www.comunistisinistrapopolare.com
CSP - Partito Comunista
21/03/2012
"Il capitalismo è l'elemento predominante nella
società italiana e la forza che prevale nel determinare lo
sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza
che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione che
non sia la rivoluzione socialista. Nei paesi capitalistici la sola
classe che può attuare una trasformazione sociale reale e
profonda è la classe operaia. Soltanto la classe operaia
è capace di tradurre in atto i rivolgimenti di carattere
economico e politico che sono necessari perché le energie del
nostro paese abbiano libertà e possibilità di sviluppo
complete. Il modo come essa attuerà questa sua funzione
rivoluzionaria è in relazione con il grado di sviluppo del
capitalismo in Italia e con la struttura sociale che ad esso
corrisponde."
dalla IV Tesi del Congresso di Lione del PCd'I (1926)
"L'accordo industriale-agrario si basa sopra una solidarietà
di interessi tra alcuni gruppi privilegiati, ai danni degli
interessi generali della produzione e della maggioranza di chi
lavora. Esso determina una accumulazione di ricchezza nelle mani dei
grandi industriali, che è conseguenza di una spoliazione
sistematica di intiere categorie della popolazione e di intiere
regioni del paese. I risultati di questa politica economica sono
infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto dello sviluppo
economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole), l'impedimento al
sorgere e allo sviluppo di una economia maggiormente adatta alla
struttura del paese e alle sue risorse, la miseria crescente della
popolazione lavoratrice, l'esistenza di una continua corrente di
emigrazione e il conseguente impoverimento demografico."
dalla VI Tesi del Congresso di Lione del PCd'I (1926)
"… il proletariato si presenta come l'unico elemento che per la sua
natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la
società. Il suo programma di classe è il solo
programma "unitario", cioè il solo la cui attuazione non
porta ad approfondire i contrasti tra i diversi elementi della
economia e della società e non porta a spezzare
l'unità dello Stato. ... Si ha inoltre in Italia una conferma
della tesi che le più favorevoli condizioni per la
rivoluzione proletaria non si hanno necessariamente sempre nei paesi
dove il capitalismo e l'industrialismo sono giunti al più
alto grado del loro sviluppo, ma si possono invece aver là
dove il tessuto del sistema capitalistico offre minori resistenze,
per le sue debolezze di struttura, a un attacco della classe
rivoluzionaria e dei suoi alleati."
dalla IX Tesi del Congresso di Lione del PCd'I (1926)
"È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare
dai propagandisti della borghesia nelle masse del Settentrione: il
Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce più
rapidi progressi allo sviluppo civile d'Italia; i meridionali sono
biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari
completi per destino naturale; se il Mezzogiorno è arretrato
la colpa non è del sistema capitalistico o di qualche altra
causa storica, ma della natura che ha fatto i meridionali poltroni,
incapaci, criminali, barbari, temperando questa sorte matrigna con
la esplosione puramente individuale di grandi geni, che sono come le
solitarie palme in un arido e sterile deserto. Il partito socialista
fu in gran parte il veicolo di questa ideologia borghese nel
proletariato settentrionale."
Antonio Gramsci
Prima parte - La centralità della questione meridionale in
Gramsci
1. DAL PATTO TRA BORGHESIA INDUSTRIALE DEL NORD E IL SISTEMA AGRARIO
DEL SUD
Gramsci ha dato uno specifico contributo al movimento operaio
mondiale, facendo un'analisi di classe (ossia pienamente marxista)
dell'Unità d'Italia [ i ]. Quell'Unità fu il risultato
dell'alleanza tra gli industriali del Nord e gli agrari del Sud,
sotto l'egida della Corona britannica. Non che non ci fossero altre
classi coinvolte, come gli agrari del Nord, gli industriali del Sud
e gli intellettuali; ma quelle due furono le classi trainanti,
"egemoniche". Questa egemonia fu profondamente antidemocratica,
perché - contrariamente per esempio a quanto accadde nella
Rivoluzione francese - non risolse, ma anzi aggravò il
problema contadino, creando inoltre il problema territoriale che fu
chiamato la "quistione meridionale". La necessità impellente
di risolvere i problemi finanziari del virtualmente fallito Regno
sabaudo si fusero con i giochi geostrategici europei: un'Inghilterra
gelosa dell'attivismo mercantile e navale dello Stato borbonico, un
oscuramento dell'influenza della protezione asburgica, una
inconcludenza della diplomazia francese. Tutto ciò rese
vulnerabile dall'esterno la monarchia napoletana. Inoltre la
nascente borghesia meridionale, emergente all'ombra della monarchia,
si proiettava sulla scena internazionale commercialmente ma non
militarmente (al contrario dello sfrenato attivismo cavouriano) e
ciò rese lo stato duosiciliano vulnerabile anche
dall'interno.
2. DALL'OCCUPAZIONE DELLE TERRE ALLE FALSE RIFORME AGRARIE
Fu quindi possibile per gli agrari del Sud stringere il patto
infame, attratti dai facili guadagni della promessa
"privatizzazione" ante litteram della mano morta delle terre
demaniali e della Chiesa. Naturalmente ciò doveva passare
dalla negazione più radicale e violenta delle istanze di
riscatto dei contadini poveri. Chi ne fece subito le spese, oltre a
questi, fu la nascente industria meridionale, condannata a un
percorso di sottosviluppo insieme a tutto l'intero territorio
meridionale. Quella classe degli agrari del Sud ha avuto nei decenni
la possibilità di governare attraverso la mafia intere
regioni e di accumulare enormi profitti, riciclandosi infine anche
come classe sociale, ma sempre all'ombra del grande capitale
finanziario, fino a ieri nazionale, oggi europeo.
Dopo l'Unità non solo il latifondo non fu distrutto, ma le
terre espropriate al demanio e alla Chiesa furono appannaggio di
pochi affaristi. Alle promesse inevase ai contadini si rispose con
il terrore militare. Da lì cominciò una lunga storia
di emigrazione. Il fascismo non fece che aggravare il divario
Nord-Sud [ ii ] sia in termini di infrastrutture che di produzione.
Solo nel secondo dopo-guerra la questione meridionale venne al
centro di un'azione politica nazionale e per alcuni anni
l'ampliamento del divario cessò, invertendone il senso. Fu il
forte fronte popolare a saldare gli interessi delle classi che
avevano perso la battaglia dell'Unità nazionale, ma che ora
si battevano insieme: "Nord-Sud uniti nella lotta".
La stagione durò poco. Essa coincise con il tempo dei grandi
movimenti di lotte operarie, e i due movimenti, sincroni nella loro
azione progressiva, arretrarono anche di pari passo negli anni 80.
Altrettanto importante ricordare è che il tramonto di quella
stagione viene ben prima del crollo dell'URSS, e che quindi le
ragioni vanno cercate nell'abbandono del partiti popolari della loro
collocazione di classe e della loro prospettiva rivoluzionaria. In
realtà, per tutti gli anni 60 e 70 c'è stata una
contingenza positiva tra la politica riformista del PCI e la
contrapposizione al campo socialista da un lato e gli interessi al
mantenimento del welfare state del capitalismo internazionale
dall'altro. Il PCI, avendo abbandonato nel 1956 l'opzione
rivoluzionaria, doveva in tutti i modi ottenere - e ottenne infatti
- importanti risultati sul piano delle conquiste sociali. Queste
furono propiziate da un lato dalla possibilità di manovra di
un capitalismo lontano dalle crisi di sovrapproduzione e dall'altro
dalla contrapposizione della guerra fredda. Non è da
sottacere anche il ruolo svolto nella costruzione del welfare state
dalla particolare struttura degli eserciti industriali e bellici
dell'epoca, che necessitavano di manodopera e militari in grandi
quantità e ben addestrati. Una struttura sociale che oggi ci
appare lontanissima. Quelle conquiste si sono rivelate effimere
perché non sostenute da una rottura politica e una "presa del
potere" popolare.
