II. Nozioni enciclopediche e argomenti di cultura

Indice
Può essere questo il titolo (Q. 8) Nozioni enciclopediche
Agnosticismo (Q. 7)
Aporia (Q. 15)
Artigianato, piccola, media, grande industria (Q. 7)
Artigiano-Artigianato (Q. 8)
Ascari, krumiri, moretti, ecc. (Q. 26)
Azione diretta (Q. 6)
Bibliografie (Q. 7)
Bog e bogati (Q. 6)
Capitalismo antico (Q. 6)
[La «Civiltà Cattolica»] (Q. 8)
Comandare e obbedire (Q. 8)
La concezione melodrammatica della vita (Q. 8)
Congiuntura (Q. 15)
Origine della espressione (Q. 6)
Consiglio di Stato (Q. 6)
Demiurgo (Q. 8)
Dottrinari, ecc. (Q. 8)
Dottrinarismo e dottrinario (Q. 7)
Empirismo (Q. 9)
Epigoni e Diadochi (Q. 8)
Fazione (Q. 7)
Funzionari e funzioni (Q. 6)
II galletto rosso (Q. 9)
Geni nazionali (Q. 8)
Ho accennato altrove (Q. 9)
Homo nomini lupus (Q. 8)
Ierocrazia - teocrazia (Q. 7)
L'iniziativa individuale (Q. 8)
[Intelligenza] (Q. 6)
Libertà, disciplina (Q. 6)
La macchina (Q. 8)
Medioevo (Q. 8)
Mistica (Q. 7)
II naso di Cleopatra (Q. 26)
Nazionale-popolare (Q. 5)
[«Not representation without labour»] (Q. 6)
[Non si può distruggere senza creare] (Q. 6)
L'opinione pubblica (Q. 7)
Tra gli elementi (Q. 7)
[Organizzazione corporativa medioevale] (Q. 6)
«Paritario e paritetico» (Q. 16)
Postulato (Q. 26)
Privilegi e prerogative (Q. 7)
Reich (Q. 8)
Cercare l'origine storica (Q. 7)
Religione e politica (Q. 8)
Riscossa (Q. 14)
«Scientifico». Che cos'è «scientifico»? (Q. 6)
II Dubreuil (Q. 6)
Self-government e burocrazia (Q. 8)
La società civile (Q. 6)
Spirito di corpo (Q. 8)
Statolatria (Q. 8)
Teocrazia. Cesaropapismo. Ierocrazia (Q. 6)
Teopanismo (Q. 6)
Teorici, dottinari, astrattisti, ecc. (Q. 8)
[«Tirannia della maggioranza»] (Q. 5)
Ufficiale (Q. 26)
Ultra (Q. 8)
Università (Q. 8)
Sulla verità ossia sul dire la verità in politica (Q
Vette di comando - leve di comando (Q. 8)
[Zunftbürger, Pfahlbürger, ecc.] (Q. 15)
[La Russia e lo zarismo] (Q. 6)
L'autocritica e l'ipocrisia dell'autocritica (Q. 14)

Nozioni enciclopediche e argomenti di cultura

"'Può essere questo il titolo generale della rubrica in cui raccogliere tutti gli spunti e motivi annotati finora, talvolta sotto titoli vari. Spunti per un dizionario di politica e critica, nozioni enciclopediche propriamente dette, motivi di vita morale, argomenti di cultura, apologhi filosofici, ecc.

Agnosticismo.

Questo termine è spesso usato nel linguaggio politico con significati spesso curiosi e sorprendenti: ciò avviene specialmente nelle polemiche «provinciali», in cui lo scrittore fa sfoggio di parole difficili. Si dice per esempio che Tizio è agnostico in proposito, quando Tizio non vuole discutere perché non prende sul serio un determinato argomento, ecc.

Il termine è d'origine religiosa e si riferisce al Seòt; ayvcoatoc (deus ignotus; ignoramus ignorabimus, su Dio, ecc.). Setta degli agnostici, ecc. Agnosticismo uguale pertanto a empirismo e materialismo (nominalismo, ecc.) ecc.; impossibilità di conoscere l'assoluto, gli universali, ecc., in quanto legati alla metafisica religiosa, ecc.

Aporia.

Dubbio, cioè nesso di pensiero ancora in formazione, pieno di contraddizioni che aspettano una soluzione. Pertanto l'aporia può risolversi, come ogni dubbio, positivamente e negativamente.

Artigianato, piccola, media, grande industria.

Concetti quantitativi e concetti qualitativi. Dal punto di vista quantitativo, si parte dal numero dei lavoratori impiegati nelle singole aziende, stabilendo delle cifre medie per ogni tipo: da 1 a 5, artigianato; da 5 a 50: piccola industria; da 50 a 100, media industria; da 100 in su, grande industria; si tratta di tipi o generalizzazioni molto relative e che possono mutare da paese a paese. Il concetto qualitativo sarebbe più scientifico ed esatto, ma è molto più complesso e presenta molte difficoltà. Qualitativamente i tipi dovrebbero essere fissati dalla combinazione di elementi svariati: oltre che dal numero degli operai, dal tipo delle macchine e dall'ingranamento tra macchina e macchina, dal grado di divisione del lavoro, dal rapporto tra diversi tipi di lavoratori (manovali, manovali specializzati o addetti macchina, operai qualificati, specializzati) e dal grado di razionalizzazione (oltre che d'industrializzazione) dell'insieme dell'apparato produttivo e amministrativo. Una azienda razionalizzata ha meno lavoratori di un'azienda non razionalizzata, e quindi con 50 lavoratori può essere più «grande industria» di una con 200 lavoratori (ciò avviene quando certe aziende per certe parti della loro produzione si servono di un'azienda esterna che è come il reparto specializzato di tutto un gruppo di aziende non collegate organicamente, ecc.). Questi elementi singoli hanno diverso peso relativo, a seconda della branca industriale: nell'industria edile il macchinismo non si svilupperà mai come nell'industria meccanica. Il tipo di macchina tessile si sviluppa in modo diverso da quello dell'industria meccanica, ecc.

A questo concetto di grandezza dell'industria è legato il concetto di «macchina». È anche legata la nozione di «fabbrica disseminata», che è un aspetto dell'artigianato, del lavoro a domicilio e della piccola industria. Ma anche una grande impresa edilizia non può, in un certo senso, considerarsi come una fabbrica disseminata? E quella tranviaria e ferroviaria? (Dal punto di vista dell'organizzazione territoriale, ossia della concentrazione tecnica, queste imprese sono disseminate e ciò ha un'importanza per la psicologia dei lavoratori, un casellante ferroviario non avrà mai la stessa psicologia del manovale di una grande fabbrica, ecc)

Altro elemento importante è la forza motrice adoperata: un artigiano che si serve dell'energia elettrica è più un artigiano nel senso tradizionale? Il fatto moderno della facilità di distribuzione della forza motrice elettrica anche per piccole unità trasforma e rinnova tutti i tipi d'industria e di azienda.

Artigiano - Artigianato.

Da un articolo di Ugo Ojetti (Arti e artigiani d'Italia, nel «Corriere» del 10 aprile 1932) tolgo alcuni spunti: per la legge italiana è artigiano chi non occupa più di cinque lavoranti se esercita un mestiere d'arte, più di tre se esercita un mestiere usuale. Definizione imprecisa. «Il proprio dell'artigiano è di lavorare egli stesso con le sue mani all'arte sua o al suo mestiere. Che da lui dipendano cinque o dieci persone, ciò non muta il suo carattere d'artigiano, quello che subito lo distingue dall'industriale.» Ma anche questa definizione è imprecisa, perché l'artigiano può non lavorare, ma dirigere il lavoro di una bottega: la definizione deve essere cercata nel modo di produzione e di lavoro.

In Germania esiste la patente di mestiere, che ha tre gradi come il mestiere: dell'apprendista «che noi diremmo meglio garzone o novizio», del «compagno» che ha finito il tirocinio di garzone, del «maestro».

L'Ojetti impiega la parola «compagno» per indicare il lavorante artigiano già formato professionalmente, ma questa parola come si giustifica? Non storicamente, perché in italiano non è rimasto l'uso come in francese e tedesco di una parola che un tempo aveva un significato giuridico preciso, e oggi non ha significato «professionale», ma solo di posizione «economica». Professionalmente, il «compagno» è un «maestro», ma non ha la proprietà di una bottega e deve lavorare per un altro che sia appunto proprietario.

Ascari, krumirì, moretti, ecc.

Venivano chiamati «ascari» i deputati delle maggioranze parlamentari senza programma e senza indirizzo, quindi sempre pronti a defezionare e a lasciare in asso i governi che si basavano su di esse; l'espressione era legata alle prime esperienze fatte in Africa con le truppe indigene mercenarie.

La parola «crumiri» è legata all'occupazione della Tunisia da parte della Francia col pretesto iniziale di respingere ipotetiche tribù di Krumiri, che dalla Tunisia si sarebbero spinte in Algeria per razziare. Ma come il termine è entrato a far parte del vocabolario speciale del sindacalismo operaio?

Il termine «moretto» deve essere una derivazione di «ascaro», ma era impiegato, più che a mettere in rilievo l'insicurezza della fedeltà e la facilità a disertare, a metter in rilievo l'attitudine al servilismo e la predisposizione a eseguire i più bassi servizi, con grande disinvoltura. (Può anche essere derivato dall'abitudine di avere come servitori dei negri.)

Azione diretta.

