Ottaviano

 

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Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (in latino Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus; nelle epigrafi: C•IVLIVS•C•F•III•V•CAESAR•OCTAVIANVS [2]; Roma antica, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14 d.C.) meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, fu il primo imperatore romano.

Il Senato gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C.,[3] e il suo nome ufficiale fu da quel momento Imperator Caesar Divi filius Augustus (nelle epigrafi IMPERATOR•CAESAR•DIVI•FILIVS•AVGVSTVS).[4] Nel 23 a.C. gli fu riconosciuta la tribunicia potestas e l'Imperium proconsulare a vita,[5] mentre nel 12 a.C. divenne Pontefice Massimo. Restò al potere sino alla morte, e il suo principato fu il più lungo della Roma imperiale (44 anni dal 30 a.C., 37 anni dal 23 a.C.).[6][7]

L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale.

Augusto, negli oltre quarant'anni di principato, introdusse riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli:[8]

* riformò il cursus honorum di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;
* riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che favorirono la romanizzazione dell'intero bacino del Mediterraneo;
 * riorganizzò le forze armate di terra (con l'introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell'Urbe, come le coorti urbane, i vigiles[9] e la guardia pretoriana) e di mare (con la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);
 * riformò il sistema di difese dei confini imperiali, acquartierando in modo permanente legioni e auxilia in fortezze e forti lungo l'intero limes;
 * fece di Roma una città monumentale con la costruzione di numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco Vipsanio Agrippa;
 * favorì la rinascita economica e il commercio, grazie alla pacificazione dell'intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di conquiste territoriali senza precedenti,[10] che portarono all'erario romano immense e insperate risorse (basti pensare al tesoro tolemaico o al grano egiziano, alle miniere d'oro dei Cantabri o quelle d'argento dell'Illirico);
  * promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori);
  * diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.
  * introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia e del mos maiorum chiamate Leges Iuliae.
  * riordinò il sistema monetario (23-15 a.C.), che rimase praticamente immutato per due secoli.

Biografia

Origini della sua famiglia

Il suo nome alla nascita era Gaio Ottavio Turino (Gaius Octavius Thurinus); era figlio di Caio Ottavio, ricco uomo d'affari che, per primo nella sua famiglia, la gens Octavia (ricca famiglia di Velletri), aveva ottenuto cariche pubbliche e un posto in Senato (era quindi un homo novus).[11] La madre, di nome Azia, proveniva, invece, da una famiglia da parecchie generazioni di rango senatorio e dagli illustri natali: era infatti imparentata sia con Cesare che con Gneo Pompeo Magno.[12] Azia era più precisamente la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo; Ottaviano, pertanto, era pronipote di Cesare.
Giovinezza (63-44 a.C.)

Nel 44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio e, secondo la consuetudine, assunse il nomen gentilizio (Iulius) e il cognomen (Caesar) del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della gens di provenienza aggettivata in -anus, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Gaius Iulius Caesar Octavianus). Si narra che poco prima di venire assassinato, Cesare lo avesse nominato magister equitum in seconda, accanto a Lepido, in vista della grande spedizione d'Oriente che stava preparando contro i Parti, inviandolo appena diciottenne a sorvegliare i preparativi per la futura guerra ad Apollonia. È qui che Ottaviano fu informato dell'uccisione del prozio (15 marzo 44 a.C.), e decise di tornare a Roma per reclamare i suoi diritti di figlio adottivo e di erede di Cesare.[13]

Ascesa al potere (44-23 a.C.)

Sbarcato a Brindisi, dove ricevette il benvenuto dalle legioni di Cesare lì acquartierate in attesa della spedizione in Oriente, Ottaviano si impossessò dei circa 700 milioni di sesterzi di denaro pubblico destinati alla guerra contro i Parti, che utilizzò per acquisire ulteriore favore tra i soldati e tra i veterani di Cesare stanziati in Campania.

Ottaviano giunse a Roma il 21 maggio, dopo che i Cesaricidi avevano già da più di un mese lasciato la città, grazie ad un'amnistia concessa dal console superstite, Marco Antonio. Il giovane si affrettò a rivendicare il nome adottivo di Gaio Giulio Cesare, dichiarando pubblicamente di accettare l'eredità del padre e chiedendo pertanto di entrare in possesso dei beni familiari. Antonio, che in qualità di console e capo della fazione cesariana deteneva in quel momento il controllo del patrimonio, procrastinò però il versamento adducendo la necessità di attendere che una lex curiata del Senato ratificasse il testamento del defunto. Ottaviano decise allora, impegnando i propri beni, di anticipare al popolo le somme che Cesare aveva lasciato nel suo testamento e di eseguire i giochi per la vittoria di Farsalo. Ottenne così che molti dei cesariani si schierassero dalla sua parte contro Antonio, suo diretto avversario nella successione politica a Cesare.

Il Senato, e in particolare Marco Tullio Cicerone, che lo vedeva in quel momento come un principiante inesperto data la sua giovane età, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria, e che apprezzava l'indebolimento della posizione di Antonio, approvò la ratifica del testamento, riconoscendo ad Ottaviano lo status di erede legittimo di Giulio Cesare. Con il patrimonio di Cesare ora a sua disposizione, Ottaviano poté quindi reclutare in giugno un esercito privato di circa 3000 veterani, garantendo a ciascuno di loro un salario di 500 denarii, mentre Marco Antonio, ottenuta con legge speciale l'assegnazione - al termine del suo anno consolare - della Gallia Cisalpina già affidata al propretore Decimo Bruto, si accingeva a portare guerra ai Cesaricidi per recuperare il favore della fazione cesariana.

Primo conflitto con Antonio (43 a.C.)

Quando nel mese di ottobre, l'appoggio del Senato ad Ottaviano si fece più pressante, con Cicerone che tuonava con le sue Filippiche contro Antonio, questi decise di riprendere il controllo della situazione richiamando in Italia le legioni stanziate in Macedonia. Di fronte a quella minaccia, Ottaviano richiamò allora i veterani di Cesare a lui fedeli, ottenendo ben presto anche la diserzione di due delle legioni macedoni di Antonio, la IV e la Martia, appena sbarcate. Fallito, per l'opposizione del Senato, il tentativo di far dichiarare Ottaviano hostis publicus per aver reclutato un esercito senza averne l'autorità, il console decise allora di accelerare i tempi dell'occupazione della Cisalpina, in modo da garantirsi una posizione di forza per l'anno successivo. Ricevuto il rifiuto da parte di Decimo Bruto alla cessione della Cisalpina, Antonio marciò su Modena, dove strinse d'assedio il propretore.

Il 1º gennaio del 43 a.C., giorno dell'insediamento dei nuovi consoli Pansa e Irzio, il Senato decretò l'abrogazione della legge che assegnava ad Antonio la Gallia Cisalpina e ordinò a questi di cessare immediatamente le violenze. Ottenuto un rifiuto, i consoli vennero incaricati di marciare contro Antonio assieme ad Ottaviano, cui venne conferito eccezionalmente l'imperium di pretore sì da legalizzare la condizione del suo esercito privato. Il 21 aprile Antonio venne sconfitto nella battaglia di Modena, nella quale, però, rimasero uccisi i consoli, lasciando così Ottaviano unico vincitore. Tornato a Roma con l'esercito, questi, malgrado la giovane età, si fece eleggere console suffectus assieme a Quinto Pedio, ottenendo compensi per i suoi legionari e facendo approvare dal Senato la lex Pedia contro i Cesaricidi. In tal modo i consoli poterono rifiutarsi di portare ulteriore soccorso a Decimo Bruto, che, in fuga, venne infine ucciso nella Cisalpina da un capo Gallo fedele ad Antonio.

Il secondo triumvirato (43 a.C. - 33 a.C.)

