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Movimento letterario, artistico e culturale, sorto in
Germania e in Inghilterra negli ultimi anni del Settecento e quindi
diffusosi in tutta l’Europa nel corso del 19° secolo.
letteratura
1. Definizione
Il termine romantic, derivato da romance, appare dapprima in
Inghilterra alla metà del 17° sec. con il significato di
«cosa da poesia di romance», cioè ‘romanzesco’,
non reale. Esso ha però anche un altro significato, quello di
‘pittoresco’: quest’ultimo man mano prevale, e finisce con il
designare nel Settecento non solo la caratteristica oggettiva della
scena naturale, ma lo stato d’animo che essa suscita. Nella seconda
metà del Settecento il termine si diffonde in Germania nel
contesto di un vivo interesse per le leggende e i canti popolari dei
popoli nordici (si pensi alla moda ossianica) e per l’epos
cavalleresco dell’età medievale. Soprattutto con J.G. von
Herder questo interesse per ‘il modo di pensare romantico’
corrisponde alla rivendicazione della peculiarità delle
culture dei singoli popoli e a un programma di rigenerazione e di
affermazione delle nazioni rimaste a lungo schiave delle altrui
mitologie (soprattutto di quella greca, donde la polemica contro F.
Schiller e contro il classicismo), e quindi impedite nel loro
sviluppo autonomo. La complessità degli aspetti della vita
che il R. investì, la diversità delle tradizioni
nazionali in cui si venne a inserire, la molteplicità degli
atteggiamenti in cui si andò evolvendo, ebbero come
conseguenza una serie quasi innumerevole di contrastanti tentativi
di fissarne la sostanza in una definizione. E il R. apparve, di
volta in volta, per es., come soggettivismo o come coscienza di
popolo e potenziamento dei sentimenti nazionali; come
insoddisfazione della realtà o come trasfigurazione poetica
della realtà stessa; come ritorno al Medioevo o come ricerca
di modernità.
In realtà il R. non è il logico, coerente sviluppo
deduttivo di un’idea, né un gruppo circoscritto di fenomeni
riducibili a un’unica causa, né un sistema di pensiero
chiuso, ma un ‘modo di sentire’, a cui s’intona tutto un vario modo
di pensare, di poetare e di vivere, e perciò a rigore non
può essere definito, ma soltanto indagato nelle sue origini,
seguito nel suo svolgimento, rilevato nelle sue tendenze più
rappresentative. Pertanto non è possibile fissare limiti
cronologici del fenomeno diversi dalle date entro le quali fiorirono
nei singoli paesi le varie ‘scuole’ che del R. fecero esplicitamente
il proprio programma.
In Germania il primo costituirsi di una scuola romantica avvenne
negli ultimi anni del Settecento prima a Jena e poi a Berlino, e si
concretò nella pubblicazione della rivista Athenäum
(1798-1800); in Inghilterra (1798) le prime manifestazioni del R. si
ebbero con il programma aggiunto alle Lyrical ballads da W.
Wordsworth e S.T. Coleridge; nei paesi scandinavi (1802) con
l’incontro di H. Steffens e A.G. Oehlenschläger; in Francia
(1813) con la traduzione del Cours de littérature dramatique
di A.W. Schlegel e l’analisi del R. tedesco nell’Allemagne di Madame
de Staël; in Italia (1816) con la Lettera semiseria di
Grisostomo al suo figliolo di G. Berchet, e con le discussioni
provocate da una lettera di Madame de Staël sulle traduzioni,
pubblicata dalla Biblioteca Italiana. In Inghilterra, in Francia, in
Italia, singoli segni precorritori possono avere accompagnato per
vie autonome, o anche preceduto, il movimento di formazione del R.
in Germania; ma è in Germania che il periodo formativo del R.
raggiunse i massimi sviluppi in profondità, ed è dalla
Germania che il R. si propagò al resto d’Europa e
nell’America anglosassone, assumendo in ciascun paese una
particolare fisionomia.
2. Sviluppi
2.1 LoSturm und Drang. Preparato nella coscienza letteraria tedesca
da un rapido e intenso sviluppo del senso di autonomia di fronte al
classicismo francese, il vero periodo di gestazione del R. in
Germania fu quello dello Sturm und Drang, per il quale la vita
divenne un campo senza confini aperto allo slancio della conquista
umana. L’ideale astratto di ‘umanità’ del 18° sec. cede
alla considerazione della realtà umana, come si attua nel
divenire organico della sua storia (Herder). E anche la concezione
della poesia si rinnova nello stesso spirito. Non esistono
‘modelli’, esemplari perfetti di poesia, di valore normativo: la
poesia esiste solo nella sua storia. Fra la vita dei popoli e la
loro poesia esiste la medesima immediatezza di rapporti presente tra
la vita dei popoli e il loro linguaggio; poesia e linguaggio nascono
insieme. Ogni elemento intellettualistico esula così dalla
poesia. All’ammirazione esclusiva per l’armonica e in sé
conchiusa perfezione delle forme classiche si sostituisce un
sentimento dinamico della poesia che, mentre comprende nel suo senso
di trascendenza e nel suo slancio religioso l’arte medievale, ne
afferma la vicinanza spirituale all’uomo moderno. E al tempo stesso
si precisano le esigenze di stile. Il concetto di bellezza nel senso
tradizionale è superato: «nella realtà non
esiste soltanto la natura bella ma anche la natura come
terribilità, violenza, forza di distruzione», e
ciò vale anche per la bellezza nella poesia; «l’arte
caratteristica» è pertanto «la sola vera»
(J.W. Goethe). E la suprema espressione ne è W. Shakespeare.
2.2 Il passaggio dallo Sturm und Drang al RomanticismoTutto questo
è già, per molti aspetti, talmente prossimo al
pensiero romantico che fuori dalla Germania, e specialmente nei
paesi latini, lo Sturm und Drang poté apparire senz’altro
come R. vero e proprio; tuttavia tra i due momenti esiste una
diversità notevole. Nel periodo, pur breve, che intercorre
fra l’uno e l’altro momento si ebbero profonde esperienze. Una di
queste fu fornita dagli sviluppi della Rivoluzione in Francia e
dagli eccessi del Terrore, che per reazione spinsero a una ricerca
di interiorità; anche il vincolo che lo Sturm und Drang aveva
stabilito fra condizioni politiche e sociali e poesia e arte si
allentò o, per lo meno, mutò carattere.
Anche un’altra esperienza agì nello stesso senso: la poesia
di Goethe. Di fronte a J. Winckelmann, che additava l’arte degli
antichi, gli Stürmer avevano potuto rispondere che quello era
un mondo ormai lontano, ma non avevano potuto respingere la nobile
semplicità della poesia di Goethe. Anche quella poesia, pur
non nascendo dall’irrompere della passione, ma dalla quieta luce
spirituale, era ‘voce di natura’.
Fattore non meno fondamentale furono le conquiste del pensiero
speculativo dopo I. Kant. Non nel senso che r. e idealismo
s’identifichino (questo avverrà soltanto, e parzialmente, per
breve periodo con Schelling), ma la filosofia postkantiana, mentre
approfondì nei romantici e consolidò il sentimento
dell’illimitata potenza creatrice dello spirito, diede loro un senso
profondo dell’unità della natura e della storia, della poesia
e della filosofia, dell’azione e della contemplazione, indicando
nella immaginazione trascendentale il principio unitario della vita
conscia e inconscia (si pensi all’idealismo ‘magico’ di Novalis).
2.3 Il pensiero romanticoIn tutto il vario sviluppo che il pensiero
romantico, a opera soprattutto di Novalis, di F. e C. Schlegel, F.
Schleiermacher, Schelling, andò via via assumendo, il
presupposto costante è il sentimento cosciente della
libertà dello spirito come spontaneità. Anche per i
romantici, come per gli Stürmer, l’uomo è ‘natura’, e
ogni forma di razionalismo e d’intellettualismo è oggetto di
scherno. L’«intuizione intellettuale» di J.G. Fichte
diventa, in un processo di trasfigurazione, un incessante
superamento del limite costituito dalla natura e dalla materia per
realizzare una sintesi tra ideale e reale, tra infinito e finito che
però i romantici sanno impossibile o che almeno può
essere operata soltanto ‘progressivamente’ e mai in modo definitivo.
La religione poi, con Schleiermacher, si pone decisamente al di
là sia della metafisica sia della morale (in polemica quindi
non solo contro la teologia razionale, ma anche contro la fondazione
morale della religione operata da Kant), poiché metafisica e
morale vedono la realtà sempre parzialmente, in modo
frazionato, e non colgono l’unità profonda del tutto.
Soltanto l’intuizione e il sentimento di dipendenza dall’infinito
hanno autentico valore religioso e perciò viene a cadere
anche ogni distinzione sostanziale tra religione naturale e
religione positiva in quanto la rivelazione non è un fatto
storico avvenuto una volta per tutte, ma è continua, ossia si
attua in modo sempre nuovo in ogni nuova intuizione ed espressione
originaria dell’universo.
2.4 La poeticaIl R. non si contrappone alle poetiche precedenti
semplicemente per una scelta stilistica o poetica, ma per la
consapevolezza dell’impossibilità di un’arte analoga a quella
classica, perché alla civiltà moderna manca un centro
unitario quale era stata la mitologia per la civiltà greca.
Di qui anche il carattere trascendentale della poesia romantica, il
cui oggetto è propriamente la poesia stessa (‘poesia della
poesia’), giacché non può realizzarsi in questo o quel
tema particolare, ma suo tema fondamentale possono essere soltanto
la libertà e la creatività dello spirito che il poeta
sa di non poter realizzare adeguatamente in nessuna costruzione o
realtà finita.
Indubbiamente c’è, in tutti questi pensieri e nel ricco e
suggestivo svolgimento che i romantici ne hanno tratto, più
una ricerca di nuovi mondi poetici che una vera e propria posizione
speculativa; tuttavia molti dei principi del R. sono rimasti
fondamentali anche nell’estetica successiva, per es., il carattere
intrinsecamente storico, etico, religioso e filosofico della poesia
e dell’arte e il senso del suo profondo legame con l’unità
originaria delle diverse culture.
2.5 Il carattere nazionalePer i primi romantici tedeschi, volti
all’esplorazione della vita interiore, i concetti di nazione e
popolo non sono esplicitati, ma il sentimento della
germanicità era implicito nel loro pensiero, e diverrà
poi essenziale. Con questo carattere nazionale il R. si presenta
subito altrove, per es. in Italia, dovunque si hanno raccolte di
canti popolari, di fiabe; ballate, drammi e romanzi storici evocano
visioni di vita medievale; si cercano, si pubblicano, si commentano
i testi della poesia antica; la filologia si determina e precisa
nelle sue funzioni di ricerca storica: nasce il mito dello ‘spirito
popolare’, origine di ogni forma di civiltà; e nascono sotto
il dominio di quel mito la linguistica e la filologia moderne. La
poetica trasfigurazione della vita, che i primi romantici avevano
compiuto, doveva fatalmente fare luogo al bisogno di concretezza, di
realtà. La coscienza storica e il sentimento nazionale furono
le prime fra queste realtà. Se a molti la realtà
apparve come una negazione delle romantiche aspirazioni dell’anima,
per altri, al contrario, valse l’esigenza di un’arte che
rispecchiasse la realtà. Questo doppio aspetto fu proprio del
R. di tutti i paesi, e si conservò per tutto il corso del suo
sviluppo, lungo il 19° sec., sino al naturalismo da una parte e
al decadentismo dall’altra.
arte
La sensibilità romantica si afferma nel campo delle arti
visive tra il 1780 e il 1850 circa, con esiti e cronologie diverse
in ogni area culturale, ma con un comune retroterra costituito dal
rifiuto dei precetti classicisti, dal soggettivismo, da specifiche
inclinazioni verso l’evocazione fantastica e visionaria e i valori
spirituali e sentimentali, dalla predilezione per il paesaggio e per
il mondo del mito e della tragedia, rivisitati in chiave psicologica
e interiorizzata. L’arte del R. si presenta come un nuovo modo di
concepire l’esperienza estetica, che assume un ruolo centrale
nell’esperienza interiore, su un’adesione istintiva e individuale,
non più mediata dalla ragione o dalla tradizione. In questo
senso, l’arte romantica, nella pluralità di accenti e
declinazioni, nel nuovo ruolo sociale e culturale della
personalità dell’artista, va intesa come momento fondativo
della sensibilità moderna. Anche l’arte partecipa della
generale riscoperta delle ‘origini’ operata dalla cultura del R.,
con la rivalutazione delle radici religiose, storiche, stilistiche,
nazionali; ciò si tradurrà nella riscoperta del gotico
e del Medioevo (con esiti importanti in architettura) e dell’arte
dei ‘primitivi’.
In Germania le idee romantiche trovano una prima enunciazione nel
circolo di Jena; negli scritti di W.H. Wackenroder (1797) l’arte
è assimilata a un’esperienza religiosa, a uno stato di
ispirazione spontanea; per F. Schlegel (1803) è l’ambito
privilegiato in cui far emergere il legame armonico tra uomo e
natura. Una nuova concezione di tale rapporto tra uomo e natura
è messa a fuoco da F.W.J. Schelling (1807), che pone
l’accento sull’identità tra soggetto e natura e sul ruolo
dell’arte come principio creativo, in una «magia suggestiva,
che accoglie insieme l’oggetto e il soggetto, il mondo esterno
all’artista e l’artista nella sua soggettività» (C.
Baudelaire, 1846). Queste idee ebbero un profondo influsso sulla
pittura di paesaggio (C.D. Friedrich, C.G. Carus, P.O. Runge,
al quale si deve anche una lucida produzione teorica, K.F.
Schinkel), con opere dense di richiami simbolici. Sempre in area
tedesca il messaggio romantico fu accolto nel 1809 dai
Lukasbrüder ( nazareni).
In Inghilterra, verso il 1770, si manifesta una tendenza al
fantastico con l’opera di J.H. Füssli; altra grande figura
è W. Blake, pittore, disegnatore e poeta, nella cui opera si
intrecciano suggestioni letterarie e una intensa carica visionaria.
Analogo interesse per il fantastico mostrano J.H. Mortimer, S.
Palmer e, poi, J. Martin. Le riflessioni teoriche sul pittoresco e
sul sublime fanno da sfondo all’opera dei due grandi paesaggisti
inglesi, J. Constable e J.M.W. Turner. La matrice romantica resta
fondamentale anche per la Pre-Raphaelite Brotherhood, formatasi nel
1848 ( preraffaellismo).
Diverso è lo sviluppo della pittura romantica in Francia; in
epoca napoleonica, A.-J. Gros e P.-P. Prud’hon rinnovano la pittura
di storia in tono eroico e idealizzante, mentre A.-L.
Girodet-Trioson si dedica a soggetti sentimentali. T.
Géricault, con la sua inclinazione per temi drammatici,
eroici o fortemente patetici, segna l’avvio della stagione romantica
francese, segnata da una predilezione per i soggetti storici e
letterari, caratteri che si ritrovano in E. Delacroix.
In Italia, la ricezione della nuova visione romantica fu orientata
più alla pittura di storia che al paesaggismo. Il gruppo dei
puristi, formatosi intorno al 1843, è vicino alle idee dei
nazareni; più legata alla pittura storica romantica fu
l’opera di F. Hayez, mentre un’originale tessitura coloristica
caratterizza l’opera suggestiva del Piccio. Più chiaro
l’ascendente romantico su A. Fontanesi, la cui ispirazione
naturalistica ne fa una figura a sé nel panorama italiano.
filosofia
1. La filosofia della natura e le scienze
1.1 Macrocosmo e microcosmoFin dagli ultimi decenni del Settecento
si afferma in Germania una forte reazione al materialismo
meccanicistico che si ricollega alle correnti naturalistiche
neoplatoniche e rinascimentali, per le quali l’intero universo
appare come un grande organismo animato da un principio spirituale,
dove ogni parte consente di ritrovare l’analogia tra macrocosmo e
microcosmo. In questo quadro ebbero poi particolare importanza la
rinascita spinoziana e la diffusione di dottrine come il brownismo,
il mesmerismo e il galvanismo. Da Weimar era partita a opera di
Goethe e di Herder una ripresa o, meglio, un rinnovamento del
pensiero di B. Spinoza, letto però in una chiave leibniziana
e organicistica, che ne ripudiava il metodo geometrico e cercava con
l’‘intuizione’ e con l’‘analogia’ la presenza della divinità
nelle sue incessanti manifestazioni o metamorfosi nella natura.
Frattanto aveva riscosso notevole successo la traduzione tedesca
degli Elementa medicinae del medico scozzese J. Brown che, in
polemica con le terapie tradizionali fondate su principi
meccanicistici, tendeva a ritrovare le condizioni della salute e
della malattia nell’equilibrio interno dell’organismo, o meglio
nell’aumento e nella diminuzione dell’‘eccitabilità’.
Una nuova medicina fondata su una concezione della natura diversa da
quella meccanicistica era stata pure propugnata – e per qualche
tempo con successo – dal medico austriaco F.A. Mesmer. La sua teoria
del ‘magnetismo animale’ consisteva nell’attribuire ai corpi animali
la proprietà di ricevere l’influsso magnetico dei corpi
celesti e della Terra. Per mantenere o ristabilire l’equilibrio, e
cioè la salute, dei corpi animali occorreva dunque, secondo
Mesmer, operare mediante questo fluido con pratiche che per la
verità spesso confinavano con la suggestione e l’ipnosi.
Un impulso molto forte alla nuova concezione della vita e della
natura propria del R. doveva venire poi dalla scoperta di L. Galvani
circa l’elettricità animale (1789) e, per quanto riguarda la
Germania, soprattutto dalla sistemazione filosofico-scientifica che
ne diede J.W. Ritter. Stabilendo infatti un rapporto strettissimo
fra galvanismo, elettricità e chimica, Ritter ne traeva una
concezione unitaria della natura capace di conciliare, in base ai
principi del galvanismo, processi organici e processi inorganici.
L’intero universo appariva quindi come un organismo costituito da
una serie di processi galvanici dove regna perfetta corrispondenza
tra macrocosmo e microcosmo: i corpi celesti sono come le particelle
del sangue, le vie lattee, come i muscoli del corpo e l’etere
è una sorta di fluido che scorre nei suoi nervi. Di
conseguenza la medicina non doveva più agire sull’organismo
in modo soltanto meccanico o chimico, ma riferirsi all’organismo
come totalità, accertando e trattando l’eccitabilità
specifica di ogni organo come espressione della sua attività
galvanica. Questi elementi, insieme all’interpretazione
mistico-teosofica della natura di F. von Baader, trovarono la loro
sintesi più alta nella filosofia della natura di Schelling e
operarono nella concezione romantica della natura che si
affermò nella prima metà dell’Ottocento e il cui
programma può essere condensato in una celebre affermazione
del medico e naturalista L. Oken: «la filosofia della natura
è la scienza dell’eterno trasformarsi di Dio nel
mondo».
1.2 La concezione della naturaLa natura è intesa così
come manifestazione graduale, organica e teleologica di un modello
divino che tende a giungere a consapevolezza di sé nello
spirito; tutte le forme della natura appaiono come simboli di un
processo unitario la cui chiave si trova nello spirito, o meglio in
un principio che si trova al di là dell’antitesi tra natura e
spirito, tra corpo e anima, come la loro unità e
totalità insieme. Questa concezione porta a cercare un legame
sempre più stretto tra le diverse scienze che, proprio in
virtù dei loro recenti sviluppi e progressi, tendevano a un
sempre maggiore isolamento specialistico. In questo senso è
caratteristico che nella filosofia romantica della natura circoli il
termine ‘biosofia’ per indicare una nuova scienza che deve essere al
di là di idealismo e realismo, di pensiero ed esperienza, per
trovare l’unità più profonda e insieme più
articolata dei diversi fenomeni della vita. Al tempo stesso la
ricerca di questa unità porta a considerare con assai
maggiore attenzione e interesse tutte le fasi intermedie della vita,
che non si possono né ridurre a semplici rapporti meccanici e
organici, né identificare con la libertà della
coscienza e dello spirito.
Si diffonde quindi un caratteristico interesse per il mondo dei
sogni (si pensi, per es., alla ‘simbolica del sogno’ di G.H.
Schubert), dell’inconscio, nel quale il R. crede che l’uomo si trovi
molto più vicino alla comprensione della totalità
divina che non nello stato di veglia e di piena coscienza. Proprio
come nei miti cerca la sedimentazione della storia e delle
tradizioni dei popoli, così nell’inconscio il R. cerca la
tesaurizzazione delle esperienze millenarie della coscienza. Il
senso vivo e profondo dell’unità della natura proprio del R.
poi non solo non esclude ma anzi accentua il riconoscimento di
continue tensioni funzionali fra i suoi elementi e le sue forme;
così se era stata caratteristica della filosofia
meccanicistica la preminenza della categoria di causalità, si
ha invece nel R. (anche per suggestioni derivanti dalle scoperte nel
campo dell’elettricità e del magnetismo) una certa preminenza
del rapporto di ‘polarità’, inteso come legge di un processo
dinamico continuo di trasformazione verso l’alto; gli individui
viventi in cui via via si concreta tale processo sono poi momenti da
integrare e comporre in un disegno teleologico più vasto, in
una sorta di ‘organismo ideale’. Si spiega così perché
la filosofia della natura del R. portasse a dare particolare
importanza alla morfologia al punto che questo è considerato
uno dei suoi contributi più importanti e duraturi dello
sviluppo delle scienze.
2. La filosofia della storia e la storiografia
La concezione romantica della storia tese soprattutto a porre in
evidenza da un lato l’esistenza di un disegno divino al suo interno,
dall’altro la specificità di ciascuna epoca che, in quanto
manifestazione di quel disegno, non può essere considerata
inferiore a quelle successive, secondo la concezione che della
storia come progresso aveva avuto l’illuminismo. Herder, Schelling,
Goethe ebbero della storia questa visione organicistica e
anti-illuministica, visione che sarebbe stata poi anche al centro
della speculazione hegeliana, che tuttavia vide nella storia lo
sviluppo di un piano razionale, più che divino, volto alla
realizzazione di un sapere assoluto che è anche la
progressiva realizzazione della libertà attraverso le
istituzioni politiche.
Per quanto riguarda la storiografia, anche questa si sviluppò
in netto contrasto con gli orientamenti cosmopoliti
dell’Illuminismo, esaltando la storia nazionale come espressione
dello spirito del popolo (Volkstum) e sottolineando i limiti posti
dall’ordine divino all’agire cosciente dell’individuo. La forza
della tradizione fu elevata a potenza storica, che trovava le sue
origini nel Medioevo, considerato non più età di
decadenza e barbarie, ma al contrario epoca di autonomo sviluppo dei
popoli romano-barbarici e dei loro specifici caratteri nazionali. In
tale concezione diritto, religione, arte e istituzioni potevano
essere sviluppati solo in organica connessione con i tratti
distintivi della nazionalità.
Prendendo a modello il romanzo storico di W. Scott, la storiografia
del R. pose in primo piano la narrazione, polemizzando con gli
orientamenti fondati sulla ricerca di uniformità e
sull’analisi comparativa; secondo una tendenza che avvicinava sempre
più la storia all’arte, obiettivo dello storico era
risvegliare il passato, esaltando il colore locale e la
fedeltà ai costumi (F.-A.-R. de Chateaubriand, A. Thierry, H.
Leo) o comunicando al lettore le sensazioni soggettive provate
dall’autore nell’avvicinarsi agli avvenimenti del passato (J.
Michelet, T. Carlyle).
All’interno di tale contesto culturale uno spazio significativo fu
riservato all’analisi del mito: scorgendo tanto nella natura quanto
nella storia il manifestarsi della divinità, il R.
attribuì al mito il significato di testimonianza
insostituibile del modo originario in cui l’uomo ha recepito la
rivelazione divina e insieme ha compreso sé stesso nelle fasi
iniziali della sua storia (J.J. Bachofen).
musica
Nella storiografia musicale si designa come R. un vasto periodo
storico compreso tra il secondo decennio e la fine del 19° sec.,
grosso modo coincidente da una parte con il tramonto delle
esperienze legate al classicismo viennese, dall’altra con l’insieme,
tutt’altro che unitario e organico, dei movimenti e delle tendenze
che preludono al contraddittorio panorama della musica del 20°
secolo. Elementi tipicamente romantici furono già
riscontrabili all’interno della produzione classica di fine 18°
sec., nelle opere di F.J. Haydn, di W.A. Mozart, e soprattutto di L.
van Beethoven. Il R. in musica si sviluppò poi nel corso del
19° sec. in maniera complessa e variegata; basti pensare
all’apparente distanza fra le posizioni più avanzate di R.
Schumann, F. Liszt, W.R. Wagner, e quelle più moderate di F.