La storia d'Italia dall'Unità a oggi, è stata una
storia di semi-colonialismo interno: distruzione delle
capacità produttive, asservimento e subordinazione economica
(con la creazione di un mercato protetto a favore del Nord),
politica (col clientelismo), ambientale, culturale, ecc. Gestore del
sottosviluppo e garante è stato il potere clerico-mafioso.
3. MANCATA INDUSTRIALIZZAZIONE E SOTTOSVILUPPO DEL MERIDIONE NEI 150
ANNI DI UNITÀ
Ma che convenienza ha avuto il Nord a tenere un terzo abbondante
della propria popolazione in condizioni di sottosviluppo per 150
anni? Non avrebbe avuto grande vantaggio ad avere una parte del
Paese forte, produttivo e ricco dove poter esportare i propri
prodotti? Certo non si può spiegare tutto con quell'atto di
pirateria che fu il furto dell'oro meridionale, né con
l'abbattimento delle barriere doganali che sbaragliarono la debole
industria meridionale. In realtà il Sud è stato tenuto
in condizione di subalternità, ma non tutto, ci sono state
classi sociali estremamente forti che hanno imposto i loro interessi
a Roma; improduttivo, nel senso che non ha fatto concorrenza
all'industria manifatturiera del Nord, ma si è caricato la
parte più inquinante della produzione; povero, ma certo non
tutto, presentando sacche di ricchezza testimoniate da una
concentrazione di sportelli bancari ineguagliata in Europa. Quindi
una divisione dei ruoli tra pezzi del capitalismo italiano, in cui
però è stato il popolo meridionale a pagare il prezzo
più elevato. Quindi non è vero che lasciare intere
regioni al sottosviluppo e al degrado sia un cattivo affare per il
capitalismo, anzi è stata la cifra del "miracolo" italiano.
Seconda parte - Una nuova questione meridionale? Il moderno capitale
finanziario dagli scenari globali ai teatri regionali
4. L'ULTIMA TAPPA DELLA CONQUISTA DEL SISTEMA BANCARIO MERIDIONALE
È interessante anche vedere come sono evoluti i rapporti di
forza tra i vari settori del capitalismo nazionale. Dopo la stagione
caratterizzata da un flusso di investimenti pubblici nel Sud degli
anni '70 (appena paragonabile a quello settentrionale), si è
assistito a una politica sempre più Nord-centrica. Gli
aspetti eclatanti sono rappresentati dall'assorbimento nei grandi
Istituti bancari del Nord dei due colossi meridionali (Banco di
Napoli e Banco di Sicilia, con le relative banche che avevano
precedentemente annesso). Il tessuto bancario meridionale si
è trasformato sempre più in una rete per la raccolta
dei risparmi e non per la erogazione del credito. Testimonianza di
ciò sta nelle differenze insopportabili tra i tassi di
interesse praticati al Nord e quelli praticati al Sud. La recente
restrizione di accesso al credito (credit crunch) lamentata da
settimane dai giornali padronali nel Sud c'è sempre stata e
ora si è più ancora aggravata [ iii ]. Si notino due
cose essenziali.
Primo, analoghe restrizioni sono ben tamponate dal sistema bancario
pubblico e privato in Francia e Germania [ iv ]. È singolare
che le banche prevalentemente speculative del Nord Europa,
rimpinzate di titoli spazzatura, abbiano una valutazione migliore
delle banche italiane, prevalentemente votate al prestito alle
famiglie e alle aziende, tanto che si è temuto la possibile
"scalata" da parte dei grandi colossi finanziari. Per ora la partita
è ferma, ma è solo rimandata.
Secondo, difficoltà di accesso al credito - o addirittura
taglio improvviso dei fidi e esazione impietosa dei debiti
attraverso Equitalia - nel meridione vuol dire gettare il
malcapitato nelle braccia della mafia, con buona pace dell'antimafia
di facciata dello Stato capitalista. Non si può non scorgere
in questa situazione una regia che tende all'ulteriore compressione
dell'Italia, e del Sud in particolare, incrementando i flussi
finanziari dalla periferia al centro. Il capitalismo internazionale,
sappiamo, ha da tempo trasformato la propria vocazione di
esportatore di capitali dei tempi di Lenin a quello di importatore
per sostenere le proprie bolle speculative.
Terzo, l'irrealisticamente elevato cambio dell'euro penalizza le
economie più deboli, come quelle del Sud Europa e tra queste
maggiormente quelle del Sud Italia, mentre favorisce le industrie
tecnologicamente più avanzate, come quelle tedesche. Se
bisogna sfoltire la concorrenza si comincia dalle industrie dei
Paesi politicamente più deboli. Questa è la
collocazione internazionale che è stata riservata al nostro
Paese, e al Meridione in particolare, dalla dittatura neocarolingia.
5. IL MEZZOGIORNO D'ITALIA E I PAESI DEL MEDITERRANEO
Quante volte ci hanno turlupinato con la favola che il Sud doveva
diventare il ponte con i Paesi dell'altra costa del Mediterraneo?
Quante volte si è parlato di "piattaforme logistiche" in cui
trasformare l'intera Sicilia? Ebbene erano chiacchiere buone solo
per andare da un'elezione all'altra. (Le piattaforme logistiche che
invece sono state realizzate sono rappresentate dal porto di Gioia
Tauro, del tutto avulso dal resto del territorio e che a esso non
porta alcun beneficio).
Abbiamo visto l'Europa cosa intende per cooperazione nel
Mediterraneo. La Sicilia è servita come base operativa per
aggredire un popolo indomito come quello libico, e ci son voluti
sette mesi di incessanti bombardamenti della più vasta
coalizione dai tempi di Desert Storm, per ridurre a ceneri fumanti
un'intera Nazione. La Sicilia è sede di decine e decine di
basi americane, tra le quali la più vasta d'Europa,
Sigonella, e ora si prevede l'istallazione di un sistema radar a
raggio intercontinentale, il MUOS, che costituisce un pericolo
incombente alla salute delle popolazioni esposte, come attesta uno
studio condotto dal nostro compagno Prof. Zucchetti del Politecnico
di Torino.
Il Mediterraneo si è trasformato in un lago di morte per
migliaia e migliaia di migranti, che sono sospinti a tentare di
entrare nella cittadella capitalistica, ma in stato di
schiavitù. Carne da macello per il peggiore sfruttamento
della manodopera nel Sud, ma che nel Sud deve prima macerare e
decantare ed entrare col contagocce nella preziosa Italia e poi
Europa del Nord. Quello che è avvenuto a Lampedusa (e che
avviene anche in altri paesi come la Grecia o la Spagna) è
una violazione del "diritto internazionale" e dei "diritti umani" da
parte di chi usa quotidianamente questa frase come una clava contro
gli scomodi "stati canaglia". Abbiamo capito cosa significa "il Sud
porta d'Europa".
6. IL DEBITO PUBBLICO E I LIVELLI DI DIPENDENZA FINANZIARIA
Dopo che la generazione di moneta a credito e non a debito è
stata impedita nel nostro Paese, prima col famoso divorzio tra Banca
d'Italia e Tesoro, voluto da Andreatta nel 1981, e poi
definitivamente con l'entrata nell'euro, l'enorme debito pubblico
generato nel periodo del centro-sinistra è diventato una
palla al piede della nazione. Dovendosi necessariamente
approvvigionare presso gli investitori privati su un mercato
dominato dalle consorterie delle società di rating, l'Italia,
così come gli altri Paesi dell'area euro, si è trovata
priva di difese rispetto alla speculazione finanziaria
internazionale. Chi sta godendo dei benefici di questa situazione?
In primis il grande capitale finanziario che trova la
possibilità di una remunerazione sicura (nonostante i rating
bassi) nei Titoli di Stato che compensa la tendenziale caduta del
tasso di profitto. Per remunerare questi titoli occorre spostare
ogni anno quote considerevoli di profitto verso la rendita
parassitaria (77 miliardi ogni anno). Inoltre la nuova criminale
norma che impone il vincolo del pareggio di bilancio
costringerà a comprimere ancora di più le condizioni
di vita popolari e svendere pezzi di patrimonio pubblico.
