblico. La politica usciva dal chiuso delle stanze di nobili o
alto-borghesi per scendere in piazza, nelle strade, nelle affollate
assemblee pubbliche. Una certa alfabetizzazione e la diffusione
della stampa favorì questo processo di mobilitazione di massa
intorno alle opinioni politiche.
Tra marzo e aprile 1789 in tutte le comunità e in tutti i
quartieri cittadini i capifamiglia si riunirono per eleggere i
delegati di zona che, a loro volta, avrebbero scelto i deputati per
l'assemblea degli stati generali. Insieme alla nomina dei delegati
furono compilati anche i cahiers de doléances (quaderni delle
lamentele), ovvero rivendicazioni e richieste. I circa 60000 cahiers
ci dicono di una diffusa insofferenza sia per i vecchi privilegi sia
per alcune nuove misure di tipo “capitalistico”e, naturalmente, per
le evidenti ingiustizie che ancora dominavano la società
francese. Accanto ai chaiers ci fu un'esplosione di pubblicazioni,
opuscoli, pamphlets. Il più celebre è il lavoro
dell'abate Emmanuel-Joseph Sieyès Che cos'è il Terzo
Stato? “che cos'è il terzo stato? Tutto! Che cos'ha
rappresentato finora nell'ordinamento pubblico? Niente! Che cosa
chiede? Di diventare qualcosa".
Sul banco degli imputati il principio di privilegio detenuto, senza
niente in cambio, da nobiltà e clero, rispettivamente l'1,5%
e lo 0.5% dell'intera popolazione.
Quali privilegi?
* Non pagavano la taglia, cioè l'imposta sul reddito;
* Il clero riscuoteva la decima su tutti i prodotti agricoli;
* I signori dei villaggi riscuotevano censi in denaro, parte dei
raccolti, pedaggi, tasse sulla compravendita di terre, dazi sul
passaggio di merci;
* La legge era magnanima con nobiltà ed esponenti dell'alto
clero.
Il 1789
Scoppia la rivoluzione: il 1789
L'Assemblea generale
Il 5 maggio si aprì a Versailles l'assemblea degli stati
generali. La composizione numerica sanciva queste proporzioni:
Terzo stato 578 deputati
Nobiltà 270
Clero 291
Ma in realtà molti esponenti del clero erano parroci di
provincia che aderivano al programma del terzo stato; alcuni nobili
erano anch'essi simpatizzanti con le idee anti-assolutistiche.
Il primo punto all'ordine del giorno, ossia il meccanismo di voto,
paralizzò i lavori. Il terzo stato voleva il voto
individuale, clero e aristocrazia il voto per ordine. A metà
giugno una folta pattuglia di deputati, in maggioranza aderenti al
terzo stato, si proclamò Assemblea Nazionale in quanto eletti
dal basso e investiti del potere dalla volontà generale.
L'assolutismo era finito.
La nuova assemblea, che si riuniva nella sala della Pallacorda, si
diede come primo obiettivo la stesura di una costituzione. Il re
invitò gli altri rappresentanti degli ordini ad aggregarsi al
terzo stato per riscrivere insieme le nuove regole dello stato.
1° errore di Luigi XVI – Contemporaneamente alle aperture verso
i riformatori, il sovrano complottava strane manovre:
licenziò Necker (ministro delle finanze) e assembrò
truppe a Parigi e a Versailles. Questi movimenti diffusero
inquietudine e spinsero il popolo, alle prese con una difficile
congiuntura economica, ad una serie di rimostranze in città.
Il 14 luglio una folla di artigiani e bottegai andarono davanti alla
Bastiglia per chiedere armi. La guarnigione aprì il fuoco
lasciando sul terreno un centinaio di manifestanti. Ma la fortezza
fu espugnata e il governatore ucciso. La violenza era entrata nella
politica.
In seguito all'episodio il re tornò sui suoi passi; alcuni
leader cittadini istituirono il potere locale tramite un Comitato e
una Milizia (affidata a La Fayette ), Il rosso e il blu – i colori
di Parigi – si unirono al bianco per formare la coccarda simbolo di
unità nazionale. Con quella coccarda il re si affacciò
dall'hotel de Ville, il 17 luglio, assieme al sindaco della
città per simboleggiare una nuova unità.
La campagna
Molto si è discusso sul ruolo della campagna nelle calde
giornate rivoluzionarie. È vero che nell'estate '89 molte
sollevazioni contadine spinsero l'assemblea nazionale ad una serie
di provvedimenti legislativi anti-feudali (rendendo così
plausibile la tesi della concordia tra città e campagna); ma
è altrettanto vero che molte delle rimostranze della massa di
contadini braccianti e piccoli proprietari si addensavano intorno ai
recenti provvedimenti “capitalistici”. La privatizzazione degli
spazi comuni aveva causato l'impoverimento di molti contadini
costretti a diventare braccianti; così come la coltivazione
per il mercato e il conseguente abbassamento dei prezzi aveva
arricchito i grandi e medi proprietari ma rovinato i piccoli.
L'indigenza dilagante degli anni '80 del XVIII è da
attribuire NON SOLO al perdurare di abusi e ingiustizie di matrice
“feudale” ma anche all'effetto dirompente che le nuove pratiche
economiche (improntate all'efficienza produttivistica) hanno avuto
sulle società di antico regime.
Alcune regole non scritte – fissate nella consuetudine e nella
tradizione – fornivano in realtà un bilanciamento alle
ingiustizie delle società pre-industriali, consentendo a
tutti gli appartenenti alla comunità (di villaggio o di
quartiere) di sopravvivere in un qualche modo. Molti di questi veri
e propri “paracaduti sociali” vennero meno con l'avvicinarsi del XIX
secolo, aprendo pertanto una durissima crisi sociale.
Anna Maria Rao (La rivoluzione francese, in Storia Moderna, Manuali
Donzelli) scrive: “la paura dei briganti, del complotto
aristocratico o di nemici non meglio identificati fu all'origine
delle sollevazioni che si diffusero per larga parte del
paese.” Quelle che per secoli furono jacquerie senza seguito,
portarono – stavolta – alla abolizione di “tutti i privilegi
feudali”, alla liberazione dei lavoratori della terra da decime,
censi e tasse sulla persona.
Erano i frenetici giorni del 4 agosto, e poi del 7 e dell'11.
Il 26 fu presentata la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino , “l'alfabeto politico del nuovo mondo” secondo il
deputato Rabaut Saint-Etienne. Adesso non restava che promulgare la
costituzione.
2° errore di Luigi XVI – il re non firmò i decreti di
agosto contro i privilegi di ordine. Le proteste sfociarono in una
marcia di 7000 parigini fino a Versailles (scortata dalla Guardia
Nazionale di La Fayette ) per chiedere “il pane” e il trasferimento
della corte in città. Ad ottobre corte reale e Assemblea
nazionale erano a Parigi e non più nella isolata quiete della
reggia.
La monarchia costituzionale
La monarchia costituzionale
(1789-1791)
Nuove leggi – L'attività legislativa dell'assemblea
proseguiva a pieno ritmo.
• Incameramento beni della chiesa;
• Tasse in proporzione alla ricchezza;
• Emissione di assegnati (buoni del tesoro);
• Libertà di stampa, di opinione e di riunione;
• Nuovo ordinamento amministrativo: 83 dipartimenti divisi in
distretti, cantoni e comuni, tutti con consiglio eletto dai
cittadini;
• Nuovo ordinamento giudiziario: fine venalità delle cariche
e completa distinzione tra il potere giudiziario e quello esecutivo
e legislativo. Giudici eletti e processi con giuria popolare.
Distinzione tra processi civili e criminali.
• Chiesa di Francia basata sul principio della nomina per elezione.
Parroci e vescovi dovevano essere retribuiti dallo stato come ogni
altro funzionario pubblico.
A questo punto il corso degli eventi sembra aver raggiunto un
appiglio sicuro. Il deputato Duport proclamò, il 17 maggio
1791, che la rivoluzione era finita, e che bisognava porre fine agli
eccessi, consolidare il governo, limitare libertà e
uguaglianza. Anche per Bernave il senso profondo della rivoluzione
era già raggiunto e stava nella disfatta dell'aristocrazia e
nella vittoria della classe media.
Perché non riesce la stabilizzazione?
• Pressioni esterne / 3° errore di Luigi XVI. Le corti dei
principali stati europei considerarono la questione francese un
affare internazionale e si mobilitarono per sostenere il re Luigi
XVI. Il quale commise il terzo fatale errore: tentò una
maldestra fuga nel giugno 1791 (fu riconosciuto e bloccato a
Varennes), manifestando così il suo ambiguo ruolo di garante
del nuovo stato. Pochi mesi dopo firmò la Costituzione solo
perché costretto.
• Problemi economici. Le cose non vanno meglio per la gente comune.
C'era inflazione, disoccupazione. Inoltre la legge Le Chapelier che
proibiva le associazioni operaie aumentò lo scontento nelle
classi popolari (rappresentate politicamente dai “sanculotti”,
sempre più influenti).
• Divisione politica. La rivoluzione aveva innescato una passione
politica molto forte: stampa, club, sezioni, petizioni e
manifestazioni; feste, giornate insurrezionali, alberi della
libertà…bandiere, inni. In questo clima molto intenso le
posizioni politiche si radicalizzarono e si moltiplicarono. Si
crearono – all'interno dell'assemblea – i “partiti” di destra (per
fermare qui le riforme), di centro (cambiare ancora qualcosa) e di
sinistra (cambiare la sostanza dei provvedimenti a cominciare dalla
proclamazione della repubblica).
• Controrivoluzionari. Il fronte degli sconfitti iniziò a
riorganizzarsi intorno ai molti esponenti del clero che rifiutarono
il nuovo status assegnatogli dallo stato. Specialmente nelle regioni
meno urbanizzate l'opposizione al nuovo stato fu molto forte.
Divenne celebre nel 1793 la rivolta della Vandea. Ma non fu la
prima, né l'unica.
Emersero figure molto carismatiche, capaci cioè di
convogliare e guidare i sentimenti collettivi attraverso la
retorica, la propaganda, l'abilità nel convincere gli altri.
Una di queste, Maximilien Robespierre, guidava l'ala sinistra
dell'assemblea, detta dei giacobini, in virtù del luogo di
ritrovo dei fondatori del partito.
La repubblica giacobina (1792-1794)
Per uscire dallo stallo e per prevenire una possibile azione
militare dei paesi confinanti (Austria, Prussia) l'assemblea si
decise a giocare la carta della guerra.
Nell'aprile 1792 :
• GUERRA contro Austria e Prussia
• Giro di vite nella politica interna contro disfattisti e
controrivoluzionari.
Ancora una volta l'assemblea si trovò ad un punto morto;
incapace di decidere e di organizzare l'azione di governo. A
prendere le redini del paese fu “di fatto” la COMUNE INSURREZIONALE
, che aveva al suo interno rappresentanti degli stessi “partiti”
dell'assemblea ma in proporzioni diverse. In pratica la guida
passò in mano al gruppo giacobino che lo mantenne per quasi
due anni, pur in forme e con interpreti diversi.
La guerra
Inizialmente l'esercito prussiano avanzava minaccioso verso Parigi.
Il nuovo organo dirigente (la comune di Parigi) rispose al “panico
da sconfitta” con una serie di leggi eccezionali che smantellarono
il sistema di potere appena introdotto.
• Tribunali speciali
• Repressione ai controrivoluzionari (considerati contro la patria)
• Abolizione della monarchia (21 settembre 1792); processo e
condanna a Luigi XVI.
• Dichiarata la repubblica francese. Costituzione nel giugno 1793.
• Convenzione. Al posto dell'assemblea nazionale, una nuova
assemblea costituente.
• Grande reclutamento di soldati tra la popolazione. Propaganda
nazionalista (adottata al Marsigliese, dal canto di un battaglione
dell'esercito).
• Nuovo calendario
Risultati?
Vittoria militare a Valmy il 20 settembre 1792.
Moltiplicazione dei fronti di guerra: entrano anche Gran Bretagna,
Olanda, Spagna, Savoia e altri principati tedeschi. Le cose si
mettono male per la Francia.
In risposta la Comune opta per la leva obbligatoria, ingrossando le
fila dell'esercito fino a circa 700.000 unità.
L'arruolamento coatto provocò una resistenza fortissima.
Nelle campagne (dove l'influenza della chiesa era molto profonda) le
famiglie erano determinate a non mandare i giovani a combattere per
la rivoluzione: in alcune zone si scatenò una vera e propria
guerra civile. Tra le numerose aree di guerriglia la Vandea (zona a
nord e sud della Loira) è la più celebre.
MARZO 1793
Le rivolte indussero il potere (sempre più stretto
nelle mani di pochi) ad una nuova serie di misure repressive e
coercitive:
• tribunale rivoluzionario
• comitato di salute pubblica
• comitati di sorveglianza
N.B.
E' la guerra che crea il meccanismo perverso per cui la paura della
sconfitta legittima l'adozione di una serie di misure eccezionali
anti-democratiche. Inoltre la necessità di autoritarismo
accentra il potere nelle mani di pochi. In breve troviamo un potere
autoritario e pressoché illimitato (esercitato da uno o da
pochissimi) che, in nome della sicurezza e della patria, muove
contro i nemici esterni e contro gli oppositori interni con tutti i
mezzi. Il passo verso un regime di terrore è breve,
perché di fronte alle sconfitte militari la principale arma a
disposizione dei governi è la mobilitazione generale ,
l'esasperazione dei contrasti, la realizzazione di un mondo dove si
è a favore o contro; e chi è contro deve essere
eliminato!
Nel corso del 1793 le vicende belliche andavano male per i francesi;
le rivolte interne non si placavano. Erano le condizioni ideali per
accelerare la spirale funesta della guerra totale: nell'ottobre 1793
fu emanato l'obbligo di arruolamento per tutti i giovani tra i 18 e
i 25 anni; fu requisito il grano nelle campagne; fu portato al
massimo grado il regime poliziesco di repressione
controrivoluzionaria. I tribunali speciali lavoravano a pieno ritmo
condannando alla ghigliottina migliaia di persone (con processi
sommari, spesso senza prove) per ragioni politiche. I leader delle
varie fazioni si eliminarono tra sé, infatti chi raggiungeva
il potere faceva condannare a morte i suoi avversari politici.
Finirono così ghigliottinati tutti i principali protagonisti
del Terrore: Danton, Herbert, Desmoulins ecc.
Nel luglio 1794 la svolta: l'esercito dopo alcune vittorie
importanti (tra cui quella di Napoleone Bonaparte a Tolone) ottiene
una vittoria fondamentale a Fleurus che sancisce in pratica il
successo militare della repubblica francese. Nello stesso periodo le
rivolte interne si placarono fino a rimanere solo casi sporadici. A
questo punto non c'erano più ragioni di misure di emergenza.
Anche Robespierre, “l'incorruttibile” il grande timoniere della
repubblica giacobina, fu scalzato dal resto del comitato e
condannato a morte; per il calendario rivoluzionario era il 9
termidoro, per il resto del mondo il 27 luglio 1794.
La repubblica conservatrice
La repubblica conservatrice
(1794-1799)
Il potere tornò nelle mani dei moderati, che agirono
attraverso il lavoro nella Convenzione (l'assemblea parlamentare).
La rivoluzione è finita?
Con l'uscita di scena di Maximilien Robespierre e la revoca delle
misure di emergenza, l'epoca della rivoluzione sembrava destinata a
concludersi. Ancora una volta ci fu chi dichiarò terminata la
rivoluzione.
La Convenzione riprese la guida del paese e stilò una nuova
costituzione (1795) , molto meno radicale ma comunque piuttosto
avanzata, che confermava la natura repubblicana dello stato; le
libertà civili (opinione, stampa, riunione); introduceva
l'istruzione obbligatoria; confermava l'autonomia della magistratura
e il sistema dei Dipartimenti e dei Municipi guidati da Consigli
rappresentativi.
Perché non va tutto a posto?
• C'è la vendetta dei monarchici. Mentre la Convenzione e il
nuovo organo esecutivo, il Direttorio , tentavano la pacificazione
chiudendo i circoli giacobini, si scatenò il “terrore
bianco”: a Parigi bande di giovani benestanti imperversavano alla
caccia di giacobini e sanculotti da randellare; nel sud del paese la
ritorsione era anche più violenta con arresti e omicidi
politici.
• Crisi economica. Le nuove manifestazioni di protesta di sanculotti
e popolani sono represse dalle forze dell'ordine. (I giacobini
accolsero spesso le richieste degli strati popolari.)
• Le elezioni per la nuova assemblea furono vinte dai monarchici. In
pratica il governo rimase nelle mani dei repubblicani grazie ad un
escamotage (una quota di “diritto” per i rivoluzionari) ma il
Direttorio (composto da 5 membri scelti dall'assemblea) si
trovò stretto tra i monarchici a destra e i giacobini –
sempre molto popolari nelle città – a sinistra.
La fine della Rivoluzione
Il Direttorio (in pratica il governo) si trovava sotto pressione da
destra (DX) e da sinistra (SX) :
SX (Giacobini e non solo...)
Nel 1796 Filippo Buonarroti e Gracco Babuf organizzano al “Congiura
degli Uguali” per rilanciare l'ideale rivoluzionario. Novità
importante tra le rivendicazioni l'abolizione della proprietà
privata. Il tentativo fallì.
DX (Monarchici)
Nel 1797 vinsero le elezioni. Ma il Direttorio, le considerò
nulle e fece arrestare i leader politici.
L'esportazione della rivoluzione
In difficoltà crescenti (il Direttorio) ancora una volta
ricorse alla guerra per trovare una via d'uscita dalla crisi. L'idea
era quella di creare un “cuscinetto” tra la Francia e i paese
antirivoluzionari per eccellenza: Austria, Prussia, Savoia. Sebbene
nelle intenzioni la campagna d'Italia doveva essere un semplice
diversivo, le vittorie del giovane generale Napoleone Bonaparte
trasformarono nella sostanza il senso dell'iniziativa militare e, in
breve tempo, anche l'esito della rivoluzione.
Le conquiste territoriali furono sancite dalla nascita di
repubbliche sorelle: il 15 maggio 1796 Napoleone entrava
trionfalmente a Milano (grande ammirazione degli illuministi
lombardi per gli uomini della rivoluzione) e iniziò la sua
gestione autarchica della guerra.
Anziché utilizzare i successi contro l'Austria al tavolo dei
negoziati, Napoleone varò autonomamente una innovativa
politica estera che “creava” stati “satelliti” con leggi e
istituzioni mutuate dalla repubblica francese.
La nascita delle repubbliche filo-francesi si seguì a ritmo
incalzante: la prima fu la repubblica Cispadana [1] , poi fu la
volta della R. Cisalpina (1797) che inglobò i territori
ex-pontifici con il Lombardo-Veneto. Successivamente nacquero la
repubblica romana e la repubblica napoletana.
La discesa di Napoleone nella penisola alimentò entusiasmi
patriottici – celebre a tal proposito l'opera di Ugo Foscolo – e
diede avvio al movimento che andrà a confluire nel
Risorgimento.
Ma cosa succede a Parigi?
Gli anni dei trionfi militari di Napoleone sono anni di
difficoltà per il Direttorio sempre più in bilico tra
la sinistra popolare e la destra reazionaria e monarchica.
Approfittando dell'enorme prestigio del giovane generale, alcuni
vecchi saggi della classe dirigente francese cercano di screditare
il Direttorio e proporre una soluzione transitoria che si
appoggiasse esplicitamente sulla conduzione di Napoleone. Quando il
generale rientrò dalla sfortunata campagna in Egitto (celebre
la sconfitta navale contro l'ammiraglio Nelson della flotta
britannica) erano mature le condizioni per un cambiamento politico
radicale.
Con il colpo di stato del novembre 1799 e la nascita del Triumvirato
composto da Sieyès, Ducos e Napoleone Bonaparte la
rivoluzione – come proclamò lo stesso Napoleone – era davvero
finita.
Storiografia
La rivoluzione francese, una
rivoluzione borghese?
E' Karl Marx che espone la teoria dello sviluppo lineare della
storia sulla base della lotta di classe, che muta in conseguenza ai
cambiamenti nella struttura economica
Società feudale (distrutta dalla borghesia)
società capitalistica (distrutta dal proletariato)
comunismo (fine della storia)
La rivoluzione secondo Marx è una trasformazione che
abbraccia tutti i campi della vita pubblica: politica, sociale ed
economica. Così la rivoluzione francese segnerebbe il primo
passo di questo processo storico, diventando il modello classico di
rivoluzione borghese.
Prima della rivoluzione francese:
stato aristocratico
aristocrazia classe dominante
modo di produzione feudale
struttura del privilegio
Dopo la rivoluzione francese:
stato borghese
borghesia alla guida dello stato
modo di produzione capitalistico
uguaglianza giuridica
Storiografia, marxisti e
revisionisti
L'interpretazione di Marx e la propaganda dei rivoluzionari stessi
ha creato una vera e propria ortodossia nell'interpretazione storica
della rivoluzione francese. Una ortodossia che è giunta fino
agli anni Cinquanta del secolo scorso.
La storiografia marxista ha quindi trattato la rivoluzione francese
come il passaggio (violento) dal sistema feudale a quello
capitalistico-borghese.
Jules Michelet, Jean Jaures, Albert Mathiez, Georges Lefebvre,
Albert Soboul sostengono che la borghesia nel 1789 fosse giunta al
culmine della “lotta di classe” con l'aristocrazia: una casta
chiusa, arroccata nella conservazione del potere e nel mantenimento
del sistema feudale. Il risultato della rivoluzione è uno
stato più avanzato sotto il profilo economico, sociale e
politico.
Nel 1954 uno studioso inglese, Alfred Cobban, rilegge la storia
degli anni rivoluzionari negando la teoria marxista di “big ban”
capitalistico. Cobban tiene un discorso alla University College di
Londra nel 1954 dal titolo “il mito della rivoluzione francese” a
cui farà seguire nel 1964 un testo monografico che
approfondisce le varie questioni. Si tratta del libro in edizione
italiana “La rivoluzione francese”, Bonacci Editore, 1994.
Attraverso uno studio molto attento del materiale dell'epoca confuta
tutti i punti sostenuti dalla storiografica “classica”:
1 – Non c'era il feudalesimo.
Nel 1789 solo un terzo delle terre apparteneva alla classe
aristocratica e i tanto sbandierati privilegi non erano altro che
rimasugli insignificanti per lo sviluppo economico.
2 – Non è la borghesia a fare la rivoluzione.
La miccia fu accesa dai nobili che contrastarono le riforme
finanziarie proposte dal governo. Strano che LA RIVOLUZIONE BORGHESE
sia innescata da un conflitto tra re e nobili!
Nell'assemblea nazionale non c'erano rappresentanti della
fantomatica borghesia capitalistica (industriali, ricchi artigiani,
imprenditori) bensì esponenti della categoria degli
“Officiers” ossia i funzionari pubblici che si erano comprati le
cariche dalla corona. Questo corpo, istruito ma non molto
importante, voleva contare di più e avere maggiori compensi
economici. Ma non sono certo loro a promuovere lo sviluppo
capitalistico del paese.
3 – La rivoluzione danneggia l'economia.
I dati economici confermano l'effetto negativo dei fatti del
1789-1799 sullo sviluppo economico. La rivoluzione ha funzionato da
freno e non da volano per il passaggio da una società
protoindustriale a una società industriale moderna.
Le pubblicazioni di Cobban fanno scuola in Inghilterra. Dopo di lui
altri storici rilanciano la teoria anti-marxista. Taylor sostiene
che i rivoluzionari agiscono con l'intento di imitare lo stile di
vita della nobiltà. Doyle dimostra come il processo
rivoluzionario non si sia sviluppato secondo lo schema della lotta
di classe: appartenenti agli ordini privilegiati erano tutt'altro
che chiusi alle rimostranze dei borghesi. Infine R Forster sostenne
che l'aristocrazia non viene assolutamente distrutta dalla
rivoluzione: nel 1815 infatti le famiglie nobili sono praticamente
le stesse del 1789.
La risposta dei marxisti
Le posizioni degli anglossassoni sono talmente convincenti che molti
storici marxisti rivedono la propria lettura dei fatti alla luce
delle nuove interpretazioni. Gli danno ragione sulla minimalia dei
privilegi (ma sottolineano l'importanza simbolica di questi);
accolgono l'analisi sugli officiers (ma sostengono l'importanza “in
prospettiva” di questa classe sociale); assumono come giusta la
posizione di una campagna francese spesso contraria alle istanze
rivoluzionarie, quindi alla borghesia e al capitalismo. In generale
però ribadiscono l'enorme importanza storica di “esempio” per
tutto il mondo. In particolare François Furet, il maggiore
storico della rivoluzione francese, riprese in mano tutta la
questione arrivando, in un certo senso, ad un punto di sintesi.
Secondo Furet la rivoluzione francese va considerata attraverso tre
processi distinti:
• LIVELLO ECONOMICO
Inizia la trasformazione capitalistica, ma non c'è un
cambiamento positivo, non c'è crescita economica. Anzi, la
rivoluzione è negativa per l'economia francese. Ha ragione
Cobban.
• LIVELLO STORICO SOCIALE
Anche qui gli anglosassoni hanno ragione. Nel 1815 l'ordine sociale
è pressoché identico. I borghesi sono dei conservatori
simili agli aristocratici; vogliono mantenere i privilegi ottenuti e
gli industriali innovatori non ci sono. Il risultato finale è
un compromesso tra grande borghesia e aristocrazia.
• LIVELLO POLITICO
E' il campo delle grandi trasformazioni. Ricordiamoci di Sckocpol:
state braking, state making.
Trionfano le idee illuministiche della libertà dell'individuo
e della libertà del commercio. Vale la legge “uguale per
tutti” e c'è una carta dei diritti del cittadino al di sopra
dell'autorità del capo di stato. E' finito il potere “divino”
e il “modello” feudale. Al suo posto la NAZIONE raccoglie la
sovranità popolare e la realizza tramite un governo eletto
liberamente.
Quindi c'è “rivoluzione
borghese” o non c'è?
Nel 1989 la questione non è più dibattuta. La visione
anglosassone ha vinto, anche se è solo una visione parziale.
Tra il 1770 e il 1870 c'è stato un doppio processo di
trasformazione: economico e istituzionale.
