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Tommaso d'Aquino (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274) fu un
frate domenicano, del tempo della Scolastica, definito Doctor
Angelicus dai suoi contemporanei. È venerato come santo dalla
Chiesa cattolica che dal 1567 lo considera anche dottore della
Chiesa. È venerato come santo anche dalla Chiesa luterana.
Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e
filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di
raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i
suoi fondamenti e maestri in Socrate, Platone e Aristotele, e poi
passati attraverso il periodo ellenistico, specialmente in autori
come Plotino. Fu allievo di sant'Alberto Magno, che lo difese quando
i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo
chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà,
i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della
terra!»
Biografia
Tommaso dei conti d'Aquino nacque nel 1225 a Roccasecca, nel
castello paterno situato nel feudo dei conti d'Aquino, da Landolfo
d'Aquino e da Donna Teodora, appartenente al ramo Rossi della
famiglia napoletana dei Caracciolo. La sua data di nascita non
è certa, ma è calcolata in maniera approssimativa a
partire da quella della sua morte. Bernardo Gui, ad esempio, afferma
che Tommaso è morto quando aveva compiuto i suoi quarantanove
anni e iniziato il suo cinquantesimo anno. Oppure, in un testo un
po' anteriore, Tolomeo da Lucca fa eco ad un'incertezza: «Egli
è morto all'età di 50 anni, ma alcuni dicono
48». Tuttavia, oggi, sembra che ci sia accordo nel fissare la
sua data di nascita tra il 1224 e il 1225.
Da Montecassino a Napoli
Secondo le usanze del tempo Tommaso, essendo il figlio più
piccolo, era destinato alla vita ecclesiastica e proprio per questo
a soli cinque anni fu inviato come oblato nella vicina Abbazia di
Monte Cassino, di cui suo zio era abate, per ricevere l'educazione
religiosa. In quegli anni l'abbazia si trovava in un periodo di
decadenza e costituiva una preda contesa dal Papa e dall'imperatore.
Ma il trattato di San Germano, concluso tra il Papa Gregorio IX e
l'imperatore Federico II il 23 luglio 1230, inaugurava un periodo di
relativa pace ed è proprio allora che si può collocare
l'ingresso di Tommaso nel monastero. In quel luogo Tommaso ricevette
i primi rudimenti delle lettere e fu iniziato alla vita religiosa
benedettina. Ma a partire dal 1236 la calma di cui godeva il
monastero fu nuovamente turbata e Landolfo, consigliato dal nuovo
abate, Stefano di Corbario, volle mettere al riparo il figlio dai
disordini e inviò Tommaso, oramai adolescente, a Napoli,
perché potesse seguire degli studi più approfonditi.
Così nell'autunno del 1239, a quattordici o quindici anni,
Tommaso si iscrisse al nuovo Studium generale, l'Università
degli studi fondata nel 1224 da Federico II per formare la classe
dirigente del suo Impero.
Fu proprio a Napoli, dove nel 1231 era stato fondato un convento,
che Tommaso conobbe i Domenicani, ordine in cui entrò a far
parte e in cui fece la sua vestizione nell'aprile del 1244.
Ma l'ingresso di Tommaso presso i Frati predicatori comprometteva
definitivamente i piani dei suoi genitori riguardo al suo futuro
incarico di abate di Montecassino. Così la madre inviò
un corriere ai suoi figli, che in quel periodo stavano guerreggiando
nella regione di Acquapendente, perché intercettassero il
loro fratello e glielo conducessero. Essi, accompagnati da un
piccolo drappello, catturarono facilmente il giovane religioso, lo
fecero salire su di un cavallo e lo condussero al Castello di Monte
San Giovanni Campano, un castello di famiglia, per poi condurlo a
Roccasecca. Qui tutta la famiglia tentò di far cambiare idea
a Tommaso, ma inutilmente. Tuttavia bisogna precisare che egli non
fu né maltrattato né rinchiuso in qualche prigione, si
trattava piuttosto di un soggiorno obbligato, in cui Tommaso poteva
entrare e uscire a piacimento e anche ricevere visite. Ma prendendo
atto che Tommaso era ben saldo nella sua risoluzione, la sua
famiglia lo restituì al convento di Napoli nell'estate del
1245.
