Statuto albertino


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Lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia 4 marzo 1848, noto universalmente come Statuto Albertino dal nome del re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia, fu lo statuto adottato dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848. Nel preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda».

Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio valido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, il 1º gennaio 1948.

Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria, può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di costituzione breve.


I precedenti e la decisione di adottare lo Statuto Albertino

In seguito ai moti promossi dalle classi borghesi, cui talora partecipò anche l'aristocrazia, nelle principali città del Regno di Sardegna, Carlo Alberto prese una serie di provvedimenti di stampo liberale: nel 1837 emanò un codice civile, cui seguì un codice penale nel 1839; nel 1847 riformò la disciplina della censura (imposta da Vittorio Emanuele I), permettendo la pubblicazione di giornali politici; creò, poi, una Corte di Revisione (ossia di Cassazione) per assicurare una certa uniformità della giurisdizione nello Stato, riducendo le competenze dei vecchi senati e pubblicando il codice di procedura penale basato sulla pubblicità del dibattimento. Su ispirazione austriaca, aggiornò anche la composizione del Consiglio di Stato, creato nel 1831, che sarebbe stato formato da due rappresentanti per ogni Divisione territoriale fra i Consiglieri delle Province componenti la Divisione, consiglieri provinciali che a loro volta erano scelti fra quelli comunali. Gli avvenimenti dei primi mesi del 1848 sembravano comunque ancora confermare la resistenza ad ipotesi costituzionali, Carlo Alberto rifiutò in maniera netta l'idea di concedere una Costituzione e ne parlò al Consiglio di Conferenza del 13 gennaio 1848, prendendo in considerazione, secondo il Cognasso, anche una possibile abdicazione al trono del Regno di Sardegna. Il 30 gennaio 1848 il Corpo Decurionale di Torino, riunitosi per discutere l'istituzione della Guardia Nazionale, apprendeva la notizia della concessione della Costituzione a Napoli da parte di Ferdinando II delle Due Sicilie; Ferdinando II (del giorno prima): tanto premesso decise seduta stante di richiedere al Re una Costituzione anche per il Regno di Sardegna: Carlo Alberto in fretta e furia fece redigere una dichiarazione di principi che saranno alla base dello Statuto (termine ripreso dalla tradizione di Amedeo VIII di Savoia) e che vennero proclamati al popolo l'8 febbraio 1848, tre giorni prima che il Granduca di Toscana prendesse la stessa decisione ed un mese prima di Pio IX. Tali basi, indicate in quattordici punti, vennero formalmente concesse per la benevola generosità del sovrano, il quale unì al paternalismo una velata minaccia di non procedere oltre se i "popoli" non fossero stati "degni" delle sue manifestazioni di apertura. In questo modo, comunque, Carlo Alberto aveva tranquillizzato tanto i liberali quanto i democratici.

Il Consiglio di Conferenza, incaricato di redigere lo Statuto, ebbe come principale obiettivo quello di individuare, tra i modelli costituzionali europei, quello maggiormente congeniale al Regno di Sardegna, e che producesse il minor cambiamento possibile all'interno degli assetti istituzionali. Questo modello venne individuato nella Costituzione orleanista del 1830 e in quella belga del 1831. Pochi giorni dopo, tra il 23 e il 24 febbraio la Rivoluzione spazzava via da Parigi sia la monarchia sia la Costituzione. La sommossa parigina, che portò poi al potere ]Luigi Napoleone Bonaparte, eccitò gli animi anche in Italia e fece balenare nella mente dei liberali più accesi e rivoluzionari l'idea di una Repubblica tale che quindi la promessa delle “basi” di Carlo Alberto sembrava ormai troppo limitata. Tuttavia ciò non mutò le posizioni del Re che il 4 marzo promulgò lo Statuto.

