Gramsci, Graziadei e il paese di Cuccagna


Agli occhi di Gramsci, Graziadei ha avuto il torto di mettere in discussione la teoria del valore di Marx e di pretendere di dimostrare che il marxismo può fare a meno di essa. Tenendo conto che Graziadei si era reso conto che la confutazione della teoria del valore, avvenuta a partire da Tugan Baranovsky, aveva comportato all'epoca la rimozione del marxismo dall'ambito dell'economia, e che il suo sforzo costante è stato quello di aggiornare la teoria marxista integrando in essa la tradizione classica e l'emergente marginalismo, il giudizio di Gramsci appare poco generoso. Il riferimento a Croce, poi, sembra improprio: primo, perché Croce, pur essendosi interessato al marxismo, non è mai stato un economista; secondo perché la sua critica derisoria nei confronti di Graziadei e del suo paese di Cuccagna implica un grave fraintendimento del suo pensiero.

In uno dei suoi scritti, Lévi-Strauss afferma che la storia umana si avvia sulla base della schiavitù e implica il sogno che, un giorno, le macchine possano sostituire gli schiavi.

Non si tratta di una prospettiva priva di fondamento. A Graziadei va dato il merito di averla analizzata prematuramente.
A conferma di ciò, è opportuno leggere l'articolo seguente.

ECONOMIA POLITICA / a. II, n. 3, dicembre 1985

Valore e distribuzione in un’economia robotizzata

di Paolo Sylos Labini

1. Barton e Ricardo sulle macchine

«È facile concepire che in certe circostanze l’intero ammontare dei risparmi delle persone industriose possa essere aggiunto al capitale fisso, nel qual caso essi non accrescerebbero affatto la domanda del lavoro». Così scriveva John Barton in un importante pamphlet pubblicato nel 1817. Non sembra che questo pamphlet abbia influito sulle idee di Ricardo al tempo della sua pubblicazione; tuttavia, stando all’accurata e rigorosa ricostruzione logica e cronologica di Sraffa, esso certamente influì su Malthus e, indirettamente almeno, contribuì a determinare il «rivoluzionario» mutamento nel punto di vista di Ricardo sulle macchine, che lo indusse a introdurre il famoso nuovo capitolo «Sulle macchine» nella terza edizione dei suoi Principi, pubblicato nel 1821. I

n questo capitolo Ricardo cita quel passo e osserva che «è difficile concepire che un aumento del capitale (intende: del risparmio) non sia seguito da un aumento della domanda di lavoro»; al massimo, egli scrive, si può dire che l’aumento nella domanda di lavoro sarà meno che proporzionale rispetto all’aumento del capitale (Ricardo, 1951, pp. LI, LVII-LX, 395-6).

Lo stesso Ricardo, nella prima edizione dei Principi, nel trattare un particolare aspetto del problema del valore, aveva fatto l’ipotesi che «una macchina potesse svolgere un certo lavoro senza alcuna assistenza da parte del lavoro umano». Nella seconda edizione della sua opera Ricardo avvertiva che una tale ipotesi, «manifestamente impossibile», mirava solo a semplificare la sua argomentazione (p. 60n). Ma è un’ipotesi manifestamente impossibile oggi?

Già molti anni fa, nella mia monografia sull’oligopolio, osservavo che la possibilità di cui parlava Barton e che a Ricardo sembrava difficile da concepire, col diffondersi dell’automazione non appariva poi tanto fantastica. Oggi, col progredire della robotizzazione, che rappresenta uno stadio ancora più avanzato dell’automazione, non appare più impossibile l’ipotesi di Ricardo appena ricordata: non lo è se si considerano singoli settori; ma non è fuor di luogo – «to put the principle in a strong point of view» (sono parole di Ricardo) –, fare l’ipotesi che l’intero processo produttivo venga compiuto da robot. Certo, una tale ipotesi non può essere estesa a tutti i servizi personali; ma almeno per la produzione di merci l’ipotesi di una robotizzazione generalizzata non è assurda: la proporrò nel terzo paragrafo. (Nella sostanza, senza chiamarla robotizzazione, la proponeva verso la fine del secolo scorso Antonio Graziadei, che si attirava così gli strali ironici di Benedetto Croce).

Qui desidero far notare che un impiego nullo di lavoro nel settore delle merci rappresenta la conclusione ultima di una tendenza che nei paesi industrializzati va avanti da circa un secolo: la tendenza alla riduzione del tempo di lavoro nell’arco della vita – da cento anni ad oggi questo tempo si è certamente più che dimezzato, mentre la settimana lavorativa si è ridotta da oltre 70 ore a meno di 40. Una settimana lavorativa di zero ore non è altro che il limite, in senso matematico, di questa tendenza, che, com’è ben noto, ha dietro di sé le innovazioni tecnologiche e organizzative.