ECONOMICO
Nel 1770 è un sistema che inizia il processo di
modernizzazione. La società non era più organizzata
secondo i parametri tipici dell'età feudale, ma restava
qualche elemento fortemente simbolico (privilegi, status speciale)
utile per ribadire la gerarchia di ceto.
Nel 1870 la Francia è un paese moderno, organizzato secondo
il sistema capitalistico.
STATO
Nel 1770 c'è ancora una monarchia assoluta con un sistema di
signorie locali più vicino al sistema feudale che al moderno
stato. L'autorità centrale non ha un reale controllo del
territorio.
Nel 1870 la Francia è una repubblica presidenziale con
parlamento e libere elezioni (a suffragio ridotto). La legge tutela
tutti i cittadini in modo ugualitario, esiste una carta dei diritti
di cittadinanza, il fisco preleva dall'intero corpo produttivo.
Lo storico Thompson ha parlato di “grande arco della
trasformazione”. Un processo che interessa tutti i paesi con tempi e
modi differenti. E che interessa i vari campi in tempi e modi
differenti. Come si vede dal grafico il progresso della politica non
coincide con lo sviluppo dell'economia.
L'economia soffre le turbolenze della rivoluzione; sono le
innovazioni del primo ottocento (treno, telaio meccanico) a far
compiere il grande balzo. Viceversa la politica conosce un clamoroso
avanzamento negli anni rivoluzionari, per poi tornare indietro (ma
non al 1789) dopo il 1815 nel periodo della “restaurazione”.
La rivoluzione francese non può essere considerata
rivoluzione borghese; è l'intero processo di trasformazione a
rivoluzionare stato, economia e società.
È il processo, non il momento!
COSA CAMBIA IN CONCRETO LA
RIVOLUZIONE?
Vediamo qual è il contributo della rivoluzione al processo di
trasformazione.
Sotto il profilo economico hanno certamente segnato un passo in
avanti le leggi di liberalizzazione degli scambi commerciali: furono
abolite le dogane interne, furono aboliti i balzelli territoriali,
come le decime e altri residui delle epoche precedenti. Molto
controversa fu la legge LE CHAPELIER che abolì il sistema
delle corporazioni. In pratica colpiva i lavoratori dipendenti
togliendogli le garanzie e le protezioni tradizionali. Il vantaggio
era per gli imprenditori che avevano meno spese e minori obblighi.
Nel complesso però la guerra civile che in pratica
attanagliò il paese per oltre tre anni danneggiò il
sistema economico, colpendo il commercio coloniale e
l'attività portuale di città come Marsiglia e
Bordeaux. La lenta penetrazione del sistema di fabbrica nelle
campagne fu interrotto a causa della rivoluzione.
Dal punto di vista istituzionale la rivoluzione porta a grandi
novità:
- Laicizzazione dello stato
- Pubblica amministrazione razionale ed efficiente
- Istruzione per tutti
- Uguaglianza giuridica
- Diritti civili
- Esercito di leva
Conclusione
Si può ritenere la rivoluzione francese come un momento nel
processo di “rivoluzione borghese” che ha contribuito alla sua
realizzazione in modo esiguo, anzi, negativo per l'aspetto economico
e in modo fondamentale, nonché altamente positivo a livello
politico, giuridico e istituzionale.
Sintesi 1815-1870
La Restaurazione
Al Congresso di Vienna del 1815 gli stati vincitori contro Napoleone
decisero il nuovo assetto geografico e politico dell'Europa. Ecco
come ogni stato si organizzò per rispondere all'ondata
rivoluzionaria che aveva sconvolto il continente tra il 1790 e il
1814:
RUSSIA_ Alessandro I sembrava concedere qualche libertà; poi
condizionato da Metternich (I ministro austriaco e “regista” del
congresso) ritirò tutte promesse. Nascono le società
segrete.
PRUSSIA – Comanda il re, coadiuvato dalla grande nobiltà dei
proprietari terrieri (Junker)
AUSTRIA – Metternich impone un regime di burocrazia e polizia.
ITALIA – Aumenta il potere della chiesa; forte la presenza di truppe
asburgiche per prevenire le attività dei liberali. La
Lombardia vede i primi segni di sviluppo industriale. Vittorio
Emanuele I in Piemonte è molto reazionario. In Toscana il
regno di Leopoldo II si distingue per le aperture sia in campo
economico che civile: nasce “L'Antologia” di Viesseux. Vaticano e
Regno di Sicilia dominate da politiche reazionarie.
SPAGNA – Rinnegata la costituzione del 1812 e avviata una dura
politica di reazione.
GRAN BRETAGNA – Potere all'aristocrazia terriera.
Camera dei Lords/Camera dei Comuni/RE. Nuovo sistema di investimento
agricolo che favorisce la concentrazione fondiaria. Nel 1820 prevale
la linea conservatrice e la politica protezionistica.
Le società segrete
Nascono le società segrete perché in tempi di
politiche reazionarie non c'è altro modo per opporsi al
regime. Non coinvolgono operai e contadini, sono un fenomeno
tipicamente borghese. La più importante era la Carboneria con
finalità costituzionali. In Italia le società segrete
aspiravano all'unità nazionale.
I moti del 1820
SPAGNA Il 1° gennaio del 1829 a Cadice Rafael Riego, colonnello
di un reggimento dell'esercito, si ammutina e chiede il ripristino
della costituzione del 1812. Il re Ferdinando VII, per evitare guai,
convocò la Cortes (una specie di assemblea costituente).
REGNO DELLE DUE SICILIE si ripete quanto visto in Spagna: un parte
dell'esercito si ribella e chiede la vecchia costituzione: in un
primo momento viene concessa.
In entrambi i paesi l'intervento delle truppe straniere (Francia in
Spagna e Austria in Sicilia) rimette le cose a posto. La reazione
che segue è durissima.
GRECIA La società segrete Eteria (“libertà”) promuove
l'insurrezione nelle isole del sud. In questo caso la rivolta trova
l'appoggio della popolazione e la solidarietà delle potenze
europee; nel 1822 viene annunciata l'indipendenza della Grecia
dall'impero Ottomano. Ma la Turchia (appoggiata dall'Egitto) inizia
una spietata repressione che suscita grande sdegno nell'opinione
pubblica continentale.In nome della solidarietà tra cristiani
ortodossi la Russia aiutò i resistenti, seguita da Francia e
Gran Bretagna. Nel 1829 la Grecia fu riconosciuta indipendente.
Sul tavolo rimase una disputa tra Turchia ed Egitto circa il
risarcimento per l'aiuto concesso, che sarà motivo per una
serie di conflitti diplomatici e militari (vedi QUESTIONE
D'ORIENTE).
RUSSIA si diffonde il movimento dei decabristi. Intorno al 1825
giovani borghesi pensavano di europeizzare la Russia ma furono
schiacciati dalla repressione.
L'indipendenza dell'America Latina
Tra il 1816 e il 1824 l'intero sub-continente latinoamericano
spezzò le secolari catene che lo legavano ai conquistadores
iberici. La sollevazione riuscì perché:
1. Spagna e Portogallo erano ormai debolissime
2. I creoli erano simili per forza economica e volontà
politica ai borghesi francesi della rivoluzione
3. I ribelli poterono contare sull'aiuto della Gran Bretagna e della
sua economia.
La gerarchia sociale delle colonie era:
funzionari coloniali – coloni – meticci – indios – negri
Dopo alcuni falliti tentativi José de San Martin, alla guida
delle truppe di ribelli indipendentisti, ottiene l'indipendenza nel
1816 dell'Argentina. Assieme a Simon Bolivar inizia poi una
esaltante risalita del continente liberando a uno a uno tutti i
territori in possesso della corona spagnola. L'ultimo è il
Perù nel 1824. In Messico l'indipendenza è dichiarata
nel 1821 per iniziativa di Agustin de Iturbide; mentre in Brasile
l'indipendenza dal Portogallo è avvenuta senza alcuna rivolta
a causa di un vuoto di potere. La volontà di fare un unico
grande paese naufraga di fronte a piccoli interessi locali che
risultarono insormontabili e alle pressioni provenienti
dall'esterno.
Nel 1823 il presidente degli Stati Uniti proclama la “dottrina
Monroe” in cui si sancisce il divieto per gli stati europei di
occupare territori nel territorio americano.
Gli Stati Uniti
All'inizio del 1800 potevano contare su una popolazione di 4-5
milioni, di cui circa 300 mila erano i nativi americani (chiamati
pellirossa per l'uso di dipingersi la pelle oppure indiani,
accogliendo il riconosciuto errore di Colombo che pensava di essere
sbarcato in India anziché nei Caraibi).
Lo stato era strutturato come una Federazione di 13 piccoli stati
tutti affacciati sull'Oceano Atlantico. La vita politica era
organizzata intorno a due partiti: il partito repubblicano che
difendeva gli interessi degli agricoltori e il partito federalista
che sosteneva le ragioni della borghesia industriale. Ottenuta
l'indipendenza gli Usa proseguirono in una logica di consolidamento
ed espansione: la guerra contro GB del 1812-15 per alcuni territori
del Canada fu persa. Nel frattempo però l'espansione sia a
sud che ad ovest procedette spedita (l'epopea del Far West).
Le rivolte del 1830-‘31
FRANCIA nel 1830 il re Carlo X fa un colpo di stato restringendo le
libertà civili. L'opposizione parlamentare fece fallire il
tentativo e creò il terreno per rivolte in città:
furono le 3 giornate di Parigi concluse con la fuga del re la
proclamazione della monarchia parlamentare guidata da Filippo
D'Orleans. Nello stesso anno fu dato avvio alla politica
colonialista con la presa di Algeri.
BELGIO la dinamica borghesia belga promosse un'insurrezione il 25
agosto 1830 che portò l'ano successivo al riconoscimento
della secessione dai Paesi Bassi.
POLONIA in ottobre per iniziativa di alcuni reparti militari fu
tentata la secessione dall'impero russo. La reazione dello zar
Nicola I fu spietata.
ITALIA I tentativi dei mazziniani e dei tanti romantici liberali
fallirono praticamente tutti.
GRAN BRETAGNA a differenza degli altri paesi il governo portò
avanti una politica di integrazione sociale legalizzando le
associazioni (1824) e allargando il corpo elettorale (1834).
Verso il '48
FRANCIA con Filippo D'Orleans la Francia poteva vantare un regime
liberale moderato con un censo di circa 200000 cittadini. Il
movimento socialista muoveva i primi passi, intrecciandosi con
spinte repubblicane mai sopite. Intorno al 1835 l'attentato al re la
condanna antiliberale della chiesa. I politici principali del
periodo furono Thiers e Guizot, in luce nei moti del '30 ma poi
fieri oppositori di riforme sociali importanti.
GRAN BRETAGNA i partiti principali sono il Conservatore e il
Liberale. In questa fase inizia il periodo d'oro della storia
britannica che coincise con la permanenza al trono della regina
Vittoria dal 1837 al 1901. Infatti questa è detta anche
“età vittoriana”. Nel 1838 esplode il movimento cartista con
rivendicazioni operaie in parte represse in parte accolte.
Nel 1846 avviene il fondamentale passaggio politico dell'abolizione
del dazio sul grano: sostenuto dai liberali fu approvato dal
parlamento quando a capo del governo c'era il conservatore Peel. La
decisione favorì le esportazioni di manufatti e prodotti
industriali in genere a scapito della rendita per proprietà
terriera e produzioni agricole.
SVIZZERA nel 1845 uno scontro tra liberali e conservatori consente
ai primi di far approvare una costituzione in linea con quanto
auspicato dalla diplomazia inglese.
ITALIA
Caratterizzata da una frammentazione molto accentuata, si può
notare una generale debolezza delle categorie sociali “utili” per le
rivoluzioni: borghesia e proletariato. 1831 Mazzini fonda la Giovine
Italia . Lui voleva la Repubblica e l'unità. Pensava di
riuscire attraverso le insurrezioni di piccoli contingenti e
l'efficacia della propaganda popolare. Critica il comunismo (agli
albori) perché contrario a famiglia, nazione e
proprietà. Non legando la sua iniziativa alla questione
agraria fallì sempre. I numerosi e spesso tragici blitz di
giovani mazziniani finirono con lo screditare Mazzini stesso e
l'associazione. I più celebri patrioti trucidati
nell'indifferenza o nell'ostilità dei contadini furono: i
fratelli Bandiera, Jacopo Ruffini, Raffaele Pepe.
C'era però anche una nutrita schiera di patrioti moderati,
che guardavano con crescente simpatia al Piemonte della dinastia
Savoia. Proprio in questi anni si ebbero le prime avvisaglie di un
timido riformismo.
QUESTIONE D'ORIENTE
• crisi 1832-33
Per l'aiuto nella repressione dell'insurrezione greca il Sultano
aveva promesso la Siria al Pascià d'Egitto. Non mantiene la
promessa e scoppia il contenzioso. La Russia appoggiò la
Turchia in cambio dell'apertura dello stretto dei Dardanelli
(apertura verso il Mar Mediterraneo). Anche la Gran Bretagna si
mette dalla parte dei turchi mentre la Francia caldeggiò la
rivendicazione egiziana. Quest'ultima riuscì a farsi
riconoscere il controllo della Siria.
• crisi 1839-41
La Turchia promosse un'azione militare contro l'Egitto per
riprendere la Siria. Allarmate per un possibile nuovo espansionismo
francese GB, Russia, Prussia e Austria sfruttarono al situazione per
intervenire sulla “questione d'oriente”. Il ministro britannico
Palmerston ottenne un successo diplomatico facendo chiudere gli
stretti; una opzione che fu accettata perché impediva a
chiunque di trarre vantaggio.
COLONIALISMO
Dalla metà dell'Ottocento i principali paesi europei furono
impegnati in una corsa alla conquista coloniale senza precedenti.
Grazie alla supremazia tecnologica e militare e ad una sostanziale
riuscita della politica di equilibrio stabilita a Vienna, Francia,
Gran Bretagna, Belgio, Germania ecc. poterono guardare al resto del
mondo come a un terreno di conquista.
GRAN BRETAGNA aveva bisogno di colonie per “piazzare” l'enorme
produzione industriale e per approvvigionarsi di materie prime. La
colonia di riferimento dell'impero di sua maestà fu, dal
1876, l'India. Come fecero 70000 militare a sottomettere 300 milioni
di indiani?
Nel 1815 la Compagnia delle Indie diventa un organismo del governo
inglese. Nel 1858 la penetrazione inglese fa un ulteriore salto di
qualità, con la forte presenza di truppe militari, lo
scioglimento della Compagnia e alcune riforme strategiche volte a
minare l'assetto socio-politico del subcontinente (no schiavi,
lingua inglese nelle scuole ecc.).
(….)
Anche con la Cina gli inglesi ebbero interessi conflittuali; lo
scontro riguardava il controllo del commercio di oppio ed ebbe come
conseguenza la conquista di alcune “enclave”, tra cui Hong Kong
(1840). Sempre nel 1840 il parlamento inglese concesse l'autonomia
al Canada; mentre si completava la colonizzazione di Australia e
Nuova Zelanda. Il Sud Africa entrò nell'orbita britannica a
cavallo del secolo XX, al termine di una terribile guerra contro i
contadini olandesi da molti anni insediati in territori
improvvisamente scoperti ricchi di oro e diamanti.
FRANCIA La conquista dell'Algeria del 1830 fu un preambolo della
grande conquista che i francesi fecero in Africa, ma ne
costituì anche una esperienza particolare perché
realizzò una vera e propria colonizzazione; trasferendo
cioè una porzione consistente di popolazione francese sul
territorio annesso.
OLANDA consolidò in forma di colonia il controllo commerciale
delle isole del sud est asiatico. Ancora in uso il sistema
schiavistico.
SPAGNA E PORTOGALLO persero progressivamente tutte le colonie
dell'America Latina.
Il 1848
Date e luoghi delle principali sollevazioni:
12 gennaio Palermo
22 febbraio Parigi
13 marzo Vienna
14 marzo Berlino
17 marzo Milano
22 marzo Venezia
12 giugno Praga
Perché tutto nel 1848? Ci fu una convergenza tra questione
nazionale, riforme liberali e questione sociale (processo di lunga
durata) e l'incidenza della crisi economica del 1846-47.
FRANCIA La Francia era più avanzata economicamente e
socialmente degli altri paesi continentali, non aveva problemi di
nazionalità e aveva integrato in parte la borghesia nella
monarchia di Filippo d'Orleans. La questione sociale era pertanto
prevalente. Quando in seguito a una crisi governativa fu vietato un
banchetto (era un tipico modo di svolgere attività politica)
a Parigi si alzarono le barricate. In soli due giorni il potere
monarchico fu abbattuto e proclamata nuovamente la repubblica:
“Era un fatto straordinario e terribile di vedere nelle sole mani di
coloro che non possedevano nulla tutta questa città immensa
piena di ricchezza” Alexis de Toqueville
Il governo repubblicano adottò una politica radicale andando
incontro ad un fallimento totale. Le elezioni diedero la maggioranza
ai moderati. Rivolte durissime tra governo borghese e proletariato;
alla fine la repressione lasciò una grande paura che
facilitò l'elezione a presidente di Luigi Napoleone come
esponente del “partito dell'ordine".
Fu la vittoria delle campagne cattoliche e conservatrici. Uno dei
primi atti fu l'aiuto al papa Pio IX per abbattere la repubblica di
Roma.
In pochi mesi Luigi Napoleone consolidò al punto il suo
potere da rilanciare una politica imperialista.
AUSTRIA Furono i liberali ad innescare la miccia. Metternich
rifiutò le loro richieste di riforma e nelle vie di Vienna ci
furono duri scontri. In seguito il re licenziò Metternich e
concesse una costituzione e qualche libertà civile. In tutte
le regioni dell'impero prendono forza i movimenti indipendentisti;
per non perdere Ungheria, Italia e Boemia l'Austria fa marcia
indietro e sceglie la linea della repressione.
ITALIA
Gli stati italiani rappresentano il caso più complicato. La
questione nazionale è quella prevalente, si intreccia con un
riformismo di stampo liberale e con aspirazioni espansionistiche
della casa Savoia. La politica di Pio IX aveva entusiasmato i
circoli conservatori che avevano avanzato una ipotesi neoguelfa,
ovvero con il Papa a capo di una lega di stati italiani (“il primato
degli italiani” di Gioberti). In pratica c'erano tre diversi
schieramenti anti-austriaci
liberali/moderati
sovrani stati regionali
democratici
La guerra all'Austria passa attraverso fasi diverse.
FASE A – I liberali sfruttano la crisi interna dell'Austria e danno
vita a rivolte a Milano (le cinque giornate a partire dal 18 marzo e
Venezia. Intanto in tutti gli stati i sovrani hanno concesso
costituzioni e libertà civili. Un successo dei liberali.
FASE B – Carlo Alberto dichiara guerra all'Austria dando vita alla I
guerra di indipendenza . Commette più errori:
• interviene tardi, quando i cittadini del lombardo-veneto si erano
già liberati da soli, dando l'impressione di voler trarre
vantaggio da una guerra né combattuta né vinta.
• Sbaglia tattica militare lasciando a Radeski il tempo per
riorganizzarsi all'interno del quadrilatero
(Verona-Peschiera-Legnago-Mantova)
• Per timore di richieste di stampo democratico rifiutò
l'aiuto dei volontari patrioti
• Fu ambiguo anche con gli altri re italiani. Lavorava per
l'annessione al Piemonte.
All'inizio l'esercito piemontese ottiene qualche vittoria MA
nell'estate l'Austria inizia la controffensiva, in Ungheria, in
Boemia e in Italia. Radeski contrattacca costringendo Carlo Alberto
a chiedere l'armistizio.
FASE C – I democratici – idealisti e romantici – non si arresero e
attuarono un'azione molto forte di resistenza a Milano e Venezia, e
di indipendenza a Roma e in Toscana. Erano radicali MA non avevano
alcuna sensibilità verso la questione sociale, erano
più l'ala sinistra dei moderati che una sinistra moderna. Il
loro riferirsi al popolo era solo una cosa ideale, romantica; in
realtà non erano minimamente interessati alla questione
agraria e non capivano che per avere l'appoggio popolare c'era
bisogno di includere nelle rivendicazioni anche la redistribuzione
della terra in un paese composto al 90% da contadini.
La svolta reazionaria di Austria e Francia influì
pesantemente sull'esito delle rivolte italiane.
Come si risolvono le rivoluzioni?
I rivoluzionari francesi subiscono una repressione durissima,
contando 1500 morti negli scontri, 3000 fucilati e più di
4000 deportati. Il tentativo di governo radicale era miseramente
fallito e il potere era tornato, nella nuova forma di Repubblica
presidenziale, nuovamente nelle mani dei conservatori grazie alla
figura dell'uomo forte Luigi Napoleone.
In Austria il potere si consolida nel nome della conservazione verso
l'interno e della repressione nella gestione delle province di
Ungheria, Italia e Boemia.
In Italia resta tutto come prima e, anzi, la tutela austriaca si fa
più opprimente. Unica eccezione il Piemonte che, con il nuovo
sovrano Vittorio Emanuele II , mantenne alcune libertà
formali.
Anni '50 – ‘70
GRAN BRETAGNA sono i venti anni di predominio del partito liberale
con i “grandi” primi ministri Palmerston e Gladstone: lavorarono per
favorire lo sviluppo economico, l'espansione commerciale e la
modernizzazione della società.
FRANCIA A seguito del colpo di mano del 1849 il presidente Luigi
Napoleone accentrò i poteri e, attraverso plebisciti e nuove
elezioni, cambiò costituzione e governo. Nel 1852 fu
restaurato l'impero. Consenso diffuso nella popolazione. Non fu un
monarca conservatore; con l'appoggio ai movimenti liberali (in
Italia) fu descritto anche come “impero liberale”. In effetti in
questi anni l'economia e la finanza francese ebbero una forte
crescita.
Guerra di Crimea
Perché? La Russia voleva lo sbocco al mare. Fu usato come
pretesto al contropartita che la Turchia doveva ai russi per l'aiuto
nella crisi degli stretti. La diplomazia si dichiarò
sconfitta nel 1853 e l'anno successivo scoppiò lo guerra di
Crimea . Gran Bretagna e Francia aiutarono l'impero ottomano. Nel
1855 anche il Piemonte mandò un suo contingente dalla parte
dei turchi. La guerra ebbe termine nel 1856 con la sconfitta della
Russia: il Mar Nero rimase neutrale; la Romania e la Serbia
(territorio dell'impero ottomano) furono dichiarate autonome; la
Turchia mantenne l'integrità territoriale. Entrato nell'epica
militare l'assedio di Sebastopoli roccaforte russa sul Mar Nero,
durato un anno e costato la vita a migliaia di soldati di una parte
e dell'altra.
RUSSIA
In seguito alla cocente sconfitta Alessandro II (lo zar succeduto a
Nicola I) iniziò un processo di riforme, nell'intento di
colmare il divario con le altre potenze europee. La riforma
più importante riguarda la fine della servitù della
gleba sancita nel 1861 . L'industrializzazione fu finanziata con
capitale straniero e promossa interamente dallo stato. Non esisteva
una borghesia capitalistica; piuttosto una élite
intellettuale (“intellighenzia”). Nel 1863 la sollevazione in
Polonia, illusa di potere ottenere l'indipendenza, fu schiacciata
nel sangue. Dagli anni '60 si diffusero in Russia teorie
rivoluzionarie, andate sotto il nome di “populismo” con teorici
anche di grande influenza come ad esempio l'anarchico Bakunin.
Colonialismo
Nel 1857 la Gran Bretagna reprime una rivolta in India, iniziando in
modo sistematico l'occupazione militare della regione. Iniziato
anche lo sfruttamento intensivo di tutte le materie prime o dei
prodotti alimentari (per esempio il thé) che potevano essere
utili alla madrepatria. Nel 1876 fu dichiarato lo status di impero
per i territori indiani.
Tra il 1854 e il 1865 la Francia militarizzò l'Algeria e si
impossessò del Senegal. Dal '58 in Indocina guerra
dell'oppio.
La Russia completò la penetrazione in Siberia, in Caucaso,
nel nord Cina (fino a Vladivostock), in Asia centrale ( Kazakistan,
Turkmenistan ecc.)
L'Unità d'Italia e la II
guerra di indipendenza
Solo il Piemonte non reazionario dopo il1848. I principali politici
del parlamento piemontese Cavour e Rattazzi si accordarono (accordo
passato alla storia come “ connubio ”) per isolare le ali estreme e
procedere con le riforme di marca liberale.
Intanto proseguivano i fallimenti dei mazziniani, lasciando ai
moderati l'unica opzione credibile per una revisione dei confini
statali. Cavour inserì l'Italia nel gioco degli equilibri
geopolitica con la partecipazione alla guerra di Crimea: così
trovò un posto al tavolo dei vincitori alla conferenza di
Parigi e mise in guardia i sovrani europei del “pericolo rosso”
nell'Italia borbonica e pontificia.
1857 fondata la Società Nazionale. Con questa mossa Cavour
ottiene la fedeltà e l'aiuto dei più influenti
cospirati da Manin a Garibaldi. Rottura dei rapporti diplomatici con
l'Austria.
1858 un giovane anarchico Felice Orsini compie un attentato contro
Napoleone III. L'azione fallisce, il giovane viene arrestato e
condannato a morte: ma il re francese si convinse della
necessità di fare qualcosa per l'Italia. Con gli accordi di
Plombiers Cavour face firmare a Napoleone III un patto difensivo.
1859 Per provocare l'Austria le truppe Piemontesi iniziarono grandi
manovre militari sui confini; di fronte all'ultimatum dell'Austria
Cavour rifiutò e, ad aprile, ottenne la dichiarazione di
guerra. Scattò quindi l'accordo e Napoleone III scese in
Italia a guidare le operazioni militari.
MAGENTA – SOLFERINO – SAN MARTINO sono i principali campi di
battaglia, per altrettante vittorie dei franco-piemontesi. Intanto
nel centro Italia le insurrezioni fecero cadere i governi di Modena,
Parma e Granducato di Toscana.
11 luglio – PACE DI VILLAFRANCA. La Lombardia passò al
Piemonte. I plebisciti nell'Italia centrale (marzo 1860) allargarono
ulteriormente i confini del Regno di Piemonte.