Mendelssohn e F. Schubert, o ai tratti distintivi quasi antitetici
di generi musicali quali il Lied tedesco e il melodramma italiano.
Un nuovo e più libero modo di intendere la forma musicale si
caratterizzò da un lato nel tentativo di arte totale
(Gesamtkunstwerk) operato da Wagner, dall’altro attraverso la
musica descrittiva o a programma e in particolare nel poema
sinfonico. Un complessivo rinnovamento del linguaggio musicale si
ravvisò nelle fattezze armoniche e timbriche della scrittura
orchestrale potenziata (H. Berlioz a R. Strauss), e nella ricerca di
asimmetrie e di cromatismi più accentuati (Wagner). Altro
elemento fondamentale del R. musicale fu la nascita delle scuole
nazionali. Il fenomeno investì la Russia (Gruppo dei cinque),
Boemia (B. Smetana, A. Dvorák), Ungheria (F. Liszt; F. Erkel,
1810-1893), Spagna (I. Albeniz, 1860-1909), Svezia (J.G.E.
Sjögren, 1853-1918), Norvegia (E.H. Grieg), Finlandia (J.
Sibelius).
Dizionario di filosofia (2009)
Romanticismo Movimento filosofico-letterario che, a partire dagli
ultimi anni del 18° sec., operò una trasformazione del
gusto e dei valori fino allora dominanti, e in partic. di quelli
illuministici, rivendicando il valore del sentimento, delle
tradizioni religiose e popolari, della memoria e della storia, e
ponendo in primo piano il ruolo della poesia e dell’immaginazione
come strumenti per la messa in contatto dell’uomo finito con
l’infinito. Si deve precisare innanzitutto che il termine ha assunto
almeno due significati fondamentali: in senso stretto, esso si
riferisce all’attività del gruppo di poeti, filosofi e
intellettuali tedeschi che, sul finire del Settecento, a Jena, diede
vita alla rivista Athenaeum, ed ebbe tra i suoi esponenti principali
Novalis, August Wilhelm von Schlegel e sua moglie Caroline (poi
moglie di Schelling), Friedrich von Schlegel, fratello del primo,
Schleiermacher, Ludwig Tieck, Schelling; considerata nella sua fase
creativa e veramente tipica, l’attività di questo gruppo –
con riferimento al quale si parla anche di primo r.
(Frühromantik) o di r. di Jena – non si estende oltre i primi
anni dell’Ottocento. In un’accezione più ampia, tuttavia, il
termine comprende molteplici scuole e movimenti, fra cui la
filosofia idealistica tedesca contemporanea al gruppo
dell’Athenaeum, o a esso immediatamente successiva (e
particolarmente Fichte, Schelling, Hegel), ma anche quella di
Schopenhauer, di Nietzsche e la filosofia della vita. Nel quadro di
questo r. inteso in senso più ampio, si delinea inoltre la
contrapposizione fra un r. positivo, volto a sottolineare la
conciliazione fra finito e infinito, e un r. negativo, che pone
invece in rilievo il loro tragico dissidio.
Il primo romanticismo. L’azione del gruppo jenese non può
essere considerata meramente letteraria, dal momento che, in quasi
tutti i suoi esponenti, l’attività filosofica svolse un ruolo
altrettanto importante: anzi è proprio la congiunzione di
questi due elementi a costituirne una delle caratteristiche
distintive e di maggior rilievo. In questo senso, va anche ricordato
che il gruppo, oltre ad annoverare tra i suoi ranghi filosofi del
calibro di Schelling e Schleiermacher, ebbe anche stretti legami con
Schiller (e attraverso di lui con la filosofia kantiana), con
Goethe, di cui apprezzò in partic. l’attività
filosofico-scientifica e il Meister (1795-96; trad. it. Wilhelm
Meister. Gli anni di apprendistato), e con Fichte, la cui dottrina
dell’Io trascendentale esercitò un influsso particolarmente
rilevante su Novalis. L’unità di filosofia, poesia e
letteratura rimanda peraltro a un’altra caratteristica essenziale
del primo r.: esso fu il primo movimento della cultura moderna
veramente organizzato; stretto intorno alla rivista Athenaeum,
trovava nel lavoro di collaborazione il proprio senso e fondamento.
La stessa parola d’ordine del «synphilosophein»
(«filosofare insieme») attesta appunto il fatto inedito
che sperimentò la cultura europea, trovandosi di fronte a un
vero e proprio gruppo che, in un modo ben più profondo che
nell’età illuministica, svolgeva un’esperienza comune, e non
solo di lavoro, ma in parte anche di vita (con le ben note vicende
sentimentali che caratterizzarono l’esperienza dell’Athenaeum e
l’inedita importanza che ebbe al suo interno l’elemento femminile).
I romantici di Jena incarnarono, insomma, l’utopia di una
comunità ideale che intendeva rivolgersi, con un’azione di
riforma culturale prima che politica, a tutta l’umanità. E la
capacità di collaborazione di cui diede prova il gruppo
rappresentò effettivamente un modello, perché invece
di annullarne le singole personalità ne potenziò ed
evidenziò le particolarità, tanto che esse mantennero
il loro diverso profilo anche dopo l’attività comune. Sotto
questo aspetto, nel breve decennio in cui agirono in gruppo, i
romantici di Jena seppero dar vita a un atteggiamento filosofico e
culturale complessivo, che avrebbe costituito un punto di
riferimento di grande importanza nell’Ottocento e nel Novecento,
ogniqualvolta (e il caso fu assai frequente) venne avvertita
l’importanza del legame fra filosofia, letteratura e politica. Non
essendo possibile, per quanto detto, offrire un resoconto esaustivo
dell’opera di questo gruppo così variegato, ci limiteremo a
dare qualche cenno sull’esponente che più ne sintetizza
alcune della caratteristiche fondamentali.
Novalis. La figura di Novalis (pseud. del filosofo e poeta Friedrich
Leopold von Hardenberg, 1772-1801) divenne subito leggendaria presso
gli stessi romantici, a causa della brevità e densità
della sua opera e della sua stessa esistenza. Le sue radici
culturali – come quelle di tanta parte della cultura tedesca di
questo periodo – affondavano nel pietismo, ma questa tradizione
cristiana, nonostante la rivalutazione che egli fece del
cattolicesimo, diventò in lui fondamentalmente laica,
aconfessionale e, spogliata di ogni trascendenza, assunse i contorni
di una religione panteistica del cosmo, o di un cristianesimo molto
ereticale. Ciò traspare bene dallo scritto Christenheit oder
Europa (1799; trad. it. Cristianità ed Europa), dove il senso
della nuova epoca, che Novalis preannuncia, con accenti nettamente
messianici, e in cui vede la missione della nuova cultura che la sua
generazione dovrà creare, non è fondamentalmente
concepito in alternativa o in contrapposizione ai valori
dell’Illuminismo: il sapere settecentesco, quello scientifico in
partic., e la Rivoluzione francese hanno certo aperto una
lacerazione, ma hanno anche istituito una dimensione di storia
universale rispetto a cui non si può tornare indietro. Una
ricomposizione e una nuova pienezza sono quindi necessari: l’arido
intellettualismo, la parcellizzazione dei saperi,
l’incapacità di vedere al di là del finito e
dell’esteriore, devono lasciare il posto all’unità che l’idea
di una natura infinita e di un Io infinito impongono di recuperare.
In questo senso grandissimo è il debito di Novalis verso
Fichte, ma anche verso Schelling; a partire dalla riformulazione
della kantiana intuizione intellettuale, entrambi avevano ridato
dignità e presenza alla metafisica e all’infinito: infinito
che, per Novalis, è di nuovo presente in questo nostro mondo,
grazie all’incarnazione di Cristo, che egli interpreta – secondo una
visione che peraltro è dato ritrovare, con accenti diversi,
tanto in Fichte quanto in Schelling e in Hegel – soprattutto come
simbolo della nuova dignità che hanno la natura, il concreto,
il finito. Naturalmente, per Novalis, è fondamentale che
organo dell’apprensione dell’infinito sia appunto l’intuizione
intellettuale, poiché ciò dà alla poesia e
all’immaginazione poetica la funzione più importante: al
poeta, ancor più che al filosofo, è devoluto il
compito di bandire la nuova concezione e soprattutto di mettere in
atto quella infinitizzazione del finito, quella sua nuova
valorizzazione – in quanto cifra e simbolo dell’infinito – che
avrebbe avuto un’enorme influenza nelle vicende della letteratura
mondiale successiva. Tutto il cosmo diventava così il
ricettacolo in cui riscoprire la magia del sovrannaturale e
dell’ideale (il richiamo alla magia è esplicito in Novalis,
ma non va inteso in senso piatto e letterale, bensì come
riferimento a una nuova sintesi dei saperi scientifici in un sapere
totale, capace di rispecchiare la vitalità infinita del
mondo). Novalis diede un ulteriore apporto, non meno decisivo per la
cultura romantica, nei suoi Hymnen an die Nacht (1800; trad. it.
Inni alla notte), che rappresentarono forse, con la loro altissima
poesia, il momento di maggior rottura rispetto alla cultura
settecentesca precedente, con la loro rivalutazione della Notte,
della morte, del lato oscuro della vita, rivalutazione che
comportava un netto rovesciamento nella gerarchia di valori
(Luce/Oscurità, Giorno/Notte) che aveva egemonizzato la
cultura occidentale fino ad allora. Al lato gioioso della riscoperta
del mondo come giardino di Dio, come custode dei tesori più
luminosi e preziosi, si affiancava, senza contraddirlo, quello,
cupo, della riscoperta dei valori della morte, del notturno,
dell’aldilà. La comparsa di tale tematica non si può
spiegare soltanto con le vicende biografiche (la morte
dell’amatissima fidanzata Sofia), giacché non ha nulla di
casuale o episodico, ma sta al cuore della concezione di Novalis.
Rivalutare l’infinito significava rivalutare tutti gli aspetti del
reale, ‘redimerli’ tutti (come aveva voluto Cristo); e la morte, il
male, il negativo, il passaggio attraverso la Notte diventavano
momenti essenziali, i più importanti, in quanto aprivano
all’esperienza dell’infinito: solo quando la luce del giorno si
è spenta, possiamo avere l’esperienza, certo terribile, della
Notte, in cui i contorni delle singole cose si confondono e il Tutto
infinito, entro cui il finito e il luminoso si stagliano e si
distinguono, è immediatamente presente al sentimento dell’Io,
che così è permeato dall’anima dell’Universo.
Nell’Inno IV, rivolgendosi alla Luce, il poeta esplicita senza
ambiguità l’identità fra la Notte e la Morte:
«Quale voluttà, quale piacere offre la tua vita, che
siano compenso alle estasi della morte? Tutto quanto si esalta non
porta i colori della notte? Lei ti porta come una madre e a lei devi
tutto il suo splendore. Tu svaniresti in te stessa, ti disperderesti
nello spazio infinito, se lei non ti trattenesse, non ti avvincesse,
così che tu ti accenda e divampando crei l’Universo».
Anche questa irruzione del negativo avrebbe avuto una lunga e
importante storia nella cultura moderna; ma va sottolineato come
nell’opera di Novalis la visione del meraviglioso e della
riconciliazione e l’esperienza del tragico e del notturno si tengano
ancora in un equilibrio quasi perfetto: fra la riscoperta del valore
infinito del creato e l’attesa della morte come ricongiungimento con
il Tutto non c’è alcuna contraddizione, e i Geistliche Lieder
(1802; trad. it. Canti spirituali) che fecero seguito agli Inni alla
notte, testimoniano di questo stato d’animo pacificato, nelle vesti
di un cristianesimo pietistico che canta la felicità del
rapporto con Dio e non si lascia andare ad alcun accento
pessimistico.
La complessità del movimento romantico. Ampliando
l’estensione temporale e spaziale, il termine romanticismo comprende
sotto di sé molte scuole e movimenti, spesso sconfinanti
l’uno nell’altro: così, per es., la critica ha distinto,
oltre la scuola romantica di Jena, quella di Heidelberg – i cui
principali rappresentanti sono stati Johann J. Görres
(1776-1848) e Georg F. Creuzer (1771-1858), e che si è
caratterizzata per una direzione politica radicalmente conservatrice
e per l’insistenza sui temi del simbolo e dell’originario – e quella
del romanticismo politico, che si sviluppò a partire dalle
guerre napoleoniche, anch’esso sulla base di un orientamento
più nazionalistico e conservatore, trovando i suoi massimi
rappresentanti in personalità quali Adam Müller
(1779-1829) e Baader. Sul piano filosofico, tuttavia, particolare
rilievo ebbe l’idealismo tedesco postkantiano, il cui sviluppo in un
primo momento si intrecciò strettamente con quello del gruppo
dell’Athenaeum, mentre in seguito proseguì su un terreno
più propriamente teoretico-filosofico, prendendo due
direzioni divergenti, impersonate essenzialmente da Hegel e da
Schelling, e dalle rispettive elaborazioni dei temi dell’infinito,
del male e del rapporto ragione-intuizione. Nel quadro della
più generale posizione romantica, impegnata a sottolineare la
ritrovata unità di finito e infinito, Hegel, con il suo
procedimento dialettico e con la sua filosofia della storia (che
è uno dei portati più significativi della filosofia
romantica), delinea il rapporto finito-infinito secondo una
modalità che tende a ricondurre il primo, senza residui, nei
quadri dialettico-razionali secondo cui si dispiega il secondo: il
positivo passa sì nel negativo e questa è
un’esperienza fondamentale per il suo sviluppo, ma ciò
prepara un momento di sintesi finale in cui il negativo è
ricondotto pienamente all’interno del primo momento. Questa visione
dialettica, che intende non negare, ma riassorbire e finalizzare a
sé stesso il momento della negazione, delinea un r. che ha
alcuni momenti di sostanziale continuità con l’eredità
illuministica: la filosofia della storia di Hegel, che segue il
dispiegarsi del Logos assoluto e presenta il processo storico come
progressiva vittoria dell’Idea, è un’espressione tipica di
questa concezione, volta a reinterpretare il caso, il finito, il
male, come meri residui dello svolgimento dell’Idea. Ben altro
rilievo vengono ad assumere quei concetti nel pensiero di Schelling.
Questi, che Hegel aveva accusato (nel famoso passo della Prefazione
alla Fenomenologia dello spirito, 1807) di concepire l’Assoluto come
«una notte in cui tutte le vacche sono nere», a causa
della sua difesa dell’intuizione come organo di conoscenza
dell’Assoluto, rovesciò in seguito sul suo critico la stessa
accusa, imputando alla dialettica hegeliana di appiattire l’Assoluto
nell’Idea, omogeneizzando tutto il reale in una struttura
logicizzante ( panlogismo), che dà spazio al negativo
soltanto a parole. Era il motivo novalisiano della notte che
riemergeva qui, con una valenza più marcata, di rottura:
recuperando vari motivi teologici della tradizione dualistica e, in
partic., böhmiana (già peraltro presente in Novalis),
Schelling, in modo paradigmatico nell’opera Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana (1809), concepisce il
rapporto fra positivo e negativo non come un tranquillo passaggio
dialettico, ma come un salto drammatico, in cui gli elementi di
scelta e di irrazionalità non possono essere ridotti. Questo
r. negativo, che da Charles Baudelaire in poi si sarebbe affermato
anche come una corrente fondamentale della letteratura europea del
secondo Ottocento, attraversa pure il grande sistema filosofico di
Schopenhauer, che lo elaborò in chiave decisamente
pessimistica, senza dubbio influenzato anche (come hanno ormai
chiarito numerosi studi critici) da Schelling. La radicale
contrapposizione kantiana tra mondo fenomenico e mondo noumenico
viene estremizzata da Schopenhauer nella contrapposizione fra il
mondo dell’illusione e quello di una realtà (la
Volontà) che è intimamente irrazionale e assolutamente
inconoscibile; tutto ciò avviene nel quadro della ripresa di
un’altra concezione kantiana fondamentale, quella del male radicale.
Da Schopenhauer Nietzsche riprese a sua volta questa impostazione,
assumendo diversi atteggiamenti, anche molto critici verso il
maestro, nei diversi momenti del suo percorso filosofico, ma
comunque mantenendo ferma, con la sua tematica del tragico, una
linea di continuità con il r. negativo. D’altra parte, a
Schelling si era direttamente riallacciato anche Kierkegaard, nello
sviluppare la sua originale riflessione antihegeliana incentrata sul
salto, sull’intuizione (nella forma della fede) e sul tema del male.
I grandi dibattiti novecenteschi sul R., e in partic. su Hegel,
Schelling, Nietzsche e Kierkegaard, che hanno avuto per protagonisti
Heidegger e Jaspers, l’esistenzialismo francese e la Scuola di
Francoforte, Simmel e la filosofia della vita, in Francia
autorevolmente rappresentata da Bergson, sebbene con connotati
propri, testimoniano della persistente vitalità della
tematica romantica, intesa sia nel senso lato, sia nel senso
più ristretto della scuola jenese.
*
Dizionario di storia (2011)
Romanticismo Atteggiamento etico-spirituale e movimento letterario,
artistico e culturale, sorto in Germania e in Inghilterra negli
ultimi anni del Settecento e quindi diffusosi in Francia, in Italia
e in tutta l’Europa nel primo Ottocento.
La filosofia della storia e la storiografia. La concezione romantica
della storia tese soprattutto a porre in evidenza da un lato
l’esistenza di un disegno divino al suo interno, dall’altro la
specificità di ciascuna epoca che, in quanto manifestazione
di quel disegno, non può essere considerata inferiore a
quelle successive, secondo la concezione che della storia come
progresso aveva avuto l’Illuminismo. Herder, Schelling, Goethe
ebbero della storia questa visione organicistica e antilluministica,
visione che sarebbe stata poi anche al centro della speculazione
hegeliana, che tuttavia vede nella storia lo sviluppo di un piano
razionale, più che divino, volto alla realizzazione di un
sapere assoluto che è anche la progressiva realizzazione
della libertà attraverso le istituzioni politiche. Per quanto
riguarda la storiografia, anche questa si sviluppò in netto
contrasto con gli orientamenti cosmopoliti dell’Illuminismo,
esaltando la storia nazionale come espressione dello spirito del
popolo (Volkstum) e sottolineando i limiti posti dall’ordine divino
all’agire cosciente dell’individuo. La forza della tradizione fu
elevata a potenza storica, che trovava le sue origini nel Medioevo,
considerato non più età di decadenza e barbarie, ma al
contrario epoca di autonomo sviluppo dei popoli romano-barbarici e
dei loro specifici caratteri nazionali. In tale concezione diritto,
religione, arte e istituzioni potevano essere sviluppati solo in
organica connessione con i tratti distintivi della
nazionalità. Prendendo a modello il romanzo storico di W.
Scott, la storiografia del R. pose in primo piano la narrazione,
polemizzando con gli orientamenti fondati sulla ricerca di
uniformità e sull’analisi comparativa; secondo una tendenza
che avvicinava sempre più la storia all’arte, obiettivo dello
storico era risvegliare il passato, esaltando il colore locale e la
fedeltà ai costumi (Chateaubriand, Thierry, Leo), o
comunicando al lettore le sensazioni soggettive provate dall’autore
nell’avvicinarsi agli avvenimenti del passato (Michelet, Carlyle).
All’interno di tale contesto culturale uno spazio significativo fu
riservato all’analisi del mito: scorgendo tanto nella natura quanto
nella storia il manifestarsi della divinità, il R.
attribuì al mito il significato di testimonianza
insostituibile del modo originario in cui l’uomo ha recepito la
rivelazione divina e insieme ha compreso se stesso nelle fasi
iniziali della sua storia (J.J. Bachofen).
*
Enciclopedia italiana (1936)
di G. Gab., G. Ma., *, G. Gab., G. C. A.
ROMANTICISMO. - Movimento spirituale che, tra la fine del Settecento
e la metà dell'Ottocento, si estese a tutti i popoli
d'Europa, determinando un profondo rinnovamento nelle lettere, nelle
arti, nel pensiero.
Il termine "romantico". - Compare dapprima in Inghilterra alla fine
del sec. XVII, in evidente connessione con la parola romance. La
quale, equivalente in origine, come le varianti romans, roman, a
"francese" e poi a "francese antico", fu adoperata dapprima per
designare una narrazione poetica in versi, e servì poi a
indicare anche il racconto d'invenzione in prosa, quando, con la
fine del sec. XVI, la poesia epica e cavalleresca definitivamente
decadde, lasciando il posto alla forma narrativa propria dei nuovi
tempi, al romanzo. La parola romantic ebbe allora semplicemente il
significato di "cosa da poesia di romance" e quindi diversa dalla
realtà consueta. Se ne impadronì in seguito la
sensiblerie del Settecento, applicandola a disposizioni d'animo
fantasiose e sentimentali e soprattutto a paesaggi selvatici e
pittoreschi che stimolano l'immaginazione, mentre contemporaneamente
il razionalismo vi ricorreva per esprimere la propria condanna di
ciò che giudicava irragionevole o irreale o esagerato e
morboso. E poiché l'Inghilterra fu il primo paese che si
accese al fascino del Medioevo e alla poesia del "gotico",
così è anche in Inghilterra che la parola romantic,
come identica a "gotico, medievale", venne contrapposta a ció
che invece è "classico, antico". In Germania accolse per
primo tale antitesi di concetti e di parole H. W. Gerstenberg nei
Briefe über die Merkwürdigkeiten der neueren Literatur
(1766-70). E da lui lo attinsero Ch. M. Wieland e J. G. v. Herder.
La rivendicazione della poesia medievale compiuta dal Herder come di
un valore estetico autonomo, rispondente allo spirito dei popoli e
dei tempi in cui essa sorse, liberò totalmente la parola
romantico da ogni senso d'implicita critica e condanna. E il termine
romanticismo - Romantik - poté infine, sul volgere del
secolo, sembrare a Novalis il più acconcio e suggestivo per
esprimere sinteticamente le esigenze spirituali ed estetiche della
coscienza moderna e il contenuto ideale della nuova scuola
letteraria che se ne faceva interprete.
Le definizioni del Romanticismo. - La complessità degli
aspetti della vita che il romanticismo investì, la
diversità delle tradizioni nazionali in cui si venne ad
inserire nell'attuarsi, la molteplicità degli atteggiamenti
in cui si andò necessariamente evolvendo attraverso il tempo,
ebbero come conseguenza una serie quasi innumerevole di contrastanti
tentativi di fissarne la sostanza in una definizione. E il
romanticismo apparve ora come movimento rivoluzionario, ora come
movimento di restaurazione; ora come fede nella "bonté
naturelle" dell'uomo allo stato di natura e ora come esaltazione
mistica dei valori culturali; ora come individualismo e ora come
sentimento religioso dell'unità della vita sociale; ora come
soggettivismo e ora come coscienza di popolo; ora come "forma
soggettiva dell'occasionalismo" e ora come potenziamento dei
sentimenti nazionali; ora come affermazione delle forze irrazionali
della vita e ora come trionfo della libertà dello spirito;
ora come insoddisfazione della realtà e ora come
trasfigurazione poetica della realtà stessa; ora come poesia
della malinconia, del dolore e della morte e ora come scoperta di
una nuova e più intima ricchezza dell'esistenza; ora come
vittoria della fantasia e del sentimento sulla ragione e ora come
conquista di un piano superiore di vita razionale; ora come
sentimento della "vita come divenire" - in opposzione alla
classicità in quanto sentimento della "vita come essere" - e
ora come estatica religiosità in cui ogni divenire rifluisce
indistinto entro l'unità dell'"essere divino"; ora come
orientamento storicistico e ora come idealismo mistico-estetico; ora
come ritorno più o meno puro e incondizionato al cattolicismo
e ora come dissolvimento delle fedi in una religione aconfessionale;
ora come ritorno al Medioevo e ora come fondamento di
modernità; ora come fatto essenzialmente letterario,
contrassegnato dallo sgretolamento totale della precettistica
classica e dalla coscienza della libertà della creazione
poetica, e ora come fatto speculativo che sboccò in
avviamenti verso una nuova filosofia e una nuova mistica; ora come
riallacciamento della letteratura alla vita e ora come fuga dalla
vita verso mondi d'immaginazione vaghi o esotici, fantastici e
lontani: e l'elenco potrebbe continuare. A partire dalle definizioni
che del romanticismo diedero i romantici stessi, giù fino a
quelle che escogitarono i più recenti storici e critici, la
ricerca di un comune denominatore per i fatti romantici ha dato
così luogo a un incalzarsi di contraddizioni. Per una parte
il romanticismo trasformato in una categoria dello spirito perdette
i suoi precisi contorni come momento storico specifico e divenne un
atteggiamento umano rintracciabile in tutti i tempi, e per l'altra
parte invece esso, considerato storicamente e polarizzato verso un
suo determinato aspetto, finì con lo sfuggire sempre di nuovo
alle strettoie della formula in cui lo si voleva chiudere,
perché ciò che era vero per la letteratura di un
singolo paese non era vero per quella degli altri, e ciò che
nello stesso paese era vero per un determinato momento, non era
più vero per il successivo, e ciò che aveva valore per
una personalità o per un gruppo di personalità,
appariva in altri casi inadeguato. Tuttavia la tenacia stessa con
cui la storiografia letteraria di ormai oltre un secolo si
accanì intorno al problema, dimostra che, sotto tutte le
varietà di atteggiamento che il romanticismo è venuto
via via assumendo, qualcosa di comune c'è, per cui esso si
differenzia dagli altri movimenti spirituali anteriori e posteriori
e coesistenti; o, per lo meno, dimostra che il nostro sentimento ne
avverte la presenza. Solo che, quando si passa a precisarne la
natura, esso diventa inafferrabile. Ma, in realtà, è
inafferrabile soltanto perché - come già il
Rinascimento, come il Barocco o altre consimili epoche storiche -
esso non è il logico, coerente, sviluppo deduttivo di
un'idea, né un gruppo circoscritto di fenomeni riducibili a
un'unica causa, né un sistema di pensiero chiuso, ma un "modo
di sentire", a cui s'intona tutto un vario modo di pensare, di
poetare e di vivere, e perciò non può essere definito,
ma soltanto indagato nelle sue origini, seguito nel suo svolgimento,
rilevato nelle sue tendenze più rappresentative, riconosciuto
nella sua particolare atmosfera.