Divisione dei poteri

Essendo lo Statuto albertino una carta ottriata , riveste una particolare importanza il suo preambolo. L'assolutismo illuminato, ultima evoluzione dello Stato di polizia, è estremamente evidente: «con lealtà di Re e con affetto di padre Noi veniamo a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi Sudditi», così come è evidente la riserva mentale con cui lo Statuto viene concesso, laddove - celando le forti motivazioni sociali che hanno indotto Carlo Alberto ad emanare questo atto - si afferma «di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue».
È inoltre da notare come lo Statuto non sia mai qualificato con il termine costituzione, ritenuto ancora pregno di significati assiologici e non meramente descrittivi, e come dalle intenzioni espresse dal sovrano esso dovesse intendersi come una costituzione rigida, «perpetua ed irrevocabile». La storia si incaricò però di smentire questa affermazione: fin dall'inizio, lo Statuto - che definiva una forma di monarchia costituzionale pura - tese ad evolversi verso la differente forma di monarchia parlamentare, rivelando quindi una natura di costituzione flessibile (e infatti era modificabile con legge ordinaria). Il sistema costituzionale italiano, quindi, subì un'evoluzione molto particolare, dettata, in parte, da una scelta costituente compiuta formalmente dal monarca, ma in buona parte legata al concreto divenire del sistema politico. La prima modificazione che lo Statuto subirà sarà quella relativa alla bandiera, da quella con la coccarda azzurra a quella con la coccarda tricolore, in occasione della ribellione del Lombardo-Veneto contro il dominio austriaco nel 1848. Il fatto che il testo si sia poi rivelato lacunoso, ambiguo e generico può certamente apparire come un difetto, ma, nei fatti, poi, si rivelò essere invece un vantaggio, perché ne permise un pacifico adeguamento a mutate esigenze e situazioni, come d'altronde in quasi tutte le carte costituzionali sette-ottocentesche (si pensi in primis alla Costituzione statunitense redatta nel 1787). Tale elasticità dello Statuto fece dire ad Arturo Carlo Jemolo che esso “visse di vita propria” per quasi cent'anni. Per lungo tempo, in effetti, non ci furono vere modifiche formali del testo statutario, almeno fino al periodo fascista. L'elasticità del testo permetteva infatti di piegarlo ad una certa interpretazione (invocando certe espressioni a danno di altre), sottolineando un punto o un articolo piuttosto che un altro. Lo Statuto acquistò così, fin dall'inizio, un certo aspetto di intangibilità, proprio mentre nei decenni ne mutavano i contenuti effettivi.

Lo Statuto albertino corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato. Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: «tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. 25 Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»), ma si limita ad affermare un'eguaglianza formale. Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l'inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32), ma le riserve di legge ivi previste si risolvono nel ben più blando e meno garantista principio di legalità, mentre è sconosciuto l'istituto della riserva di giurisdizione: in definitiva, il vero cardine del sistema dei diritti statutari è costituito dal diritto di proprietà (art. 29). Per quanto riguardava la libertà religiosa il Regno di Sardegna era (art.1) uno Stato confessionale. La religione, si scrisse,"è quella Cattolica, Apostolica e Romana" e gli altri culti esistenti erano unicamente tollerati, come sotto Vittorio Amedeo II. Tale prospettiva muta ben presto e verrà l'emancipazione prima dei Valdesi (17 febbraio- Lettere Patenti) e poi degli Ebrei (29 marzo) con il riconoscimento dei loro diritti civili e politici, infine con l'abolizione dei “privilegi” ecclesiastici a partire dal 2 marzo successivo con un decreto regio che cacciava i Gesuiti dallo Stato. Una legge di poco posteriore ( "Legge Sineo" del giugno del 1848) aggiungeva che la differenza di culto non formava eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all'ammissibilità alle cariche civili e militari.