Dalla sua nuova posizione di forza, divenuto legalmente a capo dello Stato romano, Ottaviano prese contatti con il principale sostenitore di Antonio, il pontefice massimo Marco Emilio Lepido, già magister equitum di Cesare, con l'intenzione di ricomporre i dissidi interni alla fazione cesariana. Con gli auspici di Lepido, ottenne dunque che fosse organizzato un incontro a tre con Antonio nei pressi di Bononia. Da quel colloquio privato nacque un accordo a tre, tra lui, Antonio e Lepido della durata di cinque anni. Si trattava del secondo triumvirato, riconosciuto legalmente dal Senato il 27 novembre di quello stesso anno con la Lex Titia, in cui veniva creata la speciale magistratura dei Triumviri rei publicae constituendae consulari potestate, ovvero "triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare".

Il patto prevedeva la divisione dei territori romani: ad Ottaviano toccarono Siria, Sardegna e Africa proconsolaris. Furono contestualmente redatte delle liste di proscrizione contro gli oppositori di Cesare, che portarono alla confisca dei beni e all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso Cicerone che pagò le Filippiche rivolte contro Antonio. Si preparò nel contempo la guerra contro Bruto e Cassio e i cesaricidi.

La battaglia di Filippi (42 a.C.)

Nell'ottobre del 42 a.C. Antonio e Ottaviano, lasciato Lepido al governo della capitale, si scontrarono con i cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino e li sconfissero in due scontri a Filippi, nella Macedonia orientale. I due anticesariani trovarono la morte suicidandosi.[14] La battaglia fu vinta soprattutto per merito di Antonio e la parte di Ottaviano non fu certo gloriosa visto che Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, afferma che "alla battaglia di Filippi [Ottaviano] cadde malato, fuggì e si nascose per tre giorni in una palude". La versione ufficiale fu che Ottaviano era stato esortato a fuggire in un sogno avuto dal suo medico.[15]

Ottaviano, Antonio e Lepido trovandosi padroni, ora, dei territori orientali procedettero ad una nuova spartizione delle province: a Lepido furono lasciate la Numidia e l'Africa proconsolaris, ad Antonio, la Gallia, la Transpadania e l'Oriente romano, ad Ottaviano spettarono l'Italia, la Sicilia, l'Iberia, e la Sardegna e Corsica.

Primi contrasti (41-39 a.C.)

Successivamente nacquero i primi contrasti: Lucio Antonio, fratello di Antonio, nel 41 a.C. si ribellò ad Ottaviano poiché pretendeva che anche ai veterani del fratello fossero distribuite terre in Italia (oltre ai 170.000 veterani di Ottaviano), ma fu sconfitto a Perugia nel 40 a.C. Non si può provare che Antonio fosse a conoscenza delle azioni del fratello ma, dopo la sconfitta di quest'ultimo, entrambi decisero di non dare troppo peso all'accaduto (Lucio Antonio fu risparmiato e perfino inviato in Spagna come governatore).[12] Contemporaneamente a questi fatti, il legato di Antonio in Gallia, un certo Fufio Caleno, morì e le sue legioni passarono dalla parte di Ottaviano, che poté appropriarsi di nuove province del rivale.

Ottaviano a questo punto cercò un'intesa con Sesto Pompeo e, per sancire l'alleanza, sposò Scribonia, parente dello stesso Sesto: da questa donna, Ottaviano ebbe la sua unica figlia, Giulia.[12] In realtà, però, né l'intesa, né il matrimonio durarono a lungo. Nell'estate del 40 a.C. Ottaviano e Antonio vennero ad aperte ostilità: Antonio cercò di sbarcare a Brindisi con l'aiuto di Sesto Pompeo, ma la città gli chiuse le porte. I soldati di ambedue le fazioni si rifiutarono di combattere e i triumviri, pertanto, misero da parte le discordie. Con il trattato di Brindisi (settembre del 40 a.C.) si venne ad una nuova divisione delle province: ad Antonio restò l'Oriente romano da Scutari, compresa la Macedonia e l'Acaia; ad Ottaviano l'Occidente compreso l'Illirico; a Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l'Africa e la Numidia; a Sesto Pompeo fu confermata la Sicilia per metterlo a tacere, affinché non arrecasse problemi in Occidente.[12] Il patto fu sancito con il matrimonio tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, Ottavia minore. Dopo il trattato di Brindisi, Ottaviano ruppe inoltre l'alleanza con Sesto Pompeo, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, madre di Tiberio e in attesa di un secondo figlio.

Nel 39 a.C., a Miseno, Ottaviano attribuì a Sesto Pompeo le province di Sardegna e Corsica, fondando dunque la Città di Turris Libisonis Porto Granario di Roma e promettendogli l'Acaia, ottenendo in cambio la ripresa dei rifornimenti a Roma (Pompeo con la sua flotta bloccava le navi provenienti dal Mediterraneo). Sesto Pompeo, però, stava diventando un alleato scomodo e Ottaviano decise di disfarsene di lì a poco. Si arrivò così ad una prima serie di scontri non particolarmente felici per Ottaviano: la flotta preparata per invadere la Sicilia fu infatti distrutta sia da Sesto sia da un violento fortunale.[12]

Rinnovo e fine del triumvirato (38-33 a.C.)

Nel 38 a.C. Ottaviano si risolse ad incontrarsi a Brindisi con Antonio e Lepido per rinnovare il patto di alleanza per altri cinque anni. Nel 36 a.C., però, grazie all'amico e generale Marco Vipsanio Agrippa, Ottaviano riuscì a porre fine alla guerra con Sesto Pompeo. Sesto, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio, fu infatti sconfitto definitivamente presso Mileto. La Sicilia cadde e Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove poco dopo fu assassinato dai sicari di Antonio.[12]

A quel punto, però, Ottaviano dovette far fronte alle ambizioni di Lepido, il quale riteneva che la Sicilia dovesse toccare a lui e, rompendo il patto di alleanza, mosse per impossessarsene. Sconfitto però rapidamente, dopo che i suoi soldati lo abbandonarono passando dalla parte di Ottaviano, Lepido fu infine confinato al Circeo, pur conservando la carica pubblica di pontifex maximus. A quel punto, dopo l'eliminazione graduale di tutti i contendenti nell'arco di sei anni, da Bruto e Cassio, a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione rimase nelle sole mani di Ottaviano, in Occidente, e Antonio, in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due triumviri, ciascuno troppo ingombrante per l'altro, tanto più che i successi ottenuti nelle campagne militari di Ottaviano in Illirico (35-33 a.C.) e contro Lepido non erano stati compensati da Antonio in Oriente contro i Parti, limitandosi alla sola acquisizione in dote dell'Armenia.

Alla sua scadenza, nel 33 a.C., il triumvirato non venne rinnovato e, cosa ben più grave, Antonio ripudiò la sorella di Ottaviano con un affronto per quest'ultimo intollerabile.

Guerra con Antonio e la vittoria di Azio (33-31 a.C.)

Il conflitto era ora inevitabile. Mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò nel testamento di Antonio, in cui risultavano le sue decisioni di lasciare i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare.

Il Senato di Roma dichiarò guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C. Antonio e Cleopatra furono sconfitti nella battaglia di Azio, del 2 settembre 31 a.C. e si suicidarono entrambi, l'anno successivo in Egitto.[16]

Da Ottaviano ad Augusto (30-23 a.C.)

Dopo Azio, Ottaviano non solo ordinò di uccidere il figlio di Cleopatra, Cesarione (la cui paternità veniva attribuita dalla regina a Cesare), ma decise di annettere l'Egitto (30 a.C.), compiendo l'unificazione dell'intero bacino del Mediterraneo sotto Roma, e facendo di questa nuova acquisizione la prima provincia imperiale, governata da un proprio rappresentante, il prefetto d'Egitto. L'imperium di Ottaviano su questa provincia venne probabilmente sancito da una legge comiziale già nel 29 a.C., due anni prima della messa in opera del nuovo assetto provinciale.

