SOCIOLOGIA DELLA LETTERATURA
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di Romolo Runcini
Una disciplina critica nuova, come la s. della l., incontra le prime
difficoltà nella stessa definizione del suo statuto epistemologico.
Essendo nuova, la sua metodologia di ricerca non è ancora saldamente
formata, mentre la scelta del suo campo d'indagine può apparire
un'indebita intrusione in campi altrui. Tenendo conto che sono
investiti con la sua azione due ordini disciplinari apparentemente così
distanti fra loro come la sociologia e la letteratura, le resistenze
alla s. della l. appaiono fortemente legittimate da una doppia
perplessità: da una parte i letterati, educati allo studio della
varietà e unicità dell'evento letterario, temono l'impiego di tecniche
d'indagine basate sull'osservazione dei caratteri uniformi e ripetitivi
dei fenomeni sociali; dall'altra parte i sociologhi, esercitati all'uso
di quelle tecniche, paventano un loro impiego indiscriminato su
prodotti e rapporti, come quelli artistici, poco inclini alla verifica
sul campo.
In effetti la s. della l. - nonostante la presenza di un apparato
esegetico cospicuo e di studiosi come G. Lukács, W. Benjamin, T. W.
Adorno, C. Caudwell, A. Gramsci, L. Goldmann, R. Escarpit, R. Whilliams
- appare tutt'oggi alla ricerca della propria identità. Il suo
obiettivo è semplice, consistendo nell'esame globale di un rapporto mai
organicamente affrontato dall'estetica tradizionale, quello fra
l'autore, la sua opera e il pubblico che la legge. Cogliere il valore
comunicativo e significante della letteratura in quanto espressione,
prodotto e istituzione di un genere artistico in un determinato
contesto storico e sociale: è
questo il fine della s. della letteratura.
Prospettiva metodologica
Si può affacciare l'opportunità di definire le istanze della s. della
l. in relazione al superamento di un sistema totalizzante delle idee -
l'idealismo - dove il principio estetico trovava la sua specificità
all'interno di una teoria complessiva della conoscenza basata
sull'interiorizzazione della realtà.
Nel costituirsi di un'estetica e poi di una critica letteraria come
discipline autonome - e ciò sarà possibile solo dopo la Critica del
giudizio di Kant - si possono ravvisare le istanze di sistemazione
dell'opera letteraria essenzialmente caratterizzata dall'individualità
e totalità dell'atto creativo, dall'ineffabilità e inutilità pratica
del suo oggetto e dalla fruizione iniziatica nell'immediatezza
contemplativa dell'espressione. La celebrazione del valore intuitivo,
alogico, aurorale, fantastico, e, sul piano dei segni, formale,
dell'opera d'arte, mentre la metteva al riparo da ogni riduzione
filosofica o scientifica, assicurava alla letteratura un universo di
mondi perfetti e conclusi in sé stessi, e ai letterati il pieno dominio
della sua disciplina critica.
Contro l'astrattezza di queste posizioni si è venuta muovendo in tempi
moderni tutta una vasta storiografia letteraria che, coinvolta
nell'esperienza dei mutamenti sociali operati dagli sviluppi della
rivoluzione industriale, ha finito per delineare il rapporto
arte-società in termini che ne hanno reso possibile un'interpretazione
(realistica o problematica) per cui, con i nuovi strumenti critici
adottati dall'antropologia culturale, dallo strutturalismo, dalla
psicanalisi, dalla sociologia, si è avviato un discorso sempre più
attento alla dimensione sociale dell'opera letteraria.
La letteratura, che è istituzione artistica, produce non soltanto
modelli di finzione (forme) ma anche dati informativi (contenuti). In
quanto arte del linguaggio essa si basa su un codice generale di
comunicazione che per la sua accessibilità e il suo valore d'uso rende
certamente più difficile allo scrittore plasmare la propria materia per
trasmettervi quell'ordine compositivo assai più facilmente
riconoscibile nell'opera dell'artista figurativo o musicale, il quale
tratta materie oggettivamente distinte dal semplice rapporto
colloquiale o dalla notizia stampata. L'equilibrio che ha sostenuto per
secoli la struttura letteraria come portatrice di un messaggio
universale del bello al di là del vero si è retto caratteristicamente
sull'asse dell'equivalenza simbolica fra idea ed espressione, dove il
concetto di mimesi (imitazione) destinato a incorporare la realtà
sottraeva l'esperienza estetica al logorio del vissuto, alla banalità
del quotidiano.
La sociologia, che è istituzione scientifica, non limita la sua ricerca
sulla realtà dei fatti sociali alla classificazione di grandezze -
funzione tipica delle scienze naturali - ma coinvolge quella realtà,
misurabile secondo tecniche sempre più perfezionate, in un discorso
diretto alla conoscenza interna della società come cultura, ossia come
modalità ed espressione dei rapporti umani.