Il re e il governo

La monarchia era costituzionale ed ereditaria secondo la legge salica; il Re era e restava capo supremo dello Stato e la sua persona rimaneva sacra ed inviolabile, anche se questo non significava che non dovesse rispettare le leggi (come previsto dal suo giuramento all'articolo 22), ma solo che non poteva essere oggetto di sanzioni penali. Il Re manteneva una certa preminenza ed esercitava il potere esecutivo attraverso i ministri; convocava e scioglieva le Camere e aveva il potere di sanzione delle leggi, istituto diverso dalla promulgazione presidenziale, attualmente prevista dalla Costituzione italiana del 1948, perché con essa il Re valutava il merito dell'atto e poteva rifiutarlo se riteneva la legge non rispondente all'indirizzo politico perseguito dalla Corona. La sovranità non apparteneva alla Nazione (benché all'articolo 41 si faccia espresso riferimento ai deputati come "rappresentanti della Nazione") ma al Re, il quale, tuttavia, da sovrano assoluto, si trasformava in principe costituzionale per sua esplicita volontà e concessione. Si usciva così dal regime assoluto e si entrava nell'epoca in cui il Re vedeva i suoi poteri limitati dalla Costituzione. Il testo statutario rimase comunque piuttosto sibillino in merito al rapporto tra Re, Governo e Camere; di qui la difficoltà di valutazione sulla purezza della monarchia costituzionale o sulla sua “parlamentarità”, a seconda che il Governo dovesse godere della sola fiducia del Re o di quella del Parlamento. Di fatto il Re decideva automaticamente circa il Governo ed il Parlamento si limitava a fare le leggi (collettivamente, con l'apporto del Re e la sua sanzione). Nella prassi Carlo Alberto cercò di far in modo che il proprio Governo avesse la fiducia del Parlamento, sostituendolo quando questa fosse venuta meno. Questo portò nel giro di un anno alla formazione di quattro gabinetti diversi, senza alcun voto di fiducia. A partire dal 1852, però, con l'avvento di Camillo Cavour, fu lui il capo della maggioranza parlamentare e, nei periodi di crisi, fu il sostegno della Camera dei deputati a imporre il reincarico a Cavour rispetto all'aspirazione del Re a sostituirlo. Ecco, così, che venne prevalendo nella prassi applicativa un sostanziale riconoscimento da parte le Re che il “suo” Governo doveva godere della fiducia parlamentare e si passò quindi ad un sistema di governo di tipo parlamentare. Il re fu considerato più quale rappresentante dell'unità statale che come capo dell'esecutivo. Inizialmente, però, i Ministri erano considerati come singoli collaboratori del Re, senza riconoscimenti ufficiali di loro riunioni in organi collegiali. Non era nemmeno prevista la figura del Presidente del Consiglio dei ministri. I ministri (che potevano essere parlamentari e non) rispondevano per gli atti regi, essendo la persona del re sacra ed inviolabile, non politicamente verso le Camere, ma giuridicamente per il contenuto dei provvedimenti. Ciascuno dei ministri poteva essere sostituito se veniva meno il rapporto fiduciario con il Re.

Il Parlamento

Il Parlamento era invece composto di due Camere. Quella di nomina regia (Senato), vitalizia, non poteva sciogliersi e quella elettiva, la Camera dei deputati, eletta su base censitaria e maschile, a collegio uninominale ed a doppio turno di elezione. Il bicameralismo, previsto perfetto, si sviluppò in realtà come "zoppo", con prevalenza politica della Camera bassa. I progetti di legge potevano essere promossi dai Ministri, dal Governo, dai parlamentari, oltre che dal Re. Per diventare legge dovevano essere approvati nello stesso testo da entrambe le Camere, senza ordine di precedenza (a parte quelle tributarie e di bilancio che dovevano passare prima per la Camera dei deputati) e dovevano essere munite di sanzione regia. Le due Camere ed il Re rappresentavano perciò per lo Statuto i “tre poteri legislativi”: bastava che uno di essi fosse contrario e per quella sessione il progetto non poteva più essere riprodotto. L'art. 9 dello Statuto prevedeva l'istituto della proroga delle sessioni.

