Separatismo siciliano

 

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L'indipendentismo siciliano (nnipinnintisimu sicilianu in lingua siciliana), o anche separatismo siciliano, è una corrente politica che propugna l'indipendenza della Sicilia dall'Italia e da qualunque altro Stato in generale.

Ideologia

L'indipendentismo siciliano si basa sul principio secondo cui la Sicilia è una nazione che possiede una propria storia, una propria cultura e una propria lingua e sull'affermazione del fatto che la Sicilia non raggiungerà il suo massimo sviluppo culturale, sociale ed economico, qualora essa continuasse a far parte del sistema statale italiano o non avesse una propria arichitettura statale indipendente, responsabile e autonoma. Un altro caposaldo di tale corrente politica è la totale avversione per l'associazione a delinquere Cosa Nostra e per qualsiasi organizzazione di stampo mafioso.

Storia

Antecedenti

Sebbene l'idea d'indipendenza, nel senso moderno del termine, sia nata solo col Romanticismo, accompagnata da quella di Stato-nazione, furono molte le idee di emancipazione dell'isola siciliana. È possibile annotare tra gli esempi quello di Ermocrate, e la sua arringa al Congresso di Gela prima della battaglia contro l'invasore di Atene: Noi non siamo né Dori, né Ioni, ma Siculi.
È anche possibile ascrivere, a questa lista, la rivolta dei Siculi con Ducezio, o, nel periodo romano, quella degli schiavi con Euno.

Il Vespro

Il Vespro siciliano è considerato il progenitore dell'indipendentismo moderno, infatti fu un movimento di separazione dallo straniero che all'epoca era il francese angioino. Il tutto confluì nella creazione di un regno indipendente che sarebbe durato meno di un secolo e mezzo.

Le rivolte contro i viceré

Alla fine della sua indipendenza come regno (prima metà del Quattrocento), la Sicilia si trovò ad essere un vicereame spagnolo, il che causerà un profondo declino economico ed un malessere generale del popolo che viveva in miseria. Le rivolte del 1647 di Messina e quelle dell'anno successivo che si ampliarono in tutta l'isola, ebbe due personaggi di spicco: Giuseppe D'Alesi e Nino La Pelosa, che cercheranno di cacciare via i viceré (va ricordato che spesso molti di essi erano dei nobili siciliani) per istituire una repubblica indipendente, ma questa durerà solo per un breve periodo. Degna di nota la Rivolta antispagnola di Messina, tra il 1674 ed il 1678, la città dello Stretto si sollevò contro la dominazione spagnola. Messina ambiva a diventare una repubblica oligarchica e mercantile sulla falsariga di Genova e Venezia. La rivolta fu repressa nel sangue e la città ribelle venne dichiarata "morta civilmente".

Il separatismo del Di Blasi

Il Di Blasi può essere considerato alla pari di Giuseppe D'Alesi e Nino La Pelosa un separatista repubblicano e non solo. Il martire palermitano fondò un'accademia linguistica siciliana per rivalutare la lingua dell'isola e per cercare di istituire una sorta di identità siciliana anche nei ceti sociali più bassi. Di Blasi, è affascinato dalle dottrine della rivoluzione francese e quindi cercherà in tutti i modi di fondare una repubblica siciliana, scoperto verrà decapitato nel 1795.
XIX secolo e le rivolte anti borboniche

Per la prima volta nella storia siciliana il separatismo, e non l'autonomismo, riesce a raggiungere la parte più bassa e povera del popolo. Tutto il secolo XIX è impregnato di ideali indipendentisti e nazionalisti; il popolo spesso organizza rivolte che si tramutano in rivoluzioni non appena coinvolgono la classe borghese dell'isola. La vera novità di questo secolo è l'impulso degli ideali romantici e nazionalisti che rapidamente permettono la nascità in tutta Europa di movimenti più o meno organizzati che promuovono l'idea di nazionalità e di liberazione nazionale. Se nel continente però questi ideali vengono "canalizzati" da un'élite o da un'avanguardia borghese che permette di trasformare in fatti e prassi ciò che era un ideale popolare astratto, in Sicilia siamo di fronte a un vero e proprio movimento libero che di rado trova organizzazione e punti di riferimento stabili, anche per colpa di una classe politica che non ha mai saputo interpretare la volontà popolare o non ha saputo approfittare della situazione che poteva esserle favorevole. Questo, insieme alle continue repressioni dei sovrani di turno, spiega il fallimento delle rivoluzioni nazionali e l'intermittenza nel tempo dell'interesse nei confronti degli ideali nazionalisti siciliani.