L'incontro tra la sociologia e la letteratura è apparso possibile solo
quando - superando la concezione statica delle strutture societarie con
una sociologia funzionalista rivolta alla comprensione della dinamica
sociale - si è giunti a cogliere il senso del rapporto interdipendente
fra mondo interno e mondo esterno, che il marxismo aveva fondato sulla
dialettica fra la struttura socio-economica e le soprastrutture
culturali. È con M. Scheler, G. Simmel e soprattutto con M. Weber che
prenderà corpo la nuova prospettiva sociologica come analisi
dell'azione sociale attraverso la formazione e la parabola storica
delle ideologie. In questo quadro s'instaura con influssi assai diversi
(dallo storicismo al materialismo storico) la sociologia della
conoscenza quale metodo d'indagine sulla condizione sociale delle forme
di pensiero (filosofico, scientifico, artistico) e delle relative
istituzioni che ne definiscono la sistematicità, l'oggettività e la
bellezza: K. Mannheim (Ideologie und Utopie, Bonn 1929; trad.
it., Bologna 1957), il giovane Lukács (Geschichte und
Klassenbewusstsein, Berlino 1923; trad. it., Milano 1967), E.
Grünwald (Das Problem der Soziologie des Wissens, Berlino 1934)
sono fra i principali esponenti di questa dottrina.
Le ricerche epistemologiche sulla possibilità o meno di una conoscenza
oggettiva, ossia non condizionata da fattori sociali, conducono alla
constatazione che ogni forma di conoscenza è databile storicamente e va
riferita al gruppo sociale o alla classe che l'esprime e l'adotta. In
tal modo il relativismo gnoseologico pone fine ai concetti di eternità
e assolutezza dell'idealismo. L'analisi del rapporto di comunicazione
intersoggettiva rivela il ruolo determinante che la forma di conoscenza
adottata, e, in generale, la cultura, esercita nei confronti del
pensiero e del comportamento soggettivo.
Lo studio della situazione e dello status degl'intellettuali (già
avviato da Weber) mostra il relativo distacco di questi dall'ideologia
dominante e la loro tendenza a costituirsi in caste separate dal corpo
sociale. La componente attivistica in ogni forma di conoscenza - come
fine da raggiungere da imporre o da tutelare - appariva dunque la prima
realtà criticamente riconoscibile in un contesto ideologico. In questa
prospettiva l'antico divario fra analisi scientifca e analisi estetica
- ripreso dallo storicismo diltheyano nella divisione fra scienze della
natura e scienze dello spirito - poteva esser superato nell'impegno di
un esame approfondito degli elementi costitutivi dei due ordini
istituzionali, quello scientifico e quello artistico, spostando il
punto d'incidenza del loro divario dal piano astratto del confronto di
aree e funzioni diverse alla concretezza di un piano in cui risultasse
che le due attività critiche poggiano, in quanto forme di conoscenza,
su un comune valore produttivo che è quello
dell'interpretazione-comunicazione dei valori significanti della
realtà.
La concezione materialistico-storica del lavoro come attività unitaria
fondamentale dell'uomo (produzione e insieme consumo, ideazione e
appropriazione dell'oggetto) forniva il presupposto ideologico a
un'antropologia culturale intesa a cogliere il rapporto natura-cultura,
al di là della rigida e sterile dicotomia umanistica, in un processo
dialettico di reciproco scambio tra il fattore biologico e quello
storico, tra il mondo interno e quello esterno, tra la vita e la
società.
Campo d'indagine
Si può dire che esso è ampio e articolato secondo la necessità di
registrare nel testo letterario il passaggio dell'immagine, della
frase, in un certo stile; dello stile in una specifica struttura
letteraria omogenea e significante; della struttura letteraria in un
libro; del libro in un oggetto di lettura e in un veicolo d'idee.
Partendo dal classico schema strutturalista (R. Jakobson)
"emittentemessaggio-destinatario - basato sull'analisi esclusiva del
testo - si è venuto elaborando uno schema più semplice e articolato,
aperto ai molteplici e complessi elementi contestuali che
caratterizzano il fenomeno letterario: autore-opera-pubblico. Così, sul
piano della s. della l., ci si occupa: dell'autore visto nella società
del suo tempo, nella sua situazione famigliare, nella sua professione,
nella sua generazione e scuola letteraria, oltre che del problema della
committenza (mecenatismo, sussidi statali, ecc.) e dei diritti
d'autore; dell'opera come mondo immaginario, stile, genere, prodotto
letterario ed editoriale; del pubblico come area di consumo dell'opera,
come "circuito letterato" (appartenente alle classi superiori) e come
"circuito popolare" (appartenente alle classi subalterne), del "gusto"
(L. L. Schucking) e dell'"orizzonte d'attesa" (H. R. Jauss) dei
lettori, ossia lo spazio culturale delle aspettative e delle tendenze
di un determinato periodo storico. In tal modo il rapporto dialettico
autore-opera-pubblico comporta la dinamica di un prodotto letterario
che, nato da un'istanza individuale entro una determinata società,
s'indirizza naturalmente, attraverso la comunicazione e
l'istituzionalizzazione dei valori estetici, alla società da cui
proviene. L'individuale diviene collettivo. Proprio della s. della l. è
dunque l'analisi dell'intero ciclo della produzione, della
distribuzione e del consumo di letteratura: da ciò il suo carattere
interdisciplinare.
