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Gaetano Mosca
Elementi di scienza politica
TITOLO: Elementi di scienza politica
AUTORE: Mosca, Gaetano
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE:
CODICE ISBN E-BOOK:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
http://www.liberliber.it/libri/licenze/
TRATTO DA: Elementi di scienza politica / Gaetano Mosca; 2. ed. con
una seconda parte inedita. - Torino : F.lli Bocca, 1923. – IX. 514
p.; 24 cm.
CODICE ISBN FONTE: non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 aprile 2012
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
DIGITALIZZAZIONE:
Paolo Alberti, paoloalberti@iol.it
REVISIONE:
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Indice generale
PREFAZIONE 8
PARTE PRIMA 11
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
12
CAPITOLO II.
La classe politica. 85
CAPITOLO III
Nozioni preliminari. 114
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo
sociale. 140
CAPITOLO V.
La difesa giuridica. 163
CAPITOLO VI.
Polemiche. 211
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
248
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni. 300
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali. 333
CAPITOLO X.
Conclusione. 363
PARTE SECONDA 488
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione. 489
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica. 504
CAPITOLO III. 536
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
585
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche. 639
CAPITOLO VI.
Conclusione. 691
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
CITATI NEL VOLUME
736
INDICE 746
Gaetano Mosca
PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO COSTITUZIONALE
NELL'UNIVERSITÀ DI TORINO
SENATORE DEL REGNO
ELEMENTI
DI
SCIENZA POLITICA
Seconda edizione con una seconda parte inedita.
Dilexi justitiam, quaesivi veritatem.
TORINO
FRATELLI BOCCA EDITORI
3 - Via Carlo Alberto - 3
1923
ALLA DOLCE E CARA MEMORIA
DI MIA FIGLIA GRAZIELLA
DEDICO QUESTE
PAGINE
ALLE QUALI HO CONSACRATO
LE ORE MIGLIORI DELLA MIA VITA
PREFAZIONE
Il volume che ora viene alla luce consta di due parti: la prima
è la seconda edizione degli Elementi di Scienza politica, che
furono pubblicati alla fine del 1895; la seconda è
completamente nuova e fu pensata e scritta negli ultimi due o tre
anni.
Essendo infatti da un pezzo esaurita la prima edizione del lavoro
sulla Scienza politica, pubblicato quasi trenta anni fa, diventava
necessario farne una nuova; ma intanto erano mutati i tempi, nuovi
avvenimenti erano maturati ed essi mi fornivano nuovi dati dei quali
dovevo tener conto, anche perchè modificavano sensibilmente
alcuni dei modi di vedere ai quali mi ero conformato quando scrivevo
la prima parte del lavoro. Nè devo nascondere al lettore che
a ciò hanno contribuito quelle variazioni che avvengono nel
carattere e nella mentalità di qualunque uomo, finchè
l'uno e l'altra, con l'età molto avanzata, non si
cristallizzano in una forma definitiva.
Date queste mie condizioni intellettuali e morali, o dovevo rifare
la prima parte dell'opera o dovevo scriverne un'altra, che
perfettamente corrispondesse alla mia odierna maniera di pensare. Ho
scelto quest'ultima soluzione, aggiungendo alla prima parte del
lavoro solo le poche note che sono segnate con un asterisco, anche
perchè tenevo a mantenere integra l'interpretazione che molti
anni fa avevo dato ad alcuni importanti problemi politici,
interpretazione che fatti recentissimi hanno oggi confermato.
Ma, tanto nella prima che nella seconda parte del presente lavoro,
mi sono sforzato di mantenermi fedele al metodo che, fin da quando
ancora giovanissimo scrivevo la Teorica dei governi, ho adottato e
che poi ho cercato sempre di praticare apportandovi tutti i
miglioramenti di cui ero capace. Da moltissimi anni sono convinto
che l'unico sistema possibile col quale l'uomo può fino ad un
certo punto dominare le proprie passioni e migliorare le proprie
sorti consiste nello studio della psicologia umana individuale e
collettiva. Fin da un'epoca molto remota la saggezza ellenica avea
giudicato che la maniera più efficace che avea l'uomo per
elevare il proprio carattere e moderare gli effetti di alcuni suoi
istinti consistesse nella conoscenza di se stesso. È quindi
spiegabile se ho creduto e credo fermamente che un simile metodo
possa applicarsi con uguali risultati allo studio della psicologia
collettiva. Esso anzi fu già ad essa applicato più di
ventidue secoli fa, nell'epoca cioè nella quale il grande
Aristotile scriveva la sua Politica, e ben altri risultati potrebbe
dare oggi quando, mercè il progresso degli studi storici,
geografici e statistici, conosciamo tanta parte del passato e del
presente dell'umanità. Aggiungerò che l'esempio
dell'Economia politica la quale, studiando collo stesso sistema i
fenomeni economici, ha potuto sicuramente mettere in evidenza alcune
delle leggi che li regolano, mi ha oltremodo confortato a persistere
nella via che da un pezzo avevo scelto.
Naturalmente non mi nascondo le grandi difficoltà che
presenta l'uso del metodo che ho rapidamente accennato, fra le quali
occupa uno dei primi posti la quantità di cognizioni esatte
che esso richiede su tutto quanto è accaduto ed accade nelle
società che hanno una storia; nè io mi lusingo di
averle tutte superate. Quindi posso soltanto affermare che ho fatto
del mio meglio, fiducioso che, se la civiltà umana
saprà superare la procella che oggi la minaccia, la modesta
opera mia potrà essere da altri continuata e perfezionata e
che potranno essere a poco a poco colmate tutte le grandi lacune che
essa oggi presenta.
Dirò, per ultimo, che mi sono sforzato di comprimere tutte
quelle passioni e quei sentimenti che potevano annebbiare la visione
obiettiva dei fatti sui quali dovevo fondare le mie conclusioni.
Riconosco che la completa riuscita di questo sforzo esigerebbe che
l'uomo non fosse più tale, ma credo di aver fatto tutto
ciò che, mercè la buona fede e la buona
volontà, si poteva in questo senso ottenere. Prossimo a
chiudere la mia carriera scientifica, ho fermamente voluto esporre,
senza odi, senza collera, senza entusiasmi, colla serenità
che solo l'età avanzata può dare, tutto quanto lo
studio degli avvenimenti e del carattere umano aveva potuto
insegnarmi.
Torino, dicembre del 1922.
Gaetano Mosca.
PARTE PRIMA
Dilexi justitiam, quaesivi veritatem.
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origini e scopi della scienza politica. — II. Perchè si
è scelta questa denominazione. — III. Il metodo sperimentale
e l'origine delle scienze. — IV. Varie applicazioni di questo metodo
nella scienza politica. — V. Sistema che dà la prevalenza
all'ambiente fisico nello studio della scienza politica. — VI. Della
prevalenza dei popoli del settentrione su quelli del mezzogiorno. —
VII. Continua lo stesso argomento. — VIII. I vari tipi di
organizzazione politica e le diversità di clima. — IX.
Importanza della diversa configurazione del suolo. — X. Sistema che
fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze
umane. — XI. Razze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle
razze. — XIII. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza.
— XIV. Il progresso politico ed il miglioramento fisico delle razze
umane. — XV. Riassunto delle teoriche evoluzioniste. — XVI. Il
metodo storico fondato sulla identità fondamentale delle
tendenze ed attitudini politiche delle grandi razze umane. — XVII.
Nuovi materiali di cui questo metodo dispone. — XVIII. Obiezioni che
ad esso si fanno. — XIX. Condizioni alle quali questo metodo
può essere bene adoperato. — XX. Continuazione dello stesso
argomento e conclusione.
I. — Da molti secoli si è affacciata alla mente dei pensatori
l'ipotesi che i fenomeni sociali, che davanti ad essi si svolgevano,
non fossero meri accidenti, nè la manifestazione di una
volontà soprannaturale ed onnipotente, ma piuttosto l'effetto
di tendenze psicologiche costanti, che determinano l'azione delle
masse umane. Fin da Aristotele si è cercato di scoprire le
leggi e le modalità che regolano l'azione di queste tendenze
e lo studio, che ha avuto questo obietto, si è chiamato
politica.
Nei secoli decimosesto e decimosettimo molti scrittori, in Italia
specialmente, si occuparono di politica1. Però essi, a
cominciare da Machiavelli, che è fra tutti il più
famoso, non si occuparono tanto di determinare quelle tendenze
costanti in tutte le società umane, che abbiamo già
accennato, quanto d'investigare le arti per le quali un uomo od una
classe di persone potevano arrivare a disporre del supremo potere,
in una data società, ed a difendersi contro gli sforzi di
coloro che li volevano surrogare. Si tratta di due cose, che,
sebbene abbiano qualche punto di contatto tra loro, pure sono
sostanzialmente diverse2. Un esempio, che crediamo molto calzante,
dimostra ciò assai meglio di un lungo ragionamento.
L'Economia politica studia le leggi o le tendenze costanti, che
regolano nelle società umane la produzione e la distribuzione
della ricchezza: ma questo studio non equivale in niun modo all'arte
di arricchirsi e di conservare le dovizie. Un valentissimo
economista può infatti essere assolutamente inetto a
costituirsi un patrimonio, ed un banchiere, un industriale, uno
speculatore, sebbene possano ricavare qualche lume dalla conoscenza
delle leggi economiche, non hanno bisogno di esserne maestri e
riescono del resto a fare abbastanza bene i loro affari anche se
completamente le ignorano.
II. — Ai giorni nostri lo studio iniziato da Aristotele si è
suddiviso e specializzato, sicchè più che la scienza
abbiamo le scienze politiche. Inoltre si è cercato di fare la
sintesi, di coordinare i risultati di queste scienze ed è
nata così la Sociologia. Anche gli scrittori di diritto
pubblico, i quali interpretano e commentano le leggi positive, quasi
sempre sono trascinati all'indagine delle tendenze generali alle
quali queste leggi sono inspirate, e gli storici, che narrano gli
avvenimenti umani, dall'esame di questi hanno spessissimo cercato di
dedurre le leggi che li regolano e li determinano. Così
fecero nell'antichità Polibio e Tacito, nel secolo
decimosesto Guicciardini, nel secolo presente Macaulay e Taine.
Filosofi, teologi, giuristi, quanti hanno avuto per fine diretto od
indiretto dei loro lavori il miglioramento della umana
società, ed hanno perciò esaminato le leggi che ne
regolano l'organizzazione, possono essere considerati, almeno da un
lato, come studiosi di scienze politiche. Sicchè forse una
buona metà dello scibile umano, una somma immensa di sforzi
intellettuali, che l'uomo ha impiegato alla ricerca del suo passato,
a scrutare il suo avvenire, a studiare la propria natura morale e
sociale, si può considerare come ad esse consacrata.
Fra le scienze politiche o sociali una branca ha finora raggiunto
una maturità scientifica tale che, per la sicurezza e
l'abbondanza dei risultati acquisiti, si lascia notevolmente
indietro tutte le altre. Intendiamo alludere all'Economia politica.
Infatti verso la fine del secolo decimottavo alcuni ingegni potenti
hanno isolato i fenomeni riguardanti la produzione e la
distribuzione della ricchezza dagli altri fenomeni sociali, ed,
isolatamente guardandoli, sono riusciti a determinare molte delle
leggi o tendenze psicologiche costanti alle quali ubbidiscono.
L'isolamento dei fenomeni economici dagli altri rami delle scienze
sociali, e specialmente l'uso invalso di considerarli come
indipendenti dagli altri fenomeni, che riguardano l'organizzazione
dei poteri politici, se da una parte spiega i rapidi progressi
dell'Economia politica, dall'altra è forse la causa
principale per la quale alcuni postulati di questa scienza sono
ancora soggetti a discussione. Sicchè forse, coordinando le
proprie osservazioni con altre che riguardano altri lati della
psicologia umana, l'Economia politica potrà fare nuovi e
decisivi passi in avanti3.
È indiscutibile però che non si possono studiare le
tendenze che regolano l'ordinamento dei poteri politici senza tener
conto dei risultati che l'Economia politica, questa scienza sorella
che ha raggiunto più presto la sua maturità, ha di
già ottenuto. Noi lo studio delle tendenze suddette, che
forma oggetto di questo nostro lavoro, chiamiamo Scienza politica.
Ed abbiamo scelta questa denominazione perchè fu la prima
usata nella storia dello scibile umano, perchè ancora non
è caduta in disuso4, ed anche perchè il nome nuovo di
Sociologia, che, dopo Augusto Comte, si è da molti scrittori
adottato, non ha ancora una significazione ben determinata e precisa
e, nell'uso comune, comprende tutte le scienze sociali, fra le quali
anche le economiche e quelle che hanno per obietto lo studio delle
leggi che determinano la delinquenza, anzichè quell'una, che
ha per suo scopo principale l'esame dei fenomeni, che più
propriamente e specialmente si chiamano politici.
III. — Una scienza risulta sempre da un sistema di osservazioni
fatte sopra un dato ordine di fenomeni con speciale cura, con
appropriati metodi e coordinate in modo da giungere alla scoperta di
verità indiscutibili, che all'osservazione volgare e comune
sarebbero rimaste ignote.
Le scienze matematiche forniscono l'esempio più semplice e
più facile per porre in luce come si forma il procedimento
scientifico. L'assioma è il frutto di un'osservazione
accessibile a tutti e la cui verità salta subito agli occhi
anche dei profani; richiamando e coordinando diversi assiomi si
arriva alla dimostrazione dei più facili teoremi, e poi,
coordinando ancora le verità ricavate da questi teoremi con
quelli degli assiomi, si arriva alla dimostrazione di nuovi teoremi
più difficili ancora, e la cui verità non si
può intuire nè provare da chi in quelle scienze non
sia iniziato. Analogamente si procede nella fisica e nelle altre
scienze naturali, ma in esse il metodo comincia a complicarsi con
nuovi elementi: spesso non basta coordinare parecchie osservazioni
semplici per ottenere la dimostrazione di una verità, che
chiameremo composta, ossia non percepibile a prima vista, ma, nella
maggior parte dei casi, ciò che in matematica è
l'assioma si ottiene per mezzo di un esperimento o di lunghe
esperienze. Or sì l'uno che le altre hanno un valore quando
si fanno con metodi speciali ed accurati e da persone che a questi
metodi sono state debitamente iniziate. Nei primordi delle singole
scienze il vero procedimento scientifico è quasi sempre
dovuto ad ipotesi felici, che poi sono state provate dalle
esperienze e dalle osservazioni dei fatti, e che alla loro volta
hanno spiegato moltissime altre esperienze e moltissimi altri fatti.
Quasi sempre un lungo periodo d'empirismo, dei sistemi sbagliati,
che impedivano di coordinare utilmente i dati che si raccoglievano
sui singoli fenomeni, dei metodi di osservazione imperfetti od
errati hanno preceduto il periodo veramente scientifico di una data
disciplina. È così che, per lunghi secoli,
l'astronomia e la chimica si son dibattute negli errori e nei
vaneggiamenti dell'astrologia e dell'alchimia. Solo dopo che i
cervelli umani si sono affaticati per molto tempo sopra un dato
ordine di fenomeni, l'abbondanza dei dati raccolti, il
perfezionamento dei metodi e degli strumenti materiali
dell'osservazione, la intuizione e la lunga pazienza di potenti
ingegni hanno prodotto quelle ipotesi felici, che abbiamo accennato,
ed hanno reso possibile una vera scienza.
Da quanto abbiamo detto si deduce facilmente che non basta per
ottenere dei veri risultati scientifici che, sopra un dato ordine di
fenomeni, si proceda col sistema dell'osservazione e
dell'esperienza. Francesco Bacone si illuse, e forse anche molti
pensatori e scrittori nostri contemporanei si fanno illusioni, sulla
capacità assoluta che il detto sistema ha nello scoprire la
verità scientifica5. In verità perchè
l'osservazione dei fatti e l'esperienza diano buoni risultati sono
necessarie le condizioni che abbiamo testè accennato;
malamente usate e quando il procedimento scientifico è errato
conducono a scoperte fallaci e possono anche dare un colore di
serietà a vere sciocchezze. In fondo l'astrologia e
l'alchimia, che abbiamo già citato, erano fondate sopra vere
o pretese osservazioni di fatti ed esperienze: ma il metodo di
osservazione, o meglio il punto di vista che tutte le informava e
coordinava, era profondamente errato. Il famoso Martino Delrio
quando scriveva il suo libro De disquisitione magicarum, credeva di
fondarsi sull'osservazione dei fatti determinando le differenze fra
il maleficio amatorio, l'ostile ed il sonnifero e rivelando le arti
ed i costumi delle streghe e dei maliardi, ed intendeva appunto che
la sua esperienza dovesse giovare a scoprirli ed a premunirsene.
Credevano di fondarsi pure sull'osservazione dei fatti gli
economisti anteriori ad Adamo Smith, che la ricchezza di una nazione
facevano unicamente consistere nel denaro e nella produzione della
terra; e sui fatti e sulle esperienze quasi universalmente
riconosciute dai suoi contemporanei si basava don Ferrante, tipo
dello scienziato del seicento dipinto cosi efficacemente dal
Manzoni, quando con un ragionamento, nelle apparenze e nella forma
perfettamente logico e positivo, volea provare
l'impossibilità che esistesse il contagio della peste
bubbonica6.
IV. — La scienza politica non crediamo che neanche ora, sia entrata
interamente nel vero periodo scientifico. Sebbene uno studioso possa
in essa vedere molte cose, che sfuggono all'attenzione di un
profano, pure non ci pare che possa fornire un complesso di
verità indiscutibili, riconosciute da tutti coloro che in
questa disciplina sono iniziati, e molto meno che abbia già
acquistato un metodo d'indagini sicuro e da tutti universalmente
accettato. Le cause di questo fatto son varie, ma noi per ora ci
asterremo dallo esporre il nostro pensiero in proposito. Diremo
soltanto che ci pare che esse non siano per nulla attribuibili a
deficienza degli ingegni, che sopra gli argomenti politici hanno
meditato, ma piuttosto alla maggiore complessità dei fenomeni
che ad essi si riferiscono, e sopratutto alla quasi
impossibilità, che ci è stata fino a pochi decennii
fa, di avere larga ed esatta cognizione di quei fatti, dallo studio
dei quali può ricavarsi la nozione di quelle leggi o tendenze
costanti, che regolano l'ordinamento politico delle società
umane.
Per quanto possiamo crederli incompleti o manchevoli, è
intanto nostro dovere di fare un rapido esame dei vari metodi o
sistemi d'idee coi quali si è proceduto finora allo studio
della scienza politica. Parecchi di essi non sono stati e non sono
che una giustificazione più o meno filosofica, teologica o
razionale di certi tipi di organizzazione politica, che hanno avuto
per secoli una parte importante, e talvolta l'hanno ancora, nella
storia dell'umanità. Giacchè, come vedremo più
avanti, una delle tendenze sociali più costanti è
appunto questa di spiegare mediante una teoria razionale od una
credenza soprannaturale la forma di Governo esistente. Abbiamo avuto
perciò una pretesa scienza politica a servizio di quelle
società in cui le credenze soprannaturali predominano ancora
negli animi umani, e nelle quali perciò l'esercizio dei
poteri politici trova la sua spiegazione nella volontà di Dio
o degli Dei, e abbiamo avuto, e abbiamo, un'altra scienza politica
che gli stessi poteri legittima volendone fare una libera e
spontanea espressione della libera volontà del popolo, ossia
della maggioranza degli individui che compongono una data
società. Dobbiamo però a preferenza occuparci di due
fra tutti questi sistemi e metodi di osservazione politica, i quali
hanno un carattere più obiettivo ed universale e tendono a
trovare le leggi con cui si spiega l'esistenza di tutte le varie
forme di regime politico, che esistono nel mondo.
Questi due metodi sono: quello che fa dipendere la differenziazione
politica delle varie società dalla varietà
dell'ambiente fisico, e sopratutto del clima dei paesi in cui esse
abitano, e l'altro che la fa dipendere principalmente dalle
differenze fisiche, ed in conseguenza psicologiche, che vi sono fra
le diverse razze umane. L'uno fa prevalere nelle scienze sociali il
criterio dell'ambiente fisico, l'altro quello etnologico o somatico.
Tutti e due hanno una parte troppo importante nella storia della
scienza, ed anche nella scienza contemporanea, ed un carattere
apparentemente troppo positivo e sperimentale perchè ci sia
possibile il dispensarci d'esaminarne il vero valore scientifico.
V. — A cominciare da Erodoto ed Ippocrate e venendo fino al secolo
presente, grandissimo è il numero degli scrittori, che hanno
parlato dell'influenza del clima sui fenomeni sociali in genere e
specialmente sui fenomeni politici. Molti hanno anche cercato di
provarla ed hanno su di essa fondato intieri sistemi scientifici.
Fra questi primeggia il Montesquieu, il quale forse più
recisamente di ogni altro ha affermato l'influenza preponderante del
clima sul senso morale e sull'ordinamento politico delle nazioni:
“Avvicinandovi ai paesi del Mezzogiorno voi potete credere di
allontanarvi dalla morale stessa” scrisse nello Spirito delle leggi,
ed in altro brano della stessa opera sentenziò che la
libertà è incompatibile con i paesi caldi e che essa
non prospera dove fiorisce l'arancio. Altri scrittori ammettono che
la civiltà sia nata nei paesi caldi, ma sostengono pure che
il suo centro di gravità si sia andato sempre più
spostando verso il nord e che ivi oggi sono posti i paesi
politicamente meglio organizzati7.
Cominciando a trattare quest'argomento ci pare quasi superfluo il
rammentare che il clima di un paese non dipende esclusivamente dalla
sua latitudine ma risente anche l'influenza di altre circostanze,
quali sarebbero l'altezza sul livello del mare, l'esposizione, i
venti dominanti, ecc. Bisogna anche avvertire che non tutto
l'ambiente fisico dipende dal clima, cioè dalle variazioni
termometriche ed idrometriche; concorrono a determinarlo anche altre
circostanze, ad esempio la maggiore o minore popolazione, che una
contrada può avere, e perciò il grado al quale vi
è arrivata la cultura del suolo ed anche il genere di cultura
più comunemente in uso8.
È innegabile poi che l'influenza, che il clima può
esercitare in tutta la vita e sull'ordinamento politico di un
popolo, deve andare continuamente diminuendo col crescere della
civiltà. Il regno vegetale è senza dubbio quello
più sottomesso alle condizioni atmosferiche e telluriche,
perchè le piante, tranne che non siano allevate nelle stufe,
mancano quasi assolutamente dei mezzi di reagire e difendersi contro
le influenze esterne. Gli animali lo sono già di meno,
perchè per essi la difesa e la reazione non è del
tutto impossibile. L'uomo, anche selvaggio, lo è ancora meno,
perchè sempre superiori a quelli degli animali sono i suoi
mezzi di difesa, e meno di tutti lo è l'uomo d'avanzata
civiltà, che dispone di tali risorse da risentire
relativamente ben poco gli effetti dei cambiamenti di clima, e
queste risorse tuttodì va aumentando e perfezionando.
Ciò premesso, ci pare un concetto ovvio ed accettevole
questo: che le prime grandi civiltà siano nate nei siti dove
la natura presentava più facilitazioni o minori resistenze;
sicchè generalmente esse hanno prosperato nelle grandi
vallate di clima piuttosto caldo e bene irrigue, che, con relativa
facilità, permettono la cultura di qualche cereale, cultura
necessaria al sostentamento di grandi masse umane in spazii
relativamente piccoli9.
Questa induzione è confermata dalla storia, che ci mostra le
prime civiltà essere sorte nelle vallate del Nilo,
dell'Eufrate, del Gange e del fiume Giallo, oppure nell'altipiano di
Anahuac, paesi che appunto presentano tutte le condizioni fisiche da
noi accennate. Una volta però che l'uomo è riuscito,
in un sito eccezionalmente favorevole, ad organizzare le sue forze
in modo da domare la natura, può in seguito vincerla in altri
luoghi, nei quali essa si mostra più restia. Ai giorni
nostri, tranne le contrade polari e forse qualche regione
equatoriale e qualche altra, che, per malaria o soverchia
aridità, presenta specialissime condizioni sfavorevoli, tutti
gli altri paesi sono o possono diventare suscettibili di albergare
popoli civili.