Gli studi a Parigi e a Colonia (1245-1252)
I Domenicani di Napoli ritennero che non fosse sicuro trattenere
presso di loro il novizio e lo inviarono a Roma dove si trovava il
maestro dell'Ordine, Giovannni Teutonico, il quale stava per partire
alla volta di Parigi, dove si sarebbe celebrato il Capitolo generale
del 1246. Egli accolse Tommaso inviandolo prima a Parigi e poi a
Colonia, dove c'era un fiorente Studium generale sotto la direzione
di fra Alberto (il futuro sant'Alberto Magno), maestro in teologia,
il quale era ritenuto sapiente in tutti i campi del sapere.
Nell'autunno del 1245 Tommaso, al seguito di Giovanni Teutonico, si
sarebbe dunque messo in viaggio per Parigi e vi avrebbe trascorso
gli anni 1246-1247 e la prima parte del 1248, cioè tre anni
scolastici. Qui potrebbe aver studiato le arti, sia in
facoltà che in convento.
Nel 1248 partì per Colonia con fra' Alberto, presso il quale
continuò il suo studio della teologia e il suo lavoro di
assistente. Il soggiorno di Tommaso a Colonia, al contrario di
quello a Parigi, non è mai stato messo in dubbio,
poiché è ben testimoniato dalle fonti. Il 7 giugno
1248 il capitolo generale dei Domenicani riunito a Parigi decise la
creazione di uno studium generale a Colonia, città nella
quale esisteva già un convento domenicano fondato nel
1221-1222 da fra' Enrico, compagno di Giordano di Sassonia.
L'incarico di insegnare venne affidato a fra Alberto, la cui
reputazione in quel periodo era già notevole. Questo
soggiorno a Colonia costituì una tappa decisiva nella vita di
Tommaso. Per quattro anni, dai 23 ai 27 anni, Tommaso poté
assimilare profondamente il pensiero di Alberto. Un esempio di
questa influenza lo troviamo nell'opera nota con il nome di Tabula
libri Ethicorum, la quale si presenta come un lessico le cui
definizioni sono molto spesso delle citazioni quasi letterali di
Alberto.
Il primo periodo di insegnamento a Parigi (1252-1259)
Quando il Maestro Generale dei Domenicani domandò ad Alberto
di indicargli un giovane teologo che potesse essere nominato
baccelliere per insegnare a Parigi, Alberto gli propose Tommaso che
stimava sufficientemente preparato in scentia et vita. Sembra che
Giovanni Teutonico abbia esitato per via della giovane età
del prescelto, 27 anni, perché secondo gli statuti
dell'Università egli avrebbe dovuto averne 29 per poter
assumere canonicamente quest'impegno. Fu grazie alla mediazione del
cardinale Ugo di Saint-Cher che la richiesta di Alberto fu esaudita
e Tommaso ricevette quindi l'ordine di recarsi subito a Parigi e di
prepararsi a insegnare. Egli iniziò il suo insegnamento come
baccelliere nel settembre di quello stesso anno, cioè del
1252, sotto la responsabilità del maestro Elia Brunet de
Bergerac che occupava il posto lasciato vacante a causa della
partenza di Alberto. A Parigi Tommaso trovò un clima
intellettuale meno tranquillo di quello di Colonia. Ancora nel 1250
era vietato commentare i libri di Aristotele, ma tra il 1252 e il
1255, durante la prima parte del soggiorno di Tommaso, la
Facoltà delle Arti avrebbe finalmente ottenuto il permesso di
insegnare pubblicamente tutti i libri del grande filosofo greco.
Il primo ritorno in Italia (1259-1268)
Tra il 1259 e il 1268 fu nuovamente in Italia, impegnato
nell'insegnamento e nelgli scritti teologici: fu prima assegnato a
Orvieto, come lettore, vale a dire responsabile per la formazione
continua della comunità. Qui ebbe il tempo per completare la
stesura della Summa contra Gentiles (iniziata nel 1258) e della
Expositio super Iob ad litteram (1263-1265).
Tra il 1265 e il 1268 è inviato a Roma come maestro reggente.
Durante il suo soggiorno, assegnato alla formazione intellettuale di
giovani dominicani, Tommaso cominciò a scrivere la Summa
Theologica e compilò numerosi altri scritti su varie
questioni economiche, canoniche e morali. Durante questo periodo,
ebbe l'opportunità di lavorare con la corte papale (che non
era residente a Roma).