Tematica
La sua potenziale disponibilità corrisponde all'ampiezza del campo
d'indagine. Tenendo conto che è ad esso che bisogna sempre riferirsi
per una congrua ricerca metodologica, possiamo rilevare, riguardo alla
scelta tematica, due direttrici di massima: a) nell'esame che,
attraverso il testo letterario, analizza la situazione culturale del
momento cogliendo l'istituzionalità dei valori estetici e il loro
diverso grado fruitivo presso la classe egemone o presso le classi
subalterne; oppure b) nella ricognizione di materiali e di tendenze del
mondo letterario attraverso l'esame dei processi di formazione e di
comunicazione delle ideologie.
Nella prima direzione rientrano gli studi sull'evoluzione dei generi,
delle forme, degli stili letterari entro un periodo storico
organicamente inquadrato; nella seconda direzione compaiono studi
relativi alla situazione degl'intellettuali, della stampa, delle aree
di consumo ideologicoletterario, studi più inclini alla sociologia
della cultura, ma che, avendo per obiettivo il ciclo
produttivo-distributivo-consumistico delle idee e delle immagini che
suscitano una determinata aspettativa nel gusto del pubblico, rientrano
come ipotesi di lavoro nella sfera della s. della letteratura.
Storiografia
Esistono due tendenze di base: a) quella che vede nella genealogia dei
concetti relativi al rapporto arte-società il progressivo costituirsi e
svilupparsi della s. della l. in quanto disciplina che, per essere di
troppo recente formazione, deve rifarsi all'esperienza della più
consolidata storiografia letteraria e pertanto s'impegna alla
delineazione del carattere sociologico della comunicazione di valori
della letteratura, considerata sempre nella sua totalità e autonomia di
segno contenutistico-formale (specifico letterario); b) l'altra
tendenza scorge, al di là di un'astratta processione delle idee, nel
concreto evolversi delle idee e dei fatti, nell'ambivalenza strategica
della loro azione, e quindi nel necessario riferimento dei concetti
alla situazione storica, la possibilità di costituire una disciplina
che, proprio per trovarsi come ultima nella più matura e complessa fase
del processo socioeconomico, facendosi consapevole dell'elaborata
rappresentatività di tutte le sue forze produttive e dei loro ruoli
istituzionali nel campo culturale, sappia cogliere in chiave
sociologica il segno contenutistico-formale della letteratura come una
variante, certamente unitaria ma non autonoma, del sistema linguistico
generale operante nella società.
Secondo i sostenitori della prima tendenza il progetto di un'analisi
sociologica della letteratura, e di qui le origini stesse della s.
della l., emergono dalle istanze relativistiche e comparative dell'età
illuministica (Montesquieu, Voltaire) che faranno capo poi allo
storicismo della repubblicana baronessa A. L. De Stäel-Holstein (De
la littérature considerée dans ses rapports avec les institutions
sociales, Parigi 1800; trad. it., Milano 1800) e all'ideologismo
del monarchico visconte L. G. A. De Bonald (Mélanges littéraires,
politiques, philosophiques, Parigi 1819), con la fondazione di un
esplicito rapporto fra letteratura e società. Di qui gli apporti
fruttuosi per la s. della l. che verranno dalla visione romantica, nel
senso di una testimonianza del valore nazionale e popolare della
letteratura (F. Schlegel, J. G. Herder), e dalla concezione
positivistica, nel senso di una sua definizione oggettuale di prodotto
dell'ambiente, del clima, della razza (H. Taine, M. Guyau). Con la
scuola realistica russa intorno alla seconda metà dell'Ottocento - da
V. Belinskij, a N. Černyševskij, a N. Dobroljubov - si affaccia la
prima ipotesi della teoria dell'arte come rispecchiamento della realtà
in quanto conoscenza ideologico-estetica del quotidiano. Tale teoria,
mentre con la scuola russa rimane ancora legata alla prospettiva
idealistica hegeliana, si svilupperà poi criticamente con la concezione
socio-economica del marxismo evolvendo con apporti diversi, sempre più
pertinenti alla dimensione sociale del prodotto letterario e del suo
campo di fruizione, fino alle recenti acquisizioni degli studiosi di s.
della letteratura.
Per i sostenitori della seconda tendenza è a partire dalla
consapevolezza delle contraddizioni emerse nell'ideologia borghese -
con il trapasso del capitalismo dalla fase individualistica
dell'impresa privata alla fase organica del sistema monopolistico - che
si può registrare il fenomeno della creatività e rappresentatività
artistica come un processo di produzione-consumo analogo a quello di un
apparato industriale non più dipendente dall'aleatorietà
dell'iniziativa privata (cui corrispondeva in arte la teoria romantica
del genio creatore) ma soggetto ormai alle dure regole di una strategia
della razionalizzazione produttiva di tutta la struttura
socio-economica (cui dovrà corrispondere in arte una teoria
comprendente insieme il produttore e il consumatore). Da quest'ultimo,
più maturo, punto di vista, appare possibile osservare realisticamente
al presente l'intero ciclo del complesso fenomeno artistico; e
naturalmente risulta più agevole rivisitare le epoche artistiche del
passato paleocapitalistico, o precapitalista, alla luce di strumenti
critici che possono cogliere le affinità (omologie) e le differenze
(scarti) tra una struttura socioeconomica e la situazione culturale del
momento.