VI. — La regola per la quale la civiltà si espande sempre dal
sud verso il nord, o meglio dai paesi caldi ai freddi, ci pare una
di quelle formole sempliciste, che hanno la pretesa di spiegare,
mediante una causa unica, fenomeni molto complessi. Essa non si
fonda che sopra un frammento della storia, su quella di un solo
periodo della civiltà europea, ed anche questo
superficialmente studiato. Esaminando con metodo analogo una carta
geografica, osservando ad es. quella della Germania settentrionale o
della Siberia, si potrebbe trarne la legge che tutti i fiumi
scorrono da sud a nord, perchè ciò avviene in quei
paesi, che hanno le alture a mezzogiorno ed il mare a tramontana. La
regola potrebbe essere invertita se si osservasse la Russia
meridionale, e nell'America meridionale potrebbe trovarsene una
terza : cioè che i fiumi scorrono da ovest ad est. La
verità è che i fiumi, senza alcun riguardo alla
latitudine od alla longitudine, scorrono sempre dall'alto in basso,
dal monte o dagli altipiani verso il mare od i laghi. E diremmo
quasi che, considerando come contrade più basse quelle dove
si trova meno resistenza, analoga è la legge che regola
l'espansione delle varie civiltà. Il movimento incivilitore
procede indifferentemente da sud a nord e da nord a sud, ma va
sempre a preferenza verso quella direzione nella quale incontra
minori ostacoli naturali e sociali; ed intendo per questi ultimi
l'urto di un'altra civiltà originale, che si espande in senso
inverso alla prima.
Difatti la civiltà chinese, nata nelle provincie centrali
dell'impero, a nord è stata fermata dagli sterili e freddi
altipiani dell'Asia centrale, mentre al sud si è potuta
estendere non solo nelle Provincie meridionali della China
propriamente detta, ma anche nell'Indochina. Anche la civiltà
indiana trovando al nord la quasi insuperabile catena dell'Imalaia
si è estesa dal nord al sud, dall'India settentrionale nel
Deccan e poi anche a Ceylan ed a Giava. La civiltà egiziana
si estese a nord finchè trovò nella Siria
settentrionale la potente confederazione dei Khetas, cioè
l'urto di un'altra civiltà; potè al contrario
espandersi maggiormente al sud, risalendo il corso del Nilo da Menfi
a Tebe e da Tebe a Meroe10. La civiltà persiana, erede di
quelle antichissime della Mesopotamia. si estese da oriente ad
occidente, direzione nella quale trovava meno ostacoli naturali,
finchè non urtò nella civiltà greca. Alla sua
volta la civiltà greco-romana, abbracciando tutto il bacino
del Mediterraneo, limitata al sud da deserti insuperabili, all'Est
dalla civiltà orientale, rappresentata dall'impero partico e
poi dal persiano, si estese a nord finchè non incontrò
le paludi e le foreste, allora difficilissime, della Germania
settentrionale e della Scozia.
Anche la civiltà maomettana, limitata al sud dal mare e dal
deserto, dovette avanzarsi verso il nord-ovest. Nel Medio Evo la
civiltà europea, stretta al sud dalla civiltà araba,
che le tolse tutta la parte meridionale del bacino del Mediterraneo,
si allargò verso il nord, acquistando la Scozia, la Germania
settentrionale, la Scandinavia e la Polonia. Al giorno d'oggi la
civiltà europea si estende in tutte le direzioni, dovunque vi
sono terreni scarsi di popolazione e facilmente colonizzabili o
nazioni di civiltà decaduta che aspettano chi le conquisti.
Ed aggiungiamo che anche il centro, il focolare precipuo di una
civiltà si sposta, secondo che essa si estende in un senso o
nell'altro, obbedendo alla legge che abbiamo accennato. I paesi che
stanno alla frontiera di un tipo di coltura umana non sono
ordinariamente quelli che in essa eccellono. Quando la
civiltà europea abbracciava l'intero bacino del Mediterraneo,
la Grecia propriamente detta e l'Italia meridionale stavano al
centro del mondo civile ed erano i paesi più prosperi,
più colti, più ricchi; quando diventarono la
più avanzata avanguardia, che stava di fronte al mondo
maomettano, necessariamente decaddero11.
VII. — Ipotesi pure molto arrischiata ci pare quella che attribuisce
una moralità superiore ai popoli del settentrione di fronte a
quelli del mezzogiorno. La moralità risulta da qualità
così complesse dell'animo e della mente, ed hanno tanta parte
nelle sue affermazioni positive e negative le circostanze esteriori
in cui si svolge la vita umana, che è già un giudizio
abbastanza difficile il determinare se un singolo individuo sia
potenzialmente più morale di un altro; e lo stesso giudizio
diventa difficilissimo quando lo si vuol fare rispetto a due
società, a due masse umane composte di numerosissimi
individui. I dati statistici su questo argomento non possono dir
tutto e spesso non dicono neanche abbastanza, e le impressioni
personali, quasi sempre troppo subiettive12 sono anche più
fallaci delle statistiche.
Il vizio, che più comunemente si attribuisce ai meridionali,
è la lussuria, mentre la ubbriachezza è più
generalmente imputata ai settentrionali. Ma si può invero
osservare che i Negri del Congo si ubbriacano più
vergognosamente dei contadini russi e degli operai svedesi e quanto
alla lussuria pare che le abitudini ed il tipo di organizzazione
sociale, che ogni popolo per una serie di circostanze storiche si
è creato, vi influiscano più del clima. San Vladimiro,
lo czar che santificato diventò il patrono di tutte le
Russie, prima di convertirsi al cristianesimo teneva più
donne nei suoi serragli di quante ne poteva avere il califfo
Harun-al-Raschid ed Ivan il terribile per la crudeltà come
per la lussuria emulò e superò Nerone, Eliogabalo ed i
più feroci sultani dell'oriente. Ai giorni nostri la
prostituzione di Londra, Parigi e Vienna ha forse superato quella
antica di Babilonia e di Delhi. Nell'Europa odierna il massimo dei
reati di libidine lo presenta la Germania, vengono dopo in ordine
decrescente, il Belgio, la Francia, l'Austria-Ungheria; l'Italia
occupa un posto vicino al minimo, il quale è segnato dalla
Spagna13.
Molti fra i sociologi criminalisti generalmente ammettono che nel
Sud prevalgono i reati di sangue, quelli contro le persone, mentre
attribuiscono al nord un maggior numero di reati contro la
proprietà14. Ma il Tarde ed il Colajanni hanno dimostrato
all'evidenza che le relazioni, che si sono volute trovare tra le
varie forme della delinquenza ed il clima sono piuttosto da
attribuirsi alle differenze di condizioni sociali, che talora si
riscontrano tra le varie regioni di uno stesso Stato15. È
vero che negli Stati Uniti d'America, in Francia e anche in Italia
si osserva costantemente una prevalenza dei reati di sangue al sud,
mentre al nord vi è un numero relativamente maggiore di reati
contro la proprietà, ma come fa rilevare benissimo lo stesso
Tarde, in tutti questi paesi le contrade meridionali sono più
prive di comunicazioni, più lontane dai grandi centri
industriali e dai focolari della odierna civiltà delle
contrade settentrionali; or è naturale che la forma violenta
della criminalità prevalga, indipendentemente dal clima, nei
paesi più rozzi, mentre la criminalità astuta diventa
più comune in quelli più colti. E tanto è vero
che questa è la migliore spiegazione del fenomeno, che i
dipartimenti francesi dove la criminalità violenta è
più elevata sono, è vero, nel mezzogiorno della
Francia, ma hanno un clima relativamente freddo perchè
montagnosi16. Ciò si osserva anche in Italia, dove la
Basilicata, contrada che ha dato uno dei più forti
contingenti dei reati di sangue, è un paese montagnoso di
clima relativamente freddo, e son coperti di neve per gran parte
dell'anno i gioghi del Matese, del Gargano e della Sila e quelli
dove stanno alcuni Comuni della Sicilia famosi per imprese
sanguinarie e brigantesche17.
VIII. — Venendo poi alla parte strettamente politica della quistione
diremo che, prima di sentenziare che i meridionali siano incapaci di
libertà, bisogna intendersi sul significato preciso e
scientifico di questa parola. Se ammettiamo che paese più
libero sia quello in cui i diritti dei governati sono meglio difesi
contro l'arbitrio personale e la voglia di prepotere dei governanti,
dobbiamo convenire che istituzioni politiche sotto questo riguardo
ritenute migliori, sono state in vigore tanto in paesi freddi quanto
in altri temperati molto, come, ad esempio, la Grecia e Roma.
Viceversa l'arbitrio dei governanti innalzato a sistema di governo
si può trovare anche in paesi freddissimi come la Russia. Il
sistema costituzionale non ebbe inizi più vigorosi nella
brumosa Inghilterra che nell'Aragona, nella Castiglia ed in
Sicilia18. Ammesso che presentemente le diverse modalità di
governo rappresentativo possano essere riguardate come le forme di
regime politico meno imperfette, noi le troviamo in vigore in
Europa, tanto al nord che al sud, e, fuori d'Europa, funzionano
forse tanto bene nel freddo Canada che al Capo di Buona Speranza,
dove il clima, se non caldo addirittura, è certo
temperatissimo.
La ragione per la quale i meridionali dovrebbero essere meno atti ad
un regime politico libero ed elevato non può essere altra che
questa: che essi hanno minore energia fisica e sopratutto minore
energia morale ed intellettuale. È infatti una opinione molto
comune che i settentrionali siano destinati con la loro superiore
energia, che si esplica nel lavoro, nelle armi, nelle scienze, a
conquistare sempre i fiacchi meridionali. Ma questa opinione
è anche più superficiale e più contradetta dai
fatti di quelle che abbiamo precedentemente confutato. Invero le
civiltà nate e sviluppate in climi caldi o molto temperati ci
hanno lasciato monumenti, che testimoniano di una avanzata cultura e
di una incalcolabile energia di lavoro, che riesce più
maravigliosa quando si rammenta che esse non disponevano di quelle
macchine, che ora centuplicano le forze dell'uomo. La
laboriosità di un popolo più che dal clima pare che
dipenda da abitudini che sono in gran parte determinate dalle sue
vicende storiche. In generale hanno abitudini laboriose i popoli di
antica civiltà, pervenuti da lungo tempo allo stadio agricolo
e che pure da lungo tempo hanno goduto di un regime politico
tollerabile, il quale assicura ai lavoratori una parte almeno del
frutto dei propri sforzi. Al contrario i popoli barbari e
semibarbari, o ricaduti in una parziale barbarie, abituati a vivere
in parte di guerra e di ladroneccio, fuori della guerra e della
caccia sogliono essere pigri ed inerti. Come tali infatti Tacito
descrive i Germani antichi, tali sono adesso le Pelli Rosse
dell'America settentrionale e oltremodo pigri sono pure i Calmucchi,
sebbene i primi abbiano abitato e gli altri abitino ancora in paesi
molto freddi. Al contrario laboriosissimi sono i Chinesi delle
provincie meridionali e con gran tenacia sanno lavorare i Fellah
egiziani. E se la mancanza di grandi industrie nella parte
più meridionale dell'Europa ha fatto nascere ed alimenta il
pregiudizio che i suoi abitanti siano poco laboriosi, chi conosce
bene quelle popolazioni sa benissimo che in generale quest'accusa
è poco meritata19.
Se ammettiamo che la superiorità militare sia una prova di
maggiore energia, in verità è difficile stabilire se i
settentrionali abbiano vinto e conquistato i meridionali più
di frequente di quello che ne siano stati alla lor volta vinti e
conquistati. Eran meridionali gli Egiziani, che nei loro bei momenti
percorsero vittoriosi l'Asia fino alle montagne dell'Armenia, ed
abitavano in un paese di clima temperatissimo quei guerrieri Assiri,
dei quali si può detestare la crudeltà ma bisogna
anche ammirare l'indomabile energia bellicosa. Eran meridionali i
Greci, che seppero conquistare tutta l'Asia occidentale, e con le
armi, le colonie, i commerci, la superiorità del loro genio,
ellenizzarono tutta la parte orientale del bacino del Mediterraneo e
gran parte di quello del Mar Nero. Lo erano anche i Romani, le cui
legioni coprirono i piani della Dacia, penetrarono nelle
inaccessibili foreste della Germania ed inseguirono i Pitti ed i
Caledoni fin nei più remoti ricettacoli delle loro fredde e
selvagge montagne. Erano meridionali gl'Italiani del Medio Evo, che
fecero prodigi d'attività militare, industriale, commerciale;
e meridionali erano gli Spagnuoli del cinquecento, quei famosi
conquistadores, che in meno di mezzo secolo, esploravano,
percorrevano e conquistavano la maggior parte dell'America.
Meridionali erano, rispetto agl'Inglesi, quei Franco-Normanni,
seguaci di Guglielmo il conquistatore, che in pochi anni seppero
spossessare quasi del tutto gli abitatori della parte meridionale
della Gran Brettagna, e che, colla spada alle reni, perseguitarono
gli Angli fino all'antica muraglia romana; e meridionali in senso
assoluto quegli Arabi, che, in meno di un secolo, seppero imporre la
loro conquista, e, colla conquista la lingua, religione e
civiltà loro a tanta parte di mondo quanta ne hanno forse
conquistata e colonizzata gli Anglo-Sassoni in parecchi secoli.
IX. — Le differenze di organizzazione sociale determinate dalla
configurazione del suolo possono essere considerate come appendice
di quelle dovute alla varietà dei climi, sebbene siano forse
più importanti.
Non si può negare infatti che l'essere un paese più o
meno piano o montuoso, il trovarsi sulle grandi vie di comunicazione
o l'esserne appartato, sono elementi che influiscono nella sua
storia molto più di alcuni gradi in più o in meno
nella sua media termometrica; ma neppure la loro importanza deve
essere esagerata al punto da farne una legge fatale. Certe
circostanze topografiche, che, date alcune condizioni storiche, sono
favorevoli, in altre condizioni diventano sfavorevolissime e
viceversa. La Grecia, quando tutta l'Europa era ancora
all'età del bronzo e nei primordi di quella del ferro, si
trovò in condizione maravigliosamente favorevole per
diventare il primo paese civile di questa parte del mondo;
perchè, a preferenza di qualunque altra contrada, potè
ricevere le infiltrazioni della civiltà egiziana e di quelle
asiatiche. Ma nell'epoca moderna, fino a quando si tagliò
l'istmo di Suez, si può dire che lo stesso paese sia stato
fra quelli d'Europa più sfavorevolmente situati,
perchè lontano dal centro della coltura europea e dalle
grandi vie del commercio transatlantico ed indiano. Altra opinione
abbastanza diffusa in questi argomenti è quella che fa i
montanari abitualmente superiori ai pianigiani e destinati quasi
sempre a conquistarli. Certo essa è meno infondata di quella
che attribuisce una grande superiorità ai popoli
settentrionali, perchè, se è discutibile che un clima
freddo sia più salutare di quello temperato o caldo, sembra
accertato che i paesi elevati sono quasi sempre più salubri
di quelli bassi, e miglior salute vuol dire costituzione fisica
più forte e perciò maggiore energia individuale. Ma
non sempre una maggiore energia individuale va unita ad una
più forte organizzazione della compagine sociale, della quale
in fondo dipende l'essere una gente dominatrice o dominata. Ora un
saldo organismo politico, che riunisca e diriga gli sforzi di grandi
masse d'uomini, è più facile che sorga e si mantenga
nelle pianure anzichè nelle montagne. Difatti noi vediamo in
Oriente i montanari Circassi, Curdi ed Albanesi avere
individualmente spesso raggiunta una grande importanza, le loro
bande, che entravano al servizio degli imperi limitrofi, essere
spesso diventate influenti e temute20, ma l'Albania, la Circassia ed
il Curdistan non hanno mai, in tempi storici, formato il nocciolo di
grandi imperi indipendenti, anzi sono stati sempre attratti
nell'orbita dei grandi organismi politici, che hanno toccato i loro
confini. Anche gli Svizzeri hanno avuto grande importanza come
individui e come corpi di soldati mercenari, ma la Svizzera, come
nazione, non ha mai pesato sensibilmente nella bilancia politica
d'Europa.
Nella storia poi, in generale, si vede che se le ardite bande dei
montanari hanno spesso devastato più che conquistato le
pianure, più spesso ancora gli eserciti organizzati dei
pianigiani sono riusciti vincitori degli sforzi sconnessi dei
montanari e li hanno stabilmente domati. Furono i Romani che
conquistarono i Sanniti, mentre questi poterono solo qualche volta
vincere i Romani; e, nella Gran Brettagna, se le bande dei montanari
scozzesi scorsero e devastarono qualche volta il nord
dell'Inghilterra, gl'Inglesi pianigiani vinsero e conquistarono
più di frequente la montuosa Scozia e finirono col domarne
gli umori riottosi e coll'assimilarla completamente. Nè del
resto si può ammettere che i popoli abitanti nelle pianure
debbano essere necessariamente destituiti o anche scarsi di energia:
basta riflettere che gli Olandesi, i Tedeschi settentrionali, i
Russi e gli stessi Inglesi sono in gran parte abitatori di un paese
molto basso per comprendere quanto un'opinione simile sarebbe poco
fondata.
X. — Il metodo che fa dipendere dalla razza alla quale un popolo
appartiene oltre che il grado di progresso civile, che genericamente
ha raggiunto, anche il tipo di ordinamento politico, che ha
adottato, è molto meno antico dell'altro, che arbitro di
tutto fa il clima. Ne poteva essere altrimenti, perchè
l'antropologia e la filologia comparata, sulle quali è
fondata la classificazione scientifica delle razze umane, sono
scienze molto recenti: Broca e Grimm sono vissuti nel secolo
decimonono, mentre una nozione abbastanza approssimativa delle
differenze di clima si è potuta avere fin dal tempo di
Erodoto. Però, per quanto tardi venuta, altrettanto la
tendenza etnologica nelle scienze sociali è stata invadente:
e negli ultimi decenni del secolo decimonono con la differenza e
l'azione delle varie razze si è cercata di spiegare tutta la
storia dell'umanità21.
Si è fatta la distinzione tra razze superiori ed inferiori,
attribuendo alle prime la civiltà, la moralità, la
capacità di costituirsi in grandi agglomerazioni politiche;
riserbando alle altre la sorte dura, ma fatale, di sparire davanti
le razze elevate oppure di esserne conquistate ed incivilite. Alla
meno peggio si ammette che esse possano continuare a vivere restando
indipendenti, ma senza poter mai raggiungere quella cultura e quel
perfetto ordinamento sociale e politico, che sono propri soltanto
dei popoli di stirpe privilegiata.
Rènan scrisse che la poesia dell'anima, la fede, la
libertà, l'onestà, il sacrificio non apparvero nel
mondo che con le due grandi razze, che in certo senso hanno formato
l'umanità: cioè la razza ariana e la semitica22. Per
De Gobineau il punto centrale della storia è sempre là
dove abita il gruppo bianco più puro, più
intelligente, più forte. Il Lapouge porta la stessa dottrina
alle più estreme conseguenze; secondo quest'autore non solo
la razza veramente morale e superiore in tutto è l'ariana, ma
in questa stessa eccellono solo quegli individui, che il tipo ariano
conservano puro ed incontaminato; coloro che sono alti, biondi e
dolicocefali. Anche fra i popoli che passano per indogermanici
questi individui non sarebbero che un'esigua minoranza dispersa fra
una maggioranza di bassi, bruni e brachicefali. I veri ariani
perciò, piuttosto numerosi tra gl'Inglesi ed i
Nord-Americani, comincerebbero a scarseggiare in Germania, dove si
potrebbero trovare solo nelle classi superiori, sarebbero rarissimi
in Francia, e nei paesi dell'Europa meridionale diventerebbero merce
quasi sconosciuta23.
Accanto a questa scuola, che sostiene la superiorità innata e
fatale di alcune razze umane, ve ne è un'altra, che, senza
essere con essa in assoluto contrasto, più direttamente si
rannoda alle teoriche di Darwin, le cui applicazioni alle scienze
sociali nella seconda metà del secolo scorso sono state
larghissime. Lo Spencer è lo scrittore più in fama di
questa seconda scuola, i cui seguaci sono numerosissimi: essi, senza
sostenere la superiorità inevitabile e continua di una razza
sulle altre, credono che ogni progresso sociale sia avvenuto ed
avvenga per via della così detta evoluzione organica e
superorganica. Secondo questa scuola entro ogni società
avverrebbe una lotta continua, quella per l'esistenza; per la quale
gl'individui più forti, migliori, più adatti
all'ambiente, sopravviverebbero ai più deboli e meno adatti e
prolificherebbero a preferenza di questi ultimi, comunicando ai loro
figli come innate quelle qualità per le quali essi avevano
riportato la vittoria e che per loro erano acquisite per via di una
lenta educazione. La stessa lotta avverrebbe tra le società
stesse, per la quale quelle più solidamente costituite, o
composte di individui più forti, vincerebbero le altre meno
vantaggiosamente dotate, che, cacciate nei siti meno adatti
all'umano sviluppo, sarebbero condannate a rimanere in uno stato di
perenne inferiorità.
Non è difficile trovare una differenza sostanziale fra le due
dottrine testè ricordate, perchè, anche ammettendo la
teoria monogenistica, cioè che tutte le razze umane siano
derivate da unico ceppo, è certo che i loro caratteri
differenziali sono antichissimi, e si dovettero fissare in epoche
molto remote, quando l'uomo non avea oltrepassato lo stadio della
vita selvaggia ed era quindi più adatto a sentire l'influenza
degli agenti naturali coi quali era in contatto24. Stando
perciò alla teoria strettamente etnologica, fin dall'inizio
dell'epoca storica le razze elevate avrebbero già avuto quei
caratteri di superiorità, che conservano ancora quasi
inalterati; mentre la teoria propriamente detta evoluzionista,
implicitamente od esplicitamente, ammette che la lotta per
l'esistenza abbia avuto i suoi effetti pratici più
recentemente e ad essa attribuisce il decadere od il prosperare
delle varie nazioni e civiltà durante il periodo storico.
XI – Prima di parlare della superiorità od inferiorità
delle varie razze umane bisogna determinare il valore della parola
razza, alla quale si attacca un significato ora molto lato, ora
assai ristretto. Si dice la razza bianca, la gialla e la nera,
indicando varietà della specie umana distinte non solo dal
linguaggio, ma anche da differenze anatomiche abbastanza importanti
e palpabili, e si dice pure la razza ariana e la semitica per
indicare due suddivisioni della razza bianca, distinte, è
vero, dal linguaggio, ma la cui somiglianza fisica è
notevolissima. Si dice anche la razza latina, la germanica, la
slava, denominando sempre con lo stesso vocabolo tre suddivisioni
del ramo ariano della razza bianca; le quali, sebbene parlino lingue
differenti, pure è dimostrato che filologicamente sono legate
da una origine comune e le cui differenze fisiche sono minime, tanto
che può accadere che un individuo dell'una sia giudicato come
appartenente ad un'altra. Or la confusione delle parole porta in
questo caso, come sempre, quella delle idee: la differenza di razza
si fa valere tanto per spiegare certe diversità, che vi sono
nella civiltà e nell'ordinamento politico dei bianchi e dei
negri, quanto per giustificare quelle tra latini, germani e slavi;
mentre, nel primo caso, può veramente il coefficiente
etnologico avere molta importanza e nel secondo, averne una minima.
Bisogna anche por mente che, nel periodo storico ed in quello
preistorico, gl'incrociamenti e le mescolanze, specialmente fra
popoli di razza molto affine, sono state frequenti. In quest'ultimo
caso, siccome le differenze fisiche fra le razze che si sono
incrociate sono poco importanti e sopratutto non facilmente
percepibili, nel fare le classificazioni più che ai caratteri
anatomici si è data importanza alle affinità
filologiche. Ma questo criterio è tutt'altro che sicuro ed
infallibile. Spesso può avvenire ed avviene che due popoli
strettamente parenti per sangue parlino lingue, che filologicamente
hanno lontani rapporti, mentre popoli di razza diversa possono
servirsi di lingue e di dialetti, le radici e la struttura
grammaticale dei quali sono molto affini. Per quanto la cosa sembri
a prima vista improbabile, pure vi sono molti esempi e circostanze
storiche che la spiegano e la provano; generalmente i popoli
conquistati, se sono meno civili dei conquistatori, ne adottano le
leggi, le arti, la cultura, la religione e spesso finiscono con
l'adottarne la lingua25.
