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Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal (Grenoble, 23 gennaio 1783 –
Parigi, 23 marzo 1842), è stato uno scrittore francese.
Amante dell'arte e appassionato dell'Italia dove visse a lungo,
esordì in letteratura nel 1815 con le biografie su Haydn,
Mozart e Metastasio, seguite nel 1817 da una Storia della pittura in
Italia e dal libro di ricordi e d'impressioni Roma, Napoli, Firenze.
Quest'ultimo fu firmato per la prima volta con lo pseudonimo di
Stendhal, nome forse ispirato alla città tedesca di Stendal,
dove nacque l'ammirato storico e critico d'arte Johann Joachim
Winckelmann.
I suoi romanzi di formazione Il rosso e il nero (1830), La Certosa
di Parma (1839) e l'incompiuto Lucien Leuwen, scritti in una prosa
essenziale che ricerca la verità psicologica dei personaggi,
fanno di Stendhal, con Balzac, Hugo, Flaubert, Maupassant e Zola,
uno dei maggiori rappresentanti del romanzo francese del XIX secolo:
i suoi protagonisti sono giovani romantici che aspirano alla
realizzazione di sé attraverso il desiderio della gloria e
l'espansione di sentimenti appassionati.
Biografia
L'infanzia (1783-1795)
Henri Beyle nacque a Grenoble in una casa di rue des Vieux
Jésuites, oggi al numero 14 di rue Jean-Jacques Rousseau, in
una famiglia borghese. I suoi genitori si erano sposati il 20
febbraio del 1781: la madre, Henriette Gagnon (1757-1790)
morì di parto quando il figlio aveva sette anni, lasciando
altre due figlie, Pauline (1786-1857) e Zénaïde
(1788-1866). Donna allegra e colta - conosceva l'italiano e leggeva
Dante in originale - era l'anima della casa e fu idealizzata da
Henri, che invece detestò il padre Chérubin Beyle
(1747-1819), procuratore e poi avvocato del Parlamento di Grenoble,
massone, proprietario di una tenuta a Claix, appassionato di
agricoltura, ma soprattutto inteso al guadagno e agli affari.
Come ricorda Stendhal, suo padre «era un uomo
straordinariamente poco amabile, con la testa sempre piena di
acquisti e vendite di proprietà, eccessivamente scaltro [...]
non mi amava come individuo, ma come figlio che doveva continuare la
sua famiglia [...] vedeva chiaramente che io non lo amavo affatto,
non gli parlavo mai se non era strettamente necessario».
D'altra parte ha dovuto sistemare (maritare con dote o mettere in
convento) ben dieci sorelle e costruirsi da sé, con tipica
ambizione del provinciale che aspira alla nobiltà. E poi la
vedovanza certo non lo rallegra.
Con la morte della madre, la famiglia troncò ogni rapporto
mondano - con grande noia di Stendhal - vivendo in seguito sempre
isolata. Anche il suo primo insegnante, un tale Joubert,
«orribile pedante», morì poco dopo e Henri fu
affidato a un precettore, segno, questo, di distinzione sociale,
l'abbé Jean-François Raillane (1756-1840), «una
vera canaglia [...] piccolo, magro, molto manierato, il colorito
verdognolo, lo sguardo falso con un sorriso odioso [...] per
scaltrezza, per educazione o per istinto di prete era nemico giurato
della logica e di ogni retto ragionamento». La sua figura
di gesuita non è chiarissima, probabilmente è anche un
"ottimo educatore", e tuttavia Stendhal ne ha orrore: gli
insegnò il sistema tolemaico pur sapendo che era falso,
giustificandosi con il fatto che Tolomeo «spiega tutto e
d'altronde è approvato dalla Chiesa»: una
considerazione che fece dello scrittore «un empio forsennato e
d'altra parte l'essere più cupo del mondo».
Gran parte delle sue giornate Henri le passava nella vicina e ampia
casa (in place Grenette) del nonno materno, il medico Henri Gagnon
(1728-1813), dove abitavano anche la sorella di questi, la prozia
Élizabeth (1721-1808), e la figlia Séraphie
(1760-1797). A questa sorella minore sua madre aveva affidato,
morendo, i tre figli e Henri la giudicò un «diavolo in
gonnella», un'odiosa «matrigna», sospettando fosse
amante del padre Chérubin, e tuttavia giudicata senza sesso,
inacidita, isterica e bigotta, alla cui morte, il 9 gennaio 1797,
lui, ateo, ringraziò «Dio in ginocchio». Opposta
l'opinione che egli ebbe della prozia Élizabeth Gagnon,
un'anziana nubile «alta, magra, asciutta, con una bella faccia
italiana, carattere di una nobiltà assoluta, ma nobile con le
raffinatezze e gli scrupoli di coscienza spagnoli».
Un'alta stima Stendhal la riservò anche al nonno materno,
Henri Gagnon, medico e illuminista, ammiratore di Voltaire e della
buona letteratura classica: grazie a lui, sostiene Stendhal, non fu
«intossicato» dagli scrittori contemporanei in voga a
quel tempo, i «Marmontel, Dorat e altre canaglie».
Gagnon era un'autorità a Grenoble per la sua vasta cultura,
per la dottrina medica e la passione letteraria: conversatore
brillante, teneva dissertazioni di fronte a un pubblico scelto, ma
non aveva sensibilità artistica, a differenza della figlia
Henriette, e si oppose a che il nipote avesse un'educazione
musicale.
Anche il periodo rivoluzionario in corso in Francia sollecitò
gli umori e le fantasie del piccolo Henri: già aveva
assistito al preludio ribelle della famosa «giornata delle
tegole», e parteggiò subito per i rivoluzionari, figure
che gli evocavano le virtù repubblicane conosciute nei libri
di latino, contro il legittimismo bigotto del padre e dell'odiata
zia Séraphie - la prozia Élizabeth e il nonno
mantenevano un atteggiamento più cauto - i quali seguirono
poi fremendo di angoscia le vicende del processo a Luigi XVI.
Quando il re venne decapitato, Henri esultò in silenzio
mentre il padre e la zia si disperavano. Chérubin Beyle, di
cui erano note le idee monarchiche, finirà più volte
in prigione: il 15 maggio 1793 per un mese, poi in agosto e ancora
in novembre per sette mesi, mentre l'abbé Raillane, prete
renitente, si diede alla macchia con grande soddisfazione di Henri,
pieno di «ardenti slanci d'amor di patria e di odio» per
preti e aristocratici.
L'adolescenza (1796-1799)
Il 21 novembre 1796 Henri entrò nell'appena inaugurata scuola
pubblica secondaria di Grenoble, l'École centrale, oggi liceo
Stendhal. Frequentava la scuola con soddisfazione benché
nutrisse scarsa stima per la maggior parte dei suoi professori,
perché era l'unico modo di sottrarsi al peso della famiglia e
frequentare finalmente i propri coetanei. Tra i suoi compagni di
studi, si legò di un'amicizia che durerà tutta la vita
con Louis Crozet (1784-1858) e con Romain Colomb (1784-1858), suo
lontano cugino. Il primo, che diventerà ingegnere, ispettore
generale dell'amministrazione edilizia e anche sindaco di Grenoble,
scriverà con Stendhal dei ritratti psicologici e
riceverà in eredità i manoscritti dell'amico, mentre
il secondo curerà la prima edizione delle opere di Stendhal.
Suoi insegnanti furono, per la grammatica, l'«abate
civettuolo, tutto a modo, sempre in compagnia di donne» Claude-Marie Gattel (1743-1812), autore di dizionari molto famosi
all'epoca; per il latino Joseph Durand (1745-1813), già suo
precettore privato; il pittore Louis-Joseph Jay (1755-1836),
«gran fanfarone senza un'ombra di talento, ma capace
d'infiammare i ragazzi» che insegna disegno, storia
dell'arte ed estetica; Pierre-Vincent Chalvet (1767-1807),
«giovane povero e libertino», per la storia;
Jean-Gaspard Dubois (1737-1812), detto Dubois-Fontanelle, per la
letteratura, autore di diversi drammi e tragedie, e poi giornalista
della Gazette des Deus Ponts: il suo Cours de belles-lettres,
pubblicato nel 1813, non pretendeva di insegnare a scrivere, ma a
far apprendere il gusto delle belle lettere secondo la scuola di
Voltaire.
Ma nell'École centrale la vera passione di Stendhal fu la
matematica: affascinato da una scienza che garantiva l'esattezza
assoluta delle sue affermazioni, escludendo per principio tutto
ciò che è vago e impreciso, egli esigeva rigorose e
chiare dimostrazioni che, a suo dire, il suo professore Dupuy de
Bordes (1746-1814), già insegnante di Bonaparte alla Scuola
di Artiglieria di Valence e «senza l'ombra di un'ombra di
talento» non era sempre in grado di fornire. Neanche la
scuola privata di André-Laurent Chabert (1759-1823) si
dimostrò migliore e allora Henri si fece pagare dalla prozia
Élisabeth le lezioni impartitegli da Louis-Gabriel Gros
(1765-1812), matematico e fervente giacobino di Grenoble, molto
rispettato dall'esigente Henri. Vi era del resto un particolare
motivo nell'impegno che il giovanissimo Stendhal prodigava per la
matematica: egli contava di ottenervi il primo premio che gli
avrebbe consentito di recarsi a Parigi per sostenere il concorso di
ammissione all'École Polytechnique, sottraendosi così
a ogni tutela familiare.
Il suo primo amore, o piuttosto la prima fantasia di amore, fu
riservata alla giovane attrice Virginie Kubly (1778-1835) che per
qualche mese, dalla fine del 1797, a Grenoble recitò commedie
e cantò «con la sua povera vocetta debole»
nell'opéra comique: «tutte le cattive piccole opere del
1794 divennero sublimi per me grazie alla presenza di M.lle
Kubly». Non le rivolse mai la parola, ma andava a rue des
Clercs, dove abitava, sperando e insieme temendo di vederla.