Per la storiografia moderna più datata, la nuova forma di governo provinciale riservata all'Egitto ebbe origine dal tentativo di compensare gli Egiziani della perdita del loro monarca-dio (il faraone), con la nuova figura del Princeps;[17] in realtà, la scelta di Ottaviano di porre a capo della nuova provincia un prefetto plenipotenziario (figura che derivava direttamente dal prefetto della città tardo-repubblicana), il cosiddetto praefectus Alexandreae et Aegypti, titolo ufficiale attribuito al neo-governatore collegato alla soppressione della Bulè di Alessandria, fu dettata dal contesto in cui avvenne la conquista del paese: la guerra civile, ragioni di ordine strategico-militare nella lotta fra le due factiones tardo-repubblicane pro-occidente o pro-oriente, l'importanza del grano egiziano per l'annona di Roma e, non da ultimo, il tesoro tolemaico. L'aver, infatti, potuto mettere le mani sulle risorse finanziarie dei Tolomei consentì ad Ottaviano di pagare molti debiti di guerra, nonché decine di migliaia di soldati che in tanti anni di campagne lo avevano servito, disponendone l'insediamento in numerose colonie, sparse in tutto il mondo romano.[18]

Ottaviano era divenuto, di fatto, il padrone assoluto dello stato romano, anche se formalmente Roma era ancora una repubblica e Ottaviano stesso non era ancora stato investito di alcun potere ufficiale, dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù del "potitus rerum omnium per consensum universorum" ("consenso generale"), avendo per questo motivo ricevuto una sorta di perpetua tribunicia potestas (certamente un fatto extra-costituzionale).[19]

Finché questo consenso continuò a comprendere l'appoggio leale degli eserciti, Ottaviano poté governare al sicuro, e la sua vittoria costituì, di fatto, la vittoria dell'Italia sul vicino Oriente; la garanzia che mai l'impero romano avrebbe potuto trovare altrove il suo equilibrio e il suo centro al di fuori di Roma.

Il senato gli conferì progressivamente onori e privilegi, ma il problema che Ottaviano doveva risolvere consisteva nella trasformazione della sostanza dei rapporti istituzionali, lasciando intatta la forma repubblicana. I fondamenti del reale potere vennero individuati nell'imperium e nella tribunicia potestas: il primo, proprio dei consoli, conferiva a chi ne era titolare il potere esecutivo, legislativo e militare, mentre la seconda, propria dei tribuni della plebe, offriva la facoltà di opporsi alle decisioni del senato, controllandone la politica grazie al diritti di veto. Ottaviano cercò di ottenere tali poteri evitando di alterare le istituzioni repubblicane e dunque senza farsi eleggere a vita console e tribuno della plebe ed evitando inoltre la soluzione cesariana (Giulio Cesare era stato eletto, prima annualmente e poi a vita Dittatore).

Nel 27 a.C., Ottaviano restituì formalmente nelle mani del senato e del popolo romano i poteri straordinari assunti per la guerra contro Marco Antonio, ricevendo in cambio: il titolo di console da rinnovare annualmente, una potestas con maggiore auctoritas rispetto agli altri magistrati (consoli e proconsoli), poiché aveva diritto di veto in tutto l'Impero, a sua volta non assoggettato ad alcun veto da parte di qualunque altro magistrato[20]; l'imperium proconsolare decennale, rinnovatogli poi nel 19 a.C., sulle cosiddette province "imperiali" (compreso il controllo dei tributi delle stesse), vale a dire le province dove fosse necessario un comando militare, ponendolo di fatto a capo dell'esercito;[21] il titolo di Augusto, cioè "degno di venerazione e di onore", che sancì la sua posizione sacra che si fondava sul consensus universorum di senato e popolo romano; l'utilizzo del titolo di Princeps ("primo cittadino"); il diritto di condurre trattative con chiunque volesse, compreso il diritto di dichiarare guerra o stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.[22]

Questi poteri decretarono che le province fossero divise in senatorie, rette da magistrati eletti dal senato, e imperiali, rette da magistrati sottoposti al diretto controllo di Augusto; faceva eccezione l'Egitto, retto da un prefetto di rango equestre, munito di un imperium delegato da Augusto ad similitudinem proconsulis. L'imperium gli consentì di assumere direttamente il comando delle legioni stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così costantemente a disposizione una forza militare a garanzia del suo potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva, inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere legislativo.

Sotto il controllo del senato restarono le truppe di stanza nelle province senatoriali, le quali furono rette da un proconsole o propretore. Il senato stesso avrebbe potuto in qualunque momento emanare un senatus consultum limitando o revocando i poteri conferiti.

Nel 23 a.C. fu conferita ad Augusto, la tribunicia potestas a vita (che secondo alcuni gli era stata attribuita già dal 28 a.C.), la quale divenne la vera base costituzionale del potere imperiale: comportava infatti l'inviolabilità della persona e il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione, e questo senza i vincoli repubblicani della collegialità della carica e della sua durata annuale. Particolarmente significativo fu il diritto di veto, che garantì ad Augusto la facoltà di bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria autorità. Nello stesso anno l'imperium di cui già godeva divenne imperium proconsolare maius et infinitum, in modo da comprendere anche le province senatorie: tutte le forze armate dello stato romano dipendevano ora da lui.[23]

E ancora gli furono conferite nuove onorificenze negli anni a venire. Nel 12 a.C., quando il pontefice massimo Lepido morì, Ottaviano ne prese il titolo divenendo il capo religioso di Roma.[24] Nell'8 a.C. fu emanata la Lex Iulia maiestatis in cui per la prima volta venne punita l'offesa alla "maestà" dell'imperatore, foriero poi di conseguenze negative per tutto il periodo successivo. E per finire, nel 2 a.C., anno dell'inaugurazione del tempio di Marte Ultore e del Foro di Augusto, gli fu conferito il titolo onorifico di "Padre della patria" (Pater Patriae).

Il principato (23 a.C. - 14 d.C.)

L'ambizione di Augusto era quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (primo fra pari), permise di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica. Egli non schiacciò affatto l'antica aristocrazia, ma le affiancò in una più vasta cerchia del privilegio, il ceto degli uomini d'affari e dei funzionari, organizzati nell'ordine equestre, i cui membri furono spesso utilizzati dall'imperatore per controllare l'attività degli organi repubblicani e per il governo delle province imperiali.[25]

Ottaviano, una volta ricevuti i necessari poteri da parte di Senato e Popolo romano, cominciò ad assumere misure atte a dare all'Italia e alle Province il sospirato benessere dopo oltre un decennio di guerre civili: riordinò il cursus honorum delle magistrature repubblicane e promosse leggi che frenavano il diffondersi del celibato e incoraggiavano la natalità, emanando la lex Julia de maritandis ordinibus del 18 a.C. e la lex Papia Poppaea del 9 d.C. (a completamento della prima legge).

Amministrazione dell'Italia

Divise l'Italia in undici regioni arricchendola di nuovi centri [26] e migliorò la situazione di Roma, capitale dell'impero.

Fece di Roma una monumentale città di marmo e istituì due curatores aedium sacrarum et operum locorumque publicorum per preservare i templi e gli edifici pubblici; aumentò l'approvvigionamento idrico con la costruzione di due nuovi acquedotti e creando un corpo di tre curatores aquarum per l'approvvigionamento idrico; la divise in 14 regiones per meglio amministrarla oltre ad istituire cinque curatores riparum et alvei Tiberis, per proteggere Roma da eventuali inondazioni; curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo necessari alla popolazione della capitale, con la creazione del praefectus annonae (di rango equestre) e di due praefecti frumenti dandi (di rango senatorio) per somministrare i sussidi; incrementò, infine, il livello di sicurezza cittadina ponendo a salvaguardia dell'Urbe tre nuove prefetture: la praefectura vigilum, affidata ad un prefetto (di rango equestre), a capo di sette coorti di vigili (di ex-schiavi, affrancati) per far fronte agli incendi di Roma,[9] la praefectura Urbi, affidata ad un prefetto di estrazione senatoria o consolare, ai cui ordini erano poste tre cohortes urbanae (di circa 1.000 uomini ciascuna) al fine di mantenere l'ordine pubblico, la Guardia pretoriana (praefectura Praetorii), affidata ad un prefetto di rango equestre a capo di nove coorti, quale guardia personale del Princeps.[27]

Amministrazione provinciale

Nel 27 a.C., riorganizzò le province da un punto di vista fiscale e amministrativo, delegando l'amministrazione delle province nel seguente modo:

