Filippo Naldi

 

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Filippo Naldi (Borgo San Donnino, 1886 – Roma, 1972) è stato un giornalista, politico e imprenditore italiano.

Nato a Borgo San Donnino, ora Fidenza, laureatosi alla facoltà di giursiprudenza dell'Università di Bologna il 3 luglio 1917, discutendo una tesi su "La teoria delle proporzioni definite nell'economia"[1], incominciò ben presto l'attività di giornalista, collaborando da Ravenna a La Gazzetta di Venezia, Il Regno e La Libertà, fu il direttore de Il Rinnovamento, fu redattore capo de L'Alto Adige di Trento, diresse La Patria di Bologna; inoltre, dal gennaio 1914 al marzo 1918, fu direttore de Il Resto del Carlino insieme al bussetano Lino Carrara; e nel 1917, infine, fondò il quotidiano Il Tempo. Nel 1920 prestò la sua esperienza di "consulente per la parte politica" nell'entourage degli Stabilimenti Poligrafici Riuniti, la società editrice de Il Resto del Carlino, che aveva diretto sino a due anni prima. Poi, nel 1923, partecipò alla redattura del Corriere Italiano di Roma.

Il Popolo d'Italia

Il contributo più significativo che Filippo Naldi lasciò in termini di giornalismo e, successivamente, a livello politico e sociale fu la fondazione de Il Popolo d'Italia, quotidiano diretto da Benito Mussolini. Il giornale vide la luce, senza poche polemiche, il 15 novembre 1914, ma già dall'aprile 1914 - ufficiosamente - in occasione di un'intervista rilasciata a Il Resto del Carlino, Mussolini gettò le basi, insieme a Gaetano Serrani e Filippo Naldi, per la creazione di un quotidiano interventista. La grande amicizia tra Mussolini e Filippo Naldi, che si espresse pubblicamente più volte persino in sede al quotidiano socialista L'Avanti! (della quale redazione Filippo Naldi fu un assiduo frequentatore), trovò opposizione tra esponenti del partito socialista (una su tutte, l'allora amante di Mussolini, Angelica Balabanoff); ciononostante, essa si tramutò in una collaborazione giornalistica eclatante e di grande eco, tale che fece ottenere, proprio a Il Popolo d'Italia, risultati di vendita insperati.

L'opposizione al "modello Naldi"

Critiche piuttosto accese furono mosse da ex-socialisti, direttori di altri quotidiani e politici anti-giolittiani, per via di ingenti capitali utilizzati proprio dal binomio Filippo Naldi-Mussolini per redigere la pubblicazione. Al progetto di finanziamento del quotidiano contribuirono, con laute somme, socialisti e radicali francesi (nelle persone di Joseph Caillaux, Bolo Pascià, Jules Guesde, Marcel Cachin), personalità inglesi (su tutti Sir Samuel Hoare e Lord Northcliffe), finanzieri russi, magnati svizzeri e tedeschi, oltreché tutto l'apparato industriale italiano, composto dalla famiglia Agnelli, da entrambi i fratelli Perrone (proprietari di Ansaldo), l'industria petrolifera, gli industriali zuccherieri italiani, gli agrari emiliani, il Ministro degli Esteri italiano Antonino Paternò Castello e la Banca Italiana di Sconto.. Le sovvenzioni all'Associazione Nazionale Arditi d'Italia [modifica] Se, all'inizio, l'attivita del direttore fu concentrata quasi solo sul giornalismo di redazione, parallelamente assunse contorni sempre più attivi, come dimostra il lauto contributo fornito di prima persona all'Associazione Nazionale Arditi d'Italia, i reduci combattenti della grande guerra, ai quali Naldi, nel 1920, consentì la stampa del periodico Le Fiamme, utilizzando la tipografia con la quale egli redigeva Il Tempo e nella quale, abitualmente, si radunava in riunione proprio la ANAI, che caratterizzava la legione violenta del sistema nazionalfascista incombente

L'attivismo politico

Fu proprio in occasione di quella stagione di terrore a cavallo tra il 1919 e il 1922 che Filippo Naldi si occupò di tessere la trama per l'avvento del fascismo in Italia. Fu artefice, insieme a Peppino Garibaldi, il nipote di Giuseppe, di un blitz per destituire Gabriele D'Annunzio, che occupava Zara dal 1919, senza però ottenere successo alcuno. La spinta dominatrice che caratterizzava la destra fu incentivata, nel post blitz, dall'intuizione di Naldi di sfruttare le gesta di D'Annunzio per plasmare, insieme a Giolitti e tutta la destra moderata, un nuovo concetto di politica nazionale, che sfociò, in occasione delle elezioni del 1921, nell'istituzione dei Blocchi Nazionali, voluti fortemente dall'ex Presidente del Consiglio per sostenere la politica mussoliniana.