Da qui l'attacco forsennato ai beni e alle residue aziende
pubbliche. Si ripropone un grande la grande fiera della
smobilitazione della mano morta, che caratterizzò
l'Unità, quando affaristi senza scrupoli si arricchirono a
dismisura. I capitali sono oggi prevalentemente internazionali, come
per esempio si vede nell'affaire acqua, in cui le multinazionali
francesi e spagnole predominano. Anche le enormi opere pubbliche
inutili e dannose come la TAV fanno parte di questa grande giostra.
Il Sud in questo è ancora una volta doppiamente penalizzato:
uno, perché, come abbiamo visto, i capitali privati vengono
drenati e quelli pubblici dirottati dal Sud al Nord (vedi la
distrazione dei fondi FAS), trascurando invece le opere
assolutamente necessarie per trasporti, salvaguardia del territorio,
ecc.
Un altro fenomeno che investirà nel prossimo futuro
soprattutto le amministrazioni locali è l'enorme peso del
debito che esse hanno contratto al d fuori di ogni controllo. Se
oggi i Comuni più indebitati sono Torino e Milano, abbiamo
invece già assistito a vere "bancarotte" come quelle del
comune di Brindisi e fra poco si prepara il grosso botto del Comune
di Palermo gravato da un debito che non sarà mai più
ripianabile e che peserà a vita (nonostante la Regione
siciliana abbia in teoria per lo Statuto la possibilità di
battere moneta).
7. IL GOVERNO MONTI E LA "NUOVA ALLEANZA" POLITICA TRA MASSONERIA
INTERNAZIONALE E CHIESA CATTOLICA
Tutto ciò avviene all'ombra di consorterie internazionali e
locali massoniche che hanno officiato l'ascesa al potere del governo
Monti. Dopo il terrorismo esercitato ai danni del popolo italiano su
spread, rating, default, alla fine si è consolidata una nuova
alleanza con i seguenti attori: le banche internazionali, gli
interessi strategici USA e la Chiesa cattolica.
Ognuno ha i suoi rappresentanti al governo e il suo ruolo da
giocare. Monti è la pietra angolare di tutto ciò.
Invece, dopo l'uscita di scena di Berlusconi, sembra che gli
interessi della grande borghesia produttiva italiana siano in caduta
di rappresentanza e si debbano accontentare di quello che altri
più potenti sono in grado di dirigere. Emblematica l'azione
di sganciamento dall'Italia da parte della FIAT. La guerra di Libia
sarà ricordata come la guerra che il capitalismo italiano ha
fatto ai propri danni.
Sul ruolo delle banche internazionali abbiamo già detto.
Invece è interessante il ruolo che la Chiesa si è -
come al solito molto abilmente - ritagliata, approfittando del
proprio potere di interdizione. Come abbiamo visto, l'Italia si
avvia verso un periodo di decadenza non solo del proprio ruolo
politico internazionale, ma anche della propria forza industriale.
La Chiesa si è candidata a "gestire" questo processo di
involuzione, assicurandosi spazi e privilegi. La rete della
Compagnia delle Opere, degli ospedali e dell'istruzione cattolica
è pronta ad approfittare delle praterie che si apriranno,
quando il pubblico dichiarerà bancarotta. In pratica
svolgerà il ruolo di "gestione del sottosviluppo" in tutta la
nazione, che nel Meridione è stato svolto dall'Unità
dal connubio mafia-politica-chiesa. La politica dei politicanti
ormai è un ferro vecchio che si può buttare, anche la
mafia con la coppola e la lupara ormai non serve più.
Scendono in campo per il boccone grosso i professionisti del Potere.
Terza parte - Unione europea e meridione
8. UNIONE EUROPEA E AGRICOLTURA E PESCA MERIDIONALE. LA GRANDE
DISTRIBUZIONE
L'ingresso nell'Unione europea ha avuto per l'agricoltura
meridionale lo stesso effetto che ebbe l'Unità d'Italia:
protezionismo per il Nord e liberismo per il Sud. I contributi
elargiti nel tempo sono serviti a distruggere le coltivazioni di
pregio a favore di produzioni di scarsa qualità e comunque
non competitive col Nord. Si è pensato sempre come sostenere
e far passare leggi in sede comunitaria a favore dei grandi gruppi
industriali (vedi vicenda delle sementi), che hanno stravolto la
trasformazione dei cibi (lo zuccheraggio dei vini, l'aranciata non
più fatta con le arance, oli de-acidificati) e delle aziende
agricole del Nord Europa (vedi le quote latte). Il calo dei prezzi,
imposto dalla grande distribuzione porta all'erosione dei margini,
ha comportato il calo della qualità e lo sfruttamento
selvaggio della manodopera. Chi crede che i problemi
dell'agricoltura sono da attribuirsi alla concorrenza dei prodotti
provenienti dal resto del mondo, si sbaglia. Le ragioni sono da
cercare nella speculazione privata e nel liberismo selvaggio. Le
produzioni di qualità (vino, ortofrutta) spesso si collocano
su mercati di nicchia, che poco o niente incidono sui livelli
occupazionali. Dietro a ogni prodotto acquistato a basso costo
c'è sfruttamento. Nardò con le angurie, Rosarno con
gli agrumi e nella zona di Foggia e di Pachino con i pomodori,
rappresentano uno spaccato di una realtà diffusa. Il fenomeno
del caporalato è parte integrante dello sfruttamento
capitalistico e non un accidente locale, è la modalità
dello sfruttamento schiavistico proprio delle regioni periferiche
dell'imperialismo. Ne è prova che mai nessun governo ha
voluto - non potuto - contrastare questo fenomeno, né con
legislazioni efficaci, né con azioni di repressione.
Né più né meno ciò che accade per gli
incidenti sul lavoro.
Stesso discorso si può fare per il comparto della pesca. La
fine dell'assistenzialismo, l'incremento abnorme dei costi, lo
strangolamento ella distribuzione e l'iper-sfruttamento del mare da
parte delle multinazionali a cui nessun governo si è occupato
di opporsi.
A fare il mercato ovviamente è la grande distribuzione,
spesso in mano o a capitali "oscuri" o a grandi multinazionali.
In Sicilia e in Sardegna abbiamo assistito a un fenomeno di
ribellione che ha saldato classi e interessi eterogenei: i pastori
sardi, i contadini, i pescatori e gli autotrasportatori siciliani.
Occorre riconoscere che solo i primi si sono saldati stabilmente
alle lotte operaie in difesa del posto di lavoro e hanno davvero
avuto la unanime solidarietà del popolo sardo. Invece
più variegato è il panorama in Sicilia. Il nostro
Partito ha espresso una chiara posizione, respingendo le accuse di
"mafiosità" indiscriminata di cui i rappresentanti dei
capitalisti hanno bollato queste lotte. Se all'interno del movimento
dei forconi ci sono parole d'ordine che - pur nella limitatezza
dello spontaneismo - hanno dato voce alle istanze dei braccianti
agricoli e giuste accuse e meritate ingiurie indirizzate ai
rappresentanti politici locali e nazionali, dall'altro lato occorre
ricordare che questi strati sociali fino a ieri godevano della
mediazione politica delle destre. In realtà è proprio
questa mediazione politica che è saltata col nuovo governo
Monti, un governo che, contrariamente al precedente, è
completamente impermeabile alle istanze del ceto medio. Il crollo
della mediazione politica può aprire notevoli spazi di
manovra per i comunisti, solo se essi sapranno esprimere una voce di
opposizione di classe che leghi innanzitutto gli sfruttati contro il
sistema capitalistico e quindi realizzi le giuste alleanze con gli
altri ceti produttivi.