Diversi significati secondo le tendenze politiche e ideologiche. Significato degli «individualisti» e degli «economisti», con significati intermedi. Il significato degli «economisti» o sindacalisti di varie tendenze (riformisti, ecc.) è quello che ha dato la stura ai vari significati, fino a quello dei puri «criminali».

Bibliografie.

Nella bibliografia di un dizionario politico e critico occorre tener conto: 1) dei dizionari e delle enciclopedie generali, in quanto esse danno le spiegazioni più comuni e diffuse (volgari) della terminologia delle scienze morali e politiche; 2) delle enciclopedie speciali, cioè delle enciclopedie pubblicate dalle varie correnti intellettuali e politiche, come i cattolici, ecc.; 3) dei dizionari politici, filosofici, economici, ecc., esistenti nei diversi paesi; 4) dei dizionari etimologici generali e speciali, per esempio quello per i termini derivati dal greco del Guarnerio, pubblicato dal Vallardi (mi pare).

Siccome la terminologia acquista diversi contenuti secondo i tempi e secondo le diverse correnti culturali, intellettuali e politiche, la bibliografia generale teoricamente è indefinibile, perché abbraccia tutta la letteratura generale. Si tratta di limiti da porre: un dizionario politico e critico limitato per un certo livello culturale e di carattere elementare, che dovrebbe presentarsi come un saggio parziale.

Tra i libri generali ricordare di Mario Govi, Fondazione della metodologia. Logica ed epistemologia, Bocca, Torino, 1929, pp. 579, per le nozioni storiche sulla classificazione delle scienze ed altri problemi di metodo ecc.

Bog e bogati [Dio è ricco in russo].

È stato osservato in qualche posto che le relazioni tra Bog e bogati sono una coincidenza fortuita dello sviluppo linguistico di una determinata cultura nazionale. Ma il fatto non è esatto. Nelle lingue neo-latine è apparso il vocabolo germanico «ricco» a turbare il rapporto che in latino esisteva tra deus, dives e divites, divitiae (dovizia, dovizioso, ecc.). In un articolo di Alessandro Chiappelli, Come s'inquadra il pensiero filosofico nell'economia del mondo («Nuova Antologia» del 1° aprile 1931) si possono spulciare elementi per mostrare che in tutto il mondo occidentale, a differenza di quello asiatico (India), la concezione di Dio è strettamente connessa con la concezione di proprietà e di proprietario: «... (il) concetto di proprietà come è il centro di gravità e la radice di tutto il nostro sistema giuridico, cosi è l'ordito di tutta la nostra struttura civile e morale. Perfino il nostro concetto teologico è foggiato spesso su questo esemplare, e Dio è rappresentato talora come il grande proprietario del mondo. La ribellione contro Dio nel Paradiso perduto del Milton, come già nel poema di Dante, è figurata come il temerario tentativo di Satana o di Lucifero di spodestare l'Onnipotente e di deporlo dal suo altissimo trono. Un acuto collaboratore, anzi il direttore, un tempo, del «Hibbert Journal» (Jacks, The Universe as Philosopher, in «Hibbert Journal», ottobre 1917, p. 26) narrava d'aver assistito a una conferenza in cui la prova dell'esistenza di Dio era ricavata dalla necessità di postulare un proprietario o possessore del mondo. Come si può mai credere che una proprietà si vasta, si eletta e fruttifera non appartenga ad alcuno? E in sostanza la stessa domanda che fa, parlando a se medesimo, nel sublime monologo, il Pastore errante nell'Asia del Leopardi. Che ci sia stata o no, una prima causa del mondo, può rimaner dubbio. Ma la necessità di un primo possessore deve apparire manifesta e indubitabile». Il Chiappelli dimentica che anche nel Credo Dio è detto «creatore e signore (dominus: padrone, proprietario) del cielo e della terra».

Capitalismo antico.

Sul capitalismo antico o meglio sullo industrialismo antico è da leggere l'articolo di G. C. Speziale, Delle navi di Nemi e dell'archeologia navale, nella «Nuova Antologia» del 1° novembre 1930 (polemica col prof. Giuseppe Lugli, che scrisse nel «Pègaso»; articoli in giornali quotidiani dello stesso tempo). L'articolo dello Speziale è molto interessante, ma pare che egli esageri nell'importanza data alle possibilità industriali nell'antichità (confrontare la quistione sul capitalismo antico discussa nella «Nuova Rivista Storica»). Manca, mi pare, allo Speziale la nozione esatta di ciò che era la «macchina» nel mondo classico e di quello che è oggi (questa osservazione vale specialmente per Barbagallo e C). Le «novità» su cui insiste lo Speziale non escono ancora dalla definizione che della macchina dava Vitruvio, cioè di ordigni atti a facilitare il movimento e il trasporto di corpi pesanti (vedere con esattezza la definizione di Vitruvio) e perciò non sono che novità relative. La macchina moderna è ben altra cosa: essa non solo «aiuta» il lavoratore, ma lo «sostituisce»: che anche le «macchine» di Vitruvio continuino a esistere accanto alle «moderne» e che in quella direzione i romani potessero essere giunti a una certa perfezione, ancora ignota, può darsi, e non maraviglia, ma in ciò non c'è nulla di «moderno» nel senso proprio della parola, che è stato stabilito dalla «rivoluzione» industriale, cioè dall'invenzione e diffusione di macchine che «sostituiscono» il lavoro umano precedente.

[La «Civiltà Cattolica».]

Il motto della «Civiltà Cattolica»: «Beatus populus cuius Dominus Deus eius» (Ps. 143, 15). Gli scrittori della rivista traducono cosi: «Beato il popolo che ha Dio per suo signore». Ma è esatto? La traduzione è questa: «Beato il popolo che ha per signore il proprio Dio». Cioè il motto riproduce l'esaltazione della nazione ebrea e del Dio nazionale ebraico che ne era il signore. Ora la «Civiltà Cattolica» vuole chiese nazionali, come è implicito nel motto? (Confrontare la traduzione della Bibbia fatta dal Luzzi per l'accertamento dei testi.)

Comandare e obbedire.

In che misura sia vero che l'obbedire sia più facile del comandare. Il comandare è proprio del capo-ralismo. L'attendere passivamente gli ordini. Nell'obbedienza c'è un elemento di comando e nel comando un elemento di obbedienza (autocomando e autobbedienza). Il «perinde ac ca-daver» dei gesuiti. Il carattere del comando e dell'obbedienza nell'ordine militare. Bisogna obbedire senza comprendere dove l'obbedienza conduce e a che fine tende? Si obbedisce in questo senso, volentieri, cioè liberamente, quando si comprende che si tratta di forza maggiore: ma perché si sia convinti della forza maggiore occorre che esista collaborazione effettiva quando la forza maggiore non esiste.

Comandare per comandare è il caporalismo; ma si comanda perché un fine sia raggiunto, non solo per coprire le proprie responsabilità giuridiche: «Io ho dato l'ordine: non sono responsabile se non è stato eseguito o se è stato eseguito male, ecc.; responsabile è l'esecutore che ha mancato».

Il comando del direttore d'orchestra: accordo preventivo raggiunto, collaborazione, il comando è una funzione distinta, non gerarchicamente imposta.

La concezione melodrammatica della vita.

Non è vero che solo in alcuni strati deteriori dell'intelligenza si possa trovare un senso libresco e non nativo della vita. Nelle classi popolari esiste ugualmente la degenerazione «libresca» della vita, che non è solo data dai libri, ma anche da altri strumenti di diffusione della cultura e delle idee. La musica verdiana, o meglio il libretto e l'intreccio dei drammi musicati dal Verdi, sono responsabili di tutta una serie di atteggiamenti «artificiosi» di vita popolare, di modi di pensare, di uno «stile». «Artificioso» non è forse la parola propria, perché negli elementi popolari questa artificiosità assume forme ingenue e commoventi. Il barocco, il melodrammatico sembrano a molti popolani un modo di sentire e di operare straordinariamente affascinante, un modo di evadere da ciò che essi ritengono basso, meschino, spregevole nella loro vita e nella loro educazione per entrare in una sfera più eletta, di alti sentimenti e di nobili passioni. I romanzi d'appendice e da sottoscala (tutta la letteratura sdolcinata, melliflua, piagnolosa) prestano eroi ed eroine; ma il melodramma è il più pestifero, perché le parole musicate si ricordano di più e formano come delle matrici in cui il pensiero prende una forma nel suo fluire. Osservare il modo di scrivere di molti popolani: è ricalcato su un certo numero di frasi fatte.

D'altronde, il sarcasmo è troppo corrosivo. Bisogna ricordare che si tratta non di uno snob dilettantesco, ma di qualcosa profondamente sentito e vissuto.

Congiuntura.

Si può definire la congiuntura come l'insieme delle circostanze che determinano il mercato in una fase data, se però queste circostanze sono concepite come in movimento, cioè come un insieme che dà luogo a un processo di sempre nuove combinazioni, processo che è il ciclo economico. Si studia la congiuntura per prevedere e quindi anche, entro certi limiti, determinare il ciclo economico in senso favorevole agli affari. Perciò la congiuntura è stata anche definita l'oscillazione della situazione economica, o l'insieme delle oscillazioni.

Origine della espressione: serve a capire meglio il concetto. In italiano = fluttuazione economica. Legata ai fenomeni del dopoguerra molto rapidi nel tempo. (In italiano il significato di «occasione economica favorevole o sfavorevole» rimane alla parola «congiuntura»; differenza tra «situazione» e «congiuntura»: la congiuntura sarebbe il complesso dei caratteri immediati e transitori della situazione economica, e per questo concetto bisognerebbe allora intendere i caratteri più fondamentali e permanenti della situazione stessa. Lo studio della congiuntura quindi legato più strettamente alla politica immediata, alla «tattica» e all'agitazione, mentre la «situazione» alla «strategia» e alla propaganda, ecc.)