Limiti cronologici. - La varia interpretazione data al romanticismo
ha avuto naturalmente il suo riflesso anche nella determinazione dei
limiti di tempo entro i quali esso va compreso. Coloro che ravvisano
nel romanticismo un elemento, per così dire, costituzionale
della natura umana, sono stati tratti necessariamente a dargli nel
tempo un'estensione indeterminata. Non solo; ma anche coloro che si
preoccupano d'individuare il fenomeno nella sua concretezza storica,
a seconda del convincimento che questa o quella tendenza del
romanticismo sia da considerarsi come essenziale, sono stati indotti
a farlo risalire più o meno indietro nel Settecento,
riallacciandolo ora a questa ora a quella manifestazione di uno
spirito nuovo che nel corso di quel secolo s'incontrano. Ma i soli
punti di riferimento precisi che non si devono perdere di vista per
giungere a un orientamento chiaro sulla questione, sono
rappresentati dalle date entro le quali fiorirono nei singoli paesi
le varie "scuole" che del romanticismo fecero esplicitamente il
proprio programma.
In Germania il primo costituirsi di una scuola romantica avvenne nel
1797 con la pubblicazione della rivista Athenäum; in
Inghilterra nel 1798 con il programma aggiunto alle Lyrical Ballads
da Wordsworth e Coleridge; nei paesi scandinavi nel 1803 con
l'incontro di Steffens e Oehlenschläger; in Francia nel 1813
con la traduzione del Cours de littérature dramatique di A.
W. Schlegel e l'analisi del romanticismo tedesco nell'Allemagne di
Madame de Staël; in Italia nel 1816 con la Lettera semiseria di
Grisostomo e con le discussioni provocate dalla lettera di Madame de
Staël sulle traduzioni. Anche per chi voglia considerare il
movimento romantico in senso più vasto, tale successione
cronologica conserva il suo valore. In Inghilterra, in Francia, in
Italia, singoli segni precorritori possono aver accompagnato per vie
autonome o - anche - preceduto il movimento di formazione del
romanticismo in Germania; ma è in Germania che il periodo
formativo del romanticismo raggiunse i massimi sviluppi in
profondità, ed è dalla Germania che l'ondata di
romanticismo si propagò al resto d'Europa.
Il romanticismo in Germania. - Riconoscere questo è tuttavia
altra cosa che attribuire al romanticismo un carattere
specificamente germanico. Tale interpretazione è stata spesso
ripetuta sia in Germania a scopo apologetico, sia nei paesi latini a
scopo polemico. E in Germania sono stati compiuti anche tentativi di
dare all'affermazione una solidità di fondamento storico,
richiamando l'attenzione sulla parte preponderante che nel periodo
romantico ebbero numerosi pensatori e poeti provenienti dalle
regioni a oriente dell'Elba e della Saale, "dove il sangue tedesco
meno subì mescolanze con quello romano e dei popoli nati da
Roma, e dove perciò l'influsso della cultura latina e
neolatina non poté mai scendere in profondità". Ma, a
prescindere dal fatto che il processo di filtrazione del sangue
nelle vene dei popoli è una cosa molto oscura,
l'insostenibilità della tesi è dimostrata dallo
sfalsamento stesso di prospettiva in cui il romanticismo sì
è venuto a trovare, con il balzo in primo piano di
personalità - come F. Fouqué, L. Arnim e L. Adam
Müller - d'importanza intrinseca limitata, e con la conseguente
svalutazione di ciò che, per la stessa cultura tedesca, il
romanticismo ebbe di più vitale. In realtà il bisogno
di rinnovamento che condusse al romanticismo fu il risultato
dell'evoluzione generale degli spiriti in Europa, e se la Germania
trovò nel romanticismo un clima storico che si
dimostrò estremamente propizio alla piena espansione del suo
genio etnico, anch'essa si mosse entro l'ambito di quella storia
della coscienza moderna che nella concomitanza e interferenza
continua fra la civiltà dei popoli europei ha trovato forse
il maggiore stimolo al suo divenire.
Il processo di formazione storica. - Preparato nella coscienza
letteraria tedesca da un rapido e intenso sviluppo del senso di
autonomia di fronte al classicismo francese, con la rivendicazione
dei diritti della fantasia ai regni del soprannaturale (Bodmer e
Breitinger), con la concezione della poesia come effusione del
sentimento e la creazione di un nuovo linguaggio poetico
(Klopstock), con la concezione dell'ispirazione come di uno stato di
esaltazione del sentimento, con la critica al principio delle tre
unità, la spregiudicatezza di fronte a ogni forma di
precettistica, la demolizione dell'equivoco dell'ut pictura poesis,
l'interpretazione della poesia come "arte della vita in azione e
movimento" (Lessing e il suo culto di Shakespeare), il vero periodo
di gestazione del romanticismo fu, in Germania, lo Sturm und Drang
(v.). Già sotto l'influsso dell'empirismo inglese le
coscienze si erano abituate a considerare la realtà anche in
ciò che vi è d'impreveduto e imprevedibile nei suoi
continui mutamenti; l'esito glorioso della guerra dei Sette anni
aveva dato al popolo la fiducia in sé, con il sentimento
della propria individualità e potenza; lo spirito delle
vigilie di rivoluzione alitava nell'atmosfera come una confusa
ebbrezza, con presentimenti indistinti di nuove ricchezze
dell'esistenza, mentre, nel mondo letterario, nuove scoperte, o
presunte scoperte, le cupe visioni nordiche di Ossian, il mito
nordico-barditico, la raccolta di Percy, si susseguivano come un
incalzarsi di rivelazioni. E fu su questa disposizione di spirito
che si trovarono ad agire a un tempo il verbo di natura e
umanità di Rousseau e le mistiche intuizioni sulla sostanza
irrazionale della vita, folgoranti nella parola immaginosa di
Hamann; e la vita divenne, per i giovani Stürmer, un campo
senza confini aperto allo slancio della conquista umana. In un solo
ineffabile mistero di continua generazione e creazione si accomunano
la natura e l'uomo; è reintegrato il fondamento religioso di
ogni attività spirituale umana; il sentimento, la passione,
tutto ciò che è istinto, natura, diventano i supremi
valori; la sola legge della vita è il suo naturale accordo
con sé medesima; la sua meta è il suo proprio
potenziamento senza tregua; solo nella massima tensione delle sue
forze l'uomo trova il suo soddisfacimento, e la vita tutta è
lotta, "tempestoso impeto", Sturm und Drang. L'ideale astratto di
"umanità", che era stato il più accarezzato "sogno
razionale" del secolo, cade, sostituito dalla considerazione della
realtà umana, come si attua nel vario e perenne divenire
della sua storia (Herder).
E anche la concezione della poesia si rinnovò naturalmente
nello stesso spirito. Non esistono "modelli", esemplari perfetti di
poesia, di valore normativo. Anche la poesia esiste solo nella sua
storia, e ogni tempo ha la sua, ogni popolo ha la sua, con un
proprio carattere. Poiché "voce di natura" è la
poesia, e quindi "Stimme der Völker". C'è fra la vita
dei popoli e la loro poesia la medesima immediatezza di rapporti che
c'è tra la vita dei popoli e il loro linguaggio: poesia e
linguaggio nascono a un solo parto: la poesia è "la lingua
madre del genere umano".
Ogni elemento intellettualistico esula così dalla poesia; e
per questo riguardo non c'è differenza fra una tragedia di
Shakespeare e un canto popolare. Come tutto ciò che è
creazione, anche la poesia scaturisce dall'interno delle forze della
vita. "Qui c'è vita, c'è necessità, c'è
Dio!" - esclama Goethe giovane, davanti all'improvvisa rivelazione
della grandezza gotica del duomo di Strasburgo: e questa appunto
è la sola legge della poesia, come dell'arte. Tutto
ciò che è forma, è implicito nell'ispirazione.
Libero da ogni esterno vincolo, il poeta non obbedisce che al suo
sentimento poetico. E l'incarnazione del processo creativo della
poesia è il genio, il quale crea "con necessità", ma
"solo secondo sé stesso", ed è sovrano nel proprio
mondo: come Iddio è "il poeta all'origine dei tempi"
(Hamann), così il genio è "il piccolo Dio del mondo"
(Herder).
All'ammirazione esclusiva per l'armonica e in sé conchiusa
perfezione delle forme classiche si sostituisce in tal modo un
sentimento dinamico della poesia, che, mentre comprende nel suo
senso di trascendenza e nel suo slancio religioso l'arte medievale,
ne afferma la vicinanza spirituale all'uomo moderno, aprendo la via
a quella contrapposizione di "poesia antica ingenua e poesia moderna
sentimentale" (Schiller), che tanta varietà di sviluppi
doveva avere più tardi in tutta Europa. E al tempo stesso si
precisano le esigenze di stile. Il concetto di bellezza nel senso
tradizionale è superato: "nella realtà non esiste
soltanto la natura bella ma anche la natura come terribilità,
violenza, forza di distruzione"; e ciò vale anche per la
bellezza nella poesia. "Bellezza è ciò che rivela un
carattere e da tale carattere nasce, come la pianta dal suo germe".
"L'arte caratteristica" è pertanto "la sola vera" (Goethe). E
la suprema espressione ne è Shakespeare, nella cui poesia "la
libera natura creatrice rivela la sua inesauribilità operando
attraverso il libero genio umano".
Tutto questo è già, per molti riguardi, talmente
prossimo al pensiero romantico, che fuori di Germania - e
specialmente nei paesi latini - lo Sturm und Drang poté
apparire senz'altro come romanticismo vero e proprio. Anzi l'intera
"bella letteratura alemanna" da Klopstock in poi, Gessner compreso,
fu veduta in una luce romantica. E anche nella storiografia tedesca,
in questi ultimi tempi, si è delineata un'accentuazione
sempre maggiore di ciò che il romanticismo e lo Sturm und
Drang hanno di affine. Tuttavia non è senza ragione, se i
romantici per lo più guardarono invece agli Stürmer con
atteggiamento ora d'interna distanza, ora di aperta polemica. La
divergenza esiste ed è reale e profonda.
Malgrado il breve periodo che intercede fra l'uno e l'altro momento
storico, troppo profonde ed essenziali esperienze si vennero infatti
susseguendo nei due decennî prima della fine del secolo XVIII,
perché potessero passare senza lasciare traccia.
Un'esperienza fu fornita dagli sviluppi della rivoluzione in Francia
e dagli eccessi del Terrore: dal torbido mare tempestoso della vita
sociale e politica gli spiriti cercarono salvezza nelle "più
pure aure" della propria interiorità; e anche il vincolo che
lo Sturm und Drang aveva stabilito fra condizioni politiche e
sociali e poesia e arte, si allentò o, per lo meno,
mutò carattere. E anche un'altra esperienza, di natura
diversissima, agì nello stesso senso: la poesia di Goethe. Di
fronte al Winckelmann che additava l'arte degli antichi, gli
Stürmer avevano potuto rispondere che quello era un mondo ormai
lontano, che non li riguardava. Ma alla rinascente "nobile
semplicità e calma grandezza" della poesia del Goethe di
Weimar gli spiriti non potevano rifiutarsi. Anche quella poesia era
"voce di natura", spontaneità di canto. Eppure non era
più un irrompere immediato e cieco della passione, ma un
consapevole risolversi della vita in quieta luce spirituale. Per
misurare oggi la potenza di suggestione che tale "quieta luce"
esercitò sugli animi, bisogna pensare alla "tremante ansia"
di giovani genî come il Kleist e il Hölderlin, che
sentivano in petto "inginocchiarsi il cuore" davanti all'idolo che
pure li respingeva: il Wilhelm Meister apparve, senz'altro, agli
occhi di F. Schlegel, come uno dei tre "grandi avvenimenti del
secolo".
E fattore d'importanza non meno fondamentale per l'evoluzione degli
spiriti furono le conquiste del pensiero speculativo dopo Kant. Non
nel senso che romanticismo e idealismo assoluto s'identifichino:
questo avverrà soltanto - e parzialmente - per breve periodo
con lo Schelling, ma la filosofia postkantiana, mentre
approfondì nei romantici e consolidò il sentimento
dell'illimitata potenza creatrice dello spirito, diede loro il piano
stesso della loro esistenza spirituale, in quanto anche per essi
dire "vita dello spirito" divenne lo stesso che dire "pensiero
consapevole, coscienza".
Il naturalismo ingenuo, entro i cui limiti lo Sturm und Drang era
sempre sostanzialmente rimasto, venne così radicalmente
superato; e il romanticismo nacque come un processo di
approfondimento e di chiarificazione subito dagl'ideali dello Sturm
und Drang.
Il primo romanticismo. - In tutto il vario e multivago sviluppo che
il pensiero romantico, a opera soprattutto del Novalis, di Friedrich
Schlegel, Caroline Schlegel, Schleiermacher, Schelling, venne via
via assumendo, il presupposto costante è infatti il
sentimento cosciente della libertà dello spirito. Anche per i
romantici, come per gli Stürmer, l'uomo è "natura", e
ogni forma di razionalismo e d'intellettualismo è oggetto di
satira e di scherno; ma nello spirito umano "la natura contempla
sé stessa", e l'attività creatrice non è
più inconscia, "governata da una cieca interna
necessità", ma è consapevole e quindi libera.
Ciò che vi è di proteico nell'anima romantica, non
è che il "senso d'ali" di cui essa s'inebria nella coscienza
della propria libertà. La vita, nella sua interiorità,
diventa perciò per i romantici "un miracolo sempre nuovo,
infinito e inesauribile". Tutto il "misterioso operare di forze
infinite nel seno della natura" confluisce e culmina nello spirito
umano, "svelandosi nella sua luce". E l'uomo non ha che da
immergersi in sé medesimo, per scendere "nel cuore stesso
della verità". Ciò che Faust nel suo studio tanto si
affannò a ricercare invano, i romantici lo trovano, o credono
di trovarlo, in sé medesimi.
L'"intuizione intellettuale" del Fichte diventa così, in un
processo di trasfigurazione a cui è abolito ogni limite,
intuizione mistica, estasi. E concezioni varie, della più
diversa origine - il concetto della bellezza che secondo lo
Shaftesbury "viene dall'anima e si rivolge all'anima"; il concetto
dell'amore come "fonte di conoscenza", secondo Hemsterhuis; echi
molteplici diretti e indiretti della mistica orientale; il
neoplatonismo di Plotino; il panteismo di Bruno; la mistica del
Böhme; le scienze naturali dell'epoca con le loro ipotesi su:
fenomeni di magnetismo animale - contribuiscono ad alimentare e
potenziare l'estasi. Vivere significa quindi, "in mezzo alle cose
finite" diventare "una cosa sola con l'infinito e cogliere l'eterno
nell'attimo che passa".
Religione, filosofia, amore, poesia appaiono perciò come
semplici "volti diversi" dello stesso "modo di esistenza". E deriva
da tale loro mistica unità anche l'impostazione dei loro
problemi. La religione si spoglia di tutte le determinazioni
razionali, dottrinarie, teologiche, e si risolve in immediatezza di
sentimento del divino, coscienza d'intima comunione dello spirito
con l'infinito. La filosofia si colora di liricità, si
riempie di sentimento religioso e si esalta in visioni di vita
cosmica. La coscienza morale respinge ogni esigenza di repressione
del sentimento e fonda sopra l'amore il concetto di una nuova "etica
organica".
E soprattutto si rinnova l'estetica. La nota più appariscente
ne è quella di un estetismo mistico. "Spirito della poesia
è lo spirito stesso dell'amore", e scrivere poesia significa
"rappresentare in segni sensibili la poetica verità del
mondo, nel suo infinito mistero". Si comprende quindi che F.
Schlegel, dopo avere posto a programma della poesia romantica di
essere "poesia della poesia", la descriva come una "poesia
progressiva universale", la quale, essendo destinata "a tutto
comprendere ciò che vi è di poetico... dal più
grande sistema dell'arte... fino al sospiro, al bacio di un
bimbo..., è destinata anche a svolgersi ed evolversi sempre
senza giungere mai a compiutezza". Lo stesso poeta non esaurisce
mai, in nessuna sua singola opera, la poesia che ha in sé.
Anzi accanto alla Sehnsucht che non muore mai e sospinge verso
sempre nuove attività, il segno più alto della poesia
è "il libero aleggiare dello spirito del poeta al disopra
della sua creazione"; l'"ironia romantica", con la quale il poeta,
scherzando con la propria opera fino a distruggere le visioni stesse
che ha suscitato, vi porta dentro in realtà il soffio di
quell'altra "infinita poesia, che è intorno a lui anima del
mondo e dentro di lui luce del suo spirito".
"Palpito d'infinito" percepito nella nostra coscienza, la poesia
è perciò "come una musica" che muove incontro
all'anima romantica da tutte le cose, "sempre diversa, e sempre
simile a sé stessa"; e l'anima romantica gode di
riconoscerla, "spirito vivente di tutte le arti": cosicché
l'architettura diventa una "musica di pietre" e la pittura una
"musica di colori", mentre la musica stessa appare come un "pensare
in suoni". È il primo annuncio del tono prevalentemente
musicale che dominerà la coscienza artistica di tutto il
secolo.
Indubbiamente c'è, in tutti questi pensieri e nel ricco e
suggestivo svolgimento che i romantici ne hanno tratto, più
una ricerca di nuovi mondi poetici che una vera e propria posizione
speculativa. Regioni inesplorate del sentimento s'aprivano innanzi a
loro: la poesia del sentimento come "mistica luce interiore", la
poesia delle luci indistinte dell'animo, la poesia della vita come
crepuscolo e presagio; ed essi cercavano le forme adeguate ad
accogliere tutto ciò entro di sé. E il tono mistico di
tutta la loro vita interiore improntò di sé anche le
loro estetiche. Ma tutti i principî fondamentali dell'estetica
moderna - il concetto dell'unità del fatto estetico in tutte
le arti; la relatività del valore dei generi letterarî;
il principio dell'identità di forma e contenuto; il principio
dell'identità di linguaggio e poesia, d'intuizione e di
espressione; il concetto di liricità come universalità
del sentimento nell'individualità della forma - sono nati, in
realtà, dal fervore mistico di questi pensatori-poeti.
L'orientamento nazionale e le "scuole romantiche" successive. -
L'affermazione, spesso ripetuta, che il primo romanticismo abbia
avuto un carattere esclusivamente universalistico, si fonda sopra un
equivoco. Precisamente sotto l'aspetto del sentimento di
nazionalità, il movimento riprese e continuò
l'eredità del Herder. In quanto erano volti a esplorare la
ricchezza della propria vita interiore, era naturale che i romantici
meno parlassero di nazione e di popolo; ma il sentimento della
germanicità del loro spirito era implicito nel loro pensiero.
A F. Schlegel bastò varcare il Reno, nel 1803, perché
al disopra di ogni altra cosa gli dominasse nella mente il pensiero
di ciò che i Tedeschi erano stati, di ciò che
avrebbero potuto essere. Poi venne Jena, e tutta la Germania
divampò nello spirito della riscossa (Fichte, Reden an die
deutsche Nation). Una specie di universalismo romantico si
attuò soltanto più tardi, e in sede politica, quando
F. Schlegel, ormai lontano dagli ardimentosi ideali della
giovinezza, A. Müller, G. Gents, divennero i teorici della
restaurazione e gli apologeti della Santa Alleanza; e si
attuò non per pura genesi interna dallo spirito del
romanticismo, ma per cause storiche generali, che agirono nello
stesso senso anche in seno ad altre correnti d'idee, in altri paesi;
così come soltanto fino a un certo segno romantica è
la cosiddetta "economia romantica" (A. Müller, J. Görres,
F. X. Baader, K. L. v. Haller), la quale solo per l'importanza data
ai valori nazionali, religiosi, volontaristici nella vita sociale,
mostra col romanticismo un'intrinseca connessione. In sede
letteraria come in sede politica l'accento nazionale fu appunto una
delle forze dominanti nello sviluppo che il romanticismo assunse.
Dall'Arnim all'Arndt, dallo Schenkendorf al Körner, escono
dalle file dei romantici, e di coloro che ai romantici erano
spiritualmente vicini come il Kleist, i poeti delle guerre di
liberazione. Raccolte di canti popolari (Arnim e Brentano), di fiabe
(J. e W. Grimm) dischiudono all'anima tedesca ignorati tesori della
sua poesia. E mentre in ballate, drammi, romanzi storici (Arnim,
Fouqué), si evocano visioni di vita germanica medievale,
contemporaneamente si cercano, si pubblicano, si esplicano i testi
della poesia germanica antica: la filologia si determina e precisa
nelle sue funzioni di ricerca storica: nasce il mito del Volksgeist,
arcano creatore di ogni forma di civiltà; e nasce sotto il
dominio di quel mito, ma con rapido processo di svolgimento critico,
la germanistica (J. e W. Grimm, F. von der Hagen, K. Lachmann,
ecc.).
Era l'evoluzione naturale dei tempi che portava gli spiriti in
questa direzione. La poetica trasfigurazione della vita, che i primi
romantici avevano compiuto, doveva fatalmente fare luogo a un
bisogno di concretezza, di realtà. La coscienza storica e il
sentimento nazionale furono le prime fra queste realtà. E
anche gli altri indirizzi, che il romanticismo assunse, furono la
conseguenza dell'imporsi di questo ridestato sentimento della
realtà nelle coscienze.
A molti spiriti la realtà apparve come una negazione delle
romantiche aspirazioni dell'anima; e, per conseguenza, la Sehnsucht,
il sogno, divennero scopo a sé stessi (scuola di Heidelberg).
E dolce fu, dopo conviti in antichi castelli, passeggiare al chiaro
di luna, ascoltando i sospiri delle arpe eoliche nascoste tra le
fronde (J. Kerner e la scuola sveva), oppure cullarsi in soavi
malinconie, e fantasticare dinnanzi a romantici paesaggi (Uhland).
Nella lirica dell'Eichendorff - tutta chiarità e melodia -
questo fantasticare e sognare è diventato realmente delicata
poesia.
Oppure accadde invece che si cercò alla Stimmung romantica
una più materiale consistenza. E il senso del mistero che
incombe sulla vita divenne brutale inesorabilità di fato
(Schicksalstragödie); il motivo di amore e morte si
esasperò in patologiche ossessioni mistico-sessuali (Z.
Werner); soprattutto si approfondì la considerazione dei
rapporti che legano la vita psichica alle forze occulte della natura
(G. H. Schubert). E se ne colorì una nuova interpretazione
della grecità in senso mistico-dionisiaco (Fr. Creuzer);
così come se ne colorì il sentimento del "caos
notturno da cui si genera la vita", con il risultato di un ulteriore
acuirsi degl'interni dissidî, fra intermittenti evasioni ora
in un barocco mondo di poesia mistico-sensuale, ora in un leggiadro
simbolico mondo di fiaba (Brentano). Estroso e visionario, poeta,
disegnatore e musicista, E. Th. A. Hoffmann, fermò in
allucinata potenza d'immagini tale stato d'animo.
Singoli elementi di vita e di poesia del primo romanticismo si
perpetuarono, in tal modo, in atteggiamenti nuovi. E anche
l'ampliamento degli orizzonti culturali proseguì con una
conoscenza più diretta e più vasta del mondo orientale
(Rückert), con un'indagine sistematica sulle lingue e
letterature romanze (Uhland, Diez), con la scoperta dell'arte dei
primitivi (S. e M. Boisserée). In questo dividersi e
suddividersi, l'impulso originario del movimento non poteva non
perdere parte della sua forza: ciò che guadagnò in
estensione, perdette in pienezza interiore e profondità.