Ciò premesso, ci pare un fatto assodato che le razze
più misere, quelle che gli antropologhi chiamano più
basse, i Fuegiani, gli Australiani, i Boschimani, ecc., siano
fisicamente ed anche intellettualmente inferiori alle altre. Che
questa inferiorità sia innata, che sia sempre esistita, o che
si debba attribuire alla desolazione delle contrade che quei popoli
abitano, alla scarsezza di risorse che esse offrono ed all'estrema
miseria che ne è la conseguenza, è quistione che non
è nè facile nè indispensabile per noi di
risolvere. Del resto queste razze non formano che una frazione
piccolissima dell'umanità, frazione che va rapidamente
diminuendo avanti l'espansione della razza bianca, dietro la quale
si va in molti luoghi infiltrando anche la gialla. Per spirito di
giustizia bisogna riconoscere che il prosperare di queste due razze,
in quelle stesse terre dove gli aborigeni potevano solo
stentatamente vivacchiare, non è tutto dovuto alla
superiorità organica, che esse vantano. Giacchè i
nuovi abitatori portano seco cognizioni e mezzi materiali,
mercè i quali traggono abbondanti sussistenze da quelle
zolle, che spontaneamente avrebbero dato quasi nulla. L'indigeno
australiano si contentò per secoli e secoli d'inseguire i
kanguri, di abbattere uccelli col bomerang o, alla peggio, di
mangiare lucertole; ma bisogna confessare che non aveva alcun mezzo
di procurarsi le sementi dei grani e delle altre piante
commestibili, nè i progenitori delle mandrie di montoni, che
sono stati a disposizione dei coloni inglesi.
Ben più difficile è il sentenziare sopra
l'inferiorità della razza americana aborigena e della razza
nera. Esse sono state da tempo immemorabile in possesso di
vastissime contrade, nelle quali potenti civiltà si sarebbero
potute sviluppare. In America infatti, nel Messico, nel Perù,
in qualche altro sito esistevano od avevano esistito possenti
imperi, dei quali però non possiamo esattamente determinare
il grado di cultura, perchè ebbero il torto di crollare
davanti l'urto di poche centinaia di avventurieri spagnuoli. In
Africa qualche volta la razza nera si è politicamente
organizzata in vasti imperi, come fu per es. quello di Uganda, ma
nessuno ha raggiunto spontaneamente tal grado di cultura da potere
essere paragonato agli Stati più antichi fondati dalla razza
bianca o dalla gialla, agli imperi chinese, babilonese o egizio
antico, nel quale la razza incivilitrice non era la nera. Parrebbe
perciò che tanto per gli Americani indigeni quanto per i
Negri una certa inferiorità si possa anche a prima vista
stabilire.
Ma quando le cose vanno in un modo, non sempre è lecito
asserire che dovevano necessariamente ed immancabilmente andare in
quel modo. È dubbio che l'uomo sia vissuto durante il periodo
terziario, ma è un fatto scientificamente provato che la sua
antichità risale al principio del periodo quaternario, e che
perciò va calcolata non per migliaia d'anni, ma per centinaia
e forse migliaia di secoli. Ora le razze, l'abbiamo già
accennato, dovettero formarsi in epoca remotissima, e, trattandosi
di periodi cosi lunghi, l'essere una razza arrivata, trenta,
quaranta, anche cinquanta secoli prima ad un perfezionamento
ragguardevole di cultura, non è una prova infallibile di
superiorità organica. Delle circostanze esteriori, spesso
anche fortuite, la scoperta e l'uso di un metallo, cosa più o
meno agevole secondo i vari paesi, l'avere o no a portata della mano
piante o animali addomesticabili. possono accelerare o ritardare lo
sviluppo di una civiltà, ovvero mutarne le vicende. È
innegabile che se gli Americani indigeni avessero conosciuto l'uso
del ferro26, o se gli Europei avessero scoperto la polvere da sparo
due secoli dopo, questi non avrebbero così presto e cosi
completamente distrutto le organizzazioni politiche di quelli.
Nè bisogna dimenticare che, quando una razza arrivata ad una
civiltà matura si trova in contatto con un'altra ancora allo
stato barbaro, se da una parte le fornisce una quantità di
strumenti e cognizioni utili, dall'altra ne disturba profondamente,
quando non ne arresta del tutto, lo sviluppo spontaneo ed originale.
I Bianchi infatti non solo hanno quasi dappertutto distrutto od
asservito gli Americani indigeni, ma per secoli hanno anche
abbrutito ed impoverito la razza negra coll'alcool e colla tratta;
sicchè si deve convenire che la civiltà europea finora
non solo ha contrastato, ma quasi ha impedito tutti gli sforzi che
Negri e Pelli Rosse avrebbero potuto spontaneamente fare per
progredire.
A diversi rami della razza americana indigena si fa il rimprovero,
che si estende anche ai Polinesi oltre che agli Australiani e ad
altre razze umane delle più misere, di non saper sopportare
il contatto coll'uomo bianco e di scomparire rapidamente davanti
l'avanzarsi di questo. La verità è che i Bianchi
tolgono alle razze di colore i mezzi di sussistenza, prima che esse
possano abituarsi a far uso dei nuovi mezzi di sostentare la vita,
che sono dagli stessi Bianchi introdotti. Ordinariamente i territori
di caccia delle tribù selvaggie sono invasi e la grossa
selvaggina è distrutta prima che gl'indigeni abbiano potuto
adattarsi all'agricoltura. Inoltre le razze civili comunicano alle
meno civili le loro malattie, senza che quest'ultime possano
ordinariamente giovarsi dei metodi preventivi e curativi, che il
progresso scientifico ed una lunga esperienza hanno a quelle
insegnato. La tisi, la sifilide ed il vaiuolo farebbero
probabilmente tra noi la stessa strage, che fanno presso alcune
tribù selvaggie, se noi queste malattie prevenissimo e
curassimo con i soli mezzi che sono alla portata dei selvaggi, che
consistono nel non averne alcuno.
Sono generalmente le Pelli Rosse ed i Negri inferiori ai Bianchi
come individui? Sebbene i più rispondano subito ed
energicamente di sì, qualcuno dice con eguale prontezza e
risoluzione di no; a noi pare difficile l'affermarlo con sicurezza,
come il negarlo.
Chi rammenta la storia della prima colonizzazione della Virginia
deve convenire che la figlia di Powattan, il Sachem che comandava in
quelle contrade all'arrivo dei Bianchi, la gentile ed affettuosa
Pocahonta, aveva doti di mente e di cuore non inferiori a quelle di
quasi alcuna fanciulla europea dei suoi tempi. Stanley, che i Negri
doveva conoscer bene, non sentenzia mai sulla inferiorità
assoluta della razza africana, anzi cita parecchi esempi di Negri
intelligenti e non privi di qualità morali, specie tra quelli
che sono stati educati tra popoli civili: anche tra quelli
assolutamente barbari trova sviluppate certe qualità, che
sono state a preferenza coltivate; ad esempio, dice che nel Congo
anche un fanciullo riesce superiore al più astuto sensale
europeo nell'abilità di far valere la sua merce, nel saper
vender caro e comprare a buon patto27.Gli Americani indigeni, dove
si sono mescolati coi Bianchi e ne hanno abbracciato la
civiltà, non hanno mancato di dare qualche uomo notevole,
come ad esempio Garcilasso della Vega e Benito Juarez28. I Negri
nelle identiche condizioni possono vantare Toussaint Louverture, il
Morton dotto teologo ed umanista, il Firmin29 e parecchi altri.
Dobbiamo però confessare che, nell'una e nell'altra razza, la
nota delle individualità cospicue è molto scarsa
rispetto alla quantità d'individui, che hanno avuto e hanno
la possibilità di fruire dei vantaggi che offre il vivere
civile. Però ha qualche peso l'osservazione che un dotto
vescovo di razza negra facea al George30: che i fanciulli negri
nelle scuole profittano quanto i bianchi e si mostrano egualmente
svegli ed intelligenti fino all'età di dieci o dodici anni,
ma, appena cominciano a capire che essi appartengono ad una razza
considerata inferiore, e che a loro non è riservata altra
sorte che quella di fare i cuochi ed i facchini, si svogliano dallo
studio e cadono nell'apatia. Non si può infatti negare che in
gran parte dell'America gli uomini di colore siano generalmente
considerati come esseri inferiori, che debbono essere
necessariamente rilegati negli ultimi strati sociali; or, se le
nostre classi diseredate portassero nell'aspetto l'impronta
indelebile della loro inferiorità sociale, è certo che
tra esse ben pochi sarebbero gli individui i quali avrebbero
l'energia di sollevarsi ad una condizione sociale molto superiore a
quella della loro nascita.
Ad ogni modo, se qualche dubbio è lecito di elevare sulla
attitudine dei Negri e degli Americani indigeni ad una
civiltà e ad un ordinamento politico superiore, ogni
perplessità vien meno riguardo non solo agli Arii ed ai
Semiti, ma a tutta la razza così detta mongolica o gialla ed
anche a quella razza bruna, che nell'India vive ora mescolata con la
razza ariana e nella China meridionale, nell'Indochina, forse anche
nel Giappione si è fusa con quella gialla31. Il complesso di
queste razze forma certamente più dei tre quarti e forse i
quattro quinti dell'intera umanità.
I Chinesi hanno saputo fondare una civiltà originalissima,
che maravigliosamente è durata e più maravigliosamente
ancora ha saputo espandersi. Figlia in gran parte della
civiltà chinese è quella del Giappone e quella della
Indochina, e pare che abbia appartenuto alla razza turanica quel
popolo dei Somiri e degli Akkad, che fondò la più
antica civiltà babilonese. La razza bruna pare che fosse
autrice dell'antichissima civiltà dell'Elam o Susiana, ed una
civiltà autoctona pare che esistesse nell'India prima
dell'arrivo degli Ariani. L'Egitto deve la sua civiltà ad una
razza che si dice sub-semitica o berbera, e Ninive, Sidone,
Gerusalemme, Damasco, forse anche Sardi, appartennero ai Semiti.
Alla più recente civiltà degli Arabi maomettani ci
pare superfluo accennare.
XII – Senza ammettere la superiorità o l'inferiorità
assoluta di alcuna razza umana, molti credono che ognuna di esse
abbia speciali qualità intellettuali e morali in
corrispondenza necessaria con certi tipi di organizzazione sociale e
politica, dai quali il suo spirito, o meglio ancora, ciò che
si dice il genio stesso della razza non le permettono di
allontanarsi.
Or fatta la debita parte alle esagerazioni, che facilmente si
ammettono su questo argomento, tenuto sempre presente il gran fondo
umano, che si ritrova in tutti i popoli ed in tutti i tempi,
è innegabile che non diciamo ogni razza, ma ogni nazione,
ogni regione, ogni città ha un certo tipo speciale, non
dappertutto ugualmente determinato e preciso, il quale consiste in
un complesso d'idee, di credenze, di opinioni, di sentimenti, di
consuetudini e di pregiudizi, i quali rappresentano per ogni gruppo
dell'umanità cioè che i lineamenti del viso sono per
ogni individuo.
Ma questa diversità di tipo sarebbe sicuramente una
conseguenza delle diversità fisiche, della varietà
della razza, del sangue diverso che scorre nelle vene di ogni
nazione, se non trovasse la sua spiegazione in un altro fatto, che
è uno dei più sicuri e costanti, che si possono
accertare mercè l'osservazione della natura umana. Intendiamo
alludere al mimetismo, a quella grande forza psicologica per la
quale ogni individuo suole acquistare le idee, le credenze ed i
sentimenti, che sono più comuni nell'ambiente nel quale
è cresciuto. Salvo rare e quasi mai complete eccezioni, si
pensa, si giudica, si crede, come pensa giudica e crede la
società nella quale viviamo; delle cose si osserva quel lato,
che generalmente è più notato dalle persone che ci
circondano, e si sviluppano nell'individuo a preferenza quelle
attitudini morali ed intellettuali, che sono più pregiate e
più comuni in quell'ambiente umano in cui egli si è
formato.
Infatti l'unità di tipo morale ed intellettuale si ritrova
fortissima in collettività di persone, fra le quali non vi
è alcuna speciale comunanza di sangue e di razza. Valga ad
esempio il clero cattolico, il quale, sparso dappertutto, conserva
sempre una singolare uniformità nelle sue credenze, nelle sue
abitudini intellettuali e morali ed anche nei suoi costumi.
Il fenomeno si osserva più spiccato nei vari ordini
religiosi; è notoria la maravigliosa rassomiglianza di un
Gesuita italiano, con un Gesuita francese, tedesco od inglese. Molta
rassomiglianza si trova pure nel tipo militare comune a quasi tutti
i grandi eserciti europei; ed un tipo intellettuale e morale
abbastanza costante può anche esistere perfino nei singoli
reggimenti della milizia, nelle scuole militari ed anche nei collegi
laici, dovunque insomma si è potuto o saputo costituire un
ambiente particolare, una specie di forma psicologica, la quale
plasma alla sua maniera tutti gl'individui che vengono in essa
gettati.
Non indaghiamo per ora come i grandi ambienti nazionali, e meglio
ancora, quelle grandi correnti psicologiche, che abbracciano
talvolta tutta una civiltà od i seguaci di una religione si
siano formate, siano vissute e spesso anche sparite dalla scena del
mondo. L'iniziare questo studio equivarrebbe a richiamare la storia
di tutta la parte civile dell'umanità: questo possiamo con
sicurezza asserire che le circostanze storiche speciali ad ognuno
dei grandi gruppi dell'umanità hanno principalmente formato
gli ambienti speciali, ai quali abbiamo accennato, e nuove
circostanze storiche questi ambienti lentamente modificano o anche
distruggono. La parte che la consanguineità, la razza, ha
nella formazione dei vari ambienti morali ed intellettuali
può almeno in certi casi essere piccola e difficilmente
apprezzabile, anche quando il coefficiente etnico sembra a prima
vista preponderante. Così si cita l'esempio degli Ebrei, che,
sparsi in mezzo ad altri popoli, hanno per secoli e secoli
maravigliosamente conservato il loro tipo nazionale. Ma bisogna
appunto tener presente che i discendenti d'Israele sono sempre
vissuti moralmente appartati dalle popolazioni in mezzo alle quali
abitavano e sono perciò sempre stati in un ambiente
speciale32.
Infatti la prole delle famiglie ebraiche convertite al Cristianesimo
od all'Islamismo di raro conserva lungamente, ossia per molte
generazioni, i caratteri dei suoi antenati, e lo stesso Ebreo non
convertito mantiene meglio il suo tipo speciale là dove vive
più appartato. Un Ebreo della Piccola Russia o di
Costantinopoli è molto più Ebreo di un suo
correligionario nato e cresciuto in Italia o in Francia, paesi dove
i Ghetti non sono più che una memoria. Anche i Chinesi
trasportati in America apprendono molti lati della civiltà
dei Bianchi, sebbene moralmente non trasformino il loro tipo; ma
essi in California ed altrove vivono sempre tra loro in un ambiente
chinese. Nella Turchia europea ed asiatica convivono nelle stesse
città Turchi, Greci, Armeni, Ebrei e Franchi e non si
fondono, nè le razze si modificano, perchè esse,
sebbene materialmente in contatto, moralmente sono divise e ciascuna
ha il suo ambiente speciale. E si potrebbe perfino osservare che la
maggiore tenacia con cui si conserva il tipo nazionale inglese, fra
quelli delle altre nazioni europee, è una conseguenza della
poca sociabilità che gli Inglesi, stabiliti in paese
straniero, hanno verso gl'indigeni, la quale li costringe a stare
fra loro in un embrione di ambiente britannico33.
Il così detto genio delle razze non è quindi qualche
cosa di così fatale e necessario come ad alcuni piace
immaginare. Ammettendo pure che le varie razze superiori,
suscettibili cioè di creare una propria ed originale
civiltà, siano organicamente diverse una dall'altra, non
è la somma delle loro differenze organiche ciò che
esclusivamente od anche principalmente ha determinato la
diversità del tipo sociale, che esse hanno adottato, ma
piuttosto la diversità dei contatti sociali e delle
circostanze storiche, alle quali, non solo ogni razza, ma ogni
nazione ed ogni organismo sociale son destinati a sottostare.
XIII. — La questione della razza sarebbe qui esaurita se da tutti si
ammettesse che i cambiamenti organici e psichici, dai quali una
razza umana può essere modificata durante un periodo storico
anche lungo, per esempio di venti o trenta secoli, sono poco
apprezzabili e quasi trascurabili. Ma, lungi dall'essere una simile
credenza generalmente accettata, prevale ora una scuola, che si
fonda su postulati diversi; giacchè, applicando alle scienze
sociali le dottrine di Darwin sull'evoluzione delle specie, ammette
che ogni gruppo umano possa nel decorso di pochi secoli raggiungere
un notevole miglioramento organico, dal quale fa provenire il
perfezionamento politico e sociale.
Ora, senza discutere o negare le dottrine di Darwin sulla
trasformazione nella specie, ed ammettendo anche la discendenza
dell'uomo da un ipotetico antropopiteco, una cosa ci sembra certa,
indiscutibile e percepibile a prima vista: che la famosa lotta per
l'esistenza e la selezione naturale, che ne è conseguenza,
come è stata descritta nelle piante, negli animali e negli
uomini selvaggi, non esiste nelle società umane pervenute
anche ad un mediocrissimo stadio di civiltà. L'avercela
voluta trovare è effetto naturale della fortuna straordinaria
che ebbe l'ipotesi darwinista nelle scienze naturali, fortuna che
dovea tentare fortemente gli spiriti sistematici ad estenderne
l'applicazione. Ciò è pure effetto di un equivoco,
della confusione di due fatti, che, sostanzialmente diversi, hanno
apparentemente qualche punto di contatto, la quale confusione
è facilmente spiegabile che sia avvenuta nelle menti
fortemente prevenute a favore del sistema evoluzionista. Si
è, per spiegarsi in poche parole, scambiata la lotta per
l'esistenza con quella per la preminenza, la quale è
realmente un fatto costante, che avviene in tutte le società
umane dalle più civili a quelle appena uscite dallo stato
selvaggio.
Infatti nella lotta fra le varie società umane, la vincitrice
ordinariamente, anzi quasi sempre, non distrugge la vinta, ma la
sottomette, l'assimila, le impone il proprio tipo di civiltà.
Oggidì in Europa ed in America la guerra non ha altro
risultato che l'egemonia politica della nazione, che riesce
militarmente superiore, o l'annessione di qualche provincia; ma
anche anticamente, quando lottavano la Grecia con la Persia e Roma
con Cartagine, si distruggeva qualche volta l'organismo politico,
l'esistenza nazionale dei vinti, ma individualmente, anche
nell'ipotesi peggiore, questi erano ridotti preferibilmente in
servitù anzichè passati a fil di spada. I casi come
quelli di Sagunto e di Numanzia, della presa di Tiro per opera di
Alessandro Magno e di quella di Cartagine sono stati sempre
assolutamente eccezionali. Gli Assiri nell'antico Oriente, i Mongoli
nel Medio Evo furono i popoli che più frequentemente
praticarono l'uso orrendo dello sterminio sistematico dei vinti,
eppure anche essi lo usarono piuttosto come mezzo di raggiungere con
il terrore la sottomissione degli altri popoli, anzichè come
fine; ed in verità non si può dire che un solo popolo
sia stato dalle loro orribili stragi materialmente distrutto34.
Se poniamo mente poi al lavorìo interiore, che avviene nel
seno di ogni società, vediamo subito che in esso il carattere
di lotta per la preminenza anzichè per l'esistenza è
anche più spiccato. La gara fra gl'individui di ogni nucleo
sociale è per arrivare ai posti elevati, alla ricchezza, al
comando, per conquistare i mezzi, che dànno la facoltà
di dirigere a proprio piacimento molte attività e molte
volontà umane. I vinti, che in questa lotta sono naturalmente
i più, non vengono già, come sarebbe carattere
sostanziale dello struggle for life, nè divorati, nè
distrutti, nè tampoco impediti di riprodursi; essi soltanto
godono più scarse soddisfazioni materiali e sopratutto hanno
minor libertà ed indipendenza. Si può dire anzi che in
generale nelle società colte le classi inferiori, lungi
dall'essere lentamente eliminate per via della così detta
selezione naturale, sono più prolifiche delle superiori, ed
è certo che, anche in quelle classi, tutti gl'individui
finiscono quasi sempre coll'avere un pane ed una donna; per quanto
il primo possa essere più o meno nero e stentato, la seconda
più o meno leggiadra e desiderabile.
La poligamia delle classi superiori è il solo argomento che
si potrebbe citare a favore del principio della selezione naturale
applicato alle società barbare e civili. Ma anche
quest'argomento è debolissimo, perchè alla poligamia
umana non corrisponde sempre una maggiore fecondità e
perchè sono a preferenza poligame quelle società
umane, le quali hanno realizzato minori progressi sociali;
sicchè la selezione naturale si sarebbe mostrata più
impotente colà dove aveva maggiori mezzi d'azione.
XIV. — Premesse queste osservazioni, che equivalgono quasi ad una
questione pregiudiziale, venendo ad altro ordine d'idee, è
facile rilevare che, se il progresso di una razza e di una nazione
dipendesse principalmente dal miglioramento organico degli individui
che ne fanno parte, le vicende del mondo dovrebbero presentare una
trama ben differente di quella che noi conosciamo. Il progresso
morale, intellettuale e quindi sociale di ogni popolo dovrebbe
essere più lento, ma più continuo. La legge della
selezione naturale combinata con quella dell'eredità dovrebbe
ad ogni generazione far segnare un passo, ma un passo solo, in
avanti di quella che l'ha preceduto; e non dovrebbe accadere,
ciò che nella storia spessissimo vediamo, che un popolo in
due o tre generazioni soltanto dia moltissimi passi avanti e,
qualche volta, moltissimi indietro.
Questi casi di progressi rapidi e di decadenze vertiginose sono
così comuni che quasi non varrebbe la pena di citarli. Da
Pisistrato a Socrate non corrono che circa centovent'anni, ma
durante essi l'arte, il pensiero, la civiltà ellenica
compirono tali incommensurabili progressi da trasformare un popolo
di civiltà mediocre, per quanto antica, in quella Grecia, che
nella storia del progresso umano scrisse le pagine più
splendide, più profonde, più incancellabili. Non
citiamo l'esempio di Roma perchè, a dir vero, nel suo rapido
passaggio dalla barbarie alla civiltà ebbe moltissima parte
l'influenza ellenica; ma l'Italia del rinascimento cronologicamente
non dista che un secolo circa dall'Italia di Dante, eppure in questo
spazio di tempo, l'ideale artistico, morale e scientifico per
lavorìo intimo ed originale della nazione cambia interamente,
e l'uomo del Medio Evo si trasforma e scompare.
Osserviamo un momento la Francia del 1650 e quella del 1750. Nella
prima vive ancora chi può rammentare la notte di S.
Bartolomeo; le guerre religiose, la lega santa, due Re che
consecutivamente cadono sotto il coltello dei fanatici sono fatti,
che non hanno ancora acquistato il mistero dell'antichità,
dei quali i testimoni oculari non devono essere rari; alla presa
della Roccella, ultimo episodio del periodo storico che abbiamo
accennato, hanno potuto assistere tutti coloro, che appena varcarono
la prima gioventù; quasi nessuno osa esprimere i suoi dubbi
sull'esistenza dei folletti e delle streghe, e trentasette anni sono
appena trascorsi dal dì che, come strega, fu bruciata la
moglie del maresciallo d'Ancre. Un secolo dopo Montesquieu è
già vecchio, Voltaire e Rousseau sono adulti, l'Enciclopedia,
se non pubblicata, è già matura nel mondo
intellettuale, la rivoluzione dell'ottantanove nelle idee, nelle
credenze, nei costumi si può dire quasi compiuta. E, senza
andar cercando altri esempi lontani, guardiamo i paesi più
noti dell'Europa presente, l'Inghilterra, la Germania, l'Italia, la
Spagna. Certo la rivoluzione intellettuale e morale, che si svolse
nell'ultimo secolo in queste nazioni, se fosse stata una conseguenza
di modificazioni organiche degli individui che le compongono,
avrebbe richiesto per lo meno qualche dozzina di generazioni35.
D'altra parte anche gli esempi di rapide decadenze di nazioni e di
civiltà intere non sono rari. Si cerca di spiegarle
attribuendole alle invasioni ed alle distruzioni dei barbari, ma si
dimentica che, perchè un paese civile possa diventare preda
dei barbari, deve essere caduto in uno stato di grande esaurimento e
di grande disorganizzazione, che sono conseguenza della dissoluzione
morale e politica; giacchè, nel caso contrario, una maggiore
civiltà presuppone sempre una popolazione maggiore e
cognizioni e mezzi di offesa e di difesa più potenti ed
efficaci. La China è stata conquistata due volte dai Mongoli
o Tartari e l'India parecchie volte dai Turchi, dai Tartari, dagli
Afgani, ma la civiltà chinese ed indiana al momento delle
invasioni erano già entrate in periodi di decadenza.