Consiglio di Stato.

Doppio significato del termine. In Italia, il Consiglio di Stato ha preso il significato di organismo giudiziario per gli affari amministrativi. Ma non a questo significato si riferiscono i pubblicisti inglesi, quando polemizzano sulla quistione se il Parlamento (Camera dei deputati) possa e debba trasformarsi in un Consiglio di Stato: essi si riferiscono alla quistione del parlamentarismo come regime dei partiti o al parlamentarismo che debba essere ridotto a un corpo legislativo in regime puramente costituzionale, con l'equilibrio dei poteri rotto a profitto della Corona o del potere esecutivo in generale, cioè ridotto alla funzione dei Consigli di Stato in regime di assolutismo monarchico o dittatoriale di destra. In ridotto alla funzione dei Consigli di Stato in regime di assolutismo monarchico o dittatoriale di destra. In Italia, una traccia del vecchio istituto del Consiglio di Stato la si può trovare nel Senato, che non è una Camera dell'aristocrazia (come in Inghilterra), non è elettivo sia pure in forme indirette come in Francia e altrove, ma è nominato dal potere esecutivo tra gente ligia al potere di una forza determinata per arginare l'espansione democratica e l'intervento popolare negli affari.

Demiurgo.

Dal significato originario di «lavorante per il popolo, per la comunità» (artigiano) fino ai significati attuali di «creatore» ecc. (Confrontare scritti di Filippo Burzio.)

Dottrinari, ecc.

Il carattere «dottrinario» strettamente inteso di un gruppo può essere stabilito dalla sua attività reale (politica e organizzativa) e non dal contenuto «astratto» della dottrina stessa. Un gruppo di «intellettuali», per il fatto stesso che si costituisce in una certa misura quantitativa, mostra di rappresentare «problemi sociali», le condizioni per la cui soluzione esistono già o sono in via di apparizione. Si chiama «dottrinario», perché rappresenta non solo interessi immediati ma anche quelli futuri (prevedibili) di un certo gruppo: è «dottrinario» in senso deteriore quando si mantiene in una posizione puramente astratta e accademica, e alla stregua delle «condizioni già esistenti o in via di apparizione» non si sforza di organizzare, educare e dirigere una forza politica corrispondente. In questo senso i «giacobini» non sono stati per nulla «dottrinari».

Dottrinarismo e dottrinario.

Significherebbe poi «nemico dei compromessi», «fedele ai principi». Parola presa dal linguaggio politico francese. Partito dei dottrinari sotto Carlo X e Luigi Filippo: Royer-Collard, Guizot, ecc.

Empirismo.

Significato equivoco del termine. Si adopera il termine di empirismo, comunemente, nel senso di non scientifico. Ma lo si adopera anche nel senso di non categorico (proprio delle categorie filosofiche) e, quindi, di «concreto» e reale nel senso «corposo» della parola. Realtà empirica e realtà categorica ecc. Per il Croce, per esempio, le scienze filosofiche sono le sole e vere scienze, mentre le scienze fisiche o esatte sono «empiriche» e astratte, perché per l'idealismo la natura è una astrazione convenzionale, di «comodo», ecc.

Epigoni e Diadochi.

Qualcuno impiega il termine «epigoni» in modo abbastanza curioso e ci ricama intorno tutta una teoria sociologica abbastanza bizzarra e sconclusionata. Perché gli epigoni dovrebbero essere inferiori ai progenitori? Perché dovrebbe essere legato al concetto di epigono quello di degenerato? Nella tragedia greca, gli «Epigoni» realmente portano a compimento l'impresa che i «Sette a Tebe» non erano riusciti a compiere. Il concetto di degenerazione è, invece, legato ai Diadochi, i successori di Alessandro.

Fazione.

Il termine serve oggi a indicare generalmente una certa degenerazione dello spirito di partito, una certa unilateralità estremista fanatica, esclusiva, aliena da compromessi anche, anzi specialmente, su quistioni secondarie e subordinate; il punto di vista di tale giudizio è lo spirito nazionale, cioè un certo modo di concepire la direzione politica di un paese. «Fazione» e «fazioso» sono adoperati dai partiti di destra contro i loro avversari, i quali hanno risposto coi termini di «consorteria», di «spirito di consorteria», ecc., per indicare la tendenza di certi aggruppamenti politici governativi a identificare i loro interessi particolari con quelli dello Stato e della nazione, e a difenderli con altrettanto fanatismo ed esclusivismo.

La parola «fazione», che è d'origine militare (probabilmente), è diventata comune in Italia per indicare i partiti che combattevano nei Comuni medioevali, ecc., ed è implicito nell'uso il concetto che tali lotte impedirono l'unificazione nazionale prima del Risorgimento, cioè tutta una concezione antistorica dello sviluppo nazionale italiano. «Fazione» indica il carattere delle lotte politiche medioevali, esclusiviste, tendenti a distruggere fisicamente l'avversario, non a creare un equilibrio di partiti in un tutto organico con l'egemonia del partito più forte, ecc. «Partito» è parte di un tutto; «fazione», forza armata che segue le leggi militari esclusiviste, ecc.

Funzionari e funzioni.

Cosa significa, dal punto di vista dei «funzionari e delle funzioni», il distacco tra i prezzi all'ingrosso e quelli al minuto? Che esiste un «esercito» di funzionari che si mangia la differenza sulle spalle del consumatore e del produttore. E che significano i fallimenti saliti a cifre iperboliche? Che i «concorsi» per questo esercito di funzionari vanno male assai: e sono «concorsi» di un tipo speciale: i «bocciati» distruggono una massa ingente di ricchezza e sono bocciati solo prò tempore: anche se «bocciati» riprendono a funzionare e a distruggere nuova ricchezza. Quanti di tali funzionari esistono? Essi stessi si creano le funzioni, si assegnano lo stipendio e mettono da parte la pensione.

Il galletto rosso.

Dal francese le coq rouge, termine che dev'essere d'origine contadina e indica l'incendio appiccato per ragioni politiche nelle lotte di fazione e nelle jacqueries. Si potrebbe ricordare la cosi detta tattica del fiammifero predicata da Michelino Bianchi e Umberto Pasella nelle campagne emiliane durante il predominio sindacalista verso il 1906.

Geni nazionali.

Ogni nazione ha il suo poeta o scrittore, in cui riassume la gloria intellettuale della nazione e della razza. Omero per la Grecia, Dante per l'Italia, Cervantes per la Spagna, Camoens per il Portogallo, Shakespeare per l'Inghilterra, Goethe per la Germania. E da notare che la Francia non ha nessuna di queste grandi figure che sia rappresentativa senza discussioni, cosi non l'hanno gli Stati Uniti. Per la Russia si potrebbe parlare di Tolstoi? Per la Cina di Confucio?

Il fatto francese è notevole perché la Francia tradizionalmente è paese unitario per eccellenza (Victor Hugo?), anche nel campo della cultura, anzi specialmente in questo. La data in cui queste figure sono apparse nella storia di ogni nazione è elemento interessante per fissare il contributo di ogni popolo alla civiltà comune e anche la «sua attualità culturale». Come «elemento ideologico» attualmente operante, riflette gloria sulla Grecia la grandezza di Omero? Gli ammiratori di Omero sono stati abituati a distinguere la Grecia antica dalla Grecia moderna.

Ho accennato altrove all'importanza culturale che in ogni paese hanno avuto i grandi geni (come Shakespeare per l'Inghilterra, Dante per l'Italia, Goethe per la Germania). Di essi, che siano operanti anche oggi, o che abbiano operato fino al-l'avantiguerra, solo due: Shakespeare e Goethe, specialmente quest'ultimo, per la singolarità della sua figura. Si è affermato che l'ufficio di queste grandi figure è quello d'insegnare, come filosofi, quello che dobbiamo credere, come poeti, quello che dobbiamo intuire (sentire), come uomini, quello che dobbiamo fare. Ma quanti possono rientrare in questa definizione? Non Dante, per la sua lontananza nel tempo, e per il periodo che esprime, il passaggio dal Medioevo all'età moderna. Solo Goethe è sempre di una certa attualità, perché egli esprime in forma serena e classica ciò che nel Leopardi, per esempio, è ancora torbido romanticismo: la fiducia nell'attività creatrice dell'uomo, in una natura vista non come nemica e antagonista, ma come una forza da conoscere e dominare, con l'abbandono senza rimpianto e disperazione delle «favole antiche» di cui si conserva il profumo di poesia, che le rende ancor più morte come credenze e fedi. (È da vedere il libro di Emerson, Uomini rappresentativi e gli Eroi di Carlyle).

Homo homini lupus.

Fortuna avuta da questa espressione nella scienza politica, ma specialmente nella scienza politica dei filistei da farmacia provinciale. Pare che l'origine della formula sia da trovarsi in una più vasta formula dovuta agli ecclesiastici medioevali, in latino grosso: Homo homini lupus, foemina foeminae lupior, sacerdos sacerdoti lupissimus.

Ierocrazia - teocrazia.

«Un governo nel quale hanno partecipazione e ingerenza legale il clero, il Papa o altre autorità ecclesiastiche», sarebbe più propriamente ierocratico; ma può anche esserci un governo «che opera per impulsi religiosi e subordina leggi, rapporti di vita civile, costume e dettami religiosi», senza essere composto di ecclesiastici, ed è teocratico. In realtà, elementi di teocrazia sussistono in tutti gli Stati dove non esista netta e radicale separazione tra Chiesa e Stato, ma il clero eserciti funzioni pubbliche di qualsiasi genere e l'insegnamento della religione sia obbligatorio o esistano concordati. (Rovesciamento della massima di Machiavelli: regnum instrumentum religionis).