Tra le sue letture impegnative ma gradite di quegli anni, a parte
un'inevitabile concessione ai racconti licenziosi di La Fontaine e
alla Félicia di Nerciatì, vi erano Cervantes, l'Ariosto,
Rousseau e, sopra tutti, Shakespeare, mentre Racine,
«incessantemente lodato dai miei, mi faceva l'effetto di un
ipocrita insulso».
Finalmente, nel 1799, conclusi con buoni voti i corsi triennali e
con il sospirato premio in matematica, nei primi giorni di novembre
Henri salì senza rimpianti sulla vettura che l'avrebbe
condotto nella capitale. Suo padre lo salutò piangendo:
«la sola impressione che mi fecero le sue lacrime, fu che lo
trovai molto brutto», e durante il viaggio seppe del colpo di
Stato con il quale Bonaparte si era impadronito del potere.
A Parigi (1799-1800)
Giunto a Parigi «con il fermo proposito di essere un
seduttore», la realtà s'incaricò di smentire le
sue illusioni: nella grande città egli è solo un
ragazzo sconosciuto che passa inosservato. Si presentò subito
alla famiglia Daru in rue de Lille: Noël Daru (1729-1804),
cugino di Henri Gagnon, era un alto funzionario della burocrazia
francese, come il figlio Pierre (1767-1829), che era allora
segretario generale del ministero della Guerra.
Perduto improvvisamente ogni interesse per gli studi di matematica,
non si presentò nemmeno a sostenere l'esame di ammissione
all'École Polytechnique e trascorse in ozio alcuni mesi,
finché nel febbraio del 1800 Pierre Daru gli ottenne un posto
di impiegato d'ordine nel ministero della Guerra, un lavoro che egli
svolse tanto di malavoglia da decidere di arruolarsi nell'armata del
Primo Console che era partita da qualche giorno per l'Italia. Il 7
maggio Stendhal lasciava Parigi: «ero assolutamente ebbro,
pazzo di felicità e di gioia. Qui comincia un'epoca di
entusiasmo e di felicità perfetta».
Da solo, carico di libri, raggiunse prima Digione e il 18 maggio era
a Ginevra, dove andò subito a visitare la casa natale di
Rousseau e dove trovò un capitano che gl'insegnò a
stare a cavallo e i primi rudimenti sull'uso della sciabola. Con il
capitano passò per Vevey e fu a Martigny, dove iniziava la
lunga e allora impervia e pericolosa salita del Gran San Bernardo.
Dopo sei ore di salita era finalmente in Italia.
Superate le cannonate sparate dal forte di Bard, che furono il suo
battesimo del fuoco, apprese da un curato le prime parole d'italiano
- donna e cattiva - e a Novara andò ad ascoltare Il
matrimonio segreto di Cimarosa, così che la delusione di
Parigi non gli pesò più e la nostalgia delle montagne
del Delfinato svanì di colpo: «vivere in Italia e
ascoltare musica come quella divenne la base di tutti i miei
ragionamenti». Finalmente, forse il 10 giugno, entrava a
Milano.
Primo soggiorno in Italia (1800-1802)
Proprio al suo ingresso in Milano incontrò Martial Daru
(1774-1827), fratello di Pierre, che aveva già conosciuto a
Parigi. Ispettore del ministero della Guerra, uomo «al di
sotto della mediocrità ma buono e allegro», questi
ospitò subito Stendhal nella prestigiosa casa d'Adda, poi
lo sistemò in una stanza di palazzo Bovara, allora sede
dell'amministrazione militare francese diretta da Claude-Louis
Pétiet (1749-1806), dove lavorò nell'ufficio del
commissario Louis Joinville (1773-1849) e da dove venne introdotto
nei salotti che contano, luogo di conversazioni galanti e di
occasioni per stabilire relazioni amorose.
Ma Henri è orgoglioso e timido, e perciò nelle sale
sfavillanti di donne belle ed eleganti e uomini esperti e disinvolti
quel diciassettenne inibito si comporta goffamente e per reazione
esagera al contrario: si batte a duello con Alexandre Pétiet
(1782-1835), il figlio del ministro, ricevendone una lieve ferita al
piede, poiché geloso d'una certa signora Martin, e minaccia
di sfida anche il suo capo-ufficio Joinville per motivi non
chiariti. Forse geloso dell'amante che lo stesso Joinville gli aveva
presentato, quell'Angela Pietragrua nata Borrone (1777-...) che pure
sarebbe stato facilissimo conquistare, della quale s'innamora
perdutamente senza però dichiararsi per dieci anni.
Così avvenne che Henri perdette la propria
«innocenza» in una casa di piacere, nel maggio del 1801,
ricavandone oltre tutto una malattia venerea.
La Pietragrua, figlia di commercianti di stoffe che si arricchirono
divenendo fornitori dell'esercito francese, e sorella di Giuseppina
Borroni, una soprano famosa, era per Stendhal una «sublime
sibilla, terribile nella sua bellezza folgorante e
soprannaturale» e, dispotica, capricciosa, istintiva,
sarà ben rappresentata nel personaggio di Sanseverina ne La
Certosa di Parma.
Fu il Daru a raccomandare Stendhal, facendogli ottenere subito il
grado di sottotenente di un reparto di cavalleria nel settembre del
1800 e poi, il 23 ottobre, nel VI Reggimento dragoni, che egli
raggiunse a Bagnolo, presso Brescia, il 22 novembre. Il 12 gennaio
partecipò a Castelfranco Veneto allo scontro tra le forze del
generale Michaud (1751-1835), comandante della III Divisione
Cisalpina, e la retroguardia austriaca che fu volta in fuga: il
generale menzionerà anni dopo il suo «coraggio e la sua
intrepidezza». Firmato l'armistizio il 16 gennaio 1801, il
1º febbraio Stendhal lasciò il reggimento per assumere
la veste di aiutante di campo di Michaud.
La vita di aiutante di campo, almeno in tempo di pace, è
piacevole: in primavera Henri, cha dal 18 aprile ha iniziato a
tenere un diario, il suo Journal, soggiorna a Bergamo, in estate a
Brescia, ha tutto il tempo per studiare l'italiano e il clarinetto,
di progettare commedie e di andare a teatro. Ma dura poco: per avere
l'onore di essere aiutante di un generale bisogna aver combattuto
due campagne militari e così, reclamato dal suo reggimento,
Stendhal deve raggiungere il VI Dragoni in Piemonte, seguendolo nei
suoi spostamenti in piccole città, Bra, Saluzzo, Savigliano,
con i disagi delle manovre e il disgusto delle corvées.
È troppo per Stendhal, che a dicembre ottiene un congedo e
torna a Grenoble.
Il ritorno in Francia (1802-1806)
Ritornato brevemente a vivere nella sua casa natale, Henri
trovò nella sorella Pauline un'amica e una confidente. Del
resto anche questa figlia del secolo che amava leggere Ossian e
Shakespeare si sentiva oppressa dall'aridità paterna e,
diversamente dal fratello e come tante ragazze nella sua condizione,
cercherà solo nel matrimonio l'evasione da una condizione
infelice: «sposatasi con un uomo sciocco e docile»,
riuscirà con gli anni a essere se stessa.
Da parte sua, a Grenoble Henri trovò in Victorine Mounier
(1783-1822) un nuovo, tipico suo amore di fantasia: ascoltatala
suonare Haydn al pianoforte, se ne innamorò senza forse
nemmeno mai parlarle e, una volta che i Mounier si trasferirono a
Rennes, per due anni scriverà di sé al fratello di
Victorine sperando che lei, leggendo le sue lettere, s'innamorasse a
sua volta.
Il 15 aprile 1802 Henri era già a Parigi (in questo periodo
abitò in rue d'Angivilliers), mantenuto con una pensione
mensile di circa 200 franchi dal padre, il quale sperava che il
figlio lasciasse la vita militare per una professione «seria e
rispettabile». In effetti Stendhal lasciò l'esercito in
luglio ma non si curò di trovarsi un lavoro: piuttosto
studiava l'inglese, andava a teatro, prendeva appunti e citava le
sue letture sul diario. A Parigi, inoltre, frequentò
Magdaleine Paul, di quarantaquattro anni, sposata a un lontano
cugino, Jean-Baptiste Rebuffel (1738-1804), e la figlia
quattordicenne Adèle (1788-1861): corteggiò la figlia
ma finì a letto con la madre. Sconcertando Henri, entrambe
provarono un'aperta soddisfazione alla morte di Jean-Baptiste, che
del resto aveva una manifesta relazione con una sua socia in affari.
Adèle sposerà nel 1808 proprio quell'Alexandre
Pétiet che a Milano si era battuto a duello con Stendhal.
Henri è ancora repubblicano, e il suo eroe non è
Bonaparte, alla cui incoronazione assiste con sarcasmo e disgusto,
ma il generale Moreau, fatto processare da Napoleone, in favore del
quale scrive un pamphlet. Legge Alfieri e in Amleto vede un nemico
dei tiranni, assiste con commozione al Philinte de Molière di
Fabre d'Églantine e si entusiasma per l'Idéologie di
Destutt de Tracy. Crede che la verità possa unire gli uomini,
che con la sola purezza del cuore e con l'ispirazione del genio si
possano comunicare idee folgoranti. Poi si convince che scrivere
è riflessione faticosa, lavorìo continuo, indagine
lenta e sistematica, e legge a analizza nel suo Journal
littéraire Besenval, Brissot, Cabanis, Chamfort,
Chateaubriand, Duclos, Helvétius, Hobbes, Pinel, Retz, Say,
Saint-Simon, Adam Smith, Madame de Staël, Vauvenargues.
