«È facile concepire che in certe circostanze l’intero
ammontare dei risparmi delle persone industriose possa essere
aggiunto al capitale fisso, nel qual caso essi non accrescerebbero
affatto la domanda del lavoro». Così scriveva John
Barton in un importante pamphlet pubblicato nel 1817. Non sembra che
questo pamphlet abbia influito sulle idee di Ricardo al tempo della
sua pubblicazione; tuttavia, stando all’accurata e rigorosa
ricostruzione logica e cronologica di Sraffa, esso certamente
influì su Malthus e, indirettamente almeno, contribuì
a determinare il «rivoluzionario» mutamento nel punto di
vista di Ricardo sulle macchine, che lo indusse a introdurre il
famoso nuovo capitolo «Sulle macchine» nella terza
edizione dei suoi Principi, pubblicato nel 1821. I
n questo capitolo Ricardo cita quel passo e osserva che
«è difficile concepire che un aumento del capitale
(intende: del risparmio) non sia seguito da un aumento della domanda
di lavoro»; al massimo, egli scrive, si può dire che
l’aumento nella domanda di lavoro sarà meno che proporzionale
rispetto all’aumento del capitale (Ricardo, 1951, pp. LI, LVII-LX,
395-6).
Lo stesso Ricardo, nella prima edizione dei Principi, nel trattare
un particolare aspetto del problema del valore, aveva fatto
l’ipotesi che «una macchina potesse svolgere un certo lavoro
senza alcuna assistenza da parte del lavoro umano». Nella
seconda edizione della sua opera Ricardo avvertiva che una tale
ipotesi, «manifestamente impossibile», mirava solo a
semplificare la sua argomentazione (p. 60n). Ma è un’ipotesi
manifestamente impossibile oggi?
Già molti anni fa, nella mia monografia sull’oligopolio,
osservavo che la possibilità di cui parlava Barton e che a
Ricardo sembrava difficile da concepire, col diffondersi
dell’automazione non appariva poi tanto fantastica. Oggi, col
progredire della robotizzazione, che rappresenta uno stadio ancora
più avanzato dell’automazione, non appare più
impossibile l’ipotesi di Ricardo appena ricordata: non lo è
se si considerano singoli settori; ma non è fuor di luogo –
«to put the principle in a strong point of view» (sono
parole di Ricardo) –, fare l’ipotesi che l’intero processo
produttivo venga compiuto da robot. Certo, una tale ipotesi non
può essere estesa a tutti i servizi personali; ma almeno per
la produzione di merci l’ipotesi di una robotizzazione generalizzata
non è assurda: la proporrò nel terzo paragrafo. (Nella
sostanza, senza chiamarla robotizzazione, la proponeva verso la fine
del secolo scorso Antonio
Graziadei, che si attirava così gli strali ironici
di Benedetto Croce).
Qui desidero far notare che un impiego nullo di lavoro nel settore
delle merci rappresenta la conclusione ultima di una tendenza che
nei paesi industrializzati va avanti da circa un secolo: la tendenza
alla riduzione del tempo di lavoro nell’arco della vita – da cento
anni ad oggi questo tempo si è certamente più che
dimezzato, mentre la settimana lavorativa si è ridotta da
oltre 70 ore a meno di 40. Una settimana lavorativa di zero ore non
è altro che il limite, in senso matematico, di questa
tendenza, che, com’è ben noto, ha dietro di sé le
innovazioni tecnologiche e organizzative.
2. Valore e distribuzione in un particolare settore completamente
robotizzato
Esistono già fabbriche in cui l’ipotesi di cui si discute
è pressoché avverata: «Uno studioso europeo ci
dà questa descrizione di una moderna filatura da poco
visitata in Giappone: “. . . Non più dieci persone, padrone
incluso, sono necessarie per far funzionare i 30.000 fusi anulari
che rappresentano 22 milioni di dollari d’investimento”»
(citato da Leontief, 1984, p. 28). Non si richiede dunque un
eccessivo sforzo di fantasia per immaginare fabbriche intere o
addirittura interi settori in cui opera un numero di lavoratori
talmente piccolo da poter essere equiparato a zero: in quei settori,
non essendoci lavoratori, non ci sarebbero neppure retribuzioni da
pagare e l’intero reddito netto coinciderebbe con i profitti:
è il caso, considerato da Sraffa, del «massimo saggio
di profitto», un’idea ricavata da un accenno di Marx alla
possibilità di una caduta del saggio del profitto
«perfino se i lavoratori potessero vivere di aria»
(Sraffa, 1960, p. 103 e Marx, 1965, vol. III, cap. 15, sez. II, p.
300). In un tale caso la teoria marxista del valore-lavoro che
presuppone un plusvalore creato dal capitale variabile, ossia
dall’impiego retribuito di lavoro corrente o «lavoro
vivo» – in via di principio e a parte altre ben più
fondamentali obiezioni – può avere significato solo
ricorrendo all’ipotesi di una redistribuzione del plusvalore fra
tutti i settori, compresi quelli che non lo producono perché
non impiegano «lavoro vivo». Anche il problema della
«realizzazione», ossia della vendita dei beni prodotti
dai robots, richiede l’ipotesi di uno spostamento di potere
d’acquisto dagli altri settori. Quei beni possono essere venduti in
misura assai modesta ai capitalisti dello stesso settore: per la
massima parte debbono essere venduti ai capitalisti ed ai lavoratori
degli altri settori.