9. LO SMANTELLAMENTO DEL SISTEMA INDUSTRIALE MERIDIONALE
Se il comparto primario subisce forti penalizzazioni, la situazione
nel comparto industriale è allo stremo. Lo smantellamento
della potenza manifatturiera italiana, che tanta concorrenza fa al
sistema mittel-europeo, comincia da qui. La metalmeccanica siciliana
è scomparsa o sta per chiudere, non solo la FIAT e con essa
l'indotto, ma anche tante piccole e medie realtà, come i
Cantieri Navali di Trapani e Palermo, la chimica sarda, le industrie
di trasformazione. Anche alcuni punti di eccellenza, come l'Etna
Valley, sono in difficoltà. A parte alcune Restano i pezzi
più inquinanti e devastanti: il petrolchimico (in Sicilia si
raffina oltre la metà del petrolio italiano), i previsti
rigassificatori e le trivellazioni. In queste condizioni il destino
del Sud è segnato. Pensare che l'occupazione possa venire da
produzioni di nicchia, o da un turismo d'élite è
ridicolo. Restano invece i grandi affari legati agli appalti
pubblici, di cui la mafia gode i benefici. Tuttavia è da
sottolineare che anche qui le aziende locali svolgono per di
più un ruolo di supporto sul territorio che consente di fare
il lavoro sporco a basso prezzo, mentre le grandi commesse vengono
aggiudicate da grandi multinazionali. È questo il caso, per
esempio, della costruzione degli inceneritori o del Ponte di
Messina. Le grandi ditte del Nord si aggiudicano gli appalti grazie
a ribassi, che possono garantire da un lato con un sistema di
subappalti che le rende invulnerabili rispetto alle numerose
infrazioni sulla normativa del lavoro, o all'iniezione anche qui di
capitali di origine illegale. Il tutto sotto l'egida della
criminalità organizzata che, lungi dal creare un ostacolo
all'impresa capitalistica, garantisce la pace sociale e sindacale.
10. LA SANITÀ E LA REALTÀ MERIDIONALE
Il comparto sanitario sta sempre più diventando una delle
principali voci utilizzate dalla criminalità organizzata sia
come forma di riciclaggio del denaro illecito, sia come fonte di
reddito "pulito", legale. Ma le mani sul business non sono solo
quelle mafiose; prendiamo ad esempio il caso delle "sette sorelle
della sanità privata"; in cui si annoverano banchieri e
immobiliaristi con forti interessi nell'editoria. Le loro holding
svettano per il numero di posti letto sparsi in cliniche, centri di
riabilitazione, case di riposo per lo più accreditati,
attraverso le Regioni, al Sistema sanitario nazionale, dunque a
carico delle casse pubbliche in base a tariffe predeterminate. Oltre
alle Sette sorelle c'è la Grande madre, cioè la
Chiesa, che del business della sanità privata rappresenta una
fetta importante, ma difficile da quantificare. La proprietà
delle strutture è frammentata tra fondazioni, ordini
religiosi, diocesi, tutti enti che non sono tenuti a rendere
pubblici i propri bilanci. Esiste anche l'ottava sorella
rappresentata dalla Compagnia delle Opere, braccio economico di
Comunione e Liberazione: chiunque voglia fare affari deve entrare
nei meccanismi ciellini; ogni settore ha una sua associazione,
ognuna di queste associazioni fa capo a propri partner; una
struttura gerarchica non distante dall'organizzazione massonica. Il
sistema capitalistico è ben oliato e funziona a pieno regime
soprattutto al Sud. Uno dei centri più potenti di
organizzazione del consenso è proprio la rete clientelare dei
medici, medico è Cuffaro e su un'indagine di mafia legato
alla sanità è caduto, medico è il suo
successore Lombardo. Ulteriore scandalo è la commistione
pubblico-privato che non si vuole estirpare, un sistema che
garantisce un continuo travaso di soldi e potere pubblici verso i
potentati locali che finora sono stati la cinghia di trasmissione
del potere capitalistico-mafioso-clientelare.
11. ATTACCO SISTEMATICO ALL'ISTRUZIONE E ALLA RICERCA PUBBLICHE NEL
MEZZOGIORNO
Negli ultimi decenni abbiamo assistito in Italia al processo di
smantellamento di vari settori pubblici, ma quello che ha subito gli
attacchi più grossi è stato quello dell'istruzione,
attraverso l'azione convergente dei governi sia di centro-destra che
di centro-sinistra. Da Berlinguer alla Gelmini, tra riduzione dei
fondi di finanziamento alle "riforme" che hanno espulso decine e
decine di migliaia di lavoratori precari sia la scuola che
l'università statali italiane hanno subito continue
penalizzazioni: niente tempo pieno che meglio agiva sul contrasto
alle disuguaglianze sociali, introduzione del maestro unico, aumento
inaccettabile del numero minimo di studenti per classi e contestuale
riduzione del personale scolastico. Anche il ruolo svolto dagli enti
locali, cui compete fornire le dotazioni infrastrutturali,
contribuisce ad aumentare il divario, infatti nel Mezzogiorno il
volume di spesa è più basso che altrove e col
federalismo fiscale la situazione non migliorerà.
Notevole è il divario in percentuale tra i diplomati e
laureati nel Centro Nord e nel Mezzogiorno con una forbice che si
può calcolare dai 3 ai 7 punti percentuali o più nei
vari ordini scolastici. Lo SVIMEZ ci avverte che nel Sud, e
particolarmente in Sicilia, oggi si registrano i minori tassi di
passaggio dalla scuola superiore all'università, mentre nel
2001-2002 questo differenziale si era sostanzialmente annullato.
Questo avviene in un Paese che presenta il minor numero di laureati
d'Europa e il più alto numero di laureati disoccupati.
Ciò è testimonianza dello stato di arretratezza
culturale del tessuto economico italiano in genere. Questa
caratteristica è anche abbinata col fatto che in Italia si
spende per ricerca e sviluppo circa la metà dei paesi nostri
diretti concorrenti; ma la parte drammaticamente carente è
soprattutto quella privata.
Nella scuola l'espulsione dei lavoratori precari è stata
particolarmente massiccia nel Sud rispetto al Nord, ricordiamo che
solo in Sicilia si sono persi finora ben 20mila posti. Inoltre la
realizzazione dei test INVALSI hanno dato dei risultati dall'effetto
comico. Laddove i risultati davano punteggi superiori alle scuole
del meridione, si sono manomessi a posteriori i criteri di
valutazione statistici, al solo scopo di ottenere ciò che era
già stato scritto: gli meridionali sono più ciucci di
quelli del nord.
Stesso furore si è messo nell'università statale. Dopo
la rottura dell'unità amministrativa attraverso le
"autonomie" degli Atenei e la "liberalizzazione" dei piani di
studio, i fondi per gli Atenei meridionali sono andati
progressivamente prosciugandosi molto più di quanto non sia
avvenuto per quelli del Nord. Attacco finale al diritto allo studio
verrà con la prevista eliminazione del valore legale del
titolo di studio. Inoltre già si è creata una rete di
Atenei sedicenti "eccellenti" che si trovano tutti nel centro-nord.
A cosa mirano queste azioni che non possono essere classificate come
"errori" o "disattenzioni"? Allo smantellamento del sistema pubblico
e statale dell'istruzione. Ciò porterà a due risultati
convergenti. Il primo, più scontato, aprire le praterie della
privatizzazione alle scuole private che presentano costi almeno
tripli rispetto a quelle pubbliche. Ma anche le università
statali (?) del nord avranno il loro beneficio, posizionandosi come
poli di attrazione privilegiati per i figli delle classi dirigenti
di tutta Italia. Quindi penalizzazione per il Sud e doppia
penalizzazione per i suoi figli delle classi non abbienti. Il
secondo risultato, più perverso, è un generale
decadimento della linfa vitale culturale della società
italiana, che nei prossimi decenni non potrà che portare a
una progressiva espulsione del nostro Paese da quelli avanzati.