Sull'aleatorietà delle origini storiche della s. della l. si fondano le
perplessità di quanti appaiono dubbiosi all'idea di conferirle il
diploma di disciplina accademica. A tale proposito A. Memmi, nel saggio
Problemi della sociologia della letteratura (in Traité de
sociologie, a cura di G. Gurvitch, Parigi 1960; trad. it., Milano
1967, vol. II, p. 433), ha parlato di "assenza di tradizione". Ma
tant'è, le ipotesi, le ricerche esistono, e sono tutte rintracciabili
(non più come proposte sporadiche ma come concreta direzione di studi)
a cavallo delle due guerre mondiali, fra gli anni Venti e Trenta quando
di fronte alla crisi del vecchio sistema capitalistico si aprono strade
alternative con il primo Piano quinquennale sovietico in Russia, con il
New deal negli SUA, e con gli stati fascisti totalitari dell'Italia e
della Germania. Nello scontro armato della democrazia e del fascismo in
Spagna gl'intellettuali europei e americani si rendono conto che l'arte
non è più soltanto un'esperienza privata del bello ma diventa una
scelta politica, un impegno di lotta. Da una parte e dall'altra della
barricata la cultura si organizza verso la difesa della tradizione (I.
Benda, I. Ortega y Gassett, F. R. Leavis, T. S. Eliot,E. Pound) o verso
la conquista di un progresso sociale (G. Orwell, K. Burke, L. Aragon,
A. Breton, I. Silone, R. Wright).
In questi anni operano, si può dire, i fondatori della s. della
letteratura. G. Lukács, con la sua Die Theorie des Romans,
Berlino 1920 (trad. it., Milano 1962), supera in una sintesi sociale
tra mondo della forma e mondo dei contenuti il metodo della critica
sociologica impiegato da G. V. Plechanov che aveva concepito la teoria
dell'arte come rispecchiamento della realtà esaminabile solo nel
versante ideologico della comunicazione testuale lasciando agli
studiosi di estetica il significato del valore letterario. Più tardi
Lukács tenterà di risolvere con Essays Über Realismus (Berlino
1948; trad. it. Saggi sul realismo, Torino 1950), Karl Marx
und Friedrich Engels als Literaturhistoriker (Berlino 1948; trad.
it. Il Marxismo e la critica letteraria, Torino 1953 e 1964) e
con Beiträge zur Geschichte der Aesthetik (Berlino 1954; trad.
it. Prolegomeni a un'estetica marxista, Roma 1957) il più
complesso problema della s. della l., quello delle mediazioni fra la
struttura socioeconomica e la soprastruttura letteraria.
G. Lukács, partito da una prima base vitalistica, era passato, dopo
l'incontro con il marxismo e la sociologia della conoscenza, a un
rifiuto delle correnti irrazionalistiche europee giudicate nient'altro
che maschere della decaduta filosofia borghese in difesa delle
contraddizioni interne del capitalismo. Lukács punta così alla ripresa
della razionalità del pensiero logico ed estetico in quanto
rispecchiamento essenziale, organico, di una totalità reale
nell'attualità del suo processo dialettico. Tale rispecchiamento in
arte si configura come mediazione tra due categorie contrarie,
l'universale e il singolare (che a se stanti portano, per la rispettiva
astrattezza ed episodicità, all'idealismo e al nominalismo) attraverso
la categoria unificante e significativa del particolare. Il
particolare, il tipico - che non sono una media statistica ma un nesso
organico dell'esperienza sociale - rappresentando in modo concreto e
totalizzante l'universale costituiscono la forma realizzata (specifica)
in cui l'opera d'arte esprime il suo contenuto. Di qui la concezione
lucacciana del realismo come rivelazione che l'arte fa dell'esperienza
del mondo, che da realtà per sé diventa realtà per noi. L'arte dunque
si fa autocoscienza dello sviluppo dell'umanità.
Questa visione di un'arte e quindi di una letteratura "progressista" -
che mediante la "partiticità", ossia la scelta realistica dello
scrittore, si appropria dell'essenziale, del tipico, colto in una
determinata società - conduce Lukács a sostenere come autentico
realismo solo quella parte della grande stagione del romanzo borghese
che va dalla rivoluzione francese ai moti socialrivoluzionari del 1848
(in cui si avverte la potenza espressiva di un pieno possesso della
realtà); mentre dopo il 1848, con il consolidamento del capitalismo in
Europa, si avrebbe il declino del realismo testimoniato dall'isolamento
elitario - l'arte per l'arte - in cui gli scrittori della decadenza si
chiudono di fronte alle contraddizioni dell'ideologia borghese divenuta
da progressista conservatrice.