Sino al 1814, il Regno di Sicilia aveva mantenuto il proprio autogoverno, rappresentato dal Parlamento Siciliano, nonostante l'unione personale (ovvero unico Re per due Regni) con il Regno di Napoli del Re; esso riservava tuttavia maggiori attenzioni verso quest'ultimo, provocando grave malcontento nel popolo siciliano. Nel 1812, il Re Ferdinando I di Borbone, scappando da una Napoli occupata da Napoleone, si rifugia in Sicilia, ove ad attenderlo vi sono gli onori dell'occasione, ma non solo: i Siciliani chiedono a gran voce una Costituzione che sappia garantire una stabilità dello Stato e maggiore certezza di diritto. Spinto indirettamente anche dagli interessi economici che gli inglesi avevano sull'Isola, Ferdinando concede la Costituzione, di chiara ispirazione inglese, che ben presto diverrà esempio di liberalità per i tempi. Nel 1814, però, a seguito del Congresso di Vienna, il Re Ferdinando I di Borbone, compie un vero e proprio colpo di mano: riunisce Regno di Sicilia e Regno di Napoli sotto una sola Corona, cioè quella del neonato Regno delle Due Sicilie, eliminando il Parlamento Siciliano che dichiara de facto decaduto. La monarchia borbonica compie la sua restaurazione, non ripristina l'unione dei regni di Napoli e di Sicilia nello status quo ante 1789, bensì fa un balzo indietro di cinque secoli e mezzo e restaura il regno di Carlo I d'Angiò[1].. L'atto viene visto dalla classe politica siciliana come un affronto verso quello che ininterrottamente, e da circa 700 anni, era stato un regno indipendente a tutti gli effetti. Quasi immediatamente ha inizio una campagna anti-borbonica, accompagnata da una propaganda dell'identità siciliana, soprattutto per voce delle èlites di Palermo. Ciò sfocia, nel 1820, ad una rivoluzione, a Palermo, che porta all'insediamento di un governo provvisorio, dichiaratamente separatista. Tuttavia, la mancata coordinazione delle forze delle varie città siciliane, porta all'indebolimento del potere del governo provvisorio (Messina e Catania osteggiarono la rivendicazione di Palermo a voler governare l'Isola), che ben presto decade sotto i colpi della repressione borbonica. Il fallimento di questa prima rivoluzione tuttavia non scoraggia le forze politiche sicilianiste, che riproveranno circa 20 anni più tardi.

La rivoluzione del 1848

Nel gennaio del 1848, dopo una prolungata crisi economica, a Palermo, a Chiazza dâ Feravecchia, ha inizio una nuova rivoluzione indipendentista, capitanata da Giuseppe La Masa. Dopo sanguinosi scontri, La Masa, al comando dell'esercito popolare, riesce a scacciare la luogotenenza generale e gran parte dell'esercito borbonico dalla Sicilia, costituendo un «comitato generale rivoluzionario» dagli inizi di febbraio. Il comitato generale istituisce un governo provvisorio a Palermo; tra le felicitazioni generali e l'ottimismo, Ruggero Settimo, un liberale moderato appartenente alla nobiltà siciliana, viene nominato presidente. Ma all'ottimismo ben presto succederà la disillusione; le forze politiche in coalizione appaiono infatti assai in contrasto: vi è nutrita presenza di liberali moderati, contrapposta a democratici e a qualche mazziniano.
I campi che accendono la miccia delle rivalità sono soprattutto l'istituzione di una Guardia Nazionale e del suffragio universale, entrambe sostenute soprattutto da Pasquale Calvi, membro democratico del governo. Scarse prese di posizione vi erano soprattutto su che linea di comportamento intraprendere verso il governo di Napoli e la possibilità di prendere o meno parte alla formazione dello Stato italiano, quest'ultima sostenuta soprattutto dalla minoranza mazziniana. Intanto, nonostante l'appoggio concreto delle città siciliane al governo provvisorio di Settimo, le aree rurali diventano scarsamente controllate, e agitazioni contadine mettono in serie difficoltà le amministrazioni locali, che si ritrovano talvolta a chiedere aiuto all'esercito borbonico per ristabilire l'ordine. La repressione borbonica dell'estate del 1849, contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell'esperienza del 1848-1849 e la creazione di una frattura totalmente insanabile tra la classe politica siciliana e quella napoletana, gettando di fatto le fondamenta per l'appoggio alla spedizione dei mille, vista inizialmente come "ultima spiaggia" per poter liberarsi dai Borbone.