    Per sé stesso, tenne le cosiddette province non pacificate, ovvero quelle limitanee, in cui erano stanziate le legioni, con il fine, mal celato, di giustificare il potere sull'esercito. Tali province, poi dette imperiali, o provinciae Caesaris, furono affidate ai legati Augusti pro praetore di rango senatorio, scelti tra ex-consoli ed ex-pretori, con legati legionari, prefetti e tribuni come subalterni. Faceva eccezione l'Egitto, in cui venne riconfermato il praefectus Alexandreae et Aegypti, un membro del ceto equestre munito di imperium. Per l'aspetto tributario, tali province erano affidate ad agenti del principe, cavalieri, ma anche liberti, col titolo di procuratores Augusti; le entrate andavano a confluire sulla neonata cassa del principe, il fiscus.
    Le rimanenti province, quelle di più antica costituzione (pacate) e prive di stanziamenti legionari (tranne che per la provincia d'Africa), vennero lasciate al governo delle promagistrature tradizionali, affidandole a proconsules, estratti a sorte secondo il costume repubblicano, tra ex-consoli o ex-pretori a seconda dell'importanza della provincia. Tali province presero poi il nome di provinciae Populi Romani. I tributi venivano raccolti dai quaestores e confluivano nell'aerarium, l'antica cassa dello stato romano.
    Altri distretti, di minori dimensioni e importanza, non elevati al rango di provincia e nei quali erano stanziate solo truppe ausiliare, furono affidati a ufficiali, col titolo di prefetti civitatum o, semplicemente, prefetti. Questi distretti dipendevano dal legato della provincia (o dell'esercito) più vicino: così la prefettura di Giudea dipendeva dal legato di Siria e le prefetture alpine dal legato dell'esercito germanico.

Creò, inoltre, nuovi e numerosi municipi e colonie, al fine di portare avanti l'opera di romanizzazione nelle province.[28]
Amministrazione finanziaria ed economica

Augusto riorganizzò l'amministrazione finanziaria dello Stato romano. Attribuì infatti un salario e una gratifica di congedo a tutti i soldati dell'esercito imperiale (sia ai legionari che agli ausiliari); assegnò un salario (salaria) per il servizio pubblico per tutti i rappresentanti del senato, per poi estenderlo gradualmente anche alle magistrature ordinarie. La magistratura di tipo repubblicano fu retribuita con indennizzi e cibaria, piuttosto che con salaria. Costituì inoltre il fiscus (ovvero la cassa delle entrate dell'imperatore), accanto al vecchio aerarium, che rimase la cassa principale (affidata dal 23 a.C. a due pretori, non più a due questori), ma Augusto fu autorizzato ad attingere da esso le somme necessarie per tutte le funzioni amministrative e militari. L'imperatore, di fatto, poteva dirigere la politica economica di tutto l'impero e assicurarsi che le risorse fossero equamente distribuite in modo che le popolazioni sottomesse potessero considerare il governo di Roma una benedizione, non una condanna. Creò infine un aerarium militare per i compensi da dare ai veterani.

Promosse, quindi, la rinascita economica, del commercio e dell'industria attraverso l'unificazione dell'area mediterranea, debellando completamente la pirateria e migliorando la sicurezza lungo le frontiere e internamente alle Province. Creò una fitta rete stradale con un ottimo livello di manutenzione, istituendo numerosi curatores viarum per la manutenzione delle strade in Italia e nelle Province; nuovi porti commerciali e nuove attrezzature portuali come moli, banchine, fari; finanziò l'escavazione di canali e nuove esplorazioni (a volte anche militari oltreché commerciali) in terre lontane come l'Etiopia, la penisola arabica (fino all'attuale Yemen), le terre dei Garamanti, dei Germani del fiume Elba e l'India. In questa maniera restaurò la pax romana in tutto l'impero.[29]

Inoltre, nel 23-15 a.C., riordinò il sistema monetario, fissando i cambi tra la moneta aurea (1/40 di libbra) equivalente a 25 denari d'argento e a 100 sesterzi di rame, che restò praticamente immutato per due secoli.[30]
Caratteristiche demografiche, economiche e sociali dell'Impero romano sotto Augusto

Al tempo di Augusto l'Impero romano dominava su una popolazione di circa 55 milioni di persone (di cui 8-10 in Italia) su una superficie di circa 3,3 milioni di chilometri quadrati. Rispetto ai tempi moderni, la densità era piuttosto bassa: 17 abitanti per chilometro quadrato, i tassi di mortalità e natalità molto elevati e la vita media non superava i 20 anni. Solo un decimo della sua popolazione viveva nelle sue 3 000 città, più in particolare: 3 milioni circa abitavano nelle quattro città più grandi (Roma, Cartagine, Antiochia e Alessandria), di questi almeno un milione abitava nell'Urbe. Secondo calcoli approssimativi il prodotto interno lordo di quell'Impero era a quell'epoca attorno ai 20 miliardi di sesterzi e caratterizzato da vertiginose concentrazioni di ricchezze. Il reddito annuale dell'imperatore era attorno ai 15 milioni di sesterzi, quello dei 500 senatori ammontava a circa 100 milioni (0,5 per cento del Pil), il 3 per cento dei percettori di redditi godeva del 25 per cento delle ricchezze prodotte. L'Italia, centro dell'Impero augusteo, godeva di una posizione privilegiata: grazie alle nuove conquiste di Augusto poteva disporre di nuovi grandi mercati di approvvigionamento (grano, in primo luogo, proveniente dalla Sicilia, dall'Africa, dall'Egitto) e di nuovi mercati di sbocco per le proprie esportazioni di vino ed olio; le terre confiscate alle popolazioni sottomesse erano immense e dalle province arrivavano tributi in moneta e in natura (bottini di guerra, milioni di schiavi, tonnellate d'oro).[31]

Riorganizzazione dell'esercito

Augusto riorganizzò l'esercito legionario e ausiliario. Introdusse un esercito permanente di volontari, disposti a servire inizialmente per sedici anni, e poi per vent'anni dal 6, unicamente dipendente da lui; istituì un cursus honorum anche per coloro che aspiravano a ricoprire i più alti incarichi nella gerarchia dell'esercito, con l'introduzione di generali professionisti, non più comandanti inesperti mandati allo sbaraglio nelle province di confine; creò l'aerarium militare.

Delle legioni sopravvissute alla guerra civile, 28 rimasero dopo Azio, e 25 dopo la disfatta di Teutoburgo; vennero istituite le ali di cavalleria e le coorti di fanteria (o misti) di auxilia provinciali, traendoli da volontari non-cittadini, desiderosi di diventare cittadini romani al termine della ferma militare (della durata di 20-25 anni). In totale erano circa 340 000 uomini, di cui 140 000 servivano nelle legioni. Furono formate anche le coorti pretoriane e urbane (di Roma, Cartagine, Lione e d'Italia) e dei Vigili di Roma; la flotta imperiale divisa in squadre a Ravenna, Miseno e Forum Iulii, e quelle provinciali di Siria e Egitto, e le flottiglie fluviali su Reno, Danubio e Sava.[32]

Politica estera

Quasi a dispetto dell'indole apparentemente pacifica di Augusto, il suo principato fu più travagliato da guerre di quanto non lo siano stati quelli della maggior parte dei suoi successori. Solo Traiano e Marco Aurelio si trovarono a lottare contemporaneamente su più fronti, al pari di Augusto. Sotto Augusto, infatti, furono coinvolte quasi tutte le frontiere, dall'oceano settentrionale fino alle rive del Ponto, dalle montagne della Cantabria fino al deserto dell'Etiopia, in un piano strategico preordinato che prevedeva il completamento delle conquiste lungo l'intero bacino del Mediterraneo e in Europa, con lo spostamento dei confini più a nord lungo il Danubio e più ad est lungo l'Elba (in sostituzione del Reno).[33]

Le campagne di Augusto furono effettuate con il fine di consolidare le conquiste disorganiche dell'età repubblicana, le quali rendevano indispensabili numerose annessioni di nuovi territori. Mentre l'Oriente poté rimanere più o meno come Antonio e Pompeo lo avevano lasciato, in Europa fra il Reno e il Mar Nero fu necessaria una nuova riorganizzazione territoriale in modo da garantire una stabilità interna e, contemporaneamente, frontiere più difendibili.