Allo stesso modo le avanguardie novecentiste, eludendo il richiamo
partitico della realtà sociale e gettandosi con la sperimentazione
puramente stilistica e formale nella perenne ricerca del nuovo,
obbedirebbero a una legge eccentrica rispetto all'essenzialità del
realismo costituendo un mondo letterario artificiale, stereotipato,
destinato agl'iniziati e quindi reazionario, diseducativo. Alla fine
ciò che Plechanov aveva disgiunto - considerando l'arte analizzabile
solo come veicolo di comunicazione delle idee e non come valore -
Lukács sembrava aver unificato. A queste due tendenze appunto si rifarà
la s. della l. nella progressiva ricerca del proprio campo d'indagine.
Negli anni Trenta l'inglese C. Caudwell (che sarebbe morto nella guerra
di Spagna a fianco dei democratici) registra con Studies in a dying
culture, Londra 1938 (trad. it., Torino 1948), lo stato di
frustrazione sociale della piccola borghesia che si riflette
nell'irrazionalismo di quegli anni, mentre con Illusion and
reality. A study of the sources of poetry (Londra 1937; trad. it.,
Torino 1950) indica nella trasformazione del linguaggio il processo di
mediazione dei mutamenti sociali.
L. L. Schucking in Germania scopre con Die Soziologie der
Geschmacksbildung (Lipsia 1931) i diversi gradi di fruizione del
prodotto artistico; su questa linea Q. D. Leavis, discepolo di I. A.
Richards, scrive Fiction and the reading public, Londra 1932;
negli SUA la nuova scuola di s. di Chicago dà il via a una vasta
ricerca organica nel campo della lettura, dall'opera di D. Waples e R.
W. Tyler, What people read about, Chicago 1931, a ricerche
settoriali di Ch. Compton (1934), R. A. Miller (1936), E. Weeks
(1934-37) di cui appaiono interessanti le indagini sul best seller
americano.
W. Benjamin, della scuola di Francoforte, con Das Kunstwerk im
zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (pubblicato postumo
a Francoforte s. M. nel 1963; trad. it., Torino 1966), esamina
l'impatto che l'avvento dei monopoli e la tecnologia industriale
avanzata hanno avuto sull'esperienza dell'artista dopo la seconda metà
dell'Ottocento, quando la fotografia - riproducendo fedelmente sia le
scene della vita quotidiana, sia i paesaggi, sia le opere d'arte
figurative - riduce lo spazio creativo dell'opera avvolta da sempre in
un'aura di mistero. Nasce di qui la rivolta dell'artista che, di fronte
al livellamento delle esperienze (la "caduta dell'aura") e alla
mercificazione dell'arte (la cultura di massa) avvia un processo
d'interiorizzazione della realtà con cui, attraverso forme simboliche
ed ermetiche, tenterà di recuperare l'antico privilegio del distacco
dalla normalità quotidiana. Pertanto l'avanguardia - secondo Benjamin
d'accordo con B. Brecht e in contrasto con Lukács -, smascherando
quell'antico privilegio e impossessandosi delle nuove, concrete forme
espressive esibite dalla civiltà delle macchine, potrà favorire un
processo di democratizzazione dell'arte.
I. Mukařovský, della scuola strutturalista di Praga, sottolinea in La
funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali (Praga
1935; trad. it., Torino 1966) la componente ideologica della struttura
artistica che nelle mani della classe egemone diviene istituzione
culturale, norma del gusto, codice dell'immaginario.
L'attenzione posta alla tecnica della creazione letteraria e insieme al
livello di fruizione dell'opera si ritrova in E. Auerbach con Da
Montaigne a Proust (un gruppo di saggi dal 1926 al 1954) e con
Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur,
Berna 1946 (trad. it., Torino 1967).
Dopo gli anni Trenta (quando il tema arte-società era stato
drammaticamente dibattuto in chiave politica), gli anni Cinquanta,
ossia gli anni tumultuosi del secondo dopoguerra, quelli del duro
confronto dei blocchi tra Est e Ovest, rappresentarono per l'Occidente
- al culmine di un apparato tecnologico e di una strategia del consumo
altamente elaborati e diffusi - un impatto clamoroso della civiltà
delle macchine sulle strutture di una società ancora legata alla
tradizione dei valori individuali, sicché affrontare il problema della
cultura di massa diventava una questione di sopravvivenza nel procesao
di reificazione totale della realtà portato avanti inesorabilmente
dalla macchina industriale. Anche qui si trattava di una scelta. Negli
SUA, dove il boom consumistico appariva più vistoso, ci si limitò a
registrare il galoppante fenomeno del livellamento culturale: Bern J.
Bell, Crowd culture, New York 1952; D. MacDonald, A theory
of mass culture (in Mass culture, a cura di B. Rosenberg e
D. M. Whithe, Glencoe 1957); oppure si giudicò il fenomeno in chiave
etica: E. Larrabee, R. Meyersohn, Mass leisure (1958), E.