Iniziò i primi tentativi letterari e, da appassionato di
teatro, tra il 1803 e l'estate del 1804 scrisse due testi in versi,
Les deux hommes, commedia illuminista dove egli contrappone
l'educazione mondana all'educazione secondo ragione, e Letellier,
nome del gesuita confessore di Luigi XIV, una satira dell'ipocrisia.
Cattivo verseggiatore, Stendhal le lasciò incompiute. Mise
insieme anche un Catéchisme d'un roué, una serie di
definizioni e ritratti di donne tratti dalla letteratura libertina
del secolo precedente: l'iniziativa rientra nel suo eterno progetto
d'essere un seduttore e di trionfare sulla timidezza che lo
attanaglia, di soddisfare la propria vanità e il suo amore
dell'amore. Inoltre, Henri sa di essere brutto: i suoi lineamenti
sono grossolani, il collo s'infossa sulle spalle, è grasso,
presto perderà i capelli e maschererà la calvizie con
un parrucchino, e benché non sia basso, appare tozzo con la
sua vita larga e le gambe corte e sottili. E allora cura il suo
aspetto con ossessivo puntiglio e s'indebita con il sarto.
L'eleganza deve mascherare la bruttezza, come il cinismo del dandy
deve coprire la sensibilità del romantico.
Per stare più a suo agio sulla scena della società e
per amore del teatro, Henri prese lezioni di recitazione. Il 21
agosto 1804 s'iscrisse insieme con Martial Daru alla scuola di Jean
Mauduit, detto La Rive (1747-1827), vecchio e ormai demodé
attore tragico, poi a quella del più economico Jean-Henri
Gourgaud, detto Dugazon (1746-1809), travolgente attore comico
ammiratissimo da Stendhal. Qui conobbe l'aspirante attrice
Mélanie Guilbert, o Mademoiselle Louason (1780-1828), se ne
innamorò e fu ricambiato.
Mélanie, divorziata da un diplomatico prussiano, era venuta a
Parigi da Caen per partorire una bambina, Henriette, frutto di una
relazione occasionale. Con poche risorse, voleva essere attrice per
vivere ed essere indipendente: era bella, bionda, con due occhi blu
ora severi, ora teneri, «pieni di quella malinconia immensa e
ferita che per Stendhal è il segno dell'anima e il richiamo
dell'amore». Decisero di vivere insieme e poiché
Mélanie ha ottenuto una scrittura a Marsiglia, l'8 maggio
1805 Stendhal l'accompagnò fino a Lione, poi andò a
Grenoble per convincere il padre, suggerendo velatamente che
Henriette possa essere figlia propria, a finanziargli il suo
progetto di aprire una banca a Marsiglia. Non ottenendo nulla,
ripiegò su un impiego presso Charles Meunier, un esportatore
marsigliese di prodotti di drogheria. Per quasi un anno Henri e
Mélanie vissero come marito e moglie, poi il teatro
fallì e il 1º marzo 1806 Mélanie tornò a
Parigi in cerca di nuove scritture: nella lontananza la passione
svanì.
Mentre finiva l'amore per Mélanie e rimanevano miseri i
guadagni da droghiere, la Francia era divenuta il paese più
potente d'Europa, e Napoleone aveva bisogno, oltre che d'un esercito
invincibile, anche di una corte e di una burocrazia adeguata alle
sue mire di dominio europeo. Per questo ha creato, nel 1803, la
figura dell'«uditore», che sembra fatta apposta per
Henri: si tratta di giovani che fanno un tirocinio
nell'amministrazione pubblica e frequentano la corte e i salotti che
contano, dove si fa mostra di belle maniere e si discute di
politica. Un po' cortigiani e un po' burocrati, essi acquisiscono
così la cultura politica e il senso del nuovo Stato
imperiale.
Stendhal era entusiasta, e il 31 maggio tornò a Grenoble,
dove la famiglia si attivava presso i Daru, che in verità
erano rimasti delusi del comportamento passato di Henri. Quindi il
10 luglio si stabilì a Parigi, il 3 agosto entrò nella
massoneria, ritenuta al tempo la chiave di ogni successo, e riprese
le relazioni con i cugini, finché Martial Daru cedette e lo
prese con sé: il 16 ottobre 1806, due giorni dopo la
battaglia di Jena, partivano per la Germania, al seguito della
Grande Armée impegnata in una nuova campagna di guerra.
Al servizio dell'Imperatore (1806-1814)
Il 27 ottobre Stendhal vide Napoleone entrare vincitore a Berlino,
dove Martial Daru lo nominò collaboratore dei commissari di
guerra, e il 3 novembre si trasferirono entrambi a Brunswick, la
capitale dell'ex-ducato annesso al regno di Vestfalia di Girolamo
Bonaparte, di cui Daru era intendente. Stendhal divenne commissario
di guerra: con una paga di 200 franchi al mese e due segretari al
suo servizio, si occupava di approvvigionamenti, di logistica, di
sanità, della riscossione delle imposte; redigeva rapporti,
rendiconti, eseguiva controlli e scriveva un'infinità di
lettere d'ufficio. Ma c'era anche il tempo dello svago: prese in
prestito libri della biblioteca di Wolfenbüttel, dalla quale ne
dovette far requisire 400 per conto della Bibliothèque
imperiale di Parigi, andava a caccia, frequentava la vecchia corte,
viaggiava. E fu in questo periodo che scoprì Mozart.
Ma naturalmente al centro del suo interesse vi erano anche le donne.
Nell'aprile del 1807 Stendhal s'innamorò di Wilhelmine von
Griesheim, figlia di un generale: era già fidanzata, ma Henri
le dichiarò egualmente il suo amore, lei sembrava esitare ma
alla fine nulla successe e del resto i Griesheim, oppositori del
nuovo regime, furono mandati in esilio alla fine dell'anno da re
Girolamo.
Con la partenza di Martial da Brunswick all'inizio del 1808, l'altro
cugino Pierre Daru, che è intendente generale dell'Impero,
promosse Henri intendente dei possedimenti imperiali del
dipartimento dell'Ocker. Cercava di mantenere, nel disbrigo delle
sue funzioni, un tono di disinvolta leggerezza: «amministro
come vado a caccia, per il piacere del successo», scrive a
maggio nel suo Journal, e ancor più disinvolta era
l'amministrazione delle sue finanze, tanto da dover più volte
chiedere denaro al padre. Cominciò a non poterne più
di Brunswick e finalmente l'11 novembre venne richiamato a Parigi,
dove trovò la sorella Pauline sposata (dal 25 maggio con
François Périer-Lagrange, imprenditore di tessuti per
vele) ma infelice nel suo matrimonio di «convenienza»: i
due fratelli si allontaneranno, sostituendo alla complicità
un rapporto corretto ma superficiale.
Anno nuovo e nuova campagna di guerra: il 28 marzo 1809 Stendhal
ricevette l'ordine di riunirsi a Strasburgo con i commissari di
guerra al seguito della Grande Armée che avanzava contro il
vecchio Impero austriaco. Impegnato nel caotico disordine delle
retrovie a portare dispacci nel fango e nella polvere, non vide
nemmeno le battaglie di Essling e di Wagram, ma assistette allo
scontro di Ebersberg, dove di fronte alle tragedie di quelle scene
sanguinose poté mantenere tanto un'ammirevole freddezza
quanto essere scosso fino all'orrore.
Il 13 maggio entrò a Vienna, con la stessa emozione con la
quale era entrato a Milano. «Lavoro giorno e notte, e il resto
del tempo cavallo, ragazze e musica», scrive sul Journal: la
musica era naturalmente quella del «divino Mozart» che
Henri poneva alla pari di Cimarosa, ma anche quella di Haydn, che
morì alla fine del mese (il 15 giugno Stendhal assistette al
Requiem in suo onore). Ma a Vienna aleggiava «odore di
femmina», e Stendhal si trovò un'amante in Babet Rothe,
un'attrice e cantante che egli possedette in un padiglione
abbandonato del Prater e per la quale per poco non si batté a
duello con un maggiore d'artiglieria, Jean-Baptiste Raindre
(1779-1858). In ottobre venne a stabilirsi a Vienna, per un mese,
Alexandrine Daru (1783-1815), moglie del suo protettore Pierre, che
l'affidò a Henri perché le facesse da guida nella
grande città: nacque in Stendhal, per quella donna giovane ma
già madre di cinque figli, un amore muto - o un'attrazione -
che a volte gli sembrava ricambiato, ma che egli non riuscì e
non poté esprimere nel timore dell'equivoco o di osare
troppo. È la condizione vissuta da Julien Sorel, il
protagonista de Il rosso e il nero, durante i suoi primi rapporti
con Madame de Rênal.
Finita la campagna d'Austria, il 20 gennaio 1810 Stendhal
tornò a Parigi, dove il 1º agosto ricevette la sospirata
nomina a uditore. Poiché anche nell'Impero le cariche si
ottenevano in base al censo, il padre Chérubin dovette
assicurare al figlio una rendita annua di 6.000 franchi. Il 22
agosto Henri venne nominato ispettore del Mobilio e degli Edifici
della Corona, carica che gli assicurava uno stipendio di 6.000
franchi annui, che uniti ai 2.000 franchi di uditore e ai 900
garantiti dalla sua funzione di commissario di guerra, facevano
8.900 franchi, poco per le spese a cui era abituato e che
aumentavano a motivo delle esigenze imposte dalle sue cariche:
quell'anno Henri accumulò debiti per 12.500 franchi, che
saliranno a 36.000 nel 1815.
