Il Politecnico
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Il Politecnico - Repertorio mensile di studj applicati alla
prosperità e coltura sociale, fu un periodico fondato a
Milano nel 1839 da Carlo Cattaneo.
Le pubblicazioni iniziarono il 1º gennaio 1839 e si
interruppero nel 1844 a causa dei sopravvenuti impegni del
fondatore, che fino a quel momento aveva svolto un ruolo essenziale
nella redazione della rivista. Il primo ciclo del
«Politecnico» consta di 7 volumi. La rivista veniva
stampata presso il tipografo Gino Daelli.
Cattaneo riprese le pubblicazioni il 1º novembre 1859, dopo
l'annessione della Lombardia al Regno di Sardegna (vol. 8, 1860) e
continuò fino al 1869 (vol. 31), anno in cui spirò. Il
fondatore, comunque, aveva cessato di dirigerla nel 1862, anche se
continuò a firmare articoli come collaboratore.
Nel 1864 la proprietà della casa editrice fu rilevata
dall'ingegnere alsaziano Ernesto Stamm, che alla fine del 1865 la
cedette a sua volta al finanziere Andrea Ponti.
Sotto la direzione di Francesco Brioschi nel 1866 la testata assunse
un nuovo sottotitolo («Repertorio di studj letterari,
scientifici e tecnici») e iniziò ad uscire in due
distinte parti, letteraria e tecnica.
La prima, guidata da Romualdo Bonfadini, si chiuse alla fine del
1868; la seconda si fuse nel 1869 con il «Giornale
dell'ingegnere civile e meccanico», per dare vita al
«Politecnico. Giornale dell'ingegnere architetto civile e
industriale».
Lo scopo della rivista, già palese nel sottotitolo, venne
enunciato in maniera esplicita nel suo primo fascicolo: l'intenzione
del fondatore era quella di
«appianare ai nostri
concitadini con una raccolta periodica la più pronta
cognizione di quella parte di vero che dalle ardue regioni della
Scienza può facilmente condursi a fecondare il campo della
Pratica, e crescere sussidio e conforto alla prosperità
comune ed alla convivenza civile.»
La rivista fu quindi una rassegna di studi originali e recensioni
approfondite sugli argomenti più disparati, dalle scienze
esatte alla critica letteraria, unificati sotto il comune obiettivo
di favorire il progresso tecnico-scientifico - e civile - dei suoi
lettori.
I contenuti si articolavano nelle seguenti categorie:
- Applicazioni fisiche e matematiche,
agraria, tecnologia, storia naturale, medicina ecc.
- Arte sociale, studj economici,
amministrativi, legali, istorici, ecc.
- Studj mentali, metodi d'istruzione, nuovi
instituti, ecc.
- Belle arti e belle lettere, ecc.
Impossibile riassumere nel dettaglio tutti gli ambiti investigati
dagli studi del Politecnico. Molti interventi dello stesso Cattaneo
vennero poi raccolti in sillogi dei suoi scritti. Si possono
segnalare, per la profondità e l'acume i suoi contributi
sulla Grande carestia irlandese (1845 - 1849) (un articolo che
risultò profetico del 1844 ed uno nel 1860), in cui forniva
un'eccellente analisi economica della situazione dell'Irlanda.
Negli altri campi, degni di menzione in particolare gli studi
linguistici sul "nesso ario-semitico" di Graziadio Isaia Ascoli
(1864 e 1865), in cui veniva affrontato in modo scientifico il
problema dei rapporti tra la famiglia linguistica semitica e quella
indeuropea, o uno studio approfondito sui lavori per il taglio
dell'istmo di Suez (1864), con allegata una cartina dettagliata in
pianta e in sezione del progetto.
*
Prefazione al primo numero de
Il Politecnico
Repertorio mensile di studj applicati alla prosperita e coltura
sociale
Carlo Cattaneo
1839
VOLUME 1
ANNO PRIMO == SEMESTRE PRIMI
Sotto un titolo che ad alcuno sembrerà per avventura
ambizioso, noi divisiamo annunciare la più modesta delle
intenzioni, quella cioè di appianare ai nostri concittadini
con una raccolta periodica la più pronta cognizione di quella
parte di vero che dalle ardue regioni dell Scienza può
facilmente condursi a fecondare il campo della Pratica, e crescere
sussidio e conforto alla prosperità comune e alla convivenza
civile.