1861 Cavour era a posto così. Per i democratici però
l'occasione era troppo favorevole (peraltro era morto il re dei
borboni Federico II) per non completare l'unità nazionale.
Garibaldi organizza una spedizione partendo da Quarto la notte tra
il 5 e il 6 maggio: arriva a Marsala e da lì, con poco
più di mille uomini, riesce nell'impresa inverosimile di
liberare l'isola. Allarmato dai successi dei democratici Vittorio
Emanuele II scende attraverso i possedimenti pontifici di Marche,
Umbria e Lazio e si ricongiunge alle truppe garibaldine a TEANO il
26 OTT
In novembre altri plebisciti sanzionarono l'annessione anche di
Marche e Umbria.
Il 17 marzo 1861 era annunciata la nascita del Regno d'Italia.
La Germania unita
Nel 1858 il nuovo re Guglielmo, succeduto a Federico Guglielmo IV,
rompe la solidarietà tra regnanti tedeschi e punta
all'egemonia prussiana. Otto von Bismark a capo del governo dal
1861, mette in pratica le ambizioni politiche del sovrano: contrasta
le spinte liberali della borghesia e il ruolo stesso del parlamento
ma avvia una serie di politiche per modernizzare il paese e dare una
base di consenso al progetto di espansione economica e territoriale.
Nel 1863 conquista tre ducati danesi, nel 1866 attacca l'Austria per
una disputa territoriale. Vittoria facile e sorprendente. La Prussia
integra in uno stato federale i ducati e principati tedeschi e
impone lo scioglimento della Confederazione tedesca.
L'Austria reagisce alla sconfitta militare (e alla perdita del
Veneto a favore dell'Italia) con un restringimento delle
libertà civili ma anche concedendo all'autonomia legislativa
al regno di Ungheria. Inizia il lungo regno di Francesco Giuseppe.
GUERRA FRANCO-PRUSSIANA nel 1870 l'espansionismo prussiano riprende
in direzione francese. Il 19 luglio la Francia , provocata da
Bismark, dichiara guerra (pensava di essere più forte) ma va
incontro a una rovinosa sconfitta. A Metz il 18 agosto il trionfo
prussiano. A Settembre Napoleone III viene fatto prigioniero e nasce
la Terza Repubblica. E' il primo ministro Thiers che tratta la resa
– durissima – a Versailles: la Francia perde le regioni dell'Alsazia
e della Lorena.
Guerra civile americana 1861-1865
NORD – industria e spirito capitalistico
SUD –latifondi di cotone e tabacco per l'esportazione
Nel 1833 inizia il movimento antischiavista, ancora in vigore sotto
una certa latitudine. Nello stesso tempo l'espansione ad ovest
faceva nascere un paese basato su fattorie e grano / tabacco e
schiavi.
Dal 1854 il partito repubblicano contro la schiavitù per
rendere più dinamica l'economia interna, come serviva alle
industrie manifatturiere del nord (Boston – New York –
Philadelphia).
1860 Lincon presidente; uno smacco per il sud.
La miccia è accesa dallo stato della Virginia, che il 20
dicembre dichiara la secessione dagli Stati Uniti e la nascita della
Confederazione. La confederazione era formata da 10 stati con
capitale Richmond e presidente Davis.
La risposta fu la guerra civile. Il 12 aprile 1861 con la battaglia
di Charleston vinta dai sudisti inzia il conflitto. Francia e Gran
Bretagna forniscono un sostegno modesto al Sud.
Nel Nord il presidente Lincon promuoveva leggi fortemente
ideologiche: fine della schiavitù e terre gratuite ai coloni.
I generali dei due eserciti erano: LEE (sud) e GRANT (nord). Nel
1863 le truppe di Grant tagliano in due la Confederazione occupando
il Teneesse e la Georgia. Il 9 aprile 1865 la guerra finisce. Cinque
giorni dopo Abramo Lincon è assassinato a teatro da un attore
sudista.
La modernizzazione del Giappone
Nel 1850 il Giappone appariva immerso nell'età feudale o in
qualcosa di simile. [1] La struttura di potere era così
composta:
Casa imperiale – shogun
Famiglia reale – tokugana
Grandi feudatari – daymo
Nobiltà inferiore – samurai
Plebe – contadini, operai, commercianti
Nel 1863 un daymo bombarda le navi straniere (americani, francesi,
inglesi e olandesi avevano interessanti canali commerciali con le
città portuali) esaltando il nazionalismo, in
contrapposizione allo shogun considerato troppo arrendevole con le
potenze occidentali. Scoppia una guerra civile che si conclude
soltanto nel 1868 con la proclamazione dell'imperatore Mutsuhito
detto Meiji.
Meiji avvia un processo di riforme straordinario, basato sulla copia
del sistema degli stati occidentali e sostenuto con grande vigore
dall'interventismo statale. La disciplina con cui il popolo
giapponese ha seguito le indicazioni del governo hanno realizzato il
più rapido salto in avanti fino ad allora concepibile. Tra le
altre cose il sistema gerarchico pseudofeudale viene abbattuto; la
scuola diviene obbligatoria; il servizio militare anche;
l'industrializzazione pianificata e promossa con ogni mezzo. Alla
fine del secolo, all'insaputa di tutte le cancellerie del mondo, il
Giappone era già una potenza economica e militare capace di
tenere testa ai più forti eserciti del mondo.
L'Italia della destra e la III
guerra di indipendenza
L'unità d'Italia pone ai primi governi, guidati dalla
maggioranza parlamentare conservatrice, problemi enormi, legati in
gran parte alla incredibile diversità delle regioni italiane.
Come fare, quali criteri seguire, per dare unità burocratica,
militare ed economica al nuovo regno?
Dati: 78% di analfabeti
2100Km di ferrovie
2% il corpo elettorale
Fu rinnovata l'alleanza con i grandi proprietari del sud ed esteso a
tutto il territorio la legislazione e il regime fiscale in vigore in
Piemonte. Scelte fatte in nome della continuità.
1° governo – Bettino Ricasoli (1861-1862)
2° governo – Urbano Rattazzi (1862)
Nei pochi mesi della sua guida il governo fu messo in
difficoltà dall'iniziativa di Garibaldi per prendere Roma: le
truppe reale si scontrarono con quelle irregolari del grande
generale in Aspromonte.
3° governo – Minghetti
Accordo con la Francia per lasciare Roma al Vaticano. La capitale
sarebbe stata Firenze; proteste a Torino.
4° governo – La Marmora (1864-1866)
Firenze diventa capitale, viene stipulato un accordo militare con la
Prussia.
Pochi mesi dopo lo scontro Prussia-Austria induce l'Italia ad
approfittarne per prendere il veneto ( III guerra di indipendenza ).
Le battaglie di CUSTOZA sulla terraferma e LISSA sul mare, sono due
umilianti sconfitte per il giovane esercito nazionale. La sconfitta
dell'Austria permette comunque all'Italia di acquisire il Veneto
(pace di Vienna, ottobre 1866).
Governi Ricasoli e Rattazzi [2] - tiene banco la questione romana.
Governo Menabrea – c'è il tentativo fallito di Garibaldi
(1867)
Nel 1870 la Francia , che s'era fatta paladino della causa vaticana,
sconfitta dalla Prussia, abbandona il Papa al suo destino. Il
governo italiano rompe gli indugi e occupa la città di Roma,
con il celebre ingresso dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia
(20 settembre). Un plebiscito sanzionò l'annessione.
BRIGANTAGGIO (1861-1865)
Il fenomeno dei “briganti”, cioè fuorilegge a giro per le
campagne del sud, fu dovuto principalmente al peggioramento del
livello di vita già molto basso, delle popolazioni del
meridione dopo l'unità. L'aumento delle tasse e la leva
obbligatoria (che toglie braccia ai contadini) scatenò una
reazione che assunse la forma del brigantaggio e che fu
strumentalizzata dal clero e dai borboni. Una inchiesta parlamentare
guidata dal deputato Massari indicò molto bene la relazione
tra cause ed effetto del fenomeno. Fu ignorata e risolto il problema
con il pugno di ferro, cioè con una repressione molto dura.
La politica dei governi di destra fu tutta orientata allo sviluppo
industriale del nord: aumento delle tasse per i prodotti agricoli,
il corso forzoso (stampa di banconote maggiore del valore
corrispondente dell'oro), nessuna protezione per l'importazione di
prodotti agricoli.
Fu grande soddisfazione per alla fine dell'età della destra
storica, nel 1876, poter annunciare il raggiungimento della
parità di bilancio.
1864
– I internazionale socialista con Marx e Bakunin. I contrasti tra le
varie anime del movimento (comunismo, anarchismo, sindacalismo ecc)
furono talmente forti da essere sciolta nel 1876.
- viene pubblicato il “SILLABO” enciclica apostolica in cui si
condanna tutto ciò che è moderno, dalla libertà
di coscienza alla scuola laica, dal liberalismo al socialismo.
Parte II – 1870-1914
(…) tanta parte delle attuali caratteristiche dei tempi nostri ebbe
origine, a volte improvvisamente, nei decenni anteriori al 1914. In
campo politico, i partiti operai o socialisti, che formano il
governo o la forza principale di opposizione in quasi tutti gli
stati dell’Europa occidentale sono figli dell’era che va dal 1875 al
1914. (…) Sotto il nome di “modernismo” l’avanguardia dei questo
periodo comprende la maggior parte della produzione novecentesca
d’alta cultura. (…)La cultura della vita quotidiana è tuttora
dominata da tre innovazioni del periodo in questione: l’industria
pubblicitaria, il giornale e il cinema. Quanto alla tecnologia, le
automobili a benzina per la circolazione su strada e le “macchine
volanti” sono apparse per la prima volta nel nostro periodo. Il
telefono e la radio sono stati migliorati, ma non soppiantati.(…) Lo
sport fu formalizzato in quest’epoca in Inghilterra, che ne
fornì il modello e il vocabolario, e da lì si
propagò rapidamente negli altri paesi.
E. Hosbsawn, L’Età degli imperi 1875-1914
Gran Bretagna
Dopo il 1870 la Germania in forte crescita metteva in discussione la
leadership mondiale della Gran Bretagna. I principali esponenti
politici della seconda fase dell’età vittoriana furono
DISRAELI (conservatore dal 1874) e GLADSTONE (liberale dal 1880).
Comincia l’azione terroristica a favore dell’indipendenza irlandese;
anche in parlamento emerge la “questione irlandese” con
l’ostruzionismo dei deputati eletti nell’isola “verde”.
1884 il corpo elettorale passa da 3 a 5 milioni. Nasce la
“Fabian Society” una componente molto rilevante per il pensiero
politico socialista, che da quel momento abbandona sostanzialmente
la linea rivoluzionaria per abbracciare la linea riformista, per
quanto radicale possa essere.
Francia
In seguito alla sconfitta con la Germania e la resa di Versailles
nuova repubblica guidata da Thiers. A Parigi, nel marzo 1871,
scoppia l’insurrezione e viene proclamata la Comune. A maggio, al
termine di un assedio durissimo, la città viene ripresa
dall’esercito regolare (aiutato dalla Germania) e sottoposta ad una
feroce repressione.
La III repubblica nasce sotto l’insegna dell’autoritarismo: Thiers
presidente, pochi poteri al parlamento e leva obbligatoria. Solo nel
1880 iniziano alcune concessioni sulle libertà civili. Verso
la fine del secolo la contrapposizione tra socialisti e conservatori
si fa sempre più evidente, come dimostra L’AFFAIRE DREYFUS
del 1894. Dreyfus era un giovane tenente ebreo condannato seppur
riconosciuto innocente, proprio perché ebreo. Alla fine fu
scagionato.
COLONIALISMO
Nel 1876 la regina Vittoria diventa imperatrice d’India. Molto
diffuse ideologie razziste ed espansionistiche. I conservatori erano
decisamente schierati per l’espansionismo mentre i liberali
auspicavano una politica di mantenimento dei confini già
vastissimi dell’impero.1885 primi episodi di insurrezione in India.
La contesa per il canale di Suez, aperto nel 1869, fornirà
alla Gran Bretagna l’occasione per portare sempre più truppe
nell’area, fino a conquistare l’intera regione tra Egitto e
Sudan (completata nel 1898).Tra il 1898 e il 1902 guerra contro i
boeri in Africa del Sud. Naturalmente fu un’altra vittoria.
FRANCIA dal 1871 l’Algeria viene colonizzata: in seguito ad una
rivolta la repressione porta alla politica di consolidamento del
territorio attraverso una vera e propria colonizzazione; diventa una
seconda Francia. Negli anni successivi conquista la Tunisia
(sottratta all’Italia) il Madagascar, il Senegal, la Somalia e buona
parte dell’Africa Occidentale. Conquiste asiatiche in Indocina.
Germania
La grande Prussia diventa Germania, federazione di 25 stati autonome
ad esclusione della politica estera e della guida economica decise
dal governo del cancelliere. Il governo non rispondeva alla
maggioranza parlamentare (reichstag) bensì solo al Kaiser
(l’imperatore). La guida di Bismark punta a rafforzare lo stato,
indebolendo sia il mondo cattolico sia il movimento socialista.
Grande esaltazione del nazionalismo tedesco e concessione di un
primo pionieristico sistema di assicurazione sociale per i
lavoratori dell’industria. Bismark era contrario alla politica
coloniale mentre gli industriali erano favorevoli. Ebbero la meglio
gli industriali e anche la Germania si tuffò nell’avventura
coloniale conquistando alcuni territori nell’Africa orientale.
1888 sale al trono Guglielmo II con l’idea di realizzare il secondo
Reich. L’antagonismo con Bismark porta quest’ultimo alle dimissioni
nel 1890.
Austria
1867 concessa la costituzione. Il re manteneva ampi poteri,
così come il clero nella società austriaca. Diventano
pressanti le spinte indipendentiste:
CECOSLOVACCHIA: Masaryr leader del movimento per l’indipendenza
della Boemia e Slovacchia fonda nel 1900 il partito progressista.
UNGHERIA supremazia magiara sulle tante minoranze. Si propone il
problema delle minoranze etniche nei nuovi stati nazionali. Rimane
lo status di impero Austro-ungarico.
Russia
Dopo il 1865 Alessandro II ripiega su posizioni conservatrici. La
borghesia è ininfluente. E’ invece il “populismo” una
corrente politica radicale di sinistra a prendere campo, facendo
nascere anche una forma di terrorismo politico. Nel 1881 lo Zar
viene assassinato. Il successore Alessandro III abbandona la strada
del timido riformismo e approva un piano di repressione e
“russificazione” delle province: Polonia, Ucraina, Finlandia ecc.
1894 NICOLA II
Con questo zar la Russia conosce una prima forma di
industrializzazione: lo stato investe per cercare di colmare il
divario con le potenze continentali e a Pietroburgo e Mosca nascono
grandi fabbriche e quartieri operai. A cavallo del XX secolo
arrivano anche i primi scioperi e le rivolte. Si costituiscono e
acquisiscono molta forza i partiti operai: Partito
Socialidemocratico e Partito Social-rivoluzionario. La sinistra
russa guarda anche ai contadini e alla comune di Parigi come modello
di governo.
Italia (i governi della
sinistra)
La parità di bilancio era costata carissimo sul piano
dell’equilibrio sociale. Le riforme erano indispensabili. Dal punto
di vista della provenienza del corpo politico c’è da
registrare la fine del monopolio degli uomini del nord e della
grande nobiltà.
DE PRETIS nel 1875 si presenta con il celebre “discorso di
Stradella” in cui promette un po’ di tutto inaugurando la demagogia
elettorale. L’anno successivo diventa capo del governo.
Anziché rivoltare la linea politica cambia pochissimo,
inventando praticamente il “trasformismo” che annacqua le differenze
politiche dei due principali schieramenti (conservatore e
progressista) con una pratica di governo consociativa e accomodante
per tutti. Allo stesso tempo la maggioranza parlamentare mantiene in
costante marginalità le ali estreme della rappresentanza
politica sia a destra che a sinistra. E’ stato accertato e
storicamente riconosciuto il ricorso alla pratica della corruzione e
dei brogli per mantenere in efficienza il sistema.
Riforme importanti:
- 2 anni di
scuola obbligatoria
- Abolizione
della tassa sul macinato
- 1883
abolizione del corso forzoso
- Aumento del
corpo elettorale
1882 TRIPLICE ALLEANZA l’Italia stipula un patto difensivo con gli
imperi centrali di Austria e Germania. Inizia l’avventura coloniale
con il tentativo – fallito – di conquistare l’Etiopia.
1887 governo CRISPI Riprende l’aspirazione imperialista. 1889
Trattato (bilingue) di Uccialli fatto con il re etiope MENELIK. Una
diversa interpretazione della traduzione permise quel contenzioso
che portò alla guerra tra Italia e Etiopia.
Altre leggi di rilievo del periodo: diritto allo sciopero; abolita
la pena di morte.
Il governo cerca di contrastrare l’ascesa del movimento socialista,
che dal 1892 ha anche un suo riferimento nel Partito Socialista
guidato da intellettuali come Costa, Turati e Labriola.
GIOLITTI è un liberale. Con varie e diverse cariche
è l’uomo che segnerà la vita politica del paese fino
al 1913. Sale in carica nel 1892 al posto di Crispi. La sua idea
è quella di aumentare il consenso attraverso la concessione
di diritti civili. Affiancherà a questa politica “alta” la
pratica meno lusinghiera di cercare sempre il compromesso con
chiunque. In un primo tempo la sua condotta fu poco gradita (non
represse le agitazioni dei fasci siciliani) e tornò Crispi.
Con lui riprese la guerra ai socialisti e la guerra per i territori
africani: nel 1896 ad Adua l’Italia fu umiliata contando la prima
sconfitta militare di un paese europeo in Africa e 7000 soldati
morti. La tragedia costò il posto a Crispi. Seguirono alcuni
governi molto provvisori: Rudinì tra il 96 e il 98 che
oscillava tra i moderati e i reazionari. Pelloux fece un
governo autoritario sfociato nella strage di Milano: nel maggio del
1898 il generale Bava Beccaris si rese famoso facendo sparare sulla
folla in coda per il pane causando molti morti e una grande
indignazione.
29/07/1901 assassinato il re Umberto I. Gli succede Vittorio
Emanuele III
Il governo intanto è a guida moderata. Con il nuovo secolo
arriva anche lo sviluppo economico e l’industrializzazione. I
capitali furono trovati nelle banche e nello stato. La politica
protezionistica favorì le fabbriche italiane ma
svantaggiò i prodotti agricoli del sud. Queste scelte furono
tra le cause della eccezionale ondata migratoria che
interessò il popolo meridionale tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento.
Stati Uniti
Lasciata alle spalle la guerra di secessione gli Stati Uniti devono
scontare una divisione nord-sud molto forte: nel 1866 il razzismo
prende la forma del famigerato Ku Klux Klan, cittadini bianchi
anglosassoni protestanti (definiti dall’acronimo WASP) mossi da
un’odio ideologico verso gli afroamericani liberati dalle catene
della schivitù. A riflettere questa impostazione culturale
sta la struttura economica. Gli stati del sud erano dipendenti
ancora dalle grandi piantagioni e auspicavano una politica di
liberismo; viceversa gli stati del nord – che imposero come
vincitori il loro punto di vista – propugnavano il protezionismo a
favore dei grandi gruppi industriali e finanziari. New York e Wall
Street segnarono il nuovo corso della più grande repubblica
del mondo. Un corso vincente, se è vero che nel 1898
c’è il sorpasso in termini di Pil assoluto degli Usa alla
Gran Bretagna (primato ancora attuale) e che nel giro di pochi anni
le immense ricchezze territoriali furono integrate a un sistema
industriale in grande progresso.
- Conquista
del West (sterminio e prigionia per circa 2 milioni di nativi)
- Taylor
inventa il sistema a catena di montaggio
- Ai primi del
Novecento Ford abbassa drasticamente il prezzo dell’automobile per
consentire ai suoi operai di acquistarne una. Nasce il consumismo
industriale.
- Grande
violenza nella repressione di scioperi e delle organizzazioni
sindacali.
Sul fronte internazionale i diversi presidenti che si
succedono sono concordi nel perseguire una politica di espansione,
non solo verso i territori vergini dell’ovest ma anche verso
possedimenti di altri stati come Russia, Messico e Spagna. Nel 1867
l’Alaska viene acquistata dalla Russia (venduta come un deserto
ghiacciato si rivelerà poi ricca di materie prime); nel 1898
conquista le isole Hawaii e le Samoa nell’oceano Pacifico e contende
alla Spagna le lontanissime isole Filippine e la vicina isola di
Cuba. Vince facilmente, ma non annette i territori. Inaugura invece
la politica dei governi fantoccio: dei governi formali svolgono in
tutto e per tutto gli interessi degli Stati Uniti che agiscono come
“protettori”.
Giappone
Altro paese uscito alla fine degli anni ’60 da una terribile guerra
civile. Qui si afferma un potere imperiale determinato a
modernizzare il paese sull’esempio europeo e in particolare tedesco.
L’operazione ha qualcosa di sbalorditivo, mai visto e ripetuto. Agli
occhi di un europeo poteva sembrare simile all’età medievale
solamente nel 1866 per ritrovarlo militarmente competitivo e
minaccioso a fine secolo.
Conflitti internazionali
1877 guerra tra Russia e Turchia. Gli strascichi della guerra di
Crimea e la questioni degli stretti sono problemi aperti che
periodicamente tornano a insanguinare lo scacchiere mediterraneo. La
scintilla stavolta furono le rivendicazioni nazionaliste di Bulgaria
e Erzegovina contro l’impero turco. La Russia – strumentalmente per
via dell’interesse per la riapertura degli stretti sul mar Nero – si
dichiarò protettrice degli slavi del sud e avviò una
serie di azioni contro la Turchia.
Legata ad una serie di conflitti in territorio africano tra le altre
potenze europee, la questione venne discussa al CONGRESSO DI BERLINO
del 1878 e sancì l’autonomia di una regione bulgara,
l’indipendenza di Serbia-Montenegro e il protettorato britannico su
Cipro. Il mondo islamico stava perdendo la sua integrità
territoriale.
Socialismo
Nel corso della II Internazionale (1871?) fu indetto il 1°
maggio festa dei lavoratori e l’obiettivo comune per i lavoratori di
tutto il mondo: le otto ore lavorative. La funzione dell’organismo
era quello di fornire il riferimento internazionale a tutti i
partiti socialisti e socialdemocratici. Inizialmente ne facevano
parte anche anarchici ma furono espulsi nel 1898 per incongruenze.
Emersero ben presto distinzioni tra due linee di tendenza che
segneranno la lacerazione della sinistra per tutto il secolo
successivo: ovvero la contrapposizione all’interno del movimento tra
riformisti e rivoluzionari. Partendo dall’ideologia marxista si
svilupparono diverse correnti, guidate da abili oratori e pensatori
politici, come Bernestein (riformista), Kautsky, Rosa Luxemburg,
Lenin (rivoluzionari), Sorel (sindacalismo rivoluzionario).
La chiesa
La chiusura assoluto nei confronti della modernità viene
abbandonata con il pontificato di Leone XII che apre alla questione
sociale. Il nemico numero uno è il socialismo, e contro di
esso va accettata anche la democrazia liberale, demonizzata da Pio
IX. Del 1891 è l’enciclica Rerum Novarium, che illustra
questa nuova prospettiva di partecipazione dei cattolici nella vita
sociale delle società di massa: mutuo soccorso,
associazionismo, sindacati, partiti …. Ogni aspetto deve avere un
riferimento preciso dal mondo cattolico. L’obiettivo è
migliorare la vita delle fasce umili delle persone, tenere insieme
le diverse classi sociali (“l’unità tra operai e padroni”) e
scongiurare la rivoluzione socialista. Ma all’inizio del nuovo
secolo la chiesa era già in piena restaurazione, accentuando
il carattere di ubbidienza all’autorità e alla pura
carità verso gli strati inferiori della società.
LA BELLE EPOQUE (1900-1914)
in realtà con il termine "belle époque" si è
soliti riferirsi ad un periodo più lungo, che parte dagli
anni '90 dell'ottocento o addirittura dagli anni '70. La visione
italiana dello sviluppo però ci porta a considerare
l'età della crescita e dell'ottimismo come una finestra
più piccola tra i molti decenni di difficoltà.
Gran Bretagna
Insieme alla produzione industriale cresce il movimento operaio, che
diviene sempre più organizzato e minaccioso. Nel 1906 viene
costituito il partito laburista che raccolse le diverse anime della
sinistra britannica (a differenza dei movimenti continentali non era
rivoluzionaria ma riformista, per quanto radicale). La politica era
dominata dai Tories conservatori, anche se occasionalmente andavano
al potere i liberali. La crescita economica permise alla classe
operaia di ottenere importanti conquiste: otto ore lavorative,
riforma fiscale a svantaggio dei grandi proprietari terrieri. Il
potere politico era ormai tutto in mano alla camera dei comuni
(elezioni popolari) a scapito della camera dei Lords (rappresentanti
nobiltà) e della monarchia (avviata ad un ruolo di semplice
super-partes e guida spirituale del paese).
Teneva banco la questione irlandese, dove le spinte nazionaliste non
erano più arginabili con concessioni autonomistiche, come la
Home Rule di inzio ‘900. Anche il mondo coloniale dava segnali
sempre più forti di insofferenza al controllo della corona
britannica. In Sudafrica invece furono gli inglesi a sconfiggere i
boeri olandesi per il controllo delle ricchissime miniere di
diamanti.
Francia
Il governo, laico anche nelle connotazioni conservatrici, ruppe in
modo drastico con il Vaticano. Nel 1905 nacque il partito socialista
francese, guidato dal carismatico Jacques Jaurés. Le
imponenti manifestazioni – represse duramente – fecero ottenere ai
lavoratori il diritto alla pensione di anzianità e la
domenica festiva.
I successi della sinistra allarmarono gli ambienti militaristi e
reazionari, portando per risposta ad una forte crescita del
nazionalismo. Nel 1914 il partito socialista vinse le elezioni
politiche.
Germania
Tasso di sviluppo economico altissimo. Questa crescita strideva con
la situazione geopolitica del mondo che premiava stati come la
Francia e Gran Bretagna con imperi coloniali immensi, e gli Stati
Uniti e la Russia con immensi territori ricchi di materie prime. I
tedeschi volevano cambiare i rapporti di forza nel mondo.