Rivolte anti italiane

Ma già pochissimi anni dopo la spedizione dei mille e l'annessione dell'Isola al Regno di Sardegna, scoppiano in tutta l'isola focolai di ribellione contro gli "italo-piemontesi", nota come rivolta del sette e mezzo. Nella notte tra il 15 ed il 16 di settembre del 1866, circa 4 000 contadini dalle campagne circostanti Palermo, raggiungono la città, l'assaltano e spingono la popolazione alla ribellione. Fonti governative, parlano di circa "40 mila uomini in arme". Alla rivolta partecipano anche ex-garibaldini, pentitisi d'aver appoggiato la spedizione per le gravi conseguenze portate alla Sicilia. La marina italiana, coadiuvata da quella inglese, decide di reprimere la rivolta bombardando la città dal porto: il risultato è di oltre un migliaio di morti, ed i sopravvissuti vengono arrestati ed in alcuni casi condannati a morte.

Il separatismo di Finocchiaro Aprile e Canepa

L'indipendentismo siciliano avrà un altro periodo di lustro dal 1943, con due personaggi che propugnavano la separazione e la creazione di una repubblica isolana. Andrea Finocchiaro Aprile fu il fondatore e leader del Movimento Indipendentista Siciliano. Antonio Canepa, professore universitario antifascista di idee socialiste rivoluzionarie, fu nel 1945 il comandante dell'EVIS, le formazioni armate del MIS1, che fu ucciso pochi mesi dopo in uno scontro a fuoco con i carabinieri. La nascita di tale organizzazione, la cui esistenza non venne pubblicamente appoggiata dal MIS, anzi fu osteggiata da alcuni suoi dirigenti (soprattutto Antonino Varvaro, anche lui di sinistra), venne motivata quale risposta alla crescente «repressione coloniale italiana». In realtà la scelta era stata avallata dai vertici, tant'è che a Canepa succedettero a capo dell'Evis altri leader del Mis, come Attilio Castrogiovanni e Concetto Gallo, che "arruolarono" anche la banda di Salvatore Giuliano, e quella cosiddetta dei "Niscemesi".

Il separatismo a metà degli anni quaranta coinvolse tutta l'isola, ma andò scemando con la concessione dell'Autonomia speciale del 1946 che l'Italia diede alla Sicilia fino a scomparire nelle elezioni regionali del 1951.
Organizzazioni odierne

Diverse organizzazioni hanno fatto riferimento negli ultimi anni in forma esplicita ma velleitariamente, a questa corrente politica, come il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, che nel 2004 ha ripreso le posizioni, del Movimento Indipendentista Siciliano a sessantuno anni dalla sua nascita (1943) e a 53 dal suo scioglimento (1951), e il Fronte Nazionale Siciliano, di chiara ispirazione socialista e progressista, fondato nel 1964.

Entrambi i gruppi indipendentisti intendono usare le regole del gioco democratico con l'obiettivo di conseguire, per via pacifica, il diritto all'autodeterminazione della Sicilia come mezzo per arrivare all'indipendenza. Sono comunque gruppi che cavalcano una posizione ormai definitivamente lontana dal consenso popolare. Il FNS alle politiche del 2008, presenta liste al Senato in Sicilia insieme al "Partito del Sud- Alleanza meridionale", ottenendo solo 3.736 voti, pari allo 0,1 per cento. Il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia alle elezioni regionali del 2006 deposita il suo simbolo ma non riesce a presentare le liste.