Shils, Mass society and its culture (in Varieties of modern
social theory, a cura di H. M. Ruitenbeek, New York 1963), di tono
trionfalistico; E. van Den Haag, A dissent jrom the consensual
society (1960), di tono pessimistico.
Il problema era stato affrontato già da M. Horkheimer e T. W. Adorno,
della scuola di Francoforte, con Dialektik der Aufklärung
(Amsterdam 1947; trad. it., Torino 1966), per i quali la cultura di
massa appare come un logico sviluppo del processo di espansione del
capitalismo monopolistico, e viene chiamata chiaramente "industria
culturale", ossia un'operazione di strategia del consenso condotta dai
detentori del potere. Ancora M. Horkheimer e T. W. Adorno, nei Soziologische
Exkurse (Francoforte s. M. 1956, in Frankfurter Beiträge zur
Soziologie, vol. IV; trad. it., Torino 1966), indicano come l'arte
in tutte le sue forme non può essere isolata nel solo rapporto con
l'autore o col pubblico ma va compresa muovendo dalla totalità sociale.
In Francia J. P. Sartre, ancora legato alle istanze etiche
dell'esistenzialismo, in Che cos'è la letteratura? (Milano
1960; trad. it. da Situations I II III, 1947-50), pone il problema
della spinta creativa dello scrittore come situazione totale della sua
presenza nel mondo, in cui deve sentirsi impegnato (engagé), assieme
agli altri, il suo pubblico, al quale deve chiedere quel consenso
libero e fiducioso che solo potrà dare un significato alla sua opera.
Discepolo di Lukács e attento alle tendenze strutturaliste, dalla
scuola russa a quella francese, L. Goldmann instaura un nuovo ordine di
ricerche sociologiche condotte sul nucleo essenziale del testo
letterario in rapporto all'area della sua lettura. È questo, sulla
linea degli studi epistemologici di J. Piaget, lo "strutturalismo
genetico", secondo cui esistono precise analogie (omologie) di
struttura e di sviluppo fra l'universo formale dell'opera d'arte e
l'universo mentale di determinati gruppi sociali.
Di tendenza opposta, più interessato all'esame della distribuzione e
della fruizione del prodotto letterario che a quello della sua
creazione, R. Escarpit, con Sociologie de la littérature (Parigi
1958; trad. it., Napoli 1970), ha segnato una tappa importante nella
registrazione del processo editoriale-consumistico dell'opera
letteraria. Nello stesso anno Escarpit ha fondato all'università di
Bordeaux l'Institut de Littérature et des Techniques Artistiques de
Masse (ILTAM) che opera con metodi socio-statistici nell'indagine di
fenomeni riguardanti il grado e l'ampiezza del consumo letterario.
In Inghilterra R. Hoggart, in The uses of literacy (Londra
1987; trad. it., Roma 1969), offre uno spaccato del mutamento
linguistico e culturale in atto nel proletariato dagli anni della radio
a quelli della televisione. R. Williams, con Culture and society
(Londra 1958; trad. it. Cultura e rivoluzione industriale in
Inghilterra, Torino 1968), e con The long revolution
(Londra 1961), traccia con grande coerenza e ricchezza di osservazioni
critiche un profilo dell'evoluzione dell'idea di cultura dall'età
romantica al secondo dopoguerra.
In Italia - dove la tradizione umanistica continuò, attraverso Croce e
Gentile, durante tutto il regime fascista - solo dopo la liberazione si
ebbe un'esplosione d'interessi per il rapporto arte-società. L'evento
che colpì profondamente, catalizzando attorno a un'attenta ricerca del
sociale i vari indirizzi culturali degli anni Cinquanta, fu la scoperta
e la pubblicazione dei Quaderni del carcere di A. Gramsci,
scritti negli anni Trenta. L'importanza di questo critico militante,
lucido organizzatore della cultura esaminata nelle sue più ampie
articolazioni, si rivelava nella sua concezione del modello
egemonico/istituzionale della cultura italiana legata alle sorti dello
status borghese e completamente estranea alla vita e alla sensibilità
delle classi subalterne.
Un altro fondamentale apporto critico per la definizione del carattere
razionale e sociale dell'arte e della letteratura è venuto dalla Critica
del gusto (Milano 1960) di G. della Volpe. Attorno a questi due
studiosi marxisti, in sostegno o contro le loro teorie, e con influssi
che portano da Lukács a Freud, da Goldmann a Williams, a Escarpit, si
sono mossi in Italia i primi passi di una ricerca che, attraverso
un'analisi diretta dei testi o la teorizzazione dei risultati, tenta di
dare alla s. della l. la prospettiva critica e lo statuto coerente di
una nuova disciplina.
da http://www.parodos.it/sociologia_della_letteratura.htm
Sociologia della letteratura.