L’imperatore e gli industriali erano fortemente determinati a
guidare una nuova fase di espansione. Di fronte al nazionalismo
crescente il partito socialdemocratico (SPD) entra in crisi: la
disputa tra rivoluzionari e riformatori paralizza l’azione della
sinistra in Germania, e porta alla sconfitta alle elezioni del 1907.
In seguito la linea del partito sarà meno internazionalista e
più vicina alla linea politica del Kaiser, ovvero
nazionalista. A guidare questa svolta furono Bebel e Noske che
raccolsero i frutti con la vittoria del 1913. (bisogna ricordare
però che in Germania il governo era nominato dall’imperatore
e non dipendeva dal parlamento). In ogni caso gli operai tedeschi
ottennero grandi concessioni in termini di welfare e stipendio. Una
base di consenso molto ampia, che sarà molto utile al momento
dello scoppio della guerra.
Russia
Lo zar Nicola II – un regnante di scarsissimo valore umano e
politico – risponde alle sfide della modernità facendo
appello alle tradizioni e ai vecchi valori religiosi e autocrati.
Quella minuscola fascia di popolazione definibile come borghesia
fece alcune richieste di riforme civili. La massa di operai
proletari (non più di due milioni e mezzo concentrati su
Mosca e Pietroburgo) era compattamente con i partiti marxisti. Anche
i contadini, sparsi nella sterminata campagna russa, erano nella
maggior parte attratti dalle teorie rivoluzionarie dell’estrema
sinistra.
Inoltre la famosa intellighenzia russa partorì alcune grandi
personalità politiche che riuscirono, nel volgere di pochi
anni, di ottenere risultati inimmaginabili.
1905. Al governo ci sono i conservatori guidati da Witte.
All’opposizione ci sono i liberali, in rappresentanza della
borghesia. Al di fuori dal parlamento e al confine con la
legalità ci sono i partiti rivoluzionari Contadino e
Socialdemocratico (guidato da Lenin, Trocki e Martov).
La guerra contro il Giappone per il possesso delle isole Kurili si
risolse in una sconfitta fragorosa. Sull’onda del disastro il 22
gennaio in 140000 invasero Pietroburgo per protestare contro lo zar.
Le guardie armate spararono facendo 1000 morti, a cui seguirono
altri scontri e scioperi. In ottobre prese corpo l’idea di
democrazia alternativa di Trocki: nacquero i soviet del popolo:
assemblee di operai, soldati e contadini in gradi di prendere
decisioni politiche. Un vero e proprio contropotere ai vari prefetti
e funzionari imperiali. Questa pressione porta ad ottenere elezioni
con suffragio universale e le libertà civili. Viene istituito
il parlamento russo, chiamato DUMA, ma ben presto viene sciolto per
rifarlo senza i rappresentanti dei partiti di sinistra. A fine anno
inizia la reazione violenta da parte delle truppe zariste; vengono
sciolti i soviet e arrestati o uccisi i leader di partito. Il
fallimento della rivoluzione del 1905 porta ad una rottura nel
partito socialdemocratico tra menscevichi – guidati da Martov - e
bolscevichi – guidati da Lenin e Trokji.
Stati Uniti
Il secolo si apre nel segno del presidente Theodore Roosevelt e
della sua enfasi militaresca e nazionalista. Il segno politico
è molto diverso da quello attuale, basti pensare che era
dell’ala progressista dei repubblicani. La distinzione determinante
era infatti l’approccio alla politica economica, protesa
all’espansione capitalista e alla conquista di mercati
internazionali. Funzionale a questi obiettivi era anche il
superamento della conflittualità con il mondo operaio,
ottenuto tramite alcune concessioni (otto ore, ferie, pensioni ecc.)
e alcuni accordi di tipo corporativo con i sindacati che assunsero
un ruolo a-politico all’interno delle fabbriche. Il successore di
Roosevelt fu un presidente di alte visioni idealiste, W. Wilson, al
quale lo sfascio della vecchia Europa diede l’occasione di
illustrare una nuova visione per il nuovo mondo.
Italia
Sono gli anni di Giolitti, che propone una politica di apertura
verso il movimento operaio, rispondendo così alle esigenze di
moderati e riformisti. La contrazione economica terminò nel
1896, e si registrò il primo vero boom economico, concentrato
per lo più nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova. La
spinta allo sviluppo viene da un connubio stato-privato che
segnerà la struttura del capitalismo italiano fino ai giorni
nostri. Lo stato ci mette i soldi e sceglie quali gruppi avranno
commesse e lavori; il privato prolifera all’ombra di un mercato
riservato e protetto, riservandosi di finanziare il partito politico
o il clan di riferimento nei banchi di Montecitorio per riproporre
in futuro lo stesso schema. Un sistema che ha prodotto numerose
conseguenze negative, dalla scarsa capacità concorrenziale
dell’industria italiana, all’affermazione su grande scale del metodo
clientelare come percorso classico per portare avanti affari e
carriere. Un imprinting culturale prima ancora che economico, in
grado di costruire un’etica pubblica sui generis che apparirà
ben presto come un carattere tout court dell’essere italiano,
specialmente in questioni di soldi, economia, finanza e potere.
In ogni caso al Nord abbiamo un progresso complessivo: + industrie,
+ diritti civili, + comunicazioni, + scuole, + capitali e produzione
industriale;
al Sud viceversa troviamo distese latifondiste di cereali con
rendite passive per lo stato. Il potere dei notabili locali è
mantenuto attraverso il “voto di scambio”. In questa stagnazione
esplode il fenomeno dell’emigrazione, con milioni di cittadini
italiani che cercano fortuna verso l’America e il Nord Europa. La
tenuta dell’Italia e la sua crescita di inizio secolo devono molto
anche alle rimesse in valuta pregiata di questi emigranti della
disperazione.
Questa doppia faccia dell’Italia, era anche la doppia faccia del
Giolitti politico: progressista al nord e corruttore-conservatore al
sud. La sua idea era di integrare tutti i frammenti nello stato
italiano. Propose al Psi di entrare in coalizione, spaccando
così il partito (ala riformista di Turati, e ala
rivoluzionaria di Labriola). La linea moderata di Turati è
sconfitta e il socialismo italiano diviene massimilista in
coincidenza con le maggiori concessioni che gli furono fatte
(compresi aumenti salari e misure di assistenza sociale).
Le elezioni le vincono ancora i liberali.
1906 nasce la CGL
1910 nasce la CONFINDUSTRIA
Giolitti rinnova il protezionismo doganale, a favore delle industrie
del nord.
La nuova recessione economica innesca scioperi e malumori,
favorendo la crescita del nazionalista di stampo militarista e
imperialista. Nel 1910 infuria il dibattito intorno alla spedizione
in Libia. Intanto cade l’ennesimo governo Giolitti e l’anno
successivo inizierà la guerra di Libia. Unico partito
contrario era il PSI. In cambio viene concesso il suffragio
universale in vista delle elezioni del 1913. Per garantirsi i voti
delle masse cattoliche viene sottoscritto il “Patto Gentiloni” che
concede molti privilegi alla chiesa cattolica (tasse, scuole,
ospedali ecc.)
Le elezioni sono vinte dal Partito Socialista, ma con un sistema
proporzionale puro l’incarico di formare il governo va a Giolitti
che trova il sostegno dei partiti liberale, popolare e altri minori.
Il suo è un gabinetto debole e si trova costretto alle
dimissioni già nel 1914. Una linea ben più aggressiva
– in politica interna ed estera – si era affermata e trovò
sbocco nella formazione del governo Salandra.
Imperialismo e colonialismo
L'età dell'impero
“Imperi e imperatori erano realtà di vecchia data, ma
l'imperialismo era una novità assoluta. Il termine
entrò per la prima volta nel linguaggio politico britannico
nel 1870-80, ed era ancora considerato un neologismo alla fine di
quel decennio. Si impose di prepotenza nell'uso generale negli anni
1890”
E. Hobsbawm [1] [1]
Quando si parla di imperialismo ci si può riferire agli
antichi romani o alla politica estera statunitense del dopoguerra o,
ancora, a molte altro: all'impero cinese a quello persiano,
spagnolo...
Come altre parole chiave è importante essere precisi. In
questa sezione del sito, e più in generale nella storiografia
contemporanea, si parlerà di imperialismo riferendosi al
periodo che va da 1860 al 1914 [2] [2]: cercando di spiegare le
ragioni di questa periodizzazione, le sue caratteristiche, le
analogie e le peculiarità in relazione alle altre esperienze
storiche accostate al concetto di imperialismo.
Imperialismo o colonialismo?
Le due parole che in questa fase sono in qualche modo
intercambiabili hanno in realtà un significato diverso. Il
COLONIALISMO infatti è solo una parte del fenomeno generale
dell'IMPERIALISMO, ovvero la conquista “diretta e formale” con
l'occupazione militare, l'insediamento consistente di cittadini
“conquistatori” e la creazione di veri e propri protettorati
politici. L'imperialismo invece travalica la presenza fisica del
territorio occupato; il controllo avviene in modo indiretto e
informale, ma non per questo con effetti meno invasivi per i popoli
coinvolti. Dopo il 1945 è questa la forma generalmente
utilizzata per il controllo di aree regionali nei paesi in via di
decolonizzazione da parte delle grandi potenze economiche e militari
del pianeta.
I Protagonisti
A partire dal 1860 i paesi europei si resero protagonisti di una
seconda intensa fase di espansione – dopo quella del cinquecento –
tale da assoggettare quasi l'intero pianeta.
In prima fila nella corsa alla conquista delle terre emerse c'era la
Gran Bretagna : la “regina” della rivoluzione industriale fece
valere tutta la sua forza economica, finanziaria e militare per
conquistare territori in tutti e cinque i continenti. Se Spagna,
Portogallo e Olanda erano in netto declino (specialmente i paesi
iberici), si affacciarono nella “competizione” coloniale anche paesi
emergenti come il Belgio, l'Italia, la Russia e la Germania.
Verso la fine del secolo entrarono nel circolo dei conquistatori –
dopo essere stati a diverso livello territori “conquistati” – gli
Stati Uniti e il Giappone.
Fatti, avvenimenti e aneddoti
dell'epopea colonialista
La debolezza dell'impero ottomano offrì ai paesi più
importanti l'occasione per estendere la propria area di influenza:
nel 1881 la Francia assunse il controllo diretto della Tunisia; nel
1882 la Gran Bretagna occupò militarmente il debole regno di
Egitto iniziando una inarrestabile discesa attraverso Sudan, Kenya,
Uganda (acquistata dalla Germania nel 1890). All'altro capo del
continente la scoperta di immensi giacimenti diamantiferi e auriferi
spinse le truppe di Sua Maestà a scontrarsi con i
possedimenti dei boeri [3] [3]. La guerra durò dal 1899 al
1902 e si concluse con la vittoria dei britannici e la nascita
dell'Unione Sudafricana (membro del Commonwealth fino al 1961).
L'avventuriero Cecil Rhodes proseguì la colonizzazione
britannica risalendo verso nord (l'attuale Rhodesia), puntando a
ricollegarsi con il Kenya; l'operazione non riuscì per la
presenza del possedimento tedesco della Tanganica (1890). Se la Gran
Bretagna sviluppò i suoi possedimenti da nord a sud, la
Francia disegnò una linea ininterrotta da est a ovest. Nella
fascia equatoriale i militari della repubblica francese presero
possesso del Senegal e poi seguirono la linea sub-sahariana fino a
incontrarsi/scontrarsi con gli inglesi al confine del Sudan. Era il
1898 e si rischiò seriamente uno scontro militare tra le 2
superpotenze dell'epoca. Tra i possedimenti anche l'Algeria (1881) e
il Marocco (1911).
L'epopea imperiale interessò anche il giovane impero tedesco
: dal 1884 la prudenza di Bismarck (“vale più una
città in Europa che uno stato in Africa”) fu accantonata e
sostituita da una aggressiva offensiva militare che portò
sotto la bandiera dell'imperatore Gugliemo II le regioni del
Camerun, del Togo e della Namibia nella costa atlantica e della
già ricordata Taganica nella costa dell'Oceano Indiano.
L'Italia si ritagliò, al prezzo di clamorose sconfitte, uno
spicchio di colonie nella regione del corno d'Africa (Eritrea e
Somalia) e, più tardi, occupando “lo scatolone di sabbia” (la
definizione è di Gaetano Salvemini) della Libia nel 1911.
L'ultimo paese europeo in gioco nell'età degli imperi fu il
piccolo Belgio dell'ambizioso re Leopoldo II.Venuto a sapere,
tramite il giornalista americano Henry Morton Stanley, delle immense
ricchezze presenti nel bacino del fiume Congo – rame e stagno
soprattutto – iniziò la conquista e lo sfruttamento della
zona, praticamente a titolo personale. L'iniziativa fu ostacolata
dalle altre potenze con interesse nell'area, e si rese necessaria
una apposita conferenza che – tenutasi a Berlino nel 1884-85 –
sancì la regola dell'”occupazione di fatto”. In conseguenza
re Leopoldo II si tenne il Congo mentre le altre potenze si
regolarono di conseguenza scatenando una vera e propria gara
all'occupazione”de facto” dei territori.
Nella cartina vediamo la situazione dell'Africa del 1914 dove solo
Liberia ed Etiopia risultano indipendenti. Il Sudafrica, come detto,
era uno stato controllato indirettamente dalla Gran Bretagna.
MAPPA DELL'AFRICA
Il colonialismo extraeuropeo
Alle conquista africane, Gran Bretagna e Francia, affiancarono
conquiste in Asia, ai Caraibi e nel Pacifico. Nel 1876 con una
solenne cerimonia la regina Vittoria fu proclamata imperatrice
d'India, inaugurando così la fondamentale storia del dominio
inglese nel sub-continente indiano [4] [4]. Nel frattempo inglesi,
scozzesi e irlandesi avevano “colonizzato” le grandi isole
dell'Oceano pacifico: l'Australia e la Nuova Zelanda quest'ultima
con una vera e propria guerra contro gli indigeni Maori.
La Francia estese il suo territorio in Indocina oltre a mantenere e
incrementare i numerosi avamposti in isolotti nei Caraibi e nella
Polinesia. Anche l'Olanda mantenne i vasti possedimenti delle Indie
Orientali (oggi Indonesia) tra cui la Nuova Guinea , spartita con
inglesi e tedeschi.
Nel continente americano ad esclusione del Canada divenuto autonomo
dal Regno Unito nel 1870 l'intero continente fu posto sotto la
tutela degli Stati Uniti dal famigerato “Decreto Monroe” del 1823.
Con la perdita di Cuba nel 1898 la Spagna completò la sua
ritirata dal continente; lasciando alla rappresentanza europea
soltanto alcuni atolli e isolotti del golfo del Messico.
Un discorso a parte meritano tre paesi che vivono l'esperienza
imperialista in forme diverse da quelle degli imperi europei in
concorrenza tra loro: la Russia degli zar; gli Stati Uniti della
seconda industrializzazione e il Giappone della modernizzazione
lampo.
La Russia completò l'allargamento dei propri confini verso
sud e verso est, raggiungendo la periferia del mondo mussulmano e
della civiltà mongola. La contesa sulla Manciuria creò
un attrito con il Giappone, anch'esso interessato al territorio
formalmente parte dell'impero cinese, che sfociò nella guerra
russo-giapponese del 1905, risoltasi con un clamoroso successo degli
asiatici.
Proprio il Giappone, artefice di una modernizzazione assolutamente
strabiliante, entrò a far parte dei paesi con mire
colonizzatrici: a fine ottocento sottrasse la Corea alla Cina e
avviò una politica estera molto aggressiva finalizzata a
sottomettere l'intera area del sud-est asiatico. Una strategia che
caratterizzerà il Giappone praticamente senza soluzione di
continuità fino alla fine della seconda guerra mondiale.
L'altro gigante asiatico, la Cina , rimase formalmente indipendente
ma, di fatto, occupato un po' da tutte le potenze coloniali.
Gli Stati Uniti passarono alla loro terza fase: dopo una prima di
fase di emancipazione dalla madrepatria inglese; ed una seconda fase
di consolidamento dei propri confini (per tutto l'Ottocento) si
aprì, anche per i cittadini del nuovo mondo la vecchia
pratica dello sfruttamento degli altri popoli e delle risorse
altrui.
Con il decreto Monroe del 1823 venne imposto uno stop alla
penetrazione europea nell'area del continente americano; ma fu con
la guerra contro la Spagna , prima per il nuovo Messico, poi per
Cuba che si inaugurò la stagione dell'interventismo americano
nel mondo. Forse ancora più significativo della conquista di
Cuba (lasciata formalmente indipendente) appare la penetrazione
nell'Oceano Pacifico, realizzata proprio nell'ambito della guerra
alla Spagna.: le colonie spagnole delle isole Hawaii e delle
Filippine furono teatro di guerra e, a guerra vinta, protettorati
Usa (le Hawaii inglobate come stato della federazione). Erano gli
ultimi anni del secolo e segnarono, senza che in molti ne
percepirono la portata, grandi cambiamenti nell'assetto geopolitica
mondiale. Considerati ancora come potenza secondaria dagli europei
gli Stati Uniti proclamarono nel 1904, per volontà del
presidente Theodore Roosevelt, il corollario alla dottrina Monroe:
il diritto degli USA ad intervenire in qualunque parte del
continente americano. E infatti intervenne a Panama per controllare
l'importantissimo canale di attraversamento del continente (1903).
Gli assetti della politica europea
La lunga pace, che dalle guerra napoleoniche giunge fino al 1914,
deve qualcosa anche al fenomeno dell'imperialismo.
I contrasti non risolti erano quelli tra Gran Bretagna e Russia
(Persia, Afganistan e stretto di Dardanelli) e tra Germania e
Francia. Si creò una serie di alleanze incrociate che
creò un sistema di reciproci contrappesi tale da garantire
l'equilibrio nel continente, e quindi la pace. Il congresso di
Berlino del 1878 sancì in un certo senso questo sistema. Ma
la politica espansionistica di Guglielmo II portò ad un nuovo
scenario: la Germania ruppe l'accordo con la Russia che si
alleò alla Francia. Nuovi partners dei tedeschi furono
Austria e Italia (“triplice alleanza” 1882).
Questa pace continentale favorì la competizione alla
conquista coloniale:
- minore impegno militare sul continente
- rivincita per le sconfitte militari o diplomatiche
La competizione internazionale si fece sempre più dura: agli
albori del nuovo secolo la Gran Bretagna iniziò una politica
estera apertamente anti-tedesca che favorì anche Francia e
Russia nella contesa dei vari territori. Anche l'Italia fu
incentivata ad azioni contro l'impero ottomano (quasi un
protettorato tedesco ai primi del 900); tanto che nel 1911
riuscì a sottrarre ai turchi l'isola di Rodi e l'arcipelago
del Dodecaneso. Quando la controversia incendiò i Balcani,
tutti i nodi vennero al pettine: nel mazzo delle ragioni che
scatenarono la carneficina dalla guerra mondiale, le dinamiche
imperialistiche giocarono certamente un ruolo di primo piano.
[1] [5]E. Hobsbawm, L'età degli imperi, Laterza, 1987
[2] [6]Come spesso succede la attribuzione di date precise per
fenomeni generali comporta inevitabili controversie. Alcuni testi
riportano l'inizio della corsa alle colonie nel 1870 altri anche il
1880...comunque sia possono essere considerati tutti giusti. Anche
la data di chiusura – il 1914 – pur conoscendo una convergenza
pressoché unanime non risolve completamente la questione
(vedi il caso dell'Italia).
[3] [7]I boeri sono i coloni olandesi che si erano stanziati nel sud
Africa dal secolo XVII. Quando gli inglesi crearono la “Colonia del
Capo” nel 1814 i boeri si spostarono più a nord. Proprio in
quelle terre ricche di oro e diamanti e causa del conflitto.
[4] [8]L'India andata sotto il controllo dell'amministrazione
inglese corrisponde agli attuali stati di India, Pakistan, Nepal,
Bhutan e Bangladesch
L'età dell'impero
La specificità
Quale è la distinzione tra questo periodo, ovvero questa
forma di imperialismo e gli altri imperialismi?
Lo storico Reinhard ha dato questa definizione : “ colonialismo
starà ad indicare lo sfruttamento economico, politico e
sociale di un popolo su un altro.”
Per quanto riguarda il nostro periodo le caratteristiche che lo
distinguono dagli altri periodi della storia sono:
Dimensioni delle conquiste: l'intero pianeta.
Rapidità delle conquiste: in poche decine di anni.
Stati coinvolti: tutti i paesi europei + Usa e Giappone.
Epopea coloniale utilizzata verso la propria opinione pubblica a
scopo di propaganda
A differenza delle conquiste spagnole in America o delle conquiste
romane, queste conquiste non implicano solo la “rapina” delle
risorse ma anche la distruzione delle economie locali e
l'integrazione nel proprio sistema economico. Per rendere più
funzionale l'operazione la distruzione del sistema indigeno avviene
anche sul piano sociale e culturale.
1860/1870 colonialismo e II rivoluzione industriale si
trovano a coincidere. Non è un caso!!
Se la prima rivoluzione industriale si è avvalsa dell'ingegno
di intraprendenti artigiani e imprenditori e del capitale privato,
la II rivoluzione industriale si basa su economie di scala ad alta
intensità sia di capitale che di risorse:
chimica, elettricità, ferrovie, motori ecc. i processi
industriali richiedono ingenti quantità di caucciù,
rame, stagno, ferro, acciaio. Anche i beni di consumo, in forte
espansione, chiedono un maggiore rifornimento di caffè,
thé, banane ecc.
La cantieristica e la siderurgia non possono essere lasciata
all'iniziativa di imprenditori; occorre l'impegno di banche disposte
a fornire capitali a medio termine. In pratica gli istituti di
credito diventano veri e propri investitori legando la propria sorte
a quella dell'impresa (gigantesca) a cui si finanzia l'investimento.
In questo periodo e in questo modo nascono i grandi colossi ancora
oggi ai vertici dei fatturati mondiali:
AT&T (telefono
SHELL (energia)
SIEMENS, PHILIPS (elettricità)
BAYER (chimica)
….
Come nasce il sistema coloniale
moderno
Lo stato interviene con il protezionismo, invertendo la tendenza
liberale della prima metà ottocento. Perché questa
inversione di politica economica? C'era stata la crisi nel sistema:
una crisi economica e sociale che aveva messo in difficoltà
gli stati: come reazione sono ricorsi a misure protezionistiche. Nel
1879 è la Germania a reintrodurre in maniera consistente dazi
e vincoli nel trasporto di merci; nel 1881 è la Francia
seguita dall'Italia e nel 1883 dalla Russia. Alla vigilia della I
guerra mondiale solo la Gran Bretagna era rimasta fedele al sistema
del libero scambio puro.
Per aggirare la limitazione al commercio internazionale tutti i
governi pensarono di giocarsi la carta del colonialismo. Coltivare
un proprio mercato estero “privato” sembrò lo sbocco logico
alla crisi di fine secolo. Fino a quel momento erano state
sufficienti le “aree di influenza”; ma con il ripristino delle
dogane diventava importate definire quali zone dovevano essere
considerate francesi piuttosto che inglesi o tedesche.
Inevitabilmente per stabilire chi faceva le leggi commerciali in un
dato territorio si ricorse al controllo militare dell'area e alla
difesa dei suoi confini. In pratica le aree di influenza si
trasformarono in dominii militari. Prima ancora che per lo
sfruttamento delle materie prime e dei prodotti agricoli l 'esercito
garantiva l'esportazione delle REGOLE del commercio .
In questo contesto l'antagonismo tra la grande potenza britannica e
la potenza emergente tedesca subì una rapida recrudescenza.
IMPERIALISMO DELLE MASSE l'imperialismo era popolarissimo nel ceto
medio ma anche nella classe dei lavoratori. L'operaio bianco, in
Africa, era automaticamente un capo. I governi fecero un largo uso
della propaganda; anche la letteratura, la cultura e i consumi
servirono alla causa imperialista.
In molti casi le conquiste coloniale supplivano gli insuccessi nella
concorrenza europea:
la Russia prende l'Asia centrale dopo la sconfitta di Crimea
la Francia si lancia alla conquista dell'Africa dopo il disastro del
1871 contro la Germania
l'Italia tenta la carta coloniale nel 1881 di fronte alle evidente
difficoltà interne
FASI DELLA CONQUISTA
1870-1885 grande spartizione
1885-1900 completamento spartizione
1901-1914 Marocco e Libia
L'età dell'impero
Come fecero poche migliaia di soldati a sottomettere continenti
interi?
Gli elementi che concorrono in questa incredibile evoluzione nella
storia dell'umanità sono:
SUPERIORITA' TECNOLOGICA
Non solo superiorità militare, nelle armi e nei mezzi tecnici
a disposizione. Determinante fu l'apporto dell'industria chimica e
farmaceutica. La penetrazione in Africa fu resa possibile grazie
all'invenzione del Chimino un farmaco in grado di vaccinare gli
europei da molte malattie. Prima della metà dell'Ottocento
ogni spedizione nelle regioni interne dell'Asia o dell'Africa
conosceva una percentuale vicino al 90 delle perdite complessive
dovute a infezioni e virus.
Naturalmente la retrocarica e poi la mitragliatrice resero impari lo
scontro. Esemplificativa è la battaglia di Omdurman [9]nel
settembre 1898 [10]sul corso inferiore del Nilo [11], nella quale
8000 inglesi sconfiggono i Dervisci [12]e ottengono il controllo del
Sudan [13]. Troviamo la descrizione dell'avvenimento nelle memorie
[1] [1]di Winston Churchill : il grande statista ci racconta di una
battaglia che vide rimanere sul campo 20 inglesi, 28 egiziani
(alleati degli inglesi) e ben 10000 sudanesi. E' la più
grande vittoria militare imperialista.
GENOCIDIO
La civiltà occidentale ripete su scala planetaria quanto
fatto in America Latina dai conquistadores spagnoli. Ovvero realizza
un vero e proprio genocidio. Il caso più evidente è
quello dello sterminio dei pellerossa nell'avanzata verso il far
west.
Qual era il problema della convivenza tra i (pochi) europei in
avanzata verso ovest e i (pochi) nativi americani già
presenti in un territorio immenso?