2. Valore e distribuzione in un particolare settore completamente robotizzato

Esistono già fabbriche in cui l’ipotesi di cui si discute è pressoché avverata: «Uno studioso europeo ci dà questa descrizione di una moderna filatura da poco visitata in Giappone: “. . . Non più dieci persone, padrone incluso, sono necessarie per far funzionare i 30.000 fusi anulari che rappresentano 22 milioni di dollari d’investimento”» (citato da Leontief, 1984, p. 28). Non si richiede dunque un eccessivo sforzo di fantasia per immaginare fabbriche intere o addirittura interi settori in cui opera un numero di lavoratori talmente piccolo da poter essere equiparato a zero: in quei settori, non essendoci lavoratori, non ci sarebbero neppure retribuzioni da pagare e l’intero reddito netto coinciderebbe con i profitti: è il caso, considerato da Sraffa, del «massimo saggio di profitto», un’idea ricavata da un accenno di Marx alla possibilità di una caduta del saggio del profitto «perfino se i lavoratori potessero vivere di aria» (Sraffa, 1960, p. 103 e Marx, 1965, vol. III, cap. 15, sez. II, p. 300). In un tale caso la teoria marxista del valore-lavoro che presuppone un plusvalore creato dal capitale variabile, ossia dall’impiego retribuito di lavoro corrente o «lavoro vivo» – in via di principio e a parte altre ben più fondamentali obiezioni – può avere significato solo ricorrendo all’ipotesi di una redistribuzione del plusvalore fra tutti i settori, compresi quelli che non lo producono perché non impiegano «lavoro vivo». Anche il problema della «realizzazione», ossia della vendita dei beni prodotti dai robots, richiede l’ipotesi di uno spostamento di potere d’acquisto dagli altri settori. Quei beni possono essere venduti in misura assai modesta ai capitalisti dello stesso settore: per la massima parte debbono essere venduti ai capitalisti ed ai lavoratori degli altri settori.

3. Valore e distribuzione in un’economia completamente robotizzata

Ma che cosa succede al valore e alla distribuzione del reddito in un’economia completamente robotizzata?
In tali condizioni la teoria del valore-lavoro di Marx viene messa fin da principio fuori gioco. Così non è per la teoria del valore di Sraffa, come appare chiaro applicando il procedimento che egli chiama «riduzione a quantità di lavoro distinte per epoca di prestazione» o, forse più appropriatamente, come mi ha fatto osservare Paola Potestio, usando il suo primo modello, che non considera direttamente il lavoro in quanto tale, ma le merci necessarie alla sussistenza dei lavoratori. Per Sraffa, il valore «è proporzionale al costo in lavoro quando i profitti sono zero» (sono le parole che Sraffa usa nell’indice analitico sotto la voce «valore»); quando i salari sono zero, invece, il valore o meglio il sistema dei prezzi relativi è quello corrispondente al massimo saggio di profitto, dati i vincoli della tecnologia. Ma anche adottando un modello come quello di Sraffa ci si deve domandare: posto che un tale modello risolve, in linea di principio, il problema del valore, da chi sono acquistati i beni? Posono essere acquistati tutti dai capitalisti, che sarebbero gli unici percettori di redditi nell’intera economia?

Se supponiamo che la produzione netta consista di beni di consumo, sembra ben difficile supporre che essi possano essere acquistati tutti dai capitalisti. Ma si può fare l’ipotesi che la produzione consista di mezzi di produzione e che i capitalisti li producano per investirli, allargando sistematicamente il processo produttivo. Si avrebbe il quadro – allucinante, ma non contrario alla logica – prospettato da Tugan-Baranowsky e poi riconsiderato, in termini succinti e rigorosi, da von Neumann. Sia l’una che l’altra ipotesi, tuttavia, sono manifestamente irrealistiche, perfino più irrealistiche dell’ipotesi che la produzione di tutte le merci sia robotizzata. Dobbiamo allora riproporci la domanda: chi è in grado di acquistare le diverse merci?

La risposta non può essere che questa: dobbiamo ammettere che uno «Stato» centrale, munito, come tutti gli Stati, di poteri coercitivi, provveda ad una redistribuzione del reddito seguendo, come criterio guida non l’umanità, la solidarietà o la carità, ma più semplicemente, l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti. Un criterio razionale potrebbe essere: «a ciascuno secondo i suoi bisogni»: è il criterio che caratterizza una società senza operai salariati e senza classi intese in senso economico; in una parola: una società comunistica. Uno sbocco, questo, dello spontaneo processo capitalistico, al di fuori delle tragedie della miseria crescente e delle conseguenti eroiche (e sanguinose) rivoluzioni. Con la scomparsa del lavoro produttivo di merci si creerebbero ampi spazi per lavori che sono socialmente utili ma che sono fuori dal mercato: assistenza a bambini o ad anziani, corsi d’istruzione per adulti, sorveglianza e cura di opere d’arte, guida per visite a luoghi d’interesse turistico, accompagnamento di persone che viaggiano, manifestazioni artistiche di vario genere. Già ora osserviamo parecchie attività di questo tipo, le quali vengono remunerate con parametri che non hanno origine autonoma ma indirettamente fanno capo ai mercati delle merci, dove troviamo precisi vincoli obiettivi: in un’economia robotizzata tali remunerazioni, che già oggi sono assai difformi e non determinate in modo preciso, risulterebbero ancora più indeterminate. In ultima analisi, per queste remunerazioni il vincolo obiettivo proverrebbe dalla disponibilità complessiva delle merci e la distribuzione verrebbe a dipendere da criteri che ben difficilmente potrebbero essere definiti economici, almeno nel senso che oggi diamo a questa parola.

Riferimenti bibliografici

Croce B. (1944), Materialismo storico ed economia marxistica, (1 ediz., 1900), Bari, Laterza.
Leontief W. (1984), Dal telaio al robot, Prometeo, settembre, pp. 22-9.
Marx K. (1965), Il capitale, Roma, Editori Riuniti.
– (1970), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze, La Nuova Italia Editrice.
Ricardo D. (1951), On the Principles of Political Economy and Taxation, in The Works and Correspondence of David Ricardo, vol. I, edizione a cura di Piero Sraffa, Cambridge, Cambridge University Press.
Sraffa P. (1960), Produzione di merci a mezzo di merci, Torino, Einaudi.