Sanfedisti

 

Wikipedia

I Sanfedisti furono i componenti di un movimento fondato nel 1799 dal Cardinale Fabrizio Dionigi Ruffo in difesa della dinastia Borbonica e della tradizione cattolica minacciata dalle idee rivoluzionarie. Il movimento della Santa Fede coinvolse masse di insorgenti in tutto il Regno di Napoli; si organizzò col nome di «Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo». Il movimento sanfedista si inserisce a pieno titolo nei movimenti europei contro-rivoluzionari della fine del XVIII secolo, come ad esempio quello sorto in Vandea, ed ebbe facile presa sul popolo più umile, in difesa dei valori tradizionali contro le idee rivoluzionarie e liberali.

Il movimento fu così rappresentativo della sua epoca che da esso derivò il vocabolo italiano «sanfedismo».

Nel Regno di Napoli

Il 23 gennaio 1799 il Regno di Napoli cadde in seguito al fallimento della spedizione dell'esercito borbonico, al comando del generale austriaco Karl von Mack per liberare Roma dai francesi. La controffensiva dei transalpini costrinse alla ritirata le truppe di Ferdinando IV, il quale fuggì a Palermo imbarcandosi sul Vanguard dell'ammiraglio Horatio Nelson con tutta la famiglia (21 dicembre 1798). Nella città fu creata la Repubblica Napoletana ("sorella" di quella francese) e fu innalzato l'albero della libertà.

Gli invasori furono largamente invisi agli strati popolari (per una serie di ragioni tra cui l’ostentata irreligione, i saccheggi, le depredazioni, le imposizioni fiscali e la leva militare), mentre l'aristocrazia e la borghesia benestante videro con favore la loro presenza.

I francesi furono anche protagonisti di episodi di crudeltà. Nel Regno di Napoli l'elenco fu tristemente lungo: nel basso Lazio avvennero le prime feroci stragi di civili: 1.300 persone furono massacrate a Isola Liri e nei dintorni; Itri e Castelforte furono devastate; 1.200 persone furono uccise a Minturno nel gennaio 1799, più altre 800 in aprile; gli abitanti della cittadina di Castellonorato furono tutti massacrati; 1.500 furono le persone passate a fil di spada nella sola Isernia, 700 a Guardiagrele, 4.000 ad Andria, 2.000 a Trani, 3.000 a San Severo, 800 a Carbonara, tutta la popolazione a Ceglie, ecc..

Di fronte a queste violenze, la popolazione si sollevò in ogni parte del Regno. Le masse popolari armate assunsero nelle diverse regioni vari nomi: "lazzari" a Napoli, "montanari" in Abruzzo, "contadini" nella Terra di Lavoro. La «monarchia napoletana — come osserva Benedetto Croce —, senza che se lo aspettasse, senza che l’avesse messo nei suoi calcoli, vide da ogni parte levarsi difenditrici in suo favore le plebi di campagna e di città, che si gettarono nella guerra animose a combattere e morire per la religione e pel re, e furono denominate, allora per la prima volta, "bande della Santa Fede"».

All'inizio della primavera, il cardinale Fabrizio Ruffo annunciò la costituzione di un Esercito della Santa Fede. Decine di migliaia di volontari accorsero da ogni parte del Regno. Il nucleo dell'Armata sanfedista fu composto da contadini, borghesi, ufficiali, finanche preti, pronti ad abbandonare famiglia, lavoro, case, chiese, per difendere la monarchia e la santa fede (da cui il nome sanfedisti), dalle truppe francesi rivoluzionarie. Guidata dal cardinale, l'armata contribuì a mettere fine all'esperienza della Repubblica Napoletana, con il conseguente ritorno della dinastia Borbone (giugno 1799).
Nello Stato della Chiesa

Oltre che nel Regno di Napoli, il sanfedismo fu attivo anche nello Stato della Chiesa, in particolare nella Romagna. In difesa della tradizione cattolica, e contro la diffusione del liberalismo e della carboneria, furono istituite squadre pontificie di sanfedisti, milizie volontarie reclutate soprattutto tra la popolazione rurale. I "volontari pontifici" godevano di alcuni privilegi: potevano portare armi ed erano esentati dalle tasse municipali.

In ambito nazionale, lo sviluppo del sanfedismo assunse proporzioni notevoli dopo la repressione dei moti del 1820-1821. Le cause principali furono la perdita di potere del cardinale Ercole Consalvi - dopo la morte di papa Pio VII - e la politica di intransigenza avviata da papa Leone XII.

Nel giuramento che i sanfedisti erano chiamati a prestare, erano contenute affermazioni che incitavano ad atteggiamenti di estrema durezza nei confronti dei nemici:
  
 « In presenza di Dio onnipotente Padre, Figliuolo e Spirito Santo, di Maria sempre vergine immacolata, di tutta la Corte celeste, io giuro di farmi tagliare la gola, di morire di fame, e fra i più atroci tormenti, e prego il Signore Iddio onnipotente che mi condanni alle pene dell'Inferno piuttosto che tradire o ingannare uno degli onorandi padri e fratelli della Cattolica Apostolica Società, alla quale in questo momento mi iscrivo; o se io non adempissi scrupolosamente le sue leggi o non dessi assistenza ai miei fratelli bisognosi. Giuro nel mantenermi fermo nel difendere la santa causa che ho abbracciato, di non risparmiare nessun individuo appartenente all’infame combriccola de' liberali, qualunque sia la sua nascita, parentela o fortuna; di non avere pietà né dei pianti de' bambini, né de' vecchi; e di versare fino all'ultima goccia di sangue degl'infami liberali, senza riguardo a sesso né a grado. Giuro infine odio implacabile a tutti i nemici della nostra santa Religione cattolica romana, unica e vera. »

Nella letteratura

Nella letteratura di parte giacobina i sanfedisti vennero dipinti come bande di persone violente, senza nulla da perdere. Fu affermato che i briganti del luogo si infiltrassero nelle formazioni e, dopo una battaglia vinta, si lanciassero in crudeli vendette contro gli sconfitti. In mancanza di giacobini e dei loro beni da saccheggiare, si verificarono diversi casi di assalti a chiese e conventi, con l’uccisione dei religiosi, come avvenne nell’Assedio di Modugno.

Carlo De Nicola, contemporaneo degli eventi narrati, scrisse nel suo «Diario Napoletano» che i sanfedisti si diedero anche ad atti di cannibalismo.

Riccardo Bacchelli nel suo Il mulino del Po, ha lasciato un vivido ritratto di Virginio Alpi, sanfedista, poi funzionario pontificio, che operò nel territorio tra Forlì e Faenza nella prima metà del XIX secolo.