E questa decadenza spontanea dei popoli civili in alcuni casi si
può quasi matematicamente accertare. Tutti gli orientalisti
sanno che l'antichissima fra tutte le antiche civiltà
egiziane, quella che canalizzò il Nilo, inventò la
scrittura geroglifica, costruì le grandi piramidi, si
ecclissò spontaneamente e scomparve senza che sinora se ne
siano potute conoscere le ragioni. Vi furono guerre civili, ecco
tutto quello che si sa, e poi l'oscurità e la barbarie, dalle
quali, dopo più di quattro secoli, si vede spontaneamente
sorgere una nuova civiltà36.
Babilonia, che per tanti e tanti secoli era stata un focolare di
civiltà, non fu distrutta dai suoi conquistatori, nè
da Ciro, nè da Dario, nè da Alessandro, decadde e
scomparve dalla scena del mondo per lenta consunzione, per
disfacimento spontaneo. L'impero romano d'occidente si dice che sia
stato distrutto dai barbari, ma chi conosce anche mediocremente la
storia sa che i barbari non ammazzarono che un cadavere, sa quanto
grande sia stata la decadenza nell'arte, nella letteratura, nella
ricchezza, nell'amministrazione, in tutti i rami insomma della
romana civiltà da Marco Aurelio a Diocleziano; epoca nella
quale i barbari non fecero che scorrere temporaneamente qualche
provincia, ma non si stabilirono in alcuna parte dell'impero,
nè ebbero modo di farvi danni duraturi37. Senza che fosse
perturbata da alcuna invasione od elemento straniero, la Spagna
della seconda metà del secolo decimosettimo non era
più che l'ombra di quel paese, che, un secolo prima era la
Spagna di Carlo V e che mezzo secolo prima, aveva avuto Cervantes,
Lopez de Vega e Quevedo38.
Tutti questi fatti si spiegano molto male o meglio non si spiegano
affatto con la teoria dell'evoluzione organica e superorganica e
della selezione naturale. Stando ad essa un popolo più civile
dovrebbe essere più epurato e migliorato dalla lotta per
l'esistenza, e per via dell'eredità avrebbe dovuto acquistare
sugli altri un vantaggio, che, nella corsa delle nazioni attraverso
i secoli, non si capisce perchè poi dovrebbe perdere. Al
contrario noi vediamo una nazione, un gruppo di popoli, ora
lanciarsi con impeto irresistibile avanti, ora accasciarsi e
miseramente restare indietro. Si può invero notare un
movimento di progresso, che, nonostante le interruzioni e le lacune,
spinge l'umanità sempre più avanti, e la
civiltà odierna della razza ariana è infatti superiore
a tutte le precedenti, ma bisogna riflettere che ogni nuovo popolo,
il quale ha la fortuna di diventare civile, ha molto meno cammino a
fare e disperde una quantità infinitamente minore di forze,
perchè esso eredita la esperienza e le cognizioni positive di
tutte le civiltà che l'hanno preceduto.
Certo che i Germani di Tacito non sarebbero arrivati in diciotto
secoli a formare centri di cultura come Londra, Berlino, New-York se
avessero dovuto inventare essi la scrittura alfabetica, i primi
elementi delle matematiche e tutto quel tesoro immenso di
cognizioni, che appresero mercè il contatto coi Greci e coi
Romani. Nè la civiltà ellenica e la civiltà
romana avrebbero tanto progredito senza le infiltrazioni delle
antiche civiltà orientali, alle quali appunto esse dovettero
la nozione dell'alfabeto e dei primi rudimenti delle scienze esatte.
Adunque piuttosto che per la via dell'eredità organica la
civiltà umana progredisce per quella della eredità
scientifica; possono restare stazionari, o anche diventar barbari, i
discendenti di un popolo civile e gli studi dei loro padri
feconderanno la civiltà nascente di orde incolte che si
troveranno in condizioni favorevoli per accogliere quei benefici
germi39.
A dir vero si riconosce anche dagli evoluzionisti il fatto che,
prima della razza ariana e segnatamente del ramo germanico di essa,
altre razze sono arrivate alla civiltà; ma si aggiunge che
queste razze sono decadute o rimaste stazionarie perchè
invecchiate, od, in altri termini, perchè hanno esaurito
tutta quella somma di energia intellettuale e morale di cui potevano
disporre. Veramente questa idea della vecchiaia di alcune razze ci
pare l'effetto di un'analogia del tutto apparente fra la vita
dell'individuo e quella della comunità; mentre, stando ai
fatti che noi vediamo, siccome i membri di quest'ultima si
riproducono sempre ed ogni nuova generazione ha tutto il vigore
della gioventù, un'intera società non può
diventare vecchia come accade all'individuo quando le sue forze
cominciano a declinare40. Nè, a nostra conoscenza, è
stata mai accertata alcuna differenza organica fra gl'individui di
una società che progredisce e quelli di un'altra
società che decade.
Le società in decadenza invecchiano perchè cambia il
tipo dell'organizzazione sociale; invecchiano allora, o meglio si
sfatano lentamente, le credenze religiose, i costumi, i pregiudizi e
le tradizioni sulle quali le istituzioni politiche e sociali sono
fondate: ma questi sono tutti elementi sociali il cui variare
dipende dall'intervento di nuovi fattori storici coi quali un popolo
si può trovare in contatto, o anche da una lenta e spontanea
elaborazione intellettuale, morale e sociale, che in seno allo
stesso si può produrre. Sicchè è molto, ma
molto arrischiato l'asserire che i cambiamenti nella costituzione
fisica della razza vi possano entrare per qualche cosa41.
Del resto questa credenza che tutte le civiltà extra-ariane,
l'egiziana, la babilonese, quella chinese antica e moderna siano
state e siano uniformemente immobili ci pare proprio l'effetto di un
errore d'ottica, proveniente dal fatto che noi le vediamo molto da
lontano. E il caso delle montagne, che, da lontano sotto il cielo
limpido e trasparente della Sicilia, sembrano belle muraglie
azzurre, che, perpendicolarmente ed uniformemente, chiudono
l'orizzonte e che, da vicino, poi si vede che sono tutt'altra cosa:
perchè ognuna comprende un piccolo mondo speciale di salite,
di discese, di accidentalità di ogni genere. Non possiamo
raccontare qui, neppure sommariamente, le vicende di Babilonia, di
Tebe, di Menfi, ma lo studio dei monumenti caldei ed egiziani ci ha
informato in modo omai non dubbio, che degli alti e dei bassi, delle
decadenze e delle epoche di risorgimento e di progresso ce ne furono
parecchie, tanto sulle rive del Nilo che su quelle dell'Eufrate e
del Tigri42. E quanto alla China, è vero che la sua
civiltà è durata maravigliosamente e senza
interruzione parecchie migliaia d'anni, ma non è a dire che
sia stata sempre la stessa: quel tanto che sappiamo della storia
chinese basta ad assicurarci che l'organizzazione politica e sociale
del Celeste impero ha subito, nel corso dei secoli, fortissime
modificazioni43.
XV. — Il Letourneau nel suo libro intitolato "Evoluzione della
morale" fa derivare il progresso delle società umane da un
processo organico, per il quale le azioni buone, che sarebbero poi
le azioni utili44, lasciano una traccia nel cervello e nei centri
nervosi dell'individuo che le fa, traccia che, ripetuta diverse
volte, produce una tendenza verso la continuazione dello stesso
atto, la qual tendenza si trasmette poi ai discendenti. Si
può domandare perchè non lasciano la stessa traccia le
azioni cattive od inutili. Ma ascoltiamo l'autore: egli scrive che
"come i corpi suscettibili di fosforescenza si ricordano della luce,
così la cellula nervosa si ricorda dei suoi atti intimi, ma
attenendosi a modi infinitamente più tenaci e svariati. Ogni
atto al quale ha presieduto la cellula nervosa, vi lascia una specie
di residuo funzionale, che nell'avvenire ne faciliterà la
ripetizione e qualche volta la provocherà. In effetto questa
ripetizione diverrà sempre più facile e finirà
anche col compiersi spontaneamente ed automaticamente. La cellula
nervosa avrà allora acquistato un'inclinazione, un'abitudine,
un istinto, un bisogno"45. E più avanti: "Le cellule nervose
sono per eccellenza degli apparecchi d'impregnazione; qualunque
corrente d'attività molecolare le traversi vi lascia
più o meno una traccia, che tende a rivivere. Con una
ripetizione sufficiente degli atti queste traccie s'organizzano, si
fissano, si trasmettono ereditariamente ed a ciascuna di esse
corrisponde una tendenza, un'inclinazione, che si manifesterà
all'occasione e contribuirà a costituire ciò che si
chiama il carattere. Bisogna tener presente questa veduta generale
se si vuole capire l'origine e l'evoluzione della morale". E
più avanti ancora, ribadendo sempre lo stesso concetto,
aggiunge: "Nei suoi tratti essenziali ciò che è etico
è utilitario e progressivo. Pertanto una volta formate,
impiantate nei centri nervosi, le inclinazioni morali o immorali non
si spengono che lentamente come esse si sono formate. Spesso anche
riappariscono per atavismo ed allora si vedono sorgere nel seno di
una società relativamente incivilita dei tipi morali
dell'epoca della pietra, ovvero dei tipi eroici in mezzo ad una
civiltà mercantile". Ci pare che questi brani bastino per
avere un'idea abbastanza precisa e coscienziosa del concetto
fondamentale dello scrittore. Essi sono inoltre sufficienti per
fornire un concetto abbastanza chiaro degli argomenti di tutta
quella scuola, che pone le scienze antropologiche a fondamento della
sociologia.
Le ipotesi però, per quanto belle ed ardite, nella scienza
hanno un valore solo quando sono confermate dall'esperienza, ossia
da dimostrazioni a base di fatti: ad ogni modo noi non vogliamo ora
discutere l'autenticità di tutto quel procedimento organico,
che, nel libro del Letourneau, troviamo così nettamente e
cosi sicuramente esposto. Ma i fatti sono sempre i fatti, essi hanno
lo stesso valore scientifico, sia che siano tratti dallo studio
delle cellule nervose, dal colore dei capelli e dalla misurazione
dei crani delle varie razze e dalla osservazione delle
società animali, oppure dallo studio della storia umana.
L'unica classificazione per ordine d'importanza, che si possa
ammettere tra essi, è quella tra fatti bene accertati, che,
ad esempio, non sono stati trovati ed asseriti da coloro stessi, che
vi hanno sopra fabbricato le loro teorie, e fatti dubbi, male
accertati, che hanno subito l'influenza dei preconcetti
dell'osservatore. Or tutta la storia ampiamente dimostra come il
progresso delle società umane non segua quel corso che
dovrebbe seguire se le teorie della scuola antropologica fossero
esatte: sicchè per accettarle bisogna che esse subiscano
almeno una modificazione. Si deve cioè ammettere che l'uomo
civile o capace di civiltà, il quale non è certo
comparso ieri sulla faccia del mondo, ha subito nelle sue cellule
nervose tante e così varie impressioni morali da rendergli
possibili le tendenze e le abitudini più disparate: tanto
quelle che conducono una società verso il progresso
intellettuale, morale e politico, quanto le altre, che la portano
alla decadenza ed al disfacimento46.
XVI — Ma, così ridotta, la teoria antropologica non ha
più alcun valore pratico, non c'insegna nè ci
può insegnare alcuna cosa, che già non sappiamo, e val
meglio di tentar di raggiungere risultati scientifici per altra via,
per quanto ardua questa possa essere. La verità è che,
come fondandosi sulla varietà dei climi, nessuna legge
generale si è potuta trovare intorno all'organizzazione delle
società umane ed alla varietà dei tipi, che esse
presentano, così non se ne è trovata alcuna che sia
basata sulla diversità delle razze e che è impossibile
attribuire al loro miglioramento od alla decadenza organica il
progresso o la rovina delle nazioni.
Chi ha molto viaggiato ordinariamente viene nell'opinione che gli
uomini, sotto le apparenti differenze di costumi e di abitudini, in
fondo psicologicamente si somigliano moltissimo; chi ha molto letto
la storia acquista una convinzione analoga per quel che riguarda le
varie epoche della umana civiltà: scorrendo i documenti i
quali c'informano come gli uomini di un altro tempo sentirono,
pensarono, vissero, la conclusione alla quale si arriva è
sempre identica: che essi erano molto simili a noi47. Questa
somiglianza psicologica, il fatto che le grandi razze, che formano i
quattro quinti dell'umanità, si sono mostrate capaci di
svariatissime vicende di progresso e di decadenza, ci induce a porre
avanti l'ipotesi, che è anche il risultato di tutte le
indagini negative che abbiamo già fatto, che come l'uomo o
almeno le grandi razze umane, hanno la tendenza costante a
costituirsi in società, così devono avere tendenze
psicologiche ugualmente forti e costanti, che le spingono verso un
grado sempre maggiore di cultura e di progresso sociale, tendenze
che però agiscono con più o meno forza, o possono
essere anche soffocate, a seconda che trovano più o meno
favorevole l'ambiente fisico, quel complesso di circostanze che si
chiama il caso fortuito48 ed anche a seconda che sono più o
meno combattute dall'ambiente sociale, cioè da altre tendenze
psicologiche egualmente generali e costanti49.
In fondo è un processo organico, per quanto più
complicato, simile a quello che avviene in tutta la natura animale e
vegetale. Una pianta ha la tendenza fortissima ad espandersi e
moltiplicarsi, tendenza che può essere agevolata o combattuta
dall'ambiente fisico, dalle condizioni cioè di umidità
e di clima, dal caso fortuito rappresentato dal vento e dagli
uccelli, che ne propagano o disperdono i semi, e da qualità
proprie, cioè dalla maggiore o minore resistenza, che oppone
alle malattie che la colpiscono. Simile pure è il
procedimento che avviene in quel ramo dell'attività sociale,
che è stato a preferenza degli altri studiato, cioè
nella produzione della ricchezza: produzione la quale ha una
tendenza indefinita ad aumentare, che è più o meno
ostacolata dalle difficoltà naturali, fino ad un certo punto
dal caso fortuito ed anche dall'ignoranza, dalla soverchia
ingordigia e dai pregiudizi umani.
L'uomo non crea nè distrugge alcuna delle forze della natura,
però può studiarne il gioco e l'andamento e dirigerlo
a suo profitto. È cosi che agisce nell'agricoltura, nella
navigazione, nella meccanica; è cosi che in questi rami di
attività la scienza moderna ha potuto raggiungere risultati
quasi miracolosi. Il metodo certo non può essere diverso
quando si tratta delle scienze sociali; e infatti è quello
stesso che ha dato finora discreti risultati nell'Economia politica.
Senonchè non è da dissimularsi che nelle scienze
sociali in genere le difficoltà da superare sono immensamente
maggiori: giacchè non solo la più grande
complessità delle leggi psicologiche, o tendenze costanti
comuni alle masse umane, rende più difficile il determinarne
l'azione, ma è indiscutibile che è più agevole
l'osservazione dei fatti che si svolgono attorno a noi,
anzichè quella dei fatti, che sono opera nostra. L'uomo
può studiare molto più agevolmente i fenomeni della
fisica, della chimica, della botanica, anzichè i propri
istinti e le proprie passioni50. E bisogna anche confessare che la
necessaria obiettività per condurre con buon risultato questo
genere di osservazioni sarà sempre privilegio di una
ristretta frazione d'individui dotati di attitudini speciali e di
una particolare educazione intellettuale, e, dato che questi
individui possano raggiungere risultati scientifici, è molto
problematico che riescano a modificare in base ad essi l'azione
politica delle grandi società umane51.
XVII. — Qualunque possa essere nell'avvenire l'efficacia pratica
della scienza politica è indiscutibile che i progressi di
questa disciplina sono tutti fondati sullo studio dei fatti sociali
e che questi fatti non si possono cavare che dalla storia delle
diverse nazioni. In altre parole se la scienza politica deve essere
fondata sullo studio e l'osservazione dei fatti politici è
all'antico metodo storico che bisogna tornare.
Contro questo metodo si elevano diverse obiezioni più o meno
gravi, alle quali brevemente risponderemo.
Si dice prima di tutto che moltissimi autori, a cominciare da
Aristotile continuando con Machiavelli e Montesquieu fino ai giorni
nostri, hanno questo metodo usato, e che, malgrado che molte delle
loro osservazioni parziali siano universalmente riconosciute come
fondate e come verità scientificamente acquisite, pure un
vero sistema scientifico ancora non si è trovato.
Ma del metodo storico in particolare si può dire quello che
abbiamo già detto del metodo positivo in genere, che per dare
buoni risultati deve essere bene applicato. Or per bene applicarlo,
condizione indispensabile è il conoscere la storia largamente
ed esattamente, e ciò non era nella possibilità
nè di Aristotile, nè di Machiavelli o di Montesquieu,
nè di alcun altro scrittore, che fosse vissuto solo
più di mezzo secolo addietro. Le grandi sintesi non possono
essere tentate che dopo che si ha una collezione grandissima di
fatti studiati ed accertati con criterio scientifico; certo anche
nei secoli scorsi delle nozioni storiche non mancavano, ma esse
erano quasi unicamente ristrette a singoli periodi: fino agli inizi
del secolo scorso si conosceva forse in qualche modo la
civiltà greco-romana e la storia delle nazioni moderne
europee, ma sul passato del resto del mondo non si sapevano se non
favole vaghissime ed incerte tradizioni. Ed anche nella ristretta
parte della storia, che abbiamo accennato, le nozioni che si
possedevano non erano perfette; non era ancora sviluppato il senso
critico, mancava quella paziente ricerca dei documenti, quella
minuziosa ed accurata interpretazione delle inscrizioni, che, non
solo ha precisato meglio le linee generali delle azioni dei grandi
personaggi storici, ma ci ha rivelato tutti quei dettagli delle
consuetudini sociali e dell'organizzazione politica ed
amministrativa dei diversi popoli, che sono interessanti per lo
studio della scienza politica assai più delle gesta personali
dei grandi guerrieri e dei sovrani.
La conoscenza esatta della geografia fisica, l'etnologia e la
filologia comparata, che illuminano sulle origini ed i rapporti di
consanguineità delle nazioni, la preistoria, che ha posto in
evidenza l'antichità del genere umano e di alcune
civiltà, la interpretazione degli alfabeti geroglifico,
cuneiforme ed indiano antico, che ci hanno svelato i misteri delle
civiltà orientali ora estinte, sono conquiste del secolo
decimonono. Ugualmente in questo secolo si sono, almeno in parte,
tolti i misteri, che avviluppavano la storia della China, del
Giappone e di altre nazioni dell'estremo oriente, e si sono in parte
scoperti, in parte più accuratamente studiati i ricordi delle
antiche civiltà americane. In questo secolo infine è
invalso l'uso degli studi statistici comparati, che ci rendono
facile la conoscenza delle condizioni di popoli lontanissimi.
Indiscutibilmente se lo studioso di scienze sociali poteva prima
intuire, ora soltanto ci ha i mezzi per osservare in grande, gli
strumenti ed i materiali per provare.
Aristotile non conosceva che imperfettissimamente la storia delle
grandi monarchie asiatiche; le sue cognizioni probabilmente si
limitavano a quanto ne avevano scritto Erodoto e Senofonte, ed a
quanto ne aveva potuto sapere dai seguaci di Alessandro, che poco
capivano i paesi che conquistavano. Sicchè in fondo altro
tipo politico non avea famigliare che lo Stato greco del quarto e
del quinto secolo avanti Cristo e poco o nulla di esatto avea potuto
apprendere sul resto del mondo: in queste condizioni la sua Politica
rappresenta uno sforzo intellettuale maraviglioso e la sua
classificazione dei governi in monarchie, aristocrazie e democrazie,
che ora si potrebbe giudicare incompleta e superficiale, allora
certo era quanto di meglio la mente umana potea escogitare.
Machiavelli ebbe per modello quasi esclusivo dello stato il Comune
italiano della fine del quattrocento, colle sue alternative di
tirannide e di anarchia, nel quale il potere si conquistava e si
perdeva per un giuoco di violenze e furberie, che facea guadagnare
la partita a chi sapea meglio mentire e dava l'ultimo colpo di
pugnale: si comprende che questo modello abbia colpito tanto il suo
spirito da fargli scrivere il Principe. La conoscenza quasi
esclusiva che avea della storia romana, come si poteva apprendere ai
suoi tempi, e di quella delle grandi monarchie moderne, che poco
avanti a lui eransi formate, spiegano i Discorsi sulle Decadi, le
Storie e le sue lettere. — Montesquieu non poteva conoscere la
storia dell'Oriente molto meglio di Aristotile, nè quella
greca e romana assai più profondamente di Machiavelli, e le
maggiori cognizioni che avea sugli istituti e la storia della
Francia, dell'Inghilterra e della Germania, a preferenza di quelli
degli altri paesi, danno la spiegazione della sua teoria secondo la
quale la libertà politica sarebbe solo possibile nei paesi
freddi.
XVIII. — Un'altra obiezione si fa al metodo storico, la quale se non
più fondata è certo più speciosa, e tale che
agli occhi di alcuni può parere molto grave e perfino
insuperabile. Essa si basa sulla poca attendibilità dei
materiali storici. Si dice infatti comunemente che tutti gli sforzi
degli storici spesso non giungono a scoprire la verità, che
frequentemente è difficile accertare precisamente come
realmente siano accaduti fatti che si sono svolti nel corso
dell'anno e nella nostra città, sicchè si può
ritenere come impossibile di ottenere racconti degni di fede quando
si tratta di epoche e paesi lontani. Non si manca di rilevare le
contradizioni che esistono tra i diversi storici e le smentite, che
l'un l'altro si danno, le passioni da cui ordinariamente sono
animati e se ne conclude che nessuna deduzione sicura, nessuna vera
scienza si può trarre da fatti che sono sempre molto dubbi e
imperfettamente conosciuti.
A questi argomenti la risposta non è ardua. E prima di tutto
osserviamo di passaggio che i fatti contemporanei non appuriamo
esattamente solo quando non abbiamo nè l'interesse nè
i mezzi di conoscere la verità, oppure quando vi sono
interessi contrari, che vi si oppongono. Se quest'ostacolo non vi
fosse, ognuno che volesse impiegarvi tempo ed un po' di danaro,
potrebbe sempre, in mezzo alle varie versioni, alle ciarle ed ai si
dice, trovare, per mezzo di un'inchiesta più o meno lunga,
come presso a poco un fatto realmente sia accaduto. Or, pei fatti
storici, quanto più antichi sono tanto più tacciono
gl'interessi, che mirano ad alterarne la esatta nozione, e si deve
supporre che lo storico abbia pazienza e tempo sufficienti per
appurare intorno ad essi la verità.
Di ben altra importanza è una seconda osservazione, che ora
faremo in proposito. I fatti storici sui quali regna e
regnerà sempre la maggiore incertezza sono quelli aneddottici
e biografici che possono interessare la vanità od il
tornaconto di un uomo, di una nazione, di un partito. E su questi
principalmente che la passione dello scrittore può essere
causa anche incosciente di errori; ma fortunatamente, questo genere
di fatti interessano mediocremente lo studioso di scienze politiche,
al quale importerà ben poco se una battaglia sia stata vinta
per merito di un tal capitano o per colpa di un altro, o se un
assassinio politico sia stato più o meno giustificabile. Al
contrario vi sono altri fatti che riguardano il tipo e
l'organizzazione sociale dei vari popoli e delle varie epoche; e su
questi appunto, che son quelli che a preferenza c'interessano, gli
storici, spontaneamente e senza partito preso, ci dicono spesso la
verità e più che gli storici ci illuminano i documenti
ed i monumenti.
Ad es. probabilmente non sapremo mai quando Omero precisamente
visse, in quale città nacque, quali furono i casi della sua
vita, ma ciò ha un certo interesse per il critico ed il
letterato che amerebbero conoscere i più minuti particolari
intorno alla persona dell'autore dell'Iliade e della Odissea, e ne
ha uno ben mediocre per il politico che studia il mondo psicologico
e sociale descritto dal gran poeta, mondo che, per quanto abbellito
dalla fantasia del vate, dovette realmente esistere in epoca poco
anteriore ad Omero. Nessuno conoscerà mai precisamente quali
siano stati i torti ed i meriti di Temistocle, come siano stati
pronunziati i discorsi di Pericle, quale fosse la gamba dalla quale
zoppicava Agesilao, la razza del cane di Alcibiade ed il colore del
cavallo di Alessandro Magno, ma è indiscutibilmente provato
che nell'Ellade, dal sesto al quarto secolo avanti Cristo, vi era un
tipo di organizzazione politica, della quale conosciamo già
bene, e sempre meglio conosceremo, a misura che si studieranno le
iscrizioni ed i monumenti che mano mano si trovano, le diverse
varietà, le specialità ed i particolari della
compagine amministrativa economica e militare.