Ma notevole è come Goethe, il quale aveva mantenute duramente
le distanze, quando il romanticismo era nel suo pieno fervore
creativo, e anche in seguito giunse a identificare "romantico" con
"malato", in realtà invece venne a poco a poco accogliendo
entro di sé atteggiamenti romantici sempre più
schietti: il suo spirito era troppo equilibrato e comprensivo,
perché potesse restare intransigentemente chiuso a ciò
che il romanticismo aveva di vitale. E dalle Wahlverwandtschaften
alla Marienbader Elegie, dal Westöstlicher Divan alla seconda
parte e al finale del Faust, fu proprio la sua opera una delle forze
più vive in cui la sostanza spirituale del romanticismo si
trasmise alle generazioni successive.
Iniziatosi, fra altro, con una "romantica interpretazione" di
Goethe, il romanticismo tedesco finì così col trovare
in Goethe - e in un romantico culto di Goethe (Bettina Brentano,
Rahel Varnhagen) - una delle sue ultime e più tenaci
espressioni. E sotto i segni di una rivolta contro Goethe e contro i
romantici a un tempo, si annunciò, poco dopo, la nuova epoca,
fra le veemenze polemiche del Jung-Deutschland e la corrosiva ironia
di Heine.
Il romanticismo in Inghilterra. - Il romanticismo inglese fu, per
molti riguardi, fra i movimenti analoghi negli altri paesi d'Europa,
il meno lontano da quello della Germania. Non soltanto per quel che
vi fu d'influenza diretta e immediata del pensiero tedesco dal
Coleridge al Carlyle; e nemmeno soltanto perché - come tono
di sensibilità con la poesia della notte e dei sepolcri
(Young, Gray, Blair) e con la "gotica" poesia della
terribilità (Godwin); come rivelazione di nuovi mondi
d'immaginazione con Ossian; come rivelazione di nuovi mondi
culturali con le Reliques of ancient English Poetry del Percy; come
scoperta della poesia-confessione dell'anima con W. Cowper; come
pensiero estetico con la Philosophical Enquiry into the Origin of
our ideas of the Sublime and Beautiful del Burke (1756) e con le
Conjectures on original composition dello Young (1759); come
pensiero filosofico con Shaftesbury - la letteratura inglese del
Settecento era stata fattore vivo nell'evoluzione spirituale e
letteraria, da cui il romanticismo europeo scaturì; ma
perché il bisogno generale di rinnovamento fu tale, anche in
Inghilterra, da coinvolgere non soltanto la letteratura e le arti,
ma tutta la vita dello spirito.
Solo che il risultato fu differente per la divergenza delle
condizioni storiche e per la diversità delle tradizioni. La
tradizione inglese non era mistico-speculativa, ma
psicologico-realistica. E non è senza significato che,
nell'introduzione alle Lyrical Ballads (1798), il Wordsworth e il
Coleridge dichiarassero di dividersi il compito, nel senso che il
Wordsworth intendeva trattare "argomenti della vita di ogni giorno
in modo da dare impressione di cosa romantica e soprannaturale" e il
Coleridge invece "argomenti romantici soprannaturali in modo da dare
impressione di realtà". La corrente mistico-speculativa che
il romanticismo inserì nella tradizione realistica inglese,
era già presente in quella raccolta ed era destinata ad
assumere poi importanza sempre maggiore (Coleridge); ma nella
dichiarazione programmatica, l'accento cade sulla parola
"realtà", punto di partenza o punto di arrivo; e il tono
fondamentale della poesia malgrado ogni lirica esaltazione e
malgrado il precedente dell'ingenua visionarietà religiosa
del Blake, che nel suo tempo quasi non ebbe eco - è quello
d'un'esperienza reale umana, più che quello di un rapimento
in mistica estasi. La scoperta paesistica della regione dei laghi,
ai confini nord-occidentali verso la Scozia, che diede il nome - The
Lake Poets - al gruppo di Wordsworth, Coleridge e Southey, è
solo un fatto incidentale e, in alcune composizioni, una nota di
colore. Ciò che dà al miglior Wordsworth la sua
vitalità è il suo senso di realtà, è la
fermezza pacata, quasi placida, con cui tutte le varie accensioni
sentimentali, etiche, religiose della sua ispirazione, riescono a
comporsi nell'umano equilibrio di una compiuta e in sé
conchiusa armonia. E ciò che dà alle poesie di
Coleridge la loro ineguagliabile potenza di evocazione è la
delicata, squisita, ma colorita e tangibile consistenza, con cui il
fantastico, misterioso, demoniaco della sua ispirazione prende corpo
davanti ai nostri sensi. Una mistica luce splende anche nella sfera
delle sensazioni fisiche: si anticipa, a distanza di oltre un terzo
di secolo, il tono poetico di Poe.
E anche un'altra particolare tradizione diede al romanticismo in
Inghilterra la propria impronta. Quasi correttivo al naturale
istinto realistico, lo spirito inglese ha coltivato sempre in
sé il gusto e l'amore per la leggenda, la fiaba, l'avventura.
Quando il mondo della cavalleria già era tramontato negli
altri paesi d'Europa, il popolo inglese continuava a deliziarsene
sulle pagine di Malory. Dalla grande poesia di Spencer e di
Shakespeare fino al non grande romanzo gotico del Settecento (Lewis,
Walpole, Radcliffe), la tradizione non si smentisce mai. È
come un mondo al disopra della realtà, ora grandioso, ora
tenero, ora mirifico, ora terrifico, ma sempre pittoresco, in cui
l'immaginazione si rifugia cercando emozioni imprevedute,
libertà, movimento.
La poesia romantica a sfondo storico o leggendario da Southey a
Bulwer, come, del resto, in altro campo, l'erotismo orientaleggiante
da Southey a Moore, fu, in un clima propizio, la naturale
efflorescenza di questo escursionismo immaginoso dell'anima inglese.
Dall'89 in poi la storia stessa sembrava avere assunto linee di
leggenda; e, d'altra parte, sotto il premere della dura
realtà del momento, mai il bisogno di evasione dal proprio
tempo era stato così grande. E non è senza significato
che lo stesso Scott sia giunto al romanzo storico attraverso le
ballate e i canti popolari scozzesi e i poemi storico-cavallereschi:
le origini e la sostanza lirica sono, in fondo, le medesime. Per
quanto preoccupato fosse della "fedeltà storica" e non si
risparmiasse diligenti studî per giungervi, il mondo della
storia nei suoi romanzi non è sentito - ciò
avverrà soltanto con Manzoni - come un mondo reale, nella cui
comprensione in profondità il nostro spirito prende coscienza
delle forze eterne della vita e del loro modo di manifestarsi nel
tempo, ma semplicemente come un mondo di fantasia, in cui la
sensibilità dilettosamente si compiace.
Affermatosi così dapprima in atteggiamenti, ora intimi e
meditativi. ora mistici e visionari, ora fantasiosi,
l'individualismo romantico non doveva tuttavia, in un'Inghilterra
dove l'interesse per la vita politica e sociale aveva ormai
così lunga tradizione, tardare a prendere posizione anche
verso la realtà del presente. Mentre le nuove esigenze nate
dall'evoluzione dell'Inghilterra verso forme sempre più nette
di stato industriale rafforzavano le idealità sociali
rivoluzionarie, la politica interna inglese era rimasta ferma in un
tenace atteggiamento di difesa conservatrice, di fronte al quale i
romantici non poterono non sentirsi nel più grave disagio.
Eredi delle idee di libertà e umanità del secolo
precedente e quindi animati da simpatia verso ogni tentativo di
ascesa delle classi popolari (Leigh Hunt e la rivista The Examiner,
1808-21), ma abituati a considerare il problema in una luce poetica
di passione ideale e quindi intimamente estranei a molti degli
aspetti che il movimento nella sua concretezza storica assumeva, i
romantici vennero sospinti a una posizione d'interno malcontento
che, fuori del campo politico, il rigido formalismo moralistico
imperante sulle convenzioni della vita sociale contribuiva a rendere
ancora più grave. E se la considerazione umoristica
degl'interni ed esterni contrasti, così frequente nella vita
spirituale inglese, poté ancora una volta rappresentare per
alcuni di essi una liberazione (Lamb, Landor, Peacock), tuttavia
l'umorismo stesso ne restò non di rado colorito di un pathos
realistico-romantico, giungendo a tonalità nuove ed estreme,
entro un'atmosfera di malata sensitività (De Quincey, Lamb).
Conseguenza di questa disposizione di spirito fu anche la fuga in
paesi stranieri, particolarmente in Italia (Byron, Shelley, Landor,
ecc.): nell'urto col mondo circostante, il sentimento romantico si
cercò sotto altri cieli una patria, e contemporaneamente
s'ammantò nell'orgoglio della propria dignità ferita.
Sorse così il tipico eroe della ribellione romantica,
egocentrico e generoso, vindice di tutte le libertà e preda
di tutte le passioni; colui che sconvolge i confini fra il bene e il
male, e dal fondo della sua "noia di vivere" insorge contro la
società e il destino senza piegarsi nemmeno dinnanzi
all'ultimo mistero: Byron. La sua opera soffre dell'equivoco che
basti una certa qualità di sentimenti per costituire poesia;
ma la sua vita fu, nel bene e nel male, il più romantico dei
capolavori. Aveva, come forse nessuno ebbe mai, "l'istinto e il
genio del bel gesto": l'azione improvvisa e inconsueta che colpisce
le immaginazioni ed esalta i cuori, la sentenza eloquente che nella
lapidarietà delle sue formulazioni inattese sembra dilatare
senza limiti gli orizzonti umani, la parola carica di passione e di
colore che eccita e trascina. E passò per l'Europa come una
meteora, accendendo passioni di donne e illusioni di poeti, ed
entusiasmi generosi e fervori ideali. E dominò il suo tempo
più ancora di colui che di tali entusiasmi e fervori era il
più puro interprete: Shelley.
È nella tradizione inglese di commuoversi, in sede di poesia,
sui riflessi etici del fatto politico e sociale. Abolita
romanticamente ogni distanza e ogni differenziazione fra etica e
politica, risolta la vita in purità di slancio ideale, lo
Shelley divenne la suprema espressione di questa "aspirazione
poetica" dell'anima inglese. Ribelle, come il Byron, contro tutto
ciò che possa comunque soffocare la libera espansione della
vita, mistico per natura e ateo per educazione, egli divenne colui
che diede agl'ideali umanitarî e rivoluzionarî del
Settecento il più luminoso alone di romantica-
spiritualità. Quanto per il Byron vivere era far convergere
tutti i problemi del mondo sulla propria persona, altrettanto per lo
Shelley vivere era donarsi, amare. E dal sentimento d'amore, che
costituiva per lui il solo naturale legame che congiunge l'uomo al
mondo, egli trasse una specie di "religione dell'umanità",
per la quale l'amore gli apparve come lo spirito stesso della vita
universa nella natura e negli uomini.
Ma anche per un altro aspetto, a cui tutto il romanticismo inglese
dal Coleridge in poi variamente si riconduce, lo Shelley è
significativo: l'intonazione fondamentalmente estetica della vita
spirituale. Come in generale tutti gli indirizzi di pensiero che
muovono da un'esaltazione della vita intuitiva, anche il panteismo
idealistico, a cui lo Shelley giunse, ama contemplare nella
creazione dell'arte la sintesi e il vertice di ogni attività
creatrice dello spirito. Anche presso gli stessi umoristi ed
essaysts s'incontra un atteggiamento analogo: ciò che
distingue l'essay romantico (Lamb, Landor, lo stesso Hazlitt,
benché sopra un piano meno nettamente romantico) dall'essay
del sec. XVIII, è appunto il prevalere del problema estetico
su tutti gli altri interessi spirituali: lo stesso suo tono
lirico-discorsivo, patetico-umoristico, così diverso dal tono
razionale dell'essay moralistico settecentesco, scaturisce dal fatto
che nel lirico sentimento della bellezza lo spirito ha trovato il
suo nuovo ubi consistam, a cui la relatività degli altri
valori etici, politici, sociali può riferirsi in un giuoco di
rapporti infinitamente vario. Ciò che differenzia la
posizione dello Shelley è l'assolutezza a cui tale
disposizione di spirito viene sollevata. Ciò che per gli
altri era "via d'uscita" dalle contraddizioni dell'esistenza, si
sublima a mistico rapimento, in cui la vita, risolta in sentimento
della bellezza sotto tutti i suoi aspetti, anche etici, religiosi,
diventa "ebbrezza perenne in eternità di amore", "armonia
delle sfere e armonia delle anime", estasi di umane-cosmiche
sensazioni.
È, in fondo, lo stesso processo spirituale, che, con
orizzonti più chiusi e in toni ancora più sensitivi e
delicati, s'incontra anche nel Keats. Le sensazioni sottilmente
voluttuose in cui la sua poesia indugia, la predilezione per le
sfere della sensibilità in cui i confini fra la
voluttà e la sofferenza si toccano e si confondono (cfr.
anche Shelley, The sensitive Plant, Beatrice Cenci), la squisitezza
delle sfumature nelle aderenze della forma verbale all'immagine,
sono già segni di un'evoluzione che l'estetismo subirà
in seguito - in altro clima storico, non più romantico, ma
decadente - alla fine del secolo. Ma il senso di terse
luminosità serene da cui la sua poesia è avvolta, la
gioia di trasparenze spirituali e i baleni di pensiero da cui essa
si eleva, mostrano che anche nel Keats, come nello Shelley, il
sentimento della bellezza mantiene ancora stretta aderenza con la
totalità della vita. Solo che ciò che in Shelley era
ebbrezza di volo, nel Keats è invece dedizione devota e
sensitiva, raccoglimento adorante. Davanti a ogni immagine della
bellezza egli è l'anima che si dona e che adora; e la
sostanza più profonda di tutto il romanticismo della sua
epoca e della sua patria confluisce nel verso: A thing of beauty is
a joy for ever.
Il romanticismo in Francia. - L'interdipendenza fra il romanticismo
dei paesi latini e quello dei paesi germanici ha avuto un segno
tangibile: per la prima volta nella storia della cultura
mediterranea, l'anima latina ha conosciuto "la nostalgia del Nord";
più ancora, ha creato e coltivato in sé "il mito del
Nord". I precedenti contatti spirituali col Nord erano rimasti
fenomeni isolati, ciascuno nel proprio campo: benché
preparata da anteriori infiltrazioni sempre più numerose nel
campo della poesia e dell'estetica, la concezione del Nord come di
un mondo omogeneo con un proprio modo di esistenza spirituale e con
una propria unità di sentimenti, di pensiero e di arte, si
determinò soltanto in seguito, e intorno, all'Allemagne di
Madame de Staël; ma, da allora in poi, l'immagine della
Germania come "patria degli entusiasmi ideali, della contemplazione
disinteressata, della meditazione e del sogno" non cessò
più di mantenere presa sugli spiriti. E, ridottasi
l'influenza romantica inglese sostanzialmente al Byron e allo Scott,
il pensiero tedesco e la poesia tedesca costituirono veramente in
Francia, per oltre mezzo secolo, una esperienza spirituale unitaria,
d'importanza storica.
Ma fu, in realtà, qualcosa di molto lontano e diverso da quel
"travasamento di linfa straniera nell'anima francese", di cui
così spesso accade ancora oggi di sentir parlare. Ciò
che tanti Francesi cercarono nella Germania idealistica non fu altro
che, attraverso l'esperienza di un mondo più vasto, la
realtà di sé medesimi, secondo le aspirazioni che essi
portavano in sé e le esigenze che il momento storico poneva
al loro spirito. E il mito che ne sorse specchiò tale
condizione di cose: non fu soltanto statico, ma anche unilaterale,
ispirato ai soli aspetti del mondo germanico che più
direttamente e immediatamente interessavano. Nello stesso periodo
che con Lessino, Bürger, Herder, Kant, Goethe, Schiller e, un
po' in margine, Jean Paul, esercitò il maggiore fascino,
molte forze già vitali e operanti nello spirito tedesco
sfuggirono. Lo stesso romanticismo nella sua espressione più
piena e più ricca, quale vive in Novalis e nel
"pensiero-poesia"fiorito intorno all'Athenäum, sembrò
bensì affiorare per un momento in taluni spunti della poesia
d'Italia della Corinne; ma poi disparve quasi dall'orizzonte
francese, per ricomparire soltanto molto più tardi, col
sorgere di un nuovo tono di sensibilità da Baudelaire al
Maeterlink. Il romanticismo tedesco a cui allora si attribuì
valore esemplare fu quello di A. W. Schlegel nelle lezioni di Vienna
(trad. francese: Cours de littérature dramatique, 1813), le
quali risentono già profondamente della sua vicinanza alla
Staël e rappresentano un compromesso fra il pensiero romantico
nella sua genuina originarietà e la mentalità francese
ancora abituata a considerare il problema della poesia più da
un punto di vista letterario-formale o storico, che estetico-lirico.
E, pur con l'aggiungersi di nuovi interessi: Schelling, Hoffmann,
Werner, Uhland, sostanzialmente le prospettive non si alterarono
più.
Un travaglio profondo del pensiero avanzava allora in tutta l'Europa
nella medesima direzione. La fede nella potenza creatrice dello
spirito e la volontà rivoluzionaria di "ricominciare da capo"
in ogni campo per giungere a un nuovo ordine delle cose umane; il
ritorno alla natura come sorgente di ogni forza creativa, e
l'elevazione del sentimento a base della morale, sostanza della
religione, fondamento di ogni sociale convivenza (Rousseau); la
coscienza dell'"io" sensitivo individuale come suprema interiore
realtà da cui nasce e in cui si conchiude ogni umana
attività ed esperienza (Rousseau, Confessions); la coscienza
della "natura infinita" del sentimento e il suo fondersi cm
"l'infinito delle cose" in intima comunione di vita (Rousseau,
Rêveries d'un promeneur solitaire); la conquista alla poesia
dell'atmosfera della vita sensitiva e il sorgere di una
tonalità nuova di arte che cerca la sua espressione in
un'indefinita suggestività di accordi pittorico-musicali
(Chateaubriand); l'ampliamento dei confini dell'immaginazione verso
zone ancora inesplorate dell'anima e del mondo (B. de Saint-Pierre,
Chateaubriand); e, contemporaneamente, la disintegratezza della vita
(Diderot, Mercier, ecc.); l'interpretazione della letteratura in
funzione della vita (Madame de Staël, De la
littérature); la coscienza della sostanza spirituale
cristiana dei popoli moderni e la riscoperta della patria nella
poesia (Chateaubriand, Génie du Christianisme): insomma,
molte delle fondamentali posizioni romantiche avevano avuto proprio
in Francia le loro origini o alcune delle più significative
manifestazioni. E se anche, nello svolgersi del tempo, molte singole
precisazioni di problemi, determinazioni di prospettive filosofiche
e storiche, formulazioni d'idee, rivelazioni di poesia provennero
alla Francia dalla sua esperienza germanica, tuttavia anche in
Francia le grandi coincidenze essenziali col romanticismo tedesco
furono il naturale risultato dell'identità del processo
storico, da cui tutti e due i paesi erano coinvolti. Il carattere di
religione diffusa dell'epoca, che anche in Francia il movimento
assunse; il ritorno alle sorgenti prime della vita e l'anelito verso
la bellezza che è in ogni cosa, il sentimento
dell'identità di verità e bellezza e l'anelito verso
"ce qu'il y a d'intime dans tout"; l'esaltazione delle forze
mistiche e intuitive dell'anima e lo slancio verso qualcosa di
più che umano; la liberazione dell'io profondo dell'uomo e la
restituzione dell'opera d'arte all'ispirazione creatrice, ai misteri
della personalità dove palpita l'anima stessa delle cose; la
libertà assoluta del poeta e, contemporaneamente, l'afflato
di religione e poesia che investe il pensiero, la scienza, la
politica; la coscienza storica che si afferma come estasi del
passato mentre si sta precisando in metodi di scienza; la coscienza
cristiana che riconosce le proprie profondità nell'affrontare
i problemi del presente, sono tutte realtà spirituali di
natura tale che, per quanti impulsi possano avere ricevuto anche dal
di fuori, non poterono prodursi se non per spontanea genesi interna,
come conseguenza della spontanea evoluzione degli spiriti. E
naturalmente tutto questo assunse anche in Francia, in
conformità della tradizione entro cui si formò, un
proprio timbro particolare.
Anzitutto la Francia era allora il solo paese d'Europa dove la
cultura, la letteratura, la lingua stessa, nella loro unità
di tono, fossero, non soltanto l'interpretazione della coscienza del
tempo attraverso le creazioni di singoli uomini superiori, ma, in
certo modo, l'espressione diretta e totalitaria della vita del
popolo. Perciò, mentre in Germania il movimento romantico
s'era approfondito in contemplative scoperte interiori al di
là di ogni contingenza del momento, in Francia, invece, esso
s'immedesimò con le forze storiche operanti nella
realtà del presente. Non soltanto ricondusse la vita
religiosa al sentimento interiore e sollevò a valore
religioso - dal Quinet al Michelet al Renan; dal Vigny a Victor Hugo
- la vita stessa dello spirito; ma, sia che restasse entro le sfere
dell'ortodossia cattolica (Lamennais fino alla rivista L'Avenir;
Lacordaire; Montalambert), sia che ne uscisse per sboccare in un
vago teismo infuso d'idealità democratiche (Lamennais dopo le
Paroles d'un croyant), s'investì di tutti i problemi urgenti
nel tempo, da quello dei rapporti fra lo stato e la Chiesa a quello
della conciliazione fra i dogmi cattolici e le conquiste
dell'evoluzione sociale. Anche la religione fu sentita nei suoi
rapporti con l'ordine civile e politico, e se ne illuminarono le
più opposte concezioni politiche: non soltanto le miti utopie
del Ballanche volte a contemplare nella Ville des expiations la
Palingénésie sociale come processo di purificazione
umana nello spirito del cristianesimo, ma la cupa, mistica
implacabilità di ragionamento, con cui J. de Maistre dedusse
dal dogma cattolico le universali ragioni della tragica vicenda
della storia (Soirées de Saint-Pétersbourg);
così come, per converso, la mistica passione umana che
condusse Saint-Simon a fondare sull'avanzante industrializzazione
della vita economica i suoi sogni di socialistiche riforme e di
cristiana rigenerazione. Ma soprattutto ne trassero nuova forza,
portate sopra un nuovo piano spirituale e vedute in una nuova luce,
quelle che erano state le idealità della rivoluzione. In
Francia la forza di rinnovamento, che era esplosa nella rivoluzione,
si era conservata viva e intatta nelle coscienze anche sotto
l'impero e la restaurazione. Tutti i miti della rivoluzione
continuarono a splendere nelle coscienze, assommandosi in un mito
unico, nuovo: il popolo, sentito come la vera grande forza
generatrice di ogni civiltà. Era, in sostanza, l'idea stessa
del Volksgeist già formulata da Herder; e anche in Francia la
filologia e la storia ne furono stimolate a indagare ed evocare
l'unità vivente del popolo nelle sue origini e nel suo
sviluppo (Aug. Thierry, Ozanam, Fauriel, Michelet, Guizot, ecc.); ma
in Francia accadde qualcosa di più: il concetto di popolo
divenne la diretta sorgente dalla quale si derivarono le esigenze
stesse della nuova vita. Pure nella diversità delle
specifiche singole tendenze, tutte le numerose storie della
rivoluzione che si scrissero allora sono infatti dominate dal
sentimento che l'esperienza della rivoluzione non si è
compiuta invano, perché soltanto attraverso il laborioso
travaglio della nuova coscienza politica e sociale il popolo
è venuto conquistando le condizioni necessarie per la piena,
illimitata espansione della sua potenza creatrice". I concetti di
libertà di popolo si fusero così insieme,
compenetrandosi, in una sola fede; e a quella fede s'accese tutta la
spiritualità romantica dell'epoca. E non soltanto la Francia
ebbe allora - dalle chansons del Béranger ai Jambes del
Barbier, dagli scritti storici e teorici ai manifesti sociali, dai
pamphlets del Courier alla grande oratoria fiorita intorno alla
rivoluzione di luglio - la più ricca letteratura politica
dell'epoca; ma letteratura e politica conversero insieme in
un'unità di vita. A tutte le aspirazioni che si agitavano nel
cuore del popolo, victor Hugo diede voce eloquente nel suo verso
alato, esplosivo e immaginoso. Lo stesso Lamartine finì col
restare travolto nel vortice delle lotte politiche. Dalla vasta
epopea vagheggiata da Quinet (Ahasverus) fino alla Légende
des siècles di Victor Hugo, suprema ambizione del poeta
divenne rappresentare la grandiosa ascesa dell'umanità, da
popolo a popolo, da stadio a stadio della sua esistenza (A. Soumet;
Le Poitevin; Lamartine, Jocelyn e La chute d'un ange, concepiti come
episodî di un immenso ciclo epico: Dieu et l'humanité).