12. INDUSTRIA DELLA CULTURA E I GRANDI NETWORK NORD-ITALIANI E
NORD-EUROPEI
I mass media hanno rivoluzionato l'universo delle comunicazioni,
cambiando i saperi delle persone, le loro abitudini e il loro modo
di pensare, e accorciando sempre più le distanze
spazio-temporali. Il potere persuasivo di tali mezzi, tuttavia,
porta non solo ad una massificazione culturale, ma ad una
manipolazione dei contenuti, attraverso cui si perde la
capacità di porsi criticamente nei confronti degli eventi, ci
si "globalizza" economicamente con l'induzione a falsi bisogni, e
culturalmente con l'appiattimento delle identità degli
individui.
L'industria culturale, per esigenze economiche e politiche, orienta
l'informazione proponendo un unico modello sociale "seriale" cui
ispirarsi, e genera un tale conformismo che si traduce, nonostante
fenomeni di resistenza, in accettazione passiva, acritica e
consuetudinaria delle idee e delle norme di comportamento della
maggioranza. Ricerca del consenso e propaganda mirata vanno dunque a
braccetto nella nostra società. I sistemi politici ed
economici, soprattutto quando, come in Italia oggi, sono in grado di
controllare direttamente i mezzi di comunicazione, alle prese con il
problema del consenso delle masse, non disdegnano l'uso
mistificatorio della comunicazione. Ne consegue che oggi più
che mai i "media", oltre a "divertire, intrattenere e informare",
attraverso la suggestione, la demagogia, il populismo e il
conformismo, sono deliberatamente usati per inculcare valori,
credenze e codici di comportamento atti a integrarli nelle strutture
istituzionali della società di cui fanno parte e il loro
orientamento non potrà non risentire degli interessi di chi
li finanzia.
Il monopolio dei canali privati d'informazione televisiva, a cui
è legata anche una buona parte della carta stampata, il
controllo politico dei mezzi di comunicazione pubblici (sistema
radio-televisivo) e il monopolio del sistema di raccolta
pubblicitaria, che pone sotto ricatto implicito la stampa
indipendente, contribuiscono in modo determinante allo svuotamento
degli stessi diritti costituzionali borghesi, ostacolando la
pluralità e l'indipendenza dell'informazione. Colpo finale
alle TV private è arrivata dalla normativa conseguente
all'introduzione del digitale terrestre, che anziché favorire
l'enorme sviluppo di queste realtà, come questa piattaforma
consentirebbe, metterà fine a tutte le realtà locali
che non vantano una situazione patrimoniale da grande azienda.
Citiamo qui il caso di Telejato, storica tv antimafia di Partinico
(PA), che sta per chiudere nonostante il sostegno di tante
associazioni siciliane e non.
Le nuove norme sul copyright e sulla brevettazione in difesa del
sistema oligopolistico dell'informazione attaccano gli ultimi spazi
di libertà. Sotto attacco, sotto la scusa della difesa del
diritto d'autore, è anche il web, che non solo presenta
resistenze maggiori ai tentativi di controllo verticale e di
censura, ma permette anche una circolazione di informazioni a
carattere bidirezionale e in tempo reale, contribuendo così
ad aumentare la conoscenza e la trasparenza. Occorre sostenere il
software e la produzione culturale liberi, unici spazi che lasciano
ancora autonomia alle scelte libere e consapevoli, occasione unica
per ripristinare uno spazio pubblico di comunicazione per la
cultura, le scienze, l'arte e la politica.
13. CRIMINALITÀ ORGANIZZATA BRACCIO ARMATO ED ENTE GESTORE
DELLE HOLDING EUROPEE
Il fenomeno mafioso in Sicilia si manifesta prima dell'Unità
d'Italia. Essa si può considerare uno strumento di
oppressione ideato dai rappresentanti del grande capitale agrario
del sud (latifondisti ed aristocratici) per bloccare le rivolte
scoppiate nel Regno delle Due Sicilie tra la fine del XVIII e
l'inizio del XIX secolo. Il fenomeno mafioso muta nel tempo e
acquisisce sempre maggiore forza in Sicilia fino a rendersi sempre
più indipendente dal grande capitale agricolo alla fine del
XIX secolo. La mafia in quel periodo stringe una forte alleanza con
il grande capitale finanziario del Nord, ampiamente rappresentato a
Roma in tutti i governi nazionali che si succedono dal 1861 fino
all'inizio del ventennio fascista. Questa prima mutazione genetica
avviene in concomitanza con la perdita di potere del grande capitale
agricolo meridionale che soccombe progressivamente dinanzi alle
esigenze espansionistiche del capitalismo agricolo ed industriale
del nord. Il legame tra il grande capitale e la mafia rimane intatto
durante il ventennio fascista e nel 1943 la mafia ha un importante
ruolo nello sbarco alleato a Gela ed è decisiva
nell'immediato dopoguerra quando il governo nazionale dovrà
fronteggiare le spinte autonomistiche della Sicilia, reprimendole
nel sangue (strage di Portella della Ginestra del 1° Maggio
1947), per bloccare le rivolte contadine e l'avanzata delle forze
socialiste e comuniste. Il connubio tra i partiti di governo (in
particolare la DC) e la mafia rimane saldo e anzi si estende anche
alle altre mafie meridionali durante il periodo che va dal 1945 al
1992 (vicenda Ciro Cirillo). Le organizzazioni mafiose meridionali
non hanno più come fonte di entrata solo il "pizzo", lo
sfruttamento della prostituzione, il traffico di droga e di armi, ma
si arricchiscono soprattutto con gli appalti pubblici. Infatti una
parte consistente dei 280000 miliardi di lire erogate dalla Cassa
del Mezzogiorno tra il 1951 ed il 1992 per lo sviluppo delle regioni
meridionali è intercettato dalla mafia, mentre la maggior
parte degli appalti va spesso a società ed aziende del Nord
Italia. Molti sono stati, negli ultimi 30 anni, i casi segnalati
dalla magistratura inquirente di infiltrazioni criminali negli
appalti delle grandi infrastrutture meridionali che vedono
protagoniste grandi gruppi imprenditoriali del Nord colluse (ed a
volte controllate) dalla mafia. La mafia infatti diventa sempre
più un soggetto capitalista che mantiene inalterato il suo
potere criminale. La mafia imprenditrice non si manifesta solamente
in Sicilia ma anche nel Nord Italia (in particolare un noto
imprenditore brianzolo, con l'aiuto di amici-soci siciliani,
riuscirà a costruire ben due quartieri di Milano grazie ai
soldi investiti dalla mafia). Quanto avviene in Sicilia sarà
decisivo nella formazione dei nuovi equilibri tra il sistema
politico, le organizzazioni criminali e la grande imprenditoria del
Nord, che stabilizzeranno dopo il 1992. La mafia siciliana dopo la
stagione delle stragi cercherà da quel momento in poi di
rendersi meno visibile e penserà solo a fare affari con la
nuova classe dirigente.
Uno degli affari più grandi su cui la mafia ha cercato di
sfruttare è quello del Piano Regionale dei Rifiuti redatto
alla fine del 2001 dalla Regione Siciliana governata da Totò
Cuffaro, condannato nel Gennaio del 2011 per mafia. Il piano dei
rifiuti prevedeva la costruzione di quattro megainceneritori del
gruppo Falck, sovradimensionati e progettati secondo criteri
obsoleti che li rendevano ancora più pericolosi. Inoltre il
piano istituiva la formazione di 27 Ambiti Territoriali Ottimali,
tramite i quali i comuni avrebbero gestito il trasporto e il
conferimento dei rifiuti, con criteri di gare di appalto che
avrebbero favorito le aziende di trasporto riconducibili a "Cosa
Nostra".
Ma l'affare del secolo rimane per la mafia e la ndrangheta il Ponte
sullo Stretto. Un opera pubblica, inutile e dannosa, da oltre 6
miliardi di euro, di cui 1, 1 miliardi già spesi solo per la
progettazione. Un'opera da molti ritenuta irrealizzabile,
dall'impatto ambientale devastante, su cui le due organizzazioni
criminali avevano allungato i tentacoli. In conclusione esso era un
affare solo per il grande capitale nazionale ed internazionale,
oltre che per la criminalità organizzata.