Nessuno probabilmente conoscerà mai nulla di esatto sulla
vita del Re egiziano Kufro della IV dinastia, malgrado la grande
piramide, che egli si fece costruire per tomba, nessuno avrà
la biografia di Ramses 2° della XVIII dinastia, malgrado che
resti il poema di Pentaur, che ne celebra le vittorie vere o
supposte; ma nessuno porrà in dubbio che, trenta o quaranta
secoli avanti l'èra volgare, eravi già nella valle del
Nilo una società numerosa, organizzata, civile, e che lo
spirito umano dovette fare prodigiosi sforzi di pazienza e di
originalità per cavarla dalla barbarie. Nessuno può
porre in dubbio che questa società, modificandosi sempre nel
volger dei secoli, ebbe credenze religiose, cognizioni scientifiche
e, talvolta, cosi maravigliosa organizzazione amministrativa e
militare, che si potrebbe quasi paragonare a quella degli Stati
più civili dell'era odierna52.
È lecito dubitare che Tiberio e Nerone siano stati
così tristi come Tacito li ha descritti, che siasi esagerata
l'imbecillità di Claudio, la lascivia di Messalina, la
passione di Caligola per il suo cavallo. Ma non si può negare
l'esistenza dell'impero romano e la possibilità negli
imperatori di commettere malvagità e pazzie che, in altri
tempi ed in altri tipi di organizzazione politica, non sarebbero
state tollerate. Nè si può mettere in dubbio che, nei
primi secoli dell'era volgare, una grande civiltà riunita
politicamente in un grande stato abbracciava tutto il bacino del
Mediterraneo: e di questo stato conosciamo già abbastanza, e
sempre meglio conosceremo, la legislazione e la elaborata
organizzazione finanziaria, amministrativa e militare. Si può
perfino supporre che Sakia-Muni sia interamente un mito, che
Gesù Cristo non sia stato mai crocifisso, anzi che neppure
abbia esistito, ma nessuno negherà mai l'esistenza del
Buddismo e del Cristianesimo coi dogmi e precetti morali che li
costituiscono; nessuno negherà mai che queste due religioni,
poichè tanto si son diffuse e da tanto tempo durano, devono
rispondere a sentimenti ed a bisogni psicologici diffusissimi nelle
masse umane.
XIX. — In conclusione dunque, pur ammettendo che l'aneddoto ed il
particolare biografico abbiano potuto influire sulla storia delle
nazioni, ci pare innegabile che essi possono dare ben poco aiuto
nello scoprire le grandi leggi psicologiche, che si manifestano
nella vita delle nazioni stesse. Queste leggi svelano piuttosto la
loro azione nelle istituzioni amministrative e giuridiche, nelle
religioni, in tutte le abitudini morali e politiche dei vari popoli,
ed è quindi in questi ultimi ordini di fatti che dobbiamo
concentrare la nostra attenzione.
Ed intorno a questi fatti crediamo difficile e scarsamente utile
stabilire dei criteri precisi di preferenza. In verità
qualunque notizia, sia storica o contemporanea, che riguardi le
istituzioni di un popolo politicamente organizzato, che sia
cioè riunito in masse piuttosto numerose e che abbia
raggiunto un certo grado di una qualunque civiltà, può
essere molto interessante. Se una raccomandazione si può fare
in proposito è questa: che si sfugga dal ricavare tutte le
osservazioni da un gruppo di organismi politici, che appartengono
allo stesso periodo storico o presentino lo stesso, o poco
dissimile, tipo di civiltà53. Lo Spencer, come abbiamo
già accennato, nei suoi Primi principî di sociologia ha
cercato di premunire gli studiosi di scienze sociali contro quelli
che egli chiama pregiudizi; che consistono in certe abitudini dello
spirito umano, per le quali l'osservatore vede i fatti sociali sotto
un punto di vista subiettivo unilaterale e ristretto, che
necessariamente produce dei risultati erronei. Or, per riparare a
quest'inconveniente, non basta avvertire chi può cadervi che
l'inconveniente esiste, ma bisogna che il suo spirito sia preparato
in maniera da evitarlo. Infatti l'aver la nozione del pregiudizio
politico, del pregiudizio nazionale e di quello religioso o
antireligioso non toglie che una persona, la quale è stata
educata nella credenza che una data forma di governo basti a
rigenerare l'umanità, che la sua nazione è la prima
dell'universo, che la sua religione è la sola verace o che il
progresso umano consista nella distruzione di tutte le religioni,
quando viene all'applicazione pratica delle teoriche spenceriane,
non cada in uno o in parecchi dei pregiudizi enumerati. La vera
salvaguardia contro questa specie di errori sta nel sapere elevare
il proprio criterio al di sopra delle credenze ed opinioni che sono
generali nella propria epoca o in quel tipo sociale o nazionale di
cui facciamo parte; il che, riportandoci ad un concetto già
accennato, corrisponde all'avere studiato molti fatti sociali, a
conoscer bene e molto la storia, non già di un periodo o di
un popolo, ma possibilmente dell'umanità.
XX. — Ai giorni nostri, od almeno fino a poco tempo fa, è
prevalsa negli studi sociali la tendenza a considerare con speciale
cura gli organismi politici più semplici e più
primitivi, cioè quelli delle tribù selvaggie; e tutte
le circostanze, che ad esse si riferiscono, sono state attentamente
notate e registrate54. Le relazioni dei viaggiatori, che fra queste
tribù hanno dimorato, hanno perciò acquistato una
particolare importanza e riempiono i moderni libri di Sociologia.
Or noi non diremo che questi studi siano completamente inutili,
giacchè è difficile trovare un'applicazione qualsiasi
dello spirito umano, che resti completamente infeconda; ma certo non
ci sembrano i più adatti a fornire solidi materiali alle
scienze sociali in genere ed alla scienza politica in ispecie. E,
prima di tutto, facciamo osservare che le relazioni dei viaggiatori
sono ordinariamente più subiettive, più incerte e
contradittorie dei racconti degli storici e sopratutto meno soggette
al controllo dei documenti e dei monumenti. Un individuo, che si
trova in mezzo a uomini di una civiltà molto differente di
quella alla quale è abituato, generalmente li osserva a
preferenza da certi punti di vista speciali, e perciò
può facilmente prendere abbagli ed errori. Erodoto, che fu il
più gran viaggiatore dell'antichità ed osservatore,
come ora si è riscontrato, non superficiale e coscienzioso,
molte cose riferì erroneamente, appunto perchè,
abituato alla civiltà greca, mal sapea spiegarsi certi
fenomeni delle civiltà orientali: e se si potessero
controllare le relazioni dei viaggiatori moderni su documenti
autentici, come si è fatto qualche volta con quelle di
Erodoto, non crediamo che le troveremmo più esatte55.
In secondo luogo poi, e ci par questo argomento decisivo, i fatti
sociali non si possono raccogliere che nelle società umane, e
per società non si deve intendere un'agglomerazione di poche
famiglie, ma ciò che comunemente dicesi una nazione, un
popolo, uno stato. Le forze psicologiche sociali non si possono
sviluppare e non possono avere la loro applicazione che nei grandi
organismi politici, cioè colà dove esistono numerose
riunioni di uomini moralmente e politicamente uniti. Nel gruppo
primitivo, nella tribù di cinquanta o cento individui, il
problema politico quasi non esiste e quindi non si può
studiare.
Ad esempio è molto facile spiegarsi la monarchia in una di
quelle tribù che abbiamo accennato, nelle quali il maschio
più forte e più scaltro facilmente s'impone ai pochi
compagni; ma occorrono ben altri elementi per potere darsi ragione
dello stabilirsi di questa istituzione in società di milioni
di individui, nelle quali un solo non si può materialmente
imporre alla totalità degli altri e, per quanto abile ed
energico, troverà facilmente nella massa centinaia di
individui che, almeno potenzialmente, sono abili ed energici quanto
lui. Si comprende pure facilmente come poche decine ed anche poche
centinaia d'individui, che vivono insieme, restando isolati
moralmente, se non materialmente, dal resto del mondo, presentino
una data singolarità di tipo morale, ed abbiano vivo il
sentimento della tribù e della famiglia. Ma il comprendere
ciò ci aiuta ben poco quando si tratta di spiegarci
perchè una identità di tipo morale, un sentimento
vivissimo nazionale, esista in agglomerazioni umane di decine e
qualche volta, come nel caso della Russia e della China, di
centinaia di milioni di persone, nelle quali gli individui quasi
sempre vivono lontanissimi gli uni dagli altri, sono nella loro
grandissima maggioranza scevri di qualunque reciproco rapporto
personale, e, nei loro vari gruppi, presentano condizioni di vita
materiale molto differente.
Si dice che lo studio degli enti politici minuscoli riesce
utilissimo, perchè in essi si trovano in embrione tutti
quegli organi sociali che poi si vanno mano mano sviluppando nelle
società più vaste e più progredite, e si crede
che riesca molto più facile esaminarne il meccanismo quando i
detti organi sono rudimentali, anzichè quando divengono
complicati. Ma il paragone, ormai così frequente, fra
l'organizzazione delle società umane e quelle degli individui
del regno animale, giammai crediamo che sia stato meno calzante e
meno opportuno come in questo caso. Esso si può ritorcere
facilissimamente contro la tesi a favore della quale fu invocato;
giacchè non crediamo che nessun zoologo vorrebbe trar lume
dallo studio degli animali inferiori per risolvere le quistioni
riguardanti l'anatomia e la fisiologia dei vertebrati a sangue
caldo, e non è certo coll'osservazione delle monère e
dei polipi che si sono scoperte la circolazione del sangue ed
accertate le funzioni del cuore, del cervello e dei polmoni
nell'uomo e negli altri animali superiori.
Ed ora non manca che un argomento ancora, ma è il più
importante di tutti, per provare la bontà del metodo storico
da noi preferito. Questo argomento consiste nella buona applicazione
del detto metodo; nel dimostrare con l'esempio pratico che esso,
usufruendo di tutti i materiali storici, che la scienza di questo
secolo ha messo a nostra disposizione, può dare risultati
veramente scientifici. Ciò tenteremo di fare negli altri
capitoli di questo lavoro.
CAPITOLO II.
La classe politica.
I. Predominio di una classe dirigente in tutte le società. —
II. Importanza politica di questo fatto. — III. Prevalenza delle
minoranze organizzate sulle maggioranze. — IV. Forze politiche. Il
valor militare. — V. La ricchezza. — VI. Le credenze religiose e la
cultura scientifica. — VII. Influenza dell'eredità nella
classe politica. — VIII. Periodi di stabilità e di
rinnovamento della classe politica.
I — Fra le tendenze ed i fatti costanti, che si trovano in tutti gli
organismi politici, uno ve n'è la cui evidenza può
essere facilmente a tutti manifesta: in tutte le società, a
cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono
appena arrivate ai primordi della civiltà, fino alle
più colte e più forti, esistono due classi di persone:
quella dei governanti e l'altra dei governati. La prima, che
è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni
politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono
uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e
regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero
più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno
apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla
vitalità dell'organismo politico sono necessari.
Nella pratica della vita tutti riconosciamo l'esistenza di questa
classe dirigente o classe politica, come altra volta ebbimo a
definirla56. Sappiamo infatti che nel nostro paese alla direzione
della cosa pubblica vi è una minoranza di persone influenti,
di cui la maggioranza subisce, di buon grado o malgrado, la
direzione e che lo stesso avviene nei paesi vicini, e non sapremmo
quasi nella realtà immaginare un mondo organizzato
diversamente, nel quale tutti ugualmente e senza alcuna gerarchia
fossero sottoposti ad un solo o tutti ugualmente dirigessero le cose
politiche. Se in teoria ragioniamo altrimenti ciò è in
parte l'effetto di abitudini inveterate nel nostro pensiero ed in
parte è dovuto alla soverchia importanza che diamo a due
fatti politici, la cui appariscenza è d'assai superiore alla
realtà.
Il primo di essi consiste nella facile constatazione che in ogni
organismo politico vi è sempre una persona che è capo
della gerarchia di tutta la classe politica e dirige ciò che
si chiama il timone dello Stato. Questa persona non sempre è
quella che legalmente avrebbe il supremo potere, alle volte anzi,
accanto al Re od all'Imperatore ereditario vi è un primo
ministro o un maestro di palazzo che ha un potere effettivo maggiore
di quello del Sovrano, od, in luogo del Presidente elettivo, governa
l'uomo politico influente, che l'ha fatto eleggere. Qualche volta,
per circostanze speciali, invece di una persona sola sono due o tre
quelle che adempiono a quest'ufficio della suprema direzione.
Il secondo fatto è anch'esso di facile percezione,
perchè qualunque sia il tipo di organizzazione sociale,
agevolmente si può constatare che la pressione proveniente
dal malcontento dalla massa dei governati, le passioni da cui essa
è agitata possono esercitare una certa influenza
sull'indirizzo dalla classe politica.
Ma l'uomo che è a capo dello Stato non potrebbe certo
governare senza l'appoggio di una classe numerosa, che i suoi ordini
fa eseguire e rispettare, e se egli può far sentire il peso
della sua possanza ad uno od a parecchi dei singoli individui, che a
questa classe appartengono, non può certo urtarla nel suo
complesso e distruggerla. Giacchè, dato che ciò fosse
possibile, dovrebbe subito ricostituirne un'altra, senza di che la
sua azione sarebbe completamente annullata. E d'altra parte, ammesso
anche che il malcontento delle masse riuscisse a detronizzare la
classe dirigente, dovrebbe necessariamente trovarsi, come più
avanti meglio dimostreremo, nel seno delle masse stesse un'altra
minoranza organizzata, che all'ufficio di classe dirigente
adempisse. Altrimenti qualunque organizzazione e qualunque compagine
sociale sarebbe distrutta.
II. — Ciò che poi costituisce la vera superiorità
della classe politica, come base di ricerche scientifiche, è
l'importanza preponderante che la sua varia costituzione ha nel
determinare il tipo politico ed anche il grado di civiltà dei
diversi popoli. Stando infatti a quella maniera di classificare le
forme dei governi, che è ancora in voga, la Turchia e la
Russia erano fino a qualche anno fa tutte e due monarchie assolute,
l'Inghilterra e l'Italia monarchie costituzionali e la Francia e gli
Stati Uniti andrebbero poste nella categoria delle Repubbliche.
Questa classificazione è basata sul fatto che, nei primi due
paesi, il capo dello Stato è ereditario ed era nominalmente
onnipotente, nei secondi, pur essendo ereditario, ha facoltà
ed attribuzioni limitate, negli ultimi infine è elettivo. Ma
la classificazione è evidentemente superficiale.
Giacchè appare subito che ben poco di comune v'è nella
maniera come sono ed erano rette politicamente la Russia e la
Turchia, assai diverso essendo il grado di civiltà di questi
due paesi e l'ordinamento delle loro classi politiche: e, seguendo
lo stesso criterio, troviamo il regime dell'Italia monarchica assai
più analogo a quello della Francia repubblicana che a quello
dell'Inghilterra ugualmente monarchica, ed importantissime
differenze esservi fra l'ordinamento politico degli Stati Uniti e
quello della Francia stessa, sebbene ambidue i paesi siano retti a
repubblica.
Come poco avanti abbiamo accennato, lunghe abitudini di pensiero si
sono opposte e si oppongono su questo punto al progresso
scientifico. La classificazione da noi accennata, che divide i
Governi in monarchie assolute, temperate e repubbliche è
opera di Montesquieu che la sostituì a quella classica, che
già avea fatto Aristotele, il quale li divideva in monarchie,
aristocrazie e democrazie57. Da Polibio a Montesquieu molti autori
aveano perfezionato la classificazione aristotelica sviluppandola
nella teoria dei Governi misti. Poi la corrente democratica moderna,
che ebbe il suo inizio con Rousseau, si fondò sul concetto
che la maggioranza dei cittadini di uno Stato possa, anzi debba
partecipare alla vita politica; e la dottrina della sovranità
popolare, malgrado che la scienza moderna renda sempre più
manifesta la coesistenza in ogni organismo politico del principio
democratico, del monarchico e dell'aristocratico58, s'impone ancora
a moltissime menti. Noi qui non la confuteremo direttamente,
giacchè a questo compito adempiamo in tutto il complesso del
nostro lavoro, e perchè è assai difficile in poche
pagine distruggere in una mente umana tutto un sistema d'idee, che
vi si è radicato; giacchè, come bene scrisse il Las
Casas nella vita di Cristoforo Colombo, il disimparare è in
molti casi più difficile dell'imparare.
III. — Fin da ora però crediamo utile di rispondere ad una
obiezione, la quale ci pare che molto facilmente si possa fare al
nostro modo di vedere. Se è agevole il comprendere che un
solo non possa comandare ad una massa senza che ci sia in essa una
minoranza che lo sostenga, è piuttosto difficile l'ammettere
come un fatto costante e naturale, che le minoranze comandino alle
maggioranze anzichè queste a quelle. Ma è questo uno
dei punti, come tanti se ne danno in tutte le altre scienze, in cui
la prima apparenza delle cose è contraria alla loro
realtà. Nel fatto è fatale la prevalenza di una
minoranza organizzata, che obbedisce ad unico impulso, sulla
maggioranza disorganizzata. La forza di qualsiasi minoranza è
irresistibile di fronte ad ogni individuo della maggioranza, il
quale si trova solo davanti alla totalità della minoranza
organizzata; e nello stesso tempo si può dire che questa
è organizzata appunto perchè è minoranza.
Cento, che agiscano sempre di concerto e d'intesa gli uni cogli
altri, trionferanno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno
alcun accordo fra loro; e nello stesso tempo sarà ai primi
molto più facile l'agire di concerto e l'avere un'intesa,
perchè son cento e non mille.
Da questo fatto si ricava facilmente la conseguenza che, quanto
più è grande una comunità politica, altrettanto
minore può essere la proporzione della minoranza governante
rispetto alla maggioranza governata, e tanto più difficile
riesce a questa l'organizzarsi per reagire contro di quella.
Però, oltre al vantaggio grandissimo che viene
dall'organizzazione, le minoranze governanti ordinariamente sono
costituite in maniera che gl'individui che le compongono, si
distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che
danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale
od anche morale, oppure sono gli eredi di coloro che queste
qualità possedevano: essi in altre parole devono avere
qualche requisito, vero od apparente, che è fortemente
apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale
vivono.
IV. — Nelle Società primitive, che sono ancora nel primo
stadio della loro costituzione, la qualità che più
facilmente apre l'accesso alla classe politica o dirigente, è
il valor militare. La guerra, che nelle società di avanzata
civiltà è uno stato eccezionale, può essere
considerata quasi come normale in quelle che sono all'inizio del
loro sviluppo, ed allora gl'individui che spiegano in essa migliori
attitudini acquistano facilmente la supremazia sugli altri: i
più bravi diventano i capi. Il fatto è costante, ma le
modalità che può assumere, secondo i casi, sono
alquanto diverse.
Ordinariamente il dominio di una classe guerriera sopra una
moltitudine pacifica si suole attribuire alla sovrapposizione delle
razze, alla conquista, che un popolo bellicoso fa di un altro
relativamente imbelle. Qualche volta infatti la cosa avviene
precisamente così: e ne abbiamo degli esempi nell'India dopo
le invasioni degli Arii, nell'impero romano dopo quelle dei popoli
germanici e nel Messico dopo la conquista azteca; ma più
spesso ancora, in certe condizioni sociali, vediamo formarsi una
classe guerriera e dominatrice anche là dove di conquista
straniera non vi è assolutamente traccia. Finchè
un'orda infatti vive esclusivamente di caccia, allora tutti i suoi
individui possono facilmente tramutarsi in guerrieri e vi saranno
dei capi, che avranno naturalmente il predominio nella tribù,
ma non si avrà la formazione di una classe bellicosa, che
sfrutti e tuteli nello stesso tempo un'altra addetta al lavoro
pacifico. Ma, a misura che si va lasciando lo stadio venatorio e si
entra in quello agricolo e pastorale, allora, insieme all'aumento
enorme della popolazione ed alla maggiore stabilità dei mezzi
d'influenza sociale, può nascere la divisione più o
meno netta in due classi: l'una consacrata esclusivamente al lavoro
agricolo, l'altra alla guerra. Se ciò avviene, è
inevitabile che l'ultima acquisti poco a poco tale preponderanza
sulla prima da poterla impunemente opprimere.
La Polonia offre un esempio caratteristico del cambiamento graduale
della classe guerriera in classe assolutamente dominatrice. In
origine i Polacchi aveano quell'ordinamento del comune rurale che
era prevalso fra tutti i popoli slavi, nè eravi fra loro
distinzione alcuna fra guerrieri ed agricoltori, ossia nobili e
contadini. Però, dopo che fissaronsi nelle grandi pianure
dove scorre la Vistola ed il Niemen, cominciando a svilupparsi fra
essi l'agricoltura e nello stesso tempo continuando la
necessità di guerreggiare contro bellicosi vicini, i capi
delle tribù o woiewodi si circondarono di un certo numero di
individui scelti, i quali ebbero come occupazione speciale quella
delle armi. Essi erano divisi nelle varie comunità rurali ed
erano naturalmente esentati dai lavori agricoli, pur ricevendo la
loro porzione dei prodotti della terra, alla quale, come gli altri
comunisti, aveano diritto. Nei primi tempi la loro posizione non era
molto ricercata e vi ebbero esempi di paesani, che rifiutavano
l'esenzione dei lavori agricoli pur di non andare a combattere; ma,
gradatamente, come quest'ordine di cose si fece stabile, come una
classe si abituò al maneggio delle armi ed agli ordinamenti
militari, mentre l'altra vieppiù incallivasi nell'uso
dell'aratro e della vanga, i guerrieri divennero nobili e padroni ed
i contadini, da compagni e fratelli, tramutaronsi in villani e
servi. Poco a poco i bellicosi signori moltiplicarono le loro
esigenze al punto che la parte, che essi prendevano come membri
della comunità, si allargò fino a comprendere tutto il
prodotto della comunità stessa, meno ciò che era
assolutamente necessario alla sussistenza dei coltivatori; e quando
questi tentarono di fuggire, furono con la forza costretti a restar
legati alla terra, assumendo cosi il loro stato i caratteri di una
vera e propria servitù della gleba59.
Evoluzione analoga abbiamo in Russia. Colà i guerrieri che
costituivano la droujina, ossia il seguito degli antichi kniaz o
principi discendenti da Rürick, ottennero anch'essi, per
vivere, una parte del reddito dei mir, o comuni rurali dei
contadini. A poco a poco questa parte crebbe e siccome la terra
abbondava e le braccia mancavano ed i contadini ne profittavano per
emigrare, lo czar Boris Godounof alla fine del decimosesto secolo
diè il diritto ai nobili di ritenere con la forza i contadini
nelle loro terre, dando cosi origine alla servitù della
gleba. Però in Russia giammai la forza armata fu costituita
esclusivamente dai nobili: i moujiks o piccoli uomini seguivano alla
guerra come gregari i membri della droujina e poi, fin dal secolo
sedicesimo, Ivano IV il Terribile costituiva mediante gli strelitzi
un corpo di truppe quasi stanziali, che durò fino a quando
Pietro il Grande lo sostituì con i reggimenti organizzati
secondo il tipo europeo-occidentale, nei quali gli antichi membri
della droujina, uniti a stranieri, formarono il corpo degli
ufficiali, ed i moujiks diedero l'intero contingente dei soldati60.
In generale poi, in tutti i popoli entrati recentemente nello stadio
agricolo e relativamente civile, troviamo costante il fatto che la
classe per eccellenza militare corrisponde a quella politica o
dominatrice; in qualche parte anzi l'uso delle armi resta riservato
esclusivamente a questa classe, come è accaduto nell'India ed
in Polonia; più comunemente avviene che anche i membri della
classe governata possono essere eventualmente arruolati, ma sempre
come gregari e nei corpi meno stimati. Così in Grecia,
all'epoca delle guerre mediche, i cittadini appartenenti alle classi
più ricche ed influenti costituivano i corpi scelti dei
cavalieri e degli opliti, i meno ricchi combattevano come peltasti o
frombolieri e gli schiavi, ossia la massa dei lavoratori, era quasi
completamente esentata dal maneggio delle armi. Ordinamento
perfettamente analogo troviamo nella Roma repubblicana fino
all'epoca delle guerre puniche ed anche fino a Caio Mario, tra i
Galli all'epoca di Giulio Cesare61, nell'Europa latina e germanica
del Medio Evo, nella Russia testè citata ed in molti altri
popoli.