Esistono altri partiti o gruppi minori come il Partito del Popolo Siciliano e l'Altra Sicilia-Antudo, che non ammettono una vera e propria indipendenza ma una forte autonomia siciliana. Il gruppo di pressione Terra e Liberazione, nato nel 1984 da una costola del FNS, punta a una politica di ispirazione marxista e internazionalista, cosa che però non gli ha impedito recentemente di aderire al Movimento per l'Autonomia. Vi sono inoltre altri gruppi minori: la Lega Giovanile Separatista - Giovani Indipendentisti Siciliani (LGS-GIS), il FASG (Fronte di Azione Siciliano Giovanile) a Catania e il Comitato Giovanile Indipendentista ed il Movimento Attivista Azione Siciliana (M.A.A.S.) a Palermo, che si occupa di attivismo politico.

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1 Il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) è stato un movimento politico indipendentista, attivo in Sicilia tra il 1943 e il 1951, che auspicava la realizzazione di uno Stato Siciliano separato dall'Italia. Fu denominato anche separatismo.

Storia del MIS

Il movimento nacque nel settembre del 1942, come Comitato per l'Indipendenza della Sicilia, prendendo spunto dai Vespri Siciliani. Il primo Presidente fu Andrea Finocchiaro Aprile. Nel movimento confluirono esponenti politici eterogenei, fra cui il socialista rivoluzionario Antonio Canepa, poi comandante dell'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia, Giovanni Guarino Amella, che poi si defilerà preferendo una soluzione autonomista, il barone Lucio Tasca poi nominato dagli Alleati Sindaco di Palermo nel 1943, Stefano La Motta barone di Monserrato, i monarchici Guglielmo Paternò Castello duca di Carcaci e il principe Giovanni Alliata, il barone Nino Cammarata, gli avvocati Attilio Castrogiovanni e Sirio Rossi, Concetto Gallo, Rosario Cacopardo ed Antonino Varvaro.

Il movimento si mise in evidenza all'indomani dell'armistizio di Cassibile, quando nel caos della guerra lo stato italiano aveva di fatto abbandonato la Sicilia e l'esercito alleato non aveva completato l'occupazione militare. Finocchiaro Aprile ad ottobre chiese l'abdicazione di Vittorio Emanuele III ed il 9 dicembre accolse le adesioni di una decina di deputati siciliani. Nella primavera del 1944, per imprimere maggior vigore alla lotta il CIS verrà sciolto per dar luogo al Movimento per l'Indipendenza della Sicilia (MIS). In questo clima di importanti aspettative vi erano inoltre notevoli pressioni esercitate dai servizi segreti sia americani che inglesi per cercare di attirare ciascuno nella rispettiva sfera d'influenza l'isola indipendente. Infatti, l'amministrazione degli Alleati vietò ogni attività politica, tollerando però l'esistenza del MIS.

Nel fitto connubio fra lotta politica e la vecchia mafia agraria aderirono al MIS anche alcuni politici noti in odor di mafia fra i quali spiccavano Calogero Volpe e Calogero Vizzini. Tuttavia l'adesione che era stata determinata per fini diversi da quelli politici, fu breve e Vizzini insieme al altri esponenti (avversati dai dirigenti del MIS Attilio Castrogiovanni e Antonino Varvaro) presto lasceranno il MIS per garantire il loro appoggio ai rinascenti partiti italiani, in primis la Democrazia Cristiana e il PCI.