Il poeta divenne "l'interprete del passato e dell'avvenire nella
coscienza del proprio tempo": il vate che "con la fiaccola della sua
poesia illumina ai popoli le vie della loro storia".
Più che altrove, il romanticismo s'immedesimò
così, in Francia, con il risveglio spirituale che
accompagnò l'ascesa politica della borghesia. E si comprende
come anche l'individualismo, che di quel risveglio fu elemento
costitutivo, abbia trovato nel clima romantico un'atmosfera propizia
ai suoi estremi sviluppi. Non per nulla le "batailles romantiques"
intorno al '30 coincisero nel tempo col maturare della borghese
rivoluzione di luglio. Qualunque fosse l'importanza intrinseca dei
nuovi principî estetici, questi significavano il cadere
definitivo di tutte le barriere esterne dinnanzi all'immediato
prorompere dell'ispirazione. Era la lirica che rinasceva, dopo che
per secoli la poesia francese era stata povera di lirica; era la
fantasia che si appropriava tutti i mondi della cultura e della
storia (Oriente, Spagna, Medioevo gotico, ecc.); era il poeta che
conquistava la piena coscienza della sua libertà assoluta di
creazione (Victor Hugo, prefazioni, specie a Cromwell e a Odes et
Ballades). Era l'individualità che prorompeva in totale
abbandono, nel clima della più ardente passione (Sand).
Nell'esaltazione visionaria dell'immaginazione, la poesia
cercò la pienezza della sua espansione (Hugo, Berlioz,
Delacroix, ecc.).
Tuttavia anche in questo clima il sentimento della realtà
come di un limite invalicabile s'impose agli spiriti, conferendo
alla poesia un tono generale di tristezza sognante. E tanto fu
generale quel tono che pure se ne colorirono le stesse evasioni dal
presente, non soltanto nel Medioevo gotico e nel Nord ossianico
delle ballate dove cavalcano i morti nella luce della luna, sulle
orme della Lenore; ma negli stessi paesaggi esotici, particolarmente
nelle visioni d'Italia: la frase della "terre des morts" non fu in
Lamartine se non l'espressione di uno stato d'animo generale e
simbolico - non assoluto (Graziella) - ma dominante: le nostalgie
cercavano l'Italia perché si compiacevano alla Childe Harold
del "decadere e morire" in mezzo alla bellezza. Venezia e Roma
prevalsero perciò su Firenze e Napoli: e basta confrontare
Corinna con la poesia d'Italia del De Musset per rendersi conto di
questo accento nuovo.
Era una legge fatale: ogni irrompere di vita nuova porta con
sé un mondo di desiderî inappagati o ancora imprecisi.
E vani furono gli sforzi di superarli col pensiero: tutti i sistemi
filosofici vagheggiati da tanti poeti o pensatori romantici,
compreso Victor Hugo, sono tinti di questo sentimento triste
dell'inganno eterno della vita. L'unica risorsa è un
fortificarsi dell'uomo nella propria coscienza: quel sollevare il
sentimento nella contemplazione del pensiero, che dà tanto
fascino di dominata sofferenza alla poesia del De Vigny. Anche per
Vigny, tuttavia, l'ansia dello spirito è destinata a
spezzarsi (Chatterton): il poeta, elevandosi "con ali così
grandi che gl'impediscono il volo", è il pellicano che nutre
delle sue carni gli sforzi dell'ascensione umana. La più
commossa lirica romantica è nata da questa malinconia di cui
soffre chiunque sogna e sa che il sogno è soltanto sogno: con
accento più dolce nel Lamartine, più intimo in M.
Desbordes Valmore, più appassionato nel De Musset e con
classica elevazione di tono nel Vigny.
Con tutto ciò, precisamente nella poesia del sentimento
individuale e della passione, la tradizione letteraria riuscì
a imporre in Francia le sue tendenze secolari. Più che
l'effusione della passione, la letteratura francese aveva amato
sempre il ragionare sulle passioni, l'analisi riflessiva dei
sentimenti: e nello stesso periodo di formazione del romanticismo
basta leggere nella loro successione cronologica René dello
Chateaubriand, Adolphe del Constant, Oberman del Senancour, per
riconoscere una ripresa sempre più decisa del lavorio
riflesso dell'intelligenza nella vita interna del cuore. E
già nelle stesse opere anche si osserva la distruzione
crescente dell'abbandono intero al sentimento e della
felicità dell'abbandono. Questo è considerato come
meta ultima delle aspirazioni dell'anima; ma l'anima non ne è
capace, perché non può far tacere entro di sé
la voce dissolvente della ragione. Accadde così che, presso
la maggior parte degli spiriti, la nostalgia romantica di vita
passionale finì col risolversi in lamento o in ebbrezza di
lagrime. E fu in Francia che il mal du siècle trovò la
sua incarnazione nell'enfant du siècle, destinato ad
ammalarsi eternamente e sempre più, perché non
può trovare il suo posto nel mondo. Dallo Sbogar del Nodier
alla poesia malata di G. de Nerval, a quella maniaca di Lautreamont,
o alle voluttà funebri di Petrus Borel, la poesia dolorante,
funerea, colorita alla Byron, subisce un continuo potenziamento.
Solo conforto delle anime sono le zone del vague de l'âme, e
si culla in sé medesimo, in un vaporoso mondo di
méditations poétiques, di rêves, di harmonies
intérieures.
Contemporaneamente, questa tendenza analitica riflessiva,
persistente pure in mezzo alle esaltazioni del sentimento e agli
scapricciati voli dell'immaginazione, ebbe ancora un'altra
conseguenza: l'arricchimento e approfondimento della psicologia,
alla quale il romanticismo aveva dischiuso nuove miniere
d'osservazioni. Non per nulla ridiventarono livres de chevet le
grandi opere della psicologia del cuore umano, dalle Confessioni di
S. Agostino alle Pensées del Pascal (Sainte-Beuve,
Port-Royal). Tutta la vasta opera critica di Sainte-Beuve presenta
questo carattere: è analisi del fondo morale della poesia,
dei fondi ultimi, aperti o nascosti, da cui affiorano le immagini e
i pensieri.
Ma se ne arricchì anche la poesia. E indubbiamente fu la
Francia che diede al romanticismo europeo il più sottile,
sensitivo e smaliziato, delicato e spietato conoscitore di tutti i
segreti nascosti entro le pieghe del senso e del sentimento, il
raffinato amatore delle realtà più recondite e
preziose della passione romantica: Stendhal. E così pure, fu
la Francia che diede al romanticismo europeo la rappresentazione
fedele e integrale della realtà dell'epoca, nella
Comédie humaine, così romantica nella dedizione senza
limite alla vita e nel sentimento tragico del suo mutar perenne, per
l'insufficienza di ogni suo singolo momento a chiudere in sé
l'ansia dello spirito che è sempre "ansia di comprendere il
Tutto"; eppure così aderente alla realtà anche in
tutto ciò che questa può presentare di più
borghese, di più mediocre, di più materiale.
Ma precisamente lo psicologismo del Sainte-Beuve e il romanzo di
Balzac, nei loro rapporti col romanticismo, spiegano la rapida
evoluzione in cui esso doveva essere superato: insieme con un nuovo
mondo morale aderente alle sue origini borghesi, il romanticismo
aveva creato, con nuovi modi di bellezza e di poesia, esigenze a cui
esso non poteva più rispondere: e il risultato fu, attraverso
la catarsi etico-estetica di Madame Bovary, l'approfondimento del
realismo fino al naturalismo integrale e, attraverso la catarsi
artistica del parnassianesimo, l'esaltazione dell'art pour l'art,
donde mosse la poesia dei simbolisti: poli opposti e interdipendenti
di ciò che doveva essere la nuova epoca.
Il romanticismco in Italia. - In nessun altro paese come in Italia -
fuorché, per breve periodo, nell'Inghilterra di Shakespeare -
esisteva un clima spirituale ed estetico remoto, in cui il
romanticismo si potesse riconoscere. Da Dante ad Ariosto tutta la
letteratura italiana era stata tale da apparire ai romantici come
lontana "patria d'origine". La filosofia del Rinascimento, dallo
studio dell'uomo come problema centrale di ogni speculazione,
giù fino al panteismo di Bruno e Campanella, era stata
l'"alba del nuovo pensiero". L'arte di quel periodo fu una delle
forze formatrici nell'esperienza romantica europea, dal Wackenroder
e F. Schlegel allo Stendhal. E anche nell'epoca che immediatamente
precedette il sorgere del romanticismo, l'Italia non soltanto aveva
avuto anch'essa i sintomi del rinnovamento poetico proprio di tutti
gli altri paesi; ma non le erano mancate le grandi
personalità interpreti della nuova coscienza, dal Vico al
Foscolo.
Invece proprio le forze che sembravano, ed erano, per un lato
propizie all'espandersi del romanticismo, furono, per un altro lato,
quelle che fino dal primo momento ne scompigliarono e disordinarono
lo sviluppo. Poiché, mentre tutta o quasi la più
grande tradizione spirituale e artistica italiana si presentava in
una luce romantica, al tempo stesso, da Dante, e specialmente dal
Petrarca e dal Boccaccio in poi, la poesia italiana si
concretò in un assorbimento dell'eredità classica nel
proprio spirito e nelle proprie forme. La stessa confluenza di
elementi romantici e di elementi classici nel Foscolo e nel
Leopardi, che ha dato motivo a tante discussioni, non fu se non il
rinnovarsi di un fenomeno che costituisce il fondamento stesso della
tradizione italiana. E tutto ciò non poteva non confondere le
idee nel momento in cui anche in Italia fra romanticismo e
classicismo si venne a costituire un'antitesi.
Né vi poté opporre rimedio l'influenza straniera. Fra
il 1816 e il 1819, quando più accesa e fervida si svolse la
polemica letteraria, fino alla soppressione del Conciliatore (v.),
il romanticismo francese era appena in formazione: del romanticismo
inglese giunsero in Italia solo gli aspetti più esteriormente
appariscenti con il Byron e lo Scott; e il romanticismo tedesco
rimase nella sua più profonda sostanza quasi ignoto, o noto
di seconda mano, attraverso i Francesi. Il Prospetto della
letteratura tedesca composto nel 1818 da A. Ridolfi differisce assai
poco nelle prospettive dall'Idea della bella letteratura alemanna
che aveva scritto sulla fine del secolo il Bertola. Anche
Bürger, Schiller, Goethe - in quanto divennero accessibili in
Italia in traduzioni italiane o francesi - offersero perciò,
più che lo spunto a nuove idee, soltanto un'esperienza di
nuovi mondi poetici o di nuovi orizzonti dell'immaginazione.
Soltanto del Herder s'incontrano talvolta alcune idee, per lo
più in riflessi indiretti, imprecisi anche se frequenti. Chi
dominò fu, accanto allo Schlegel delle Lezioni sulla
letteratura drammatica, tradotte da A. Gherardini, il Bouterweck, il
quale era un mediocre, che solo confusamente si rese conto della
sostanza reale dei concetti che intendeva conciliare. La sola fonte
di chiarezza nella ricerca del nuovo orientamento del pensiero
avrebbe potuto essere il Vico, con la sua interpretazione dell'arte
come autonoma attività dello spirito perennemente partecipe
del divenire della storia; ma quando ne ricorre il ricordo, è
quasi sempre soltanto per metterlo d'accordo o per metterlo in
contrasto con il Kant, secondo la lettera delle sue "affermazioni",
non per trarne direttamente luce di nuove idee.
La polemica classico-romantica o si arrestò quindi a problemi
esteriori di tecnica (come l'uso della mitologia, le tre
unità, le forme metriche, ecc.) o a problemi specifici del
momento (come l'utilità della conoscenza rapporto di poesia e
storia, ecc.); oppure si accanì invano intorno a concetti che
"spesso mal rimavano insieme" e soprattutto, come l'ambizione di una
"poesia filosofica", restavano vaghi e incerti, perché
prospettati all'infuori dei presupposti storici e teorici da cui
erano scaturiti (G. Berchet, Lettera semiseria di Grisostomo;
Londonio, Risposta di un italiano... a Madama di Staël; Cenni
sulla poesia romantica; G. Borsieri, Avventure letterarie; articoli
di Berchet, Visconti, Romagnosi, e altri, sul Conciliatore, ecc.).
L'unico che per diretta informazione e per naturale temperamento
tendesse a scendere in profondità fino alle origini del
pensiero romantico fu L. di Breme, il quale morì prima di
avere potuto maturare le proprie idee. La conseguenza del rumoroso e
battagliero accanimento polemico fu perciò di agitare le
acque; tuttavia anche se fondo non si toccò dal punto di
vista dottrinale, dal punto di vista storico quelle polemiche, che
ebbero nel loro centro l'impetuosa e generosa figura del Berchet,
contribuirono efficacemente a creare una nuova atmosfera.
Intanto, spontaneamente, dall'interno della tradizione letteraria
italiana, per il genio creatore di un poeta, il romanticismo
giungeva anche in Italia, col Manzoni, a una sua piena consistenza.
Non soltanto per l'Adelchi e per il Conte di Carmagnola, che pure,
per la libertà della struttura interna, per la
liricità del tono, per la religiosità profonda e
assorta dell'ispirazione e per il colore poetico nell'evocazione
della storia furono le prime tragedie romantiche di reale rilievo
nella letteratura dei paesi latini; ma anche e soprattutto per gli
stessi Promessi Sposi, dove nell'ispirazione profondamente cristiana
anche la spiritualità nuova riuscì a fondersi in un
originale atteggiamento. Qualunque possa essere stata l'evoluzione
dei concetti estetici del Manzoni dalla lettera a V. Chauvet fino al
Discorso sul romanzo storico, la forza suscitatrice della sua poesia
fu lo svolgimento del suo pensiero morale e religioso. E la vera
poetica che lo guidò nella creazione fu di guardare a fondo
in quel "guazzabuglio del cuore umano", che è anche
l'"inesauribile miracolo", in cui senza tregua si rinnova il segno
della "bontà di Dio verso gli uomini". Il lucido senso della
realtà che gli era istintivo, il nitido senso dei valori
formali congenito alla tradizione da cui usciva, il senso
dell'equilibrio e della misura, l'innata saggezza umana che gli
rendeva possibile di fondere il sorriso dell'umorismo con la
commozione del cuore, il rispetto scrupoloso della verità
storica, anziché attenuare il fondo romantico da cui la sua
poesia scaturiva, lo svelarono soltanto in una luce più
pacata, chiara.
Ma nei decennî che seguirono, un'altra e più
travagliata forza dominò fatalmente lo svolgimento del
romanticismo italiano: la travagliata e appassionante vicenda del
Risorgimento. Ogni altra cosa non poteva non passare in secondo
piano dinnanzi al problema della libertà e unità della
patria. Anche il romanticismo - e immediatamente lo previde
l'Austria, fino dalle prime avvisaglie, correndo ai ripari con la
fondazione, fra l'altro, della Biblioteca Italiana - divenne in
primo luogo un movimento civile e politico. I singoli indirizzi
poterono essere diversi; sabaudi, federativi, mazziniani, ecc.; la
meta era una sola e una sola la passione. Tutte le idee politiche
che il romanticismo aveva maturate, sia in senso neoguelfo sia in
senso liberale, spingevano nella medesima direzione: le Mie
Prigioni, cristianamente miti, furono una battaglia non meno del
canto con cui il Berchet aveva lncitato i Lombardi a "puntare la
spada" contro "l'irto increscioso alemanno". Invano affilava le armi
la censura. Tutta la letteratura s'alimentò di questa fiamma
in ogni sua forma: nella lirica patriottica (Berchet, Poerio,
Tommaseo, Mameli, Giusti, Rossetti, Aleardi, Prati), nella satira e
nell'invettiva (Berchet, Prati, Giusti), nel romanzo (Grossi,
D'Azeglio, Guerrazzi), nel dramma (Pellico, Tedaldi-Fores, Marenco,
Niccolini), negli studî storici (Giannone, Colletta, Balbo,
Troya, Capponi, Tommaseo, Cantù, Amari); nel pensiero
filosofico-politico (Gioberti, Rosmini, Cattaneo); nel pensiero
educativo (Tommaseo, Capponi, Lambruschini). Fu un romanticismo
militante, per il quale l'arte e il pensiero furono soprattutto
incitamento all'azione; ma, per la concretezza dell'obiettivo a cui
mirava, esso raggiunse, anche di fronte al romanticismo politico
francese, una sua propria indipendenza; e, per l'ardore di passione
di cui fu pervaso, per la fede entusiastica nelle forze ideali che
lo spinse a non arrestarsi anche là dove proseguire poteva
sembrare utopistico sogno o generosa follia, esso ebbe
spiritualmente non soltanto una sua bellezza, ma una sua grandezza.
E si ripensa alle parole del Carlyle, che, cercando un volto alla
figura del martire nelle particolari condizioni della vita politica
e sociale moderna, dichiarava di non trovare che un volto solo:
quello di Mazzini. In realtà, il romanticismo, come
esaltazione religiosa dell'idea di "popolo" a incarnazione di Dio
nel divenire della storia umana, e come dedizione di tutta
un'esistenza a quell'idea, non ebbe in tutta Europa un'espressione
individuale più alta.
Da tale situazione storica bisogna muovere anche per comprendere la
poesia d'ispirazione soggettiva che fiorì accanto al
romanticismo politico. Essa fu un salvarsi dalle ambasce del
presente, cercando rifugio nelle nostalgie e malinconie e
meditazioni dell'anima che, appartata dal mondo, si "libera da
sé medesima" effondendo le proprie inquietudini nella
dolcezza del canto; oppure fu un'ebbrezza d'immaginazione che chiede
alle visioni del passato o a mondi esotici o di pura fantasia una
specie di morbido eccitamento e oblio. Lo si può constatare a
evidenza nello stesso romanzo storico che, pure restando
stilisticamente sotto la suggestione del Manzoni, se ne
allontanò invece nello spirito inseguendo un sentimentale o
pittoresco romanticismo alla Scott (T. Grossi, G. Carcano, C.
Cantù, C. Bazzoni, G. Varese). Se si prescinde dal burrascoso
romanticismo in rosso e nero alla Byron, che il Guerrazzi si
compiacque di rivestire entro classicheggianti paludamenti verbali
(La battaglia di Benevento, L'assedio di Firenze, Beatrice Cenci), e
dall'andatura alla bersagliera con cui il D'Azeglio avvivò
l'Ettore Fieramosca e il Niccolò de' Lapi, creando un tono di
racconto intermedio fra il Manzoni e il Dumas, si nota in generale
anche nel romanzo quel prevalere di una passività sensitiva e
sognante che, in modo ancora più netto, domina nelle
contemporanee novelle in versi (Pellico, Grossi, G. Torti, B.
Sestini, I. Cabianca, V. Padula). Nel medesimo tono aveva già
dato l'avvio alla ballata romantica il Berchet, inaugurando presso
di essi la romanza di motivo spagnolo e il genre troubadour; e dal
Carrer al Prati persino il motivo della Lenore subì
variazioni in tono minore, elegiaco e sensitivo. Lo stesso canto
popolare restò solo per Berchet e per Tommaseo problema
preciso, nell'autenticità dei suoi termini; la poesia che
cercò d'ispirarvisi, divenne sentimentale-borghese (Prati,
Canti del popolo), o sentimentale-paesana, in bonarietà di
stile parrocchiale (Parzanese). Era il "tono" che realmente dominava
negli spiriti; e non fu soltanto l'influenza delle
Méditations del Lamartine e delle poesie del primo Hugo a
determinare il dominio anche, e più ancora che in ogni altra
forma di poesia, nella lirica. Chiunque legga gli scritti di G.
Scalvini, primo traduttore del Faust e tipico esponente di questo
stato d'animo, si rende facilmente conto della realtà
spirituale da cui scaturì tanta effusione di lamenti, di
sogni e di sospiri. Solo nelle sfere indistinte e musicali del
sentimento potevano le anime sentirsi in armonia con sé
medesime; e precisamente in una vita che avesse "l'indeterminatezza
della musica" la poesia cercò la sua ispirazione. Se ne
può trovare la conferma nelle stesse forme della presentano
spesso una tessitura ad accordi musicali o, più spesso
ancora, un'inflessione melodrammatica di "aria" da opera. In
realtà la vera, totale espressione dell'anima del tempo fu
data, per questo riguardo, dalla musica: da Rossini, Bellini,
Donizetti e specialmente da Verdi.
Il momento cruciale nella storia di questo secondo romanticismo fu
il '48; il quale rappresentò il culmine eroico di questo
romantico idealismo sentimentale, "troppo assorto nella propria luce
per rendersi bene conto della realtà"; e ne segnò, al
tempo stesso, la catastrofe. Dopo quegli eventi, pure perpetuandosi
intatto nell'epopea garibaldina e nella letteratura che vi si
accompagnò, da L. Mercantini a G. C. Abba, il romanticismo
venne via via assumendo nuovi atteggiamenti.
Il primo fu un vario e molteplice sforzo d'ispirarsi alla diretta
osservazione della realtà. Già nel periodo precedente,
in Fede e Bellezza, il Tommaseo aveva affrontato problemi di
psicologia umana; e la stessa "poesia di un adulterio"
dell'Edmenegarda del Prati era parsa una "rivoluzione realistica",
tale da mettere in subbuglio persino i seminarî. Tale
orientamento s'andò a poco a poco affermando sempre di
più: dal lirismo vaporoso delle Passeggiate solitarie, il
Prati passò ai realistici toni grigi di Storia e fantasia,
per giungere infine, col Canto d'Igea, nell'Armando, alla poesia di
una vita che s'acquieta nel sano possesso della semplice
realtà. Il Guerrazzi si semplificò nella prosa succosa
e colorita, e in parte anche oggi viva, del Buco nel muro. Morendo
non ancora trentenne, I. Nievo lasciò con le Confessioni di
un italiano, in un tono di analisi psicologica e sociale che ha
già talora accenti squisitamente moderni, il più
fresco e vivo romanzo dopo i Promessi Sposi.
Quanto fondo romantico tuttavia persistesse al disotto di questo
rinnovamento dei modi dell'arte, si vide poco dopo, fra il '60 e il
'70, quando - fattasi esperta d'ironia su Heine, di "fiori del male"
su Baudelaire, sul De Musset di Namouna, sul Byron del Don Juan -
agli "sdilinquimenti vaghi e sognanti" della precedente generazione
la cosiddetta scapigliatura milanese volle opporre quella che essa
designava come realtà. Ne nacquero bensì i "pastelli
di vita domestica e famigliare del Praga, e, talvolta, del Rovani, e
l'inzuccherata bohème di un sonetto del Tarchetti; ma il tono
dominante fu quello di un'ingenua orgia d'immaginazione, in cui una
fantasia malata di sogni s'inebria di visioni di peccato, di orrore
e di male. E l'espressione più piena ne fu ancora una volta
la musica, con la contrapposizione di azzurri ideali e di satanica
realtà, e con la sghignazzata di Mefistofele nella "Notte di
Valpurga romantica", nel dramma musicale del Boito.
Più feconda, perché chiarificatrice, fu per il
romanticismo un'altra reazione: l'aspirazione a comprendere e
assimilare entro di sé la realtà. Non fu un ritorno a
concetti superati della scuola classicistica; ma - alla luce della
nuova interpretazione della classicità giunta anche in Italia
attraverso il Winckelmann e il Goethe - un tentanvo dell'anima
romantica di scoprire entro di sé "la modernità degli
antichi" (v. alcune prove foscolianeggianti di G. Revere; e
specialmente le traduzioni da Orazio e il poemetto Due sogni del
Prati). Fu un rinascere del senso puro della forma in
contrapposizione alla sciatteria dal romanticismo deteriore,
rinascita per la quale combatteva C. Tenca nel suo Crepuscolo. E
anche l'ispirazione romantica non poteva non giovarsene: è
nata infatti da questo rinnovamento di posizione spirituale la
poesia di più lieve volo e di più tersa limpidezza di
visione, che il romanticismo italiano abbia creato: l'Incantesimo
del Prati, che parve al Carducci stesso un miracolo.
Nel frattempo anche un altro, e assai più profondo,
rinnovamento si era venuto compiendo: quello del pensiero
filosofico. Al di là del Rosmini e del Gioberti, per i quali
il problema, pure nella divergenza delle loro idee, era stato
d'interpretare secondo le conquiste del pensiero moderno la
verità rivelata, nel Mezzogiorno d'Italia si rinnovò
con gli Spaventa, in italianità di spiriti, l'idealismo che
in Germania aveva avuto le sue origini. E in questa atmosfera
maturò il genio di F. de Sanctis, la cui opera critica
rappresentò, dal punto di vista estetico, il termine d'arrivo
di tutto il romanticismo, non soltanto italiano ma europeo. In
nessun'altra indagine di critico romantico l'opera d'arte come
creazione spirituale era stata mai risuscitata con così nette
precisazioni di pensiero e, allo stesso tempo, con così
integrale intuizione storica e così vivente efficacia
d'immagini. Nei suoi Saggi e nella sua Storia della letteratura
gl'Italiani, mentre impararono a riconoscere l'energia dell'arte,
ritrovarono anche il volto spirituale del proprio passato.