La sua amante del momento era Angéline Bereyter (1786-1841),
cantante d'operetta, che Henri chiamava all'italiana "angioletto",
una donna sempre disponibile che si fece mantenere da Stendhal fino
al 1814 senza avanzare mai troppe pretese. Andava ogni sera a casa
di Henri ma, non sollecitando la sua fantasia, non sarà mai
amata: l'amore platonico restava riservato alla Daru. Il 31 maggio
1811 decise di rischiare e, sotto un pioppo del giardino di lei, le
si dichiarò. Per fuggire alla sconfitta del rifiuto di lei
così il 29 agosto, con il permesso di Pierre Daru che aveva
apprezzato il suo lavoro, Stendhal poteva prendersi una vacanza,
lasciarsi alle spalle i suoi ultimi dieci anni e ritornare sui
propri passi, riconoscendo se stesso nel proprio passato: e
naturalmente la sua meta fu l'Italia.
Il 7 settembre rientrava a Milano e già la sera stessa andava
alla Scala. Il giorno dopo si presentava dalla Pietragrua, deciso a
farla sua. Bandita la timidezza, il 12 settembre si dichiarò
e in risposta ricevette la domanda: «Perché non me lo
diceste allora?». Ottenuta la sospirata vittoria, Stendhal
poté continuare il suo viaggio italiano nel quale si spinse
fino a Pompei. Cercò di capire e amare la pittura, per la
quale non aveva la stessa facilità provata per la musica. A
Firenze scoprì di avere un proprio gusto - forse discutibile
- ma ciò che gli importava era vedere e amare ciò che
guardava. Si fermò a Roma dal 30 settembre al 3 ottobre, dove
Martial Daru gli presentò Canova e dove fu emozionato dal
canto degli uccelli sulle rovine antiche, poi fu a Napoli, a Pompei,
e risalì ancora a Roma fino, il 17 ottobre, ad Ancona, per
incontrare una certa Livia conosciuta a Brunswick. Il 22 ottobre
Stendhal faceva ritorno a Milano, con l'idea di scrivere una storia
della pittura, soprattutto al fine di comprendere meglio quell'arte:
si procurò allora le Vite del Vasari, la Storia pittorica del
Lanzi, il saggio, appena uscito, di Giuseppe Bossi sul Cenacolo di
Leonardo. Ma era tempo di tornare in patria e il 13 novembre
Stendhal lasciò Milano.
A Parigi, distaccato negli uffici della sezione di Guerra, mentre
dava inizio alla sua Histoire de la peinture, attingendo a piene
mani al Lanzi, e a una Vita di Cimarosa sopra un dizionario dei
musicisti, riprese abitudini e ambizioni: brigò per ottenere
una nomina a barone e, poiché partecipare a una campagna di
guerra procurava avanzamenti di carriera, chiese di partire per la
Russia. Il 23 luglio 1812, quando già la Grande Armée
avanzava nelle steppe russe, Stendhal partì da Parigi e il 14
agosto raggiunse il Quartier generale francese a Bojarinkova, presso
Krasnyj. Il 9 settembre assistette alla battaglia della Moscova e il
14 era a Mosca.
Qui vide l'avanzare dell'incendio, i saccheggi, il disordine, le
miserie di uomini che fino al giorno prima costituivano l'esercito
più potente del mondo e il crollo del mito
dell'invincibilità di Napoleone, che egli poté
osservare al Cremlino, e dei suoi generali, tormentati dalla
dissenteria. Henri, a quanto racconta, mantenne il controllo di se
stesso, pur nel freddo, nella fame e nella stanchezza. Il 15 ottobre
Stendhal venne nominato direttore generale degli approvvigionamenti
di Smolensk, dove l'esercito doveva sostare durante la ritirata. Nel
viaggio, la sua scorta composta di un centinaio di soldati venne
assalita dai cosacchi ma si difese, e tuttavia lui perse il
manoscritto dell'Histoire de la peinture. Il 2 novembre era a
Smolensk poi, sempre anticipando i resti dell'Armée in
ritirata, proseguì la sua missione a Orša, a Bóbr, a
Toločin: superò la Beresina il 27 novembre, un giorno prima
che i suoi ponti venissero distrutti dai russi. Il 4 dicembre
rischiò la vita in un assalto di cosacchi a Моlodečno, il 7
era a Vilna e il 14 fu finalmente in salvo a Königsberg.
Naturalmente, nella città prussiana, non si perse la recita
della Clemenza di Tito. Poi, con calma, attraversò la
Germania e il 31 gennaio 1813 si ritrovò a Parigi.
A ricompensa dei suoi servigi sperò di ottenere una
promozione con un incarico di prestigio, del tipo di una prefettura,
ma invano. Così, dal 25 aprile, era nuovamente al seguito
dell'esercito che ora affrontava la coalizione russo-prussiana:
annoterà di «essere annoiato e disgustato di tutto;
l'Imperatore mi sembrava pazzo». All'armistizio seguito alle
battaglie di Lützen e di Bautzen venne nominato intendente a
Żagań: vi si ammalò di tifo il 6 luglio, e corse pericolo di
vita. Rimandato a Dresda febbricitante, ottenne una licenza per
curarsi a Parigi e da qui partì ancora per l'Italia: Milano,
il lago di Como, Venezia e naturalmente la musica della Scala e
Angela Pietragrua (riprese anche da capo l'Histoire de la peinture).
La stella di Napoleone, sconfitto a Lipsia, volgeva al tramonto. Gli
austriaci avanzavano in Italia e Stendhal, tornato a Parigi, a
dicembre si vide affidato il compito di affiancare il conte Jean de
Saint-Vallier (1756-1824) nella difesa del Delfinato, la sua
regione. Chambéry venne perduta e riconquistata, ma non era
quello un fronte di guerra importante. La coalizione antinapoleonica
puntava su Parigi, e il 14 marzo 1814 Stendhal vi si diresse: a
Thuellin, sul caminetto d'una locanda, incise la sigla
«MTF», come dire «Mane Fares Thecel», ma
anche Je m'en fous de tout. Il 29 marzo vide l'ultima resistenza
francese a Montmartre e tentò di nascondere per salvare
alcuni quadri del Louvre, poi vide l'ingresso a Parigi degli alleati
e, con loro, dei Borboni.
Con il restaurato Regime monarchico, essendo i Daru momentaneamente
in disgrazia, gli occorreva trovare nuovi protettori per salvare
titoli e posizione, e allora Stendhal si rivolse a Jacques-Claude
Beugnot (1761-1835), il ministro degli interni del governo
provvisorio, che lo raccomandò a Talleyrand. Non avendo
ottenuti risultati, cercò un diversivo immergendosi nei suoi
interessi, e in un mese scrisse le Lettres écrites de Vienne
en Autriche sur le célèbre compositeur J. Haydn,
suivies d'une vie de Mozart, et de considérations sur
Métastase et l'état présent de la musique en
France et en Italie, un semplice adattamento e traduzione de Le
Haydine di Giuseppe Carpani pubblicate due anni prima. Le
firmò «Louis-Alexandre-César Bombet», che
rappresentava insieme un'allusione al nuovo regnante, allo zar e a
Bonaparte. Sentì che compromettersi con il nuovo Regime
sarebbe stata una ferita insopportabile per il proprio ego: meglio
lasciare tutto e tornare là dove la sua vera vita era
cominciata, al suo eterno punto di partenza. Il 20 luglio Stendhal
lasciava Parigi e il 10 agosto era ancora una volta a Milano.
«Henri Beyle, milanese» (1814-1821)
In realtà i francesi non erano più ben visti a Milano:
in aprile Giuseppe Prina, l'ex ministro del governo di Eugenio di
Beauharnais, era stato linciato da una folla sobillata
dall'aristocrazia milanese, desiderosa di ingraziarsi i nuovi
padroni e di farsi diminuire le tasse. Anche i rapporti con Angela
Pietragrua, mai facili, si deteriorarono e lei arrivò al
punto di minacciare di denunciarlo alla polizia. Avuta la prova, da
una cameriera infedele della Pietragrua, dei suoi numerosi amanti,
nel dicembre del 1815 la relazione finì bruscamente,
lasciandogli una scia di depressione dalla quale cercò di
uscire ripiegando nella scrittura.
Ripresi i suoi appunti e mantenuti i contatti con l'amico Crozet,
che faceva l'ingegnere a Plancy ma si assumeva anche la funzione di
suo agente letterario, per un anno Henri lavorò alla sua
Histoire de la peinture, che terminò nel febbraio del 1817 a
Napoli, non andando volontariamente oltre la trattazione della
scuola fiorentina. Il libro apparve il 2 agosto, a firma di M.B.A.A.
- Monsieur Beyle Ancien Auditeur - per i tipi dell'editore parigino
Didot. Il mese dopo, il 13 settembre, usciva anche Rome, Florence et
Naples, en 1817, sotto il nom de plume di «Monsieur de
Stendhal, Officier de Cavalerie». Nel frattempo però,
con il nome di Louis-Alexandre-César Bombet, uscirono le
Lettres écrites de Vienne en Autriche sur le
célèbre compositeur J. Haydn, suivies d'une Vie et de
considérations sur Métastase et l'état
présent de la musique en France et en Italie (1815), subito
accusato di plagio dal musicologo italiano Giuseppe Carpani e difeso
dal Crozet, improvvisatosi fratello di Bombet.
Durante un breve viaggio tra aprile e giugno a Grenoble, fatto per
questioni economiche legate alla famiglia (tra l'altro Pauline
è rimasta vedova e povera, e Zénaïde, l'altra
sorella, si è sposata portando con sé una grande
dote), ci fu un'insurrezione e il padre, divenuto sindaco,
nonostante non mancasse di reagire con dura repressione, venne
accusato di debolezza. Stendhal, sempre pieno di debiti e in rotta
con lui, lasciò il paese natale deciso a
«diventare» italiano.