Il problema era che i nativi americani erano impermeabili ai valori
dei conquistatori:
• lavorare
• convertirsi alla religione cristiana
Per questo agli occhi degli europei sembrarono “non-umani” e quindi
tranquillamente sterminabili. L'ideologia che guidò il
terrificante genocidio dei pellerossa è ben riassunta celebre
detto western: “un buon indiano è un indiano morto”.
La storia degli aborigeni australiani e neozelandesi non si discosta
di molto: è significativo infatti come le leggi aborigene non
furono riconosciute dai nuovi arrivati che si impegnarono ad
applicare le “loro” leggi. Così il diritto britannico
considerava terra di nessuno il territorio abitato dagli aborigeni e
fuorilegge chi lo occupava abusivamente. Lo sterminio fu
“legalizzato” e, in un certo senso, anestetizzato per la coscienza
dei conquistatori.
Ma non è solamente l'impero britannico ad essersi macchiato
di terribili operazioni di pulizia etnica. La Germania può
“vantare” il caso emblematico del popolo HERERO [14] nell'odierna
Namibia: villaggi di pastori trasferiti in campi di concentramento e
qui sterminati. Un episodio tornato recentemente (2004) agli onori
della cronaca per le scuse ufficiali del governo di Boon.
Anche l'Italia fece la sua parte. In ritardo, ma non fu da meno. In
Libia a partire dal 1923 fu attuata la politica dello sterminio
contro il popolo dei SENUSSI [15]. Ancora pastori e semi-nomadi
deportati in massa ed eliminati fisicamente dal territorio che
avevano sempre abitato.
Probabilmente il fenomeno del colonialismo/imperialismo 1860-1914
è, nel suo complesso, la pagina più tragica nella
millenaria storia dell'umanità. A differenza dell'abisso
hitleriano questa non ha avuto alcun riscatto, alcuno stop, alcuna
rinascita, alcun giorno della memoria. Tutto quello che è
seguito è stato segnato irreparabilmente e drammaticamente da
quella sconvolgente esperienza.
DISTRUZIONE COMUNITA' LOCALI
Le società investite dall'occupazione europea sono distrutte
e stravolte. All'inizio espropriazione delle terre comuni e
concessione ai capi-tribù di alcuni privilegi e
proprietà. Il principio della proprietà privata –
spesso assente in comunità fondate sull'uso e la condivisione
collettiva dei beni naturali – fu l'elemento in grado di sgretolare
il sistema economico, ma anche mentale e pratico di socializzazione
in uso da secoli. Con l'attribuzione dei beni di proprietà
privata fu introdotto l'obbligo della fiscalità, altro
aspetto sconosciuto per la gran parte dei popoli extra-europei.
La colonizzazione portò ad alcune novità che
annientarono la cultura e la vita sociale di intere regioni
continentali: chiamarono civilizzazione la "conversione” non tanto
alla religione cattolica (che fu un aspetto ideologico importante)
quanto all'obbligo del lavoro e del pagare le tasse. L'alta
fiscalità obbligava a lavorare e produrre e scambiare sul
mercato.
DIVIDI ET IMPERA
Gli europei furono abili a sfruttare le rivalità tribali per
semplificare il controllo del territorio. Era un espediente tipico
mantenere l'ordine con corpi speciali formati da soldati di etnie
rivali.
In India ad esempio mussulmani e indù avevano convissuto
pacificamente per secoli. Gli inglesi giocarono sulla
rivalità facendo di tutto per mettere contro le due
principali culture del sub-continente. Lo stesso è avvenuto
in Palestina.
LAVORO COATTO (schiavismo)
L'esempio più clamoroso per comprendere questo aspetto della
colonizzazione è quello del Congo [16].
Alla conferenza di Berlino del 1885 il Congo fu dichiarato
indipendente e posto sotto protettorato del Belgio di Leopoldo II.
Fu un espediente per evitare che il territorio ricchissimo di
materie prime fosse causa di una guerra tra le grandi potenze
Francia, Gran Bretagna e Germania. Apparentemente il Belgio gioca un
ruolo positivo, con un vero e proprio mandato di civilizzatore. In
realtà il Congo diventa una zona franca del
super-sfruttamento, in cui le popolazioni indigene sono ridotte in
schiavitù e private di qualunque porzione delle ricchezze
ricavate dal commercio del caucciù e dell'avorio. Gli
africani costruirono strade, barche, case…e tutto quello che era
funzionale all'economia belga ed europea in generale.
In quel caso lo sfruttamento fu così brutale che l'opinione
pubblica del vecchio continente mise sotto pressione Leopoldo II
fino a rimettere il mandato di “civilizzazione”.
URBANESIMO (espulsione dei
contadini dalle campagne)
Le monoculture estensive imposte a territori conquistati portarono a
due importanti conseguenze:
rendere i paesi colonizzati dipendenti in tutto e per tutto dalla
“madre patria” distruggere la capacità di autosostentamento
ed estromettere i contadini dalle campagne.
Questo secondo aspetto portò alla nascita caotica di enormi
agglomerati urbani senza che, come era successo alcuni decenni prima
nella vecchia Europa, ci fosse il benché minimo accenno di
sviluppo industriale. Calcutta, Saigon, Shangai, Nairobi sono solo
esempi di città figlie del colonialismo.
Dopo la Grande Guerra
La grande corsa rallenta col nuovo secolo e si arresta
sostanzialmente con lo scoppio della guerra mondiale. Tra le due
guerre non succede quasi più nulla e le rispettive posizioni
sono in sostanza consolidate. L'espansionismo dei paesi dell'asse
è annullato dal successo militare degli alleati.
Nel dopoguerra avviene un doppio processo che cambierà
radicalmente la faccia geopolitica del mondo: da una parte ci
sarà un vasto processo di de-colonizzazione, dall'altro si
svilupperà una nuova forma di imperialismo
economico-finanziario in grado di aumentare a dismisura la
differenza di ricchezza tra ex-colonizzatori ed ex-colonizzati,
disegnando uno scenario che appare allo stesso tempo un desolante
dejà-vu e una ulteriore novità.
[1] [5]The story of the Malakand Field Force, 1898
Perché l'imperialismo?
La spiegazione e la motivazione della grande spartizione del mondo
ha trovato molte diverse interpretazioni. Su tutto vale la
considerazione che ogni stato andrebbe analizzato a parte,
poiché l'intreccio tra interesse economico, ambizione
politica e clima culturale varia da caso a caso.
Dal punto di vista storiografico il dibattito ha preso il via dal
testo del liberale inglese John A. Hobson del 1902 (“Imperialism”),
in cui si attribuisce al colonialismo lo status di “effetto
perverso” del capitalismo: in mancanza di un mercato interno
dinamico, i governi cercarono con la forza nuovi sbocchi per la
produzione industriale.
Negli anni si formarono due principali correnti interpretativi:
Storici “marxisti” – E' l'economia il fattore preponderante; la
spinta e la motivazione per l'avventura coloniale viene
principalmente su pressione dei grandi gruppi industriali e
finanziari. La politica non riesce a gestire la logica militarista
che porta alle estreme conseguenze (I guerra mondiale).
Storici non marxisti – Negano che l'imperialismo abbia radici
economiche rilevanti e si sono concentrati su spiegazioni di
carattere psicologiche, ideologiche, culturali e rpolitiche. Non
sempre l'espansione imperialista ha portato al conflitto (ad esempio
tra Gran Bretagna e Stati Uniti c'è sempre stato una
relazione amichevole). Inoltre il vantaggio nel possesso delle
colonie non era affatto certo. Gli investimenti nelle aree coloniali
non fu mai significativo; e anche i nuovi mercati in Asia e Africa
furono tutt'altro che redditizi.
Tra i primi spicca l'analisi di Lenin del 1916 ("L'imperialismo fase
suprema del capitalismo"): in questo citatissimo testo indica
nell'imperialismo l'ultimo stadio del capitalismo, quello dello
sfruttamento dei popoli terzi,per la sopravvivenza stessa del
sistema. Sebbene la teoria si sia dimostrata nel tempo non
realistica – in virtù della straordinaria capacità del
capitalismo di riformarsi – la posizione che evidenzia il nesso tra
economia e impero sembra senz'altro rilevante.
Anche se dal punto di vista strettamente economico solo per la Gran
Bretagna l'imperialismo si è dimostrato necessario,
esistevano una serie di condizioni che “invitavano” i governanti
europei a cercare un “posto al sole” nello scacchiere
internazionale.
• GLOBALIZZAZIONE DELL'ECONOMIA. Per la prima volta esiste una
unica economia mondiale (oggi detta “prima globalizzazione” a fronte
dell'attuale globalizzazione, che sarebbe la seconda). I paesi non
industrializzati entrarono nell'orbita dei processi industriali –
grazie anche a comunicazioni più veloci - come fornitori di
materie prime: intere regioni furono stravolte per adattare
l'ambiente e la popolazione all'estrazione di metalli o
caucciù oppure per avviare monoculture estese per i mercati
del nord del mondo. Infine, ma questo aspetto è secondario,
servirono anche come mercati in cui piazzare le merci, in genere
prodotti finiti, usciti dalle fabbriche europee.
• CAPITALISTI VOGLIONO LE COLONIE. La borghesia commerciale e
gli industriali fanno un grande pressione verso i governi
perché si impegnino in una politica espansionistica. Anche se
in realtà NON ERA NECESSARIA, i governi si comportarono COME
SE lo fosse stata.
• RISCATTO NAZIONALE. Spesso la spinta coloniale è
strettamente legata alla costruzione di una identità
nazionale, e svolge quindi una funzione di propaganda, sempre
più importante nella nascente società di massa
(offrire agli elettori la gloria di popolo superiore anziché
riforme per vivere meglio). Nelle classi medie il messaggio
passò molto bene, ma anche nella classe operaia la propaganda
coloniale aveva il suo fascino. Fu coniato il termine “imperialismo
sociale” per indicare l'opzione coloniale come arma per arginare il
malcontento interno.
In sostanza l'imperialismo si spiega con l'insieme dei fenomeni –
economici ma non solo – che interessarono la civiltà
occidentale nella seconda parte dell'800, e in particolare dal 1870
in poi.
Quali le conseguenze del dominio europeo del mondo?
Se dal versante dei conquistatori i vantaggi furono molto
diversificati a seconda del paese, e in generale NON FURONO
FONDAMENTALI per lo sviluppo e la modernizzazione; dal versante dei
conquistati l'imperialismo rappresenta il cataclisma fondamentale
della civiltà non occidentale: fu un momento “drammatico e
decisivo” che unì allo sfruttamento materiale la distruzione
culturale: “La conquista del globo da parte della minoranza
“sviluppata” trasformò immagini, idee e aspirazioni sociali,
con la forza e le istituzioni, con l'esempio e con i mutamenti
sociali.” [1] [1]
Come si vedrà nella sezione dedicata alla decolonizzazione,
lo stesso movimento anticoloniale attinse a piene mani dalla cultura
europea, contribuendo a distruggere a prezzi altissimi, la
precedente cultura indigena. Imponendo stati nazionali omogenei in
lingua, etnia e costumi dove da secoli le appartenenze e le
identità erano quelle della tribù, del villaggio o
della comunità; imponendo modelli economici estranei alla
vita delle popolazioni rurali eccetera eccetera.
In pratica non fu tanto l'imposizione del modello occidentale a
devastare l'Africa (in primo luogo), l'Asia e il Sudamerica, quanto
la sistematica distruzione di tutto quello che c'era. Operazione
peraltro quasi indispensabile, vista la ostinata
incompatibilità delle tradizioni e degli stili di vita dei
popoli del mondo extra-europeo con il modello capitalista/mercantile
di europei e nordamericani.
[1] [5]Hobsbawm, cit., p.90
Decolonizzazione
Il mondo disegnato dall’età dell’imperialismo presentava
evidenti squilibri. Prima ancora che di natura economica o
geopolitica di semplice contabilità:
1 cittadino britannico comandava su 100 indiani
1 cittadino italiano comandava su 29 etiopici
1 cittadino belga comandava su 170 congolesi
Solo per fare qualche esempio.
Ma questo è solo un aspetto esteriore della situazione.
L’aspetto veramente decisivo, su cui ruota qualunque analisi seria
del fenomeno, è la sconvolgente trasformazione a cui sono
stati sottoposti i popoli soggetti a dominio. In altre parole il
fenomeno del colonialismo ha segnato l’apogeo della “cultura unica”,
della presunzione di imporre una propria visione del mondo agli
altri. Il paradosso a cui si è andati incontro – una tendenza
che in tempi di decolonizzazione si è anche accentuata -
è che il mondo extraeuropeo si è adattato all’idea di
civiltà sottosviluppata che l’europeo gli attribuiva.
L’ignoranza e l’incapacità di concepire il mondo al di fuori
di alcuni particolari valori hanno reso possibile un’incredibile
sistema di relazioni (economiche, culturali) tra i paesi tale da
giungere, con una progressione spaventosa, ai dati di povertà
attuali. Che sono i più alti nella storia, a fronte di una
ricchezza complessiva decine se non centinaia di volte superiore a
quella di 30 o 50 anni fa.
Cronologia della decolonizzazione
La decolonizzazione è il fenomeno che porta alla nascita di
stati indipendenti dove prima c’erano possedimenti coloniali.
NOTA BENE : prima della colonizzazione NON C’ERANO stati sovrani. I
casi di entità statali precedenti al dominio straniero sono
eccezioni. I territori e le popolazioni erano organizzati secondo
altri schemi socio-politici: c’erano autorità religiose (i
califfati nell’area medio-orientale) oppure autorità locali
oppure regni basati sulla semplice fedeltà, senza confini e
struttura statale. Un mondo estremamente vario e multiforme quasi
indefinito: un insieme posti ognuno dei quali potrebbe dirsi come il
“luogo delle differenze”.
Il 1946 festeggia il primo paese libero dal dominio: sono le
Filippine. Il 1947 è l’anno dell’India. Il nuovo governo
laburista di Clemente Attlee concede l’agognata indipendenza –
è il trionfo della strategia della nonviolenza e della
resistenza passiva di Ghandi – ma la rivalità interreligiosa
tra mussulmani e indù, incentivata dagli stessi inglesi nel
tentativo di spaccare il fronte anticolonialista, porta alla
secessione del nord-est: nasce il Pakistan.
1949 tocca all’Indonesia;
1951 Libia (era sottoposta all’amministrazione britannica);
1957-62 viene disegnata la mappa geopolitica dell’Africa. Nascono
Senegal, Costa d’Avorio, Repubblica del Congo, Repubblica
Centroafricana, Camerun, Ciad, Gabon…
1962 L’Algeria, dopo una durissima guerra civile, proclama
l’indipendenza.
1970 si completa la liberazione coloniale nel continente nero:
Angola, Monzambico, Guinea-Bissau, Isole di Capoverde. Anche il
Portogallo entra nel club dei paesi ex-colonialisti.
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Domanda cruciale: diventano veramente indipendenti?
Economicamente NO
Culturalmente NO
Politicamente SI
LOTTA DI LIBERAZIONE
La lotta di liberazione ha una lunga storia e una curiosa
evoluzione. I primi successi militari dei paesi extraeuropei
giungono a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nel 1896 Adua è
il teatro della disfatta dell’esercito italiano, sopraffatto dalle
truppe di Menelik re d’Etiopia[1] [1]. Nel 1905 è il turno
della Russia ad essere sconfitta da un esercito non europeo: il
Giappone della modernizzazione lampo voluta da Meji.
Il modello più affascinante della storia della
decolonizzazione è quello proposto e realizzato Ghandi. Per
rivendicare l’indipendenza del continente indiano Ghandi introduce
due elementi nuovi:
1. La forma partito.
2. La filosofia della non violenza e della resistenza passiva.
Nel 1920 riorganizza il Partito del Congresso con lo scopo di
promuovere un’azione politica coinvolgendo le masse popolari.
Accanto alla libertà dal dominio inglese il partito proponeva
una piattaforma democratica per il progresso di tutto il popolo.
Rivoluzionario fu la pratica con cui portò avanti l’azione
politica: non attentati terroristici e guerriglia, bensì
resistenza passiva e propaganda attraverso la filosofia della non
violenza. Sul terreno militare i britannici erano imbattibili: per
vincere bisognava cambiare il campo di gioco!
DOPOGUERRA
La seconda guerra mondiale cambiò la gerarchia geopolitica.
Usa e Urss grandi potenze antagoniste, l’Europa destinata ad un
inevitabile ridimensionamento. In questo quadro la smobilitazione
delle colonie si rivelò un punto fondamentale per la politica
internazionale del dopoguerra. Non solo. Dal punto di vista
economico i paesi liberi dal dominio europeo potevano essere
preziosi alleati per l’ideologia liberista o per quella comunista.
Spesso la decisione delle leadership indipendentiste se appartenere
a un campo o all’altro era puramente strumentale; la grande tragedia
della decolonizzazione sta quasi tutta in questa ingerenza.
Infatti la lotta di liberazione era condotta contro i paesi
occidentali MA con la mentalità, i valori, la logica politica
degli occidentali stessi. Le élite che guidavano i movimenti
indipendentisti – che fossero o meno socialistizzanti – erano
istruiti nei college inglesi o americani o francesi: pensavano alla
libertà del popolo ma secondo aspettative tipiche degli
europei: uno stato nazionale, una religione unica, una transizione
economica che mirasse all’industrializzazione e alla rapida crescita
economica.
La libertà politica muterà in breve in dipendenza
economica, in sottomissione ideologica e culturale, in spoliazione
delle ricchezze naturali e delle ricchezze culturali. Vediamo in che
modo si è realizzato questa rapina.
Economia
Premesso che i paesi in area comunista (Vietnam, Corea del Nord,
Laos e molti altri) non avevano possibilità di sviluppo per
molteplici ragioni, concentriamo la nostra attenzione sui modelli
adottati e imposti per la parte “libera” delle aree ex-colonie.
I paesi affrancati dal dominio coloniale furono invitati a seguire
il modello Rostow, cioè creare le condizioni perché si
ripetesse il miracolo dell’Inghilterra a fine ‘700 e giungere
così ad una società industrializzata (punto 1)
regolata dal libero mercato (punto 2) guidata da una borghesia
dinamica e influente (punto 3).
La cosa non funzionò.
I motivi sono in parte intuitivi – troppe le differenze! – in parte
che richiedono un po’ di approfondimento.
Frank Fanon nel suo “I dannati della terra” del 1959 ci parla di un
mondo abituato da decenni o secoli alla dominazione: uomini e donne
assuefati nel modo di pensare alla sudditanza. Anche fisicamente il
mondo coloniale è particolare: da una parte i quartieri
ricchi e lussuosi (una ricchezza spesso maggiore e sicuramente
più sfacciata di quella della madrepatria) dall’altra
città malfamate, sovraffollate, strade sporche, con grande
povertà. “I rapporti tra coloni e colonizzati sono rapporti
di massa”.
Dal punto di vista storico dobbiamo evidenziare l’importanza del
processo 1945-1970 (o anche e meglio 1896-2008) sul momento (anno di
indipendenza).
Le differenze di ricchezza nord-sud sono mutate profondamente nel
corso del processo di colonizzazione e decolonizzazione:
P. Bairoch ha tracciato un percorso su base 1 per dare l’idea del
progresso nelle diverse aree del pianeta:
EUROPA
RESTO DEL MONDO (Cina e India)
1850
1
1
1900
35
2
1950
135
5
1990
412
9
È lo sviluppo del sottosviluppo, non crescita autonoma.
È anche la ragione dei flussi migratori verso le zone di
sviluppo. N.B. I processi di globalizzazione (vedi sezione)
allargano drammaticamente la forbice.
da completare...
Visto dall’altra parte
Consapevoli dell’impossibilità di fornire una visione
realistica del pensiero e dell’esperienza dal punto di vista dei
colonizzati, questa sezione è un piccolo contributo
contro quella deprecabile pratica di trattare qualunque problema
assumendo tutte le parti: degli sfruttati, degli sfruttatori, dei
generosi e dei cinici. Così avviene sui giornali, sulle
Tv, nelle Ong, nei siti internet, nelle manifestazioni
antirazziste….spesso la voce dei veri protagonisti resta sullo
sfondo, ai margini: sono gli europei o i loro discendenti, che
massicciamente inondano i mezzi di informazione con una storia del
dominio coloniale basata su luoghi comuni e amnesie, nonché
con spiegazioni socio-economiche del sottosviluppo al limite
dell’incomprensibilità. Ecco perché si conclude con un
intervento di Doudou Diene e una storia recentissima, ma
identica a mille altre dell'Africa, di guerra e di ipocrisia.
Le quattro “emme” del colonialismo
Gli africani parlano della colonizzazione citando le "quattro emme"
:
La prima M è riservata ai monaci. Sono stati loro, in
qualità di missionari, i primi ad arrivare.
Dopo sono arrivati i militari. Le nuove leggi, del commercio, del
lavoro e delle tasse, dovevano pur essere imposte con la forza.
Nell’Ottocento la chiamavano civilizzazione; nel dopoguerra
Sviluppo. Oggi modernizzazione oppure libertà (!), almeno
secondo George W. Bush.
Con l’ordine ristabilito, poterono arrivare i mercanti. Il libero
commercio imposto a tutto il mondo, questa è la sostanza
della globalizzazione.
L’ultima emme è riservata ai memorialisti. Una volta
destrutturata la società indigena, intellettuali, professori,
economisti, politici, storici si sono gettati in un’opera pazzesca e
devastante: riscrivere la memoria storica, la cultura e
l’identità dei popoli dominati. Naturalmente per fare questo
andava distrutta l’identità esistente.
(Intervento di Doudou Diene, funzionario Onu, a San Rossore nel
luglio 2008)
Le guerre d’Africa
(A proposito della guerra della Repubblica Democratica del Congo –
l’ennesima guerra d’Africa - e dei suoi governi corrotti)
"… Al di sopra di tutti questi falchi ci sono le multinazionali,
principalmente anglosassoni, che nell’ombra tirano le fila del
gioco. Sono loro i veri mandanti di tutte queste guerre grazie alla
loro influenza economica sulla politica estera dei loro governi. La
prova evidente è rappresentata dalla crisi finanziaria
internazionale che ha scosso seriamente il mondo occidentale
disarticolando il sistema bancario. Consapevoli della
fragilità dei loro regimi, i governi occidentali si sono
uniti per sostenere le banche - una cosa mai vista in un regime
capitalistico - invece di sanzionarle per il loro fallimento.
La crisi permette di capire le cause nascoste della guerra in Africa
orientale, in particolare nel Kivu, così come è
successo in Afghanistan con il gas del mar Caspio e in Iraq con il
petrolio. La Rdc possiede petrolio, diamanti, gas, oro, legname,
niobio, coltan e altri prodotti preziosi. Le multinazionali non
arretrano di fronte a nulla, e hanno uomini influenti all'interno
dei governi occidentali e delle istituzioni internazionali per
servire le loro cause e i loro interessi, per orientare le grandi
decisioni nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La
debolezza delle missioni di pace dell’Onu in Angola, in Ruanda, in
Bosnia Erzegovina, in Somalia e adesso nella Repubblica Democratica
del Congo non è casuale. Si tratta di fallimenti voluti e
programmati, che favoriscono queste politiche di controllo dei
governi e delle loro ricchezze e la creazione di stati deboli e
incapaci di imporsi.
L’unico modo per riportare la pace, la sicurezza e lo sviluppo nella
regione dei grandi laghi è impegnarsi a combattere i veri
beneficiari di questa guerra.
Le Pontentiel, Repubblica democratica del Congo (da Internazionale
del 7/11/2008).
Parte III – 1914-1945
Le alleanze pre-guerra
FR e GER erano divise da vecchie ruggini, a partire dai territori
dell’Alsazia-Lorena che la Germania aveva strappato alla FR nel
1871. GB e GER erano le concorrenti mondiali nel risiko del
colonialismo: Africa e Pacifico erano i fronti caldi della contesa.
Le alleanze erano pertanto quasi di ordine naturale: da una parte
FR-GBe Russia, dall’altra GER, impero austro-ungarico e impero
ottomano (aveva perso il treno della seconda industrializzazione ed
era in tutto e per tutto dipendente dai capitali tedeschi). E
l’Italia. Indecisa come al solito! Legata dalla triplice alleanza a
GER e AUS era sempre meno convinta della scelta. Infatti quando
scoppiò la guerra, il governo di Roma, si appellò
all'articolo 4 che sanciva la situazione di guerra difensiva, e si
dichiarò neutrale.
Cina
Formalmente indipendente, la sua arretratezza consente a tutti i
paesi europei di penetrarvi ecnomicamente e, talvolta, costituire
sul territorio delle colonie indipendenti: Hong Kong per GB, Tapei
il Portogallo, Nanchino l’Italia ecc. Nel 1900 alcuni giovani cinesi
si ribellano alle “multinazionali” europee ma vengono trucidati dai
soldati stranieri. I disordini offrono un nuovo spunto per
colonizzare ulteriormente l’ex impero celeste. La parte nord-est
della Cina (la penisola della Manciuria, le isole Sakhalin e la
Corea), diviene terra di contesa tra Giappone e Russia. Nel 1905
scoppia la guerra, perché lo zar – sicuro di vincere –
rifiuta ogni intesa. Ma vince il Giappone: per la prima volta nella
storia un paese asiatico batte uno stato europeo.
Equilibrio internazionale:
FR preoccupata per l’espansionismo tedesco, cerca di intessere
accordi diplomatici con mezzo mondo. La GER invece compie una serie
di errori o sconfitte diplomatiche.
1° sconfitta diplomatica: FR e GER si contendono il Marocco.
Viene fatta la conferenza internaz. E tutti sono favorevoli alla
Francia. GB si comportò da protettrice della FR. All’epoca FR
e GB erano militarmente molto più forti della GER, che
ingoiò il boccone amaro.
2° sconfitta diplomatica: tentò un accordo con la Russia.
Lo zar però si rimangiò la parola una volta tornato in
Russia. I suoi consiglieri erano molto più vicini al mondo
anglo-francese (il francese era, da secoli, una lingua parlata alla
corte dello zar).
3° sconfitta diplomatica: nel 1907 GB e RUS sottoscrivono un
accordo di spartizione del Medio Oriente. L’intesa GB-FR-Russia
mette la GER nella condizione di essere accerchiata.