Il potere giudiziario

Per quanto riguardava la Giustizia, essa “emana dal Re”, che nominava i giudici (senza il rispetto della distinzione montesquieuiana) ed aveva il potere di grazia. A garanzia del cittadino stava il rispetto del giudice naturale e il divieto del tribunale straordinario, la pubblicità delle udienze e dei dibattimenti. Prima dello Statuto il Re aveva il potere discrezionale di nominare, promuovere, spostare e sospendere i suoi giudici. Ora veniva introdotta qualche garanzia in più per i cittadini e per i giudici, che dopo tre anni di esercizio, avevano garantita l'inamovibilità. L'articolo 73 esclude poi la possibilità di prendere in considerazione il precedente giurisprudenziale per le decisioni nei supremi tribunali statali. L'interpretazione del giudice con rilievo direttamente normativo cadde così definitivamente e ad esso si sostituì il potere legislativo statale. L'indipendenza formale del potere giudiziario veniva ad essere, nei fatti, condizionata dal governo il quale aveva alle sue dipendenze l'organo requirente. La magistratura rappresentava quindi non un potere, ma un ordine direttamente soggetto al Ministero della Giustizia. Il controllo sull'attività del singolo giudice non doveva mancare, ma sembrava da affidare soprattutto ad altri giudici: il Siccardi con visione gerarchico-piramidale trovò ragionevole che ciò facesse capo soprattutto all'organo più elevato, la Corte di Cassazione.

Evoluzione storica

Nel 1861, con la nascita del Regno d'Italia, lo Statuto venne applicato in tutto il Regno. La natura flessibile dello Statuto garantì, sino agli anni Venti, un'evoluzione parlamentare del sistema politico senza rendere necessarie modifiche effettive al testo originale: gradualmente i Governi cessarono di dipendere dalla fiducia del Re, mentre divenne necessaria quella del Parlamento. Anche il Senato perse importanza di fronte alla Camera dei Deputati, il Re tuttavia mantenne una particolare influenza sulla politica estera e su quella militare: basti pensare che la tradizione voleva che i ministri della Guerra e della Marina (provenienti dai ranghi militari) fossero designati dal Re al Presidente del Consiglio.

L'evoluzione parlamentarista dello Statuto cessò completamente con l'avvento della dittatura fascista. Nel corso degli anni lo Statuto venne gradualmente messo da parte attraverso leggi ordinarie contrarie allo spirito dello Statuto stesso: si pensi alla fine della libertà d'espressione, l'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato o alle leggi razziali.
Dopo la caduta del fascismo, crebbe il consenso che - qualunque forma istituzionale fosse stata scelta per l'ordinamento italiano - lo Statuto dovesse ormai considerarsi superato. Con il Decreto-Legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151venne stabilito che Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato.. Il decreto legislativo luogotenenziale 5 aprile 1945, n.146 istituisce la Consulta nazionale, assemblea non elettiva di nomina governativa il cui scopo era fornire pareri sui provvedimenti legislativi che venissero ad essa sottoposti dal Governo; in pratica, il primo embrione di Corte Costituzionale. Infine il Decreto Legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 sancisce le elezioni per l'Assemblea Costituente.

La festa dello Statuto

La festa dello Statuto albertino fu celebrata per la prima volta il 27 febbraio 1848, dopo che lo Statuto era stato annunciato l'8 febbraio, ma non ancora proclamato.
Già festa nazionale del Regno di Sardegna, fu spostata alla prima domenica di giugno e fu estesa alle altre regioni in seguito alle annessioni.

Il significato della festa mutò durante gli anni: inizialmente era una festa liberale e vi furono incidenti perché si voleva celebrarla anche nelle chiese con il canto del Te Deum. Essendo una festa civile, i vescovi si opposero e per questo furono a volte condannati.. Dopo la conquista di Roma, invece la festa risorgimentale più controversa divenne il 20 settembre, ricordo della breccia di Porta Pia. Gradualmente la festa dello Statuto assunse il significato di festa della Monarchia.
Il cinquantenario dello Statuto fu celebrato solennemente il 4 marzo 1898. La festa dello Statuto fu celebrata anche durante il periodo fascista, quando lo Statuto già era stato svuotato del suo valore.