3. Valore e distribuzione in un’economia completamente robotizzata
Ma che cosa succede al valore e alla distribuzione del reddito in
un’economia completamente robotizzata?
In tali condizioni la teoria del valore-lavoro di Marx viene messa
fin da principio fuori gioco. Così non è per la teoria
del valore di Sraffa, come appare chiaro applicando il procedimento
che egli chiama «riduzione a quantità di lavoro
distinte per epoca di prestazione» o, forse più
appropriatamente, come mi ha fatto osservare Paola Potestio, usando
il suo primo modello, che non considera direttamente il lavoro in
quanto tale, ma le merci necessarie alla sussistenza dei lavoratori.
Per Sraffa, il valore «è proporzionale al costo in
lavoro quando i profitti sono zero» (sono le parole che Sraffa
usa nell’indice analitico sotto la voce «valore»);
quando i salari sono zero, invece, il valore o meglio il sistema dei
prezzi relativi è quello corrispondente al massimo saggio di
profitto, dati i vincoli della tecnologia. Ma anche adottando un
modello come quello di Sraffa ci si deve domandare: posto che un
tale modello risolve, in linea di principio, il problema del valore,
da chi sono acquistati i beni? Posono essere acquistati tutti dai
capitalisti, che sarebbero gli unici percettori di redditi
nell’intera economia?
Se supponiamo che la produzione netta consista di beni di consumo,
sembra ben difficile supporre che essi possano essere acquistati
tutti dai capitalisti. Ma si può fare l’ipotesi che la
produzione consista di mezzi di produzione e che i capitalisti li
producano per investirli, allargando sistematicamente il processo
produttivo. Si avrebbe il quadro – allucinante, ma non contrario
alla logica – prospettato da Tugan-Baranowsky e poi riconsiderato,
in termini succinti e rigorosi, da von Neumann. Sia l’una che
l’altra ipotesi, tuttavia, sono manifestamente irrealistiche,
perfino più irrealistiche dell’ipotesi che la produzione di
tutte le merci sia robotizzata. Dobbiamo allora riproporci la
domanda: chi è in grado di acquistare le diverse merci?
La risposta non può essere che questa: dobbiamo ammettere che
uno «Stato» centrale, munito, come tutti gli Stati, di
poteri coercitivi, provveda ad una redistribuzione del reddito
seguendo, come criterio guida non l’umanità, la
solidarietà o la carità, ma più semplicemente,
l’esigenza di assegnare una destinazione razionale ai beni prodotti.
Un criterio razionale potrebbe essere: «a ciascuno secondo i
suoi bisogni»: è il criterio che caratterizza una
società senza operai salariati e senza classi intese in senso
economico; in una parola: una società comunistica. Uno
sbocco, questo, dello spontaneo processo capitalistico, al di fuori
delle tragedie della miseria crescente e delle conseguenti eroiche
(e sanguinose) rivoluzioni. Con la scomparsa del lavoro produttivo
di merci si creerebbero ampi spazi per lavori che sono socialmente
utili ma che sono fuori dal mercato: assistenza a bambini o ad
anziani, corsi d’istruzione per adulti, sorveglianza e cura di opere
d’arte, guida per visite a luoghi d’interesse turistico,
accompagnamento di persone che viaggiano, manifestazioni artistiche
di vario genere. Già ora osserviamo parecchie attività
di questo tipo, le quali vengono remunerate con parametri che non
hanno origine autonoma ma indirettamente fanno capo ai mercati delle
merci, dove troviamo precisi vincoli obiettivi: in un’economia
robotizzata tali remunerazioni, che già oggi sono assai
difformi e non determinate in modo preciso, risulterebbero ancora
più indeterminate. In ultima analisi, per queste
remunerazioni il vincolo obiettivo proverrebbe dalla
disponibilità complessiva delle merci e la distribuzione
verrebbe a dipendere da criteri che ben difficilmente potrebbero
essere definiti economici, almeno nel senso che oggi diamo a questa
parola.
Riferimenti bibliografici
Croce B. (1944), Materialismo storico ed economia marxistica, (1
ediz., 1900), Bari, Laterza.
Leontief W. (1984), Dal telaio al robot, Prometeo, settembre, pp.
22-9.
Marx K. (1965), Il capitale, Roma, Editori Riuniti.
– (1970), Lineamenti fondamentali della critica dell’economia
politica, Firenze, La Nuova Italia Editrice.
Ricardo D. (1951), On the Principles of Political Economy and
Taxation, in The Works and Correspondence of David Ricardo, vol. I,
edizione a cura di Piero Sraffa, Cambridge, Cambridge University
Press.
Sraffa P. (1960), Produzione di merci a mezzo di merci, Torino,
Einaudi.