Il secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272)
Nel secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272), la sua
occupazione principale fu l'insegnamento della Sacra Pagina e
proprio a questo periodo risalgono alcune delle sue opere più
celebri, come i commenti alla Scrittura e le Questioni Disputate.
Anche se i commenti al Nuovo Testamento restano il cuore della sua
attività, egli si segnala anche per la varietà della
sua produzione, come ad esempio la scrittura di diversi brevi
scritti (come ad esempio il De Mixtione elementorum, il De motu
cordis, il De operationibus occultis naturae...) e per la
partecipazione alle problematiche del suo tempo: che si tratti di
secolari o dell'averroismo vediamo Tommaso impegnato su tutti i
fronti. A questa multiforme attività bisogna aggiungere un
ultimo tratto: Tommaso è anche il commentatore di Aristotele.
Tra queste opere ricordiamo: l' Expositio libri Peryermenias, l'
Expositio libri Posteriorum, la Sententia libri Ethicorum, la Tabula
libri Ethicorum, il Commento alla Fisica e alla Metafisica. Vi sono
poi anche delle opere incompiute, come la Sententia libri
Politicorum, il De Caelo et Mundo, il De Generatione et corruptione,
il Super Meteora.
Gli ultimi anni e la morte
Nella primavera del 1272 Tommaso lasciò definitivamente
Parigi e poco dopo la Pentecoste di quello stesso anno (12 giugno
1272) il capitolo della provincia domenicana di Roma gli
affidò il compito di organizzare uno Studium generale di
teologia, lasciandolo libero di scegliere il luogo, le persone e il
numero degli studenti. Ma la scelta di Napoli era già stata
designata da un precedente capitolo provinciale ed è anche
verosimile che Carlo I d'Angiò abbia fatto pressione
perché venisse scelta la sua capitale come sede e che a capo
di questo nuovo centro di teologia venisse insediato un maestro di
fama.
Il 29 settembre 1273 egli partecipò al capitolo della sua
provincia a Roma in qualità di definitore. Ma alcune
settimane più tardi, mentre celebrava la messa nella cappella
di San Nicola, Tommaso ebbe una sorprendente trasformazione e dopo
questa messa non scrisse e non dettò più nulla e si
sbarazzò persino degli strumenti per scrivere. A Reginaldo da
Piperno, che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso
rispose dicendo: «Non posso più. Tutto ciò che
ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto».
Alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio del 1274 Tommaso e il
suo socius si misero in viaggio per partecipare al Concilio che
Gregorio X aveva convocato per il 1º maggio 1274 a Lione. Dopo
qualche giorno di viaggio arrivarono al castello di Maenza dove
abitava sua nipote Francesca. È qui che si ammalò e
perse del tutto l'appetito. Dopo qualche giorno, sentendosi un po'
meglio, tentò di riprendere il cammino verso Roma, ma dovette
fermarsi all'abbazia di Fossanova per riprendere le forze. Tommaso
sopravvisse a Fossanova per qualche tempo e tra il 4 o 5 marzo, dopo
essersi confessato da Reginaldo, ricevette il viatico e
pronunciò, com'era consuetudine, la professione di fede
eucaristica. Il giorno successivo ricevette l'unzione dei malati,
rispondendo alle preghiere del rito. Morì di lì a tre
giorni, mercoledì 7 marzo 1274, alle prime ore del mattino
dopo aver ricevuto il Corpo del Signore.
Le spoglie di Tommaso d'Aquino sono conservate nella chiesa
domenicana detta Les Jacobins a Tolosa. La reliquia della mano
destra, invece, si trova a Salerno, nella chiesa di San Domenico
mentre l'insigne reliquia del suo cranio si trova custodita e
venerata nella Basilica Cattedrale di Priverno.
Il pensiero di Tommaso
Per Tommaso l'anima è creata "a immagine e somiglianza di
Dio" (come dice la Genesi), unica, immateriale (priva di volume,
peso ed estensione) non localizzata in un punto particolare del
corpo, trascendente come Dio e come Lui in una dimensione al di
fuori dello spazio e del tempo in cui sono il corpo e gli altri
enti. L'anima è tota in toto corpore, contenuta interamente
in ogni parte del corpo, e in questo senso legata ad esso
indissolubilmente.