Gli storici contemporanei si sono spesso trovati d'accordo nel negare le qualità militari di Augusto, insistendo sul fatto che raramente egli andò personalmente sui campi di battaglia.[34] Ma Aurelio Vittore,[35] ricordando una tradizione antica, diede di questo principe un ritratto più lusinghiero. Egli si dimostrò, invece un abilissimo uomo politico e geniale stratega, forse l'esatto contrario di ciò che fu Annibale: validissimo generale e tattico, ma con una dubbia visione politico-strategica del suo tempo, accecata dall'odio per i Romani.
Sottomissione delle "aree interne"

Prima di tutto, Augusto in persona si dedicò, con l'aiuto di Agrippa, a portare a compimento una volta per tutte la sottomissione di quelle "aree interne" all'impero non ancora conquistate completamente.

La parte nord-ovest della penisola iberica, che ormai creava problemi da decenni, fu condotta sotto il dominio romano, dopo una serie di pesanti campagne militari in Cantabria durate 10 anni (dal 29 al 19 a.C.), l'impiego di numerose legioni (ben sette) insieme ad un numero altrettanto elevato di ausiliari, oltre alla presenza dello stesso Ottaviano sul teatro delle operazioni (nel 26 e 25 a.C.). La vicina Aquitania fu, intanto, percorsa dalle truppe di Marco Valerio Messalla Corvino che vi riportava l'ordine turbato dagli indigeni nel 28 a.C.

La conquista dell'arco alpino, per dare maggior sicurezza interna ai valichi e alle relazioni fra Gallia e Italia: nel 26-25 a.C. furono sottomessi i Salassi con la fondazione di Augusta Praetoria (Aosta); nel 23 Tridentium (Trento) fu fortificata; nel 16 furono vinti i Camuni della Val Camonica e le tribù della Val Venosta; nel 14 i Liguri Comati delle Alpi sudoccidentali erano in parte sottoposti ai praefecti civitatum, in parte aggiunti al vicino regno di Cozio, divenuto egli stesso prefetto, anche se solo formalmente. Questi successi furono commemorati con l'erezione del celebre trofeo di La Turbie nella Francia mediterranea.

Ma fu la frontiera dell'Europa continentale che preoccupò Augusto più di ogni altro settore strategico. Essa comprendeva due settori principali: quello danubiano e quello renano.

Frontiera danubiana

Al termine della rivolta dalmato-pannonica del 6-9, tutti i territori dell'area illirica a sud del fiume Drava furono sotto il definitivo controllo romano.

Publio Silio Nerva, governatore dell'Illirico, tra il 17 e il 16 a.C., riuscì a portare a termine la conquista dell'fronte alpino orientale, oltre al Norico meridionale, ottenendo una forma di vassallaggio da parte del regno del Norico settentrionale (popolazione dei Taurisci). I figliastri di Augusto, Druso e Tiberio, nel 15 a.C., sottomisero la Rezia, Vindelicia e Vallis Poenina, con un'operazione "a tenaglia", il primo proveniente dal Brennero e il secondo dalla Gallia.

Dal 29 al 19 a.C. si procedette ad azioni combinate insieme ai re "clienti" traci, contro le popolazioni pannoniche, mesie, sarmatiche, getiche e bastarne fino ai confini macedoni. Il primo ad intraprendere campagne nell'area balcanica fu il proconsole di Macedonia, Marco Licinio Crasso, in quale batté ripetutamente le popolazioni di Mesi, Triballi, Geti e Daci (nel 29 e 28 a.C.). Attorno al 16-15 a.C. i Bessi vennero ricacciati dalla frontiera macedone, mentre le colonie greche tra le bocche del Danubio e del Tyras chiesero la protezione di Roma; dal 14 al 9 a.C. i legati di Dalmazia e Macedonia, sotto l'alto comando prima di Agrippa e poi di Tiberio, domarono Scordisci (sottomessi da Tiberio nel 12 a.C.[36]), Dalmati e Pannoni e respinsero le scorrerie di Bastarni, Sarmati e Daci d'oltre Danubio, mentre Pannonia e Dalmazia furono finalmente condotte sotto il dominio romano. I Traci, da poco ribellatisi, furono pesantemente sconfitti dal proconsole di Galazia e Panfilia, il consolare Lucio Calpurnio Pisone, in tre feroci campagne (12-10 a.C.), al termine delle quali era loro imposto un protettorato, da parte di Roma, sia sul regno di Tracia, sia su quello di Crimea e del Ponto. Dopo un quindicennio di relativa tranquillità, nel 6, il settore danubiano tornò ad essere agitato. I Dalmati si ribellarono, e con loro anche i Breuci di Pannonia, mentre Daci e Sarmati compirono scorrerie in Mesia. Fu necessario sospendere ogni nuovo tentativo di conquista a nord del Danubio, per sopprimere questa rivolta durata per ben tre anni, dal 6 al 9. Tiberio, in questo modo, fissò definitivamente il confine dell'area illirica al fiume Drava.

Frontiera renana

Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano)[37] e nel 29 a.C. i Suebi, mentre nel 17 a.C. i Sigambri, insieme a Usipeti e Tencteri (clades lolliana).[38] Augusto ritenne fosse giunto il momento di annettere la Germania, come aveva fatto suo padre Gaio Giulio Cesare con la Gallia. Desiderava portare i confini dell'Impero romano più ad est, dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era di ordine prettamente strategico, più che di natura economico-commerciale. Si trattava infatti di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste ma il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero. Contemporaneamente si dovette operare anche sul fronte danubiano nell'area illirica per completare questo progetto. Dopo la morte di Agrippa, il comando delle operazioni fu diviso tra i due figliastri dell'imperatore, Tiberio e Druso maggiore. Toccò a quest'ultimo il gravoso compito di operare in Germania. Le campagne che si susseguirono furono numerose, discontinue, e durarono per circa un ventennio dal 12 a.C. al 6 portando alla costituzione della nuova provincia di Germania con l'insediamento di numerose fortezze legionarie (ad Haltern, l'antica Aliso sede amministrativa provinciale, Oberaden e Anreppen lungo il fiume Lippe; oltre a Marktbreit sul Meno). Tutti i territori conquistati in questo ventennio furono definitivamente compromessi quando nel 7 Augusto inviò in Germania Publio Quintilio Varo, sprovvisto di doti diplomatiche e militari, oltreché ignaro delle genti e dei luoghi. Nel 9 un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni venne massacrato nella selva di Teutoburgo, portando alla definitiva perdita di tutta la zona tra il Reno e l'Elba.[39]

Frontiera orientale

La presenza di Augusto in Oriente subito dopo la battaglia di Azio, nel 30-29 a.C. e dal 22 al 19 a.C., oltre a quella di Agrippa fra il 23-21 a.C. e ancora tra il 16-13 a.C., dimostrava l'importanza di questo settore strategico. Fu necessario raggiungere un modus vivendi con la Partia, l'unica potenza in grado di creare problemi a Roma in Asia Minore. Per questi motivi la politica di Augusto si differenziò in base a due aree strategiche dell'Oriente antico.