Lo Statuto

CARLO ALBERTO

Per la grazia di Dio Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, Duca di Savoja, di Genova, di Monferrato, d'Aosta, ecc.

Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell'8 dell'ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinarii che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione.

Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il piú sicuro di raddoppiare quei vincoli d'indissolubile affetto che stringono all'itala Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d'obbedienza e d'amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre piú degna dell'antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire.

Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:

Art. 1. - La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.
Art. 2. - Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica.
Art. 3. - Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati.
Art. 4. - La persona del Re è sacra ed inviolabile.
Art. 5. - Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere.
Art. 6. - Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato; e fa i decreti e regolamenti necessarii per l'esecuzione delle leggi, senza sospenderne l'osservanza, o dispensarne.
Art. 7. - Il Re solo sanziona le leggi e le promulga.
Art. 8. - Il Re può far grazia e commutare le pene.
Art. 9. - Il Re convoca in ogni anno le due Camere: può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel termine di quattro mesi.
Art. 10. - La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d'imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei Deputati.
Art. 11. - Il Re è maggiore all'età di diciotto anni compiti.
Art. 12. - Durante la minorità del Re, il Principe suo piú prossimo parente, nell'ordine della successione al trono, sarà Reggente del Regno, se ha compiti gli anni vent'uno.
Art. 13. - Se, per la minorità del Principe chiamato alla Reggenza, questa è devoluta ad un parente piú lontano, il Reggente, che sarà entrato in esercizio, conserverà la Reggenza fino alla maggiorità del Re.
Art. 14. - In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre.
Art. 15. - Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente.
Art. 16. - Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l'Erede presuntivo del trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pien diritto il Reggente.
Art. 17. - La Regina Madre è tutrice del Re finché egli abbia compiuta l'età di sette anni; da questo punto la tutela passa al Reggente.
Art. 18. - I diritti spettanti alla podestà civile in materia beneficiaria, o concernenti all'esecuzione delle Provvisioni d'ogni natura provenienti dall'estero, saranno esercitati dal Re.
Art. 19. - La dotazione della Corona è conservata durante il regno attuale quale risulterà dalla media degli ultimi dieci anni.
Il Re continuerà ad avere l'uso dei reali palazzi, ville e giardini e dipendenze, non che di tutti indistintamente i beni mobili spettanti alla corona, di cui sarà fatto inventario a diligenza di un Ministro responsabile.
Per l'avvenire la dotazione predetta verrà stabilita per la durata di ogni Regno dalla prima legislatura, dopo l'avvenimento del Re al Trono.
Art. 20. - Oltre i beni, che il Re attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito, durante il suo Regno.
Il Re può disporre del suo patrimonio privato sia per atti fra vivi, sia  per testamento, senza essere tenuto alle regole delle leggi civili, che limitano la quantità disponibile. Nel rimanente il patrimonio del Re è soggetto alle leggi che reggono le altre proprietà.
Art. 21. - Sarà provveduto per legge ad un assegnamento annuo pel Principe ereditario giunto alla maggiorità, od anche prima in occasione di matrimonio; all'appannaggio dei Principi della Famiglia e del Sangue Reale nelle condizioni predette; alle doti delle Principesse; ed al dovario delle Regine.
Art. 22. - Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto.
Art. 23. - Il Reggente prima d'entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato.

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

Art. 24. - Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge.
Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi.
Art. 25. - Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
Art. 26. - La libertà individuale è guarentita.
Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive.
Art. 27. - Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch'essa prescrive.
Art. 28. - La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.
Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.
Art. 29. - Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili.
Tuttavia quando l'interesse pubblico legalmente accertato, lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
Art. 30. - Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.
Art. 31. - Il debito pubblico è guarentito.
Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.
Art. 32. - È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica.
Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.