Tornato a Milano, un giovane avvocato piemontese, Carlo Guasco, lo
presentò nel luglio del 1816 a Ludovico di Breme, che lo
introdusse nel circolo degli intellettuali romantici e, in varia
misura, liberali, che si intorno a lui si raccoglievano, il Pellico,
il Berchet, Pietro Borsieri, oltre a lord Henry Brougham
(1778-1868), che gli fece conoscere la Edinburg Review, una delle
riviste britanniche la cui modernità e indipendenza di
giudizio erano sconosciute nel resto dell'Europa, attraverso la
quale conobbe alcune delle opere di Byron. E conobbe in ottobre lo
stesso celebre poeta, un dandy circondato da un'aura di scandalo,
espressione vivente, per Stendhal, del Romanticismo: fu un incontro
piacevole, durante il quale Byron si mostrò molto interessato
alle avventure «napoleoniche» di Stendhal.
La vita di Napoleone
Nel 1817-1818 lavorò alacremente a una Vita di Napoleone;
L'autore non pubblicò mai il testo, non solo per comprensivi
motivi di prudenza politica nel momento della Restaurazione, ma
anche perché non fu mai rifinita, al punto da apparire
più come una serie di appunti, anziché un'opera
completa.
Era stato scritto soprattutto come una in risposta alle critiche
avanzate da Madame de Stael, nel suo Riflessioni sulla Rivoluzione
francese, ma Stendhal, che pure ritiene Napoleone superiore persino
a Cesare, non esita a sollevare nei confronti di Napoleone critiche
addirittura di senso opposto.
Il quadro che ne esce è completamente diverso da quello
atteso. Stendhal fa dei protagonisti dei suoi romanzi dei ferventi
bonapartisti: Lo sono sia Julien Sorel che Fabrizio del Dongo. Ma in
contrapposizione all'accusa corrente durante la restaurazione di un
Napoleone despota sanguinario responsabile delle guerre del primo
quindicennio del secolo XIX, Stendhal non compone una apologia, ma
elabora uno studio condotto con rigore storico. Se muove grandi
rimproveri all'imperatore sono di segno opposto di non aver colto
l'occasione di cambiare il mondo, e di aver agito, a volte senza il
coraggio di osare, e di essere più attaccato alla
vanità che alla gloria.
L'edizione del testo, insieme con quella di un' opera sullo stesso
soggetto, di vent'anni posteriore fu curata da un amico di Stendhal:
Romain Colomb in una versione con molti troncamenti e omissioni e
solo in tempi molto successivi furono recuperati da una edizione
critica.
L'incontro con Métilde
Il 1818 fu anche l'anno dell'incontro con Metilde Viscontini
Dembowski, da lui chiamata Métilde, della quale fu
infelicemente innamorato. Metilde, separata da un marito violento,
il generale polacco Jan Dembowski, non gli riservò altro che
la propria amicizia: aveva forse un altro amante, ma soprattutto
pensava ai propri due figli, affidati all'ex-marito. Stendhal la
seguì più volte di nascosto, nei suoi spostamenti
fuori Milano: a Desio, il 14 aprile del 1819, il 5 giugno a
Volterra, dove lei era in visita ai suoi figli. A luglio Stendhal
era a Bologna, aspettando invano una sua lettera, quando ricevette
la notizia della morte del padre, avvenuta il 10 giugno. Non ne fu
addolorato e in agosto tornò a Grenoble sognando per un
momento di ereditare improbabili ricchezze, ma i debiti e le
ipoteche accumulate da Chérubin Beyle costrinsero Henry e le
sorelle a vendere gran parte delle proprietà.
Il 22 ottobre Stendhal ritornò a Milano, trovando una Metilde
che, incollerita per la sua assiduità e le sue dichiarazioni
d'amore, gli impose di diradare le sue visite. Egli capiva che il
suo amore «viveva solo di immaginazione», ma non poteva
fare a meno di cercarla, e a dicembre venne letteralmente messo alla
porta. Passava sotto la sua casa, guardava le sue finestre sperando
di vederla: in una notte del maggio del 1820 la intravide in casa
con il conte Pecchio e si rose di gelosia.
Aveva intanto iniziato a scrivere il De l'Amour, un vecchio progetto
che ora era anche un modo per mettere a nudo il suo cuore,
giustificare le proprie sconfitte e il proprio comportamento nelle
vicende dell'eros, oltre che una sorta di ars amandi del
Romanticismo. L'amore è desiderio, e il desiderio ha per
oggetto la bellezza: così l'amante è anche artista, e
si ama e si apprezza il bello guardandolo a distanza, come un
quadro, un paesaggio e anche una donna amata. E poiché il
desiderio si nutre di immaginazione, che è una presa di
distanza dalla realtà, l'avventura con Metilde diventò
nella fantasia di Stendhal, da una passione non ricambiata, quale
realmente fu, un amore che Matilde non poté ricambiare
perché ella amava troppo Stendhal.
Per la pubblicazione del libro si rivolse all'amico parigino Adolphe
de Mareste (1784-1867), al quale annunciò il 1º aprile
del 1821 di aver deciso di lasciare Milano per raggiungere la
Francia. Aveva assistito allo sviluppo della Carboneria, alla quale
anche Metilde aderiva, ma aveva rifiutato di farne parte, pur
condividendone i progetti politici. Sapeva che gli austriaci
avrebbero facilmente soffocato il movimento e imposto alla Lombardia
un regime più repressivo del vigente dispotismo illuminato.
Nel suo giudizio, la Milano spensierata delle serate musicali alla
Scala, amante del buon vivere, illuminista e scettica, si stava
mutando in una città della Restaurazione, cospirativa e
controllata dalla polizia politica: «senza i torbidi e la
carboneria non sarei mai rientrato in Francia»,
scriverà anni dopo. Il 7 giugno fece visita per l'ultima
volta a Metilde e il 21 giugno raggiunse Parigi.
La notorietà (1821-1826)
A Parigi passò mesi d'inerte depressione, dalla quale neanche
gli amori mercenari riuscivano a scuotere Stendhal, tutto preso dal
ricordo di Matilde. Una sera gli amici Mareste (1784-1867), capo
ufficio della prefettura di Polizia, uomo «arido e
avaro», l'industriale Lolot (1781-1845), «bello e
senz'alcun ingegno» e l'ufficiale Poitevin, «stupido ma
con uno stile perfetto», lo condussero in un bordello dove
esordiva la bellissima Alexandrine, prostituta destinata ad amori di
alto bordo, straordinariamente somigliante alla Venere d'Urbino
dipinta da Tiziano. Stendhal fece «cilecca in pieno, fiasco
completo», tra le lunghe e deliziate risate dei compagni
d'avventura: «io ero stupito e niente altro. Non so
perché l'idea di Métilde si era impadronito di me
mentre entravo in quella camera». Si rifece brillantemente a
Londra con miss Appleby, una prostituta d'infimo ordine,
ristabilendo agli occhi degli amici la sua indiscutibile
virilità.
Alla fine dell'anno Stendhal riacquistò la serenità
necessaria per riprendere e portare a compimento il De l'amour.
L'editore Pierre Mongie si accollava le spese contando di rifarsi
sulle vendite, ma l'opera, uscita anonima il 17 agosto 1822 in due
eleganti volumetti, vendette in tutto una quarantina di esemplari.
In compenso, ebbe lodi dalla critica: il Journal de Paris ne
lodò la franchezza, la sapiente negligenza dello stile e
l'umorismo, e a Londra il New Monthly Magazine, riconoscendo in
Stendhal l'autore di quell'opera «singolare e bizzarra»,
gli suggeriva di scrivere un romanzo.
Riprese a frequentare qualche salotto parigino: la domenica, quelli
aristocratici, ma aperti alla politica liberale, dei La Fayette
(1757-1834) e dei Tracy (1754-1836); il mercoledì, quello del
pittore François Gérard (1770-1837), dove conobbe
l'allievo di questi, il miniaturista Abraham Constantin (1785-1855),
che a Roma divenne suo assiduo amico, Delacroix (1798-1863), Balzac
(1799-1850), il poeta Pierre-Jean de Béranger (1780-1857),
«ammirevole e amabile», cortigiano per necessità
economiche e tuttavia spirito libero, il filosofo Cousin
(1792-1867), l'ammirato polemista Paul-Louis Courier (1772-1825); il
sabato si apriva il salotto di Joseph Lingay (1791-1851),
giornalista prezzolato dal governo di Villièle (1773-1854)
perché compromettesse con i suoi dossiers gli avversari
politici: qui Stendhal conobbe il giovane Prosper
Mérimée (1803-1870). C'era il salotto dello scienziato
Georges Cuvier (1769-1832), sempre a caccia di cariche e di onori, e
il martedì ricevevano i coniugi Jacques (1794-1854) e
Marguerite Ancelot (1792-1875), un'intrigrante coppia di letterati:
lei era amante del maresciallo Marmont (1774-1852), che mandava i
suoi granatieri a teatro ad applaudire le opere del marito, e
lasciò nei suoi Salons de Paris un ritratto di Stendhal.
Stendhal fu anche assiduo della celebre cantante Giuditta Pasta, che
si era trasferita a Parigi dal 1821. La sua fu solo ammirazione per
l'artista che, in grado di passare dal registro di contralto a
quello di soprano, affascinava lo scrittore per la sua
capacità d'interpretazione drammatica, il timbro cupo e i
suoni velati della voce. Inoltre, il suo salotto «era il
ritrovo di tutti i milanesi che venivano a Parigi» e Stendhal
era «entusiasta di sentir parlare milanese e respirando con
tutti i sensi l'idea di Métilde». Ma un autentico
circolo letterario Stendhal lo trovò nella casa di rue
Chabanis, dove ogni domenica mattina Étienne Delécluze
(1781-1863), ex-allievo di David passato alla letteratura e al
giornalismo, riuniva i giovani, moderatamente liberali e monarchici
del Le Globe, romantici nell'arte e sostenitori del Guizot in
politica. Qui Stendhal dava libero corso al suo spirito sarcastico e
alla sua «scandalosa» irriverenza - che egli appena
frenava nei salotti «bene» - e qui fece comprendere a
Delécluze il nucleo della sua poetica di scrittore, la
necessità dell'«imitazione immediata delle cose»,
fondando «la modernità e il realismo».
