Antonio Starrabba Rudinì

 

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Rudinì, Antonio Starrabba (o Starabba) marchese di

Uomo politico (Palermo 1839 - Roma 1908).

Laureatosi in legge a Palermo, costretto all'esilio per aver preso parte ai moti insurrezionali antiborbonici dell'apr. 1860, nel 1864 fece ritorno nella sua città e ne fu eletto sindaco. Distintosi per le sue capacità amministrative, l'aver fronteggiato con successo il movimento popolare del sett. 1866 gli valse la nomina a prefetto di Palermo e poi di Napoli (1868).

Ministro degli Interni e deputato della Destra (1869), assunse un atteggiamento di opposizione nei confronti dei gabinetti Depretis e Crispi, succedendo a quest'ultimo nel febbr. 1891. Deciso ad affrontare le gravi condizioni del bilancio, si dimise a causa dell'opposizione incontrata dalla sua proposta di nuove imposte (maggio 1892).

Tornato al governo nel marzo 1896, dopo la crisi seguita alla sconfitta di Adua, R. si impegnò a sanare le conseguenze della politica estera crispina, concludendo la pace con l'Etiopia e riavvicinandosi alla Francia.

Sul piano interno affrontò la crisi sociale in atto nel paese facendo largo uso di misure repressive, ma fu costretto a dimettersi in seguito alle manifestazioni popolari di Milano del maggio 1898.

Risultato vano l'immediato tentativo di varare un nuovo esecutivo, R. non ricoprì più incarichi di rilievo; negli anni successivi prese comunque posizione contro la politica giolittiana.

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Wikipedia

Antonio Starabba marchese di Rudinì (Palermo, 6 aprile 1839 – Roma, 6 agosto 1908) è stato un politico e prefetto italiano.

Fu più volte ministro e fu presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi: 6 febbraio 1891 - 15 maggio 1892 e 10 marzo 1896 - 29 giugno 1898.

Dai Garibaldini a Roma

Nel 1859 si unì al comitato rivoluzionario che spianò la strada ai trionfi di Garibaldi nell'anno seguente. Quindi, dopo aver passato un breve periodo a Torino come addetto del ministero degli esteri, venne eletto sindaco di Palermo. Nel 1866 mostrò una considerevole energia e coraggio personale, nel reprimere la rivolta del sette e mezzo, provocata da separatisti e reazionari. Il prestigio così acquisito lo portò alla nomina come prefetto di Palermo, e mentre occupava tale incarico, represse il brigantaggio in tutta la provincia. Nel 1868 fu prefetto di Napoli.

Nell'ottobre 1869 divenne ministro dell'Interno nel gabinetto Menabrea, ma cadde assieme a tale governo pochi mesi dopo, e benché eletto membro del parlamento per Canicattì, non ricoprì alcuna posizione importante fino a quando, alla morte di Minghetti nel 1886, divenne il capo della destra. All'inizio del 1891 succede a Francesco Crispi come primo ministro e ministro degli affari esteri, formando un governo di coalizione con una parte della sinistra di Nicotera. La sua amministrazione si rivelò vacillante, ma diede il via alle economie con cui le finanze italiane vennero messe in sesto e rinnovò inoltre la Triplice Alleanza.

Il suo governo cadde nel maggio 1892 per via di un voto alla camera, ed il suo posto venne preso da Giolitti. Al ritorno al potere del suo rivale, Crispi, nel dicembre 1893, egli riprese l'attività politica, alleandosi con il leader radicale Felice Cavallotti. La crisi conseguente al disastro di Adua (1º marzo 1896), permise a Starabba di tornare al potere come primo ministro e ministro dell'Interno, in un governo formato dal veterano conservatore, generale Ricotti.

Di Rudinì concluse la pace con l'Abissinia ponendo così termine alla campagna d'Africa Orientale, ma mise in pericolo le relazioni con il Regno Unito per colpa della pubblicazione non autorizzata di corrispondenza confidenziale diplomatica, in un libro verde sulla questione abissina. Per soddisfare il partito anti-coloniale, cedette Kassala ai britannici, provocando molta indignazione in Italia.

La sua politica interna fu marcata da un continuo trattenere le pressioni radicali e dalla persecuzione di Crispi. Sciogliendo la camera all'inizio del 1897 e favorendo i candidati radicali nelle elezioni generali, spianò la strada agli scontri del maggio 1898, la soppressione dei quali richiese un notevole spargimento di sangue e lo stato di assedio a Milano, Napoli, Firenze e Livorno. L'indignazione per i risultati della sua politica favorì il suo rovesciamento nel giugno 1898, anche se il vero motivo della caduta fu il suo tentativo di ridurre il numero dei corpi d'armata del regno (che incidevano pesantemente sul bilancio statale), gesto che fece infuriare il sovrano Umberto I, per tradizione e formazione molto vicino all'esercito. Durante il suo secondo mandato modificò il gabinetto per tre volte (luglio 1896, dicembre 1897, giugno 1898) senza rafforzare la sua posizione politica.

Per molti versi di Rudinì, leader della destra e dunque, nominalmente, politico conservatore, si rivelò un elemento dissolutore nelle file dei conservatori italiani. Con la sua alleanza con i liberali di Nicotera nel 1891, con la sua intesa con i radicali di Cavallotti nel 1894; con l'abbandono del suo collega conservatore, generale Ricotti, al quale doveva la carica di primo ministro nel 1896; e con la sua azione ondivaga dopo aver perso il potere, egli divise e demoralizzò una parte politica che avrebbe potuto costituire, se gestita altrimenti, una solida organizzazione parlamentare. Di Rudinì, inoltre, mal sopportava l'impostazione centralista del regno sabaudo e in più di una occasione tentò di trovare in parlamento, senza riuscirci, una maggioranza favorevole a una grande riforma federalista (l'istituzione dei "circoli di Provincia") che in realtà tradiva l'intento di consegnare l'amministrazione del paese ai notabili locali, soprattutto nel meridione.

Fu uno dei più grandi e ricchi proprietari terrieri della Sicilia e gestì le sue proprietà secondo principi liberali, senza mai incorrere in problemi con la manodopera agricola. Non ricoprì più incarichi pubblici dal 1898.

Morì il 6 agosto 1908, lasciando un figlio, Carlo, che sposò una figlia di Henry Labouchere e una figlia, Alessandra che, dopo esser stata l'amante di d'Annunzio, si farà monaca carmelitana. È sepolto presso il Cimitero del Verano di Roma.