Queste vicende dimostrano che la mafia diventa nei secoli
imprenditrice, non solo perché ha sempre gestito una grande
quantità di denaro, ma perché riesce anche a gestire
il consenso politico-amministrativo-elettorale. La sua natura
è quindi di essere la specifica declinazione che il
capitalismo assume nelle regioni meridionali e non un "cancro"
estraneo asportabile. Ecco il motivo per cui dove c'è
capitalismo c'è la mafia e ci sono comportamenti di tipo
mafioso, e dove c'è la mafia c'è il capitalismo con i
suoi interessi.
14. CONSUMO SFRENATO DEL TERRITORIO E SUA RIQUALIFICAZIONE E
MANUTENZIONE.
Negli ultimi cinquant'anni ogni giorno 75 ettari di terra vengono
trasformati in asfalto, 600 mila ettari di suolo vengono sommersi da
colate di cemento, altrettanti rischiano di fare la stessa fine nei
prossimi venti. In Sardegna è stato urbanizzato il suolo
addirittura del 1.154% rispetto agli anni 50. Persino in quei comuni
che si sono svuotati per ogni abitante perso abbiano guadagnato in
media 800 metri quadri di cementificazione a causa dell'abusivismo e
l'attività di cava ad opera delle lobby del cemento,
favorite, negli ultimi 16 anni da ben tre condoni edilizi. Nel solo
2006 le cave hanno mutilato il territorio scavando 375 milioni di
tonnellate di inerti e 320 milioni di tonnellate di argilla,
calcare, gessi e pietre ornamentali. Ne risulta un territorio
fragile, in equilibrio precario, soggetto a frane, smottamenti,
alluvioni, esondazioni, a forte rischio desertificazione, come mai
prima d'ora. Ne sono l'emblema Sicilia, Calabria, Campania,
Metapontino. Gli interventi per via della intempestività,
occasionalità, non programmazione, infiltrazioni malavitose,
gestione non oculata o speculativa risultano oltremodo onerosi e
spesso inutili. I costi sulla società, soprattutto in termini
di vite umane e danneggiamenti, sono esorbitanti. Tutto ciò
è l'effetto di un capitalismo predatorio che non si arresta
davanti a nulla.
Oggi è impossibile pensare di poter ritornare all'interno del
sistema capitalistico alla tradizionale gestione del territorio.
Questo perché la lentezza che contraddistingueva le
società tradizionali non risponde alla logica del massimo
profitto.
Il cemento armato si è sostituito alle tecniche e ai
materiali locali, l'approvvigionamento idrico attuale sta
prosciugando le falde e i bacini idrici naturali, i fertilizzanti
chimici e i pesticidi si sono sostituiti ai concimi naturali a
scapito della qualità dei cibi, le monocolture intensive alla
rotazione agraria con conseguente inaridimento del suolo. Alle
economie locali, fondate sull'agricoltura, l'allevamento,
l'artigianato, gestite secondo metodi e modelli tradizionali si sono
sostituiti sistemi e modelli finalizzati alla grande distribuzione,
attraverso lo sfruttamento e l'uso intensivo dei suoli per aumentare
la produttività e ottenere tutto ciò che la natura non
riesce a fornire secondo i suoi cicli. Se continueremo a reiterare
gli attuali comportamenti, entro i primi anni del 2030 avremo
bisogno di due Pianeti per soddisfare il fabbisogno
dell'umanità di beni e servizi.
La globalizzazione dell'economia e degli scambi ha fortemente
indebolito la funzione degli Stati nazionali sotto diversi aspetti,
nella capacità di contrattare con la grande impresa
multinazionale che, sotto l'imperativo della flessibilità,
distribuisce investimenti in settori e regioni in modo quasi
capillare, e mal sopporta le esigenze di stabilità e
continuità del paese ospite. Inoltre, al naturale
indebolimento della base geopolitica di riferimento delle aree di
influenza, una volta fondate sulla disponibilità di risorse e
materie prime, vie d'acqua navigabili, porti e accessibilità,
ora esse cedono il passo a fattori come la copertura dei satelliti
televisivi, di segnali radio, etc.
Quarta parte - Le risposte a tutto campo del partito comunista. Un
modello di sviluppo per il popolo e concretamente sostenibile
15. UNA QUESTIONE AMBIENTALE DALLA PARTE DEI PROLETARI
Forse in nessun luogo come nel Mezzogiorno d'Italia si possono
misurare a un tempo l'inutilità teorica dell'approccio
borghese ai problemi cosiddetti ecologici e il danno concreto che ne
deriva dall'applicazione di ricette quali quelle che si definiscono
di green economy.
Non è neppure un caso che proprio nel Mezzogiorno le
cosiddette forze politiche ecologiste abbiano avuto, segnatamente i
Verdi, una loro particolare forza ed un relativo insediamento, con
il carico di diffuse speranze deluse e di affarismi individuali e
penetranti.
Non è neppure un caso che l'esito di battaglie, pure
così significative e pregnanti, quali quelle contro gli
inceneritori, abbiano segnato cocenti sconfitte e segnalato
eclatanti tradimenti, a partire da posizione espresse
dall'ex-ministro per l'Ambiente e dall'attuale vice-sindaco di
Napoli, passati entrambi da una posizione contraria senza se e senza
ma, a una più interessata del tipo non "nel mio giardino".
Sul piano strettamente teorico, una posizione da ecologismo borghese
- che non si manifesta solo nei salotti-benpensanti, ma pure in
larghi settori di movimento, o di falso-movimento - è
assolutamente fuorviante proprio perché nega la
contraddizione capitale-lavoro come principale, soprattutto
nell'analisi della finitezza dello sviluppo materiale e della
qualità dei modelli di un possibile, futuro sviluppo.
Nefasto è pure il non considerare come il famigerato ciclo
dei rifiuti nel Mezzogiorno d'Italia sia figlio legittimo ed oggi
fratello stretto del ciclo delle cave e del ciclo del calcestruzzo,
significa non solo non comprendere le sue radici materiali ed i suoi
modi di produzione, in termini di logistica, impiantistica, tempi,
distribuzione, ma anche derubricare la presenza strategica delle
mafie in tale settore produttivo a semplice incidente, occasione
casuale, e non invece elemento strutturale, tutto interno ad aspetti
di un preteso sviluppo capitalistico che, lungi dall'essere
definibile come arretrato, ne rappresenta invece una punta avanzata,
anticipatrice di diffusioni addirittura planetarie.
Del resto la stessa prevalenza in tale ciclo industriale della
specialistica del ciclo dei rifiuti nocivi industriali mette in
risalto la natura di classe degli enormi danni, soprattutto alla
salute pubblica, che da essa sono derivati e tuttora derivano
massicciamente, ben al di là dei dati ufficiali.
Anche qui declassare la questione ad una querelle tra un nefasto
Nord industriale e un Sud buono e bucolico è non solo puro
esercizio di fantasia, ma sostanzialmente un tentativo disperato di
deviare le gravissime responsabilità, anche morali, del
sistema capitalistico nel suo insieme.
Il fatto poi che in questo settore d'assalto la borghesia
imprenditrice e il personale politico-amministrativo siano
esattamente sovrapponibili rappresenta non solo la conferma precisa
di quanto previsto da Marx nel suo Per la critica della economia
politica, ma anche la conclusione accessoria sulla intrinseca natura
strutturale di tali processi. Solo un processo strutturalmente
rivoluzionario è in grado di invertire i termini di un tale
falso-sviluppo, che si qualifica insostenibile non solo per le sue
specificità qualitative, ma anche, soprattutto per i nostri
territori, per i suoi dati quantitativi (si pensi alle discariche
ordinarie e dei materiali nocivi, alla miriade di impianti diffusi,
dannosi oltre che maleodoranti, alle pale eoliche, ecc.). Queste
nostre esperienze ci mettono in condizione, oggi più di ieri,
di prefigurare le linee di uno sviluppo decisamente alternativo,
sostenibile sul piano sociale e su quello ambientale insieme, che
veda le masse popolari, e non risicati settori di illuminati,
attrici di una tale battaglia, essa sì di civiltà.