Stendhal rese pubbliche le sue posizioni sull'estetica letteraria e
musicale in alcune riviste inglesi alle quali aveva iniziato a
collaborare nel 1822: sulla Paris Monthly Review aveva scritto in
gennaio un articolo su Rossini cui seguirono l'anno dopo i due
volumi di una Vie de Rossini, che fu recensita con interesse e
polemiche dalla stampa. Era un attacco al mondo musicale francese,
presentato come vecchio e accademico, e una difesa del musicista
italiano che tuttavia irritò lo stesso Rossini, presentato
come un bohémien, «un improvvisatore pigro, facile, che
copiava se stesso senza ritegno e senza ritegno si divertiva a
comporre. Tutto il contrario di un artista, e quindi il vero
artista, il vero romantico».
Essere moderni significa essere romantici, abbandonare le vecchie
idee classiciste che in Francia avevano esaltato un Racine e
svalutato uno Shakespeare. Questo scrisse Stendhal nel 1823 e nel
1825 sul New Monthly Magazine: come in pittura David aveva superato
la vecchia scuola barocca dominante dai tempi di Luigi XIV, ora
«siamo alla vigilia di una rivoluzione simile in poesia. Fino
al giorno del successo noi, sostenitori del genere romantico, saremo
sommersi d'improperi. Ma quel gran giorno alla fine arriverà,
la gioventù francese si risveglierà e sarà
stupefatta, questa nobile gioventù, d'aver applaudito, per
tanto tempo e tanto seriamente, così grandi
stupidaggini».
Al Racine et Shakespeare seguì, alla fine del 1825, il
Nouveau complot contre les industriels, un pamphlet il cui titolo
stesso è ironico. Non c'è nessun complotto contro gli
industriali, sono i sansimoniani e gli altri esaltatori delle
«magnifiche sorti e progressive» che attenderebbero le
società industrializzate a non comprendere - o a fingere di
non capire - che la classe degli industriali non s'interessa del
bene generale, ma del proprio: «gli industriali sono innanzi
tutto utili a se stessi, fanno buoni affari e hanno
un'utilità nell'ordine dei beni materiali e della gestione
economica e finanziaria».
Stendhal si alienò così le simpatie dei moderati
liberali del Globe e tornò con la fantasia ai suoi ricordi
italiani. Decise di arricchire il suo libro del 1817, preparandone
una nuova edizione grandemente rinnovata: il Rome, Naples et
Florence uscì nelle librerie nel febbraio del 1827
pesantemente censurato dallo stesso editore Delaunay per timore
della recente legge sulla stampa imposta dal reazionario regime di
Carlo X. Il libro non ebbe successo: quell'Italia evocata da
Stendhal appariva arcaica e anacronistica a Parigi.
Dal maggio del 1824 Stendhal aveva stabilito una relazione
clandestina con la contessa Clémentine Beugnot (1788-1840),
sposata con il generale Philibert Jean-Baptiste Curial (1774-1829) e
madre di tre figli: donna passionale ed esigente, fu lei a fargli
dimenticare Metilde - deceduta prematuramente il 1º maggio 1825
- e fu lei, Menti, a comunicargli per lettera, il 15 settembre 1826,
il suo abbandono, quando Stendhal viaggiava per l'Inghilterra con
l'amico Sutton Sharpe (1797-1843), il suo mentore inglese. Stendhal
stava già lavorando al suo primo romanzo, Armance ou quelques
scènes d'un salon de Paris en 1827, che uscì anonimo a
Parigi il 18 agosto 1827.
Il romanziere (1827-1830)
Vi è narrata la relazione tra Octave de Malivert, giovane
brillante e taciturno, e Armance de Zohiloff. Octave è
impotente ma non intende rivelare questo suo segreto all'amata, e la
loro vicenda finirà in tragedia. Armance, che riprende il
tema dell'Olivier, romanzo scritto nel 1822 dalla duchessa Claire de
Duras (1777-1828), non pubblicato ma egualmente noto nei circoli
intellettuali della capitale, non ebbe alcun successo, né di
pubblico, né di critica.
Stendhal era partito per l'Italia senza aspettare le prime reazioni
al suo romanzo: alla fine del luglio del 1827 era a Genova, poi per
un mese a Napoli e visitò Ischia e Pompei, lasciando sulla
parete del tempio di Iside un graffito, tuttora visibile, con il
proprio nome. A ottobre fu a Roma, poi per due mesi a Firenze, dove
frequentò Vieussieux, il fondatore de
«L'Antologia», nella quale cercò di far
pubblicare un articolo contro Cousin, ma fu osteggiato da Tommaseo,
conobbe Leopardi e ritrovò Lamartine, allora primo segretario
dell'ambasciata francese.
Dopo aver visitato a Venezia il poeta Pietro Buratti ed esser
passato a Ferrara, il 10 gennaio del 1828 era a Milano, dove
presentò richiesta alla polizia di un permesso di soggiorno
di quindici giorni: permesso negato, con l'ingiunzione di lasciare
immediatamente la città quale persona indesiderata, in quanto
nella sua Rome, Naples et Florence erano presenti espressioni
ingiuriose contro il governo austriaco. Stendhal lasciò
Milano soltanto il 14 gennaio e il 29 gennaio era nuovamente a
Parigi. Le autorità austriache si preoccuperanno, nel
novembre del 1830, di sottoporre a censura tutte le sue
pubblicazioni.
Dal soggiorno romano prese lo spunto di approfondire le sue
impressioni sulla città dei papi. Le Promenades dans Rome
uscirono il 5 settembre 1829: in questa città che al
visitatore appariva stagnante, se non morta, Stendhal scopriva
l'energia di un popolino superstizioso e cinico, ribelle e poltrone,
orgoglioso e ignorante. Il libro ebbe successo ed ottenne le lodi
della stampa francese e dell'Antologia di Vieusseux.
Il 1829 è anche l'anno di una breve ma intensa passione per
Alberthe de Rubempré (1804-1873), nata Boursault-Malherbe:
separata dal marito, un vecchio finanziere dell'Ancien
Régime, donna molto bella, appassionata di occultismo, era
uno spirito forte e indipendente. Già amante del pittore
Delacroix, suo cugino, dopo la fine della relazione con Stendhal
divenne amante degli amici Merimée e Mareste. Quanto ad
Henry, egli partì l'8 settembre per un lungo viaggio che lo
vide in Spagna per rientrare in ottobre a Grenoble e poi a
Marsiglia: qui, nella notte del 25 ottobre, ebbe l'idea del Rouge et
Noir, e con una prima, breve stesura del romanzo ritornò a
Parigi.
A Parigi Stendhal era divenuto un uomo di successo: la sua
conversazione brillante fece scrivere a Lady Morgan (1776-1859) che
essa «è ancora più arguta delle sue
opere», e l'amica Jules Gaulthier (1790-1853) gli scrisse che
il suo romanticismo è «puro, naturale, affascinante,
divertente, ingenuo, interessante». Certo, non la pensava
così Victor Hugo, conosciuto nel 1830, che qualificò
Stendhal «un uomo di spirito che era un idiota» e che
non si rendeva conto «che cosa significasse scrivere».
Il 27 gennaio 1830 Stendhal ricevette una dichiarazione d'amore:
gliela fece un'italiana, la senese Giulia Rinieri de' Rocchi
(1801-1881), di antica ma rovinata famiglia patrizia, che dal 1826
viveva a Parigi con il suo tutore, il commendatore Daniello
Berlinghieri. Divennero amanti il 22 marzo: lei era pronta a sposare
Stendhal, che il 6 novembre chiese al tutore la sua mano, ottenendo
un netto rifiuto. Rimarranno amanti per tutta la vita, anche dopo il
matrimonio di lei con il cugino Giulio Martini, sposato nel 1833.
In questa nuova condizione della sua vita sentimentale, Stendhal
rielaborava il manoscritto de Il Rosso e il Nero: l'8 aprile 1830
vendette alll'editore Levavasseur, per 1.500 franchi, l'opera ancora
incompiuta, che uscì il 13 novembre. Ne scriveva gli ultimi
capitoli quando Parigi viveva le «tre gloriose giornate»
della rivoluzione di luglio, che videro la fine della Restaurazione:
all'alba del 30 luglio, uscendo dalla casa di Giulia, Stendhal vide
con gioia il tricolore sventolare nuovamente sull'Hôtel de
Ville. Le Rouge et le Noir fu un grande successo e divenne subito il
romanzo alla moda in tutta la Francia, poiché il suo
protagonista, Julien Sorel, fu immediatamente compreso essere il
simbolo della crisi politica, sociale e morale percorsa da tutta la
nazione negli ultimi venti anni.
Con l'avvento del nuovo governo orléanista, cominciava la
corsa degli esclusi dal regime borbonico a ottenere cariche e
impieghi. Anche Stendhal avanzò la sua candidatura: il 3
agosto chiese al ministro degli Interni Guizot la nomina a prefetto.
Guizot gliela negò ma in compenso, grazie all'appoggio dal
ministro degli Esteri Molé, ottenne un consolato a Trieste.
Stendhal, sapendo di essere persona non gradita alle autorità
regio-imperiali, aveva richiesto invano il consolato francese di
Livorno. Così, a novembre, senza chiedere il visto
dell'ambasciata austriaca sul suo passaporto, Stendhal partiva per
Trieste.