V. — Come in Russia ed in Polonia, come nell'India e nell'Europa del
Medio Evo, dappertutto le classi guerriere e dominatrici si sono
accaparrata la quasi esclusiva proprietà delle terre, che nei
paesi non molto civili sono la fonte principalissima della
produzione e della ricchezza. A misura poi che la civiltà va
progredendo, il reddito di queste terre va aumentando62, ed allora,
se altre circostanze vi concordano, può avvenire una
trasformazione sociale molto importante: la qualità
più caratteristica della classe dominante più che il
valore militare viene ad essere la ricchezza, i governanti sono i
ricchi piuttosto che i forti.
La principale condizione necessaria perchè questa
trasformazione avvenga è la seguente: occorre che
l'organizzazione sociale si perfezioni e si concentri in maniera che
il presidio della forza pubblica diventi molto più efficace
di quello della forza privata. Bisogna, in altre parole, che la
proprietà privata sia sufficientemente tutelata dalla forza
pratica e reale delle leggi in modo da rendere superflua quella del
proprietario stesso. Ciò si ottiene mediante una serie di
graduali mutamenti nell'ordinamento sociale, sui quali più
avanti ci dovremo piuttosto lungamente intrattenere, e che hanno per
effetto di cambiare quel tipo di organizzazione politica, che noi
chiameremo lo Stato feudale, in un altro tipo, essenzialmente
diverso, che da noi sarà denominato Stato burocratico.
Però fin da ora possiamo dire che la evoluzione, alla quale
abbiamo accennato, ordinariamente è molto facilitata dal
progredire dei pacifici costumi e da certe abitudini morali, che le
società contraggono col progredire della civiltà.
Una volta avvenuta la detta trasformazione è certo che, come
il potere politico ha prodotto la ricchezza, così la
ricchezza produce il potere. In una società già
abbastanza matura, nella quale la forza individuale è tenuta
a freno da quella collettiva, se i potenti sono ordinariamente i
ricchi, dall'altra parte basta essere ricchi per diventare potenti.
Ed in verità è inevitabile che, quando è
proibita la lotta a mano armata restando permessa quella a colpi di
scudi, i posti migliori siano conquistati appunto da coloro che di
scudi sono meglio forniti.
Ci sono invero Stati di civiltà avanzatissima, che sono
organizzati in base a principî morali di un'indole tale, che
sembrano escludere questa preponderanza della ricchezza da noi
enunciata. Ma questo è uno dei tanti casi in cui i principi
teorici non hanno che una limitata applicazione nella realtà
delle cose. Negli Stati Uniti d'America, ad esempio, tutti i poteri
escono direttamente od indirettamente dalle elezioni popolari ed il
suffragio è, in quasi tutti gli Stati, universale; e vi
è anche di più: la democrazia colà non è
solo nelle istituzioni, ma anche in certo modo nei costumi, e vi
è una certa ripugnanza nei ricchi a darsi ordinariamente alla
vita pubblica ed una certa ripugnanza nei poveri a scegliere i
ricchi per le cariche elettive63. Ciò non toglie che un ricco
vi sia sempre molto più influente di un povero, perchè
può pagare i politicanti spiantati, che dispongono delle
pubbliche amministrazioni; non toglie che le elezioni si facciano al
suono dei dollari; che intieri parlamenti locali e numerose frazioni
del Congresso non risentano l'influenza delle potenti compagnie
ferroviarie e dei grandi baroni della finanza. E vi è perfino
chi assicura che, in parecchi Stati dell'Unione, chi abbia molto da
spendere possa anche concedersi il lusso di ammazzare un uomo colla
quasi sicurezza dell'impunità64.
Anche nella China fino a qualche anno fa, il Governo, sebbene non
avesse accolto il principio dell'elezione popolare, era fondato
sopra una base essenzialmente egalitaria; si sa che i gradi
accademici aprivano l'accesso alle pubbliche cariche e che questi
gradi si conferivano per esame senza apparente riguardo alla nascita
od alla ricchezza65. Ma benchè la classe doviziosa sia in
China meno numerosa, meno ricca, meno strapotente che negli Stati
Uniti d'America, non è men vero che essa avea saputo
notevolmente intaccare la leale applicazione di questo sistema. Non
solo si comprava spesso a forza di danaro l'indulgenza degli
esaminatori, ma il Governo stesso talora per danaro vendeva i
diversi gradi accademici e permetteva che arrivassero agli impieghi
persone ignoranti, che qualche volta erano venute su dagli ultimi
strati sociali66.
Prima di lasciare quest'argomento dobbiamo poi rammentare che, in
tutti i paesi del mondo, altri mezzi d'influenza sociale, quali
sarebbero la notorietà, la grande cultura, le cognizioni
speciali, i gradi elevati nelle gerarchie ecclesiastiche,
amministrative e militari, si acquistano sempre più
facilmente dai ricchi anzichè dai poveri. I primi per
arrivare devono sempre percorrere una via notevolmente più
breve di quella dei secondi, senza contare che il tratto di strada,
che ai ricchi viene risparmiato, è spessissimo il più
aspro e difficile.
VI. — Nelle società nelle quali le credenze religiose hanno
molta forza ed i ministri del culto formano una classe speciale si
costituisce quasi sempre un'aristocrazia sacerdotale, che ottiene
una parte più o meno grande della ricchezza e del potere
politico. Abbiamo esempi cospicui di questo fatto in certe epoche
dell'antico Egitto, nell'India braminica e nell'Europa del Medio
Evo. Spesso i sacerdoti, oltre che adempire agli uffici religiosi,
hanno avuto anche cognizioni giuridiche e scientifiche e hanno
rappresentato la classe intellettualmente più elevata.
Conscientemente o inconscientemente però, nelle gerarchie
sacerdotali si è manifestata di frequente la tendenza a
monopolizzare le cognizioni accennate e ad ostacolare la diffusione
dei metodi e dei procedimenti, che rendono possibile e facile
l'apprenderle. Si può invero sospettare che a questa tendenza
sia, almeno in parte, dovuta la lentissima diffusione che ebbe
nell'Egitto antico l'alfabeto demotico, infinitamente più
semplice e facile della scrittura geroglifica. In Gallia i Druidi,
sebbene avessero conoscenza dell'alfabeto greco, non permettevano
che la copiosa raccolta della loro letteratura sacra fosse scritta
ed obbligavano i loro allievi a cacciarla con molta fatica a
memoria. Allo stesso scopo può essere attribuito l'uso tenace
e frequente delle lingue morte, che troviamo nell'antica Caldea,
nell'India e nell'Europa del Medio Evo. Qualche volta, infine, come
è appunto accaduto nell'India, si è proibito
formalmente alle classi inferiori di aver conoscenza dei libri
sacri.
Le nozioni speciali e la vera cultura scientifica, spoglie di
qualunque carattere sacro e religioso, diventano una forza politica
importante solo in uno stadio molto avanzato di civiltà; ed
è allora soltanto che esse possono a coloro che le posseggono
aprire l'adito della classe governante. Ma, anche in questo caso,
è da tener presente che ciò che ha un valore politico
non è tanto la scienza in se stessa quanto le applicazioni
pratiche che se ne possono fare a vantaggio del pubblico, ovvero
dello Stato. Qualche volta non si richiede che il possesso dei soli
procedimenti meccanici indispensabili per acquistare una coltura
superiore, forse perchè è più facile constatare
e misurare la perizia, che in essi il candidato ha potuto
acquistare. Così, in certe epoche dell'antico Egitto, la
professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche ed al potere,
forse anche perchè l'apprendere la scrittura geroglifica
richiedeva lunghi e pazienti studi; come pure, nella China moderna,
la conoscenza dei numerosissimi caratteri della scrittura chinese ha
formato la base della cultura dei mandarini67. Nell'Europa presente
ed in America la classe, che applica alla guerra,
all'amministrazione pubblica, alle opere ed alla sanità
pubblica i ritrovati della scienza moderna, occupa una posizione
socialmente e politicamente ragguardevole: e, negli stessi paesi,
come nella Roma antica, privilegiata assolutamente è la
condizione dei giurisperiti, che conoscono la complicata
legislazione comune a tutti i popoli di antica civiltà,
massime se alle nozioni giuridiche accoppiano quel genere di
eloquenza, che più incontra il gusto dei propri
contemporanei. Non mancano esempi nei quali vediamo che, nella
frazione più elevata della classe politica, la lunga pratica
nel dirigere l'organizzazione militare e civile della
comunità fa nascere e sviluppare una vera arte di governo
superiore al gretto empirismo ed a tutto ciò che può
suggerire la sola esperienza individuale. E allora che si
costituiscono quelle aristocrazie di funzionari, come il Senato
romano, il veneto e, fino ad un certo punto la stessa aristocrazia
inglese, che formavano l'ammirazione dello Stuart Mill e che certo
hanno dato alcuni dei Governi, che più si sono distinti per
maturità nei loro disegni e costanza ed avvedutezza nel
metterli in esecuzione. Quest'arte non è certo la Scienza
politica, ma ha precorso senza dubbio l'applicazione di alcuni suoi
postulati; però, se essa si è in qualche modo
affermata in certe classi di persone da lungo tempo in possesso
delle funzioni politiche, crediamo che la sua conoscenza non abbia
servito mai come criterio ordinario per aprirne l'accesso a coloro,
che dalla loro posizione sociale ne restavano esclusi68.
VII. — In certi paesi troviamo le caste ereditarie; la classe
governante è perciò definitivamente ristretta ad un
dato numero di famiglie e la nascita è l'unico criterio, che
determina l'entrata nella detta classe o l'esclusione da essa. Gli
esempi di queste aristocrazie ereditarie sono comunissimi e non vi
è quasi paese di antica civiltà, che, in una data
epoca della sua storia, non ne abbia avuto. Una nobiltà
ereditaria troviamo infatti in certi periodi nella China e
nell'Egitto antico, nell'India, nella Grecia anteriore alle guerre
mediche, in Roma antica, tra gli Slavi, tra i Latini e Germani del
Medio Evo, nel Messico all'epoca della scoverta dell'America e nel
Giappone fino a pochi anni fa.
Su questo proposito dobbiamo premettere due osservazioni: la prima
è che tutte le classi politiche hanno la tendenza a diventare
di fatto, se non di diritto, ereditarie. Infatti tutte le forze
politiche hanno quella qualità, che in fisica si chiama forza
di inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello
stato in cui si trovano. Il valor militare e la ricchezza facilmente
per tradizione morale e per effetto dell'eredità si
mantengono in certe famiglie; e la pratica delle grandi cariche,
l'abitudine e quasi l'attitudine a trattare gli affari di importanza
si acquistano molto più facilmente quando da piccoli si
è avuta con essi una certa famigliarità. Anche quando
i gradi accademici, la coltura scientifica, le attitudini speciali
provate per mezzo di esami e di concorsi aprono l'adito alle cariche
pubbliche, non si distrugge quel vantaggio speciale a favore di
taluni, che i Francesi definiscono il vantaggio delle posizioni
già prese. Ed in realtà, per quanto esami e concorsi
siano teoricamente aperti a tutti, alla maggioranza manca sempre
l'agiatezza necessaria per sopperire alle spese di una lunga
preparazione, ed a molti altri fanno difetto le relazioni e le
parentele, per le quali un individuo è messo subito sulla via
buona e si evitano i tentennamenti e gli sbagli inevitabili quando
si entra in un ambiente sconosciuto, nel quale non si hanno guide ed
appoggi69.
La seconda osservazione consiste in ciò: che, quando vediamo
in un paese stabilita una casta ereditaria che monopolizza il potere
politico, si può esser sicuri che un simile stato di diritto
fu preceduto dallo stato di fatto. Prima di affermare il loro
diritto esclusivo ed ereditario al potere, le famiglie o le caste
potenti dovettero tenere ben saldo nelle loro mani il bastone del
comando, dovettero monopolizzare assolutamente tutte le forze
politiche di quell'epoca e di quel popolo in cui si affermarono;
altrimenti una pretesa di questo genere avrebbe suscitato proteste e
lotte acerbissime.
Dopo ciò diremo come le aristocrazie ereditarie spesso hanno
vantato una origine soprannaturale o almeno diversa e superiore a
quella delle classi governate; tale pretesa si spiega con un fatto
sociale importantissimo, del quale dovremo lungamente parlare nel
seguente capitolo, e che fa sì che ogni classe governante
tende a giustificare il suo potere di fatto appoggiandolo ad un
principio morale d'ordine generale. Recentemente però la
stessa pretesa si è presentata con l'appoggio di un corredo
scientifico. Qualche scrittore, sviluppando ed ampliando le teorie
del Darwin, crede che le classi superiori rappresentino un grado
più elevato dell'evoluzione sociale e che esse quindi siano
per costituzione organica migliori di quelle inferiori; il
Grumplowicz, già citato, va più avanti e sostiene
nettamente il concetto che la divisione dei popoli in classi
professionali è fondata, nei paesi di moderna civiltà,
sopra una eterogeneità etnica70.
Or sono notissime nella storia le qualità come anche i
difetti speciali, le une e gli altri molto accentuati, che hanno
mostrato quelle aristocrazie, che sono rimaste perfettamente chiuse,
oppure che hanno reso molto difficile l'accesso nella loro classe.
L'antico patriziato romano e la moderna nobiltà inglese e
tedesca danno subito l'idea del tipo che accenniamo.
Senonchè, di fronte a questo fatto ed alle teorie che tendono
ad esagerarne la portata, si può fare sempre la stessa
obiezione: che gl'individui appartenenti a queste aristocrazie
debbono le loro qualità speciali non tanto al sangue, che
loro scorre nelle vene, quanto alla particolarissima educazione che
hanno ricevuto, e che ha sviluppato in loro certe tendenze
intellettuali e morali a preferenza di altre71.
Si dice che ciò può esser sufficiente a spiegare le
superiorità nelle attitudini puramente intellettuali, ma non
le differenze di carattere morale, come sarebbero la forza di
volontà, il coraggio, l'orgoglio, l'energia. Ma la
verità è che la posizione sociale, le tradizioni di
famiglia, le abitudini della classe in cui viviamo, contribuiscono
al maggiore o minore sviluppo delle qualità accennate
più di quanto comunemente si crede. Se infatti osserviamo
attentamente gl'individui che cambiano di posizione sociale, o in
meglio o in peggio, e che entrano in conseguenza in un ambiente
diverso da quello al quale erano abituati, possiamo facilmente
accertarci che le loro attitudini intellettuali si modificano molto
meno sensibilmente di quelle morali, Astrazion facendo della
maggiore larghezza di vedute, che lo studio e le cognizioni danno a
chiunque non sia assolutamente uno stupido, ogni individuo, resti
semplice segretario o diventi ministro, arrivi al grado di sergente
od a quello di generale, sia milionario o pezzente, si mantiene
immancabilmente a quel livello intellettuale, che la natura gli ha
dato. Mentre, col cambiare del grado sociale e della ricchezza,
possiamo benissimo vedere l'orgoglioso diventare umile e la
servilità cambiarsi in tracotanza; un carattere franco e
fiero, costretto da necessità, imparare a mentire o quanto
meno a dissimulare; e chi si è piegato lungamente a simulare
e mentire rifarsene poi adottando una sedicente franchezza ed
inflessibilità di carattere. È pure vero che chi
dall'alto viene abbassato spesso acquista forza di rassegnazione, di
sacrificio e d'iniziativa, come pure che chi dal basso viene
innalzato qualche volta guadagna riguardo al sentimento della
giustizia e dell'equità. Insomma, si muti in bene o in male,
deve essere eccezionalmente temprato quell'individuo, che, cambiando
notevolmente di posizione sociale, conserva inalterato il proprio
carattere72.
Il coraggio guerresco, l'energia nell'attacco, la longanimità
nella resistenza sono qualità, che spesso e lungamente sono
state credute monopolio delle classi superiori. Certo grande
può essere la differenza naturale e, diremo cosi, innata che
su queste qualità può correre fra un individuo ed un
altro; a mantenerle però alte o basse, in media, in una
categoria d'uomini numerosa, concorrono sopratutto le tradizioni e
le abitudini dell'ambiente. Generalmente ci familiarizziamo col
pericolo, o meglio ancora con un dato pericolo, quando le persone
con cui siamo usi a vivere ne parlano con indifferenza e rimangono
calme ed imperturbabili davanti ad esso. Infatti, sebbene molti ce
ne siano naturalmente timidi, i montanari affrontano impavidi i
pericoli degli abissi ed i marinari quelli del mare, ed allo stesso
modo le popolazioni e le classi abituate alla guerra mantengono in
sommo grado le virtù militari.
E ciò è tanto vero che, anche popolazioni e classi
sociali ordinariamente disusate dalle armi, acquistano rapidamente
le dette virtù, purchè gl'individui da esse
provenienti vengano incorporati in certi nuclei, dove il coraggio e
l'ardire siano tradizionali; purchè siano, ci si passi la
metafora, gettati in crogiuoli umani fortemente imbevuti di quei
sentimenti, che ad essi si vogliono trasmettere. Con fanciulli
principalmente rubati fra gl'infiacchiti Greci di Bisanzio Maometto
II reclutava i suoi terribili giannizzeri; il tanto disprezzato
fellah egiziano, da lunghi secoli disabituato dalle armi ed avvezzo
a ricevere umile ed imbelle le bastonate di tutti gli oppressori,
mescolato ai Turchi ed Albanesi di Mehemet-Alì diventava un
buon soldato. La nobiltà francese ha goduto sempre gran fama
per il suo brillante valore, ma, fino alla fine del secolo
decimottavo, questa qualità non era ugualmente attribuita
alla borghesia dello stesso paese; le guerre della repubblica e
dell'impero dimostrarono ampiamente che la natura era stata
ugualmente prodiga di coraggio per tutti gli abitanti della Francia,
e che plebe e borghesia potevano fornire non solo buoni soldati, ma
anche, che ciò si credeva privilegio esclusivo dei nobili,
eccellenti ufficiali73.
VIII. — Infine, stando all'idea di coloro che sostengono la forza
esclusiva del principio ereditario nella classe politica, si
verrebbe ad una conseguenza consimile a quella che abbiamo accennato
nella prima parte del nostro lavoro: la storia politica della
umanità dovrebbe essere molto più semplice di quella
che è. Se veramente la classe politica appartenesse ad una
razza differente o se le sue qualità dominatrici si
trasmettessero principalmente per mezzo della eredità
organica, non si capirebbe il perchè, formata una volta
questa classe, essa debba decadere e perdere il potere. È
ammesso comunemente che le qualità proprie di una razza sono
molto tenaci e, stando alla teoria dell'evoluzione, le attitudini
acquisite nei padri sono innate nei figli e col succedersi delle
generazioni si vanno sempre più affinando. Sicchè i
discendenti dei dominatori dovrebbero diventare sempre più
atti a dominare, e le altre classi dovrebbero mano mano vedere
allontanata la possibilità di misurarsi con loro e di
sostituirli. Or la più volgare esperienza basta a farci
sicuri che le cose non vanno precisamente così.
Noi vediamo che, appena si spostano le forze politiche, se si fa
sentire il bisogno che attitudini diverse di quelle antiche si
affermino nella direzione dello Stato e se le antiche quindi non
conservano la loro importanza, o se avvengono dei cambiamenti nella
loro distribuzione, muta anche la maniera come la classe politica
è formata. Se in una società si forma un nuovo cespite
di ricchezza, se cresce l'importanza pratica del sapere, se l'antica
religione decade od una nuova ne nasce, se una nuova corrente di
idee si diffonde, contemporaneamente avvengono forti spostamenti
nella classe dirigente. Si può dire anzi che tutta la storia
dell'umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza,
che hanno gli elementi dominatori a monopolizzare le forze politiche
ed a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la
tendenza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e
l'affermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorio
di endosmosi ed esosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di
quelle basse. Decadono poi immancabilmente le classi politiche ogni
qualvolta non possono più esercitare le qualità per le
quali arrivarono al potere, o quando non possono rendere più
il servizio sociale che rendevano o le loro qualità ed i
servizi che rendono perdono ogni importanza nell'ambiente sociale in
cui vivono: cosi decadde l'aristocrazia romana quando non
fornì più esclusivamente gli alti ufficiali
dell'esercito, gli amministratori della repubblica, i governatori
delle Provincie; cosi decadde la veneta quando i suoi patrizi non
comandarono più le galere e non passarono più gran
parte della loro vita navigando, commerciando e combattendo.
Nella natura inorganica troviamo l'esempio dell'aria, nella quale la
tendenza all'immobilità, prodotta dalla forza d'inerzia,
è continuamente combattuta dalla tendenza allo spostamento,
conseguenza delle ineguaglianze nella distribuzione del calorico. Le
due tendenze, prevalendo a vicenda nelle diverse parti del nostro
pianeta, vi producono or la calma, or il vento e la tempesta. Senza
voler trovare alcuna analogia sostanziale fra questo esempio ed i
fenomeni sociali, e solo citandolo perchè ci fa comodo come
paragone formale, osserviamo che, nelle società umane,
prevale ora la tendenza che produce la chiusura,
l'immobilità, la cristallizzazione, per dir così,
della classe politica, ora quella che ha per conseguenza il suo
più o meno rapido rinnovamento.
Le società dell'Oriente, che noi giudichiamo immobili, in
realtà non lo sono sempre state, perchè altrimenti,
come abbiamo già accennato, non avrebbero potuto fare quei
progressi di cui ci lasciarono le irrecusabili testimonianze.
È molto più esatto il dire che noi le abbiamo
conosciute quando erano in un periodo di cristallizzazione delle
loro forze e classi politiche. Lo stesso avviene in quelle
società, che comunemente si chiamano invecchiate, nelle quali
le credenze religiose, la cultura scientifica, i modi di produrre e
distribuire la ricchezza non hanno subito da lunghi secoli alcun
radicale cambiamento, e che non sono state turbate nel loro
ordinario andamento da infiltrazioni materiali od intellettuali di
elementi stranieri. In queste società, le forze politiche
essendo sempre le stesse, la classe che le possiede mantiene
indisputato il potere, che si perpetua per ciò in certe
famiglie e l'inclinazione verso la immobilità si generalizza
anche in tutti gli strati sociali.
È così che nell'India vediamo il regime delle caste
stabilirsi rigorosamente dopo che vi fu soffocato il Buddismo.
Così vediamo pure che nell'antico Egitto i Greci trovarono le
caste ereditarie, mentre sappiamo che nei periodi di splendore e
rinnovamento della civiltà egiziana la ereditarietà
degli uffici e delle condizioni sociali non esisteva74. Ma l'esempio
più noto e forse più importante di una società
che tende a cristallizzarsi l'abbiamo in quel periodo della storia
romana che dicesi il basso impero, nel quale, dopo alcuni secoli di
un'immobilità sociale quasi completa, vediamo farsi sempre
più netta la separazione fra due classi: l'una di grandi
proprietari e funzionari importanti, l'altra di servi, di coloni, di
plebe; e cosa anche più notevole, stabilita pria dal costume
che dalla legge, l'eredità degli uffici e delle condizioni
sociali si andò in quell'epoca rapidamente generalizzando75.
Ma può avvenire al contrario, e avviene qualche volta nella
storia delle nazioni, che il commercio con genti estranee, la
necessità di emigrare, le scoperte, le guerre, creino nuova
povertà e ricchezza nuova, diffondano cognizioni fin allora
sconosciute, producano l'infiltrazione di nuove correnti morali,
intellettuali e religiose. Può accadere che, per lenta
elaborazione interna o per effetto di queste infiltrazioni, o per
ambo le cause, sorga una scienza nuova, o tornino in onore i
risultati di quella antica, che era stata obliata, e che le nuove
idee e le nuove credenze scuotano le abitudini intellettuali sulle
quali si fondava l'obbedienza delle masse. La classe politica
può anche essere vinta e distrutta in tutto od in parte da
invasioni straniere e, quando si producono le circostanze dianzi
rammentate, può anche essere sbalzata di seggio da nuovi
strati sociali forti di nuove forze politiche. È naturale che
ci sia allora un periodo di rinnovamento, o, se si vuole definirlo
così, di rivoluzione, durante il quale le energie individuali
hanno buon giuoco ed alcuni fra gl'individui più passionati,
più attivi, più scaltri ed arditi possono dal basso
della scala sociale aprirsi la via fino ai gradi più elevati.