Il delitto Matteotti

In difficoltà giudiziarie, nel 1924 emigrò in Francia, perché inquisito per la bancarotta del Banco Adriatico di Cambio e imputato per favoreggiamento nell'episodio che vide il presunto mandante dell'omicidio Matteotti, il giornalista Filippo Filippelli, tentare la fuga all'estero. La fuga del giornalista e l'arresto di Naldi [modifica] Fu Filippo Filippelli, collaboratore di Naldi, a fornire ai banditi l'autovettura con la quale fuggirono rapidamente dal luogo dell'omicidio dell'esponente socialista. Riconosciuta l'identità del proprietario, fu emesso una mandato di cattura a suo danno e su tutti i quotidiani italiani fu pubblicata la sua foto segnaletica. Il 15 giugno 1924, subito dopo l'avviso, Naldi ospitò temporaneamente Filippelli nel suo castello di residenza, posto in un paesino sulle colline piacentine: Vigoleno. Il suo comprensibile stato di agitazione lo indusse al trasferimento in un luogo distante da occhi indiscreti. Braccato dalla polizia e riconosciuto poche ore prima nel capoluogo di provincia da alcune persone, Filippelli, insieme a Galassi, un giornalista del Corriere Italiano e Naldi, decisero di raggiungere l'albergo Aquila Romana di Borgo San Donnino, dal quale fuggirono in maniera rocambolesca, braccati da un commissario di polizia. Tale fuga ebbe una eco improvvisa in tutta Italia. Il giornalismo il giorno successivo, indignato e stupito, criticò la polizia di De Bono, irridendola senza mezzi termini. Filippo Naldi si rifugiò a Bologna, mentre Galassi e Filippelli, arrivati a Nervi, tentarono la fuga in Francia, affittando un motoscafo. A poca distanza dalla riva la polizia li catturò e li imprigionò. La sera di lunedì 16 giugno, accusato di favoreggiamento, Naldi fu a sua volta arrestato a Roma e, successivamente, prosciolto per amnistia.

Gli anni francesi

Il suo espatrio in terra francese lo vide protagonista in qualità di agente/imprenditore. Potente intermediario del governo italiano per la gestione di affari di tipo petrolifero e già nell'occhio del ciclone per questioni di trust relative al controllo delle statunitensi Standard Oil e Sinclair Oil, mirante al controllo totale di affari legati alla gestione dei giacimenti petroliferi in Italia, ebbe perciò la possibilità di gestire così affari personali, anche in base al suo legame forte con le industrie petrolifere italiane, da sempre tra i suoi principali sponsors[6]. Il ritorno in Italia [modifica] L'Italia lo accolse di nuovo nel 1938. Insediatosi stabilmente a Roma, in pieno fascismo (nonostante la moglie fosse un'ebrea russa), nel 1943 ricomparve a Brindisi, a fianco di Pietro Badoglio e Vittorio Emanuele III, come ufficiale, amico dell'Inghilterra di Churchill, nel cosiddetto Regno del Sud. Famiglia [modifica] Sposatosi nel 1907 a Cornuda (TV) con la traduttrice Raisa Grigor´evna Ol´kenickaja, conosciuta alla facoltà di Giurisprudenza e sua compagna di corso, ebbe da lei 3 figli: Gregorio, Giovanna e Elisabetta.

La sua ideologia

Cominciò da Liberale come sostenitore di Giovanni Borelli. Successivamente fu adepto di Giovanni Giolitti, fino all'istituzione dei Blocchi Nazionali della destra moderata, ai quali aderì nel 1921. Al suo ritorno in Italia il fascismo di Mussolini inglobò la sua abilità strategica, trasformatasi in adesione alla linea di Pietro Badoglio dopo l'armistizio del 1943.