DEL SENATO

Art. 33. - Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l'età di quarant'anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti:
1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato;
2° Il Presidente della Camera dei Deputati;
3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio;
4° I Ministri di Stato;
5° I Ministri Segretarii di Stato;
6° Gli Ambasciatori;
7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni di tali funzioni;
8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;
9° I Primi Presidenti dei Magistrati d'appello;
10° L'Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procuratore Generale, dopo cinque anni di funzioni;
11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni;
12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni;
13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d'appello, dopo cinque anni di funzioni;
14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare.
 Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr'Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività;
15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni;
16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza;
17° Gli Intendenti generali, dopo sette anni di esercizio;
18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina;
19° I Membri ordinarii del Consiglio superiore d'Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio;
20° Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria;
21° Le persone, che da tre anni pagano tremila lire d'imposizione diretta in ragione de' loro beni, o della loro industria.
Art. 34. - I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent'un anno, ed hanno voto a venticinque.
Art. 35. - Il Presidente e i Vice-Presidenti del Senato sono nominati dal Re.
Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretarii.
Art. 36. - Il Senato è costituito in Alta Corte di Giustizia con decreto del Re per giudicare dei criminali di alto tradimento, e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per giudicare i Ministri accusati dalla Camera dei Deputati.
In questi casi il Senato non è capo politico. Esso non può occuparsi se non degli affari giudiziarii, per cui fu convocato, sotto pena di nullità.
Art. 37. - Fuori del caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.
Art. 38. - Gli atti, coi quali si accertano legalmente le nascite, i matrimoni e le morti dei Membri della Famiglia Reale, sono presentati al Senato, che ne ordina il deposito ne' suoi archivi.


DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Art. 39. - La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai Collegii Elettorali conformemente alla legge.
Art. 40. - Nessun Deputato può essere ammesso alla Camera, se non è suddito del Re, non ha compiuta l'età di trent'anni, non gode i diritti civili e politici, e non riunisce in sé gli altri requisiti voluti dalla legge.
Art. 41. - I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti.
Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.
Art. 42. - I Deputati sono eletti per cinque anni: il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine.
Art. 43. - Il Presidente, i Vice-Presidenti e i Segretarii della Camera dei Deputati sono da essa stessa nominati nel proprio seno al principio d'ogni sessione per tutta la sua durata.
Art. 44. - Se un Deputato cessa, per qualunque motivo, dalle sue funzioni, il Collegio che l'aveva eletto sarà tosto convocato per fare una nuova elezione.
Art. 45. - Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso della Camera.
Art. 46. - Non può eseguirsi alcun mandato di cattura per debiti contro di un Deputato durante la sessione della Camera, come neppure nelle tre settimane precedenti e susseguenti alla medesima.
Art. 47. - La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all'Alta Corte di Giustizia.