Era la nuova Italia che nasceva. E il romanticismo che seguì
fu quello che cercò l'ispirazione presso le fonti del
Clitunno o scandì metri classici presso l'urna di Shelley o
contemplò la dea Roma vivente nei luoghi dove Childe Harold
si era inebriato di poesia della morte; e assunse un nome che
divenne segnacolo di un nuovo momento storico: Carducci.
Il romanticismo in Spagna, Portogallo e Catalogna. - Anche la poesia
spagnola dalle romanze del Cid ai drammi di Calderón, al
romanzo di Cervantes era stata una delle immagini ideali a cui aveva
guardato quasi con culto religioso il romanticismo nascente in
Germania. E la traduzione e divulgazione degli scritti di A. W.
Schlegel, compiuta da J. N. Böhl de Faber, aveva subito
richiamato anche in Spagna l'attenzione degli spiriti più
vigili sulla nuova luce entro cui la poesia più antica della
nazione era stata esaltata. Ma solo col crearsi di una nuova
consapevolezza del sentimento nazionale era possibile che la poesia
trovasse la via per ricongiungersi a quelle tradizioni divenute
ormai così lontane nel tempo e nello spirito. Le prime
manifestazioni del romanticismo s'inaridirono perciò anche in
Spagna in una confusa vicenda di poco conclusive discussioni e
polemiche letterarie (v. gli scritti di Böhl de Faber, di A.
Durán, la rivista El Europeo, ecc.). E fu soltanto dopo
l'amnistia del 1833, quando gli esuli della rivoluzione del '24
ritornarono in patria, che il romanticismo in Spagna, alimentato
dall'ondata di nuove idee che gli esuli portavano con sé da
Parigi, trovò salda e definitiva presa nelle coscienze. La
prefazione di Alcalá Galiano a El moro expósito (1834)
del duca di Rivas ne fu il programma; la rappresentazione del Don
Alvaro (1834) dello stesso poeta ne segnò il trionfo sul
teatro. Si ripeté in Spagna ciò che era avvenuto in
Francia: il romanticismo ebbe "battaglia vinta" nel campo letterario
perché il diffondersi delle nuove idee nel campo politico
portava con sé implicita la necessità di una nuova
poesia a espressione della nuova vita. E si comprende come nella
Spagna dalle grandi tradizioni del sentimento cavalleresco e della
poesia immaginosa, il dominatore delle fantasie diventasse Hugo.
Anche in Spagna fu dolce prendere confidenza con Dio e con la natura
e intessere sogni e rimare malinconie nel molle fluire del verso
melodioso (Espronceda; E. Gil; N. Pastor Diaz; V. R. Aguilera; G.
Gómez de Avellaneda) o svagarsi dietro colorite evocazioni di
un Medioevo avventuroso e pittoresco (Larra; De Trueba,
España romantica; E. Gil; Fernández y
González); anche - e particolarmente - in Spagna diede
brividi di voluttà l'immaginare infiammate passioni sopra uno
sfondo di cupo mistero (Espronceda; Duca di Rivas; la Avellaneda);
ed esercitò attrattiva sopra gli spiriti l'adagiarsi in una
poesia a sfondo filosofico (Espronceda, El diablo mundo; Campoamor,
Dolores); e anche al Lamartine, al Byron e allo Scott, oltre che a
Victor Hugo guardarono i romantici spagnoli: soprattutto Espronceda
fu l'espressione di queste effusioni patetiche del sentimento; ma
dominante nell'insieme della letteratura restò la
vittorughiana esaltazione dell'immaginazione; se ne avvivò,
accanto alla lirica pura, la romanza, dalle Orientales di Arolas ai
Romances históricos del duca di Rivas e alle leggende e
ballate di Zorrilla; e, forse più ancora, ne trasse impeto di
rinnovamento il teatro, dove la commedia del Breton des Herreros
fece posto a drammi romantici di tipo shakespeariano-vittorughiano,
che evocavano, fra veementi contrasti di passioni, non senza
melodrammaticità di effetti, un mondo di storia e di leggenda
(duca di Rivas, Don Álvaro, da cui deriva il libretto della
verdiana Forza del destino; Martínez de la Rosa, La
conjuración de Venecia; Gil Zárate; García
Gutiérrez, El trovator, da cui fu tratto per verdi il
libretto del Trovatore; Hartzenbusch, Los amantes de Teruel, ecc.):
e anche nel dramma, come nella lirica, fu Zorrilla che, per la
vivacità dell'immaginazione e la vasta spontaneità
della vena, più si esaltò nel senso della
"vittorughiana sterminata onda di canto".
Mentre così la letteratura, per una parte, si riallacciava
nel romanzo e nel dramma alla poesia antica, al tempo stesso
scopriva letterariamente la Spagna del presente (E. Calderón,
Escenas; M. Romanos, Escenas Matritenses). La poesia s'avviava in
tal modo verso quel realismo romantico (F. Caballero, J. Valera),
che doveva più tardi ispirare in Spagna tanta parte della
letteratura moderna.
Intanto, e inizialmente prima ancora che in Spagna, il romanticismo
aveva preso rapidi sviluppi anche in Catalogna. La rivista El
Europeo, sebbene scritta in castigliano, era stata opera, oltre che
di due italiani, Luigi Monteggia e Fiorenzo Galli, prevalentemente
di catalani: Aribau, López Soler, ed altri. La vicinanza di
Barcellona alla Francia costituiva quasi una porta aperta a tutte le
nuove correnti; e con l'amnistia del '33 - in quel medesimo anno
Aribau compose la sua Oda a la patria - il movimento romantico
rapidamente si propagò, dando un decisivo impulso al
sentimento dell'autonomia nazionale, che trovò più
tardi, nel 1859, un suo primo culmine nella reintegrazione dei
Giuochi floreali. Il Romancerillo catalano, raccolto e pubblicato
nel 1848 dal Milà y Fontanals, dischiuse ai Catalani il ricco
tesoro delle loro leggende e delle poesie popolari, assurgendo a
poco a poco a simbolica testimonianza dell'autonomia della cultura
del paese; mentre con le liriche di Rubiò i Ors (Lo Gayter
del Llobregat, raccolta completa, voll. 3, 1841-89) la lingua
catalana s'elevava a espressione poetica. Ne ricevettero un forte
impulso gli studî filosofici e storici così come la
poesia (A. Aguilò, Milà i Fontanals, Rubiò i
Ors, Balaguer, ecc.): e tutta la grande rinascita catalana, che
contrassegnò gli ultimi decennî del secolo, ebbe in
questo primo fermento romantico le sue origini.
E altrettanto fecondo fu il movimento anche in Portogallo. Le
origini ne furono complesse e remote: non soltanto per la traduzione
dell'Oberon di Wieland, curata da M. do Nascimiento; ma soprattutto
perché stretti rapporti con l'Inghilterra non potevano non
avere più di un riflesso anche nella letteratura. Tuttavia le
vicende politiche che ininterrottamente si susseguirono dopo la
caduta di Napoleone fino al 1832, non erano tali da consentire un
libero fiorire di studî e di poesia. E fu a Parigi che
apparvero le prime opere della nuova epoca: il Camôes (1825) e
la Dona Branca (1826) di Almeida Garrett, durante l'esilio politico
del poeta. Dopo il patto di Èvora (1834), gli esuli poterono
rientrare; e negli anni che seguirono, fra l'imperversare delle
lotte di partito, il movimento romantico, espandendosi, assolse
anche un'alta funzione: quella di creare la visione ideale, poetica
e storica, di una patria comune in cui tutti si potevano sentire
ricongiunti: mentre la poesia specchiava così in una luce
ideale lo spirito dei tempi, il Romanceiro portoghese, raccolto e
pubblicato da Almeida Garrett, e le Lendas e narrativas di Herculano
rivelavano la poesia popolare della nazione, e un'alacre
attività storiografica (L. A. Rebelo de Silva, Herculano,
ecc.) ne evocava le glorie. Le riviste O trovador e, dopo il '51, il
Novo Trovador diffusero, con una nuova estetica, il gusto per la
nuova poesia. Rifiorì la lirica, si affermò il romanzo
storico, e fu fondato in spirito romantico un nuovo teatro
nazionale, di cui il trionfo del Frey Louis de Sousa di Almeida
Garrett costituì la definitiva consacrazione.
Con la scuola di Coimbra tuttavia (1865) il romanticismo, pur
persistendo come disposizione generale di spirito, si venne a
fondere con nuove correnti d'idee: e ne sorse anche in Portogallo
un'epoca nuova.
Il romanticismo nei paesi scandinavi. - Abbattuta la concezione di
una bellezza e di una verità fisse, fuori delle quali non
c'è salvezza, anche presso le letterature scandinave il
movimento romantico produsse un potente risveglio degli spiriti. Fu
un norvegese, naturalista e filosofo, scolaro di Schelling, a dare
al movimento il primo impulso: H. Steffens. Ma fu dalla Danimarca
che il movimento si propagò nel nord agli altri sede della
"corrente nordica" nella nuova letteratuva tedesca. Più
tardi, con J. Ewald, alimentata in parte da quella corrente, aveva
fatto irruzione nella letteratura danese la poesia come
liricità, esaltazione del sentimento. Ma fu soltanto dopo
l'incontro di Oehlenschläger con Steffens nel 1802, che il
romanticismo, traendo lo spunto da quanto stava avvenendo in
Germania, si precisò in tutta la sua estensione come
coscienza della nuova epoca: Oehlenschläger come poeta, acceso
da un sogno di rinascita germanico-nordica, ma con lo sguardo sempre
volto alla classicità di Goethe; Thorwaldsen come artista,
nutrito d'esperienza classica grecoromana, ma "con le luci diffuse
del suo nord sempre presenti nell'anima", furono gli omeridi di
questo primo romanticismo danese, che con N. Grundtwig invece, in un
vasto impeto di rinnovamento, investì gli studî
dell'antica storia (trad. di Saxo Gramaticus e di Snorre Sturleson),
l'interpretazione dell'antica mitologia, i fondamenti della fede
religiosa, della vita civile e dell'intera educazione nazionale
(istituzione delle università del popolo). In tali condizioni
la lotta ingaggiata in nome della purità della forma da
Baggesen e, più tardi, da Heiberg non poté trattenere
il naturale corso del movimento (si pensi al fiorire del romanzo
storico con B.S. Ingemann, C. Hauch, ecc.), ma solo influire su di
esso con un richiamo al senso della realtà, al buon gusto: il
quale favorì il sorgere di una nuova poesia, di fondo
romantico e di tono realistico, ispirata alla vita quotidiana, con
accenti ora borghesi (racconti di Th. Gyllenbourg, liriche di E.
Aarestrup, Ch. Winther) ora naturalistici e paesani (St. Blicher),
e, al tempo stesso, il sorgere di un'altra poesia, di fondo
romantico e di tono classicheggiante, che in un romantico-classico
idillio di vita e di arte trovò in Italia, per quasi mezzo
secolo, dal '25 alla presa di Roma, il suo paese di delizie (A. W.
Schack-Staffielt, L. Bodtger, H. Ch. Andersen, A. W. Goldschmidt;
balletti di A. Bournonville, v. Bergsoe, ecc.; e per l'arte tutta la
pittura da C. Hausen a V. Marstrand). Il senso critico
s'abituò cosi a distinguere ciò che è
realtà da ciò che è fantasia; e al disopra
della realtà "la fiaba eterna del cuore umano" si
svelò ad Andersen in una purità di visioni e con
un'umana semplicità di accenti, di cui non s'era mai visto
esempio, mentre, sotto il premere simultaneo di molte cause - il
realismo filosofico di Hegel importato da Heiberg; l'estendersi del
grundtvigianesimo in sede di attuazione pratica; l'urgere di nuovi
problemi religiosi sociali politici, ecc. - il romanticismo, con
Goldschmidt, con Paludan-Müller, avanzava rapidamente verso la
grande crisi, che per una parte ne doveva segnare la fine e per
un'altra parte invece ne doveva trasmettere l'eredità,
attraverso l'elaborazione di un nuovo spirito più
profondamente critico, alla coscienza moderna: con S. Kierkegaard.
Per la Svezia tutto questo lungo e sinuoso svolgimento, dominato
dalla tendenza a un'innnità sensitiva ora pensosa ora
fantasiosa e sognante, che è frequente nella poesia danese di
ogni tempo, non ebbe importanza se non nel momento iniziale, come
stimolo a un rinnovamento proprio. Elementi di un rinnovamento del
Settecento, con il ridestato interesse per l'antico mondo nordico da
G. F. Gyllenborg e I. G. Oksenstjerna a G. J. Adlerbeth e a B.
Höijer, con l'estrosa e commossa bohème del canto di
Bellman, con il pathos delicato di B. Lidner, con la tumultuaria
esaltazione psichica di Th. Thorild, con la nuova interpretazione
dell'antichità in senso winckelmanniano (C. A.
Ehrenswärd, B. Höijer, ecc.), con una varia permeazione di
pensiero tedesco da Herder a Goethe, da Kant a Schiller. Quando la
ventata romantica giunse dal sud, tutti questi germi - come dice
l'Atterbom - "sentirono l'arrivo della primavera". E si
determinarono, nel fermento delle idee, tre principali correnti.
Una, fiancheggiata da L. Hammarskjöld a Stoccolma nella rivista
Polifem di Askelöf, fece capo alla rivista Phosphoros (1810-13)
- donde il nome dell'intera scuola, fosforismo - ed ebbe come
massimo interprete l'Atterbom: facendo propria l'estetica mistica
del primo romanticismo tedesco, sentì la vita intera nella
sua unità di natura e spirito come poesia e si
abbandonò con lirico pathos all'estro dell'ispirazione e al
volo della fantasia (Atterbom, Lycksalighetens ö; v. F.
Palmblad, P. Elgström, S. J. Hedborn, A. Tornerös, ecc.).
Dell'altra corrente, che ebbe il suo organo nella rivista Iduna
(1811-24), fu spirito vivificatore, accanto a P. H. Ling, padre
della ginnastica svedese, e ad A. H. Afzelius, E. G. Geijer: essi
volsero ogni loro attività a far rivivere l'antico spirito
nordico negli studî storici e filologici e nella poesia. La
terza corrente, erede della tradizione umanistica svedese, fu
rappresentata da E. Tegnér, il quale, contrapponendosi in
parte al fosforismo, mirò soprattutto alla "rinata vivente
classicità" di Goethe e Schiller (Frithjof-Saga, 1820). Come
spesso avviene per la lotta delle idee entro i confini di una
medesima epoca, la distanza fra le tre diverse correnti era meno
grande di quel che allora poteva parere; e tutte e tre confluirono
nella formazione di una generale coscienza romantica di cui tutti
gli altri poeti della prima metà del secolo subirono la
suggestione: da J. O. Wallin che rinnovò la poesia religiosa
a E. J. Stagnelius sensibile a tutto ciò che è
ebbrezza di sensi e ricchezza di colore; dall'estatico idealista (E.
Sjöberg) al poeta del Tasso e di Re Enzio, K. A. Nicander,
appassionato interprete svedese della poesia romantica d'Italia, e a
C. W. Böttiger, anch'egli poeta dell'Italia romantica, studioso
di Dante, fondatore, in Svezia, della filologia romanza.
Contemporaneamente si rinnovava, in senso romantico, il pensiero
filosofico e teologico, si costituivano e si consolidavano le basi
di una nuova storiografia, si trasformava sotto l'impeto delle nuove
idee la vita pubblica verso un orientamento liberale: e anche quando
il realismo della nuova epoca venne a poco a poco prevalendo, la sua
prima grande espressione fu quella di un romantico spirito che nella
realtà non riusciva a trovare il suo posto e nella
realtà "andò tragicamente a fondo": C. J. Almquist.
La vicenda del romanticismo in Norvegia fu, invece, più
rapida e breve: solo nel 1830, con la veemente polemica fra
Wergeland e Welhaven, il movimento romantico vi prese consistenza
generale. Si ripeté in Norvegia una situazione
sostanzialmente analoga a quella che s'era avuta in Svezia - sebbene
con colorito meno politico e in tono meno battagliero - fra Atterbom
e Tegnér. Wergeland era il "romantico di istinto", assertore
della liricità della poesia, dei diritti
dell'individualità creatrice, del sentimento nazionale, delle
idee democratiche, dell'elevazione politica e intellettuale del
popolo contadino. Welhaven invece era il romantico dal gusto limpido
e dalla mente chiara, che andava verso analoghe mete ma per diverse
vie, e chiedeva anche al sentimento coscienza di sé,
precisione di pensieri nel contatto con la realtà, misura,
equilibrio, e, naturalmente nella poesia, purità e
compiutezza di forme (Wergeland, Skabelsen, Mennesket og Messias;
Welhaven, Morgens dämring). Tutta la Norvegia intellettuale ne
restò divisa in due campi; ma, poiché la meta era una
e una la fede, finì col ricongiungersi in un solo fervore
nazionale di attività: P. Ch. Asbjörnsen e J. Moe
raccolsero leggende e fiabe popolari; P. A. Munch pubblicò la
raccolta delle antiche leggi; Ch. Lange diede inizio alla
pubblicazione del Diplomatarium norvegicum; I. Aasen trasse dallo
studio del norvegese antico e dei dialetti viventi l'idea del
Landsmaal; S. Bugge indagò l'antica poesia e mitologia e i
canti del popolo; C. Collett derivò dalla propria
appassionata esperienza, insieme con l'idea dell'emancipazione
femminile, la rappresentazione della realtà dell'epoca. E il
movimento culminò dopo il '60 nelle prime romantiche opere
dei due poeti, dai quali doveva più tardi scaturire la grande
poesia norvegese moderna: Ibsen e Björnson.
Il romanticismo nei paesi slavi e in Ungheria. - Carattere,
intensità e durata del movimento romantico nei paesi slavi
sono determinati soprattutto dallo stato culturale e politico in cui
questi paesi vennero a trovarsi nei primi decennî del sec.
XIX. Il parallelismo tra aspirazioni nazionali e letterarie vi
è tanto più stretto, e il continuo interferire tra le
une e le altre tanto più dominante, quanto più scarse
erano le tradizioni letterarie e più tristi le condizioni
nazionali e sociali.
Nella genesi del romanticismo la reazione alla letteratura del tardo
Settecento ha avuto invece, presso la maggioranza degli Slavi,
un'importanza secondaria: d'un lato, infatti, il romanticismo non
faceva che continuare, con impegno più risoluto e con spirito
e forme nuove, l'opera già svolta, in favore del
"risorgimento" degli Slavi, dall'epoca dell'illuminismo; d'altro
lato troppo modesto era il valore e troppo scarsa la vitalità
di quasi tutte le letterature slave anteriori al periodo romantico,
perché una reazione contro le correnti che vi predominavano
potesse avere presa sufficiente per trarre dalla lotta stessa la
forza e l'alimento per il trionfo di nuovi ideali di vita e di arte.
Ma anche dove, come in Polonia e come un movimento antagonistico
allo pseudoclassicismo e al razionalismo della fine del sec. XVIII,
anche qui sulle origini prevalentemente letterarie del nuovo
movimento prendono presto il sopravvento fattori politiconazionali
(Polonia) o politico-sociali (Russia): ora investendo di sé
il romanticismo con accento inconfondibile e impeto travolgente come
in Polonia; e ora riducendolo, dopo una sicura ma non profondamente
radicata affermazione, a periodo puramente transitorio, come in
Russia.
Non vi ha quindi nel romanticismo degli Slavi, dato il grande
divario delle premesse su cui esso in primo luogo poggia, né
stretta comunanza di tendenze, né unità di tono,
né identità di risultati. Esistono in compenso alcuni
elementi più o meno comuni: così l'avvicinamento ai
singoli popoli, al loro linguaggio, alla loro letteratura e alla
loro spiritualità; così ancora la predilezione
generale per alcuni aspetti più appariscenti del romanticismo
dell'Occidente: p. es., i Masnadieri dello Schiller (la letteratura
tedesca è considerata romantica per eccellenza), i romanzi di
W. Scott, i poemi del Byron; così, infine, l'attingere
copioso, con scarso discernimento e più scarsa
originalità (soltanto il romanticismo polacco creerà
col tempo una propria visione del mondo che risolverà in
sé anche il problema teorico della poesia), alle stesse fonti
della teoria e dottrina romantica, dal Herder (le cui Ideen zur
Philosophie und Geschichte der Menschheit diventano, per la parte
che più direttamente li riguardava, il vangelo degli Slavi) a
Schelling e ai fratelli Schlegel che specialmente da vienna, con le
loro elezioni e la loro collaborazione a riviste viennesi, agiscono
potentemente sugli slavi dell'Austria e le cui opere trovano lettori
attenti e docili anche fra i Polacchi e i Russi. Non mancano neanche
influenze reciproche tra l'una e l'altra letteratura slava nel
periodo romantico: i Cèchi devono non poco ai Polacchi; ai
Cèchi sono debitori, alla loro volta, gli Slavi meridionali;
né vanno trascurati i contatti letterarî e spirituali
tra Polacchi e Russi, anche se presto soffocati dalle avverse
condizioni politiche. Un nuovo impulso viene, infine, dal
romanticismo alle tendenze unificatrici di tutti gli Slavi; ma qui
naturalmente, più ancora che altrove, sono le condizioni
politiche a dettarne l'indirizzo e la sostanza: ben poco vi ha,
infatti, di comune tra l'indagare l'unità linguistica ed
etnica, caro ad alcuni precursori del romanticismo polacco, e il
fantasticare panslavistico dei Cèchi, o le affermazioni della
superiorità russa di alcuni romantici russi, in buona fede
camuffati di slavofilia. Più significativo è il fatto
che, sollevati in alto dall'ondata umanitaria del romanticismo,
anche fra gli Slavi di questo periodo gli spiriti più eccelsi
riescano, per lo meno a tratti, a far tacere ogni divergenza, a
comporre ogni dissidio in nome di un ideale superiore, ove abbiano
il loro posto e le singole nazioni slave e il grande gruppo etnico
e, infine, l'umanità tutta.
Lentamente e quasi inavvertitamente, ma nello stesso tempo con
disinvolta sicurezza di sé, il romanticismo s'insinua nella
letteratura russa del primo quarto del sec. XIX. Impossibile
precisarne, anche approssimativamente, la data di nascita. Il forte
bisogno di cultura, divenuto particolarmente sensibile con
l'avvicinamento materiale e spirituale all'Occidente dopo la
vittoriosa campagna contro Napoleone, fa entrare in Russia, a larghi
fiotti e senza discontinuità alcuna, insieme con attardati,
ma tenaci residui della letteratura pseudoclassica francese, le
opere più svariate della nuova letteratura romantica. Ma
nessun saggio programmatico radicale e nessun'opera poetica
decisamente innovatrice sta a fissarne l'avvento in terra russa.
Tentativi di precisare la portata e l'essenza della nuova arte non
mancano; ma essi non assumono una posizione netta, e
dall'esposizione di O. Somov, O romantičeskoj poezii (Intorno alla
poesia romantica, 1823) all'Opyt nauki izjaščnago (Saggio sulla
dottrina del bello, 1825) di A. J. Galič; dagli articoli del
principe Vjazemskij e di N. A. Polevoj fino a N. I. Nadeždin,
è una continua, e spesso pedestre disquisizione - in buona
parte sulla falsariga di Madame de Staël - sulle
caratteristiche e i pregi della poesia romantica. Non si tratta
quindi di affermazioni veramente programmatiche, ma di pagine
riflettenti il desiderio di rendersi conto di quanto, di qua e di
là dei confini patrî, sta svolgendosi nel mondo
letterario. E più che fornire impulsi fecondi e direttive
precise alla letteratura russa, che in mezzo all'affluire di nuove
correnti cerca un suo assestamento, questi teorici del romanticismo
registrano, trasferendole su un piano dottrinario, le innovazioni
avvenute e le seguono. Infatti, tra il 1810 e il 1830, la poesia
aveva di molto preceduto la teoria. Si leggevano ancora, e molto, le
opere di J. P. Florian e di J. F. Marmontel, ma spiritualmente si
era già lontanissimi dal loro mondo poetico. La censura
sospettosa e la gente ben pensante aveva in orrore le opere
romantiche; ma il "dolce" Goethe e il "terribile" Schiller,
Shakespeare e Young, e più tardi Byron, ottenevano adesioni
entusiastiche da parte del pubblico colto e, naturalmente, dei
letterati. Alle opere che con bello stile insegnano la
moralità, si preferiva quanto parlava al sentimento (N. M.
