Rivoluzione permanente

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Il predicato «permanente» applicato alla rivoluzione si trova già in scritti di K. Marx del 1844 (Zur Judenfrage), di P.-J. Proudhon del 1848 (Toast à la Révolution), di F.J. Stahl del 1852 (Was ist Revolution? Ein Vortrag). In questi autori, dalle pur differenti posizioni politiche e dottrinali, il concetto di r.p. intende sottolineare che la rivoluzione non può risolversi in un unico atto; di là dal mutamento dell’assetto costituzionale, che è stato visto sovente concludersi in tempi rapidi, la progettata trasformazione dei rapporti sociali ed economici, l’eliminazione di ogni forma di sfruttamento e di alienazione, l’abbat­timento di tutte le autorità tradizionali, il mutamento in profondità della cultura e delle coscienze non soltanto richiedono tempi lunghi, ma non possono mai essere considerati propriamente conclusi. Peraltro, quando L. Trockji teorizza nel 1906 il concetto di r.p. (in Bilanci e prospettive; poi approfondito nelle Lezioni dell’ottobre, del 1924, e ne La rivoluzione permanente, del 1930), facendone la bandiera del movimento operaio internazionalista, lo riveste di significati alquanto diversi, che furono ripresi da Lenin nel 1917 per denunciare i limiti della rivoluzione di febbraio. In quest’ultima accezione non tanto la lunga durata, resa inevitabile dall’immensità dei compiti che si prospettano ai rivoluzionari, quanto la necessità di saltare le fasi intermedie caratterizza la r. permanente. Il proletariato non deve accettare di operare per un periodo indeterminato entro il quadro della democrazia borghese, in attesa che maturino le condizioni per passare a uno stadio rivoluzionario più avanzato, ma deve procedere immediatamente sulla strada della rivoluzione socialista.

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La dottrina della rivoluzione permanente è una teoria marxista sulle dinamiche di trasformazione politico-sociale durante i processi rivoluzionari nei paesi arretrati.

Sebbene essa sia strettamente associata a Lev Trockij (traslitterato come "Trotsky"), il richiamo alla rivoluzione permanente si trova per la prima volta negli scritti di Marx e Engels nell'immediato seguito del 1848, nelle loro direttive per il comitato centrale della Lega dei comunisti.

Il concetto di Lev Trotsky di rivoluzione permanente è basato sulla sua valutazione che nei Paesi arretrati il compimento della rivoluzione democratico-borghese non possa essere realizzato dalla borghesia stessa. Questo concetto fu inizialmente sviluppato in alcuni saggi e articoli raccolti nel 1905 in un libro dal titolo Bilanci e prospettive.

L'idea base della teoria di Trotsky era che in Russia la borghesia non potesse portare a compimento una rivoluzione che istituisse la democrazia e risolvesse anche il problema della terra. Queste misure erano considerate essenziali per sviluppare economicamente la Russia e farla uscire completamente dal feudalesimo zarista. Egli deduceva perciò che la futura rivoluzione dovesse essere guidata dal proletariato, che non solo avrebbe dovuto compiere la rivoluzione democratico-borghese, ma avrebbe dovuto proseguire direttamente alla rivoluzione socialista. In questo senso la rivoluzione sarebbe stata permanente o ininterrotta. Un concetto simile a questo è stato espresso in seguito da Lenin (che pure aveva nei primi anni del secolo una posizione parzialmente diversa sulla questione) parlando di "trascrescenza della rivoluzione democratico-borghese" in rivoluzione socialista; quest'ultima fu l'interpretazione ufficiale bolscevica della Rivoluzione d'ottobre almeno fino ai tardi anni Venti.

Trotsky credeva inoltre che un nuovo Stato socialista non sarebbe stato capace di resistere contro la pressione del mondo capitalista ostile, a meno che la rivoluzione socialista non si fosse rapidamente sviluppata anche negli altri Paesi. Contro la tesi della "rivoluzione permanente", scese in campo, dopo la morte di Lenin, Stalin, rompendo con la tradizione dei bolscevichi per cui il socialismo si sarebbe realizzato attraverso lo sforzo comune del proletariato mondiale: secondo la fazione stalinista all'interno del PCUS in quel periodo non si poteva far altro che costruire il "socialismo in un solo paese" entro il territorio dell'Unione Sovietica, poiché questa era circondata da stati capitalisti.

La teoria di Trockij fu sviluppata come alternativa alla teoria socialdemocratica-menscevica (teoria degli stadi), secondo la quale le nazioni non sviluppate sarebbero dovute passare attraverso due distinte rivoluzioni: prima la rivoluzione borghese e poi quella socialista.

Dopo la Rivoluzione russa Trockij collegava l'involuzione autoritaria del PCUS all'isolamento internazionale dello Stato sovietico, costretto a dedicare energie alla difesa e a sopportare senza aiuti il peso dell'arretratezza. L'Unione Sovietica doveva dunque, secondo i trockijsti, accelerare il processo d'industrializzazione da un lato, e dall'altro favorire l'estendersi del processo rivoluzionario nell'Occidente capitalistico, soprattutto nei Paesi più sviluppati. Trotskij voleva esportare la rivoluzione nel mondo, tramite l'armata rossa e i partiti comunisti degli altri paesi.

Diversi gruppi e partiti facenti riferimento al pensiero di Trockij hanno assunto nel loro programma le conclusioni della teoria della rivoluzione permanente. Per esempio, la teoria della rivoluzione permanente fu riconosciuta di fatto valida e declinata rispetto alla realtà spagnola da Joaquín Maurín, rivoluzionario marxista spagnolo e fondatore insieme ad Andreu Nin del P.O.U.M. In generale, tuttavia, questa dottrina è stata contrastata (e considerata una "deviazione", come tutto il pensiero trockijsta) dalle organizzazioni di sinistra legate all'URSS o alla Cina.