Secondo Tommaso:
« fede e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione
serve agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni enigmi di
fede. Lo scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi
la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa.
»
Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio
La certezza inoppugnabile che Dio esista ci è data dalla
fede, ma la ragione ha il suo percorso che prepara l'adesione libera
dell'intelletto e della volontà dell'intera persona umana
rendendo plausibile, credibile l'adesione al Dio che si rivela. Ma
tra i grandi pensatori cristiani si sono elaborati diversi percorsi
razionali: mentre Anselmo d'Aosta, sulla scia neoplatonica di
Agostino d'Ippona procedeva sia a simultaneo, cioè dal
concetto stesso di Dio, da lui ritenuto id quo maius cogitari nequit
(nel Proslogion, cap.2.3), sia a posteriori (nel Monologion) per
dimostrare l'esistenza di Dio, l'unico modo per arrivarci, secondo
Tommaso, consiste nel procedere a posteriori: partendo cioè
dagli effetti, dall'esperienza sensibile, che è la prima a
cadere sotto i nostri sensi, per dedurne razionalmente la sua Causa
prima. Si tratta di quella che chiama demonstratio quia,
cioè, appunto dagli effetti, il cui risultato è
ammettere necessariamente che esista il punto d'arrivo della
dimostrazione, anche se non è pienamente intelligibile, come
in questo caso, ed in altri, il perché (demonstratio quid,
es. i sillogismi: le premesse esprimono proprietà che sono
cause della conclusione: «Ogni uomo è mortale; ogni
ateniese è uomo; ogni ateniese è mortale": essere uomo
e mortale è necessaria causa della mortalità di ogni
ateniese)»
Sulla base di questo sfondo di pensiero Tommaso espone le sue prove
dell'esistenza di Dio, non a caso chiamate in latino viae,
cioè "percorsi", "cammini" presi come esempi di largo
respiro. Tutte e cinque, con piccole variazioni, seguono questa
struttura: 1) constatazione di un fatto in rerum natura,
nell'esperienza sensibile ordinaria (movimento inteso come
trasformazione; causalità efficiente subordinata; inizio e
fine dell'esistenza degli esseri generabili e corruttibili,
perciò materiali, contingenti nel suo vocabolario, che quindi
possono essere e non essere; gradualità degli esseri nelle
perfezioni trascendentali, come bontà, verità,
nobiltà ed essere stesso; finalità nei processi degli
esseri non intelligenti); 2) analisi metafisica di quel dato
iniziale esperienziale alla luce del principio metafisisco di
causalità, enunciato in varie formulazioni ("Tutto ciò
che si muove è mosso da un altro"; "E' impossibile che una
cosa sia causa efficiente di sé stessa"; "Ora, è
impossibile che tutte di tal natura siano state sempre,
perché ciò che può non essere un tempo non
esisteva"; "Ma il grado maggiore o minore si attribuiscono alle
diverse cose secondo che si accostano di più o di meno a
qualcosa di sommo o di assoluto"; "Ora, ciò che è
privo di intelligenza non tende al fine se non perché
è diretto da un essere conoscitivo e intelligente"); 3)
impossibilità di un regressus in infinitum inteso in senso
metafisico, non quantitativo, perché ciò renderebbe
inintelligibile, inspiegabile pienamente il dato di fatto di
partenza esistente ("Ora, non si può in tal modo procedere
all' infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo
motore, e di conseguenza nessun altro motore..."; "Ma procedere all'
infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa
efficiente; e così non avremmo neppure l' effetto ultimo,
né le cause intermedie..."; "Dunque non tutti gli esseri sono
contingenti, ma bisogna che nella realtà ci sia qualcosa di
necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la
causa della sua necessità in un altro essere oppure no.
D'altra parte [in questo genere di esseri] non si può
procedere all'infinito..."; questo passaggio manca, per la sua
evidenza agli occhi dell' Aquinate manca nella quarta via e nella
quinta via, si passa direttamente alla conclusione; 4) conclusione
deduttiva strettamente razionale (senza nessuna cogenza di fede) che
identifica il 'conosciuto' sotto quel determinato aspetto con quello
"che tutti chiamano Dio", o espressioni simili ("Dunque è
necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e
tutti riconoscono che esso è Dio"; "Dunque bisogna ammettere
una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio"; "Dunque bisogna
concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé
necessario e non tragga da altri la propria necessità, ma sia
causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio";
"Ora ciò che è massimo in un dato genere è
causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo
al massimo, è causa di ogni calore, come dice lo stesso
Aristotele. Dunque vi è qualcosa che per tutti gli enti
è causa dell' essere, della bontà e di qualsiasi
perfezione. E questo chiamiamo Dio"; "Vi è dunque un qualche
essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate
ad un fine: e quest'essere chiamiamo Dio".