4° sconfitta diplomatica: nel 1913 l’Italia non rinnova la
triplice intesa. Si sfila l’alleato a sud, che diviene anche un
potenziale nuovo alleato dei suoi antagonisti.
Crisi Balcanica
Un altro fronte caldo era il nord Africa. La FR invade militarmente
il Marocco, mentre la GER invia una flotta per impedirlo. Sono i
generali inglesi che – intimando alla GER la possibilità di
un attacco – fanno retrocedere le truppe del Kaiser. La GER
però si sta attrezzando rapidamente per recuperare il gap
dalla Gran Bretagna.
LA GUERRA
Riguarda paesi imperialisti mossi dalla volontà di ridefinire
– o proteggere – i rapporti di forza nello scacchiere
mondiale. Il 28/06/1914 a Sarajevo un giovane anarchico
bosniaco spara – uccidendolo – al principe ereditario di Austria
Francesco I. Lo fece – ironia della sorte! – per sostenere
l’annessione della Bosnia alla Serbia. Per reazione l’AUS
inviò alla Serbia una lista lunghissima di condizioni
sottoposte a ultimatum (e non a trattativa). La crisi va avanti un
mese circa, al termine del quale la Serbia rifiuta un punto solo; ma
è sufficiente all’AUS per dichiararle guerra: è il 28
luglio 1915. Il gioco delle alleanze porta, nel giro di una
settimana mezzo continente in guerra:
la RUS corse in aiuto dei fratelli serbi
la GER intimò alla RUS il ritiro, di fronte al no
dichiarò guerra alla RUS;
FR e Belgio andarono in aiuto dell’alleato russo
GER e AUS inviarono un ultimatum anche a loro, determinato una nuova
dichiarazione di guerra e l’ingresso nella contesa della GB,
principale alleato della FR. Turchia e Bulgaria entrarono a fianco
degli imperi centrali.
Avvicinando lo sguardo oltre la combinazione delle alleanze vediamo
un grande nervosismo negli stati maggiori dei vari paesi. La
propaganda internazionalista del socialismo indicava infatti il
rifiuto da parte delle masse dei lavoratori a combattere la guerra
imperialista: in molti temevano il boicottaggio dei seguitissimi
partiti marxisti. E invece la propaganda nazionalista ebbe la meglio
sulla propaganda socialista: tutti i partiti socialisti si
schierarono con i rispettivi governi. Solo in Italia, Serbia e
Russia i socialisti erano contrari. In FR il leader Jaurés
pacifista fu ucciso alla vigilia della guerra.
I cittadini e i capi di stato erano convinti che il conflitto
sarebbe stato breve e che si sarebbe concluso con una vittoria. I
tedeschi avevano in mente il 1871, gli alleati le scaramucce di
inizio secolo.
La grande guerra
Piano Schlieffen (dal nome del capo di stato maggiore) era il
progetto per attaccare e battere rapidamente la FR, per poi
liquidare GB prima che riuscisse a costituire un forte esercito di
terra. A quel punto le operazioni sarebbero proseguite in Russia per
conquistare importanti territori ad est.
Invece il conflitto prese subito un’altra piega. Conquistato il
Belgio le truppe tedesche puntarono verso Parigi ma furono bloccati
lungo il fiume Marna. Helmuth Ludwig Von Moltke (ger) e Joseph
Joffre (fra) erano i generali che condussero la battaglia: entrambi
attestarono gli eserciti lungo un confine mobile costituito da
enormi trincee. Resterà questa la tipologia del conflitto:
armi troppo potenti per un combattimento a campo aperto, ma non
abbastanza per entrare nel territorio avversario. Il gioco delle
alleanze allarga il campo – e allunga le trincee – in tutta Europa:
entra la Turchia, l’Austria, la Russia e molti altri alleati minori.
La guerra prosegue su fronte occidentale (Ger-Fra) e il fronte
orientale (Ger/Aus – Rus). Vengono conquistate dalle truppe tedesche
la Polonia, la Serbia e il Belgio. Ma il grande attacco lanciato nel
1916 nella zona di Verdun viene respinto dai soldati dell’Intesa (si
chiama così il fronte di alleati costruito intorno a Francia
e GB). Siamo nella primavera, in estate invece c’è la
controffensiva per alleggerire il fronte lungo il corso della Somme
(tra l’altro la prima battaglia che vide impiegati dei rudimentali
carri armati). La dimensione della carneficina prodotta dalla guerra
sta tutta nei numeri di queste due battaglie: circa 600.000 a
Verdun, più di 1 milione per la Somme.
Nel fronte sud, senza ripetere gli stermini del nord Europa, la
battaglia si svolgeva lungo il corso impervio delle Alpi – tra ITA e
impero Austroungarico – con una leggera supremazia austriaca.
Le difficoltà della GER a portare a termine la guerra
convinsero il Kaiser a cambiare i vertici militari: vi giunsero due
nomi importanti per la storia seguente del paese Paul von Hindenburg
e Eric Ludendorff. Ma le cose non cambiarono.
La svolta l’abbiamo nel 1917 con l’ingresso in guerra degli Stati
Uniti. Evento ancora oggi legato ad una serie di leggende su questo
inspiegabile ritardo, ma comunque indotto dalla guerra sottomarina
che la GER conduceva per impedire i rifornimenti navali ai paesi
dell’Intesa. L’affondamento di convogli statunitensi dette la
motivazione per un coinvolgimento della potenza americana a fianco
degli inglesi. Il 6 aprile 1917 il presidente Woodrow Wilson
dichiarò guerra alla Germania. La propaganda diceva che
combattere in Europa servisse per sostenere la libertà e la
democrazia, ma c’erano anche interessi economici vitali per il
paese: i crediti verso l’Europa occidentale e la possibilità
di mantenere e allargare il commercio internazionale.
Nel giro di pochi mesi però le cose si mettono bene per i
tedeschi. La Russia collassa, l’esercito va in rotta e Pietrogrado
(allora capitale imperiale, oggi San Pietroburgo) sembra sull’orlo
della rivoluzione. Ad ottobre gli austriaci sfondano il fronte di
Caporetto e penetrano in tutto il Friuli e il Veneto. La caduta
dell’Italia è sventata dalla resistenza sul Piave. In questo
anno, in tutti gli eserciti, cresce il fenomeno della diserzione e
del rifiuto della guerra. La rivoluzione d’ottobre accenderà
ulteriormente la miccia dell’internazionalismo pacifista.
1918
A marzo c’è la firma di Brest-Litovsk per la pace separata
tra GER e RUS. Tutto l’esercito tedesco marcia su Parigi, ma
l’Intesa ricca di rifornimenti made in Usa tiene bene in quella che
è conosciuta come 2ª battaglia della Marna. In estate
inizia la controffensiva decisiva. Lo stesso fa l’Italia contro le
truppe austriache. A settembre con un milione di americani in suolo
europeo la guerra è decisa. L’11 novembre lo stato maggiore
tedesco si arrende a inglesi francesi e americani.
L’Italia in guerra
Nel 1914 l’Italia è neutrale. La triplice alleanza era ormai
lettera morta; nessun altro trattato era stato sottoscritto. Una
situazione che oggi appare di grandissimo vantaggio, ma che
all’epoca diede vita ad un dibattito durissimo, innescato dagli
interessi delle grandi lobbies industriali e finanziarie. Da una
parte c’erano i nazionalisti e i futuristi, intellettuali e
studenti, dall’altra i neutralisti classe operaia e partito
socialista. I liberali di sinistra sostenevano un’ingresso in guerra
dalla parte della Gran Bretagna e della Francia. Ma fu il re –
approfittando della caduta del governo Giolitti (contrario
all’entrata in guerra) – a stipulare a Londra nell’aprile 1915 un
patto segreto per aprire un fronte sud contro gli imperi centrali.
Cosa ottenne in cambio? Poco. Il sud Tirolo e l’Istria. Gli imperi
centrali, con cui lo Stato Maggiore aveva trattato un possibile
accordo prima di propendere per l’offerta inglese, offrivano quasi
la stessa cosa (Savoia anziché Tirolo). Il 24 maggio l’Italia
entrò solennemente in guerra.
Il primo ministro era Salandra; il generalissimo Cadorna. Il fronte
di guerra su cui mandare migliaia di ragazzi si dispiegò
lungo tutte le alpi orientali Trentino, Veneto e Friuli. L’esercito
si dimostrò inadeguato alla guerra da trincea, con soldati
male addestrati (e pochissimo motivati) e attrezzature obsolete.
Quando nel 1917 l’Austria lanciò l’attacco con i gas chimici
e una tattica di aggiramento il fronte di Caporetto fu sfondato e
gli italiani ripiegarono per centinaia di chilometri. La linea del
Piave funzionò da argine – siamo in ottobre con il fiume in
piena - per bloccare l’invasione austriaca. La disfatta porta al
cambio di governo e dei vertici militari. Orlando è il primo
ministro, Diaz il capo di stato maggiore. Nell’estate del 1918
c’è la controffensiva vincente. La resa austro-tedesca del 3
novembre pone fine al conflitto. Per l’Italia una vittoria amara,
con 600 mila morti, altrettanti feriti gravi e un’economia allo
stremo. L’unica speranza era racchiusa nella partecipazione, come
stato vincitore, al tavolo di pace di Versailles.
Guerre mondiali
In questa sezione...
La prima guerra
La Grande Guerra
La prima guerra mondiale è conosciuta anche con il termine di
“Grande Guerra” perché così apparve alle popolazioni
che vi si trovavano coinvolte. Era una guerra “Grande” non solo per
estensione dei fronti e per numero degli stati coinvolti: mai prima
c'erano stati tanti soldati in trincea, tante armi in dotazioni agli
eserciti, tante industrie impegnate a sostenere lo sforzo bellico.
E inoltre il mondo veniva da cento anni di “quasi pace”.
Per gli anziani della prima parte del ‘900 “pace” significava “prima
del 1914”. Dalla resa di Napoleone le guerre erano state poche,
lontane e senza conseguenze. C'era stata la guerra di Crimea
(1854-1856) [1] , la guerra civile americana (1861-1865) , le guerre
di espansione della Prussia (1866 e 1871) e dell'Italia (1859-61 e
1866). A questi scontri si aggiunsero i conflitti coloniali e le
battaglie tra paesi imperialisti: nelle città europee gli
echi di queste guerre giungevano quasi come racconti d'avventura,
circondati da un'aurea di leggenda ed esotismo. Tutto cambiò
nel 1914.
I fatti
Il conflitto mondiale si scatenò in seguito all'ultimatum
dell'Austria-Ungheria alla Serbia agitata da spinte
indipendentistiche.
La contrapposizione vide da una parte gli imperi centrali Germania e
Austria-Ungheria e dall'altra la triplice intesa Gran Bretagna,
Francia e Russia . Gli imperi centrali ottennero l'aiuto dell'impero
ottomano – in drammatica decadenza – e della Bulgaria (stati
nell'area di influenza economica tedesca). La Triplice intesa
riuscì a costruire nel tempo un ampio schieramento
comprendente la Grecia, la Romania, l'Italia (dal 1915) e gli Stati
Uniti (dal 1917).
Quale l'obiettivo della Germania?
La Germania pensava a una guerra lampo con lo sfondamento del fronte
francese e la capitolazione della vecchia antagonista, una replica
del 1871 insomma. Ma non andò così, per quanto nel
1914 le operazioni sembravano dare ragione allo stato maggiore
tedesco.
Cosa successe?
Arrivati sulla Marna le posizioni si attestarono: i francesi,
supportati da reparti belgi e inglesi, scavarono migliaia di trincee
dalla Manica alla Svizzera formando il cosiddetto “fronte
occidentale” che rimase quasi immutato per tre anni e mezzo.
I numeri della catastrofe
La tragedia del fronte occidentale si trova nei numeri dei
combattenti: i francesi persero il 20% degli uomini in età
militare; la Gran Bretagna perse mezzo milione di uomini, in gran
parte giovani di Oxford e Cambridge; la Germania ebbe numericamente
le perdite più alte, ma la quota dei giovanissimi era meno
rilevante (più ampia la fascia di età della chiamata
alle armi). Gli Usa ebbero 116.000 caduti, un terzo di quelli della
II guerra mondiale, ottenuti però in un solo anno e mezzo di
combattimenti (contro i 3 anni e mezzo del 1942-45) concentrati nel
fronte francese. Le battaglie più tragicamente note sono
quelle su Verdun nel 1916 che vide impegnati 2 milioni di uomini e
causò 1 milione di morti; e la controffensiva inglese sulla
Somme, che costò la vita a 420.000 soldati dell'Intesa;
60.000 il primo giorno di offensiva.
In confronto a Napoleone
Per capire come il Novecento abbia introdotto la guerra totale
(fatta oltre che dai soldati, dai lavoratori delle industrie e
dipendente dalla quantità delle risorse e di materiali) basta
un confronto con le guerre napoleoniche. Napoleone sconfisse la
Prussia a Jena nel 1806 con non più di 1.500 salve di
artiglieria. All'inizio della IGM la Francia aveva pianificato di
produrre 12.000 granate al giorno. Alla fine del conflitto
arrivò a produrne 200.000 al giorno. Le guerre mondiali
fecero fare un salto di qualità anche nella produzione di
massa e nell'organizzazione del lavoro.
L'Italia e il fronte orientale
Il fronte orientale si rivelò più fluido. Le truppe
degli imperi centrali occuparono con relativa facilità i
Balcani e la Polonia. La Russia si ritrovò a combattere una
guerra di retroguardia mentre Romania e Serbia capitolarono in
breve. Gli alleati speravano di risalire da sud grazie all'entrata
in scena dell'Italia. Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto,
furono necessari supporti militari da contingenti stranieri per
resistere alla controffensiva austriaca.
La fine della guerra
Lo stallo militare sul fronte occidentale fu superato nel 1918
quando la Germania firmò a Brest-Litovsk la resa della Russia
andata in mano ai bolscevichi e gli Stati Uniti entrarono a fianco
dell'Intesa. Lo sfondamento del fronte in direzione Parigi fu
l'ultimo successo militare della Germania: la controffensiva di
inglesi, francesi e americani nell'estate del 1918 fu rapida e
vincente. La guerra finì l’otto novembre 1918, lasciando sul
campo dieci milioni di uomini .
Le caratteristiche
La Grande Guerra rappresenta un punto di rottura nello scorrere
della civiltà occidentale (diversa è invece la
percezione del 1914-1919 nelle altre civiltà: islamica,
indiana, orientale) e rappresenta anche un modo nuovo di concepire
il conflitto tra stati.
Si possono individuare quattro elementi indicativi di questo
mutamento:
1 – Mobilitazione totale
2 – Tecnica e la tecnologia si dimostrano determinanti per la
vittoria militare. Molto di più dell'abilità
strategica o del coraggio dei combattenti
3 – Lo stato interviene pesantemente con tutto l'apparato
industriale e con la possibilità di pianificare l'intera fase
di produzione e distribuzione della ricchezza
4 – Controllo dell'opinione pubblica e il ruolo della propaganda
diventano fattori decisivi per la conduzione della guerra.
Da questo sintetico quadro risulta evidente il legame tra la prima
guerra mondiale e il successivo sviluppo di regimi totalitari che
mantengono, in periodo di pace, molte delle condizioni adottate per
rispondere all'emergenza della guerra. Si pensi principalmente alla
militarizzazione della cultura, ovvero all'enfasi posta sui valori
di patria, di obbedienza all'autorità, di mobilitazione di
massa all'interno delle strutture nazionali (associazionismo
sottratto ai partiti, alla chiesa, ai sindacati ecc.). Inoltre non
si può dimenticare il decisivo apporto dei reduci, all'ascesa
delle formazioni politiche di estrema destra, come il fascismo in
Italia e il Nazionalsocialismo in Germania. Peraltro lo stesso
Hitler era uno dei tanti reduci del fronte che non si sono integrati
nell'Europa post-bellica.
Dal punto di vista della percezione della realtà, la guerra
introduce nelle società europee l'idea del nemico totale e
dell'adesione incondizionata a questa contrapposizione: un vero e
proprio aut aut mentale che lo stato impone ai suoi cittadini: o con
me o contro di me! Chi non collabora o è neutrale è
visto come un nemico. La distruzione del dissenso emerge come
capitolo importante della politica interna dei nuovi governi nel
dopoguerra: un'eredità antidemocratica della guerra molto
diffusa tra le due guerre (e anche in seguito…).
Dall'altro lato della medaglia c'è invece il sorgere di un
vero e proprio sentimento pacifista di massa. La dimensione
spaventosa del conflitto e la percezione della sua inutilità
per le popolazioni, provocarono un vasto movimento di opinione
favorevole al disarmo, all'antimilitarismo, alla pace come obiettivo
politico prioritario. Poeti, artisti, intellettuali agirono da spina
dorsale della nuova corrente di pensiero: una posizione soltanto
marginalmente recepita dai governi, troppo poco per impostare
relazioni internazionali sinceramente tese a stabilire un ordine
pacifico, ma abbastanza per procrastinare sine die ogni ferma presa
di posizione verso le minacce militari di Germania e Giappone.
Questa però è un'altra storia.
Perché la guerra?
La famosa “scintilla” fu l'attentato di Sarajevo. Le alleanze
militari spiegano tecnicamente la composizione degli schieramenti.
Ma questo non è sufficiente per giustificare una tragedia
continentale di tale portata. Quella che è stata descritta
anche come “il suicidio dell'Europa” ha segnato il passaggio agli
Stati Uniti d'America del ruolo leader dell'economia mondiale.
Quindi, come è stato possibile?
Se una risposta univoca non esiste, possiamo tracciare una serie di
motivazioni che, sovrapposte, offrono un quadro plausibile del
perché gli statisti europei non sono riusciti a evitare una
inutile carneficina.
Guerra breve
Nessuno immaginava una guerra più lunga di qualche settimana,
massimo qualche mese. I ricordi affondavano alle gloriose battaglie
di Von Bismark, che sbaragliò l'esercito di Napoleone III in
pochi giorni, oppure all'epopea napoleonica dove la guerra era
composta da una serie di battaglie campali, gestite poi in sede
diplomatica.
L'inferno delle trincee, sostenute da popoli interi, fu un fatto
inedito che colse alla sprovvista tutti: soldati, generali, capi di
stato. Ma, in ogni caso, le forze in campo avevano un equilibrio che
non permetteva a una parte di soverchiare con decisione l'altro.
Perché non si fermarono una volta che i fronti raggiunsero lo
stallo?
La mentalità che aveva guidato le scelte degli statisti fino
ad allora non era stato quello della guerra fino alla morte. Cosa
avrebbero fatto i vari Bismark o Telleyrand al posto dei governi
coinvolti nella Prima guerra mondiale? Probabilmente avrebbero
trovato una via di uscita diplomatica nel momento che le posizioni
si erano attestate. Se andarono avanti tre anni a massacrarsi sulle
trincee significa che era cambiata la posta in palio. La guerra non
era più finalizzata a obiettivi limitati: la Germania voleva
una posizione di predominio politico pari a quello britannico, il
che avrebbe relegato a un rango inferiore la potenza inglese
già in declino. Era un aut aut. La Francia doveva bilanciare
l'espansione economica e demografica della Germania. Per tutti
l'obiettivo era assurdo e autolesionistico e cacciò l'Europa
in un tunnel senza uscita.
E' da notare come che una delle spinte maggiori alla costruzione
dell'Europa venne all'indomani della seconda guerra mondiale dalla
necessità della Francia di modificare per sempre lo scenario
della competizione continentale tra i due paesi. In questo senso il
successo dell'Unione Europea travalica ogni considerazione di ordine
economico, sociale e culturale.
Consenso
La fase storica era favorevole agli interventisti. Lo sviluppo delle
società democratiche e di massa favorì la
comunicazione da parte di giovani intellettuali e spregiudicati
imprenditori, inclini all'azione, al gesto eroico, all'impresa
storica. C'era inoltre la guerra interna contro l'ideologia
socialista, a cui la guerra esterna sembrava essere un ottimo
antidoto (ideologia nazionalista contro ideologia socialista). La
massa di contadini e operai era sicuramente contraria alla guerra, e
questo comportò un grande sforzo da parte di tutti gli stati
per convincere le proprie truppe e il proprio popolo dell'importanza
del sacrificio.
La propaganda riuscì? Solo in parte!
E' vero che in fin dei conti la guerra fu fatta, e gli episodi di
ammutinamento e diserzione non furono mai determinanti. Però
è anche vero che le rivolte e le diserzioni furono di un
numero spaventoso: in alcune situazioni gli ufficiali francesi o
italiani si trovarono costretti a fucilare decine di soldati come
monito (in particolare è molto alto il numero dei soldati
italiani uccisi per diserzione nella rotta di Caporetto per
obbligare alla resistenza sul Piave); dopo la rivoluzione interi
reparti russi abbandonarono il fronte, o si rifiutarono
semplicemente di combattere. In generale la resistenza ad obbedire
agli ordini si è avuta dopo i primi mesi (quando l'illusione
della guerra breve fu del tutto dissipata) e in seguito alla
rivoluzione russa, quando le parole di pace e giustizia raggiunsero
con grande forza persuasiva tutti i fronti e tutti i paesi.
Non abbastanza in ogni caso, per ribaltare il destino della guerra.
Quali conseguenze?
La ricaduta sociale è, come abbiamo visto, molto alta. Dal
punto dell'assetto tra stati c'è da registrare la distruzione
degli imperi centrali e la nascita di uno stato sovietico nell'ex
Russia zarista. Vediamo stato per stato la situazione:
Usa
Propongono i 14 punti di Wilson [1] e lavorano per il ripristino del
sistema internazionale liberista. La difficoltà degli stati
europei si dimostra un limite invalicabile: ben presto tutti gli
stati abbracciano politiche di protezionismo economico. Gli Stati
Uniti hanno molte responsabilità perché si
disimpegnano completamente dalla SdN che hanno creato, lasciando al
suo destino Gran Bretagna e Francia.
Francia
Assume una posizione difensiva e vendicativa. Per avere mano libera
sulle riparazioni tedesche lascia l'intero Medio oriente alla Gran
Bretagna.
Gran Bretagna
Pensa di riprendere il controllo dell'economia mondiale in
virtù del suo vasto impero. L'estensione sui territori
mediorientali di Giordania, Palestina, Arabia e Iraq (Califfati
dell'ex impero ottomano trasformati in Stati Nazionali) poteva dare
l'illusione di una pronta ripresa.
Germania
Fu umiliata dai Trattati. In oscillazione tra la rivoluzione
(sfiorata nel 1919 quando furono assassinati i leader Rosa Luxemburg
e Liebknecht Wilhelm) e l'estremismo nazionalista, non riuscì
a consolidare la “repubblica di Weimar” intorno ad un consenso
stabile.
Italia
Benché vincente parla di “vittoria mutilata”. In
realtà ottiene confini più ampi sia dei meriti
militari sia dell'appartenenza etnica.
L'economia mondiale entra in una crisi senza via d'uscita. I livelli
di ricchezza del 1913 diventano un punto di riferimento quasi
“mitico”. Le politiche protezionistiche, adottate per salvaguardare
le economie nazionali, in realtà contribuirono pesantemente
alla catastrofe economica.
Per quanto riguarda lo scontro di ideologie, quanto emerge dalla
sezione riguardante i trattati di Versailles [2] è molto
esplicativo.
[1] La guerra di Crimea vide contrapporsi la Russia, interessata
all'apertura sugli stretti controllati dalla Turchia, contro Francia
e Gran Bretagna (a cui si unì anche il Piemonte Sabaudo). La
Russia ebbe la peggio.
La guerra degli italiani
Premessa: l'Italia entrò un anno dopo con i fronti già
attestati, per una mossa autonoma del Re che stipulò, a
Londra, un contratto che metteva nero su bianco il compenso per
l'ingresso dell'Italia tra i paesi dell'Intesa. Quindi il Re
portò il paese in guerra per avere il Trentino, il Friuli,
l'Istria e la Dalmazia. L'anno di neutralità vide una
durissima conflittualità ideologica tra interventisti e non
interventisti.
Nel 1911 la popolazione italiana contava 36 milioni di abitanti (2
dei quali però emigrati all'estero) in maggioranza ancora
legati al mondo agricolo. In altre parole il 58% erano contadini, il
24% addetti dell'industria e artigianato e solo il 17% impiegati nel
terziario.
Arruolati nell'esercito nel periodo 1915-18 furono 5.900.000 (su 7,7
milioni di famiglie); il reclutamento coinvolse cioè
statisticamente i 4/5 delle famiglie, anche se ci furono punte
diverse a seconda delle zone. In Toscana ad esempio quasi un uomo su
due fu impegnato nell'esercito: praticamente tutti i gruppi
familiari avevano un soldato in guerra. Il fronte si componeva di
circa 1 milione di uomini all'inizio e circa 2 alla fine.
Chi era in prima linea? In generale erano contadini, giovani mandati
a combattere per un'idea di patria che ignoravano e per delle
ragioni geopolitiche assolutamente incomprensibili. Spesso il
"contadino-soldato" era legato ai valori della terra e del
villaggio, non aveva istruzione, non parlava altra lingua che il
proprio dialetto; in breve non aveva tensione morale, ma semplice
ubbidiva agli ordini e alla chiamata dello Stato.
L'esperienza del fronte fu una esperienza devastante. Il sentimento
più diffuso fu lo sgomento per una realtà inaspettata.
Centinaia di poesie, diari e scritti ci danno testimonianza,
più delle fredde cifre – comunque 600.000 morti, quando
l'intero risorgimento ne costò 7.000 – della tragedia, dello
spavento, della rassegnazione vissuta nelle gallerie di fango
scavate per centinaia di chilometri lungo il confine con l'impero
asburgico.
Il Carso
Il fronte più tragicamente noto è quello del Carso, di
cui il fiume Isonzo rappresentò la linea naturale della
carneficina. Si contarono in tre anni 12 “battaglie dell'Isonzo”,
che significa come i morti non spostavano di un metro la situazione
militare. L'altopiano che seppellì, tra i due eserciti, quasi
un milione di giovani, è ondulato e brullo, caldissimo in
estate e battuto in inverno da venti gelidi da nord est, solcato da
caverne e ripari naturali. In questo ambiente le battaglie erano
svolte con la strategia degli assalti: quando l'ufficiale dava il
segnale al grido “Savoia”, i soldati semplici uscivano correndo
dalla trincea, baionetta alla mano, per andare verso la trincea
avversaria a qualche centinaio di metri di distanza. Raggiunta la
quale si innescavano sanguinosi corpo a corpo con armi bianche.