L'iniziativa individuale.

(Argomento connesso con quello della «statolatria», vedi oltre). Elementi per impostare la quistione: identità-distinzione tra società civile e società politica, e quindi, identificazione organica tra individui (di un determinato gruppo) e Stato, per cui «ogni individuo è funzionario» non in quanto è impiegato stipendiato dallo Stato e sottoposto al controllo «gerarchico» della burocrazia statale, ma in quanto «operando spontaneamente» la sua operosità si identifica coi fini dello Stato (cioè del gruppo sociale determinato o società civile). L'iniziativa individuale non è perciò una ipotesi di «buona volontà» ma un presupposto necessario. Ma «iniziativa individuale» si intende nel campo economico, e precisamentesi intende nel senso preciso di iniziativa a carattere «utilitaria immediato e strettamente personale, con l'appropriazione dei profitto che l'iniziativa stessa determina in un determinato sistema di rapporti giuridici. Ma non è questa l'unica forma d'iniziativa «economica» storicamente manifestatasi (catalogo delle grandi iniziative individuali che sono finite in disastro negli ultimi decenni: Kreuger, Stinnes; in Italia: fratelli Perro-ne; forse a questo proposito utili i libri del Lewinsohn): si hanno esempi di tali iniziative non «immediatamente interessate», cioè «interessate» nel senso più elevato, dell'interesse statale o del gruppo che costituisce la società civile. Un esempio mirabile è la stessa «alta burocrazia» italiana, i cui componenti, se volessero impiegare ai fini di una attività economica per l'appropriazione personale, le qualità di organizzatori e di specialisti di cui sono dotati, avrebbero la possibilità di crearsi una posizione finanziaria ben altrimenti elevata di quella che loro fa lo Stato imprenditore: né si può dire che l'idea della pensione li tenga fedeli all'impiego di Stato, come avviene per il più basso strato burocratico.

[Intelligenza.]

«Spesso ciò che la gente chiama intelligenza non è che la facoltà di intendere le verità secondarie a scapito delle verità fondamentali». «Ciò che maggiormente può farci disperati degli uomini è la frivolità». (Due aforismi di Ugo Bernasconi nel «Pègaso» dell'agosto 1930: Parole alla buona gente).

Questa intelligenza è chiamata anche «talento» genericamente ed è palese in quella forma di polemica superficiale, dettata dalla vanità di parere indipendenti e di non accettare l'autorità di nessuno, per cui si cerca di contrapporre, come obiezioni, a una verità fondamentale, tutta una serie di verità parziali e secondarie.

La «frivolità» spesso è da vedere nella goffaggine seriosa: anzi si chiama «frivolità» in certi intellettuali e nelle donne ciò che in politica, per esempio, è appunto la goffaggine e il provincialismo meschino.

Libertà, disciplina.

Al concetto di libertà si dovrebbe accompagnare quello di responsabilità che genera la disciplina e non immediatamente la disciplina, che in questo caso si intende imposta dal di fuori, come limitazione coatta della libertà. Responsabilità contro arbitrio individuale: è sola libertà quella «responsabile», cioè «universale», in quanto si pone come aspetto individuale di una «libertà» collettiva o di gruppo, come espressione individuale di una legge.

La macchina.

Articolo di Metron, La diffusione della macchina, nel «Corriere della Sera» del 15 marzo 1932. Significato più largo del concetto di macchina: in Oriente è macchina sia il rasoio di sicurezza che l'automobile. In Occidente si chiama macchina sia P«ordegno» per cucire e per scrivere che il motore elettrico e la macchina a vapore. Per Metron sono cose diverse: per lui la macchina vera e propria è quella «che permette la utilizzazione delle energie naturali» (formula equivoca, perché anche il rasoio di sicurezza e la leva di Archimede permettono di utilizzare energie naturali prima non utilizzate), le altre sono, a voler parlare con esattezza, soltanto «utensili o trasmissioni». «Le macchine utensili migliorano, rendono più perfetto il lavoro umano; le macchine motrici si sostituiscono del tutto a esso. La vera rivoluzione nel mondo si deve non alle macchine che, come quella per scrivere o per cucire, hanno pur sempre bisogno del motore uomo, ma a quelle macchine che eliminano del tutto lo sforzo muscolare».

Osserva Metron: «Secondo i calcoli contenuti in uno studio pubblicato in occasione della conferenza mondiale della energia tenuta il 1930 a Berlino, l'energia meccanica di ogni provenienza (carbone, oli minerali, cadute d'acqua, ecc.) consumata nel corso di un anno dall'umanità intera si può valutare a circa un trilione e 700 miliardi di kilowattora, cioè 900 kilowattora per persona. Orbene 900 kilowattora rappresentano pressoché dieci volte il lavoro che un uomo robusto può fare in un anno. In sostanza per ogni uomo di carne ed ossa e a suo benefizio hanno lavorato dieci altri uomini metallici. Se questo processo dovesse continuare, non potrebbe portare ad altro che a una forma ideale di ozio, non l'ozio che abbrutisce, ma quello che eleva: cioè la forza muscolare lasciata completamente a disposizione dell'uomo che dovrebbe lavorare solamente di cervello, vale a dire nella forma più nobile e più ambita». Ciò è scritto nel 1932, cioè quando, proprio nei paesi dove «gli uomini metallici» lavorano per gli altri uomini in proporzione enormemente superiore alla media mondiale, esiste la più terribile crisi d'ozio forzato e di miseria degradante. Anche questo è un oppio della miseria!

In realtà la distinzione fatta dal Metron tra macchine motrici e macchine utensili, con la prevalenza rivoluzionaria delle prime, non è esatta: le macchine motrici hanno «allargato» il campo del lavoro e della produzione, hanno reso possibili cose che prima della loro scoperta erano impossibili o quasi. Le macchine utensili però sono quelle che realmente hanno sostituito il lavoro umano, e hanno sconvolto tutta l'organizzazione umana della produzione. Osservazione giusta: che dal 1919 in poi la innovazione di maggior portata è l'introduzione nelle officine del trasporto meccanico del materiale, degli uomini e dei convogliatori.

La quistione d'altronde della prevalenza delle macchine motrici o di quelle utensili è oziosa fuori di certi limiti: importa per stabilire il distacco dall'antichità alla modernità. D'altronde anche nelle macchine utensili differenziazioni, ecc.

Medioevo.

Confronta Luigi Sorrento, Medioevo, il termine e il concetto, (Editrice Vita e Pensiero, Milano, 1931, in 8°, pp. 54). Il Sorrento è professore all'Università del Sacro Cuore (e la pubblicazione è appunto un discorso tenuto in questa università) ed è da immaginare che studi l'argomento oltre che da un punto di vista cattolico e apologetico, anche entro limiti storico-letterari, senza cioè occuparsi del contenuto economico-sociale del concetto di Medioevo. Occorrerebbe invece studiare in modo completo l'argomento per giungere alla distinzione del Medioevo dall'età del mercantilismo e delle monarchie assolute che popolarmente sono incluse nel Medioevo. (Ancien Regime popolarmente si confonde con Medioevo, mentre è appunto l'età del mercantilismo e delle monarchie assolute, chiuso dalla Rivoluzione francese). L'opuscolo del Sorrento sarà più utile per l'indicazione delle fonti letterarie.

Un paragrafo si potrebbe dedicare a riassumere ciò che ha significato il termine «Italia» nei vari tempi, prendendo le mosse dallo studio in proposito del prof. Carlo Cipolla pubblicato negli Atti della Accademia delle Scienze di Torino.

Mistica.

Il termine « mistica » italiano non coincide col francese mystique, pure anche in italiano si è incominciato a diffondere col significato francese, ma in modo strano, cioè il significato francese che è evidentemente critico e peggiorativo, si sta accettando con significato «positivo» senza senso deteriore. La «mistica» non può essere staccata dal fenomeno dell'«estasi», cioè di uno stato nervoso particolare nel quale il soggetto «sente» di entrare direttamente in contatto con Dio, con l'universale, senza bisogno di mediatori (perciò i cattolici sono diffidenti verso il misticismo, che deprezza la Chiesa-intermediaria). Si intende perché i Francesi abbiano introdotto il termine «mistica» nel linguaggio politico: vogliono significare uno stato d'animo di esaltazione politica non razionale o non ragionata, ma fanatismo permanente, incoercibile alle dimostrazioni corrosive, che poi non è altro che la «passione» di cui parla Croce o il «mito» di Sorel, giudicato da cervelli cartesianamente logicistici: si parla pertanto di una mistica democratica, parlamentare, repubblicana, ecc.

Positivamente si parla di mistica (come nella «scuola di mistica fascista» di Milano) per non usare i termini di religiosità o addirittura di «religione». Nella prolusione di Arnaldo Mussolini per il terzo anno della scuola mistica fascista (Coscienza e dovere, pubblicata nel settimanale «Gente nostra» del 13 dicembre 1931) si dice, fra l'altro: «Si è detto che la vostra scuola di mistica fascista non ha il titolo appropriato. Mistica è una parola che si addice a qualche cosa di divino, e quando viene portata fuori dal campo rigidamente religioso si adatta a troppe ideologie inquiete, vaghe, indeterminate. Diffidate delle parole e soprattuto delle parole che possono avere parecchi significati. Certo che qualcuno può rispondermi che con la parola "mistica" si è voluto porre in evidenza i rapporti necessari fra il divino e lo spirito umano che ne è la sua derivazione. Accetto questa tesi senza indugiarmi in una questione di parole. In fondo non sono queste che contano: è lo spirito che vale. E lo spirito che vi anima è in giusta relazione al correre del tempo che non conosce dighe, né ha dei limiti critici; mistica è un richiamo a una tradizione ideale che rivive trasformata e ricreata nel vostro programma di giovani fascisti rinnovatori». Al significato di mistica francese si avvicina quello di «religione», come è impiegato dal Croce nella Storia d'Europa.