Per quanto già esposto potrebbe apparire che il compito
specifico dei comunisti, nelle lotte per il territorio e l'ambiente,
rimandi comunque e soltanto alla costruzione delle condizioni
soggettive e organizzative per i prossimi sviluppi rivoluzionari.
Non è così, e proprio in questo specifico risulta
decisiva la coerenza sostanziale e la sincronia nei tempi di
attuazione tattica delle lotte, tenuto conto che sono in tanti
(sedicenti comunisti e falsi rivoluzionari) a sostenere la
necessità di aprire piattaforme proprio sugli obiettivi
perseguibili in questa fase.
Tali obiettivi - opere generali e puntuali di bonifica di suoli,
acque, aria, interventi di riqualificazione dei centri e delle
periferie urbane, delle preesistenze industriali, dei nuclei
storico-monumentali, piani di manutenzione finalizzati alla
riduzione dei rischi: idrogeologico, frane, sismico, vulcanico - non
sono certo a portata di mano e sono sempre oggetto di grandi
infingimenti e continui tradimenti. È bene chiarire che i
luoghi in cui si consumano tali tradimenti non sono solo quelli
delle istituzioni, che certo rimangono luoghi di elezione per la
svendita delle lotte e per la torsione perversa degli obiettivi, ma
si situano spesso nella pratica interna a movimenti, associazioni,
centri sociali e di falsa aggregazione dal basso, estremamente
radicali a chiacchiere ed ancora più estremistici per
duttilità e permeabilità alle lusinghe dei poteri del
capitale, da loro definiti genericamente poteri forti.
La nostra presenza va assicurata anche in quei luoghi, a patto che
si manifesti e permanga in modo esplicito, chiaro, definito, non
ambiguo. Dobbiamo opporci a ogni tentativo, esterno o interno,
tendente ad appannare la nostra identità politica e a
fuorviare la nostra linea su ogni singola vertenza: stare dentro le
vertenze, se giudicate giuste e utili, ma non ad ogni costo.
Adottando una tale tattica, che si deve sempre accompagnare
l'attività di inchiesta, studio, elaborazione, organizzazione
interna di Partito, potremo dare proprio quel contributo serio e
concreto che le masse popolari si aspettano dai comunisti. In una
tale ottica il concorso, anche non classicamente organico, di
intellettuali, studiosi, ricercatori, soprattutto specialisti delle
discipline scientifiche, va incoraggiato e sostenuto, ma sempre
assicurando il ruolo politico del Partito che deve porsi sempre alla
testa e portando nelle lotte il punto di vista proletario.
16. LE RETI INFRASTRUTTURALI ED ENEGETICHE
La critica alla finitezza dei processi di sviluppo, e al carattere
essenzialmente quantitativo che essi sempre più denotano, ha
portato negli ultimi decenni, e segnatamente nel Mezzogiorno
d'Italia, a una riconsiderazione degli assi strategici lungo i quali
si può porre la questione delle infrastrutture.
Nella vicenda della eventuale costruzione del ponte sullo stretto di
Messina, che ha molti caratteri comuni a quella della Val di Susa,
ben oltre i classici pezzi di propaganda anti-berlusconiana, e ben
fuori dalla considerazione di un effettivo consenso bipartisan alla
realizzazione dell'opera, l'approccio (tranne lodevoli eccezioni)
non si è allontanato dalle coordinate del puro ecologismo
borghese.
Il giudizio dei comunisti non può che essere negativo
perché si tratta di progetti partoriti dal capitale, dal
capitalismo di oggi, che ha perso ogni qualsivoglia parvenza
progressiva. Anche qui la contraddizione è stringente, e
soprattutto al Sud possiamo concludere che queste opere pubbliche,
opere del capitale, portano il segno della devastazione ambientale,
sociale, civile, proprio perché opere del tardo-capitalismo;
lo stesso termine con cui le popolazioni si sono abituate ad usare
per definirle, i "mostri", denota una avversità quasi
ontologica, che, se male interpretata, può però
condurre a pericolose regressioni nostalgiche.
La crescita di una estesa coscienza sui danni ambientali va pertanto
accompagnata allo svilupparsi di una nuova concezione creativa, che
potrà portare frutti solo dentro una trasformazione
rivoluzionaria di tipo socialista-comunista.
Una semplice concezione anti-capitalista è invece destinata
da un lato a non andare oltre la dicotomia tra concezioni
pre-industrialiste (semplice ritorno alla campagna) e mitici
risultati tecnologici, e dall'altro all'accendere passioni e
pulsioni populiste, regolarmente destinate al fallimento. Esempio di
ciò è rappresentato dalla cosiddetta teoria della
"decrescita", che al più può rappresentare un
tentativo idealista di trovare soluzioni tutte interne al sistema
capitalistico per dare soluzione alle ricorrenti crisi di
sovrapproduzione.
Un simile punto di vista si potrebbe adottare sulla questione delle
fonti e delle reti energetiche.
Dall'avvenuta chiusura nel Mezzogiorno del ciclo di sviluppo degli
idrocarburi, con le limitate e poco redditizie estrazioni lungo la
valle del Basento e la sostanziale chiusura delle attività di
raffinazione e stabilizzazione dei prodotti del petrolio (valgano
per tutte quelle di Napoli-est e di Taranto), si è andato
sviluppando un processo, tutto empirico e del tutto non pianificato
(ma, ripetiamo, si può chiedere all'ultimo capitalismo
ciò che quello maturo non ha mai saputo e potuto
realizzare?), di vero e proprio arrembaggio a nuove forme di
produzione e distribuzione dell'energia.
Anche qui possiamo focalizzare una vicenda molto legata ai nostri
territori, e cioè quella dell'energia eolica. Si continua a
dipanare una lettura leziosa dei fatti, che oscilla tra concezioni
estetizzanti e altre segnate da una pretesa etica dei beni comuni,
secondo cui il vento, l'acqua, il sole, essendo beni naturali
tendenzialmente omnidisponibili, debbano naturalmente essere
distribuiti equamente ed utilmente. Non sono neppure da
sottovalutare i processi degenerativi e corruttivi che, dalla
Sardegna alle Puglie passando per il confine campano-molisano, hanno
accompagnato l'estendersi di tali produzioni, in perfetta coerenza
con i processi globali di condizionamento dell'industria
petrol-chimica.
L'astrattezza e l'infondatezza di tali concezioni, altro portato
dell'ultimo capitalismo, condanna la critica che ne deriva a tali
modelli di sviluppo alla sterilità, se non alla disperazione.
Domande del tipo: è più importante preservare la
bellezza del paesaggio o produrre energia con processi non
inquinanti, sono esattamente quelle domande che hanno condotto la
sinistra in vicoli senza uscita.
Sullo stesso terreno istituzionale, non è un caso che nessuna
regione meridionale si sia dotato di un proprio piano energetico,
previsto dalla normativa nazionale e comunitaria, acconciandosi
invece alle più flessibili e più tendenzialmente
lucrose linee guida di piano. Sarebbero queste linee guida,
enfatizzate nel laboratorio vendoliano-pugliese, degno erede di
quello bassoliniano-campano, ad indicare l'affermarsi di nuove ed
alternative fonti di energia?
Possiamo serenamente rispondere di no. Esse rappresentano solo
un'ulteriore dimostrazione della crisi, della confusione, del segno
negativo che connotano la borghesia del Meridione d'Italia.
17. "BENI COMUNI": IN DIFESA DEL RUOLO DEL PUBBLICO, MA PER UN
"PUBBLICO E PARTECIPATO". LA LEZIONE DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA
Le proposte dei comunisti di breve-medio periodo devono anche tenere
conto del livello del dibattito politico che si è realizzato
oggi in Italia tra i "movimenti", facendo sedimentare le
novità e i contributi interessanti che ne son venuti e
contrastando le derive piccolo-borghesi che oscurano la
contraddizione capitale-lavoro come fondamentale nella nostra
società.