Ad occidente dell'Eufrate, dove Augusto provò ad inglobare alcuni stati vassalli, trasformandoli in province, come la Galizia di Aminta nel 25 a.C., o la Giudea di Erode Archelao nel 6; rafforzò vecchie alleanze con re locali, divenuti "re clienti di Roma", come accadde ad Archelao, re di Cappadocia, ad Asandro re del Bosforo Cimmerio, e a Polemone I re del Ponto,[40] o ai sovrani di Emesa e Iturea.[41]

Ad oriente dell'Eufrate, in Armenia, Partia e Media, Augusto ebbe come obbiettivo quello di ottenere la maggiore ingerenza politica senza intervenire con dispendiose azioni militari. Ottaviano mirò infatti a risolvere il conflitto con i Parti in modo diplomatico, con la restituzione nel 20 a.C., da parte del re parto Fraate IV, delle insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. Augusto avrebbe potuto rivolgersi contro la Partia per vendicare le sconfitte subite da Crasso e da Antonio, al contrario ritenne invece possibile una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine per le reciproche aree di influenza. Di fatto entrambi gli imperi avevano più da perdere da una sconfitta, di quanto potessero realisticamente sperare di guadagnare da una vittoria. Infatti, durante tutto il suo lungo principato, Augusto concentrò i suoi principali sforzi militari in Europa. Il punto cruciale in Oriente era, però, costituito dal regno d'Armenia che, a causa della sua posizione geografica, era da un cinquantennio oggetto di contesa fra Roma e la Partia. Egli mirò a fare dell'Armenia uno stato-cuscinetto romano, con l'insediamento di un re gradito a Roma, e se necessario imposto con la forza delle armi, come avvenne nel 2 d.C. quando, di fronte ad una possibile invasione romana dell'Armenia, Fraate V riconobbe la preminenza romana davanti a Gaio Cesare, mandato in missione da Augusto.[42]

Frontiera africana

La frontiera meridionale africana, per finire, poneva problemi diversi nei suoi settori orientale e occidentale.

Ad oriente, dopo la conquista nel 30 a.C., l'Egitto divenne la prima provincia imperiale, retta da un prefetto di rango equestre, il prefetto d'Egitto, a cui Ottaviano aveva delegato il proprio imperium sul paese, con ben tre legioni di stanza (III Cyrenaica, VI Ferrata e XXII Deiotariana). L'Egitto costituì negli anni seguenti una base di partenza strategica per spedizioni lontane; il primo prefetto, Cornelio Gallo, dovette reprimere un'insurrezione nel sud dell'Egitto, Elio Gallo esplorò l'Arabia Felix, Gaio Petronio si spinse in direzione dell'Etiopia (25-22 a.C.) fino alla sua capitale.

Ad occidente la provincia d'Africa e la Cirenaica conobbero due guerre: fra il 32 e il 20 a.C. contro i Garamanti dell'attuale Libia, mentre fra il 14 a.C. e il 6 d.C. fu la volta dei Nasamoni della Tripolitania, dei Musulami della regione di Theveste, dei Getuli e dei Marmaridi delle coste mediterranee centrali.

Nuovo sistema clientelare

I Romani intuirono che il compito di governare e di civilizzare un gran numero di genti contemporaneamente era pressoché impossibile, e che sarebbe risultato più semplice un piano di annessione graduale, lasciando l'organizzazione provvisoria affidata a principi nati e cresciuti nel paese d'origine. Nacque quindi la figura dei re clienti, la cui funzione era quella di promuovere lo sviluppo politico ed economico dei loro regni, favorendone la civilizzazione e l'economia. Così, quando i regni raggiungevano un livello di sviluppo accettabile, essi potevano essere incorporati come nuove province o parti di esse. Le condizioni di stato vassallo-cliente erano, dunque, di natura transitoria.

Tale disegno politico fu applicato all'Armenia, alla Giudea (fino al 6 d.C.), alla Tracia, alla Mauretania e alla Cappadocia. A questi re clienti fu lasciata piena libertà nell'amministrazione interna, e probabilmente non furono tenuti a pagare tributi regolari, ma dovevano provvedere a fornire truppe alleate al bisogno oltre a concordare preventivamente la loro politica estera con l'imperatore.
Nuovi impulsi culturali del circolo letterario di Mecenate
Il sommo poeta latino Publio Virgilio Marone.

A questo sforzo politico si affiancò l'elaborazione in tutti i campi di una nuova cultura, di impronta classicistica, che fondesse gli elementi tradizionali in nuove forme consone ai tempi. In campo letterario la rielaborazione del mito delle origini di Roma e la prefigurazione di una nuova età dell'oro trovarono voce in Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio e Properzio, all'interno del circolo dei letterati raccolto attorno a Mecenate.

L'età di Augusto è considerata uno fra i più importanti e fiorenti periodi della storia della letteratura mondiale per numero di ingegni letterari, dove i principi programmatici e politici di Augusto erano appoggiati dalle stesse aspirazioni degli uomini di cultura del tempo. Del resto la politica a favore del primato dell'Italia sulle province, la rivalutazione delle antiche tradizioni, accanto a temi come la santità della famiglia, dei costumi, il ritorno alla terra e la missione pacificatrice e aggregante di Roma nei confronti degli altri popoli conquistati, furono temi cari anche ai letterati di quell'epoca[43].

Lo stesso Augusto fu un letterato dalle molteplici capacità: scrisse in prosa e in versi, dalle tragedie agli epigrammi[44] fino alle opere storiche. Di lui ci rimane il resoconto della sua ascesa al potere (Res Gestae Divi Augusti), dove viene messo in evidenza il suo rifiuto di contrastare le regole tradizionali dello stato repubblicano e di assumere poteri arbitrari in modo illegittimo.
Politica sociale e opere pubbliche

Sotto il suo governo vennero spese ingenti somme di denaro per fornire Roma di riserve di grano, acqua e di corpi di polizia,[9] e per l'erezione o il restauro di pubblici edifici. Venne inoltre incrementato il numero dei patrizi e fu ordinato un censimento della popolazione, da cui risultò che gli abitanti di Roma sfioravano 1.000.000. Narrando dei propri donativi, si asserisce che le elargizioni erano sempre dirette a più di 250.000 persone e come in quattro occasioni avesse aiutato la tesoreria pubblica.

Augusto ritenne necessario assumere precisi provvedimenti per frenare il diffondersi del celibato e incoraggiare la natalità, emanando la lex Julia de maritandis ordinibus del 18 a.C. e la lex Papia Poppea del 9 d.C. (quest'ultima a completamento della prima) che in sintesi prevedevano la rimozione di tutte quelle restrizioni non necessarie che potessero limitare i matrimoni, l'uso del diritto di successione per favorire il matrimonio e la paternità, l'impulso dato alla natalità rivolto alle classi più abbienti, offrendo ai padri di famiglie numerose, privilegi nella vita pubblica.[45].

Numerosi furono infine gli edifici, le opere pubbliche e i monumenti celebrativi costruiti o restaurati durante il suo principato:

    la ristrutturazione della Curia (sede del senato) e del Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio;
    la costruzione di un nuovo foro accanto a quello di Gaio Giulio Cesare (il Foro di Augusto), numerosi nuovi templi (come quelli dedicati ad Apollo e al padre adottivo, il Divo Giulio, oltre al Pantheon costruito tra il 27-25 a.C.), al Teatro di Marcello (terminato nell'11 a.C.), alle Terme di Agrippa agli acquedotti Aqua Julia (costruito da Marco Vipsanio Agrippa nel 33 a.C.), Aqua Virgo (del 19 a.C.) e Aqua Alsietina (del 2 a.C.), ad un nuovo ponte sul Tevere fatto costruire da Agrippa;
    la ricostruzione della Basilica Giulia nel 12 d.C., ora ampliata dopo un incendio;
    il permesso di costruire il primo anfiteatro in pietra a Statilio Tauro oltre al Teatro di Balbo;
    i monumenti celebrativi come l'Ara Pacis (a fianco dell'immensa meridiana del campo Marzio), un Arco trionfale nel Foro romano, i rostri apposti nel Foro romano dopo la vittoria su Marco Antonio nella battaglia di Azio, un Mausoleo, due enormi obelischi egiziani;
    il tempio di Giove Tonante sul Campidoglio;
    altri numerosissimi monumenti in tutte le province imperiali a partire dal vicino porto di Roma, Ostia.[46]

Oltre a ciò, onde evitare i danni dei frequenti incendi, Augusto intervenne riducendo l'altezza delle nuove costruzioni, proibendo di edificare lungo le vie pubbliche ad un'altezza superiore ai 70 piedi.[9]
Il problema della successione

La successione, che toccò a Tiberio alla fine del suo principato, fu una delle più grandi preoccupazioni della vita di Augusto. Ottaviano, che aveva sposato nel 42 a.C. Clodia Pulcra (figliastra di Antonio), ripudiata l'anno successivo (41 a.C.), sposò prima Scribonia e, poco dopo, si innamorò di Livia Drusilla (appartenente ad una delle più illustri famiglie patrizie romane), moglie di un certo Tiberio Claudio Nerone. Dopo la vittoria di Perugia (40 a.C.), Ottaviano riuscì ad imporre loro il divorzio, mentre Livia era ancora gravida del secondogenito, Druso, e la sposò (fine del 39 a.C.), portando nella sua nuova casa sia la figlia, Giulia, avuta da Scribonia, sia il primogenito di Livia, Tiberio.