Il naso di Cleopatra.

Cercare il senso esatto che Pascal dava a questa sua espressione divenuta tanto famosa (è contenuta nelle Pensées), e il suo legame con le opinioni generali dello scrittore. (Frivolità della storia degli uomini, pessimismo giansenistico).

Nazionale-popolare.

Ho scritto alcune note per osservare come le espressioni «nazione» e «nazionale» abbiano in italiano un significato molto più limitato di quelli che nelle altre lingue hanno le parole corrispondenti date dai vocabolari.

L'osservazione più interessante si può fare per il cinese, dove pure gli intellettuali sono tanto staccati dal popolo: per tradurre l'espressione cinese Sen Min-ciu-i che indica i tre principi della politica nazionale-popolare di Sun Yat-sen, i gesuiti hanno escogitato la formula di «triplice demismo» (escogitata dal gesuita italiano D'Elia nella traduzione francese del libro di Sun Yat-sen, Le triple démisme de Suen Wen); confronta la «Civiltà Cattolica» del 4 maggio e 18 maggio 1929, in cui la formula cinese Sen Min-ciu-i è analizzata nella sua composizione grammaticale cinese e confrontata con varie traduzioni possibili.

[«Not representation without labour».]

La vecchia massima inglese: «not representation without labour» ricordata da Augur (Britannia, quo vadis?, «Nuova Antologia», 16 gennaio 1930) per sostenere che bisognerebbe togliere il voto ai disoccupati per risolvere il problema della disoccupazione (cioè perché si formi un governo che riduca al minimo il fondo della disoccupazione); quando è stata praticata, da chi, come? e come la si intendeva?

[Non si può distruggere senza creare.]

L'affermazione che «non si può distruggere senza creare», è molto diffusa. L'ho letta, già prima del 1914, nell'«Idea Nazionale», che pure era un bric-à-brac di banalità e di luoghi comuni. Ogni gruppo o gruppetto che crede di essere portatore di novità storiche (e si tratta di vecchierie con tanto di barba) si afferma dignitosamente distruttore-creatore. Bisogna togliere la banalità all'affermazione divenuta banale. Non è vero che «distrugga» chiunque vuol distruggere. Distruggere è molto difficile, tanto difficile appunto quanto creare. Poiché non si tratta di distruggere cose materiali, si tratta di distruggere «rapporti» invisibili, impalpabili, anche se si nascondono nelle cose materiali. È distruttore-creatore chi distrugge il vecchio per mettere alla luce, fare affiorare il nuovo che è divenuto «necessario», e urge implacabilmente al limitare della storia. Perciò si può dire che si distrugge in quanto si crea. Molti sedicenti distruttori non sono altro che «procuratori di mancati aborti» passibili del codice penale della storia.

L'opinione pubblica.

Ciò che si chiama «opinione pubblica» è strettamente connesso con l'egemonia politica, è cioè il punto di contatto tra la «società civile» e la «società politica», tra il consenso e la forza. Lo Stato, quando vuole iniziare un'azione poco popolare, crea preventivamente l'opinione pubblica adeguata, cioè organizza e centralizza certi elementi della società civile. Storia dell'«opinione pubblica»: naturalmente elementi di opinione pubblica sono sempre esistiti, anche nelle satrapie asiatiche; ma l'opinione pubblica come oggi si intende è nata alla vigilia della caduta degli Stati assoluti, cioè nel periodo di lotta della nuova classe borghese per l'egemonia politica e per la conquista del potere.

L'opinione pubblica è il contenuto politico della volontà politica pubblica che potrebbe essere discorde; perciò esiste la lotta per il monopolio degli organi dell'opinione pubblica: giornali, partiti, Parlamento, in modo che una sola forza modelli la opinione e quindi la volontà politica nazionale, disponendo i discorsi in un pulviscolo individuale e disorganico.

Tra gli elementi che recentemente hanno turbato il normale governo dell'opinione pubblica da parte dei partiti organizzati e definiti intorno a programmi definiti, sono da porre in prima linea la stampa gialla e la radio (dove è molto diffusa). Essi danno la possibilità di suscitare estemporaneamente scoppi di panico o di entusiasmo fittizio che permettono il raggiungimento di scopi determinati, nelle elezioni, per esempio. Tutto ciò è legato al carattere della sovranità popolare, che viene esercitata una volta ogni 3-4-5 anni: basta avere il predominio ideologico (o meglio emotivo) in quel giorno determinato per avere una maggioranza che dominerà per 3-4-5 anni, anche se, passata l'emozione, la massa elettorale si stacca dalla sua espressione legale (paese legale non uguale a paese reale). Organismi che possono impedire o limitare questo boom dell'opinione pubblica più che i partiti sono i sindacati professionali liberi e da ciò nasce la lotta contro i sindacati liberi e la tendenza a sottoporli a controllo statale: tuttavia la parte inorganizzabile dell'opinione pubblica (specialmente le donne, dove esiste il voto alle donne) è talmente grande da rendere sempre possibili i booms e i colpi di mano elettorali dove la stampa gialla è molto diffusa e molto diffusa la radio (in monopolio controllato dal governo). Uno dei problemi di tecnica politica che si presentano oggi, ma che le democrazie non riescono a trovare il modo di risolvere, è appunto questo: di creare organismi intermedi tra le grandi masse, inorganizzabili professionalmente (o difficilmente organizzabili), i sindacati professionali, i partiti e le assemblee legislative. I consigli comunali e provinciali hanno avuto nel passato una funzione approssimativamente vicina a questa, ma attualmente essi hanno perduto d'importanza. Gli Stati moderni tendono al massimo di accentramento, mentre si sviluppano, per reazione, le tendenze federative e localistiche, si che lo Stato oscilla tra il dispotismo centrale e la completa disgregazione (fino alla Confederazione dei tre oppressi).

[Organizzazione corporativa medioevale.]

Reliquie dell'organizzazione corporativa medioevale: 1) la Compagnia della Ca-ravana a Genova tra i lavoratori del porto; su di essa deve esistere una certa letteratura; 2) a Ravenna esiste ancora la cosiddetta Casa matha, reliquia di una schola piscatoria che risalirebbe a prima dell'anno Mille. Matha deriverebbe dal greco ma-theis, «stuoia», e ricorderebbe le capanne di stuoia di canne palustri dove trovavano riparo i primi pescatori della Ravenna bizantina. Della «Società degli uomini della Casa matha» tratterebbe uno storico Bard; l'annalista ravennate Agnello ricorderebbe la schola piscatoria per il 733 (ma è la stessa?); L. A. Muratori la menzionerebbe per il 943 (ma è la stessa cosa?). La «Società degli uomini della Casa matha» ha statuti che rimontano al 1304: il presidente si chiama «primo massaro». Nel 1887 [vennero] rinnovati gli statuti che abolirono le cerimonie religiose con cui si aprivano le adunanze. Una norma statutaria fissa che appena aperta l'adunanza si chiudano le porte per impedire ai ritardatari (che saranno multati) di sopraggiungere e ai presenti di allontanarsi prima della fine dei lavori. Oggi i soci si dividono in «ordinari» e del «grembiule» (pescivendoli e pescatori) e sono in tutto 150. Oggi la società amministra una scuola nautica che assorbe la maggior parte delle rendite sociali, ma continua l'opera di assistenza.

Una ricerca sulla lingua delle organizzazioni operaie prima della costituzione della CGIL: il termine «console», per esempio, che era mantenuto nei primi «fasci» operai del Partito operaio, ecc.

«Paritario e paritetico».

Il significato di «paritario» e «paritetico» è dei più interessanti e «significativi». Significa che 1.000.000 ha gli stessi diritti di 10.000, talvolta che uno ha gli stessi diritti di 50.000. Cosa significa paritario nelle officine Schneider del Creusot? Cosa significa nel consiglio nazionale per l'industria delle miniere di carbone, in Inghilterra? Cosa significa nel consiglio direttivo dell'UIL di Ginevra, ecc.? Tra chi viene stabilita una parità? Il curioso è che siano i cattolici i più strenui assertori del paritarismo, per i quali una persona umana (un'anima) dovrebbe essere pari a un'altra ecc.; ma già il Rosmini voleva che il potere rappresentativo fosse stabilito non secondo P«anima immortale» ugualmente cara a Dio, ma secondo la proprietà. Altro che spiritualismo!

Postulato.

Nelle scienze matematiche, specialmente, s'intende per «postulato» una proposizione che, non avendo la evidenza immediata e la indimostrabilità degli assiomi, né potendo, d'altra parte, essere sufficientemente dimostrata come un teorema, è tuttavia provvista, in base ai dati dell'esperienza, di una tale verosimiglianza che può essere acconsentita o concessa anche dall'avversario e posta quindi a base di talune dimostrazioni. Il postulato quindi è, in questo senso, una proposizione richiesta ai fini della dimostrazione e costruzione scientifica.