Karamzin, V. A. Žukovskij) e alla fantasia (M. N. Zagoskin, A. A.
Marlinskij) e non meno quanto, in maniera diretta o indiretta,
favoriva il riavvicinamento al passato russo e quanto veniva
incontro al profondo bisogno di riformare la società
contemporanea e d'inserirvi l'individuo nuovo, conscio della sua
libertà interiore (K. F. Ryleev, A. I. Odoevskij).
Ma proprio quando tutte queste tendenze ebbero trovato la loro
più perfetta espressione nell'opera di Puškin, allora, in una
nuova consapevolezza della missione della poesia, scomparve
rapidamente tutta l'attrezzatura tecnica del romanticismo
precedente: il sentimentalismo si liberò da ogni svenevolezza
e sdolcinatura, le visioni irrequiete si placarono, la realtà
fu vissuta nella più immediata concretezza e al primo piano
della letteratura apparvero l'individuo e la società. Puškin
aveva dato l'esempio di questo graduale, eppur rapido e inaspettato
trapasso. Ma a pochi anni di distanza, un'analoga trasformazione si
operò nell'arte dei due scrittori che, diversi tra loro,
furono così vicini al loro maestro: Lermontov e Gogol'. Il
primo, che più profondamente di ogni altro poeta russo aveva
sentito la romantica insoddisfazione del mondo circostante e in uno
sprezzante isolamento stava avviandosi verso il più cupo
pessimismo, ebbe la fine della sua breve carriera poetica
rischiarata da una visione del mondo limpida e nutrita di un robusto
realismo; il secondo, che negli anni giovanili si era scapricciato
in visioni fantastico-folkloristiche della sua terra natia, si
accorse ben presto che la sua missione era di ritrarre la
realtà della sua patria con l'infinita serie dei piccoli
tristi fatti che di sé la riempiono. Questo triplice
spontaneo passaggio dal romanticismo al realismo, sorretto da una
critica vigile e acuta, suggellò le sorti della letteratura
russa tra il 1840 e il 1880: solo lievi filoni romantici
continuarono a sussistere per riprendere nuovo vigore verso la fine
del secolo.
Diverse furono, invece, le condizioni nelle quali si svolse e i
risultati ai quali condusse il romanticismo polacco. Anzitutto
l'avvento del romanticismo vi era stato da lungo tempo preparato e
presentito. Gli stretti rapporti con l'Occidente avevano agevolato
la penetrazione in Polonia, a cavaliere tra i due secoli e
più ancora nei primi venti anni dell'ottocento, di tutte le
correnti preromantiche: accolte dagli uni con spontanea adesione
spirituale e letteraria, dagli altri con palese disorientamento,
diffidenza e apprensione. La forte tradizione letteraria della
seconda metà del Settecento riuscì per un tempo a
smussare le divergenze e ad adattare, in parte, al proprio spirito e
alle proprie forme la nuova poetica che incalzava. Un urto, dopo le
prime schermaglie, fu inevitabile. A comporlo non valse la soluzione
di compromesso propugnata da K. Brodziński, che in cerca per primo
"dello spirito della poesia polacca" tentò di risolvere il
problema Del classicismo e del romanticismo (1818). La nuova
sensibilità, nutrita di letture romantiche, lo sguardo sempre
più rivolto al popolo e al passato, fonti ambedue di
ammaestramento e di fresca poesia, imponevano un accoglimento totale
dei nuovi postulati: infatti, a soli quattro anni di distanza dal
saggio di Brodziński, la poesia romantica ai affermava decisamente,
con il primo volume di Poesie di A. Mickiewicz (cui nel 1823
seguì il secondo, contenente Grażyna e Dziady), da un centro
culturale di frontiera, Vilna, più sensibile, per la sua
stessa posizione, al problema nazionale, e non impacciato, come lo
era invece Varsavia, dalle ultime propaggini della letteratura
classicheggiante dell'epoca di Stanislao Augusto. Al Mickiewicz si
unirono, per gareggiare con lui con canti ricchi di passione e pieni
ora di soave malinconia, ora di truce tristezza, i poeti della
"scuola ucraina", finché, sopravvenuta la tragedia del 1831,
la nuova poesia assunse, soprattutto all'emigrazione, la guida
spirituale della nazione. E poiché la meta, sempre viva in
tutti i cuori, era la liberazione della patria, la poesia
investì in pieno il problema nazionale. Fu allora un
succedersi di opere (J. Słowacki, Z. Krasiński, H. Ciezkowski e
altri) nelle quali il martirio della patria e la fede nella sua
rinascita, spiritualizzandosi sempre più, finiva per
abbracciare, in visioni di redenzione universale, tutta
l'umanità sofferente. Né mai, prima o dopo, presso
alcun'altra letteratura, ci fu un connubio così perfetto tra
palpiti di realtà e miraggi di sogni, tra poesia pura e
poesia messa al servizio, con totale abnegazione, di un grande
ideale. La morte avvenuta tra il '49 e il '59 dei tre grandi poeti
romantici, e più ancora la seconda catastrofe nazionale del
1863, posero fine alla poesia e ai sogni romantici. Ma rimase
operante la fede che, anche contro la volontà della nuova
generazione di scrittori, inclini ormai a un sobrio e minuto esame
della realtà, non poté, nei momenti di più
intensa ispirazione poetica, non colorirsi di accenti romantici.
Presso i Cèchi il romanticismo fu in primo luogo un momento
culturale e patriottico. La poesia stessa, sia quella popolare che
si andava diligentemente raccogliendo e pubblicando (Fr.
Čelakovský), sia quella più o meno originale (J.
Kollár), doveva soprattutto assecondare e promuovere il
risorgimento nazionale. Ma proprio per questa ragione essa non
è che una corrente quasi marginale del romanticismo
cèco. Sulla via principale incontriamo invece: la creazione
di una lingua letteraria (traduzioni dall'inglese e dal francese e
il grande dizionario di J. Jungmann), lo studio delle
antichità cèche e slave in generale (P. J.
Šafářík), infine la grande opera di rievocazione della
storia boema di Fr. Palacký. Uno spirito borghese, tenace e
ordinato, caratterizza questa letteratura, intenta a realizzare un
vasto programma di rinnovamento della cultura nazionale e della
nazione stessa. Fu un'eccezione, tra queste menti sistematiche e
sobrie, l'apparizione di una tempra di vero poeta e di schietto
romantico, K. H. Mácha, la cui poesia rimase,
necessariamente, incompresa.
Anche presso gli Slavi meridionali: Sloveni, Croati, Serbi e
Bulgari, non ci fu posto per una vera letteratura romantica. Non era
possibile, in paesi che fino alla metà del sec. XIX non
avevano potuto avere che una grama cultura letteraria, elevarsi
subito a una poesia che non avesse, in primo luogo, carattere
edificante e didattico. D'altro lato, presso i Croati e gli Sloveni,
era sentito anche l'influsso della letteratura italiana che
determinò, almeno in parte, il carattere piuttosto classico
dei migliori poeti d'allora degli Slavi del sud: dello sloveno Fr.
Prešeren e del croato I. Mažuranić. Presso i Serbi invece
agì, più potentemente che non presso i Croati, la
poesia popolare, raccolta proprio nel periodo romantico e sotto la
spinta di tendenze romantiche dal geniale V. N. Karadžić: ad essi
non poco devono, nella loro visione romantica della vita, alcuni tra
i più eminenti poeti dell'epoca: Br. Radičević, Gj. Jakšić,
J. Jovanović.
Ungheria. - La grande dovizia di esperienze poetiche e culturali,
patriottiche e sociali che nelle nazioni germaniche e latine, a
cavaliere tra il sec. XVIII e il sec. XIX, il romanticismo aveva
promosse e sulle quali, a sua volta, poggiava, trovò in
Ungheria una pronta e fervida accoglienza. Il clima spirituale vi
era, infatti, quanto mai propizio: proprio allora si stava operando
nelle terre ungheresi un profondo rinnovamento di tutta la vita
nazionale, dall'arricchimento della lingua (F. Kazinczy) alla fede
in un risorgimento dello stato e della nazione. A questa fede il
romanticismo diede, con il calore e la ricchezza dei suoi mezzi
espressivi e con l'ampiezza delle sue visioni, un impulso decisivo.
E da cenacoli, ristretti da principio a pochi (l'almanacco Aurora di
C. Kisfaludy), da progetti arditi di riforme culturali e sociali
(conte Széchenyi), questa fede si diffuse in ampî
strati della popolazione, ovunque recando con sé fervore
d'azione e accenti di calda lirica passione. Rivivevano,
poeticamente trasformate ed esaltate, le tradizioni del passato
nazionale (Katona, Vörösmarty); il contatto col popolo
faceva scoprire nuovi tesori di vita e di arte; il sentimento dei
valori individuali e collettivi conquistava rapidamente robustezza e
profondità. Nella vita letteraria fu quasi assoluto il
predominio della poesia lirica, che da F. Kölcsey - attraverso
i fratelli Kisfaludy e M. Vörösmarty - ad A. Petöfi
segna un'ascesa rapida e continua; ma anche il dramma (J. Katona) e
l'epica (M. Vörösmarty, J. Arany) sono pervasi di lirismo,
e lirica è, nella foga da cui è animata, l'arte
oratoria che trova in Kossuth il suo più grande
rappresentante. Di elementi lirici, infine, è ricco il
romanzo ungherese che, dopo il 1848, con J. Eötvös, s.
Kemény e M. Jókai, riunisce in sé e conchiude
le svariate tendenze romantiche.
[...]
Arte.
Si suole determinare storicamente l'arte romantica nel movimento
artistico europeo della prima metà del sec. XIX, che nasce
come reazione all'ideale del bello classico, proprio del
neo-classicismo arcadico della fine del sec. XVIII e del
neo-classicismo eroico della rivoluzione e dell'Impero, sebbene una
causa anche più profonda sia da cercarsi nel diffondersi
delle estetiche dello Schiller e, più, di F. Schlegel, per il
quale l'ideale dell'arte non è il bello, ma "il
caratteristico e l'interessante.... il piccante, cioè che
colpisce, l'avventuroso, il crudele, il brutto" (Croce). Lo Stendhal
nella Histoire de la peinture en Italie delineava chiaramente
l'opposizione tra il bello ideale classico e il bello ideale
moderno, affermando la superiorità della pittura sulla
scultura, meno idonea a realizzare il bello moderno, che non
è nitida costruzione formale in nobiltà di
atteggiamenti, ma intima vivezza e fugacità di espressione,
non eterna bellezza, ma grazia e sensibilità immediate: onde
l'ideale di una pittoricità di luci, ombre, sfumature,
nervosità di segno. In seguito l'ideale dell'arte romantica
fu esaltato da Th. Gautier e teorizzato da C. Baudelaire, che nel
Salon del 1846 definiva l'arte romantica come "l'expression la plus
récente, la plus actuelle du beau"; ciò che implica la
partecipazione diretta del mondo sentimentale e passionale
dell'artista all'opera d'arte. Appunto per questa necessaria
attualità del sentimento, l'arte romantica, al contrario del
classicismo, sempre preoccupato della nobiltà dei soggetti,
non consiste "ni dans la choix des sujets ni dans la
vérité exacte, mais dans la manière de sentir".
In Francia, più che altrove, fu vivo il movimento artistico
romantico, determinatosi come reazione al freddo accademismo di
J.-L. David: e, sebbene i primi sintomi di reazione possano
già avvertirsi in opere come Le radeau de la Méduse di
J.-L. Géricault (1819), il corifeo dell'arte romantica fu E.
Delacroix, artista che ebbe un limite nella sua stessa
volontà polemica; ma che tuttavia contrappone al rigore
disegnativo degli accademici una piena libertà di segno, al
loro accurato chiaroscuro la violenza della luce e dell'ombra e dei
forti impasti coloristici, allo studio delle statue antiche l'amore
per la pittura del Rubens, del Van Dyck, del Rembrandt, dei Veneti;
mentre d'altra parte opponeva ai soggetti mitologici o ricavati
dalla storia greca e romana soggetti ispirati alle opere di W.
Shakespeare, di G. Byron, di W. Scott, quando non addirittura
dettati dall'entusiasmo politico del momento. La stessa esigenza
drammatica che il Delacroix contrappone alla freddezza e alla
compostezza classica - sia pur riscaldata dalla più intima
sensibilità pittorica di J.-A. Ingres - spingeva al desiderio
di più vasti orizzonti pittorici, quali quelli promessi
dall'Oriente; onde la corrente di orientalismo, che fu iniziata dal
Delacroix dopo il viaggio al Marocco del 1832, e ripresa da molti,
tra cui A.-G. Decamps, che trova nelle aspirazioni più
modeste e negli intenti più realistici qualche concretezza
pittorica.
Debolmente rappresentata nella scultura da Jehan du Seigneur, da A.
Préault e dall'animalista A.-L. Barye, l'arte romantica
francese chiude il ciclo della sua attività polemica verso il
1840; ma le spetta il merito di un rinnovamento del gusto, senza il
quale non sarebbe stato possibile lo sviluppo delle correnti
realistiche, che da un lato fan capo a G. Courbet e dall'altro,
attraverso la scuola di Fontainebleau, giungono a J.-B. Corot, e che
preludono all'impressionismo.
Anche nella critica l'ideale romantico è stato rinnovatore:
basti pensare alla critica del Baudelaire per l'arte contemporanea,
di E. Fromentin per l'arte fiamminga e olandese; alla rivalutazione
dei primitivi compiuta in Francia da A. L. Rio, in Italia da R.
Selvatico, in Germania da K. F. Rumohr sotto l'influenza della
filosofia di F. W. Schelling, di G. H. Wackenroder, e in Inghilterra
da J. Ruskin.
Appunto perché più direttamente sottoposto a influenze
filosofiche, il romanticismo tedesco ha, nell'arte, orientamenti
più intellettualistici, che ben presto rimangono isolati,
lasciando più vivi riflessi nella storia della critica che
nella storia nell'arte. Tale il caso di F. Overbeck che, spinto
all'amore dei primi dalle rivendicazioni del Wackenroder e degli
Schlegel, si recò a Roma nel 1810 e costituì nel
chiostro di S. Isidoro la fraternita, detta poi dei nazareni; ma
questo tentativo di rinnovare un'arte di misticismo, al modo di
quella dei primitivi, non ebbe risultati concreti, né
seguito. Ai nazareni tedeschi si collega il movimento italiano dei
puristi (1843) iniziato da A. Bianchini e al quale aderirono, con F.
Overberk, T. Minardi e P. Tenerani. Programma dei puristi è
la fedeltà e la dedizione assoluta alla natura, il culto dei
primitivi e l'indifferenza per l'arte del Rinascimento, la negazione
polemica del chiaroscuro plastico e dei soggetti storicamente
determinati. Più feconda è la corrente romantica, di
cui è rappresentante tipico F. Hayez.
Poiché il neoclassicismo italiano di G. Bossi, di A. Appiani,
di L. Sabatelli, di A. Canova stesso, sebbene in grado minore, si
era mantenuto lontano dal classicismo forzato di un David e
più memore di settecentesche libertà pittoriche, anche
la reazione fu meno impetuosa. L'Hayez stesso mantiene fede a ideali
di bellezza formale classica e di chiaroscuro, appena corretti dal
colorito più caldo implicito nella sua educazione artistica
veneziana, e il suo rinnovamento consiste soprattutto nella
preferenza per i soggetti ispirati alla storia medievale e
contenenti, come i Vespri Siciliani, allusioni politiche: né
diversa è la posizione di A. Ciseri, di F. Podesti, di S.
Ussi e neppure di D. Morelli e di F. Faruffini, sebbene questi abbia
cercato gamme più intense di colore. Rinnovatore è,
invece, G. Carnevali detto il Piccio, che, ricollegandosi alla
tradizione correggesca, raggiunge risultati pittorici attraverso
disfacimenti formali, che saranno poi sviluppati da D. Ranzoni e da
T. Cremona. Sotto l'impulso degli avvenimenti politici, al quadro
storico si aggiunge presto il quadro patriottico con D. Induno e poi
con G. Fattori, che tuttavia è artista incomparabilmente
più alto dove cessa l'intento contenutistico.
In Inghilterra, mentre qualche conato di quadro storico fioriva
dalla predominante pittura di genere, il romanticismo ha una
singolare e precoce espressione nei paesaggi sommarî e
drammatici di C. Turner, in quelli più precisi di R. P.
Bonington e di J. Constable. Precorso dal simbolismo di W. Blacke,
teorizzato polemicamente dal Ruskin, il romanticismo inglese ha,
come quello tedesco, uno sviluppo piuttosto intellettualistico che
artistico: pieno di aspirazioni vagamente mistiche, non disgiunte da
una sottile ansia sensuale, proclama il ritorno alla natura vissuta
con semplicità religiosa e afferma, in sede critica, la
superiorità dei primitivi sul classicismo: onde il nome che
fu dato ai seguaci di questa corrente di "preraffaelliti": ne fu
iniziatore Dante Gabriele Rossetti, cui fecero seguito Holman Hunt,
J. E. Millais, Burne Jones, G. F. Watts e altri.
In Belgio, il romanticismo pittorico nasce come affermazione di
ideali patriottici nell'arte e con la rivalutazione del mondo
pittorico del Rubens e del Van Dyck. Tra i molti mediocri pittori di
questa corrente, quali H. De Caisne, G. Wappers, L. Gallait,
è da ricordare H. Leys che, dopo un viaggio in Germania che
lo arcosta ai nazareni, sacrifica il pittoricismo alla Delacroix
alla nuova devota ammirazione dei primitivi.
L'arte tragica del Goya che tanti riflessi ebbe sul romanticismo
francese, ebbe minor seguito in Spagna. F. de Madrazo, che fu a Roma
seguace dell'Overbeck, si accosta a poco a poco a Ingres: e al gusto
per il quadro storico, nei suoi limiti narrativi, aderiscono E.
Rosales, F. Pradilla, J. Carbonero, A. Munoz Degrain, ecc.
Il motivo polemico dell'arte romantica si avvantaggia grandemente
dell'incisione e della litografia: la caricatura, esaltata dal
Baudelaire come conquista romantica, è ancor troppo
impigliata in esigenze pratiche in N.-T. Charlet e in P. Gavarni, ma
giunge con H. Daumier all'opera d'arte.
Scarsi riflessi ebbe il gusto romantico sull'architettura: anzi
questi riflessi sono limitati alle teorie architettoniche, nelle
quali con E. Viollet-le-Duc in Francia e con R. Selvatico in Italia,
si afferma la grandezza e la purezza stilistica dell'architettura
gotica contro l'arte classica, razionalistica e fredda.
*
Wikipedia
Il Romanticismo è stato un movimento artistico, musicale,
culturale e letterario sviluppatosi in Germania (Romantik)
preannunciato in alcuni dei suoi temi dal movimento preromantico
dello Sturm und Drang, al termine del XVIII secolo e poi diffusosi
in tutta Europa nel secolo seguente.
Il termine "Romanticismo" viene dall’inglese romantic che nella
metà del XVII secolo usava questo termine riferendolo a
ciò che rappresentava non la realtà ma quello che
veniva descritto in termini "romanzeschi" in certa letteratura come
quella dei romanzi cavallereschi. Accanto a questo primo significato
si sviluppò e alla fine prevalse nel XVIII secolo quello di
"pittoresco" riferito non solo a ciò che veniva
artisticamente raffigurato ma soprattutto al sentimento che ne
veniva suscitato.
Indice
1 Definizioni e interpretazioni
2 Temi tipici del Romanticismo
3 Punti chiave del Romanticismo
4 Il Romanticismo nell'arte
4.1 La nuova
sensibilità
5 Il Romanticismo nella letteratura
5.1 Il Romanticismo
letterario inglese
5.2 Il Romanticismo
letterario francese
5.3 Il Romanticismo
letterario statunitense
5.4 Il Romanticismo
letterario italiano
6 Il Romanticismo nella musica
7 Il Romanticismo nella filosofia
8 La concezione romantica della storia
9 Note
10 Bibliografia
10.1 Classica
10.2 Critica
11 Altri progetti
12 Collegamenti esterni
Definizioni e interpretazioni
Non è possibile definire il Romanticismo in senso univoco
poiché si tratta di un fenomeno complesso che assume
connotazioni diverse a seconda delle nazioni in cui si sviluppa. Nel
movimento romantico non c'è un riferimento preciso a un
sistema chiuso di idee che possa compiutamente definirlo ma esso fa
piuttosto riferimento a un "modo di sentire" a cui gli artisti del
tempo adeguarono il loro modo di esprimersi artisticamente, pensare
e vivere.
Per quanto il Romanticismo sia un movimento culturale di origini
tedesche, esso si sviluppa anche in Inghilterra, a seguito del
declino dell’Illuminismo. Pittori come Géricault, Delacroix e
Caspar David Friedrich emergono come importanti artisti romantici
mentre in Inghilterra Turner dà una impronta personale al
sentire visivo romantico.
Come reazione all’Illuminismo e al Neoclassicismo, cioè alla
razionalità e al culto della bellezza classica, il
Romanticismo contrappone la spiritualità, l’emotività,
la fantasia, l’immaginazione, e soprattutto l’affermazione dei
caratteri individuali d’ogni artista. Il termine "Romanticismo"
venne applicato per primo da Friedrich von Schlegel (1772) alla
letteratura da lui considerata "moderna" e contrapposta a quella
"classica". August Wilhelm von Schlegel scrive (nell’opera Corso di
letteratura drammatica) che era un termine più che adeguato
per definire il movimento che si era venuto a creare verso il 1790,
perché alludeva alla lingua romanza, originata dalla
mescolanza dei dialetti tedeschi con il latino. E proprio la
diversità e l’eterogeneità erano rappresentative,
secondo lui, dell’era romantica, in cui l’uomo non era più
integro, unico e sufficiente a se stesso come nell’antichità
classica, quando veniva predicato il concetto latino dell’autarchia
(cfr. Orazio). Infatti, secondo i filosofi come Schopenhauer che si
rifanno in parte a Johann Gottlieb Fichte, l’uomo, essere finito,
tende all’infinito, cioè è alla costante ricerca di un
bene o di un piacere infinito, mentre nel mondo finito a sua
disposizione non trova che risorse limitate.
Questo fa sì che l’uomo senta un vuoto, una mancanza, che lo
relega in una inevitabile situazione di infelicità. Tale
posizione era già presente in Pascal, che però usava
l'argomento a sostegno della ragionevolezza del Cristianesimo;
è invece un elemento originalmente romantico l’aver
confrontato tale condizione dell’uomo moderno con la condizione
dell’uomo nel mondo classico. Come dice August Schlegel:
« … presso i greci, la natura umana bastava a sé
stessa, non presentava alcun vuoto […] la religione sensuale de’
Greci non prometteva che beni esteriori e temporali. »
Tornando al termine "Romanticismo" che, utilizzato in modo sempre
più ampio ed esteso, venne applicato già
nell'Ottocento, dapprima ad una nuova tendenza della
sensibilità basata sull'immaginazione e in seguito a un
orientamento più diffuso del pensiero filosofico, parlando,
via via, non solamente più di arte romantica, ma anche di
scienza o filosofia romantiche.
Gli atteggiamenti interpretativi degli studiosi riguardo al termine
romantico sono stati molto vari, e ciò crea problemi a chi
voglia definire con maggior precisione questo termine. Il Wellek
restringe il Romanticismo solamente a quei movimenti letterari
europei che nella prima metà dell'Ottocento si rifecero a
questo nome. Il Praz collega il Romanticismo ad un cambiamento della
sensibilità avvenuto nel Settecento e vivo ancora oggi.
Filosofi come Schlegel e Nietzsche considerano il Romanticismo come
uno dei due cardini sul quale ruota continuamente la
spiritualità dell'uomo, distinguendo il primo fra classico e
romantico, il secondo tra apollineo e dionisiaco.
Le opinioni divergono non solo sul termine, ma anche
sull'omogeneità europea del fenomeno: alcuni, come il Wellek,
evidenziano una sostanziale omogeneità, altri, come il
Lovejoy, una maggiore diversità delle sue manifestazioni
nazionali. Ancor oggi nel linguaggio comune le differenze sono
molteplici: infatti, mentre in tedesco romantisch evoca immagini
letterarie di paesaggi e di ricordi medievali, in inglese romantic
si collega a concezioni sentimentali e all'amore.