DISPOSIZIONI COMUNI ALLE DUE CAMERE

Art. 48. - Le sessioni del Senato e della Camera dei Deputati cominciano e finiscono nello stesso tempo.
Ogni riunione di una Camera fuori del tempo della sessione dell'altra è illegale, e gli atti ne sono intieramente nulli.
Art. 49. - I Senatori ed i Deputati prima di essere ammessi all'esercizio delle loro funzioni prestano il giuramento di essere fedeli al Re di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato e di esercitare le loro funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria.
Art. 50. - Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità.
Art. 51. - I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.
Art. 52. - Le sedute delle Camere sono pubbliche.
Ma, quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.
Art. 53. - Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono legali né valide, se la maggiorità assoluta dei loro membri non è presente.
Art. 54. - Le deliberazioni non possono essere prese se non alla maggiorità de' voti.
Art. 55. - Ogni proposta di legge debb'essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all'altra, per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re.
Le discussioni si faranno articolo per articolo.
Art. 56. - Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere piú riprodotto nella stessa sessione.
Art. 57. - Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta, e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, ed, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizii per gli opportuni riguardi.
Art. 58. - Nissuna petizione può essere presentata personalmente alle Camere.
Le Autorità costituite hanno solo il diritto di indirizzar petizioni in nome collettivo.
Art. 59. - Le Camere non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri, fuori dei proprii membri, dei Ministri, e dei Commissarii del Governo.
Art. 60. - Ognuna delle Camere è sola competente per giudicare della validità dei titoli di ammessione dei proprii membri.
Art. 61. - Cosí il Senato, come la Camera dei Deputati, determina per mezzo d'un suo Regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni.
Art. 62. - La lingua italiana è la lingua officiale delle Camere.
È però facoltativo di servirsi della francese ai membri, che appartengono ai paesi, in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi.
Art. 63. - Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione; e per isquittinio segreto. Quest'ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale.
Art. 64. - Nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato.



DEI MINISTRI

Art. 65. - Il Re nomina e revoca i suoi Ministri.
Art. 66. - I Ministri non hanno voto deliberativo nell'una o nell'altra Camera se non quando ne sono membri.
Essi vi hanno sempre l'ingresso, e debbono essere sentiti sempre che lo richieggano.
Art. 67. - I Ministri sono risponsabili.
Le Leggi e gli Atti del Governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un Ministro.


DELL'ORDINE GIUDIZIARIO

Art. 68. - La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch'Egli istituisce.
Art. 69. - I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio.
Art. 70. - I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all'organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge.
Art. 71. - Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali.
Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.
Art. 72. - Le udienze dei Tribunali in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi.
Art. 73. - L'interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo.


DISPOSIZIONI GENERALI

Art. 74. - Le istituzioni comunali e provinciali, e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge.
Art. 75. - La Leva militare è regolata dalla legge.
Art. 76. - È istituita una Milizia Comunale sovra basi fissate dalla legge.
Art. 77. - Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale.
Art. 78. - Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni. Queste non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla propria istituzione.
Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti.
Art. 79. - I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro, che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.
Art. 80. - Niuno può ricevere decorazioni, titoli, o pensioni da una potenza estera senza l'autorizzazione del Re.
Art. 81. - Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata.



DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 82. - Il presente Statuto avrà il pieno suo effetto dal giorno della prima riunione delle due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni. Fino a quel punto sarà provveduto al pubblico servizio d'urgenza con Sovrane disposizioni secondo i modi e le forme sin qui seguite, ommesse tuttavia le interinazioni e registrazioni dei Magistrati, che sono fin d'ora abolite.
Art. 83. - Per l'esecuzione del presente Statuto il Re si riserva di fare le leggi sulla Stampa, sulle Elezioni, sulla Milizia comunale, e sul riordinamento del Consiglio di Stato.
Sino alla pubblicazione della legge sulla Stampa rimarranno in vigore gli ordini vigenti a quella relativi.
Art. 84. - I Ministri sono incaricati e risponsabili della esecuzione e della piena osservanza delle presenti disposizioni transitorie.

Dato in Torino addí quattro del mese di marzo l'anno del Signore mille ottocento quarantotto, e del Regno Nostro il decimo ottavo.

CARLO ALBERTO

Il Ministro e Primo Segretario di Stato per gli affari dell'Interno
BORELLI
Il primo Segretario di Stato per gli affari Ecclesiastici, di Grazia e di Giustizia, Dirigente la Grande Cancelleria
AVET
Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Finanze
DI REVEL
Il Primo Segretario di Stato dei Lavori Pubblici, dell'Agricoltura, e del Commercio
DES AMBROIS
Il Primo Segretario di Stato per gli Affari Esteri
E. DI SAN MARZANO
Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Guerra e Marina
BROGLIA
Il Primo Segretario di Stato per la Pubblica Istruzione
C. ALFIERI