I cinque percorsi indicati da San Tommaso sono:
Ex motu et mutatione rerum (tutto ciò che
si muove esige un movente primo perché, come insegna
Aristotele nella Metafisica: "Non si può andare all'infinito
nella ricerca di un primo motore");
Ex ordine causarum efficientium (cioè
"dalla causa efficiente", intesa in senso subordinato, non in senso
coordinato nel tempo. Tommaso non è, per sola ragione, in
grado di escludere la durata indefinita nel tempo di un mondo creato
da Dio, la cosiddetta creatio ab aeterno: ogni essere finito,
partecipato, dipende nell' essere da un altro detto causa;
necessità di una causa prima incausata);
Ex rerum contingentia (cioè "dalla
contingenza". Nella terminologia di Tommaso la generabilità e
corruttibilità sono prese come segno evidente della
possibilità di essere e non essere legata alla
materialità, sinonimo, nel suo vocabolario di "contingenza",
ben diverso dall' uso più comune, legato ad una terminologia
avicenniana, dove "contingente" è qualsiasi realtà che
non sia Dio. Tommaso, in questa argomentazione della Summa
Theologiae distingue attentamente il necessario dipendente da altro
(anima umana e angeli) e necessario assoluto (Dio).L' esistenza di
esseri generabili e corruttibili è in sè insufficiente
metafisicamente, rimanda ad esseri necessari, dapprima dipendenti da
altro, quindi ad un essere assolutamente necessario);
Ex variis gradibus perfectionis (le cose hanno
diversi gradi di perfezioni, intese in senso trascendentale, come
verità, bontà, nobiltà ed essere, sebbene sia
usato un 'banale' esempio fisico legato al fuoco ed al calore; ma
solo un grado massimo di perfezione rende possibile, in quanto
causa, i gradi intermedi);
Ex rerum gubernatione (cioè "dal governo
delle cose": le azioni di realtà non intelligenti
nell'universo sono ordinate secondo uno scopo, quindi, non essendo
in loro quest'intelligenza, ci deve essere un'intelligenza ultima
che le ordina così).
Processo conoscitivo
Tommaso, che riteneva la conoscenza acquisibile solo attraverso la
sensibilità, rifiuta la visione della conoscenza di Agostino,
che pensava che questa avvenisse tramite l'illuminazione divina.
La conoscenza degli universali però appartiene solo alle
intelligenze angeliche; noi, invece, conosciamo gli universali
post-rem, ossia li ricaviamo dalla realtà sensibile. Soltanto
Dio conosce ante rem.
La conoscenza è, quindi, un processo di adeguamento
dell'anima o dell'intelletto e della cosa, secondo una formula che
dà ragione del sofisticato platonismo di Tommaso:
(LA)
« Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad
intellectum. Adaequatio intellectus et rei. »
(IT)
« Verità: Adeguamento dell'intelletto alla cosa.
Adeguamento della cosa all'intelletto. Adeguamento dell'intelletto e
della cosa. »
(Tommaso d'Aquino)
La Creazione secondo Tommaso
Tommaso spiega che l'uomo non può stabilire se il mondo
è infinito o se è stato creato dal nulla,
poiché queste tesi riguardano l'ambito della fede e non
è possibile arrivarci razionalmente, l'uomo può solo
rifarsi alle verità rivelate che dicono che l'universo ha
effettivamente un punto zero dal quale è nato.