Nell'uso comune, invece, postulato significa un modo di essere e di operare che si desidera realizzare (o conservare, se già realizzato; o anzi, che si vuole e, in certi casi si deve, attuare o conservare) o si afferma essere il risultato di una indagine scientifica (storia, economia, fisiologia, ecc.). Perciò si fa spesso confusione (o si interferisce) tra il significato di «rivendicazione», di «desiderata», di «esigenza» e quello di «postulato» e di «principio»; i postulati di un partito politico o di uno Stato sarebbero i suoi «principi» pratici, da cui conseguono immediatamente le rivendicazioni di carattere più concreto e particolare (esempio: l'indipendenza del Belgio è un postulato della politica inglese, ecc.).

Privilegi e prerogative.

Fissare i significati storici dei due termini. Mi pare che se in uno Stato moderno sarebbe assurdo parlare di privilegi a determinati gruppi sociali, non altrettanto assurdo è invece parlare di prerogative. D'altronde, di prerogative non si può parlare che con riferimento ai corpi costituiti e con riferimento alle funzioni politiche, non come benefici nella vita economica: la prerogativa non può non essere «strettamente» legata alla funzione sociale e alla esplicazione di determinati doveri. Perciò è da vedere se i «privilegi» non sono che «prerogative» degenerate, cioè involucri senza contenuto sociale e funzionale, benefici mantenuti parassitariamente anche quando la funzione da cui erano giustificati era morta o si era spostata a un nuovo gruppo sociale, che quindi aveva il gravame funzionale senza avere tutti i mezzi giuridico-politici per esplicarlo regolarmente.

È da mettere in rilievo che i concetti di privilegio e di prerogativa erano concetti giuridici originariamente, anzi sono stati il contenuto di tutta una epoca della storia degli Stati: essi sono diventati concetti morali reprobativi solo quando appunto non hanno corrisposto più a servizi sociali e statali necessari. «Prerogative della Corona» è la frase più comune in cui ricorre oggi il termine di «prerogativa». Se la teoria costituzionale che la funzione della Corona di impersonare la sovranità, sia nel senso statale che in quello della direzione politico-culturale (cioè di essere arbitra nelle lotte interne dei ceti dominanti, la classe egemone e i suoi alleati) sta passando ai grandi partiti di tipo «totalitario» è esatta, è evidente che a tali partiti passano le prerogative corrispondenti. Perciò è da studiare la funzione del Gran Consiglio, che tende a diventare un «Consiglio di Stato» nel vecchio senso (cioè con le vecchie attribuzioni), ma con funzioni ben più radicali e decisive.

Reich.

Per il significato del termine Reicb, che non significa affatto «impero» (ho visto che in «Gerarchia» è talvolta stato tradotto addirittura con «regno»), osservare che esso esiste in tutte le lingue germaniche e appare nel termine corrispondente a Reichstag nelle lingue scandinave, ecc.; appare realmente che Reich è termine germanico per indicare genericamente lo «Stato» territoriale.

Cercare l'origine storica e ideologica esatta di questo termine che viene malamente tradotto con «impero».

Cosi il Commonwealth delle nazioni britanniche non può essere tradotto con «repubblica», sebbene significhi anche «repubblica».

Religione e politica.

Un argomento da studiare è questo: se esista un rapporto e quale sia tra l'unità religiosa di un paese e la molteplicità dei partiti e, viceversa, tra la unità relativa dei partiti e la molteplicità delle chiese e sette religiose. Si osserva che negli Stati Uniti, dove i partiti politici efficienti sono due o tre, esistono centinaia di chiese e sette religiose; in Francia, dove l'unità religiosa è notevole, esistono decine e decine di partiti. Ciò che fa riflettere è il caso della Russia zarista, dove partiti politici normalmente e legalmente non esistevano o erano repressi ed esisteva la tendenza alla molteplicità delle sette religiose le più imbevute di fanatismo. Si potrebbe spiegare osservando che sia il partito che la religione sono forme di concezione del mondo e che l'unità religiosa è apparente, come è apparente l'unità politica: l'unità religiosa nasconde una reale molteplicità di concezioni del mondo che trovano espressione nei partiti, perché esiste «indifferentismo» religioso, come l'unità politica nasconde molteplicità di tendenze che trovano espressione nelle sette religiose, ecc. Ogni uomo tende ad avere una sola concezione del mondo organica e sistematica, ma poiché le differenziazioni culturali sono molte e profonde, la società assume una bizzarra variegazione di correnti che presentano un colorito religioso o un colorito politico a seconda della tradizione storica.

Riscossa.

Deve essere d'origine militare e francese. Il grido di battaglia dell'esercito di Carlo Vili a Fornovo era appunto: «Montoison à la recousse!». Nel linguaggio militare francese recousse o rescousse indicava un nuovo attacco; e «A la rescousse!» si gridava in battaglia per domandare soccorsi.

«Scientifico».

Che cos'è «scientifico»? L'equivoco intorno ai termini «scienza» e «scientifico» è nato da ciò che essi hanno assunto il loro significato da un gruppo determinato di scienze, e precisamente dalle scienze naturali e fisiche. Si chiamò «scientifico» ogni metodo che fosse simile al metodo di ricerca e di esame delle scienze naturali, divenute le scienze per eccellenza, le scienze-feticcio. Non esistono scienze per eccellenza e non esiste un metodo per eccellenza, «un metodo in sé». Ogni ricerca scientifica si crea un metodo adeguato, una propria logica, la cui generalità e universalità consiste solo nell'essere «conforme al fine». La metodologia più generica e universale non è altro che la logica formale o matematica, cioè l'insieme di quei congegni astratti del pensiero che si sono venuti scoprendo, depurando, raffinando attraverso la storia della filosofia e della cultura. Questa metodologia astratta, cioè la logica formale, è spregiata dai filosofi idealisti, ma erroneamente: il suo studio corrisponde allo studio della grammatica, cioè corrisponde non solo a un approfondimento delle esperienze passate di metodologia del pensiero (della tecnica del pensiero), a un assorbimento della scienza passata, ma è una condizione per lo sviluppo ulteriore della scienza stessa.

Studiare il fatto per cui la «logica» formale è diventata sempre più una disciplina legata alle scienze matematiche — Russell in Inghilterra, Peano in Italia — fino a essere elevata, come dal Russell, alla pretesa di «sola filosofia» reale. Il punto di partenza potrebbe essere preso dall'affermazione di Engels, in cui «scientifico» è contrapposto a «utopistico»; il sottotitolo della «Critica Sociale» del Turati ha lo stesso significato che in Engels? Certo no; per Turati «scientifico» si avvicina al significato di «metodo proprio alle scienze fisiche» (il sottotitolo spari a un certo punto: vedere quando; certo già nel 1917) e anche questo in senso molto generico e tendenzioso.

Il Dubreuil, nel libro Standards, nota giustamente che l'aggettivo «scientifico» tanto usato per accompagnare le parole: direzione scientifica del lavoro, organizzazione scientifica, ecc., non ha il significato pedantesco e minaccioso che molti gli attribuiscono, ma non spiega poi esattamente come debba essere inteso. In realtà, «scientifico» significa «razionale» e più precisamente «razionalmente conforme al fine» da raggiungere, cioè di produrre il massimo col minimo sforzo, di ottenere il massimo di efficienza economica, ecc., razionalmente scegliendo e fissando tutte le operazioni e gli atti che conducono al fine.

L'aggettivo «scientifico» è oggi adoperato estensivamente, ma sempre il suo significato può essere ridotto a quello di «conforme al fine», in quanto tale «conformità» sia razionalmente (metodicamente) ricercata dopo un'analisi minutissima di tutti gli elementi (fino alla capillarità) costitutivi e necessariamente costitutivi (eliminazione degli elementi emotivi compresa nel calcolo).

Self-government e burocrazia.

L'autogoverno è una istituzione o un costume politico-amministrativo, che presuppone condizioni ben determinate: l'esistenza di uno strato sociale che viva di rendita, che abbia una tradizionale pratica degli affari e che goda di un certo prestigio tra le grandi masse popolari per la sua rettitudine e il suo disinteresse (e anche per alcune doti psicologiche, come quella di saper esercitare l'autorità con fermezza dignitosa, ma senza alterigia e distacco superbioso). Si capisce che perciò l'autogoverno sia stato possibile solo in Inghilterra, dove la classe dei proprietari terrieri, oltre alle condizioni di indipendenza economica, non era stata mai in lotta accanita con la popolazione (ciò che successe in Francia) e non aveva avuto grandi tradizioni militari di corpo (come in Germania), con il distacco e l'atteggiamento autoritario derivanti. Cambiamento di significato dell'autogoverno in paesi non anglosassoni: lotta contro il centralismo dell'alta burocrazia governativa, ma istituzioni affidate a una burocrazia controllata immediatamente dal basso. Burocrazia divenuta necessità: la quistione deve essere posta di formare una burocrazia onesta e disinteressata, che non abusi della sua funzione per rendersi indipendente dal controllo del sistema rappresentativo. Si può dire che ogni forma di società ha la sua impostazione o soluzione del problema della burocrazia, e una non può essere uguale all'altra.

La società civile.