Per alcuni anni Augusto sperò di avere come erede il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, al quale, nel 25 a.C., diede in moglie la figlia, Giulia,[47] suscitando, però, il malumore di Agrippa, che per questo motivo fu allontanato da Roma. Due anni più tardi Marcello moriva (23 a.C.) e Ottaviano fu costretto a richiamare Agrippa, costringendolo a divorziare da Claudia Marcella maggiore (figlia anch'ella della sorella Ottavia), per dargli in moglie la giovanissima Giulia, ormai vedova di Marcello da 2 anni.[48]

Agrippa apparì, così, suo successore designato in caso di morte prematura, facendo ormai parte della famiglia Giulia. Nel 18 a.C., infatti, ad Agrippa fu conferito l'imperium proconsulare maius (come quello di Augusto) per cinque anni, e la tribunicia potestas, per quanto egli non avesse gli stessi poteri di Augusto né la sua auctoritas.

Nel 20 a.C. Giulia diede al marito un primo figlio, Gaio,[49] e un secondo nel 17 a.C., Lucio, entrambi adottati da Augusto.[50]

In quegli anni, intanto, andavano distinguendosi i due figli di Livia, Tiberio, e Druso[51], quest'ultimo si dice fosse preferito da Augusto perché figlio naturale del princeps come suggerisce Svetonio:
« ...vi fu anche chi sospettò che Druso fosse figlio adulterino del patrigno, Augusto. Poco dopo venne infatti divulgato un verso: "La gente fortunata riesce ad avere dei figli in tre mesi". [...] Augusto amò immensamente Druso da vivo, tanto da nominarlo sempre coerede insieme ai suoi figli... e da morto lo lodò in pubblico... al punto di pregare gli Dei affinché i due Cesari fossero simili a lui.. »
(Svetonio, De vita Caesarum, Claudius, 1.)

Con la morte di Agrippa, nel 12 a.C., e poi quella prematura di Druso in Germania nel 9 a.C., la successione sarebbe ricaduta sui due figli di Giulia e di Agrippa, Gaio Cesare e Lucio Cesare, mentre Tiberio, fu costretto da Augusto a separarsi dalla moglie Vipsania, per sposare la figlia dell'imperatore, Giulia, vedova di Agrippa. In caso di morte prematura del princeps, Tiberio doveva prenderne il posto fino a quando i giovani Gaio e Lucio non fossero cresciuti.

Questo matrimonio si rivelò infelice e costituì la causa non ultima del volontario esilio di Tiberio a Rodi (dal 6 a.C. al 2 d.C.), tanto più che Augusto vedeva nei due figli adottivi i futuri eredi. Ma la sorte fu favorevole a Tiberio. Giulia, la cui condotta formava argomento di pubblico scandalo, fu allontanata dal padre da Roma (2 a.C.)[52], e pochi anni dopo i due Cesari morivano: Lucio nel 2 d.C. a Marsiglia, mentre si apprestava a raggiungere la Spagna, e Gaio nel 4, per i postumi di una ferita mai guarita, mentre si apprestava a tornare a Roma dall'Oriente.[53] Ad Augusto non restava che Tiberio.

Il 26 giugno del 4 Augusto annunciò la sua decisione: adottava Agrippa Postumo, l'ultimo figlio ancora in vita di Agrippa e Giulia, e Tiberio. Benché quest'ultimo avesse già un figlio, Druso minore, Augusto lo costrinse ad adottare il nipote prediletto, Germanico Giulio Cesare (figlio del fratello di Tiberio, Druso, morto in Germania nel 9 a.C., e di Antonia minore, figlia di Ottavia minore e Marco Antonio).[54] Germanico era di un solo anno più vecchio rispetto al figlio di Tiberio, perciò aveva precedenza nella successione.[55] Tiberio diventò così il nuovo imperatore di Roma alla morte di Augusto nel 14, dando origine alla dinastia giulio-claudia.

Augusto ricevette onori divini e le sue ceneri furono deposte nel mausoleo a lui dedicato, che ricevette anche quelle dei suoi successori della dinastia giulio-claudia. Secondo l'opera di Svetonio (in Le vite dei Cesari, II, 97-99), le sue ultime parole furono «Acta est fabula. Plaudite!» («La commedia è finita. Applaudite!»), un finale proprio delle commedie di teatro di Roma antica.

Res Gestae Divi Augusti

Il testo dell'opera ci è giunto trascritto in un'iscrizione sia in latino che nella traduzione greca, rinvenuta nel 1555. Era incisa sulle pareti del tempio, dedicato a Roma e ad Augusto, situato ad Ancyra (l'odierna Ankara, la capitale della Turchia) e pertanto è stata denominata Monumentum Ancyranum. Secondo il volere di Augusto, il testo era stato inciso originariamente su tavole di bronzo, collocate all'ingresso del suo Mausoleo. Altre copie, molte delle quali sono giunte frammentarie, dovevano essere incise sulle pareti dei templi a lui dedicati.

In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano per i servizi da lui resi; le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo stato, ai veterani di guerra e alla plebe; i giochi e le rappresentazioni dati a sue spese; infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra.

Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure quello di qualche membro della sua famiglia, ad eccezione dei successori designati: Agrippa, Gaio e Lucio Cesari e Tiberio.