Volendo assumere come riferimento temporale alcuni precisi fenomeni
letterari, bisogna in ogni caso tener presente che essi si
svilupparono in periodi differenti (tra il 1800 e il 1830) a seconda
dei diversi paesi europei. Il Romanticismo nacque infatti dapprima
in Germania con la fondazione della rivista Athenaeum, creata nel
1798 dallo stesso Schlegel insieme al fratello Wilhelm ed al poeta
Novalis, riuniti nel gruppo usualmente chiamato gruppo di Jena;
nello stesso anno 1798 esso nasceva in Inghilterra con la
pubblicazione delle Lyrical Ballads di Coleridge e di Wordsworth; in
Francia iniziò invece nel 1813 con la pubblicazione, a Londra
ma in lingua francese, dell'opera De l’Allemagne di Madame de
Staël, e infine in Italia nel 1816, previa autorizzazione del
governo austriaco, grazie alla Biblioteca Italiana, il periodico
letterario voluto e finanziato dai primi governanti austriaci della
Lombardia, Bellegarde e Saurau, allo scopo di diffondere il consenso
verso il nuovo governo succeduto ai francesi.
Temi tipici del Romanticismo
Temi caratteristici di quasi tutti i campi toccati dal movimento
romantico sono:
* Negazione della ragione illuminista: gli autori
romantici rifiutano l’idea illuministica della ragione,
poiché questa non si è rivelata in grado di spiegare
la totalità del mondo e di tutto ciò che è.
Nell’era romantica si verifica pertanto un notevole progresso
nell'esplorazione dell'irrazionale: i sentimenti, la follia, il
sogno, le visioni assumono un ruolo di primaria importanza.
* Esotismo: è una fuga dalla realtà, che
può essere sia temporale che spaziale ("Locus amoenus") e
perciò rivolge il proprio interesse verso mete esotiche o
comunque lontane dai luoghi di appartenenza, oppure ad un’epoca
diversa da quella attuale, come il Medioevo o l’età classica
antica.
* Soggettivismo e individualismo: con l'abbandono della
ragione illuministica, tutto ciò che circonda l'uomo, la
natura, non ha più una sola e razionale chiave di lettura, ed
è così che si arriva al concetto per cui ogni uomo
riflette i propri problemi, o comunque il proprio io, nella natura,
che ne diventa così il prodotto soggettivo.
* Concetto di popolo e nazione: una fonte di
ispirazione dei poeti romantici è l’opera di Omero, che si
prefigura come il risultato della tradizione orale e folcloristica
dell'intero popolo greco antico; in questo periodo l’individualismo
assume tra l'altro, su grandi dimensioni (quindi a livello di stato
e/o nazione), l'aspetto del nazionalismo, sviluppando grande
interesse per il popolare e le espressioni folcloristiche, spesso
unito al desiderio di ricerca delle antiche origini da cui sono
sorte le nazioni moderne: da qui il profondo interesse per il
Medioevo, così disprezzato dall'Illuminismo, che viene
considerato come periodo di nascita delle nazioni moderne e che
perciò viene molto rivalutato.
* Ritorno alla religiosità ed alla
spiritualità: oltrepassando i limiti della ragione stabiliti
dagli illuministi, l’uomo romantico cerca stabili supporti nella
fede e nella conseguente tensione verso l’infinito. Si determina
così un ritorno all'utilizzo di pratiche magiche e occulte, a
volte accidentale motivo di importanti scoperte scientifiche.
* Studio della Storia: mentre nel Settecento
illuminista l’uomo veniva considerato quale essere razionale sempre
dotato di dignità a prescindere dal suo particolare contesto
storico, in età romantica si recupera una visione dell’uomo
in fieri, cioè in costante cambiamento. Si sviluppano
così nuove discipline come la numismatica, l’epigrafia,
l’archeologia, la glottologia. Due importanti teorizzatori della
lettura più scientifica e oggettiva della storia sono Mommsen
e Niebhur.
Parallelamente si sviluppa una forte critica allo spregiudicato uso
del lume della ragione, che nel Settecento aveva condotto molti
pensatori illuministi a stigmatizzare il popolo del Medioevo,
ritenuto oppresso dal peso di una religione oscurantista: i
romantici, predicando un ritorno alla religiosità e invitando
al tuffo nella fede (oggetto d’indagine peraltro già
affrontato da Pascal e successivamente da Kierkegaard), riabilitano
i tempi "bui" del Medioevo, apprezzando quei caratteri che
l’Illuminismo criticava (lo stesso Hegel finirà per
rivalutare le religioni "positive", condannate in età
giovanile).
Punti chiave del Romanticismo
Il Romanticismo si rifà in linea di massima alla
necessità di attingere all'infinito. Di conseguenza sono
spesso ricorrenti alcuni essenziali punti cardine come:
* Assoluto e titanismo: caratteristica inequivocabile
del Romanticismo è la teorizzazione dell'assoluto, l'infinito
immanente alla realtà (spesso coincidente con la natura) che
provoca nell'uomo una perenne e struggente tensione verso l'immenso,
l'illimitato. Questa sensibilità nei confronti dell'assoluto
si identifica nel titanismo: viene paragonata dunque allo sforzo dei
titani che perseverano nel tentativo di liberarsi dalla prigione
imposta loro da Zeus, pur consapevoli di essere stati condannati a
restarci per sempre.
* Sublime: secondo i romantici, l'infinito genera
nell'uomo un senso di terrore e impotenza, definito sublime, che non
sono tuttavia recepiti in modo violento, tali da deprimere il
soggetto, ma al contrario l'incapacità e la paralisi nei
confronti dell'assoluto si traduce nell'uomo in un piacere
indistinto, dove ciò che è orrido, spaventevole e
incontrollabile diventa bello.
* Sehnsucht: dal tedesco traducibile come desiderio del
desiderio o male del desiderio. È la diretta conseguenza di
quanto sperimenta l'uomo nei confronti dell'assoluto, un senso di
continua inquietudine e struggente tensione, un sentimento che
affligge il soggetto e lo spinge ad oltrepassare i limiti della
realtà terrena, opprimente e soffocante, per rifugiarsi
nell'interiorità o in una dimensione che supera lo
spazio-tempo.
* Ironia: la consapevolezza della finzione delle cose
che circondano l'uomo e che egli stesso crea si traduce nell'ironia,
per cui l'uomo prende coscienza della sua stessa limitatezza.
L'ironia, che Socrate medesimo usava per autosminuirsi quando si
confrontava con i suoi interlocutori (ironia socratica), si
identifica quindi in un atteggiamento dissimulatore.
Il Romanticismo nell'arte
Nel 1819 viene definita romantica la scuola che mira alla
rappresentazione fedele di profonde e toccanti emozioni, mentre nel
1829 l'attributo romantico viene esteso a molti fenomeni collaterali
delle arti visive, entrando nel gergo delle sarte, delle modiste e
persino dei pasticcieri, romantico è tutto ciò che ha
un'aria di inverosimile, irreale e fantastico, tutto quello che si
contrappone all'arte accademica definita forzata, artificiale
dogmatica e priva di fantasia. Charles Baudelaire a commento del
Salon del 1846 scrisse il saggio Che cos'è il Romanticismo?,
in questo definisce romantico chi "conosce gli aspetti della natura
e le situazioni degli uomini che gli artisti del passato hanno
sdegnato o misconosciuto". Lo scrittore inoltre fa coincidere
Romanticismo e modernità affermando: "Chi dice romantico dice
arte moderna, cioè intimità, spiritualità,
colore, aspirazione verso l'infinito espresse con tutti i mezzi che
le arti offrono".
Un dipinto romantico è facilmente riconoscibile perché
fa largo uso di panorami naturali sterminati e violenti, definiti
sublimi come nel caso del viandante sul mare di nebbia, di
Friedrich, dove un uomo è ritratto di spalle (questo
rappresenta la parte inconscia e nascosta del suo animo) ed è
affacciato su di un mare di nebbia che invade un paesaggio
montagnoso. È importante il fatto che l'uomo viene
identificato come viandante, che lo ricollega al tema romantico
dell'esule. Questo quadro non è bello nel senso di
equilibrato e piacevole, al contrario manca di punti di riferimento
e suscita inquietudine, paura. Allo stesso tempo, un altro quadro,
paesaggio invernale, presenta altri tòpoi, come quello
dell'inverno e della neve, che rappresenta la vecchiaia, oppure gli
alberi spogli che rappresentano la morte. L'uomo nel dipinto si
regge ad un bastone: quelle sono le illusioni che l'uomo coltiva per
vivere. Così si va delineando un tipo di arte che riflette la
filosofia e le tendenze artistiche di quegli anni, dove l'artista
era in conflitto con la società borghese ed i suoi valori,
che vedevano l'arte come qualcosa di commercialmente non produttivo
e quindi inutile.
Inoltre, dipinti come L'onda, di Gustave Courbet, riflettono quel
senso di vuoto e di mancanza di punti di riferimento dell'uomo
romantico. Autori tipici del Romanticismo sono anche Goya,
Delacroix, Gericault, Turner.
La nuova sensibilità
La nuova poetica romantica alla fine del Settecento non va ricercata
nelle novità formali, ma nell’invenzione di numerosi temi e
motivi che verranno più ampiamente sfruttati tra il 1820 e il
1840. Il principale mutamento nella scelta del soggetto concerne sia
l’aspetto letterario che storico. Da una parte ormai si preferiva
Shakespeare, Jean Froissart e Ossian agli autori classici;
dall'altra è la storia nazionale e non più quella
antica a diventare protagonista delle tele. Com'è naturale,
la riscoperta di Shakespeare avviene in Inghilterra, dove venne
promossa la creazione di una Shakespeare Gallery a Boydell, composta
di opere commissionate a una trentina di artisti a partire dal 1786,
su temi tratti dalle tragedie del drammaturgo. Tra queste il quadro
di John Runciman con Re Lear nella tempesta (1767, Edimburgo,
National Gallery).
In Francia, per iniziativa del conte d'Angiviller, furono
commissionate pitture e statue dedicate agli eroi della storia
francese, tra queste nel 1781 Robert Ménageot realizzò
la tela con La morte di Leonardo, un quadro di forte assonanza con
la pittura romantica, anche nei colori e negli effetti teatrali tesi
a drammatizzare l'avvenimento. Con la Deposizione di Atala, del
1799, Anne-Louis Girodet-Trioson allievo di David, inserì le
figure in un mondo primitivo, fonte di turbamenti e sentimenti non
più controllati dalla ragione. Nel Salon del 1808
Antoine-Jean Gros presenta la tela con Napoleone sul campo di
battaglia di Eylau il 9 febbraio 1807, un tela storica di carattere
encomiastico, che presenta, nei morti e feriti in primo piano, forti
accenti di carattere realistico. Nel 1831 il periodico romantico
«L'Artiste» scriverà: Non abbiamo dubbi:
"Napoleone sul campo di battaglia di Eylau" segna la nascita della
scuola romantica.
Il Romanticismo nella letteratura
Il movimento romantico europeo ebbe origine nell’opera di alcuni
letterati e ideologi tedeschi della fine del Settecento. Si faceva
una netta distinzione tra la poesia naturale, "Naturpoesie", quella
che esprime subito, con il sentimento, le caratteristiche di una
nazione, e la poesia riflessa o d'arte che è quella che non
nasce spontanea, ma nasce dalla imitazione dei modelli stranieri.
Il diverso atteggiamento che gli scrittori e i poeti assumono nella
vita fa sì che nella produzione letteraria si sviluppino due
correnti:
* la corrente soggettiva, che concepisce la poesia come
una delle più alte espressioni di spirito, di fantasia, di
sentimento dell'uomo, espressione spontanea degli ideali
dell'artista. Costui dà voce all'inquietudine e
all'insoddisfazione dello spirito umano, al contrasto tra reale e
ideale, tra finito e infinito che dilaniano il suo cuore. La poesia
è fonte di introspezione, scavo interiore, analisi degli
stati d'animo dell'autore che sono universali e accomunano tutti gli
uomini;
* la corrente oggettiva, che concepisce la letteratura
come rappresentazione di una realtà lirico-sociale; vuole
rappresentare il vero esteriore, la vita e gli ideali degli uomini
di un preciso tempo e luogo. Lo strumento principale di cui si serve
è il romanzo.
Si sostenne che ogni nazione avesse la sua poesia, diversa per forma
e lingua dalle altre, pertanto era assurdo che la poesia tedesca si
rifacesse a quella dei greci o dei romani. Essa doveva trovare una
poesia nuova e spontanea che fosse conforme alla sua storia e alla
sua natura.
Le caratteristiche degli scrittori di questo gruppo furono il
disprezzo per tutte le forme dell'arte classica, l'idea di una
poesia intesa come immediata adesione alla natura, l'ammirazione
verso le fonti primitive dell'arte germanica, l'esaltazione di un
tipo di eroe appassionato e ribelle ad ogni legge.
Per quanto riguarda gli artisti romantici tedeschi, bisogna dire che
in Germania si sviluppò tra il 1770 e il 1785 il movimento
dello Sturm und Drang (trad. lett. "tempesta ed impeto"), che
vantava artisti come Goethe e Schiller; nel 1798 invece nacque
ufficialmente il Romanticismo, con la pubblicazione del primo numero
del giornale "Athenaeum". Da allora si distinsero due diverse
scuole: quella di Jena e quella di Heidelberg. Della prima facevano
parte i due fratelli Schlegel, fondatori della sopracitata rivista,
e altri artisti come Novalis, Tieck e Schelling; della scuola di
Heidelberg (che aveva tendenze campanilistiche) facevano parte
autori come Von Chamisso e Brentano.
Il Romanticismo letterario inglese
Contemporaneamente, in Inghilterra, si manifestò un analogo
movimento letterario e poetico di cui i primi esponenti furono
Wordsworth e Coleridge.
Gli autori romantici inglesi vengono generalmente divisi in due
diverse generazioni: una che concerne la fine del 1700, e un’altra
che è vissuta nella prima metà del 1800. Della prima
fanno parte Wordsworth, legato al concetto di epifania (intesa come
riflessione profonda stimolata inaspettatamente da un fatto prosaico
e quotidiano), Coleridge, poeta generalmente definito onirico a
causa dell'atmosfera suscitata dalle sue opere, nelle quali sembra
di essere in un sogno, e Blake, poeta visionario, che vedeva nella
natura dei simboli che si qualificavano come chiavi di lettura di
una realtà oltre quella fenotipica. Della seconda generazione
si possono definire poeti come John Keats, un nostalgico dell’era
classica, Byron, il prototipo del poeta ribelle ed esule, e Shelley,
che aveva molto caro il tema della libertà (basti pensare al
titolo di una sua opera: Prometeo liberato).
Un posto a se stante merita, nel panorama romantico inglese dei
primi decenni dell’ottocento, il narratore e saggista Thomas de
Quincey, dalla fantasia accesa e visionaria, anticipatore di
correnti estetiche inquadrabili nel decadentismo europeo della
seconda metà del secolo.
Esponenti molto importanti del Romanticismo inglese furono i pittori
John Constable e William Turner, appartenenti alla corrente
naturalista, nonché il già citato William Blake, con
la sua particolare pittura onirica.
Il Romanticismo letterario francese
Il Romanticismo francese si è distinto tra gli altri per il
profondo rinnovamento di temi, forme ed estetica della letteratura.
Capofila dei romantici francesi sono stati in parte Madame de
Staël, ma soprattutto autori come Alphonse de Lamartine con le
Meditations, François-René de Chateaubriand, e Victor
Hugo con le Odes e le sue due opere più importanti:
Notre-Dame de Paris e Les Miserables.
Il Romanticismo letterario statunitense
Negli Stati Uniti il movimento letterario romantico assunse
caratteri peculiari nella vocazione filosofico-profetica del
Trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau,
confluito poi nelle poetiche di Walt Whitman ed Emily Dickinson, con
influssi sul romanzo di Herman Melville.
Il Romanticismo letterario italiano
In Italia, alcuni elementi tipici della nuova sensibilità
romantica si possono già trovare in Ugo Foscolo, dove
però risultano in parte legati alla corrente del
neoclassicismo. Un'altra estensione dell'ideale letterario a fatto
politico e sociale della rinascita dell'Italia si ebbe con Vittorio
Alfieri (1749-1803), che diede inizio a quel filone letterario e
politico risorgimentale che si sviluppò nei primi decenni del
XIX secolo.
La data d'inizio vera e propria del Romanticismo italiano è
il 1816: nel gennaio di tale anno, infatti, Madame de Staël
pubblicò nella Biblioteca Italiana un articolo (Sulla maniera
e utilità delle traduzioni) nel quale invitava gli italiani a
conoscere e tradurre le letterature straniere come mezzo per
rinnovare la propria cultura. Inoltre, sempre nello stesso anno,
Giovanni Berchet scrisse quello che poi divenne il manifesto del
Romanticismo letterario italiano: la Lettera semiseria di Grisostomo
al suo figliolo, nella quale si esalta la nuova corrente letteraria
e si deridono i canoni del Classicismo (per questo l'opera è
definita "semiseria").
Successivamente alcuni letterati si staccarono dalla Biblioteca
Italiana, rivista a carattere conservatore, e fondarono nel 1818 il
Conciliatore, rivista diretta da Silvio Pellico con Ludovico Di
Breme, Pietro Borsieri, Giovanni Berchet e Ermes Visconti. Il
Conciliatore si proponeva di "conciliare" ricerca
tecnico-scientifica con letteratura, sia illuminista che romantica,
con pensiero laico e con il cattolicesimo. La rivista fu però
chiusa nel 1819 per ordine degli austriaci.
Ma intanto stavano già diffondendosi nella penisola le prime
istanze risorgimentali, alle quali risulterà strettamente
legata la produzione romantica italiana. Esemplare fu in proposito
la figura di Alessandro Manzoni, che diede un impulso fondamentale
alla diffusione del genere letterario del romanzo storico,
nell'ambito della corrente oggettivo-realistica. Dedito alla lirica
poetica soggettiva fu invece Giacomo Leopardi,[7] sebbene la sua
definizione come romantico sia discussa dalla critica letteraria,
essendo stata da lui stesso negata vista la presenza nella sua
poetica di elementi riconducibili anche all'Illuminismo e al
Classicismo.
Il Romanticismo nella musica
Il Romanticismo coinvolse in maniera sostanziale e consistente
soprattutto la musica classica, trascinato dagli ideali ispiratori
che furono accolti con entusiasmo dai compositori di mezza Europa. A
seguito della disillusione sperimentata con l'instaurazione delle
tirannidi in età napoleonica, gli artisti romantici
rivendicarono l'evasione dalla realtà.
Un grande autore preromantico fu indubbiamente Ludwig van Beethoven,
che iniziò a scrivere musica secondo la linea sentimentale
del Romanticismo già durante la fine del '700. Con l'Inno
alla gioia di Schiller, nella Nona Sinfonia, la sua concezione
superò le forme allora in uso del linguaggio sinfonico e
proiettò il musicista in una dimensione inesplorata: da
semplice artigiano egli diventò poeta e ideologo, creatore di
miti e profeta di una speranza nuova.
Furono diversi i rappresentanti della corrente romantica celeberrimi
per le loro composizioni, ognuno distintosi per aver portato
novità alla musica classica: per esempio Hector Berlioz,
Robert Schumann, Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini e Giuseppe
Verdi. Ma fu soprattutto Richard Wagner che partendo dall'esperienza
di Beethoven condusse melodia e armonia verso i princìpi del
tonalismo romantico più evoluto, elaborando un nuovo
linguaggio musicale che in seguito avrebbe portato alla dissoluzione
della tonalità. In Wagner, più che in altri musicisti,
vi fu anche uno stretto legame con la poetica, la filosofia e la
politica dell'epoca romantica, in cui l'aspirazione al titanismo o
l'ideale della notte e della morte come strumento di salvazione pone
i suoi drammi tra gli esempi più alti del romanticismo e del
decadentismo.
Con l'avvento del Romanticismo i compositori superarono l'epoca del
classicismo avuto con Haydn e Mozart per approdare ad un'espressione
concreta e diretta del sentimento. Furono apportate numerose
novità: l'orchestra conobbe l'aumento dei fiati e delle
percussioni e l'introduzione definitiva come componenti stabili
degli ottoni gravi, fra cui il trombone e il bassotuba. Nacque
così la figura del direttore d'orchestra, impegnato a
dirigere un numero di strumenti sempre più elevato.
Il Romanticismo nella filosofia
La filosofia in età romantica si riflette nel pensiero dei
massimi esponenti dell'idealismo, in particolare di quello tedesco,
rappresentato da Fichte, Schelling ed Hegel; esso fu però
anticipato da Kant, che nella Critica del Giudizio aveva aperto la
strada alla concezione della natura come inesauribile e spontanea
forza vitale dove si esprime la divinità.
È importante inoltre evidenziare che l'idealismo non si
identifica come la filosofia del Romanticismo, pur risultando a
pieno titolo la sintesi meglio riuscita della corrente: colui che
riuscì maggiormente a interpretare la sensibilità
romantica fu Schelling, soprattutto per l'importanza attribuita al
momento estetico dell'arte, e al mito; sarà invece
l'idealismo di Hegel a dare adito a pesanti critiche al
Romanticismo, pur eccependone i princìpi cardine,
contestandone la svalutazione delle facoltà non solo
intellettuali ma anche razionali dell'individuo.
La filosofia romantica proponeva infatti un superamento della
filosofia illuminista, il cui massimo esponente, Immanuel Kant, pur
tracciando le fondamenta del sapere umano con l'attribuzione
all'intelletto (facoltà del finito) della possibilità
di costruire scienza, aveva relegato però la ragione
unicamente all'ingrato compito di rendere conto dei limiti della
conoscenza umana e conseguentemente dell'impossibilità di
fondare la metafisica. La posizione di Kant era stata in parte
ripresa da Fichte, il quale rivalutò l'intuizione e
accentuò l'impossibiltà di cogliere l'Assoluto con la
sola ragione. Mentre il Romanticismo predicava così una
sostanziale incapacità della ragione nel cogliere la
più intima essenza della realtà, contrapponendo ad
essa il sentimento, l'ironia e l'istinto, l'idealismo hegeliano
intendeva invece attingere all'assoluto proprio mediante l'uso della
razionalità (intesa in Hegel quale espressione dello spirito
immanente alla realtà).
Un altro movimento filosofico che rientra appieno nell'ambito
romantico, pur essendo posteriore agli anni d'oro del Romanticismo
tedesco, è il Trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson ed
Henry David Thoreau.
La concezione romantica della storia
Nell'età del Romanticismo si ebbe un superamento della
concezione illuminista della storia, a cui fu rimproverato di
basarsi su un'idea della ragione astratta e livellatrice, che in
nome dei suoi principi generici era giunta a produrre le stragi del
Terrore della Rivoluzione Francese. A quella i romantici
sostituirono una «ragione storica», che tenesse conto
anche delle peculiarità e dello spirito dei diversi popoli, a
volte assimilati a degli organismi viventi, con una loro anima e una
loro storia. e una nuova concezione della storia che mettesse in
discussione la convinzione illuminista della capacità degli
uomini di costruire e guidare la storia con la ragione.
Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico
avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e
nobili fini che s’infrangono dinanzi alla realtà storica. Il
secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il
sogno di libertà nella tirannide napoleonica. Dunque la
storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce
nella storia. Esiste una Provvidenza divina che s’incarica di
perseguire fini al di là di quelli che gli uomini
ingenuamente si propongono di conseguire con la loro meschina
ragione.
«La storia umana appariva perciò guidata non dalla
mente e dal volere dell'uomo, fosse pure il più alto genio,
non dal caso, ma da una provvidenza che supera gli accorgimenti
politici e che drizza a ignote mete la nave
dell'umanità.»
Nel complesso, la polemica contro l'ugualitarismo e il
cosmopolitismo illuministi assunse aspetti e caratteri diversi a
seconda dei contesti, aspetti che tuttavia restarono intrecciati e
difficilmente separabili in maniera netta. Vi fu da un lato una
tendenza restauratrice, rivolta però non tanto al ripristino
anacronista dell'Ancien régime, quanto al recupero di quelle
tradizioni, religiose in particolare, ritenute patrimonio della
coscienza collettiva. Significativa fu l'opera di De Maistre e
altri autori, per i quali «la storia umana è diretta da
una provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che drizza a
ignote mete la nave dell’umanità.»
In generale «s’identificò la storia della
civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che
non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo
suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi
dall’essere operatore e costruttore di storia l’arbitrio individuale
e il raziocino logico».
D'altro lato, la stessa concezione provvidenziale della storia diede
luogo ad altre tendenze che potremo definire liberali, per le quali
i principi proclamati nel 1789 restavano validi, pur essendo da
condannare gli esiti giacobini della Rivoluzione Francese.
François-René de Chateaubriand in una sintesi
esprimeva ad esempio l'esigenza di «conservare l'opera
politica che è scaturita dalla rivoluzione» e
«costruire il governo rappresentativo sulla religione».
La libertà di religione fu ritenuta in particolare un
antidoto basilare sia al dispotismo assolutistico, che all'anarchia
rivoluzionaria.