Occorre distinguere la società civile, come è intesa dallo Hegel, e nel senso in cui è spesso adoperata in queste note (cioè nel senso di egemonia politica e culturale di un gruppo sociale sull'intera società, come contenuto etico dello Stato) dal senso che le danno i cattolici, per i quali la società civile è invece la società politica o lo Stato, in confronto della società familiare e della Chiesa. Dice Pio XI nella sua enciclica sull'educazione («Civiltà Cattolica» del 1° febbraio 1930): «Tre sono le società necessarie, distinte e pur armonicamente congiunte da Dio, in seno alle quali nasce l'uomo: due società di ordine naturale, quali sono la famiglia e la società civile; la terza, la Chiesa, di ordine soprannaturale. Dapprima la famiglia, istituita immediatamente da Dio al fine suo proprio, che è la procreazione ed educazione della prole, la quale perciò ha la priorità di natura, e quindi una priorità di diritti, rispetto alla società civile. Nondimeno, la famiglia è società imperfetta, perché non ha in sé tutti i mezzi per il proprio perfezionamento: laddove la società civile è società perfetta, avendo in sé tutti i mezzi al fine proprio, che è il bene comune temporale, onde, per questo rispetto, cioè in ordine al bene comune, essa ha preminenza sulla famiglia, la quale raggiunge appunto nella società civile la sua conveniente perfezione temporale. La terza società, nella quale nasce l'uomo, mediante il battesimo, alla vita divina della grazia, è la Chiesa, società di ordine soprannaturale e universale, società perfetta, perché ha in sé tutti i mezzi [necessari] al suo fine, che è la salvezza eterna degli uomini, e pertanto suprema nel suo ordine».

Per il cattolicismo, quella che si chiama «società civile» in linguaggio hegeliano, non è «necessaria», cioè è puramente storica o contingente. Nella concezione cattolica, lo Stato è solo la Chiesa, ed è uno Stato universale e soprannaturale: la concezione medioevale teoricamente è mantenuta in pieno.

Spirito di corpo.

Nel senso migliore del termine potrebbe significare la concordia degli intenti e delle volontà, la compatta unità morale per cui importa che le cose buone siano fatte nell'interesse dell'unico tutto, non importa se dall'uno o dall'altro componente del tutto. Di solito però «spirito di corpo» ha assunto un significato deteriore, cioè di «difesa» del tutto contro le sanzioni per il male fatto dai singoli. E si comprende quale sia la radice della degenerazione: è una falsa comprensione di ciò che è il «tutto». Si assume per «tutto» solo una frazione di esso, una frazione, s'intende, subordinata, e attraverso la «forza» data dallo spirito di corpo, si tende e si tenta di far prevalere la parte (subordinata) al tutto, per esercitare un potere indiretto (se non è possibile quello diretto) e ottenere privilegi. Se si analizza ancora si vede che alla radice di tale spirito di corpo è l'ambizione di una persona o di un piccolo gruppo di persone (che si chiama allora «consorteria», «cricca», «combriccola», «camarilla», ecc.). L'elemento burocratico, civile, ma specialmente militare, ha le maggiori tendenze allo spirito di corpo, che conduce alla formazione di «caste». L'elemento psicologico e morale più forte dello spirito di corpo è il punto di onore, dell'onore del corpo, si intende, che crea le passioni più sviate e deteriori. La lotta contro lo spirito di corpo deteriore è la lotta del tutto contro la parte, della collettività contro le ambizioni dei singoli e contro i privilegi, dello Stato contro le caste e le «associazioni a delinquere».

Statolatria.

Atteggiamento di ogni diverso gruppo sociale verso il proprio Stato. L'analisi non sarebbe esatta se non si tenesse conto delle due forme in cui lo Stato si presenta nel linguaggio e nella cultura delle epoche determinate, cioè come società civile e come società politica, come «autogoverno» e come «governo dei funzionari». Si dà il nome di «statolatria» a un determinato atteggiamento verso il «governo dei funzionari» o società politica, che nel linguaggio comune è la forma di vita statale a cui si dà il nome di Stato e che volgarmente è intesa come tutto lo Stato.

L'affermazione che lo Stato si identifica con gli individui (con gli individui di un gruppo sociale), come elemento di cultura attiva (cioè come movimento per creare una nuova civiltà, un nuovo tipo di uomo e di cittadino), deve servire a determinare la volontà di costruire nell'involucro della società politica una complessa e bene articolata società civile, in cui il singolo individuo si governi da sé, senza che perciò questo suo autogoverno entri in conflitto con la società politica, anzi diventandone la normale continuazione, il complemento organico. Per alcuni gruppi sociali, che prima dell'ascesa alla vita statale autonoma non hanno avuto un lungo periodo di sviluppo culturale e morale proprio e indipendente (come nella società medioevale e nei governi assoluti era reso possibile dall'esistenza giuridica degli stati o ordini privilegiati), un periodo di statolatria è necessario e anzi opportuno: questa «statolatria» non è altro che la forma normale di «vita statale», d'iniziazione, almeno, alla vita statale autonoma e alla creazione di una «società civile» che non fu possibile storicamente creare prima della ascesa alla vita statale indipendente. Tuttavia, questa tale «statolatria» non deve essere abbandonata a sé, non deve, specialmente, diventare fanatismo teorico, ed essere concepita come «perpetua»: deve essere criticata, appunto perché si sviluppi, e produca nuove forme di vita statale, in cui l'iniziativa degli individui e dei gruppi sia «statale», anche se non dovuta al «governo dei funzionari» (far diventare «spontanea» la vita statale). Cfr. p. 45, l'argomento «Iniziativa individuale».

Teocrazia. Cesaropapismo. Ierocrazia.

Non sono la stessa precisa cosa: 1) teocrazia, unita all'idea del comando per grazia di Dio; 2) cesaropapismo: l'imperatore è anche capo della religione, sebbene il carattere laico-militare predomini in lui; 3) ierocrazia è il governo dei religiosi, cioè nel comando predomina il carattere sacerdotale: quella del Papa è una ierocrazia:

Teopanismo.

Termine usato dai gesuiti, per esempio, per indicare una caratteristica della religione induista (ma teopanismo non significa panteismo? oppure si adopera per indicare una particolare concezione religioso-mitologica, per distinguerla dal «panteismo» filosofico superiore?). Confrontare la «Civiltà Cattolica» del 5 luglio 1930 (articolo: L'induismo, pp. 17-18): «Per l'induismo non vi ha differenza sostanziale tra Dio, uomo, animale e pianta: tutto è Dio, non solo nella credenza delle classi inferiori, presso le quali siffatto panteismo è concepito animisticamente, ma anche presso le alte classi e le persone colte, nella cui maniera di pensare l'essenza divina si rivela, in senso teopanistico, come mondo delle anime e delle cose visibili. Benché in sostanza sia lo stesso errore, nondimeno, nella maniera di concepirlo ed esprimerlo si distingue il panteismo, che immagina il mondo come un essere assoluto, oggetto di culto religioso: "il tutto è Dio" dal teopanismo, che concepisce Dio come la realtà spirituale-reale, da cui emanano tutte le cose: "Dio diventa tutto", necessariamente, incessantemente, senza principio e senza fine. Il teopanismo è (accanto a pochi sistemi dualistici) la maniera più comune della filosofia induista, di concepire Dio e il mondo».

Teorici, dottrinari, astrattisti, ecc.

Nel linguaggio comune «teorico» è adoperato in senso deteriore, come «dottrinario» e meglio ancora come «astrattista». Ha avuto la stessa sorte del termine «idealista», che dal significato tecnico filosofico ha preso a significare «vagheggiatore di nebulosità», ecc. Che certi termini abbiano assunto questo significato deteriore non è avvenuto a caso. Si tratta di una reazione del senso comune contro certe degenerazioni culturali ecc., ma il «senso comune» è stato a sua volta il filisteizzatore, il mummificatore di una reazione giustificata in uno stato d'animo permanente, in una pigrizia intellettuale altrettanto degenerativa e repulsiva del fenomeno che voleva combattere. Il «buon senso» ha reagito, il «senso comune» ha imbalsamato la reazione e ne ha fatto un cànone «teorico», «dottrinario», «idealistico».

[«Tirannia della maggioranza».]

Come è nato nei pubblicisti della Restaurazione il concetto di «tirannia della. maggioranza». Concetto presso gli «individualisti» tipo Nietzsche, ma anche presso i cattolici. Secondo Maurras, la «tirannia della maggioranza» è ammissibile nei piccoli paesi, come la Svizzera, perché tra i cittadini svizzeri regna una certa uguaglianza di condizioni; è disastrosa (! sic) invece dove fra i cittadini, come in Francia, vi è molta disuguaglianza di condizioni.

Ufficiale.

Il termine «ufficiale», specialmente nelle traduzioni da lingue straniere (in primo luogo dall'inglese) dà luogo a equivoci, a incomprensioni e... stupore. In italiano il significato di «ufficiale» è sempre più venuto restringendosi e ormai indica solo gli ufficiali dell'esercito: nel significato più largo, è rimasto il termine solo in alcune espressioni diventate idiomatiche e di origine burocratica: «pubblico ufficiale», «ufficiale dello stato civile», ecc. In inglese, official indica ogni specie di funzionario (per ufficiale dell'esercito si usa officer che però indica anch'esso il funzionario in generale), non solo dello Stato ma anche privato (funzionario sindacale). (Sarà utile però fare una indagine più precisa, di carattere storico, giuridico, politico).

Ultra.

Nomi diversi dati in Francia e in Germania ai cattolici, favorevoli a una influenza del papato nei loro rispettivi paesi, ciò che significa poi in gran parte: che lottavano per accrescere la loro forza di partito con l'aiuto di una potenza straniera (non solo «spirituale e culturale», ma anche temporale — e come! — perché avrebbe voluto prelevare imposte, decime, ecc. e dirigere la politica internazionale). Era una forma di certi tempi di «partito dello straniero» opposto a «gallicano» in Francia.

Università.