Questo movimento, una volta iniziato, non si può tutto ad un
tratto fermare; l'esempio di contemporanei, che, partiti dal nulla
sono arrivati a posizioni cospicue, stimola nuove ambizioni, nuove
cupidigie, nuove energie, ed il rinnovamento molecolare della classe
politica si mantiene attivo finchè un lungo periodo di
stabilità sociale non lo va di nuovo rallentando76. Allora,
mano mano che dallo stato febbrile una società va passando a
quello di calma, siccome le tendenze psicologiche dell'uomo sono
sempre le stesse, coloro che fanno parte della classe politica vanno
acquistando lo spirito di corpo e di esclusivismo ed imparano l'arte
di monopolizzare a loro vantaggio le qualità e le attitudini
necessarie per arrivare al potere e per mantenerlo: infine, col
tempo, si forma la forza conservatrice per eccellenza, quella
dell'abitudine, per la quale molti si rassegnano a stare in basso,
ed i membri di certe famiglie o classi privilegiate acquistano la
convinzione che per loro è quasi un diritto assoluto lo stare
in alto ed il comandare.
Ad un filantropo verrebbe certo la voglia di indagare se
l'umanità sia più felice o meno tribolata quando si
trova in un periodo di calma e cristallizzazione sociale, in cui
ognuno deve quasi fatalmente restare in quel gradino della gerarchia
sociale nel quale è nato, ovvero quando traversa il periodo
perfettamente opposto di rinnovamento e rivoluzione, che permette a
tutti di aspirare ai gradi più eccelsi ed a qualcheduno di
arrivarvi. Una simile indagine sarebbe difficile, e si dovrebbe
tener conto nella risposta di molte condizioni ed eccezioni e forse
essa sarebbe sempre influenzata dal gusto individuale
dell'osservatore. Perciò noi ci guarderemo bene dal darla;
molto più che, se anche potessimo ottenere un risultato
indiscutibile e sicuro, esso sarebbe sempre di una scarsissima
utilità pratica: attesochè ciò che filosofi e
teologi chiamano il libero arbitrio, cioè la scelta spontanea
degli individui, ha avuto finora, e forse avrà sempre,
pochissima o quasi nessuna influenza nell'affrettare la fine od il
principio di uno dei periodi storici accennati.
CAPITOLO III
Nozioni preliminari.
I. La formola politica. — II. Il tipo sociale. — III. Rapporti tra
il tipo sociale e le religioni universali. — IV. Efficacia di queste
religioni. — V. La formola politica e le religioni universali. — VI.
Lo Stato feudale e lo Stato burocratico. — VII. Differenze fra
questi due tipi di ordinamento politico. — VIII. Cenno sulle cause
della decadenza degli Stati burocratici.
I. — Come abbiamo già accennato nel precedente capitolo,
accade immancabilmente, o almeno è accaduto finora in tutte
le società discretamente numerose ed appena arrivate ad un
certo grado di coltura, che la classe politica non giustifica
esclusivamente il suo potere col solo possesso di fatto, ma cerca di
dare ad esso una base morale ed anche legale, facendolo scaturire
come conseguenza necessaria di dottrine e credenze generalmente
riconosciute ed accettate nella società che essa dirige.
Cosi, ad es., in una società fortemente imbevuta dallo
spirito cristiano, la classe politica governa per volontà del
sovrano, il quale, alla sua volta, regna perchè è
l'unto del Signore. Anche nelle società maomettane
l'autorità politica è esercitata direttamente in nome
dal califfo, ossia vicario del Profeta, o in nome di colui che dal
califfo ha ricevuto una investitura tacita od espressa. I mandarini
chinesi reggevano lo Stato, perchè si supponeva
interpretassero la volontà del figlio del cielo, che dal
cielo avea ricevuto il mandato di governare paternamente, e secondo
le regole della morale di Confucio, il popolo delle cento famiglie.
La complicata gerarchia dei funzionari civili e militari dell'impero
romano si fondava sulla volontà dell'imperatore, il quale,
almeno fino a Diocleziano, per supposizione legale, avea ricevuto
dal popolo il mandato di reggere la cosa pubblica. I poteri di tutti
i legislatori, magistrati ed impiegati negli Stati Uniti d'America
emanano direttamente od indirettamente dal suffragio degli elettori,
ritenuto espressione della sovrana volontà popolare.
Questa base giuridica e morale, sulla quale in ogni società
poggia il potere della classe politica, è quella che in altro
lavoro abbiamo chiamato77, e che d'ora in poi chiameremo formola
politica, e che i filosofi del diritto appellano generalmente
principio di sovranità. — Essa difficilmente è
identica in società diverse, e due o parecchie formole
politiche hanno notevoli punti di contatto, oppure una
rassomiglianza fondamentale, solo quando sono professate da popoli
che hanno lo stesso tipo di civiltà, o, usando già una
espressione che fra poco spiegheremo, appartengono allo stesso tipo
sociale. — Le diverse formole politiche, secondo il diverso grado di
civiltà delle genti fra le quali sono in vigore, possono
essere fondate o su credenze soprannaturali o sopra concetti che, se
non sono positivi, ossia fondati sulla realtà dei fatti,
appaiono almeno razionali. — Non diremo però che, tanto nel
primo che nell'altro caso, rispondano a verità scientifiche;
anzi ci è d'uopo confessare che, se nessuno ha visto mai
l'atto autentico con il quale il Signore ha dato facoltà a
certe persone o famiglie privilegiate di reggere per conto suo i
popoli, un osservatore coscienzioso può anche facilmente
constatare che un'elezione popolare, per quanto il suffragio sia
largo, non è ordinariamente l'espressione della
volontà delle maggioranze78.
Ciò però non vuol dire che le varie formole politiche
siano volgari ciarlatanerie inventate appositamente per scroccare
l'obbedienza delle masse, e sbaglierebbe di molto colui che in
questo modo le considerasse. La verità è dunque che
esse corrispondono ad un vero bisogno della natura sociale
dell'uomo; e questo bisogno, così universalmente sentito, di
governare e sentirsi governare non sulla sola base della forza
materiale ed intellettuale, ma anche su quella di un principio
morale, ha indiscutibilmente la sua pratica e reale importanza.
Ha scritto lo Spencer che il diritto divino dei Re fu la grande
superstizione dei secoli passati e che il diritto divino delle
assemblee elette a suffragio popolare è la grande
superstizione del secolo presente. — Il concetto non si può
dire errato, ma certo non contempla ed esaurisce tutti i lati della
questione. Pare a noi che sia necessario anche di vedere se, senza
qualcuna di queste grandi superstizioni, una società si possa
reggere; se una illusione generale non sia cioè una forza
sociale, che serve potentemente a cementare la unità e la
organizzazione politica di un popolo e di un'intera civiltà.
II — L'umanità si divide in gruppi sociali, ognuno dei quali
è distinto dagli altri da credenze, sentimenti, abitudini ed
interessi, che ad esso sono speciali. Gl'individui, che di uno di
questi gruppi fanno parte, sono uniti fra loro dalla coscienza di
una fratellanza comune, e divisi dagli altri gruppi da passioni e
tendenze più o meno antagonistiche e repulsive. Come abbiamo
già accennato, la formola politica deve essere fondata sulle
speciali credenze e sui sentimenti più forti del gruppo
sociale nel quale è in vigore, o almeno della frazione di
questo gruppo, che ha la preminenza politica.
Questo fenomeno dell'esistenza dei gruppi sociali, ognuno dei quali
ha caratteristiche proprie e spesso presume una superiorità
assoluta sugli altri79, è stato riconosciuto ed esaminato da
molti autori, segnatamente da quelli moderni che trattano del
principio di nazionalità. Recentemente il Gumplowicz ha fatto
molto bene rilevare l'importanza che esso ha nella Scienza politica
o Sociologia che voglia dirsi. Adotteremmo anche il termine usato a
definirlo da questo autore, il quale lo chiama singenismo, se il
vocabolo, conformemente alle idee fondamentali dello scrittore, non
accennasse ad una preponderanza quasi assoluta dell'elemento etnico,
ossia della comunità di sangue e di razza, nella formazione
di ciascun gruppo sociale80. Or noi crediamo che in parecchie
civiltà primitive, non tanto la comunità di sangue
quanto l'opinione che essa esisteva, la credenza di un antenato
comune, spesso nata dopo che il tipo sociale era formato81, abbia
potuto contribuire a cementarne l'unità; ma crediamo pure che
le moderne dottrine antropologiche e filologiche abbiano potuto
suscitare un risveglio di antipatie tra gruppi sociali e frazioni
dello stesso gruppo, le quali hanno per semplice pretesto le
differenze di razza. In verità poi nella formazione del
gruppo o tipo sociale, oltre alla più o meno sicura
affinità della razza, concorrono molti altri elementi, come
sarebbero la comunità di lingua, di religione, di interessi,
ed i frequenti rapporti determinati dalla posizione geografica.
Anzi, non è neppur necessario che tutti questi fattori
coesistano; giacchè la comunità della storia, la vita
vissuta per secoli insieme con vicende identiche o simili,
determinando la somiglianza delle abitudini morali ed intellettuali,
delle passioni e delle ricordanze, diventa spesso l'elemento
precipuo per la creazione di un tipo sociale consciente82.
Una volta questo formato si ha, come già avvertimmo nella
prima parte del nostro lavoro, quasi un crogiuolo, che imprime uno
stampo comune a tutti gli individui che entrano in esso. Si chiami
suggestione, mimetismo o semplicemente educazione, avviene allora
quel fenomeno per il quale l'uomo sente, crede, ama ed odia, secondo
l'ambiente nel quale vive: per il quale si è Cristiani od
Ebrei, Maomettani o Buddisti, Francesi od Italiani, meno rarissime
eccezioni, per la sola ragione che tali erano coloro fra i quali
siamo nati e cresciuti83.
III. — Nei primordi della storia ogni popolo civile era quasi
un'oasi in mezzo ad un deserto di barbarie, le diverse
civiltà aveano perciò fra di loro o scarsissime
comunicazioni o queste mancavano in modo assoluto: tale fu infatti
la condizione dell'antico Egitto durante le prime dinastie e tale
quella della China fino ad un'epoca assai meno remota. Allora
naturalmente ogni tipo sociale avea un'originalità assoluta,
quasi in niun modo temperata da infiltrazioni ed influenze
straniere84. Malgrado però che questo isolamento dovesse
fortemente contribuire a rinforzare la tendenza che ha ogni tipo
sociale a riunirsi in unico organismo politico, pure fin d'allora
vediamo che essa non prevale che a sbalzi. Stando infatti agli
esempi citati, la China all'epoca di Confucio, si divideva in molti
Stati feudali quasi indipendenti l'uno dall'altro, e nell'Egitto
spesso vediamo i diversi hiq o re locali dei singoli nomi acquistare
la piena indipendenza e qualche volta anche il basso e l'alto Egitto
formavano regni distinti. Più tardi, in civiltà
avanzatissime e molto complesse come quella ellenica, vediamo
svolgersi a preferenza una tendenza contraria a quella che abbiamo
accennato, la tendenza cioè che spinge un tipo sociale a
dividersi in organismi politici distinti e quasi sempre rivali.
Infatti l'egemonia, che diversi stati greci tentarono stabilire su
tutti i popoli ellenici, fu sempre un concetto molto lontano dalla
vera unità politica; e del resto gli sforzi di Atene, di
Sparta e poi della Macedonia per stabilire quest'egemonia in modo
duraturo ed efficace non ebbero mai un completo successo.
Ciò che forma il tratto veramente caratteristico di molti
popoli dell'antichità ed in generale delle civiltà che
chiameremmo primitive, perchè poco hanno sentito l'influenza
di elementi stranieri, è la semplicità e
l'unità dell'intero sistema d'idee e di credenze, sulle quali
si basava l'esistenza di un popolo e la sua organizzazione politica.
Vediamo infatti fra i detti popoli la formola politica non solo
essere appoggiata sulla religione, ma completamente immedesimarsi
colla stessa. Il Dio era eminentemente nazionale, rappresentava il
protettore speciale del territorio e del popolo, il fulcro della sua
organizzazione politica; il popolo viveva finchè il suo Dio
aveva forze bastanti per aiutarlo ed, alla sua volta, il Dio durava
finchè viveva il suo popolo.
Gli Ebrei sono l'esempio più noto di un popolo organizzato
secondo il sistema che abbiamo accennato, ma non si deve credere
che, nell'epoca in cui fiorirono, i regni d'Israele e di Giuda
costituissero un'eccezione. Lo stesso ufficio che Javeh esercitava a
Gerusalemme, Kamos lo disimpegnava a Moab85; Marduk a Babilonia,
Assur a Ninive ed Ammon a Tebe.
Come il Dio d'Israele comandava a Saul, a David ed a Salomone di
combattere ad oltranza gli Ammoniti ed i Filistei, così Ammon
imponeva ai Faraoni d'Egitto di percuotere i barbari dell'Oriente e
dell'Occidente ed Assur incitava allo sterminio degli stranieri i
sovrani di Ninive e loro concedeva la vittoria86.
A poco a poco però i rapporti fra popoli relativamente civili
si fecero più frequenti; avvenne la fondazione di grandissimi
imperi e questi non poterono sempre essere basati sull'assimilazione
e distruzione completa dei popoli vinti, ma dovettero spesso
contentarsi della semplice loro dipendenza. Allora il vincitore
frequentemente credè atto politico il riconoscere e l'adorare
il Dio dei vinti: infatti i Re assiri conquistatori di Babilonia
spesso resero omaggio a Marduk e pare che lo stesso abbia fatto
Ciro; Alessandro Magno sacrificò ad Ammon, ed in generale a
tutte le divinità dei conquistati, ed i Romani poi le
ammisero tutte nel loro Pantheon. A questo punto, reso possibile dai
lunghi periodi di pace e dall'assopimento delle rivalità
nazionali, che seguono appunto lo stabilirsi di grandi organismi
politici, vediamo apparire nel mondo un fenomeno relativamente
recente, cioè le grandi religioni umanitarie ed universali;
che, senza distinzione di razza, di lingua, di regime politico,
aspirano ad estendere l'influenza delle loro dottrine
indistintamente su tutta la terra.
IV. — Il Buddismo, il Cristianesimo ed il Maomettismo sono le tre
grandi religioni umanitarie comparse finora nel mondo87. Comprendono
tutte e tre un corpo completo di dottrine a base prevalentemente
filosofica nel Buddismo e dommatica nel Cristianesimo e nel
Maomettismo: ed ognuna di esse ha la pretesa di contenere la
verità assoluta e di offrire una guida sicura ed infallibile,
la cui osservanza procaccia il bene in questa vita e nell'altra.
L'appartenere insieme ad una di queste religioni costituisce un
legame grandissimo fra popoli disparati e differentissimi di razza e
di lingua e dà ad essi una maniera speciale e comune
d'intendere la morale e la vita, ed oltre a ciò costumi ed
abitudini politiche e familiari tali da determinare la formazione di
un vero tipo sociale, le cui caratteristiche sono spesso così
spiccate, così profonde, da riuscire quasi indelebili. Si
può dire anzi che dalla comparsa di queste grandi religioni
data la distinzione precisa tra tipo sociale e tipo nazionale, che
prima quasi non esisteva. Infatti un tempo vi era la civiltà
egiziana, la caldaica, la greca, ma non la civiltà cristiana
e la maomettana; non esisteva cioè un complesso di popoli,
distinti di lingua e di razza e divisi in molteplici organismi
politici, ma uniti da credenze, sentimenti e coltura comune.
Il Maomettismo è fra tutte le religioni quella che forse
scolpisce più fortemente la sua impronta negli individui, che
l'hanno abbracciato, o meglio che sono nati in una società di
cui essa si è impadronita. Il Cristianesimo ed anche
l'Ebraismo sono state e sono finora forme adattissime per modellare,
secondo certi determinati disegni, la molle creta dello spirito
umano. Più blanda è l'azione del Buddismo, ma pur
sempre molto efficace.
È pure da osservare che queste grandi religioni con dottrine
e gerarchia religiosa fortemente organizzate, se da una parte
servono maravigliosamente all'affratellamento ed all'assimilazione
dei correligionari, sono dall'altra parte una forza coibente di una
efficacia grandissima fra popolazioni di credenze diverse. Esse
bastano a scavare un abisso quasi incolmabile fra genti vicine per
razza e per lingua, che abitano in paesi contigui o anche nella
stessa contrada. E la differenza di religione infatti che ha reso
quasi impossibile la fusione fra le popolazioni che abitano la
penisola balcanica e l'India88. È certamente maravigliosa
l'attitudine che mostrarono i Romani ad assimilare i popoli
sottomessi vincendo notevolissime resistenze provenienti dalla
differenza di razza, di lingua, di grado di cultura; ma forse non
sarebbero ugualmente riusciti se avessero incontrato l'ostacolo di
religioni ostili, esclusive e fortemente organizzate. Difatti il
Druidismo nelle Gallie ed in Bretagna, benchè avesse una
organizzazione assai poco elaborata, pure offrì qualche
resistenza, ed i Giudei si fecero sterminare e disperdere, ma non
furono assimilati. Nel Nord dell'Africa Roma riuscì a
latinizzare e conquidere alla sua civiltà, almeno fino ad un
certo punto, i progenitori dei moderni Mori, Arabi e Kabili, ma non
si trovò di fronte alla religione mussulmana, come ora accade
ai Francesi ed agli Italiani. Giugurta e Tacfarina non potevano fare
appello alle passioni religiose come Abd-el-Kader e Bou-Maza. Come
bene scrisse il Karamzine la religione cristiana impedì che
la Moscovia, sotto la lunga dominazione dei Mongoli, diventasse
interamente asiatica; e d'altra parte, sebbene i Russi siano alla
loro volta potenti assimilatori e nella grande Russia il sangue
finnico e mongolo siasi in forti proporzioni mescolato allo slavo89,
pure i nuclei di Tartari maomettani di Kazan, di Astrakan e di
Crimea non si sono fatti assorbire; essi o hanno emigrato o sono
rimasti formando una popolazione a parte, sottomessa ma nettamente
distinta dal resto dei sudditi dello Czar. Anche in China i figli
del Celeste Impero hanno potuto assai bene assimilare gli abitanti
delle provincie meridionali, diversi di razza e di lingua, ma non
già i Roui-Tze, discendenti dalle tribù turche da
circa mille anni residenti nelle provincie del Nord-ovest della
China propriamente detta; perchè, malgrado che questi abbiano
adottato la lingua e le apparenze esteriori dei Chinesi propriamente
detti, coi quali vivono mescolati nelle stesse città, pure
sono stati tenuti in un isolamento morale dal Maomettismo, che i
loro padri avevano adottato prima che passassero la gran muraglia90.
V. — Coll'apparire delle grandi religioni universali la storia
dell'umanità si complica di fattori nuovi. Già abbiamo
visto che, anche prima che esse sorgessero, un tipo sociale,
malgrado la sua tendenza all'unità, si potea dividere in
diversi organismi politici. Con le dette religioni questo fatto
divenne più generale e meno evitabile e potè
cominciare quel fenomeno, che in Europa viene definito la lotta tra
lo Stato e la Chiesa.
La complicazione nasce principalmente da ciò, che la tendenza
all'unità nel tipo sociale resta, ma è ostacolata da
forze molto maggiori. Avviene poi che se da una parte la
organizzazione politica tende sempre a giustificare la propria
esistenza mercè i principî della religione prevalente,
questa, da parte sua, cerca sempre d'impadronirsi del potere
politico e d'identificarsi con esso per farne strumento ai suoi fini
ed alla sua propaganda.
È nei paesi maomettani che religione e politica stanno
più strettamente unite. Il capo di uno Stato maomettano
è stato quasi sempre il pontefice di una delle grandi
sètte in cui si divide l'Islam, oppure dal pontefice ha
ricevuto l'investitura. Vero è che nei secoli scorsi
quest'investitura fu spesso una vana formalità, che il
Califfo, ridotto omai senza forze temporali, non potea negare ai
potenti; ma bisogna tener presente che, nel periodo che corre dalla
decadenza degli Abassidi di Bagdad fino al sorgere del grande impero
ottomano, il fanatismo musulmano era molto minore di quello di
oggi91. Certo è poi che ogni grande rivoluzione o fondazione
di nuovo Stato nei paesi maomettani si accoppia e giustifica quasi
sempre con un nuovo scisma religioso; così fu nel Medio Evo,
quando sorsero i nuovi imperi degli Almoravidi e degli Almohaidi, e
lo stesso è avvenuto nel secolo decimonono coll'insurrezione
dei Wahabiti e con quella capitanata dal Mahdi di Ondurman.
In China il Buddismo vive sottomesso sotto la protezione dello
Stato, il quale mostra di riconoscerne e tutelarne il culto per un
riguardo alle classi basse della popolazione, che ne sono seguaci92.
Nel Giappone questa religione è tollerata, ma il Governo
cerca attualmente di favorire l'antica religione nazionale di Sinto.
In Europa i diversi riti del Cristianesimo si trovano in condizioni
molto differenti.
In Russia lo czar è il capo della religione ortodossa e
l'autorità della Chiesa si confonde quasi con quella dello
Stato, anzi, agli occhi di un vero russo, un buon suddito dello czar
deve essere greco ortodosso93. Anche nei paesi protestanti il rito
dominante ha pure un carattere più o meno ufficiale. Il
Cattolicismo, dalla caduta dell'impero romano, ha avuto, ed ha
ancora, un'indipendenza maggiore. Nel Medio Evo aspirò ad
asservire l'autorità laica in tutti i paesi che erano entrati
nell'orbita cattolica, e ci fu un momento in cui il Papa,
potè sperare vicina la realizzazione del vastissimo progetto
di riunire tutta la Cristianità, cioè tutto un tipo
sociale, sotto la sua influenza più o meno diretta. Ora vive
di compromessi, dando appoggio ai poteri laici e ricevendone, e, qua
e là, in lotta aperta con essi.
Un organismo politico la cui popolazione è seguace di una
delle religioni universali accennate, o anche divisa fra diversi
riti di una di queste religioni, deve avere una base propria
giuridica e morale sulla quale poggi la sua classe politica. Deve
essere perciò fondato sul sentimento nazionale, sulla lunga
tradizione dell'autonomia, sulle rimembranze storiche, sulla
devozione secolare ad una dinastia, su qualche cosa insomma che ad
esso sia speciale. Accanto al culto generale, umanitario, deve
esistere in certo modo il culto, diremmo quasi nazionale, più
o meno bene conciliato e coordinato con quello. I doveri dei due
culti vengono spesso cumulativamente osservati dagli stessi
individui: ed a questo proposito è bene osservare che non
sempre gli uomini sono perfettamente coerenti nello stabilire i
principi ai quali inspirano la loro condotta. Sicchè in
pratica si può essere buoni cattolici e nello stesso tempo
buoni Tedeschi, buoni Italiani, buoni Francesi e servire fedelmente
un sovrano protestante od una Repubblica, che fa professione
ufficiale di anticlericalismo. Qualche volta, come avviene
frequentemente in Italia, si può essere anche buon patriotta
ed ardente socialista, sebbene la democrazia sociale, come il
Cattolicismo, sia nella sua essenza contraria al particolarismo
nazionale. Però queste transazioni avvengono quando le
passioni non sono molto acuite, ed, a rigor di logica, avevano
ragione gl'Inglesi del secolo decimottavo, i quali, considerando che
il Re era il capo della Chiesa anglicana e che al Papa dovea anzi
tutto obbedienza ogni buon cattolico, credevano che egli non potesse
essere nello stesso tempo un buon inglese.
Ciò che è veramente necessario, quando esiste un
antagonismo più o meno larvato fra una dottrina od una
religione che aspira all'universalità ed i sentimenti e le
tradizioni, che sostengono il particolarismo di uno Stato, è
che questi ultimi siano veramente forti, che siano anche collegati
con molti interessi materiali e che una frazione cospicua della
classe dirigente ne sia fortemente imbevuta e li propaghi e li
mantenga nelle masse. Quando questa frazione della classe politica
è inoltre saldamente organizzata può tener testa a
tutte le correnti religiose e dottrinarie, che esercitano la loro
influenza nella società che essa dirige. Ma se i suoi
sentimenti sono fiacchi, le sue forze morali od intellettuali
deficienti, la sua organizzazione difettosa, allora quelle
prevalgono e lo Stato finisce col diventare lo zimbello di qualcuna
delle religioni o dottrine universali, ad esempio del cattolicismo o
della democrazia sociale.