In quei momenti concitati e spaventosi la possibilità di
restare vivi era davvero molto bassa; non meno pericolosi erano i
bombardamenti con i cannoni da trincea a trincea o gli attacchi con
armi chimiche, ancora non vietate dalle convenzioni internazionali.
Oltre ai danni fisici e alla morte incombente, i militari della
grande guerra vissero un particolarissimo e molto diffuso stato di
perdita di coscienza e crisi di identità indotto dalla paura,
dalla confusione e dagli stenti della vita militare.
Le perdite dell'Italia nella prima guerra mondiale: 650.000 morti;
947.000 feriti, mutilati e invalidi; 600.000 prigionieri e dispersi.
Su 5.615.000 uomini mobilitati si ebbe un totale di 2.197.000
perdite, pari al 39 % degli uomini sotto alle armi.
Conferenza di Pace
Il 18 gennaio 1919 si apriva, nella reggia di Versailles, la
conferenza di Pace per stabilire gli assetti del dopoguerra. Ogni
stato aveva obiettivi diversi:
FR – umiliare la Germania
GB – spartirsi le colonie della Germania e i territori neutrali
USA – favorire il commercio internazionale
ITA – annettersi territori limitrofi e dominare nel Mediterraneo
Orlando, rappresentante dell’Italia, fu emarginato immediatamente.
Si affermò la volontà francese di umiliare la Germania
con condizioni durissime: i confini furono riportati a quelli del
1871, con l’annessione dell’Alsazia Lorenza e l’occupazione militare
della Rhur. Le colonie furono tutte perse. Ma la vera tragedia
furono i risarcimenti di guerra, che obbligarono il nuovo governo
socialdemocratico a una politica di ristrettezze assurda.
L’impero austro-ungarico fu smembrato e la corte asburgica
esautorata. Nacque la repubblica austriaca su un territorio grande
circa 1/6 dell’impero ottocentesco. Anche la Turchia perse tutto
l’impero, e rimase confinata nella penisola dell’Anatolia. I contesi
stretti di Dardanelli furono dichiarati liberi per tutti, ma sotto
controllo formale della GB.
Rivoluzione russa
Torniamo al 1915. La Russia zarista era l’anello autocratico
dell’alleanza dei paesi liberali. Un paese attraversato da problemi
di sviluppo giganteschi, che furono amplificati in modo drammatico
dallo scoppio del conflitto mondiale. L’evoluzione politica non
seguì il corso classico dei paesi europei. Una ragione
risiede nella composizione sociale.
La borghesia era ridotta a poche migliaia di rappresentanti e tutti
legati all’aristocrazia zarista. Quella che normalmente era un
centro progressista, in Russia era in realtà un ulteriore
versione di conservatorismo. Nel 1915 fu eletta una Duma
(parlamento) con compiti consultivi, la quale chiese alcune
timidissime riforme. Lo zar, Nicola II, viveva racchiuso nelle sue
dimore ed era talmente screditato che in molti pensavano alla sua
sostituzione. La crisi innescata dalla guerra rese le condizioni di
vita delle masse praticamente insostenibile. Nel febbraio 1917
iniziarono imponenti manifestazioni di protesta. Ne presero la guida
i partiti di sinistra: i socialdemocratici (in realtà
comunisti radicali) e i social rivoluzionari (partito socialista dei
contadini). Come strumento di opposizione riesumarono i consigli di
fabbrica i SOVIET, ora estesi anche a contadini e soldati. Per non
essere affossati insieme allo zar, i rappresentanti borghesi
esautorarono lo zar e assunsero il controllo del governo. Karenskij
– un liberale di sinistra – entrò nel governo pur essendo
molto vicino agli ambienti dei soviet. Altri rappresentanti di
prestigio erano L’Vov e Miljukov contrari alla pace con la Germania
e alla riforma agraria.
La discussione sul nuovo assetto istituzionale proseguì per
tutta l’estate accanto alle continue sconfitte militari. In seguito
ad altre manifestazioni di protesta fu varato un secondo governo
provvisorio. Ma il vuoto di potere era così forte che il
Soviet di Pietroburgo decideva insieme alla Duma le scelte di
politica generale. L’Vov era il premier e molti ministri erano
socialisti.
Nessuno aveva il coraggio di fare le due cose desiderate dalla
massa: la pace e la riforma agraria.
Fu un piccolo partito comunista a guidare il fronte della protesta
contro la politica del governo borghese: l’ala sinistra del partito
socialdemocratico guidata da Lenin e Trokji, detti bolscevichi. La
figura chiave della rapidissima espansione dei bolscevichi fu quella
di Ilic Lenin. Rientrato dalla Svizzera (con l’aiuto dei tedeschi)
Lenin presentò le sue tesi di aprile come un programma
politico per il paese:
1. Fine immediata della guerra
imperialista
2. Potere al proletariato (operai e
contadini)
3. Nessun appoggio al governo borghese
4. Conquistare la maggioranza nei
Soviet
5. Affermare il potere di democrazia
diretta dei Soviet sul modello della Comune di Parigi
6. Espropriazione delle terre ai
grandi proprietari
Era una proposta realistica, su cui lottare da subito. Gli altri
partiti erano meno lineari nelle posizioni.
Con le sommosse di agosto cadde il governo e fu sostituito
dall’esecutivo a guida Karenskij. Indeciso se proclamare la
repubblica e allearsi ai bolscevichi, oppure perseguire la linea
borghese e sopprimere le manifestazioni antigovernative Karenskij
riuscì a inimicarsi tutti i partiti presenti in Russia.
A settembre i Soviet di Mosca e Pietroburgo diedero la maggioranza
ai bolscevichi, aprendo così alla prospettiva di un colpo di
mano. L’insurrezione fu preparata in segreto anche se in molti si
aspettavano la presa del potere. A condurre le operazioni fu il
comitato centrale del partito bolscevico con affiliati in tutti i
settori delle forze armate russe (ci si riferisce sempre alle
metropoli Mosca e San Pietroburgo, all’epoca Pietrogrado). Il 24 e
25 ottobre le guardie rosse (la milizia del partito) occuparono
senza difficoltà il Palazzo d’Inverno, sede del governo. Al
congresso del Soviet gli altri partiti socialisti non approvano la
presa del potere. Da quel momento le sorti della Russia sono tenute
dal governo provvisorio composto da “commissari” dei partiti
proletari.
Il primo passo del governo a guida bolscevica fu l’apertura di una
trattativa di pace separata con la Germania. Nel frattempo andava
guadagnata la fiducia in tutto il paese. Le resistenze furono molte.
Mosca riconobbe il nuovo potere il 15 novembre, nel resto del paese
la situazione restò fluida e in molti casi si ebbero scontri
a fuoco tra le diverse fazioni. A gennaio 1918 erano previste le
elezioni per l’assemblea costituente a suffragio universale. A
sorpresa non vince il partito bolscevico ma il partito
socialrivoluzionario, molto più moderato e riformista. Lenin
non accetta di lasciare il potere e scioglie l’assemblea. Secondo
lui il nuovo potere doveva venire dai Soviet e non dal parlamento:
lì in effetti i bolscevichi avevano la maggioranza (votavano
solo le categorie proletarie con una logica di delega e non di
rappresentanza).
Pace di Brest-Litovsk – marzo 1918, pace separata con la Germania.
La storia della Russia si separa da quella del restante continente
europeo. Una strada che si ricongiungerà solamente nel 1989.
Il primo dopoguerra
GB – è il paese messo meglio, grazie alle colonie. Inoltre
dai trattati di Parigi ha acquisito il controllo di territori
ricchissimi di petrolio, la nuova fonte di ricchezza energetica. In
politica interna le elezioni premiano i liberali che formano il
governo in coalizione con i conservatori. In crescita il partito
laburista, che si appoggia anche alle forti organizzazioni
sindacali: è una sinistra che non mette mai in discussione il
sistema capitalista. Un caso quasi unico in Europa. L’economia
però va male, l’industria si scopre vecchia e l’export si
salva solo grazie alle dominions.
FR – La crisi favorì le rivendicazioni del sindacato CGT:
furono concesse le otto ore di lavoro e molto altro. Nasce anche il
partito comunista francese (PCF) che aumentò l’opposizione al
governo di centro destra.
GER – Il paese uscì distrutto dalla guerra. Il re in fuga,
rimasero in piedi lo Stato Maggiore (ovvero la gerarchia militare) e
le organizzazioni di sinistra: SPD, sindacato, KPD (comunisti). In
questo clima di smobilitamento viene proclamata la repubblica:
è il 9 novembre 1918. Il governo provvisorio vede la
compartecipazione del partito socialdemocratico SPD, dei militari e
dei conservatori. I comunisti intanto aumentano consensi e forza.
Guidati da due intellettuali di statura mondiale Rosa Luxemburg e
Liebknecht iniziano una serie di manifestazioni antigovernative che
fanno pensare ad una possibile insurrezione. La reazione è
durissima: repressione nelle strade di Berlino e Monaco e assassinii
eccellenti: prima Liebknecht, poi Luxemburg, quindi Eisner guida del
partito comunista a Monaco. La capitale della Baviera ad aprile
proclama la “repubblica dei soviet”, un’esperienza finita nel sangue
già a maggio. Nel frattempo si era votato; le elezioni del
gennaio avevano decretato il successo del SPD (37%) che guidarono
così il primo governo della cosiddetta repubblica di Weimar
(cittadina in cui fu presentata la Costituzione) insieme a cattolici
e liberali democratici. Presidente della Repubblica fu Erbert,
anch’egli socialdemocratico. Il nuovo assetto prevedeva una
struttura federata in 17 lander, un Reichstag con potere legislativo
e di nomina del primo ministro (cancelliere) e un presidente della
repubblica (kaiser) eletto direttamente con ampi poteri. Già
nelle elezioni del 1920 i socialisti persero consensi, e il governo
passò ad una guida di centro.
AUSTRIA – Perso tutto l’impero e decaduto il potere della corona
degli Asburgo, viene proclamata la repubblica. Anche qui il partito
maggiore è il socialdemocratico.
UNGHERIA – Nuovo stato, e nuova repubblica parlamentare. Strutture
statali deboli, e così i comunisti seguendo l’esempio russo
proclamano la presa del potere da parte dei Soviet. A guidare la
rivolta è Bela Kun carismatico leader comunista. Si scatena
la guerra civile, vinta dai controrivoluzionari grazie all’aiuto
militare di cechi, romeni e altri combattenti stranieri. Dopo un
periodo di terrore rosso, si scatenò il terrore bianco. Nel
1920 fu ripristinata la monarchia.
TURCHIA – doveva essere spartita tra i vincitori, ma i nazionalisti
di Kemal Ataturk si oppongono con le armi alle truppe straniere.
Ottengono la revisione dei trattati firmati dal Sultano e nel 1923
nasce la repubblica con Kemal Ataturk eletto presidente. Uno stato
laico e una popolazione islamica. Per gli alleati andava bene in
ottica anti-bolscevica (isolare la Russia) e per aver risolto
l’annosa questione degli stretti, che vennero aperti per tutti.
L’Italia riuscì a mantenere il Dodecaneso (Rodi e altre
isole).
Questo rapido quadro della situazione post-guerra mette in risalto
il fallimento di tutte le rivoluzioni comuniste. Un passaggio chiave
nello sviluppo del continente europeo, perché la teoria
marxista prevedeva che la riuscita della rivoluzione in un grande
paese avrebbe spezzato la catena dei paesi capitalisti e aperto la
strada alla rivoluzione mondiale. Invece il sistema tenne. Vediamo
perché:
1. Borghesia forte, economicamente e
culturalmente
2. Fronte anticapitalista diviso tra
socialisti e comunisti, riformisti e rivoluzionari
3. Consenso popolare anche per i
partiti cattolici (non c’era unità nei ceti sociali poveri)
4. Movimenti nazionalisti
antisocialisti in crescita di consenso
III internazionale
Nasce nel 1919 per volontà dei bolscevichi. Sostituisce la
gloriosa II internazionale, crocevia e laboratorio di idee di mezzo
secolo di socialismo. Questa assemblea era invece una internazionale
comunista a pensiero unico, quello del partito bolscevico. Infatti i
riformatori e i fautori di un socialismo da realizzare tramite il
sistema parlamentare furono espulsi dall’assemblea. In breve tempo
diventa uno strumento con cui i bolscevichi controllano i partiti
comunisti di tutto il mondo.
ITALIA
I trattati di Versailles ebbero un esito umiliante per l’Italia. La
stampa parlò di vittoria mutilata, senza neppure la
città di Fiume e la Dalmazia. Si creò un clima di
confusione istituzionale e tensioni crescenti tra pulsioni popolari
opposte. La sinistra acquisì grande forza, il partito
popolare divenne riferimento dei ceti medi moderati, mentre cresceva
in ambienti importanti il fascino della politica nazionalista di
estrema destra. Il 21 gennaio 1921 il PSI si spacca e nasce a
Livorno il Partito Comunista Italiano guidato da Amedeo Bordiga,
Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. A differenza dei socialisti,
conquistati all’idea del riformismo parlamentare, gli esponenti di
“Ordine Nuovo” (la corrente di sinistra del Psi prima della
scissione, che operò dal '19 al '21) pensavano ad un processo
rivoluzionario costruito sul modello dei soviet.
Nel 1919 un ex socialista, Benito Mussolini, fonda i fasci di
combattimento, ottenendo clamorosamente generosi sostenitori tra
industriali e agrari. Iniziano le azioni intimidatorie verso il
mondo socialista, compiute in un contesto di incredibile
impunità. Ad aprile viene incendiata la sede dell’”Avanti” il
quotidiano socialista. Nell’estate ci sono violente manifestazioni
con l’occupazione delle terre al sud e saccheggi dei negozi nelle
città. In molti chiedevano reazioni dure. Ma le elezioni
danno un esito inedito; il PSI è il primo partito (32%) il
partito popolare al 20% e poi gli altri moderati e conservatori.
Giolitti tornò alla guida del governo, e promosse alcune
riforme in senso democratico (fiscalità più estesa per
alcuni programmi di assistenza). Risolve la questione di Fiume –
occupata da un anno da D’Annunzio con un manipolo di uomini armati –
lasciandola alla Jugoslavia ma ottenendo in cambio Zara. Sia in
politica interna che in politica estera creò molti malumori.
Nell’estate 1919 nascono i primi soviet anche in Italia.
Letteralmente sono i Consigli di Fabbrica e così si
presentano a Torino. La situazione precipita nel 1920 con
l’inasprimento dei rapporti, gli scioperi e la serrata dell’Alfa
Romeo di Milano. La FIOM decise l’occupazione, che si propagò
in centinaia di fabbriche del nord. PSI e sindacato non ebbero il
coraggio di proclamare lo stato rivoluzionario, così il
temporeggiamento di Giolitti portò ad una soluzione indolore
della crisi. Evitò l’uso della forza, un grande merito
disprezzato da tutti. La sinistra del Psi rompe con il partito e
fonda il PCI, mentre la borghesia non si sente abbastanza protetta
dai liberali e dai moderati di centro e inizia a simpatizzare per i
giovani fascisti che da qualche tempo si stanno mettendo in luce per
la spregiudicatezza e la violenza delle azioni contro i socialisti.
La piccola età dell’oro: 1921-1929
Il dopoguerra segna uno stallo economico che pare irreversibile; le
economie nazionali si chiudono nel protezionismo peggiorando le
cose. L’inflazione diventa un male cronico, la disoccupazione
dilaga. Dal 1922 la ripresa in Usa aiuta tutti. Soprattutto aiuta la
GER che viene beneficiata con prestiti imponenti a medio e lungo
periodo. Ma nel 1929 – a partire dal 24 ottobre – i nodi di una
produzione non sostenuta da una adeguata distribuzione della
ricchezza vengono al pettine: crollano i titoli di borsa di Wall
Street. Nel giro di poche settimane la finanza mondiale va in
collasso. Ma vediamo nel dettaglio le vicende del gigante
d’oltreoceano, già da un decennio prima economia del mondo.
Dopo il presidente Wilson troviamo Harding, un repubblicano che
favorisce i grandi monopoli e si caratterizza per uno strenuo
isolazionismo. Nel 1921 viene addirittura varato un piano di
contrasto all’immigrazione: aumenta l’odio xenofobo e razzista con
la rinascita del ku klux kan. Nel 1920 viene istituito il
proibizionismo per la vendita e il consumo di bevande alcoliche; un
provvedimento che durerà fino al 1933 quando fu revocato
visti i disastrosi risultati ottenuti (l’esplosione
dell’illegalità e della criminalità organizzata di
stampo mafioso). Sono anni di crescita disomogenea, un capitalismo
dai grandi profitti, dai grandi monopoli, dalle grandi rendite
borsistiche. Anche i salari crescono, ma non in proporzione.
1929: perché la crisi?
In Usa i redditi erano troppo bassi per sostenere una produzione
così alta (scarsa la crescita dei consumi) e gli scambi
internazionali non erano a un livello accettabile per le dimensioni
dell’economia americana. Così gli investimenti si
concentrarono in bolle speculative e in settori sicuri che – ad un
certo punto – fecero crac! A un certo punto il timore di recessione
si trasformò in panico: la borsa di wall street crollò
e si innescò una reazione a catena mai vista prima: migliaia
di licenziamenti e abbassamento dei salari, che causarono
un’ulteriore riduzione dei consumi.
Il mito delle Corporation svanisce e solo l’intervento massiccio
dello stato salva il sistema capitalista. Il giovane e brillante
economista Keynes scrive un saggio illuminante intitolato “la fine
del laissez-faire”. Questi sconquassi si riflettono nelle elezioni
del 1932 in cui vince un democratico progressista: Frank Delano
Roosevelt. Il nuovo presidente chiede poteri speciali per agire in
tempi brevi contro la crisi e vara un team di esperti “brain trust”
capaci di progettare e applicare una ricetta innovativa per il mondo
capitalista anglosassone: il NEW DEAL.
Prima viene sostenuta la deflazione (per ripagare i debiti), poi
inflazione controllata (per aumentare i consumi). Quindi viene
varato un piano fiscale di aumento delle tasse – per i ceti
benestanti – allo scopo di finanziare imponenti programmi di lavori
statali e di aiuti al settore agricolo e alle piccole imprese. Anche
i sindacati vedono rafforzato il loro ruolo.
Nel 1935, quando la ripresa inizia a dare i primi segnali concreti,
viene avviata la seconda fase del New Deal: un piano di assistenza
sociale statale, grandi opere infrastrutturali (strade, dighe,
ponti, ferrovie), scuole e ospedali per l’intera popolazione. Con
Roosevelt è lo stato a fare da garante nel rapporto tra i
grandi gruppi monopolistici e i cittadini.
Fascismo e nazismo
Il fascismo italiano
Presupposti storici:
Debolezza dello stato italiano
Importanza della guerra mondiale
Situazione rivoluzionaria del “biennio rosso”
STATO DEBOLE
L'esito del Risorgimento è l'alleanza tra borghesia e
nobiltà del nord e grandi proprietari agrari del sud. Le
classi popolari sono escluse dai risultati dell'unità
nazionale: la loro partecipazione al movimento è solo
marginale. Antonio Gramsci la definì “rivoluzione passiva”.
Il carattere del Risorgimento si può capire guardando il
comportamento di Garibaldi nei giorni successivi alla presa della
Sicilia. Di fronte alle occupazioni spontanee delle grandi
proprietà terriere, il comandante dei mille incarica il suo
braccio destro Nino Bixio di fermare con qualunque mezzo
l'insurrezione (strage del Bronte). La scelta politica fu quella di
cedere il territorio a Vittorio Emanuele, una soluzione
incompatibile con qualsiasi rivoluzione sociale. Per le popolazioni
meridionali il nuovo stato divenne sinonimo di “male”: chiedeva
nuove tasse, prendeva i figli per farli militari. La classe
politica, nobili e alto-borghesi conservatori, è del tutto
estranea alle vicende delle masse contadine del sud, e non fanno
nulla per ottenere un po' di consenso. Peraltro la chiesa cattolica
mobilitava i fedeli contro lo stato “ateo” rendendo ancora
più problematica la formazione di una nuova identità
nazionale.
Neppure il cambio di linea politica (con i riformisti di De Pretis
nel 1876) mutò il rapporto tra stato e società civile:
si fece strada la pratica del trasformismo, del clientelismo, della
promozione di privatissime convenienze attraverso il potere
politico. Con questa forma di stato "non condiviso" si è
giunti alla Prima Guerra Mondiale e al drammatico dopoguerra.
INTERVENTO IN GUERRA
Il partito socialista mantiene una posizione astensionista (unico
nell'Europa occidentale), aumentando l'acredine dei ceti medi nei
confronti dei proletari (considerati quasi dei traditori). D'altra
parte la guerra fu vissuta dai ragazzi operai e contadini con grande
disagio e rassegnazione. La disfatta di Caporetto fu il momento
più drammatico, poiché la resistenza all'avanzata
austriaca coincise con l'apice dei rifiuti a combattere e delle
fucilazioni per diserzioni.
BIENNIO ROSSO
Il 1919-1920 sembrava un periodo pre rivoluzionario.
Le fabbriche sono in subbuglio, nascono i consigli di fabbrica
(soviet) e grandi scioperi mettono in crisi le industrie del nord.
Nel settembre 1920 molte fabbriche sono occupate, in alcune zone si
assiste a saccheggi di negozi, mentre La Spezia proclama il soviet.
Molti pensavano che il Psi fosse sull'orlo della rivoluzione.
L'occupazione è gestita bene dal primo ministro Giolitti che
riesce a far esaurire il movimento con estenuanti trattative.
Il non aver usato la forza diffonde però una grande paura tra
grandi industriali e proprietari. Dal canto suo il Psi si
dimostrò ambiguo e altalenante, forse impaurito per una
possibile azione dell'esercito, comunque poco chiaro nella direzione
politica da seguire.
Accanto alle manifestazioni c'è il successo elettorale del
1919: il Psi diventa il partito più votato del paese, molte
amministrazioni municipali vanno in mano ai socialisti (che non sono
per nulla moderati).
Anche nelle campagne le Leghe dei contadini ottengono importanti
successi. Per la prima volta in Italia la legge dà tutele ai
lavoratori, i sindacati controllano i datori di lavoro e c'è
una qualche forma di garanzia giuridica. Questo successo delle leghe
contadine è molto importante perché è proprio
dalle campagne del centro e del nord che iniziano le scorribande
squadriste e l'appoggio finanziario e politico al nascente movimento
fascista.
Dove e come si afferma il fascismo
Tessere del partito fascista (P.F.) nel 1921: Milano 6000; Ferrara
7.000; Bologna 5130. Tra i primi sostenitori ci sono 17 grandi
proprietari (tra cui 6 ebrei, per ironia della sorte!). Il movimento
trovò appoggio anche tra i piccoli proprietari, per nulla
attratti dalla prospettiva socialista e sindacale di
collettivizzazione delle campagne. Il P.F. inizialmente promise
ridistribuzione della terra e, inizialmente, mantenne le
promesse.Nei primi mesi a Ferrara 18.000 ettari furono assegnati in
piccoli lotti.
La manovalanza violenta fu “reclutata” tra ex combattenti animati da
profondo odio per la classe operaia e i braccianti contadini.
Incapaci di adattarsi alla vita civile e convinti sostenitori dei
valori della patria e dell'ordine furono attratti dalla gerarchia
militare e dallo spirito militarista del fascismo (il termine
“camerata” rende bene questa continuità con la vita
nell'esercito).
La ferocia e la violenza degli squadristi prese alla sprovvista la
pacifica massa di lavoratori socialisti: ci furono pestaggi, case
del popolo date alle fiamme, intimidazioni di ogni genere alle
associazioni popolari e alle cooperative. Bisogna sottolineare che
in contesti civili bastano pochi criminali per terrorizzare masse
inermi e pacifiche di cittadini; se lo stato non interviene – come
dovrebbe – è facile per questa minoranza prendere il
sopravvento. Il non interventismo delle forze dell'ordine è
stato un fattore chiave nell'ascesa fascista degli anni '20. Una
affermazione viziata da metodi illegali e criminali per la legge
dello stato.
Chi appoggia il fascismo?
Studenti
A differenze del dopoguerra la maggioranza degli studenti è
nazionalista e militarista. Già nel '21 il 13% è
iscritto al partito fascista, sono i figli del ceto medio, avvocati,
medici, liberi professionisti fortemente anticomunisti.
Lavoratori
In gran parte sono impiegati; poi professionisti e in percentuali
molto basse operai e commercianti. Gli imprenditori ci sono, ma
percentualmente sul numero di iscritti non sono moltissimi.
Burocrazia
Determinante è l'appoggio in alcuni settori chiave del
sistema statale. Commissari, prefetti e funzionari statali
avvallarono sordidamente l'aggressione dei fascisti a settori della
società civile: le associazioni e le cooperative di sinistra
non poterono contare sulla protezione delle forze armate e la
magistratura, quasi distratta nei riguardi delle denunce ai
fascisti, esercitò la mano pesante verso esponenti socialisti
o comunisti.
Industria
Industriali, confindustria, grandi imprenditori NON SONO fascisti.
Lo diventeranno per convenienza dopo il consolidamento al potere di
Mussolini.
N.B. E' in fase di allestimento:
a. cronologia consolidamento del potere
b. l'impero e l'espansionismo bellico degli anni '30
c. la guerra e il crollo del regime
Aspetti del fascismo italiano
Allegato:
Assistenza.doc [1]
Stampa.doc [2]
In questa sezione presentiamo due approfondimenti riguardo alla
storia del ventennio fascista. Due aspetti interessanti per ragioni
diverse.
Il primo documento allegato tratta del sistema di assistenza sociale
- oggi diremmo welfare - in vigore negli anni Trenta. Interessante
perché la presunta generosità di tale sistema
rappresenta vero e proprio luogo comune che ancora oggi resiste. E
questo spiega l'efficacia della propaganda e del controllo
dell'informazione (pensiamo che non esisteva la televisione!).