Note

    1 Svetonio, De vita Caesarum (Vite dei Cesari), Augustus, 5.
    2 Tale epigrafe fa parte del periodo del secondo triumvirato. Testo per esteso dell'epigrafe: Caius Iulius Caesar Octavianus, Gaii filius, triumvir; in italiano Caio Giulio Cesare Ottaviano, figlio di Gaio, triumviro.
    3 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIII, 16, 8.
    4 In italiano Imperatore Cesare, figlio del Divo (Giulio), Augusto.
    5 Cassio Dione Cocceiano Storia romana, LIII, 32, 5-6.
    6 Svetonio (Vite dei Cesari, Augustus, 8) riferisce che Ottaviano rimarrà padrone assoluto di Roma per 44 anni, dalla morte di Marco Antonio avvenuta in Egitto nel 30 a.C.
    7 Santo Mazzarino, L'impero romano, Roma-Bari 1976, p. 73 segg.; Chris Scarre (Chronicle of the roman emperors, Londra 1995, p. 17) riporta il numero degli anni in cui gli fu conferita la tribunicia potestas (dal 23 a.C.), data ufficiale in cui ottenne il potere tribunizio a vita dal Senato, con auctoritas superiore a qualsiasi altra magistratura e base costituzionale del potere imperiale.
    8 Simpatico il giudizio che ne dà Giorgio Ruffolo: «Di solito, dopo Augusto, gli imperatori hanno compiuto la loro metamorfosi nel senso più ovvio della patologia del potere: dalla normale virtù alla follia criminale. Lui la percorse a ritroso: da gangster a padre della patria. Da questa canaglia sbocciò infatti il fondatore di uno dei più gloriosi regimi della storia» (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 73).
    9 a b c d Strabone, Geografia, V, 3,7.
    10 Augusto fu infatti capace di circondarsi di validi generali come: l'amico e genero Marco Vipsanio Agrippa, i figliastri Tiberio e Druso, e un alto numero di altri aristocratici come Gaio Senzio Saturnino, Marco Vinicio, Lucio Domizio Enobarbo, Lucio Calpurnio Pisone, Marco Valerio Messalla Messallino Marco Plauzio Silvano, Aulo Cecina Severo, Gaio Vibio Postumo, Marco Emilio Lepido, Tito Publio Carisio, Sesto Appuleio, Publio Silio Nerva, Antistio Vetere, Gneo Cornelio Lentulo l'Augure, Sesto Elio Catone, ecc..
    11 Svetonio, Augustus 3; C. 98
    12 a b c d e f Colin M. Wells, L'impero romano. Bologna, Il Mulino, 1995.
    13 Svetonio, Vite dei Cesari, Augustus, 8
    14 Mario Attilio Levi, Augusto e il suo tempo, Milano 1994, p. 143 e s.
    15 Velleio, Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo, 11, 70
    16 Francois Chamoux, 'Marco Antonio, Milano 1988, p. 254 e s.
    17 Santo Mazzarino, L'impero romano, vol. I, Roma-Bari 1976, p. 66-67.
    18 G. Geraci, Genesi della provincia romana d'Egitto, Bologna 1982; T. Cornell e J. Matthews, Atlante del Mondo Romano, Novara 1984, pp. 72-73; H. H. Scullard, Storia del mondo romano, vol. II, Milano 1992, XI, p. 257 (nella sola Italia furono fondate 28 nuove colonie).
    19 Santo Mazzarino, L'impero romano, Bari 1976, vol. I, p. 68 e s.; R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 2002, pp. 313-458.
    20 Cornelio Tacito, Annales, III, 56.
    21 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 10, 5; Cornelio Tacito, Annales, XII, 41, 1.
    22 "L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 50 e s.
    23 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIII, 32, 5-6; R. Syme, L'aristocrazia augustea, Milano 1993, p. 107 e s.
    24 Santo Mazzarino, L'impero romano, Bari 1976, p. 78; H.H. Scullard, Storia del mondo romano, II, Milano 1992, p. 264; "L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 30
    25 Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p.75.
    26 Rispetto alle altre Province fu soprattutto l'Italia ad essere privilegiata da Augusto, che vi costruì una fitta rete stradale ed abbellì le città dotandole di numerose strutture pubbliche (fori, templi, anfiteatri, teatri, terme...). L'economia italica era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita, che permise l'esportazione dei beni verso le province. L'incremento demografico fu rilevato da Augusto tramite tre censimenti: i cittadini maschi furono 4.063.000 nel 28 a.C., 4.233.000 nel 8 a.C. e 4.937.000 nel 14 d.C. Se si considerano anche le donne e i bambini la popolazione totale nell'italia del I secolo d.C. può essere stimata sui 10 milioni di abitanti circa.
    27 "L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 77 e s.; Yann Le Bohec, L'esercito romano, Roma, 1992, p. 28.
    28 "L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 74 e s.
    29 Santo Mazzarino, L'Impero romano, Bari 1976, p. 91 e s.; "L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 66 e s.
    30 Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 74.
    31 Giorgio Ruffolo,Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, pp. 24-25.
    32 Yann Le Bohec, L'esercito romano, Roma 1992, p. 33 e s.
    33 R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p. 104-105; A. Liberati – E. Silverio, Organizzazione militare: esercito, Museo della civiltà romana, vol. 5; R. Syme, "Some notes on the legions under Augustus", XXIII (1933), in Journal of Roman Studies, pp. 21-25.
    34 A. Piganiol, Histoire de Rome, 1962, p.225; P. Petit, Histoire générale de l'Empire romain, 1974, p.32.
    35 Aurelio Vittore, De Caesaribus, I, 1.
    36 Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 39, 3. Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 31, 3. Andràs Mocsy, Pannonia and Upper Moesia, p. 25. R. Syme, in Danubian Papers, Augustus and the south slav lands, 1971, p. 21; Lentulus and the origin of Moesia, p. 44.
    37 Strabone, Geografia IV, 3, 4 (Gallia).
    38 Con riferimento all'episodio del 17 a.C. confronta: Floro, Epitome di storia romana, II, 30, 23-25. Dione, Storia romana, LIV, 20. Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 97. Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 23. Tacito, Annales, I, 10.
    39 C. M. Wells, The german policy of Augustus, Oxford 1972, ISBN 978-0-19-813162-5.
    40 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIII, 25; LIV, 24.
    41 Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche XV, 10.
    42 D. Kennedy, Il mondo di Roma imperiale: la formazione, a cura di J. Wacher, Parte IV: Le frontiere, L'Oriente, Bari 1989.
    43 Luciano Perelli, Storia della letteratura latina, Torino 1979, pp. 175-177.
    44 Marziale ne attesta uno in Epigrammaton libri, XI, 20, vv. 3-8.
   45"L'impero romano da Augusto agli Antonini", vol. VIII della Cambridge Ancient History, Milano 1975, p. 66 e s.
    46 Leonardo B.Dal Maso, Roma dei Cesari, Roma 1977.
    47 Cassio Dione, Storia romana, LIII,27,5; Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 63,1; R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p. 64. Per gli onori concessi a Marcello vedi: Cassio Dione, Storia romana, LIII, 28,3-4; R. Syme, La rivoluzione romana, Torino, 1962, pp. 342-343.
    48 Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 63,1.
    49 Cassio Dione, Storia romana, LIV,8,5.
    50 Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 63,1; Cassio Dione, Storia romana, LIV,18,1; R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p. 129-130.
    51 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV,33,5; 34,3.
    52 Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 65; Cassio Dione, Storia romana, LV, 10,12-16.
    53 Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 65,1; Tiberio, 15,2; Cassio Dione, Storia romana, LV,10a,6-10; Velleio Patercolo, Storia di Roma,II, 102,3-4; R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, pp.145-146. Tiberio tornò dall'esilio poco prima della morte di Lucio, nel 2; vedi Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio,14,1; 15,1; 70,2; Cassio Dione, Storia romana, LV,10a,10; Velleio Patercolo, Storia di Roma,II, 103,1-3.
    54 Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 65,1; Tiberio, 15,2; Velleio Patercolo, Storia di Roma,II, 102,3-103,2; R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p. 146.
    55 R. Syme, L'Aristocrazia Augustea, Milano 1993, p. 146.
    56 a b c Res Gestae Divi Augusti, 4.
    57 AE 2001, 1012; CIL XI, 367; CIL II, 4712 (p XLVIII, 992); CIL III, 10768 (p 2328,26).
    58 a b c d e f Fasti triumphales.
    59 Ottaviano trionfò su Sesto Pompeo a battaglia di Nauloco nel 36 a.C..
    60 Ottaviano si meritò la 3° salutatio imperatoria per i successi conseguiti in Illirico: Svetonio, Augusto, 22.
    61 Ottaviano ottenne una nuova salutatio imperatoria per la vittoria di Azio: Svetonio, Augusto, 22.
    62 Ottaviano nel 29 a.C. celebrò un triplice trionfo: per la Dalmazia, Azio e la conquista dell'Egitto (Svetonio, Augusto, 22).
    63 CIL VI, 40306 databile a dopo il 23 a.C..
    64 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 8, 1. Velleio Patercolo Storia di Roma, II, 91. Tito Livio, Ab Urbe condita, Epitome, 141. Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 21; Tiberius, 9. RIC Augustus, I, 510; Sutherland Group VIIa; RSC 298; RPC I 2218; BMCRE 703 = BMCRR East 310; BN 982-3 and 985; CNR 809/2.
    65 RIC Augustus I 367 (databile al 16 a.C.); RSC 348; BMCRE 99 = BMCRR Rome 4490; BN 368-71.
    66 CIL III, 3117 databile al 10 a.C. per imperator XII.
    67 CIL V, 3325. AE 1954, 88. AE 1981, 547 = AE 1984, 584. AE 1984, 583; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIV, 31.4; R.Syme, L'Aristocrazia augustea, p.106.
    68 AE 1951, 205; CIL II, 4917; CIL II, 4923; AE 1959, 28; AE 1967, 185; AE 1973, 323 databile al 6 a.C.; AE 1980, 610; AE 1987, 735; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LV, 6.4-5.
    69 AE 1997, 1495. AE 1997, 1496. CIL II, 4776. CIL II, 4868. CIL II, 6215.
    70 Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LV, 10a.5-7.
    71 a b Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LVI, 17.
    72 Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio, 17.
    73 CIL XI, 367. Miliari Hispanico 1.
    74 AE 2001, 1012; Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo, II, 122, 2.