Console in Italia (1831-1836)
Nel suo viaggio, entrò in Italia a Nizza per dirigersi a
Genova e di qui a Pavia. La sua precauzione di evitare Milano si
rivelò inutile: Stendhal fu fermato dalla polizia a Pavia il
20 novembre, il suo passaporto sequestrato e inviato a Milano, e lui
stesso invitato a raggiungere Milano per chiarire la sua posizione.
Qui gli fu concesso di proseguire per Trieste, dove giunse il 25
novembre, senza che la sua posizione di diplomatico gli fosse ancora
riconosciuta. Il 19 dicembre Metternich notificò
all'ambasciatore francese a Vienna il mancato gradimento del
neo-console e Stendhal passò ancora tre mesi a Trieste in
attesa che Parigi gli assegnasse un nuovo incarico: il 5 marzo 1831
gli pervenne la notizia della sua nomina a console francese negli
Stati pontifici, e il 31 marzo Stendhal partiva per raggiungere la
sua sede di Civitavecchia.
Le autorità pontificie videro con ostilità l'arrivo di
un console ateo, le cui opere erano state poste all'Indice nel 1828,
ma il segretario di Stato, il cardinale Tommaso Bernetti, era un
politico accorto che non intendeva offrire pretesti per incrinare
l'amicizia della Santa Sede con un paese così influente, e il
24 aprile firmò l'ordinanza di nomina. Tuttavia l'Austria,
ora in rapporti molto freddi con la «liberale» Francia,
fece pressioni sul cardinale, presentando Stendhal come un
personaggio scandaloso e un pericoloso rivoluzionario che avrebbe
potuto favorire sbarchi di ribelli a Civitavecchia. La conseguenza
fu che il console Stendhal si trovò ad essere continuamente
sorvegliato dalla polizia pontificia, sia nella villa Lenzi, sede
del consolato, sia nella sua residenza romana di palazzo Cavalieri,
allora in via dei Barbieri, presso Torre Argentina.
Fu il periodo peggiore della vita di Stendhal:
l'«auditore» che aveva servito Napoleone a Parigi, a
Vienna e a Mosca non poteva sentirsi a suo agio a Civitavecchia,
cittadina di qualche migliaio di abitanti, mille galeotti e
cinquecento guardie, né a Roma, dove niente sembrava mai
succedere. Si annoiava e vegetava, gli mancavano le amiche, i
conoscenti e le conversazioni di Parigi, lo spirito dei suoi
salotti. Condannato a vivere in se stesso, la sua creatività
poteva indirizzarsi solo a se stesso, ai suoi ricordi, e
iniziò a scrivere quelle autobiografie che sono i Souvenirs
d'égotisme e la successiva Vie de Henry Brulard, senza
peraltro portarle a termine. Dopo aver terminato il racconto San
Francesco a Ripa, nel 1831, aveva infatti deciso di non pubblicare
più niente - ma qualche anno dopo rinnegherà questa
decisione - e questa sua intenzione comportò l'interruzione
di opere cui aveva lavorato fino ad allora, i romanzi Une position
sociale, Le Juif e Le Lac de Genève.
L'insofferenza per i suoi impegni di console lo indusse ad
allontanarsi più volte da Civitavecchia e a chiedere diversi
congedi. Tranne una missione ufficiale svolta nel marzo del 1832 ad
Ancona, appena occupata da una flotta francese, viaggiò a
Napoli, in Toscana e in Abruzzo. Il 6 novembre, sapendo del ritorno
da Parigi di Giulia Rinieri, partì per incontrare lei e la
sua famiglia a Siena: esisteva ancora la possibilità di un
matrimonio che tuttavia sfumò definitivamente nel marzo del
1833, quando il tutore di Giulia concluse con Giulio Martini
(1806-1873) l'accordo di matrimonio che fu celebrato il successivo
24 giugno.
Alla fine di agosto Stendhal partì in congedo: non volle
perdersi l'occasione di rivedere per l'ultima volta l'amata Milano,
malgrado i divieti austriaci, e l'11 settembre era a Parigi, per un
soggiorno di quasi tre mesi. Il 4 dicembre riprese un lungo viaggio
di ritorno in Italia che lo portò prima a Ginevra, poi a
Lione, da dove s'imbarcò sul Rodano diretto a Marsiglia. Sul
battello trovò George Sand, che aveva appena lasciato
Merimée, con Alfred de Musset: passarono insieme tre giorni,
durante i quali scandalizzò la Sand con il suo comportamento
volutamente sconveniente e i suoi discorsi osceni. Stendhal
proseguì poi da solo per la Provenza e per il Piemonte,
arrivando a Roma l'8 gennaio 1834.
Andò ad abitare in via dei Cestari, dove il 9 maggio
iniziò a scrivere il Lucien Leuwen, poi si trasferì in
un appartamento del vicino palazzo Conti, a piazza della Minerva,
dove il 23 novembre 1835 cominciò la Vie de Henry Brulard.
Frequentava l'amico pittore Abraham Constantin (1785-1855), la
famiglia patrizia dei Caetani nel loro storico palazzo del Ghetto,
la famiglia Cini, nella loro villa di Castel Gandolfo,
approfittandone per corteggiare, sembra senza successo, la moglie di
Filippo Cini, Giulia Prosperi Buzi (1811-1872), che era già
amante di Filippo Caetani (1805-1864), amico di Stendhal. C'erano
poi i francesi di passaggio, come Alexandre Dumas, il filologo
Jean-Jacques Ampère, figlio del noto scienziato, o il
reazionario Antoine-Maurice Rubichon, che egli considerava una spia
dei gesuiti e che gli ispirò la figura del dottor Du Poirier
del Lucien Leuwen.
Il congedo parigino (1836-1839)
Stendhal, che ricevette il 15 gennaio 1835 la legion d'onore per i
suoi meriti di scrittore, si fece ritrarre dal giovane pittore
Silvestro Valeri (1814-1902) con la decorazione e in alta uniforme
di console, una carica che gli appariva sempre più
insopportabile. Dopo aver rinunciato a un progetto matrimoniale con
la ventenne M.lle Value, discendente di francesi da molti anni
residenti a Civitavecchia, nel 1836 chiese una licenza di qualche
settimana che gli fu concessa il 26 marzo, ma durerà tre
anni: abbandonò la sua autobiografia e il Lucien Leuwen e
arrivò a Parigi il 24 maggio.
Stendhal era nelle grazie del conte Molé, ora capo del
governo, che gli prorogò indefinitamente il congedo e gli
affidò un non chiarito lavoro circa un progetto di trasporti
marittimi: l'effetto fu un aumento sostanzioso delle sue entrate.
Finalmente poteva riprendere le conversazioni abituali, negategli in
Italia, e frequentare il primo salotto di Parigi, che era allora
quello di Louise-Cordelia Greffulhe (1796-1847), sposata al generale
Boniface de Castellane ma già amante di Chateaubriand e ora
di Molé: da lei si poteva trovare la Parigi che contava e le
celebrità d'Europa in visita nella capitale.
Rivide anche Giulia Rinieri, rimasta a Parigi con i due figli,
mentre il marito, che percorreva una carriera politica nel
Granducato di Toscana - sarà ministro della Pubblica
Istruzione nel 1859 - era dovuto rientrare a Firenze. La loro
relazione riprese il 3 agosto 1838, ma fu breve. Il 27 settembre
ella doveva lasciare la Francia: «io parto e ne ho il cuore
spezzato - gli scrisse - sono col cuore totalmente vostra». Si
rivedranno ancora a Siena e a Firenze.
Fu ripreso dal desiderio di scrivere e di pubblicare. Il 9 novembre
1836 iniziò i Mémoires sur Napoléon che
diventarono in realtà una memoria della gioventù
«napoleonica» dello stesso Stendhal, nell'aprile del
1837 scrisse, a prosecuzione della novella Mina de Vanghel, il
romanzo Le Rose et le Vert, che lasciò incompiuto a giugno, e
uscirono anonime nella Revue des Deux Mondes due sue «cronache
romane», Vittoria Accoramboni e Les Cenci, mentre nell'agosto
del 1838 pubblicò, con lo pseudonimo di Lagevenais,
Allo scopo di avere materia per i suoi Mémoires d'un
touriste, Stendhal aveva intrapreso il 25 maggio 1837 un lungo
viaggio attraverso quella parte della Francia che gli era ancora
sconosciuta: Bourges e la regione del Berry, Tours e la valle della
Loira, Nantes e la Bretagna, Bordeaux e l'Angoulême,
ritornando il 5 luglio a Parigi attraversando la Normandia. Alla
fine di ottobre i Mémoires erano finiti e apparvero il 30
giugno 1838. Il libro ebbe un notevole successo: Stendhal vi
presentava «le antiche culture locali, i dialetti, gli abiti
tradizionali, lo spirito francese di una volta, insolente,
libertino, battagliero e galante [...] in breve una Francia allegra,
coraggiosa, innamorata e non centrista».
L'8 marzo 1838 Stendhal era nuovamente in viaggio per dare un
seguito ai suoi Mémoires: tenne infatti un diario che fu
però pubblicato solo postumo, nel 1927, con il titolo di
Voyage dans le Midi de la France. Ripercorse in parte i luoghi
precedentemente visitati e poi scese a sud, attraversando Narbona,
Montpellier, Arles, Tolone, Cannes e Marsiglia, risalendo per la
Svizzera, per la Germania e per l'Olanda. Poi, via Belgio, si
ritrovò il 18 luglio a Parigi, dove l'aspettava Giulia
Rinieri. Iniziata a settembre La badessa di Castro, il 12 ottobre
riprese a viaggiare per il nord-ovest della Francia: tornato a
Parigi il 3 novembre, si chiuse con un copista nel suo alloggio al
numero 8 di rue Caumartin, e iniziò a dettare La Certosa di
Parma. Il 22 dicembre i sei grandi quaderni del nuovo romanzo erano
pronti per essere consegnati all'editore Dupont, che pubblicò
il capolavoro stendhaliano il 6 aprile 1839. Il libro, del quale
erano uscite in marzo delle anticipazioni sulle riviste «Le
Constitutionnel» e «Paris-Élegant», ebbe un
buon successo di critica: al positivo giudizio del critico della
«Revue de Paris» seguivano ripetute lodi direttamente
inviate all'autore da Balzac, che all'amica Madame Hańska scriveva
il 14 aprile che La Chartreuse era «il più bel libro
uscito da cinquant'anni a questa parte».