Desiderosi di pur giovare anche nella debolezza dei nostri studj:
obbedienti alla voce del secolo che preferisce allo splendore delle
teorie i pazienti servigi dell’Arte: persuasi che ogni scienza
più speculativa deve tosto o tardi anche da’ suoi più
aridi rami produrre qualche insapettato frutto all’umana
società: noi intendiamo farci quasi interpreti e mediatori
fra le contemplazioni dei pochi e le abitudini dei molti.
La Scienza ama rivolgersi astrattamente alla Scienza; ama parlare un
alto e sdegnoso linguaggio; ella oltrepassa le verità
già publiche e mature all’uso comune per immergersi nei
novelli problemi; non appoggia il piede sul noto se non per farsene
scala all’ignoto; e non ha tempo di attendere che la moltitudine
ragiuga i suoi passi, si accostumi alla luce inusitata delle sue
divinazioni.
Solo con somma lentezza, e sotto il continuo stimolo dei bisogni
sì corporei che morali, raccolgie la società i raggi
che tratto tratto erompono dal santuario della sapienza, e se ne fa
scorta sul cammino della vita. La prova dell’uso fa finalmente
apparir solide e ferme quelle elaborazioni scientifiche che prima
sembravano imaginarie e vane. Il vulgo che derise il geologo quando
errava solitario e curvo scrutando le rocce, si affolla poi ad
erigere fucine e case presso gli strati fóssili di cui la
sola scienza riconobbe i segnáli, e che molte bisognose
generazioni per secoli e secoli conculcarono senza avvedersi.
Sotto la dura necessità di operare, l’uomo assimila e
coordina in Arte i paradossi della dottrina; e a poco a poco va
estendendo l’arte fin dove giungono i bisogni della natura e le
forze della scienza.
Primo bisogno è quello di conservare la vita; e ad esso
convergono tutte le Arti che si riferiscono alla materia, che
dirigono gli sforzi meccanici e le combinazioni chimiche: le Arti
che misurano il numero, lo spazio e il tempo: che propagano sulle
diverse terre i germi più giovevoli alla sustistenza: che ci
proteggono dalle ingiurie degli elementi e dalla debolezza del
nostro organismo. Figlie delle scienze matematiche e fisiche si
schierano qui tutte le Arti produttive e salutari, ad alcune delle
quali soltanto il costume invalso restrinse il nome di Politecniche,
quantunque indebitamente.
E infatti non sono meno Arti, figlie al pari d’altre scienze, quelle
che reggono le aggregazioni civili. I prodotti dei campi e degli
opificj, e l’esistenza stessa e il numero delle popolazioni,
dipendono dall’ordine con cui si tutelano, si diffondono e si
rappresentano le ricchezze, con cui si accertano le transazioni e si
pareggiano gl’interessi rivali, con cui l’associazione ripara alla
insufficienza degl’individui, e inalza il venturoso edificio del
credito. Tutti questi provvedimenti compongono l’immenso apparato
dell’Arte Sociale, sul quale le nazioni fioriscono talora senza
saper come, e talora s’addormentano incautamente.
Tutte le Arti che abbiamo detto, fanno scopo delle loro discipline
l’uomo esteriore, i suoi beni,la vita, diremmo quasi, mondana. Ma,
anche senza inalzarsi a contemplazioni sopranaturali, può
l’uomo farsi studio della parte intima di sè stesso. Le leggi
del pensiero e i suoi segni, le norme logiche, il metodo, gli
artificj con cui l’analisi fa forza al vero e la sintesi lo assicura
e lo feconda: ecco quelle Arti Mentali che noi non potremmo passare
in silenzio, e sulle quali, sobriamente come vuole lo spirito dei
tempi, chiameremo l’attenzione dei nostri lettori. Precipua nostra
cura sarà promuovere i metodi dell’Educazione, massime in
quanto esercita ed avvalora le naturali attitudini. Noi ci
studieremo eziandio d’indicare sulle tracce della Linguistica le
novelle dottrine che, collegando le favelle in famiglie, spianano
mirabilmente la strada all’acquisto di molte lingue. Percorso
così il cerchio severo delle Arti Utili, non ci
resterà che dare qualche breve corsa nel dominio delle Arti
Belle. La Pittura, la Scultura, l’Architettura, la Musica, la Poesia
stessa e le altre Arti dell’immaginazione scaturiscono da un bisogno
che nel seno della civiltà diviene imperioso non men di
quello della sussistenza: da un bisogno che distingue e nobilita
l’umana natura. Ma se anche non aggiungessero eleganza e perfezione
alle nostre facoltà, sarebbe sempre a notarsi che per le
singolari condizioni di questo bel paese, le belle Arti vi sono
fondamento alla fortuna di molte famiglie. Non è sola
industria quella che suda intorno alla lana ed al ferro, ma anche
quella che dando le apparenze della vita al marmo e al bronzo, o
dando straordinario valore ai suoni d’una voce, ci acquista dalle
altre nazioni un regolare tributo di ricchezza e d’ammirazione.