Denominazione assegnata intorno agli anni Trenta a indirizzi di studi
che hanno il loro punto di riferimento nell'analisi del nesso
letteratura-società, la cui origine si colloca in certa saggistica
sette-ottocentesca che, di fronte alla molteplicità delle espressioni
poetiche e letterarie antiche e moderne, del Nord e del Sud d'Europa,
ne tenta dapprima spiegazioni climatiche o politiche, abbandonando il
dogma neoclassico del modello ideale .A un tale orientamento dà un
consistente contributo quella critica romantica che si rifà alla
nozione di "genio delle lingue" di Herder e poi di Humboldt (nozione
che è in realtà da attribuire a Condillac e al suo Essai sur
l'origine des connaissances humaines, 1746), e che riflette sui
problemi della funzione nazionale della letteratura, dei suoi legami
con il popolo e con le tradizioni popolari, e infine sul concetto di
pubblico, problemi poi ripresi in ambito positivistico, in particolare
da H.-A. Taine.
Anche nelle scansioni epocali di Hegel, che riconduce le forme
letterarie alla morfologia storica delle società, sono individuabili
elementi di una s. di generi letterari, al di là dell'involucro
idealistico, mentre in altri tipi di storicismo (quello vichiano, ad
esempio) sono rintracciabili i primi collegamenti fra espressione
letteraria e sviluppo della società civile.
La distinzione marxiana di struttura e sovrastruttura, insistendo sul
radicamento delle ideologie nei rapporti di produzione, avvalora l'idea
di una corrispondenza fra letteratura e sistema sociale. Da tale
premessa si dipartono tuttavia indirizzi critici assai diversi, alcuni
volti a individuare nelle opere il punto di vista di classe soprattutto
per denunciare quelle non rispondenti ai supposti interessi della
classe operaia; altri inclini a riconoscere una validità estetica solo
alle opere raffiguranti la realtà sociale (realismo borghese e
socialista). I risultati critici piuttosto deboli di questo cosiddetto
sociologismo volare (il cui esponente più tipico è G. V. Plechanov)
sembrano discendere non tanto da un orientamento militante quanto
dall'aver adottato un metodo di analisi di tipo contenutistico, che si
limita ai contenuti di fatto, avulsi dal tessuto formale e stilistico e
dal processo simbolico che lo sorregge. Si tratta peraltro di metodi
non esclusivi dell'area marxistica: li si ritrova in un ampio ventaglio
di indirizzi critici di ascendenza positivistica e deterministica.
La s. della letteratura è stata condannata dalla critica idealistica e
formalistica del primo Novecento proprio in base ai risultati alquanto
deludenti di tale impostazione. Solo quando la s. ha meglio affinato i
propri concetti e metodi, grazie anche all'avanzamento della
storiografia sociale ed economica, dell'antropologia, della teoria
delle comunicazioni di massa, e quando, d'altro Iato. la critica
letteraria e l'estetica del Novecento hanno affermato con forza la
specificità del testo letterario. incentrando la propria attenzione
sulle convenziom che lo reggono (retoriche, formali, testuali), si è
potuto riaprire su un diverso piano il problema dei rapporti fra
letteratura e società, superando le astratte rivendicazioni di
principio o la teoria del rispecchiamento.
La s. della letteratura pone a proprio obiettivo conoscenza metodica
dei rapporti che intercorrono fra letteratura e società: definizione
questa ovviamente' di comodo non potendo i due termini irrigidirsi in
entità autonome e separate. Essa tuttavia è un'energica sottolineatura
della necessità di individuare i tipi di interrelazioni possibili, a
loro volta variabili secondo tempi e società, e il livello al quale
tali interrelazioni vanno situate (di società globale, di gruppo, di
struttura economica, ecc.). Anche qui, come in ogni campo delle scienze
umane e sociali, la riflessione teorica, le scelte metodologiche e la
ricerca empirica procedono congiunte e secondo ipotesi di lavoro
sorrette e verificate dai dati.
Le ricerche si sono spostate dall'osservazione delle opere letterarie
allo studio di fattori come l'estrazione sociale, l'ambiente di
formazione, l'entità e la provenienza del reddito degli scrittori
(mecenatismo, secondo mestiere, professionalità, ecc.); verso lo status
sociale dell'autore, la sua subordinazione o autonomia, il sistema
delle censure e delle ricompense. I risultati di simili indagini non
sempre però sono stati collegati in modo soddisfacente con l'analisi
dei testi letterari.