Stendhal era in pieno fervore creativo: aveva iniziato a scrivere il
Féder, poi Lamiel, Trop de faveur tue, Suora Scolastica e Le
Chevalier de Saint-Ismer, che è un adattamento de Los
Cigarrales de Toledo di Tirso de Molina. Ma era anche venuto il
tempo di tornare in Italia: da marzo il suo protettore Molé
non faceva più parte del governo e Stendhal non poteva
aspettarsi nuove proroghe al suo impegno di console di Francia. Il
26 giugno Stendhal lasciò Parigi e lentamente si avviò
in Italia: il 3 agosto era a Siena, dove l'attendeva Giulia, e il 10
o il 14 agosto era a Civitavecchia.
Gli ultimi anni (1839-1842)
A Civitavecchia e a Roma, dove prese alloggio in via dei Condotti,
Stendhal fu ripreso dalla noia. Il 10 ottobre ricevette la visita di
Mérimée, al quale fece conoscere Roma e poi partirono
insieme per Napoli, visitando Paestum ed Ercolano: questi due
spiriti caustici non erano fatti per convivere insieme troppo a
lungo e finirono così per rivaleggiare, punzecchiarsi e
guastare la loro amicizia. Stendhal prese a considerare
Mérimée nient'altro che un pedante e lo mise in
caricatura nel personaggio di «Academus» in Lamiel.
A Roma era sempre in contatto con il pittore Constantin: insieme,
concepirono il progetto di una guida ai dipinti conservati nella
città, le Idées italiennes sur quelques tableaux
célèbres, la cui prima parte fu stampata nell'agosto
del 1840 a Firenze, dove Stendhal si recò anche per
incontrare Giulia Rinieri, dall'editore Giovan Pietro Vieusseux.
L'autore delle Idées è sostanzialmente il Costantin ma
altri scritti di Stendhal su quest'opera saranno trovati nel 1923
fra le sue carte e, integrati a quella fiorentina, ne costituiranno
una sorta di seconda edizione.
Nel gennaio del 1840 incontrò e frequentò anche un suo
lontano e giovane cugino pittore, Ernest Hébert, ospite di
Villa Medici in qualità di vincitore del Prix de Rome. Ma la
conoscenza più importante in questo scorcio della vita di
Stendhal sarebbe quello di una signora romana rimasta sconosciuta,
ma che in realtà potrebbe essere identificata con Giulia
Cini, da lui conosciuta e corteggiata inutilmente da anni. Ne
scrisse su un quaderno che intitolò Earline, ossia contessa,
che sarebbe potuto diventare un nuovo romanzo ma che si
esaurì con la fine di quell'amore vissuto soltanto nella
fantasia.
Stendhal era molto invecchiato: gli anni e le malattie gli pesavano
e, ironicamente, il 10 aprile, scrivendo Les privilèges,
immaginò che quel Dio cui non credeva gli concedesse -
profeticamente - una morte istantanea, d'infarto: ma in vita, una
costante virilità, un corpo sano e bello, che potesse far
innamorare di sé qualsiasi donna e potesse trasformarsi in
qualunque altro essere. Intanto, Stendhal aveva ancora un amore
reale in Giulia Rinieri, che l'ospitò in luglio a palazzo
Riccardi, a Firenze, e poi ancora da agosto a settembre a Firenze e
a Pietrasanta.
Soffriva di gotta, di calcoli renali e d'ipertensione: più
volte ebbe attacchi di vertigini, di afasia, di emicranie. Sentiva
che non avrebbe vissuto a lungo e il 28 settembre scrisse l'ultimo
testamento, con il quale lasciava i suoi beni all'amico italiano
Donato Bucci e alla sorella Pauline. Il 15 marzo 1841, a
Civitavecchia, ebbe un grave colpo apoplettico. Si riprese a fatica:
la malattia gli lasciò qualche difficoltà di
movimento, ma egli si permise ancora, in luglio, un'avventura
galante con Cecchina Lablache, figlia del celebre cantante
napoletano Luigi, moglie del pittore François Bouchot e
amante di un altro giovane pittore di origine tedesca, Henri
Lehmann, che fece in quei giorni l'ultimo ritratto che possediamo di
Stendhal.
In agosto chiese al ministro Guizot un congedo e, in attesa
dell'autorizzazione, partì per Firenze per incontrare Giulia.
La rivide ancora l'8 ottobre e fu l'ultima volta: il 22 ottobre
s'imbarcava per la Francia con l'amico Vincenzo Salvagnoli, un
avvocato fiorentino, e l'8 novembre raggiunsero a Parigi. Amici e
conoscenti notarono, dopo i due anni trascorsi, il suo improvviso
invecchiamento, l'eloquio lento e faticoso, la mancanza di quel suo
solito spirito polemico.
Stendhal aveva preso alloggio all'Hôtel de Nantes, oggi una
casa al numero 22 di rue Danielle-Casanova. Nel marzo del 1842 si
rimise a scrivere: voleva terminare il Lamiel e Le Rose et le Vert.
Il 15 marzo fu in trattative con la «Revue des Deux
Mondes» per la pubblicazione delle sue novelle e riprese Trop
de faveur tue, M.lle de Vanghen, Le Chevalier de Saint-Ismier e
soprattutto Suora Scolastica, che intendeva consegnare a giorni alla
Revue. Dopo una giornata di lavoro, verso le sette di sera del 22
marzo uscì dall'albergo: fece poche decine di metri e in rue
des Capucines ebbe un infarto. Cadde a terra e svenne. Tra i
soccorritori si trovò anche l'amico Romain Colomb, che
chiamò un medico e fece trasportare Stendhal all'albergo
dove, assistito da Colomb e Constantin, alle due di notte del 23
marzo morì come aveva desiderato, senza riprendere
conoscenza.
Contrariamente alle sue volontà, ebbe funerali religiosi, che
si tennero il 24 marzo nella chiesa di Notre-Dame-de-l'Assomption.
Poi, la sepoltura nel cimitero di Montmartre, con l'epitaffio (in
italiano) voluto dallo stesso Stendhal: «Arrigo Beyle /
Milanese / Scrisse / Amò / Visse / amm. L IX. M.IL/
Morì il XXIII Marzo MDCCCXLII». Nel 1892 fu aggiunto un
medaglione con il profilo di Stendhal, opera di David d'Angers e il
21 marzo 1962 i suoi resti furono riesumati e sistemati in un
diverso campo del cimitero di Montmartre, sul margine dell'avenue de
la Croix.
Il realismo
I temi principali della sua produzione letteraria furono una marcata
sensibilità romantica ed un fervido spirito critico, che
dettero vita alla filosofia della Chasse au bonheur, egotismo tipico
di tutti i suoi personaggi. L'analisi delle passioni, dei
comportamenti sociali, l'amore per l'arte e per la musica,
nonché la ricerca epicurea del piacere, venivano espressi
attraverso una scrittura personalissima, nella quale il realismo
dell'osservazione oggettiva ed il carattere individuale della sua
espressione si fondevano in maniera armonica. Per tutti questi
motivi Stendhal fu quasi ignorato dai suoi contemporanei, con
l'eccezione di Honoré de Balzac, ma venne poi adorato dai
posteri.
Miscelando sapientemente l'ambientazione storica e l'analisi
psicologica, i suoi romanzi descrivevano il clima morale ed
intellettuale della Francia. Stendhal fu considerato l'iniziatore
del romanzo moderno, che ispirò la grande narrativa di
costume dell'Ottocento. Tra gli scrittori moderni, viene considerato
l'autore meno invecchiato dell'Ottocento. Il Rosso e il Nero e
Lucien Leuwen sono un disegno crudo della società della
Restaurazione, come indica il sottotitolo nel primo, Cronaca del
1830. Lucien Leuwen è il racconto della Monarchia di Luglio
francese. La Certosa di Parma è ambientata tra i disegni
politici delle monarchie italiane del XIX secolo. Sono quindi
romanzi politici non per la presenza di riflessioni, ma per
l'ambientazione dei fatti.
La rappresentazione dei costumi di Stendhal non è motivata da
una volontà sociologica, ma per far cadere le falsità
e mostrare la «verità» del suo tempo. Nonostante
il suo realismo, Stendhal non entra nei dettagli dei luoghi, poco si
sa dell'Hôtel de la Mole o di Milano o del castello del
Marchese del Dongo, ma narra lo stretto necessario per l'azione. La
prigione di Fabrizio nella Certosa è descritta con cura
perché essenziale nel contesto del racconto.
Anche i personaggi sono descritti sommariamente, ma sono figure
romantiche. L'eroe Julien è intelligente, nutre profondo odio
per i suoi contemporanei ed è ambizioso fino alla follia.
Fabrizio è un giovane esaltato e passionale.
Lucien è idealista e sicuro di se stesso.
Inoltre la politica nella Certosa è sicuramente meno
importante che nel Rosso e il nero o nel Lucien Leuwen. È
soprattutto la storia che gioca un ruolo importante: Waterloo,
l'arrivo delle truppe francesi a Milano nel 1796.