Termine rimasto nel senso medioevale di corporazione o comunità: per esempio «le Università israelitiche», le «Università agrarie» nelle regioni dove esistono usi civici sulle terre e sui boschi riconosciuti e regolati dalle leggi (come nel Lazio). Nel linguaggio comune il termine Università è rimasto per certi istituti di studi superiori (Università degli Studi) e ricorda l'antica organizzazione corporativa degli studi.

Sulla verità ossia sul dire la verità in politica.

È opinione molto diffusa in alcuni ambienti (e questa diffusione è un segno della statura politica e culturale di questi ambienti) che sia essenziale dell'arte politica il mentire, il saper astutamente nascondere le proprie vere opinioni e i veri fini a cui si tende, il saper far credere il contrario di ciò che realmente si vuole, ecc., ecc. L'opinione è tanto radicata e diffusa che a dire la verità non si è creduti. Gli Italiani in genere sono all'estero ritenuti maestri nell'arte della simulazione e dissimulazione, ecc. Ricordare l'aneddoto ebreo: «Dove vai?», domanda Isacco a Beniamino. «A Cracovia», risponde Beniamino. «Bugiardo che sei! Tu dici di andare a Cracovia perché io creda invece che tu vada a Lemberg; ma io so benissimo che vai a Cracovia: che bisogno c'è dunque di mentire?». In politica si potrà parlare di riservatezza, non di menzogna nel senso meschino che molti pensano: nella politica di massa dire la verità è una necessità politica, precisamente.

Vette di comando - leve di comando.

Espressioni usate in lingue diverse per dire la stessa cosa. L'espressione «vette di comando» ha forse un'origine di carattere militare; quella «leve di comando» una origine evidentemente industriale. Nella lot-ta occorre avere le vette o leve di comando, quelle che si chiamano anche le chiavi della situazione, ecc., cioè quando si hanno forze determinate e limitate, occorre distribuirle in modo da avere in mano le posizioni strategiche che dominano l'insieme della situazione e permettono di guidare lo sviluppo degli avvenimenti. (Un capitano che si acquartierasse nel fondo di una valle e non si preoccupasse di occupare e munire le cime circostanti e i passaggi obbligati, facilmente potrebbe essere circondato, fatto prigioniero o distrutto anche se in prevalenza numerica: un grosso cannone in fondo a un burrone o su una cima ha diversa potenzialità, ecc.).

[Zunftbürger, Pfablbürger, ecc.]

Per le espressioni Zunftbürger ePfablbürger o Pfahlbürgerschaft, impiegate nel Manifesto, è da vedere per le corrispondenti figure italiane, il libro di Arrigo Solmi L'amministrazione finanziaria del regno italico nell'alto Medioevo, Pavia 1932, pp. XV-288, L. 20 (cfr. recensione analitica di Piero Pieri nella «Nuova Italia» del 20 gennaio 1933). A Pavia esistevano prima del Mille «alcune arti o professioni di mestiere, tenute quasi in regime di monopolio, sotto la dipendenza della Camera o del Palazzo regio di Pavia». Esse appaiono costituite intorno a persone di maggiore esperienza e responsabilità dette magistri: costoro sono di nomina regia, hanno il governo interno dell'«Arte e ne rispondono verso lo Stato, ma provvedono anche a difendere i privilegi del mestiere e a valorizzarne i prodotti. Nessun artigiano può esercitare l'arte se non è iscritto all'organizzazione e tutti sono sottoposti a tributi di carattere generale e speciale verso la Camera regia». (Camera: il «ministero delle Finanze» d'allora).

[La Russia e lo zarismo.]

L'affermazione di Paolo Bourget fatta al principio della guerra (mi pare, perché forse anche prima) che i quattro pilastri dell'Europa erano: il Vaticano, lo Stato Maggiore prussiano, la Camera dei Lords inglese, l'Accademia francese. Il Bourget dimenticava lo zarismo russo che era il maggiore pilastro, l'unico che avesse resistito durante la Rivoluzione francese e Napoleone e durante il '48.

Bisognerebbe vedere con esattezza dove e quando il Bourget fece tale affermazione e in che termini precisi. Forse il Bourget stesso ebbe vergogna di mettere in serie lo zarismo russo. Si potrebbe prendere lo spunto di questa proposizione del Bourget per trattare della funzione che ebbe la Russia nella storia europea: essa difese l'Europa occidentale dalle invasioni tartariche, fu un antemurale tra la civiltà europea e il nomadismo asiatico, ma questa funzione divenne presto reazionaria e conservativa. Con la sua sterminata popolazione composta di tante nazionalità, era sempre possibile alla Russia organizzare eserciti imponenti di truppe assolutamente inattaccabili dalla propaganda liberale da gettare contro i popoli europei: ciò avvenne nel '48, lasciando una sedimentazione ideologica che ancora operava nel 1914 (rullo compressore, i cosacchi, che distruggeranno l'Università di Berlino, ecc.). Molti non riescono a calcolare quale mutamento storico sia avvenuto in Europa nel 1917 e quale libertà abbiano conquistato i popoli occidentali.

L'autocritica e l'ipocrisia dell'autocritica.

È certo che l'autocritica è diventata una parola di moda. Si vuole, a parole, far credere che alla critica rappresentata dalla «libera» lotta politica nel regime rappresentativo, si è trovato un equivalente, che, di fatto, se applicato sul serio, è più efficace e produttivo di conseguenze dell'originale. Ma tutto sta li: che il surrogato sia applicato sul serio, che l'autocritica sia operante e «spietata», perché in ciò è la sua maggiore efficacia: che deve essere spietata. Si è trovato invece che l'autocritica può dar luogo a bellissimi discorsi, a declamazioni senza fine e nulla più: l'autocritica è stata «parlamentarizzata». Poiché non è stato osservato finora che distruggere il parlamentarismo non è cosi facile come pare. Il parlamentarismo «implicito» e «tacito» è molto più pericoloso che non quello esplicito, perché ne ha tutte le deficienze senza averne i valori positivi. Esiste spesso un regime di partito «tacito», cioè un parlamentarismo «tacito» e «implicito» dove meno si crederebbe. E evidente che non si può abolire una «pura» forma, come è il parlamentarismo, senza abolire radicalmente il suo contenuto, l'individualismo, e questo nel suo preciso significato di «appropriazione individuale» del profitto e di iniziativa economica per il profitto capitalistico individuale. L'autocritica ipocrita è appunto di tali situazioni. Del resto la statistica dà l'indizio dell'effettualità della posizione. A meno che non si voglia sostenere che è sparita la criminalità, ciò che del resto altre statistiche smentiscono e come!

Tutto l'argomento è da rivedere, specialmente quello riguardante il regime dei partiti e il parlamentarismo «implicito», cioè funzionante come le «borse nere» e il «lotto clandestino» dove e quando la borsa ufficiale e il lotto di Stato sono per qualche ragione tenuti chiusi. Teoricamente l'importante è di mostrare che tra il vecchio assolutismo rovesciato dai regimi costituzionali e il nuovo assolutismo c'è differenza essenziale, per cui non si può parlare di un regresso; non solo, ma di dimostrare che tale «parlamentarismo nero» è in funzione di necessità storiche attuali, è «un progresso», nel suo genere; che il ritorno al «parlamentarismo» tradizionale sarebbe un regresso antistorico, poiché anche dove questo «funziona» pubblicamente, il parlamentarismo effettivo è quello «nero». Teoricamente mi pare si possa spiegare il fenomeno nel concetto di «egemonia», con un ritorno al «corporativismo», ma non nel senso «antico regime», nel senso moderno della parola, quando la «corporazione» non può avere limiti chiusi ed esclusivisti, come era nel passato; oggi è corporativismo di «funzione sociale», senza restrizione ereditaria o d'altro genere (che del resto era relativa anche nel passato, in cui il carattere più evidente era quello del «privilegio legale»).

Trattando l'argomento è da escludere accuratamente ogni (anche solo) apparenza di appoggio alle tendenze «assolutiste» e ciò si può ottenere insistendo sul carattere «transitorio» (nel senso che non fa epoca, non nel senso di «poca durata») del fenomeno. (A questo proposito è da notare come troppo spesso si confonda il «non far epoca» con la scarsa durata «temporale»; si può «durare» a lungo, relativamente, e non «fare epoca»; le forze di vischiosità di certi regimi sono spesso insospettate, specialmente se essi sono «forti» della altrui debolezza, anche procurata: a questo proposito sono da ricordare le opinioni di Cesarino Rossi, che certo erano sbagliate «in ultima istanza», ma realmente avevano un contenuto di realismo effettuale).

Il parlamentarismo «nero» pare un argomento da svolgere con certa ampiezza, anche perché porge l'occasione di precisare i concetti politici che costituiscono la concezione «parlamentare». I raffronti con altri paesi, a questo riguardo, sono interessanti: per esempio, la liquidazione di Leone Davidovi non è un episodio della liquidazione «anche» del parlamento «nero» che sussisteva dopo l'abolizione del parlamento «legale»?

Fatto reale e fatto legale. Sistema di forze in equilibrio instabile che nel terreno parlamentare trovano il terreno «legale» del loro equilibrio «più economico» e abolizione di questo terreno legale, perché diventa fonte di organizzazione e di risveglio di forze sociali latenti e sonnecchianti; quindi questa abolizione è sintomo (o previsione) di intensificarsi delle lotte e non viceversa. Quando una lotta può comporsi legalmente, essa non è certo pericolosa: diventa tale appunto quando l'equilibrio legale è riconosciuto impossibile. (Ciò che non significa che abolendo il barometro si abolisca il cattivo tempo).