Nelle opere di Tommaso l'universo (o cosmo) ha una struttura
rigorosamente gerarchica: posto al vertice da Dio che viene posto
come al di là della fisicità, governa da solo il mondo
al di sopra di tutte le cose e gli enti; al di sotto di Dio troviamo
gli angeli (forme pure e immateriali) ai quali Tommaso attribuisce
la definizione di intelligenze motrici dei cieli anche esse ordinate
gerarchicamente tra di loro; poi un gradino più in basso
troviamo l'uomo, posto al confine tra il mondo delle sostanze
spirituali e il regno della corporeità, in ogni uomo infatti
si ha l'unione del corpo (elemento materiale) con l'anima
intellettiva (ovvero la forma, che secondo Tommaso costituisce
l'ultimo grado delle intelligenze angeliche), l'uomo è
l'unico ente in contatto sia con il mondo fisico, sia con il mondo
spirituale. Tommaso crede che la conoscenza umana cominci con i
sensi, l'uomo non avendo il grado di intelligenza degli angeli non
è in grado di apprendere direttamente gli intelligibili, ma
può apprendere solamente attribuendo alle cose una forma e
quindi solamente grazie all'esperienza sensibile.
Un'altra facoltà necessaria che caratterizza l'uomo è
la sua tendenza a realizzare pienamente la propria natura ovvero
compiere ciò per cui è stato creato. Ciascun uomo
infatti corrisponde all'idea divina su cui è modellato di cui
l'uomo è consapevole e razionale, conscio delle proprie
finalità, alle quali si dirige volontariamente avvalendosi
dell'uso dell' intelletto (l'uomo prende le proprie decisioni sulla
base di un ragionamento pratico con cui tra due beni sceglie sempre
quello più consono al raggiungimento del suo fine).
Al di sotto dell'uomo troviamo le piante e le varie
molteplicità degli elementi.
Importanza ed eredità
San Tommaso fu uno dei pensatori più eminenti della filosofia
Scolastica, che verso la metà del XIII secolo aveva raggiunto
il suo apogeo. Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia
del tempo: la questione del rapporto tra fede e ragione, le tesi
sull'anima (in contrapposizione ad Averroè), le questioni
sull'autorità della religione e della teologia, che subordina
ogni campo della conoscenza.
Tali punti fermi del suo pensiero furono difesi da diversi suoi
seguaci successivi, tra i quali Reginaldo di Piperno, Tolomeo da
Lucca, Giovanni di Napoli, il domenicano francese Giovanni Capreolus
e Antonino di Firenze. Infine però, con la lenta dissoluzione
della Scolastica, si ebbe parallelamente anche la dissoluzione del
Tomismo.
Oggigiorno il pensiero di Tommaso d'Aquino trova ampio consenso
anche in ambienti non cattolici (studiosi protestanti statunitensi,
ad esempio) e perfino non cristiani, grazie al suo metodo di lavoro,
fortemente razionale ed aperto a fonti e contributi di ogni genere:
la sua indagine intellettuale procede dalla Bibbia agli autori
pagani, dagli ebrei ai musulmani, senza alcun pregiudizio, ma
tenendo sempre il suo centro nella Rivelazione cristiana, alla quale
ogni cultura, dottrina o autore antico faceva capo.
Il suo operato culmina nella Summa Theologiae (cioè "Il
complesso di teologia"), in cui tratta in maniera sistematica il
rapporto fede-ragione ed altre grandi questioni teologiche.
Agostino vedeva il rapporto fede-ragione come un circolo ermeneutico
(dal greco ermeneuo, cioè "interpreto") in cui credo ut
intelligam et intelligo ut credam (ossia "credo per comprendere e
comprendo per credere"). Tommaso porta la fede su un piano superiore
alla ragione, affermando che dove la ragione e la filosofia non
possono proseguire inizia il campo della fede ed il lavoro della
teologia. Dunque, fede e ragione sono certamente in circolo
ermeneutico e crescono insieme sia in filosofia che in teologia.
Mentre però la filosofia parte da dati dell'esperienza
sensibile o razionale, la teologia inizia il circolo con i dati
della fede, su cui ragiona per credere con maggiore consapevolezza
ai misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli
dimostrare, riconosce che essi, pur essendo al di sopra di
sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e
ragione, sono entrambe dono di Dio e non possono contraddirsi.
Questa posizione esalta ovviamente la ricerca umana: ogni
verità che io posso scoprire non minaccerà mai la
Rivelazione anzi, rafforzerà la mia conoscenza complessiva
dell'opera di Dio e della Parola di Cristo. Si vede qui un esempio
tipico della fiducia che nel Medioevo si riponeva nella ragione
umana. Nel XIV secolo queste certezze andranno in crisi,
coinvolgendo l'intero impianto culturale del periodo precedente.