Il secondo documento rivolge l'attenzione proprio alla censura e
alla propaganda. Ovvero al mondo dell'informazione e della
descrizione della realtà. Il governo e il partito fascista si
adoperano subito per stringere la morsa intorno alle voci libere. I
metodi furono vari ma il risultato è noto: in Italia esisteva
solo una voce, e diceva sempre le stesse cose.
Il Nazismo
Presupposti storici:
Debolezza della repubblica di Weimar
Importanza della guerra mondiale
Coalizione anti-Weimar
Il partito Socialdemocratico (Spd)
E' il partito marxista più forte dell'Europa occidentale. La
repubblica di Weimar [3], figlia della sconfitta militare, è
sostenuta principalmente dalla SPD. Il problema fu che non
riuscì ad allargare il consenso verso la repubblica oltre i
confini della classe operaia socialdemocratica; con l'appoggio
debole dei conservatori, si trovò ben presto contro una vera
e propria coalizione anti-Weimar.
La coalizione anti-Weimar
In pratica il nuovo stato risultò inviso a molti “pezzi”
dello stato stesso:
Esercito
Grandi industriali
contrari a qualunque protezione sociale
Magistratura
è la stessa dello stato imperiale militarista
Junker (grandi proprietari terrieri)
per la prima volta nella storia perdono il potere
Artigiani e commercianti
resi precari dalla modernizzazione (supermercati)
Falliti del 1920-24 l'inflazione record dei primi anni '20 lascia
sul lastrico molti piccoli risparmiatori. Questi associano l'avvento
della repubblica con il personale fallimento economico.
Per dare l'idea del disastro sociale creato dall'inflazione, va
considerato che nel 1923 l'unità monetaria perse di un
milione di milioni il valore che aveva nel 1913. In vita quotidiana
significa che, ad esempio, la riscossione di una polizza
assicurativa maturata in periodo inflazionistico poteva bastare
all'acquisto di una bibita nel miglior caffè di Berlino!
In ogni caso fino al 1928 la maggioranza dei tedeschi appoggiava al
repubblica. Fu la crisi economica del 1929 ad invertire la
situazione. È la grande crisi la base del trionfo nazista .
In Germania il tracollo della finanza americana fu particolarmente
grave perché la ripresa era in gran parte finanziata dal
capitale statunitense. Gli Usa prestavano denaro a breve termine, le
banche tedesche facevano prestiti a lungo e medio termine. Quando
nel '29 gli istituti di credito americani chiesero indietro i
capitali le banche tedesche, prive di liquidità, fallirono in
massa. La catena dei fallimenti si estese all'intero ciclo
produttivo: industrie, imprese, negozi, famiglie.
Risultati: conti correnti non fruibili e disoccupazione alle stelle.
Il Pil regredisce, i prezzi crollano e circa 1/3 della popolazione
della lavorativa è disoccupata (40% sono operai).
NOTA: In Italia i prezzi erano molto alti nei primi anni '20, questo
spinse a scioperi e saccheggi. La situazione socio-economica era
molto diversa. Fu la caduta dei prezzi associata alla disoccupazione
a favorire l'adesione di massa al partito nazionalsocialista
(Nsdap); non – come in Italia – la paura della rivoluzione
socialista.
Il minuscolo partito di Adolf Hitler, da alcuni anni ai margini
della vita politica, conosce nel pieno della crisi una escalation di
consensi clamorosa.
MAG '28 - 21.6%
SET '30 - 18.3%
LUG '32 - 37.3%
SET '32 - 33.1%
MAR '33 - 43.9%
Soltanto l'elezione del marzo 1933 è viziata da un clima
intimidatorio e terroristico.
Ma chi ha votato per Hilter?
Non appoggiarono la Nsdap i grandi industriali e neanche i Junker:
loro erano conservatori. E anche se detestavano la repubblica di
Weimar, non avevano simpatia per i mezzi rozzi e violenti delle
camicie brune.
La classe operaia rimase contraria al nazismo, ma non in modo
assoluto. Nel 1933 infatti ben trecentomila tessere del P.N. erano
di operai: in genere giovani disoccupati o dipendenti di piccole
fabbriche succubi dei padroni (lo spirito paternalista!).
E' il ceto medio il principale serbatoio di voti del partito
nazista. Sono negozianti, artigiani, piccoli proprietari. Lo stesso
Hitler, che di mestiere faceva il pittore, apparteneva a questa
categoria dei lavoratori autonomi. Sono loro ad essere più
colpiti dalla crisi del '29; e sono svantaggiati sia dalla crescita
della grande distribuzione – a parole osteggiata da Hitler – sia
dalla mancanza di tutele sindacali. L'elenco non si ferma a queste
categorie sociali: altri appartenenti del ceto medio - impiegati
privati e statali, tecnici specializzati, lavoratori nei servizi,
commesse nei supermarket – sono molto sensibili alla propaganda
della Nsdap, che contesta un po' tutto ai partiti di governo,
ottenendo larghi consensi.
La propaganda di estrema destra ebbe largo successo tra i giovani
contadini: i padri continuavano a gestire la fattoria, in
città non c'era lavoro e molti di loro - delusi e arrabbiati
- confluivano nelle fila di bande teppistiche urbane. L'idea dello
“spazio vitale” (lebensraum) , di allargamento ad est, ebbe in
questa categoria grande consenso.
Religione
E' tra le fila dei protestanti che il nazismo coglie adesioni
elettorali. I cattolici hanno un riferimento partitico – la CDU – e
restano fedeli a quello. In Baviera, ad esempio, ecco la sequenze
delle tornate elettorali:
MAG '28 - 15%
SET '30 - 15.7%
LUG '32 - 14.8%
SET '32 - 15.2%
MAR '33 - 14%
1. Preparazione alla guerra
L'espansionismo è il fulcro dell'azione politica del nazismo.
Già nel Mein Kampf (il libro scritto da Hitler durante la
detenzione del 1923) si parla di espansione ad est, della guerra al
bolscevismo e della ricerca dello “spazio vitale”. Gli anni tra il
'33 e il '39 sono una rapida corsa agli armamenti e una continua
provocazione per rompere l'equilibrio internazionale.
2. Organizzazione dello stato - Führerprinzip
Viene creata una “burocrazia parallela”. Si forma uno strano sistema
di ministeri, enti e poteri statali e di partito in competizione tra
sé e sganciati dallo stato. In teoria lo stato doveva
amministrare e il partito “guidare” il popolo. Questa distinzione
è solo fittizia; il partito si impossessa di tutte le parti
dello stato e si disintegra in fazioni di potere paralleli. Un
quadro caotico della distribuzione del potere, che si tiene in piedi
grazie ad una rigidissima logica del fuhrer, cioè del capo
supremo. Ogni funzionario aveva un superiore, fino ad Hitler, il
capo supremo e incontestabile. La supremazia della legge lascia il
campo al principio della fedeltà e della volontà.
3. Rapporto stato-società civile
Non cambia la struttura sociale come nella Russia di Stalin. I
cambiamenti avvengono sotto la spinta del forte militarismo. Le
donne vanno in massa a lavorare nelle fabbriche (smentendo la
propaganda che le voleva a casa); poi gli uomini sono arruolati in
numeri altissimi. L'autonomia della società civile è
distrutta: niente è libero, né le associazioni,
né la stampa, né i sindacati. Anche il regime
sovietico distrugge in questo modo la società (per questa
invadenza viene appunto definito totalitarismo) ma cambia il
concetto di cittadinanza: nella visione nazista la cittadinanza si
basa sulla razza e l'espansione degli ariani verso est.
4. La cultura nazista
La propaganda diventa una industria di stato. Viene esaltata la
“razza pura”, tutti i tedeschi sono inquadrati in organizzazioni
statali e costretti a partecipare a iniziative pubbliche. Lasciare
la famiglia per servire lo stato; questa è la logica del
totalitarismo! Lo stato nazista funzionava come una macchina di
propaganda perfetta: dai compiti scolastici, all'intrattenimento,
ogni aspetto della vita quotidiana era scandito dai contenuti
politici del nazionalsocialismo.
5. Rapporto economia – nazismo
La retorica comunista tacciò il governo di Hitler come
“l'espressione del capitalismo portato alle estreme conseguenze”. E'
una lettura errata della storia sia della Germania che dell'Italia.
In particolare in Germania la volontà politica prevale
decisamente sugli interessi economici. In alcuni casi furono fatte
scelte antieconomiche. Lo studioso Heinze approfondì i
rapporti del colosso chimico I.G. Farben con il governo nazista. Dai
risultati emerge chiaramente come la grandissima e ricchissima
industria non aveva alcuna influenza sulle scelte politiche. Solo
partito e SS decidevano; su tutto.
In breve possiamo riassumere i caratteri essenziali del nazismo:
Capo carismatico
Cittadinanza su base etnica e razzista
Interventismo culturale dello stato (propaganda, associazioni,
istruzione)
Burocrazia parallela
Primato della politica sull'economia
Totalitarismi a confronto
SEZIONE DA COMPLETARE
Nazismo e fascismo
Quali le analogie e le differenze tra il modello italiano e il
modello tedesco?
Guardando all'Ottocento vediamo un'unità nazionale ancora
più elitaria da parte della Germania: le classi popolari e
piccolo-borghesi non hanno avuto alcun ruolo. Anche nell'estensione
dei diritti sociali – sebbene molto avanzati – l'iniziativa è
tutta a carico dei vertici statali: Bismark concede agli operai
molti vantaggi, riducendo lo spazio di iniziativa politica della
sinistra e rafforzando l'identità nazionale. L'organizzazione
complessiva dello stato tedesco è maniacale, quasi a livello
militare, e la sua crescita è impressionante.
Inoltre il rapporto tra autorità e popolazione in Italia era
molto più arcaico: solo repressione! In Germania esisteva una
tradizione paternalistica dei Junker (grandi proprietari terrieri)
molto radicata.
GERARCHIA DI POTERE
ITALIA
• Borghesia
• Proprietari terrieri
GERMANIA
• Agro-militari (Junker)
• Borghesia
Non solo l'importanza della borghesia è invertita ma anche la
natura di proprietari terrieri e borghesia è molto diversa.
Inoltre in Germania i contadini non sono disperati e nullatenenti
come in molte regioni italiane. Non ci sono leghe, insurrezioni e
manifestazioni socialisteggianti. Perché? In Germania ai
primi dell'800 le terre sono state distribuite in piccoli e medi
lotti. Il Junker risiede nel villaggio dove abitano i “suoi”
lavoratori: il rapporto è più diretto e meno violento.
In Italia, specialmente al sud, il “signore” vive in città,
lontano dai campi, delegando a intermediari la gestione e confidando
nel metodo repressivo.
Lo sterminio degli ebrei
La SHOAH (lo sterminio degli ebrei)
Breve cronologia di come si "crea" il contesto politico e culturale
in cui matura la spaventosa tragedia dell'olocausto.
1922 Italia. Va al potere Benito Mussolini che fonda un regime
basato sulla violenza e sulla gerarchia. Il sistema delle squadre
speciali del partito (camicie nere) piace molto a Hitler che ne
prenderà spunto.
1923 Germania. Un giovane pittore, ex combattente della I guerra
mondiale, tenta un colpo di stato e viene arrestato. In prigione
scrive una specie di programma politico. Era Adolf Hitler e il suo
libro, il Mein Kampf, descrive abbastanza bene cosa vuol fare della
Germania e dell'Europa.
1933 Hitler vince le elezioni e diventa capo del governo.
1933-1935 Tutte le opposizioni vengono messe fuori legge, le
libertà democratiche sospese, un pacchetto completo di leggi
stabiliscono norme di comportamento degli abitanti tedeschi di razza
ebraica. (Leggi di Norimberga). Nota: erano vietati i rapporti
sessuali tra ariani ed ebrei, per impedire la contaminazione
razziale.
1938 Avviato un programma di eliminazione della popolazione
handicappata e malata di mente. L'opposizione della chiesa e dei
cittadini fa retrocedere il governo. Intanto si diffondono campi di
lavoro e reclutamento per gli oppositori politici del regime e
persone sgradite alla civiltà germanica.
In politica estera la Germania si annette tutti i territori con
cittadini tedeschi: Austria, Renania, Cecoslovacchia.
1939 Aggressione della Polonia. La questione ebraica diventa
pressante. Si fa strada l'idea di trovare una “SOLUZIONE FINALE”.
1939-1941 Quando la guerra sembra andare bene la questione degli
ebrei resta sullo sfondo: vengono rinchiusi in ghetti (Varsavia) o
eliminati sul posto (Kiev). Quando ogni possibilità di
trasferimento coatto diventa impossibile viene pianificata
l'eliminazione sistematica di tutti gli ebrei d'Europa.
1942 Soluzione finale
Campi di lavoro per gestire gli schiavi slavi e gli ebrei abili al
lavoro. Gli altri smistati verso campi di sterminio, costruiti
appositamente per l'eliminazione di massa (Auschiwtz era un campo
misto di lavoro e di sterminio, gli altri erano Majadnaek, Chelmno,
Belzec, Treblinka e Sobibor, tutti in territorio polacco). Tra il
'42 e il '44 i campi lavorarono a pieno ritmo.
In tutta l'Europa occupata una macchina burocratica molto
sofisticata andava a cercare gli ebrei quasi uno a uno, casa per
casa: leggi, procedure, uffici, funzionari erano predisposti
esclusivamente per la gestione della soluzione finale.
A fine '44, quando la guerra era segnata, il progetto fu
abbandonato. Il 27 gennaio 1945 il campo di Auschwitz, fu
conquistato dalle forze armate sovietiche in rapido avanzamento
verso Berlino.
Olocausto: perché?
Questa sezione è la elaborazione di alcune lezioni fatte in
classe, ed ha perciò un taglio didattico. Talvolta anche le
spiegazioni possono essere rivolte esplicitamente ai ragazzi.
La mia preoccupazione era allontanare l'idea che l'olocausto si
interiorizzi come qualcosa di estraneo alla nostra identità;
un male assoluto, commesso da mostri, talmente orrendo da non poter
essere compreso né spiegato.
Schema indicativo delle domande chiave per cercare il significato
della memoria della shoah:
Tutta colpa di Hitler??
Le responsabilità della popolazione sono enormi ma non per
l'adesione al progetto politico del nazismo (alternativa radicale
alla democrazia e ai valori della società borghese:
uguaglianza, libertà, solidarietà) bensì per
INDIFFERENZA. Alcune indagini hanno descritto un riscontro di questo
tipo:
5% tedeschi entusiasti di Hitler
69% indifferenti
21% dubbio e smarrimento
5% decisa opposizione
E' il 90% di cittadini passivi a permettere a un gruppo ristretto di
fanatici criminali di realizzare lo sterminio.
Perché proprio gli ebrei?
Erano tradizionalmente malvisti in molti strati popolari, per
ragioni religiose e culturali, e si prestavano perfettamente a
simboleggiare tutto ciò che c'era di odioso, terribile e
minaccioso del mondo: un CAPRO ESPIATORIO perfetto. Era molto
semplice e molto efficace dal punto di vista propagandistico. Il
“nemico” della società, la causa di tutti i mali era
materiale, non ideale come poteva essere il comunismo o il
capitalismo. Indicando nell'ebreo il male assoluto, il regime
nazista personificava l'odio per il comunismo, il capitalismo,
l'internazionalismo, la modernità.
Peraltro non possiamo e dobbiamo dimenticare che i campi di
concentramento e di sterminio non hanno riguardato solamente gli
ebrei. Il totale dei morti nei campi infatti potrebbe superare i
dieci milioni se aggiungiamo tutti i perseguitati dal regime
nazista: zingari, oppositori politici (anarchici e comunisti),
testimoni di geova, handicappati, emarginati sociali.
Un buco nero dell'umanità, un regresso della civiltà?
In realtà no. Il nazismo è l'espressione della
civiltà moderna, dell'industrializzazione, dello sviluppo
della scienza, della tecnica e della cultura storica. I gerarchi
nazisti erano persone normali, non mostri. Himmler, il capo delle
SS, amava gli animali e la famiglia. Tutti erano amanti della buona
musica e delle arti. L'eccezionalità e la mostruosità
dello sterminio degli ebrei sta proprio nella sua modernità:
nella burocrazia, nella impersonalità dei compiti, nell'alta
tecnologia utilizzata, nell'enfasi sugli aspetti medici, tecnici e
scientifici. Non è una violenza da barbari primitivi.
Cosa voleva fare Hitler?
Il progetto di Hitler era di ridisegnare la mappa etnica dell'Europa
secondo una concezione del mondo divisa in razze. Gli ariani
avrebbero dominato; gli slavi sarebbero stati gli schiavi addetti ai
lavori forzati, tutto l'est ridotto ad una colonia della Germania da
sfruttare e i popoli raggruppati e spostati a seconda delle etnie.
Gli ebrei esiliati in un'isola africana (avevano pensato al
Madagascar) oppure eliminati del tutto.
L'eccezionalità dei campi di sterminio
Il progetto tragico di Hitler si realizzò effettivamente in
delle aree limitate e nascoste chiamati Lager. La specificità
era l'organizzazione interna che portava alla distruzione morale dei
prigionieri. Quello che fa considerare Auschwitz “il male assoluto”
è la capacità di pianificare l'annientamento dell'uomo
prima di mandarlo nelle camere a gas. I tre milioni di ebrei,
comunisti e zingari uccisi nei campi non soffrivano più, non
speravano più, non sognavano più quando andavano a
fare l'ultima doccia.
Non può ripetersi ??
Siccome non è stato un evento fatto da mostri, ma una
eccezionale combinazioni di fattori delle società moderne,
non è affatto escluso che qualcosa di simile si ripeta. Le
recenti guerre a sfondo etnico - come la guerra in Jugoslavia - in
un certo senso ci ricordano tragicamente l'attualità della
storia della shoah.
E noi che c'entriamo?
L'attualità di questa brutta storia si può individuare
lungo due binari, che accompagnano spesso le società
contemporanee: il razzismo e l'indifferenza.
1) Il razzismo.
Dal diario di Anna Frank ‘Se un cristiano compie una cattiva azione
la responsabilità é soltanto sua, se un ebreo compie
una cattiva azione, la responsabilità ricade su tutti gli
ebrei". La shoah è stata la combinazione della NORMALITA'
indotta dall'organizzazione burocratica e dall'obbedienza e
indifferenza alle direttive superiori e dall'ORRORE di una
concezione dello straniero/diverso come non-umano. Questo porre
l'ebreo al di là dell'umano ha funzionato come anestetico per
la coscienza.
2) Indifferenza.
La chiusura nella vita privata e il disinteresse per la vita sociale
e politica è uno dei fattori causali della tragedia. Per
questo c'è la giornata della memoria. Non basta “non
dimenticare” bisogna prendere coscienza che l'abbandono dei valori
portanti della nostra civiltà (libertà individuale,
uguaglianza, solidarietà) unita alla diffusione di idee
razziste e violente può - in certi momenti storici - portare
a forme simili di sterminio di massa. Non è un meccanismo
irripetibile. I momenti storici a rischio si verificano quando le
istituzioni perdono di stabilità e di legittimità. Se
non è lo Stato a codificare i principi entro un quadro
coerente di leggi e relazioni tra le parti il rischio di scivolare
in fenomeni simili al nazifascismo c'è, proprio alla luce
della “non mostruosità” del “non anacronismo”. Ovvero la
nostra civiltà – mentalità comune, cultura di massa,
capacità tecnologica, scientifica, di organizzazione –
produce la democrazia, i diritti dell'uomo e tutto il resto, ma
può produrre anche ideologie di superiorità della
razza e pianificazione di una qualche “soluzione finale”.
La seconda guerra
La Seconda Guerra Mondiale
Non ci sono dubbi sui responsabili della seconda guerra mondiale:
Adolf Hitler. Naturalmente le cose sono un po' più
complicate, comunque si può riassumere il percorso verso la
guerra in alcuni passaggi fondamentali fatti dai paesi aggressori e
non fatti dalle democrazie occidentali che in tutti i modi volevano
evitare un altro conflitto.
Invasione giapponese della Manciuria nel 1931; l'invasione italiana
dell'Etiopia; denuncia del Trattato di Versailles e riarmo tedesco
(1935); invasione della Renania (1936); guerra civile spagnola
(1936); occupazione dell'Austria e della Cecoslovacchia (1938).
Infine il trattato di non aggressione tra Germania e Unione
Sovietica (1939).
Dall'altra parte, in senso negativo, i paesi democratici riuniti
nella Società delle Nazioni sono stati colpevoli per non
essere intervenuti nelle aggressioni di Manciuria e Etiopia. I
particolare Francia e Gran Bretagna sono rimaste a guardare quando
erano ancora nettamente più forti della Germania; prima non
intervenendo nella guerra di Spagna, poi permettendo a Hitler di
annettere Austria, Cecoslovacchia (fallimento della Conferenza di
Monaco nel 1938).
Tecnicamente la IIGM si spiega nel tentativo della Germania di fare
un blietzgrieg (guerra lampo) per conquistare l'Europa centrale e
occidentale. L'occupazione della Polonia realizzata in tre settimane
causò la dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna.
Nell'estate 1940 le truppe della Wairmarch conquistarono il Belgio,
l'Olanda, la Francia, la Norvegia e la Danimarca. Tutte furono
occupate mentre la Francia ebbe una zona controllata dal governo
collaborazionista di Vichy. L'Italia entrò nel conflitto nel
giugno '40 dichiarando guerra alla Francia quando questa era
già stata sconfitta dalle truppe naziste.
Da un punto di vista pratico la guerra in Europa era finita.
La Germania non poteva invadere la Gran Bretagna – c'era il mare e
la RAF Royal Air Force – ma era altrettanto improbabile che
l'esercito britannico potesse sbarcare sul continente e sconfiggere
i tedeschi. Hitler non si accontentò e rilanciò
immediatamente scatenando la guerra area sui cieli britannici
(operazione "Leone Marino").
L'attacco dell'aviazione nazista sulle città inglesi segna
una pagina leggendaria nella storia del popolo britannico.
Nelle colonie la guerra era ancora molto fluida. Truppe inglesi
sottrassero aree coloniali agli italiani impegnando l'Africa Korps
di Erwin Rommel in un duro confronto nel continente africano.
La guerra fu riaccesa dall'invasione hitleriana dell'Urss il 22
giugno 1941, la data decisiva della seconda guerra mondiale.
Nella mentalità di qualunque generale quella mossa appare
completamente insensata: il doppio fronte a oriente e a occidente
è l'incubo di ogni esercito!
Ma nel disegno di Hitler la conquista della Russia era un tassello
fondamentale per ottenere grandi risorse e masse di schiavi per la
macchina industriale e militare germanica. Inoltre la forza
dell'Unione Sovietica era sconosciuta e certamente sottovalutata
[1].
All'inizio sembrava che Hitler avesse ragione: ai primi di ottobre
le forze naziste erano alle porte di Mosca; Stalin si era trasferito
all'interno e la capitale sembrava sul punto di crollare. L'esercito
russo però resistette e ben presto i tedeschi dovettero
ripiegare.
La resistenza alle porte di Mosca (Operazione Barbarossa) è
indicata da alcuni storici come il capitolo decisivo della guerra;
il fallimento di una rapida vittoria in terra russa ha compromesso
le capacità di tenuta dell'esercito tedesco nel lungo
periodo. L'estate successiva fu tentato un nuovo sfondamento da sud
(operazione Blu) con la migliore armata dell'esercito e 500.000
uomini. A Stalingrado si attestò la resistenza russa.
Nell'inverno 1942-43 si decisero le sorti della guerra; 1 milione di
morti a Stalingrado valsero la resa della VI armata di Von Paulus.
Da quel momento iniziò la controffensiva sovietica che
portò l'armata rossa a Vienna, Praga e Berlino.
Nel frattempo la guerra si era estesa fino a diventare planetaria.
Il Giappone approfittò delle colonie francesi rimaste senza
madrepatria e occupò tutta l'area del sud est asiatico,
suscitando grande risentimento negli Stati Uniti che imposero severe
restrizioni economiche al Giappone, totalmente dipendente dal
commercio marittimo. Fu questo contrasto che portò – il 7
dicembre 1941 – all'attacco di Pearl Harbor.
Gli Stati Uniti condussero la "loro" guerra nel Pacifico, ma
contribuirono attivamente alla controffensiva britannica in Europa.
La scelta di Hitler di dichiarare guerra (anche) agli Stati Uniti
appare, ancora una volta, strategicamente assurda.
Di fatto con la battaglia di Stalingrado e l'entrata in guerra
dell'arsenale bellico Usa la guerra - a inizio '43 - era segnata; i
destini dei contendenti era segnato, c'era da stabilire i modi e i
tempi. Gli alleati inziarono a riconquistare i territori, seppur
molto lentamente, intorno al dicktat della "resa senza condizioni".
Questa formula, sicuramente giusta in linea di principio,
portò ad un'ultima fase della guerra dettata dalla
spietatezza assoluta: da una parte gli alleati che bombardavano a
tappetto le città sotto controllo nazista (tra cui l'Italia)
e si disinteressavano dei lager; dall'altra l'esercito tedesco -
supportato dalle SS - che oppose una strenua resistenza riversando
sulle popolazioni civili l'onta della sconfitta. Da qui la serie
sconvolgente di stragi che portarono il numero delle vittime ad una
cifra vicino o superiore ai cinquanta milioni!!! Tra le stragi che
vale la pena ricordare c'è quella di Dresda - città
rasa al suolo dall'aviazione americana - in cui in una sola
notte si contarono circa centomila morti (con armi convenzionali) e
i tanti eccidi a freddo delle popolazioni civili: Marzabotto, Santa
di Stazzema, Fosse ardeatine eccetera.
A guerra in corso i paesi vincitori tennero una serie di conferenze
per decidere l'assetto del dopoguerra; Churchill, Stalin e Roosevelt
si trovarono a Teheran nel 1943, a Mosca nell'autunno 1944, a Yalta
all'inizio del 1945, a Postdam nella Germania occupata nell'agosto
1945.
La Germania trattò la resa ai primi di maggio, il Giappone
accettò la sconfitta nell'agosto dopo lo sgancio di due bombe
atomiche nelle città di Hiroshima e Nagasaki.
[1] Il Giappone ebbe uno scontro nel 1939 con l'Armata Rossa in un
conflitto non dichiarato e ne uscì malconcio. Forse anche per
questo il Giappone non dichiarò guerra all'Urss ma solamente
a Usa e Gran Bretagna.