Nell'autunno del 1944, durante il primo congresso che si celebrò a Taormina, venne presa la decisione di passare alla lotta armata, anche in risposta alle continue ed arbitrarie violenze (si veda ad esempio la strage di via Maqueda che si consumò a Palermo proprio durante il primo congresso indipendentista) che venivano perpetrate dalle forze dell'ordine italiane ai danni di sedi ed esponenti del MIS. Sotto la spinta dell'ala oltranzista, il MIS tentò l'insurrezione separatista con la formazione dell'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia (EVIS), la cui attività di guerriglia e resistenza fu talmente veemente che per contrastarla il governo fu costretto ad inviare in Sicilia l'Esercito Italiano. Il 17 giugno 1945 in uno scontro a fuoco con i Carabinieri cadeva il comandante dell'EVIS Antonio Canepa insieme a Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice. Il suo posto fu preso da Concetto Gallo, che portò quell'anno a un'alleanza militare con il banditismo e la banda di Salvatore Giuliano. Giuliano fu nominato colonnello dell'EVIS e compì diversi attacchi alle stazioni dei Carabinieri di Bellolampo, Pioppo, e Montelepre, che furono occupate[1].

Dal febbraio del 1944 la Sicilia fu retta da un Alto Commissario. Dopo il lavoro di un'apposita Consulta entro la quale operarono tra gli altri Giovanni Guarino Amella e Giuseppe Alessi, il 15 maggio 1946 il re Umberto II promulgò un decreto legislativo che riconosceva alla Sicilia uno Statuto Speciale di Autonomia. Lo Statuto verrà poi convertito in legge costituzionale il 26 febbraio 1948 dal parlamento della Repubblica Italiana. Alle elezioni per l'Assemblea Costituente del 2 giugno 1946, il MIS ebbe il battesimo elettorale e ottenne lo 0,7% dei voti (8,7% in Sicilia) e 4 seggi. Vennero eletti Andrea Finocchiaro Aprile (34.068 voti), Antonino Varvaro (18.520), Concetto Gallo (14.749) e Attilio Castrogiovanni (10.514).

Durante il III Congresso del movimento tenutosi nel febbraio del 1947 a Taormina (ME), venne espulso Antonino Varvaro, ex segretario del movimento e capo della corrente di sinistra, dalla quale si dissociò però il Partito Comunista Siciliano del futuro segretario del MIS Francesco Mazza, su decisione della maggioranza. I motivi non vennero mai chiariti: secondo alcuni per la spinta dei latifondisti che premevano per una svolta più autoritaria a destra, secondo altri a causare l'espulsione furono le pressioni politiche esercitate su Varvaro e sua moglie dal Partito Comunista Italiano, avendo questi assunto una posizione progressivamente provocatoria e di contestazione nei confronti della leadership di Finocchiaro Aprile. In sostituzione di Antonino Varvaro venne eletto segretario Attilio Castrogiovanni. Successivamente Varvaro insieme ad Anselmo Crisafulli ed altri dissidenti fondarono il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia Democratico-Repubblicano (MISDR). Il movimento di Varvaro, che non ebbe nessun eletto all'ARS, si sciolse dopo poco tempo.

Il MIS partecipò alle prime elezioni regionali siciliane del 20 aprile 1947, dove rimase fermo ai risultati del 1946, con 171.470 voti (8,8%) e nove deputati: Andrea Finocchiaro Aprile, Gioacchino Germanà, Concetto Gallo, Attilio Castrogiovanni, Giuseppe Caltabiano, Rosario Cacopardo, Gaetano Drago, Francesco Paolo Lo Presti e Pietro Landolina. Nelle elezioni politiche del 1948 il MIS con in testa Finocchiaro Aprile si candidò nella lista Unione Movimenti Federalisti, ma ottenne solo 52 mila voti con il 2,1 in Sicilia e lo 0,20 % in Italia, e nessun seggio.

Tuttavia il movimento scomparve dalla scena politica dopo le elezioni regionali del 1951, dove il MIS non ottenne nessun seggio, raggiungendo il 3,91%. Alla sconfitta elettorale seguirono le dimissioni dalla presidenza di Finocchiaro Aprile e di altri esponenti.
Eredità odierne

Il 22 aprile 2004 si è costituito con regolare atto costitutivo notarile, il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, che si richiama direttamente all'esperienza del MIS degli anni quaranta, di fatto ritornando quindi alla politica attiva dopo oltre sessant'anni, con lo statuto approvato dal III congresso.