Forse il primato di queste Arti ci appartenne finora anche per
indolenza d’altri popoli. Ma oramai, nella universale emulazione,
siamo posti nella necessità di essere severi censori a noi
stessi. La corona della poesia non può dirsi più
nostra; quella della invenzione musicale è divisa; alle altre
si aspira valorosamente da più nazioni; giacché
inesatta è l’opinione che col nome di positivo contrassegna
questo secolo XIX, il quale estese l’impero delle Arti fino
all’estremo settentrione, e primo seppe levarsi alla sublime
capacità di riconoscere il bello di tutti i generi, di tutti
i tempi, e di tutti i paesi.
Così dalle Arti che riguardano i corpi, ci faremo strada a
quelle che riguardano le transazioni [p. 7]sociali ed il
perfezionamento dell'intelletto e del gusto, sempre evitando le
indagini scabrose colle quali gli scienziati s’inoltrano alle
scoperte, e sempre cercando di tradurle all’uso generale,
affinché questo Repertorio sia piuttosto sussidio al fare che
all’astratto sapere. Le materie si seguiranno adunque con
quest’ordine di Arti Fisiche, Arti Sociali, Arti Mentali, Arti
Belle: di modo che al nome di Politecnico possa corrispondere la
varietà degli argomenti che verremo coltivando.
Precederanno sempre le Memorie Originali, o di nostra fatica, o
conferite da distinti collaboratori. Verranno dietro le Riviste
delle opere nuove di varie lingue. E i fascicoli si conchiuderanno
con una selva di Notizie, fra le quali più abbonderemo in
quelle che esporranno lo stato economico di queste provincie, o
potranno ad esso giovare. Faremo ogni opera ed ogni sacrificio
perchè non cí manchi il sussidio dei più
valenti cultori degli utili studj, in modo che l’opera non riesca
,inferiore all’epoca, e rappresenti in qualche modo l’inoltrata
civiltà del paese.
Il bisogno di promovere fra noi ogni maniera d’industrie è
omai troppo manifesto. La restaurazione graziosamente elargita
all’Instituto di Scienze ed Arti, e la nuova concessione delle
Scuole Tecniche alle due Capitali del Regno, incoraggiano fra noi
quello spirito industriale che da qualche tempo si occupa a
propagare l’uso dei combustibili fossili, i più nuovi metodi
d’illuminazione, e i primi abbozzi di studj sulle strade ferrate.
Sono questi i deboli segni di quella nuova vita industriale, senza
di cui l’addensata popolazione di queste Provincie oramai non
potrebbe più conservare l’invidiata sua prosperità. E
una nuova trasformazione di quell’industria che perseverando per
venti secoli, ha già potuto recare questa nostra terra
Insubrica dallo stato suo primitivo di sabbia o di palude a quello
di una incomparabile feracità; di quell’industria che alla
primitiva nostra povertà potè sovvenire introducendo i
prati invernali, il riso, il grano turco, il grano saraceno, la
patata, l’olivo, il limone, e soprattutto il gelso, tuttociò
insomma che porge sussistenza al povero e delizie al ricco. Se da
tre secoli le nostre manifatture hanno ceduto alla maggiore
attività d’altre nazioni, se abbiamo in gran parte perduto
gli opificj delle lane, dei lini, e degli acciaj, contiamo ancora
tra Milano e Como più di settemila telaj da seta; e nella
sola provincia di Milano contiamo sparsi fin nelle più
sterili brughiere settantamila telaj da cotone, industria che
può dirsi nuova: le opere del ferro sembrano doversi
rianimare col soccorso delle ligniti e coi nuovi ritrovati
stranieri, e una folla di nuove manifatture tenta levarsi d’ogni
lato. Possa il Politecnico arrecare qualche eccitamento e qualche
utile consiglio ad una generazione intraprendente, da cui lo Stato
sembra potersi attendere nuovi incrementi di opulenza e di
splendore.