La teologia, in ambito puramente speculativo, rispetto alla
tradizione classica, è considerata una forma inferiore di
sapere, poiché usa le armi della filosofia senza partire da
qualcosa che abbia la forza della necessità filosofica, ma
Tommaso fa notare, citando Aristotele, che non si può mai
dimostrare tutto (sarebbe necessario un processo all'infinito), ed
anche che si possono distinguere due tipi di scienze: quelle che
esaminano i propri principi e quelle che ricevono i principi da
altre scienze, costruendo sopra di essi come su dati validi. La
teologia, rivalutata, si costruisce le basi della sua substantia.
L'ideale, per uno spirito concreto come Tommaso, sarebbe superare la
fede e raggiungere la conoscenza ma, sui misteri fondamentali della
Rivelazione, questo non è possibile nella vita terrena del
corpo. Avverrà nella vita eterna dello spirito.
Il sapere teologico è più elevato per l'importanza
assoluta e fondamentale delle sue "ipotesi", da cui parte poi a
ragionare e sulle quali cresce il suo essere; esso è un moto
a spirale della conoscenza che muove da un'ipotesi, cioè un
atto di fede, guardando Dio e l'eternità. Per l'uomo è
più importante dei ragionamenti necessari che un filosofo
è riuscito a dimostrare. La filosofia è dunque ancilla
theologiae e regina scientiarum, primo fra i saperi delle scienze.
Il primato del sapere teologico non è nel metodo, ma nei
contenuti divini che affronta, per i quali è sacrificabile
anche la necessità filosofica.
Il punto di discrimine fra filosofia e teologia è la
dimostrazione dell'esistenza di Dio; dei due misteri fondamentali
della Fede (Trinitario e Cristologico), la ragione può
dimostrare solamente l'esistenza di Dio e che questo Dio non
può che essere Trinitario, il paradosso razionale, che la
ragione non può spiegare: un Dio Uno e Trino. Il maggior
servizio che la ragione può fare alla fede è che
dimostrare l'esistenza di un Dio non Trinitario è altrettanto
irrazionale quanto la sua affermazione, perché i motivi per
non credere al Dio che emerge dal Nuovo Testamento non sono maggiori
di quelli che si hanno per credere ad un'altra divinità o per
essere atei. La ragione fornisce un secondo aiuto alla fede:
mostrare che da questo mistero scaturiscono conseguenze non
contraddittorie fra loro (il mistero stesso è
l'ipotesi-premessa razionale). La ragione non può entrare
nella parte storica dei misteri religiosi, può mostrare solo
prove storiche che tal "profeta" è esistito, ma non che era
Dio, e il senso della Sua missione, che è appunto un dato, un
fatto a cui si può credere o meno.
Il primato della teologia verrà fortemente discusso nei
secoli successivi, ma sarà anche lo studio praticato da tutti
i filosofi cristiani nel Medioevo e oltre, tant'è che Pascal
fece la sua famosa "scommessa" ancora nel XVII secolo. La teologia
era questione sentita dal popolo nelle sacre rappresentazioni, era
il mondo dei medioevali e degli zelanti studenti che attraversavano
a piedi le paludi di Francia per ascoltare le lectiones
dell'Aquinate nella prestigiosa Università della Sorbonne di
Parigi, incontrandosi da tutta Europa.
Gli storici della filosofia richiamano l'attenzione anche sulla
prevalenza dell'intelletto rispetto ad una prevalenza della
volontà nella vita intellettuale/spirituale dell'uomo. La
prima è seguita da San Tommaso e dalla sua scuola, mentre
l'altra è propria di San Bonaventura e della scuola
francescana. Per Tommaso il fine supremo è "vedere Dio",
mentre per Bonaventura fine ultimo dell'uomo è "amare Dio".
Quindi per Tommaso la categoria più alta è "il vero",
mentre per Bonaventura è "il bene". Per ambedue però,
"il vero" è anche "il bene", e "il bene" è anche "il
vero".
Il pensiero di Tommaso ebbe influenza anche su autori non cristiani,
a cominciare dal famoso pensatore ebreo Hillel da Verona.
A partire dal secondo Novecento poi il suo pensiero viene ripreso
nel dibattito etico da autori cattolici e non, quali Gertrude
Elizabeth Margaret Anscombe, Alasdair MacIntyre, Philippa Ruth Foot.