Un lavoro più approfondito è stato invece compiuto sulle
modifiche apportate dal sistema di riproduzione e diffusione (dal
cantastorie all'officina dell'amanuense, fino al libro tascabile) alla
composizione e alle competenze del pubblico, ai modi di ricezione
dell'opera, al progetto stesso dello scrittore (lingua, stile, taglio
dell'opera mutano in relazione all'organizzazione della produzione
editoriale, ad esempio). La stessa vicenda storica del diritto
d'autore, l'emergere cioè della moderna proprietà letteraria e la
regolazione della cessione del diritto di riproduzione dietro
contropartita economica, configura un rapporto autore- opera-lettore
che influenza il fatto letterario. la produzione a larga diffusione che
ha inizio nel primo Ottocento interrompe, secondo R. Escarpit,
esponente della scuola di sociologia della letteratura di Bordeaux, i
precedenti circuiti autore- lettori in cui, per l'appartenenza alla
medesima cerchia omogenea e intercomunicante, l'autore poteva
facilmente conoscere riserve e apprezzamenti sull'opera. Il nuovo
pubblico anonimo dei lettori non possiede più canali propri per
esprimere bisogni e giudizi, in quanto il critico appartiene
generalmente al medesimo gruppo di intellettuali cui fa capo
l'autore. Di qui l'idea, avanzata da R. Escarpit, di un possibile
compito della s. della letteratura, quello di trovare i modi per
ristabilire un circuito a doppia direzione.
Le ricerche sull'editoria (organizzazione editoriale, selezione di
catalogo, tirature, distribuzione) contribuiscono sia a chiarire lo
statuto dello scrittore e dell'opera, sia a configurare il pubblico
presunto e a comprendere meglio il problema dell'uso sociale del libro.
Per conoscere il pubblico reale sono state condotte indagini sulla sua
stratificazione sociale, sulle motivazioni di selezione, sui modi di
lettura. Sovente però il campione, sufficientemente esteso per
essere rapresentativo, permette apprezzamenti quantitativi
(distribuzione del fenomeno oggetto di indagine), ma non una conoscenza
dei meccanismi di ricezione, dove intervengono variabili diverse e
difficilmente quantificabili. La messe dei dati raccolti sui gusti di
lettura per età, professione, istruzione, sesso - negli USA negli
anni 1930-40, in Europa più di recente - è già comunque una tappa
nell'itinerario verso la conoscenza della lettura, cioè del
riconoscimento sociale del fenomeno letterario.
La s. della letteratura considera infatti l'opera un fatto sociale non
solo per quanto riguarda la genesi del testo, ma anche in quanto essa è
percepita come letteratura da un'assise sociale (critici, accademie,
cerchie più o meno estese e qualificate di lettori), in quanto viene
fruita secondo codici di comunicazione culturali ed ideologici
particolari. Da questo punto di vista viene respinta ogni tradizionale
divisione a priori fra i grandi scrittori e i minori, fra i capolavori
e la letteratura di massa o paraletteratura (in cui rientrano anche
giornalismo di consumo, pubblicità, ecc.), verso la quale si orientano
gruppi consistenti di pubblico, e si tende ad identificare gli abiti
sociali di diffusione dei vari generi e la misura della loro percezione
letteraria. Almanacchi, opuscoli popolari romanzi d'appendice,
polizieschi, fantascienza, fumetti, fotoromanzi, costituiscono oggetto
di attente analisi, formali e sociologiche insieme.
D'altronde, è fenomeno ricorrente nella storia letteraria l'emergere di
generi precedentemente trascurati dai letterati: così è avvenuto
per i cicli cavallereschi e per il romanzo stesso, ma il variare dei
canomi letterari non sempre è stato ricondotto dalla critica a precisi
ambienti e a determinate stratificazioni sociali. per ricordare
qualcuna delle ipotesi teoriche, che in parte riecheggiano riflessioni
estetico-filosofiche, si menzionano quelle, opposte fra loro, del
controllo sociale da parte dei gruppi egemoni (anche mediante i testi
letterari) e della contestazione dell'assetto sociale vigente o utopia
dell'arte (Th. W. Adorno, M. Horkheimer); ma vanno ricordate anche
quelle sulla funzione di integrazione (coesione o socializzazione)
dell'individuo al gruppo e dei gruppi nell'insieme sociale (O. D.
Duncan); sulla progettazione e sperimentazione di ruoli sociali, di
situazioni, di sentimenti, possibili se non attuali (J. Duvignaud).
A uno studio più avanzato di verifica sul terreno della ricerca si
presentano le tesi di L. Goldmann, che utilizza il giovane Lukàcs e i
lavori di Piaget: l'opera letteraria esprimerebbe la visione del mondo
di cui è portatore un gruppo o un aggregato sociale, costituirebbe
l'elaborazione formale, fino alla massima coerenza, di elementi
concettuali, sentimentali, ecc. già presenti implicitamente nel corpo
sociale, in modo che l'omologia fra testo letterario e visione del
mondo si porrebbe sul piano strutturale e non su quello dei contenuti.
Per quel che riguarda la cultura italiana, oltre a C. Salinari, C.
Cases, N. Sapegno e F. Fortini (interessati per altro alla questione
dei valori non solo sociologici, ma anche stilistici e storiografici
della letteratura), va ricordato G. della Volpe, che con la Critica
del gusto (1960) ha proposto non solo un severo bilancio della
critica sociologica marxista, da Plechanov a Lukàcs, ma un'analisi
degli aspetti tecnico-semantico dell'opera poetico-letteraria,
intendendo la sua organizzazione linguistica come ciò in cui si
manifesta la sua intena e specifica appartenenza alla dimensione
storica e sociale.