La contraddizione che questi movimenti hanno affrontato è
quella tra una gestione dei beni collettivi (acqua, trasporti, …) di
tipo privatistico, che è stata rigettata anche nelle forme di
Società di capitali a intera o prevalente partecipazione
pubblica, perché portatrice di interessi antisociali e non
certo garanzia di efficienza, e una gestione pubblica che nelle
esperienze passate si è spesso rivelata un baraccone
parassitario del potere economico ed elettorale del sottobosco
politico.
La ricetta alla quale quei movimenti hanno messo capo è
"pubblico e partecipato", ossia Società di gestione che
abbiano una natura pubblicistica, ma che siano sottoposte a un
costante e puntuale controllo della collettività, che si
esprimerebbe per il tramite organizzativo di associazioni costruite
dal basso.
Naturalmente sappiamo che tali soluzioni non possono essere definite
come soluzioni ottimali, perché esse cercano di perseguire
una impossibile compatibilità col sistema capitalistico.
Devono essere, tuttavia, guardate e studiate con interesse ed in
ogni casi i comunisti ci devono "stare dentro" per due motivi.
Il primo è che creano una frattura col sistema monopolistico
e possono davvero ridurre gli effetti della sua pervasività
Il secondo è che hanno una sorta di funzione "didattica" e
possono rimettere in modo la voglia di associarsi e "fare politica",
come ha dimostrato prima la campagna di raccolta firme e poi la
campagna referendaria.
Il modulo "pubblico e partecipato" è per altro un modulo che,
in questa fase può essere proposto ad altri settori della
vita pubblica, come la sanità e l'istruzione, ma in ogni caso
non può essere presentato come alternativo alla
trasformazione rivoluzionaria in senso socialista-comunista.
Un altro campo dove questa formula può essere riportata
è quello delle reti di consumo e di distribuzione, laddove si
può tentare di ridurre il predominio della grande
distribuzione, avvicinando i consumatori ai produttori e con
ciò abbassando il grado di ricattabilità da parte
della grande distribuzione stessa.
Il rischio di questa ricetta rimane, comunque, quello di assumere
come prevalente la prospettiva del consumatore e mettere in secondo
piano, se non abbandonare quella del produttore, che è pur
sempre un lavoratore.
Infatti alcuni di questi movimenti non hanno saputo prendere una
corretta posizione sulle "liberalizzazioni" di settori importanti
come quelle dei tassisti e hanno finito per schierarsi,
consapevolmente o inconsciamente, in ogni caso nei fatti a fianco
delle politiche del governo Monti.
Quindi è chiaro che, anche in tali campi, i comunisti
devono sempre aderire a questo tipo di campagne, tenendo presente in
primo luogo la prospettiva di classe e insistendo nel portare il
punto di vista proletario, che è l'unico che può
davvero unificare tutte le lotte e gli obiettivi delle larghe masse
popolari.
18. LAVORO. SOLO UNA PRODUZIONE "SOCIALE" E NON PER IL PROFITTO
PUÒ SALVARE LA SOCIETÀ.
Introduciamo questo titolo in chiusura del documento analitico sul
Meridione, proposto in preparazione della prossima Conferenza
programmatica del Partito, indicando il titolo stesso come una delle
tracce di lavoro da affidare alla Conferenza nazionale sul lavoro,
appuntamento decisivo nel calendario di ricostruzione del Partito
comunista in Italia.
Risulta evidente che un tale lavoro di definizione dovrà
vedere l'apporto decisivo dei compagni in produzione delle grandi e
piccole realtà industriali del nostro Paese, anche quelli
impegnati nella militanza sindacale con le organizzazioni a noi
vicine per cultura politica e per affinità nello studio
ideologico e nel lavoro di massa.
Tale riflessione deve orientarsi a partire dai limiti del sistema
capitalista e la frode dello "sviluppo" impossibile: qualunque
incremento di produttività, qualunque "modernizzazione" del
mercato del lavoro non può non ritorcersi contro i
lavoratori, come abbiamo fatto esperienza (se ce ne fosse stato
bisogno) negli ultimi decenni. Aumento della produttività
significa solo abbattimento dei costi da parte del padrone ed
espulsione di manodopera, modernizzazione e globalizzazione
significa solo importare in Italia le condizioni di lavoro del
cosiddetto terzo mondo. Solo una produzione "sociale" e non per il
mercato, pianificata e controllata dalla classe operaia, può
liberare le straordinarie energie produttive odierne e aumentare il
benessere di tutti i cittadini. Questo è particolarmente vero
nel Mezzogiorno d'Italia, dove si accumulano tutte le più
stridenti contraddizioni del capitalismo moderno: mafia,
devastazione del territorio, disoccupazione e precarizzazione del
lavoro dipendente (ma oggi anche quello autonomo), bassissima spesa
sociale utile e sprechi per sanità, infrastrutture,
istruzione e ricerca.
A questo proposito ci rifacciamo al programma nazionale del Partito
a cui aggiungiamo i seguenti punti specifici del Meridione:
Politica internazionale
- uscita dell'Italia dalla NATO e uscita dalla NATO dall'Italia, con
la bonifica dei territori devastati da decenni di occupazione
straniera: la Quirra in Sardegna, Sigonella e il sistema radar MUOS
in Sicilia e le decine e decine di zone militari.
Politica nazionale
- lancio di una grande politica nazionale per la riduzione del
divario infrastrutturale del Mezzogiorno (trasporti, scuole,
ospedali);
- sostegno ai prodotti locali, in particolare quelli agricoli, a cui
occorre assicurare il massimo incremento qualitativo nel rispetto
assoluto delle condizioni di lavoro di tutti i lavoratori immigrati
e non;
- accoglienza e protezione di tutti i richiedenti asilo;
- riconversione di tutte le produzioni industriali inquinanti e
bonifica urgente di tutti i siti e messa in sicurezza del territorio
devastato;
- grande campagna di "ritorno dei cervelli" per sviluppare una
industria moderna, rispettosa dell'ambiente e dell'essere umano;
- guerra senza tregua alla criminalità organizzata e
rescissione dei suoi legami con la politica attraverso il più
vasto coinvolgimento dei lavoratori che devono essere messi nelle
condizioni di sorvegliare ogni dettaglio della vita pubblica:
costruzioni, gestione delle risorse comuni (acqua, trasporti), ecc.;
- nella prospettiva di una produzione sempre più "sociale" e
non per il profitto, occorre assicurare il sostegno a forme di
produzione non ancora socialiste ma non monopoliste, quali le
cooperative di produzione e di consumo (con l'esproprio immediato e
senza indennizzo a tutte le aziende che delocalizzano o hanno
delocalizzato), il piccolo artigianato e le piccole aziende
manifatturiere;
- assicurare la casa a tutti, senza nuove colate di cemento, ma
recuperando i grandi e piccoli centri storici, favorendo
l'autorecupero ed espropriando i grandi patrimoni immobiliari;
- favorire un turismo locale, nazionale e internazionale, rispettoso
del grande patrimonio culturale e storico dei nostri territori, un
turismo che sia innanzitutto il modo per far conoscere e
approfondire l'amicizia dei nostri popoli del Sud con tutto il resto
del mondo.
[i] V. De Robertis, A. Gramsci e l’Unità d’Italia,
Feltrinelli. disp. su: www.resistenze.org
[ii] V. Daniele, P. Malanima, Il prodotto delle regioni e il divario
Nord-Sud in Italia (1861-2004), Rivista di politica economica,
mar-apr 2007, 267-316
[iii] Secondo Assoconfidi Sicilia «nel corso del 2011 la
contrazione dell'erogazione del credito è stata sensibile in
tutti i settori e ha superato il 20% rispetto all'anno
precedente». Ciò «è il frutto di una
moltiplicazione rapida avvenuta negli ultimi quattro anni a causa
delle crisi economica che ha fatto aumentare la richiesta di credito
(e dunque di garanzie) ma anche della nuova normativa sulla
valutazione dei rischi e sulle garanzie patrimoniali».
[iv] Stretta europea con due eccezioni , ILSOLE24ORE, 17 febbraio
2012