VI. — Prima di procedere innanzi crediamo opportuno, per rendere
più facile l'esposizione di ciò che appresso diremo,
di dare una breve notizia intorno ai due tipi secondo i quali ci
pare che si possano classificare tutti gli organismi politici.
Questi due tipi sarebbero il feudale ed il burocratico.
Cominciamo subito col far rilevare che questa nostra classificazione
non è basata su criteri immutabili ed essenziali; non
crediamo perciò che ci sia alcuna legge psicologica, la quale
sia speciale ad alcuno dei due tipi ed ignota quindi all'altro. Ci
pare anzi che i due tipi non siano che la manifestazione, in momenti
diversi, di una sola tendenza costante, per la quale
l'organizzazione politica delle società umane diventa meno
semplice ossia più complicata, mano mano che ogni
società aumenta in grandezza e si perfeziona in
civiltà. La seconda di queste condizioni è anzi
più indispensabile e di carattere più generale della
prima, perchè, a dir vero, anche Stati molto vasti possono
essere organizzati feudalmente. In fondo uno Stato burocratico non
è perciò che uno Stato feudale la cui organizzazione,
progredendo e sviluppandosi, si è complicata; come pure uno
Stato feudale può provenire da una società già
burocratizzata, che, decaduta di civiltà e spesso ridotta in
frammenti, è stata costretta a ritornare ad un ordinamento
politico più semplice e più primitivo.
Ciò premesso, diremo come per Stato feudale intendiamo quel
tipo di organizzazione politica nella quale tutte le funzioni
direttive di una società, come sarebbero le economiche, le
giuridico-amministrative e le militari, sono esercitate
cumulativamente dagli stessi individui, e nello stesso tempo lo
Stato si compone di piccoli aggregati sociali, ognuno dei quali
possiede tutti gli organi necessari per bastare a se stesso.
L'Europa del Medio Evo ci offre l'esempio più conosciuto di
questa specie di ordinamento, che perciò appunto abbiamo
chiamato feudale, ma, studiando la storia degli altri popoli e
leggendo i racconti dei viaggiatori contemporanei, ci possiamo
facilmente accorgere che esso è molto diffuso. Infatti, come
il barone medioevale era proprietario della terra, comandante degli
armati, giudice ed amministratore del suo feudo, nel quale godeva il
mero e misto imperio, cosi ora il Ras abissino compartisce la
giustizia, comanda i guerrieri e preleva i tributi, ossia toglie al
coltivatore tutto quanto non è strettamente necessario al suo
mantenimento. In certe epoche dell'antico Egitto l'hiq o governatore
locale curava la manutenzione dei canali, dirigeva le culture,
amministrava la giustizia, esigeva i tributi, comandava gli
armati94; anche il curaca del Perù, sotto l'impero degli
Incas, era il capo del suo villaggio ed a questo titolo ne
amministrava la proprietà rurale collettiva, vi esercitava le
funzioni giudiziarie e, alla richiesta del figlio del Sole, ne
comandava il contingente armato95.
Qualche volta anche le funzioni religiose sono state disimpegnate
dallo stesso capo che dirigeva le altre attività sociali,
come appunto avveniva nel Medio Evo europeo quando gli abati ed i
vescovi erano pure feudatari. È pure da tener presente che si
può avere un ordinamento feudale, anche quando la terra,
fonte quasi esclusiva della ricchezza nelle società poco
avanzate, non è giuridicamente proprietà assoluta
della classe governante. Poichè, dato che i coltivatori non
siano legalmente vassalli e schiavi e che siano anche nominalmente
proprietari del campo che coltivano, certo è che il capo
locale ed i suoi satelliti, avendo piena podestà d'imporre
tributi e corvées, lascieranno ai lavoratori dei campi
soltanto quello che è necessario per la loro sussistenza.
Hanno avuto carattere spiccatamente feudale anche piccoli organismi
politici, nei quali la produzione della ricchezza è stata
basata non sulla cultura della terra, ma sul commercio e
sull'industria; giacchè ci è stata la stessa fusione
della direzione politica ed economica nelle stesse persone.
Così i capi politici dei Comuni medioevali erano nello stesso
tempo capi delle corporazioni di arti e mestieri; i negozianti di
Tiro e Sidone, come quelli di Genova e di Venezia, di Brema e di
Amburgo dirigevano i banchi e le fattorie stabilite nei paesi
barbari, comandavano le navi, che a volta servivano al commercio ed
a volta alla guerra, e governavano le loro città. Ciò
accadeva specialmente quando la città viveva di commercio
marittimo, nell'esercizio del quale chi comandava la nave alla
funzione commerciale accoppiava molto facilmente la direzione
politica e militare. Altrove, a Firenze ad esempio, dove gran parte
dei proventi si traevano dall'industria e dalle banche, la classe
dirigente presto perdette le abitudini guerresche e perciò la
direzione militare96. Forse si deve in parte a ciò la vita
agitata, che visse la oligarchia mercantile di Firenze dalla
cacciata del duca di Atene a Cosimo dei Medici.
VII. — Nello stato burocratico non devono necessariamente tutte le
funzioni direttive essere accentrate nella burocrazia e da essa
venire esercitate: possiamo anzi affermare che ciò fino al
momento presente, forse mai è avvenuto. La caratteristica
principale di questo tipo di organizzazione sociale crediamo che
stia in questo fatto: che, laddove esso sussiste, il potere centrale
preleva per via d'imposte una parte notevole della ricchezza
sociale, la quale serve prima di tutto al mantenimento
dell'organizzazione militare, poi a sopperire ad una quantità
più o meno grande di funzioni civili. Sicchè una
società tanto più è burocratica quanto maggiore
è la quantità di funzionari, che disimpegnano uffici
pubblici e vivono ricevendo un salario dal Governo centrale o dai
corpi locali.
In uno Stato burocratico poi la specializzazione delle funzioni
dirigenti è sempre maggiore che negli Stati feudali: la prima
e la più elementare divisione delle attribuzioni è
quella che sottrae all'elemento militare le facoltà
amministrative e le giudiziarie. È anche evidente che negli
Stati burocratici la disciplina in tutti i gradi della gerarchia
politica amministrativa e militare è molto più
assicurata. Il paragone fra un conte del Medio Evo circondato da
armigeri e vassalli da secoli attaccati alla sua famiglia e
mantenuti coi prodotti delle terre del signore ed un prefetto ed un
generale moderni, ai quali un colpo di telegrafo può
sottrarre di botto ogni autorità e perfino lo stipendio,
basta subito a darcene una idea. Nello Stato feudale perciò
si richiede una grande energia, un gran senso politico in colui o
coloro che stanno al sommo vertice della scala sociale per tenere
organizzati, compatti, obbedienti ad un unico impulso i diversi
gruppi sociali, che tenderebbero alla disgregazione ed
all'autonomia, e ciò è tanto vero che, spesso, con la
morte di un capo autorevole finisce la forza di uno Stato. Solo una
grande unità morale, l'appartenere ad un tipo sociale molto
spiccato, può salvare per lungo tempo l'esistenza politica di
un popolo feudalmente organizzato; e certamente ci è voluto
il Cristianesimo per isolare e salvare l'autonomia delle genti
abissine, circondati da pagani e maomettani. Quando però
questa forza coibente agisce in modo fiacco e quando lo Stato
feudale si trova a contatto con popoli più saldamente
organizzati, allora è molto facile che sia assorbito e
sparisca in una delle tante crisi periodiche, alle quali in esso il
potere centrale è fatalmente soggetto97. Al contrario le
qualità personali del capo supremo influiscono relativamente
poco sulla durata di uno Stato burocratico ed una società
burocraticamente organizzata può conservare la sua autonomia
anche quando ripudia una antica formola politica e ne adotta una
nuova , ovvero quando modifica, anche profondamente, il suo tipo
sociale98.
VIII. — L'organizzazione burocratica non deve essere necessariamente
accentratrice, nel senso che comunemente si suol dare a
quest'espressione; spesso la burocratizzazione si può
conciliare con una larga autonomia provinciale, come accade, ad
esempio, nella China; dove le diciotto provincie propriamente
chinesi hanno una larghissima autonomia, in modo che dal capoluogo
di ognuna di esse si provvede a quasi tutti gli affari locali99.
Gli Stati di civiltà europea, anche i più discentrati,
sono tutti più o meno burocratizzati: come abbiamo già
accennato, la caratteristica principale di un organismo burocratico
è questa: che in esso le funzioni militari ed un numero
più o meno grande gli altri servizi pubblici sono esercitati
da impiegati salariati. Che i salari siano tutti pagati dal Governo
centrale o che in parte ricadano sui corpi locali, che più o
meno stanno sotto il controllo di quello, è un dettaglio, che
non ha la grande importanza che ad esso si suole attribuire.
Nella storia non mancano i casi di organismi politici molto piccoli,
i quali, avendo un'organizzazione burocratica appena abbozzata o non
avendone quasi affatto, hanno compito miracoli di energia in ogni
ramo dell'attività umana. Le città elleniche ed i
Comuni italiani del Medio Evo sono esempi che neppure occorre di
citare. Ma quando si tratta di vasti organismi umani, che si
stendono su tratti grandissimi di territorio e comprendono milioni e
milioni d'individui, pare che solo l'organizzazione burocratica
riesca a riunire sotto unico impulso quegli immensi tesori di forza
economica e di energia morale ed intellettuale, coi quali la classe
dirigente può riuscire a modificare profondamente le
condizioni interne di una società100, ed a renderne efficace
e potente l'azione al di là dei proprii confini. Era infatti
burocratizzato l'Egitto nei bei tempi della XVII e XVIII dinastia,
quando la civiltà dei Faraoni ebbe una delle più
splendide rinascenze ed i battaglioni egiziani dal Nilo Azzurro
estesero le loro conquiste fino ai piedi del Caucaso101. Era uno
Stato fortemente burocratico l'impero romano, saldissimo organismo
sociale che seppe estendere la civiltà della Grecia e
dell'Italia e la lingua dell'Italia a tanta parte del mondo,
compiendo uno dei più difficili lavori di assimilazione
sociale. Ed è burocratica la Russia, che, malgrado varie
gravissime debolezze interne, ha ancora una potente vitalità
e spinge sempre più avanti la sua espansione nei vastissimi
territori dell'Asia.
Malgrado questi e parecchi altri esempi, che facilmente si
potrebbero trovare, non bisogna dimenticare un fatto
importantissimo, che abbiamo già accennato; cioè che
nessuna grande società troviamo nella storia, nella quale
tutte le attività umane siano state completamente
burocratizzate. E questo forse uno dei tanti indizii della grande
complessità delle leggi sociali, la quale fa sì che un
tipo di ordinamento politico, che produce buoni risultati quando
è applicato fino ad un certo punto, sistematizzato e
generalizzato, riesce inattuabile e dannoso. Infatti noi vediamo
spesso burocratizzata la giustizia, burocratizzata
l'amministrazione, e quel gran burocratizzatore, che fu Napoleone
primo, condusse a buon punto anche la burocratizzazione
dell'insegnamento e della gerarchia sacerdotale cattolica; vediamo
spesso eseguiti dalla burocrazia strade, canali, ferrovie, tutti i
lavori pubblici, che agevolano la produzione della ricchezza, ma
questa produzione stessa non vediamo mai interamente burocratizzata.
Sembra che la direzione di questo ramo importantissimo
dell'attività sociale mal si pieghi, come tanti altri, alla
regolarità burocratica e che per la classe, che vi è
dedicata, il tornaconto individuale sia uno sprone ben più
efficace di qualunque salario governativo.
Ma vi è di più: abbiamo indizii abbastanza forti che
la burocratizzazione estesa alla produzione ed all'intera
distribuzione della ricchezza sarebbe esiziale. Non vogliamo
accennare ai danni economici del protezionismo, dell'ingerenza del
Governo nelle banche e del soverchio svolgimento dato ai
lavori pubblici, e facciamo soltanto rilevare un fatto bene
accertato. Il regime burocratico, nel quale chi dirige la produzione
economica ed anche il singolo lavoratore sono protetti contro la
confisca arbitraria per parte dei forti e dei prepotenti e che
severamente reprime ogni guerra privata, offre una grande sicurezza
alla vita umana ed anche alla proprietà: con esso mediante
una quota parte fissa, che il produttore paga a profitto
dell'organizzazione sociale, egli ha il tranquillo godimento del
resto della produzione; ciò che permette tale uno svolgimento
della ricchezza pubblica e privata, il quale è ignoto nei
paesi più barbari e più primitivamente organizzati. Ma
può accadere, ed è accaduto, che, o perchè le
pretensioni della classe militare e degli altri burocratici sono
troppo esagerate, o per i soverchi uffici che la burocrazia vuole
disimpegnare, o per le guerre ed i debiti, che ne sono la
conseguenza, la quantità di ricchezza, che la classe che
adempie alle altre funzioni che non siano le economiche assorbisce e
consuma, diventi troppo esagerata. Allora l'imposta prelevata sulle
classi produttrici della ricchezza può aumentare al punto da
far diminuire fortemente il tornaconto individuale alla produzione,
ed in questo caso viene a scemare immancabilmente la produzione
stessa. Colla diminuzione della ricchezza vanno di pari passo
l'emigrazione od una maggiore mortalità nelle classi povere
ed infine l'esaurimento dell'intero corpo sociale. Sono questi
appunto i fenomeni che scorgiamo al declinare degli Stati
burocratici; li vediamo infatti nell'epoca che seguì il
massimo svolgimento burocratico dell'Egitto antico e più
visibilmente ancora durante la decadenza dell'impero romano102.
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. —
II. Coesistenza di diversi tipi sociali in unico organismo politico.
— III. Unità e differenze di tipo sociale tra le varie classi
dello stesso popolo. — IV. Rapporti tra la diversità dei
costumi e la varietà del tipo sociale. — V. Psicologia delle
plebi. — VI. Conseguenze della diversità di tipo sociale tra
la plebe e la classe dirigente.
I. — Abbiamo già visto nel capitolo precedente come ogni tipo
sociale abbia la tendenza a riunirsi in un unico organismo politico;
diremo ora come ogni organismo politico, estendendosi, quasi sempre
miri e spesso riesca all'allargamento del proprio tipo sociale.
Questa aspirazione, che troviamo anche nell'antichità
più remota, aveva allora la sua attuazione mercè
procedimenti barbari, grossolani e violenti, ma certo efficaci. Gli
Assiri, ad es., costumavano di trapiantare le popolazioni
conquistate, le quali, strappate a forza dalla madre patria,
venivano disseminate fra genti di spirito e di nazionalità
assira colle quali finivano col fondersi103; alla loro volta colonie
assire venivano spesso mandate nelle terre conquistate. Gl'Incas del
Perù costumavano parimenti di trapiantare in massa le
tribù selvagge che conquistavano, per poterle più
facilmente addomesticare alla civiltà peruviana ed
assimilarle agli altri sudditi del figlio del sole. Nel Medio Evo
Carlomagno, dopo avere sterminato una buona parte dei Sassoni,
trapiantò nel loro paese delle numerose colonie di
Franchi104. Alcuni secoli dopo i Cavalieri Teutonici estendevano la
lingua germanica e la religione cristiana dalle rive dell'Elba fino
alle foci della Vistola e del Niemen con modi consimili: sterminando
cioè una parte dei naturali e trasportando nei paesi
conquistati numerose colonie tedesche105.
I Romani applicarono alle volte metodi analoghi, ma non ne fecero un
uso esclusivo. Ad es., non li impiegarono mai colle popolazioni
molto civili dell'Oriente, ed anche in Gallia, in Spagna, in
Britannia ed altrove l'impero assimilò i barbari basandosi
principalmente sulla diffusione della lingua e del diritto latino e
su quella della letteratura e della scienza greco-italiana,
diffondendo infine i benefizi di un'amministrazione ammirevolmente
organizzata e di una civiltà superiore106.
Generalmente la propaganda religiosa ed una coltura più
avanzata sono i modi più efficaci per assimilare le
popolazioni sottomesse. Fu infatti con questi modi che il Messico,
il Perù e moltissimi altri paesi dell'America meridionale
ricevettero in pochi secoli l'impronta della civiltà
spagnuola e portoghese, sebbene buona parte, e qualche volta la gran
maggioranza dei loro abitanti, non fossero di origine iberica.
II. — Ma spesso un diverso tipo sociale sopravvive, almeno per
alcuni secoli, malgrado che sul popolo che l'ha adottato pesi
l'egemonia o il dominio di un popolo conquistatore. Nell'antico
impero persiano i Medo-persiani, adoratori del fuoco, erano
dominatori ed il loro sovrano era il Re dei Re, colui che comandava
a tutti i sovrani che facevano parte del vastissimo Stato. Ma le
popolazioni sottomesse, rette dai satrapi, ovvero anche dalle
antiche dinastie dei sovrani indigeni, conservavano intatte le loro
credenze, i loro usi, i loro costumi, ne abbandonavano il loro tipo
sociale per adottare quello dei Medo-Persiani. Anzi per alcune di
queste popolazioni, poste in mezzo all'impero, ma tutelate dalla
difficoltà dei siti e dalle abitudini guerresche, la
soggezione era più apparente che reale107. In questo modo la
Corte di Susa potè reggere per quasi due secoli un vastissimo
impero nel quale, tranne in Egitto, dalla fine del regno di Dario
d'Istaspe fino all'invasione di Alessandro Magno non vi furono
notevoli ribellioni. E da notare però che al primo urto un
po' forte l'impero si sfasciò, perchè i popoli
sottomessi non avevano alcuna vera solidarietà con quello
dominatore, nè le loro forze erano riunite e cementate da
un'organizzazione amministrativa e militare veramente salda108.
In altri Stati troviamo anche tipi sociali distinti, che pur vivono
mescolati insieme. In Turchia, per es., vi sono nelle città i
quartieri dei Turchi, dei Greci, degli Armeni e degli Ebrei, e nelle
campagne i villaggi degli Osmanli spesso confinano con quelli dei
Greci e dei Bulgari. In India convivono pure Bramini, Maomettani,
Parsi ed Europei; anzi l'Oriente pare che abbia questa
specialità di essere quasi un museo, dove si raccolgono quei
frammenti ed avanzi di tipi sociali che altrove vengono assorbiti e
scompaiono109. Quando in uno Stato avviene questa miscela di tipi
sociali la classe politica deve essere fornita quasi esclusivamente
da quello dominatore, e quando questa regola non è osservata,
perchè il tipo dominatore non è sufficiente per numero
o per energia morale ed intellettuale, allora un paese si può
considerare come malato, prossimo cioè a gravi rivolgimenti
politici.
La Turchia infatti trovasi in queste condizioni, perchè,
venuta nel secolo scorso in contatto intimo e conflitto d'interessi
colla civiltà europea, ha dovuto impiegare un gran numero di
Greci, di Armeni ed anche di Franchi. Or, come è stato bene
osservato, se ciò le ha fornito le risorse di una cultura
superiore, le ha tolto in compenso una parte della sua selvaggia
energia e non ha impedito sopratutto che il gran Sultano perdesse
una parte considerevole del suo territorio. Nell'India i
conquistatori britannici sono finora assai superiori di
civiltà; ma, scarsissimi di numero, si fanno coadiuvare,
nell'amministrazione, nella giustizia e nell'esercito da elementi
indigeni. Or, se la parte a questi affidata nelle pubbliche funzioni
diventerà tanto importante da rendere non indispensabile
l'opera degli Europei, è dubbio che il dominio di questi
possa lungamente durare.
Quando in uno Stato vivono mescolati diversi tipi sociali, accade
quasi immancabilmente che anche in quelli sottomessi esista una
classe, se non dominante, certo dirigente. Avviene qualche volta che
questa classe è la prima che si lascia assorbire dal tipo
dominatore. L'aristocrazia gallica infatti fece presto a
romanizzarsi, essa in poche generazioni apprese la cultura classica
e giuridica dei latini e brigò il diritto di cittadinanza
romana, che le fu facilmente concesso. Anche i begs della Bosnia,
per non cascare nel rango dei conculcati raia e non perdere i loro
possedimenti, dopo la battaglia di Kossovo si convertirono
all'Islamismo. Ma, nell'uno e nell'altro caso, si trattava di
aristocrazie che non avevano molta cultura, nè sopratutto
erano eredi delle memorie di un'antica e gloriosa civiltà.
Più spesso infatti le tradizioni della grandezza passata, la
coscienza della propria superiorità, la ripugnanza per il
diverso tipo sociale la vincono sull'interesse personale, ed allora
le classi alte del popolo vinto diventano l'elemento più
inassimilabile. Così le nobili famiglie fanariote di
Costantinopoli non si sono quasi mai convertite all'islamismo; i
Cofti attuali, che esercitano ancora la professione di scribi e
burocratici, pare che siano discendenti dell'antichissima classe
letterata, che formava l'aristocrazia dell'antico Egitto e si
mantengono cristiani, mentre la massa dei coltivatori o fellah
è diventata da parecchi secoli maomettana. Pare che anche
dall'aristocrazia persiana discendano gli attuali Guebri, che ancora
mantengono il culto del fuoco. In India le caste più elevate
hanno date meno conversioni all'islamismo.
III — Ed ora accenneremo ad un fenomeno sociale meno apparente, ma
forse più importante. Il fatto della coesistenza in unico
organismo politico di più di un tipo sociale si può
trovare, in modo più o meno larvato, anche in paesi che
apparentemente presentano una grande unità sociale. Esso
avviene tutte le volte che la formola politica, sulla quale si basa
la classe dirigente di una data società, non è
accessibile alle classi più basse, oppure quando l'insieme di
credenze e di principî morali e filosofici, del quale detta
formola si compone, non è ancora abbastanza penetrato negli
strati più numerosi e meno elevati di una società. Lo
stesso accade quando una notevole differenza di costumi, di cultura
e di abitudini vi è tra la classe dirigente e quella
governata.
Ci spiegheremo meglio con degli esempi: a Roma e nella Grecia antica
lo schiavo era tenuto interamente fuori dalla città,
considerata come corpo politico e comunità morale. Egli non
partecipava all'educazione nazionale, non era cointeressato
nè materialmente nè moralmente al benessere dello
Stato. Il Paria indiano tenuto fuori da ogni casta, che non deve
neppure gli Dei avere comuni coi suoi oppressori, isolato
assolutamente dal resto della popolazione, rappresenta pure una
classe d'individui, che sta fuori moralmente dal tipo sociale entro
il quale vive. Al contrario gli Ebrei ed altri popoli dell'antico
Oriente consideravano anche il manovale e lo schiavo, una volta che
si era per dir così nazionalizzato, come partecipe dei
sentimenti della società alla quale apparteneva. La
coltivazione accurata dei sentimenti, delle idee e delle abitudini
delle classi basse, mercè un'opportuna catechizzazione,
è pure merito grandissimo del Cristianesimo e dell'Islamismo,
i quali sono in ciò più o meno efficacemente imitati
dalle moderne nazioni europee.
Generalmente sono le formole politiche molto antiche, quell'insieme
di credenze e di sentimenti, che hanno la sanzione dei secoli quelle
che riescono a penetrare anche negli strati più bassi delle
società umane. Accade invece che, quando un rapido movimento
d'idee agita le classi più alte o alcuni centri intellettuali
più attivi, che per lo più si trovano nelle grandi
città, molto facilmente le classi più basse e le
contrade più remote di uno Stato rimangono indietro e diversi
tipi sociali accennano a formarsi nella stessa società.
La maggiore o minore unione morale fra tutte le classi sociali
spiega la forza o la debolezza che in certi momenti mostrano alcuni
organismi politici. È noto, ad esempio, quanto la macchina
governativa della Turchia pecchi di venalità, inettitudine e
trascuratezza; flotta, esercito, finanza tutto è andato in
malora nei dominî della Sublime Porta; pure, in certe
determinate occasioni, quando la mezzaluna appare in pericolo, il
popolo turco ha dato talora segni di tale fiera energia da
impensierire anche gli Stati militarmente più forti
dell'Europa. Gli è che il povero nizam stracciato e scalzo,
che si fa intrepidamente ammazzare dietro la trincea, il redif, che
all'appello del Sultano, abbandona il tugurio, sentono davvero la
formola politica che son chiamati a servire, e per essa sono pronti
a dare l'ultimo parà e financo la vita. I contadini turchi
della Romelia e dell'Anatolia credono realmente e fortemente
nell'Islam, nel Profeta, nel Sultano, che ne è il vicario, e
le credenze, in nome delle quali si domandano loro gli estremi
sacrifici, sono le stesse, che ordinariamente riempiono la sua vita
e formano il suo mondo morale ed intellettuale110. Malgrado la
ordinaria mediocrità dei propri ufficiali superiori111 il
soldato russo fu l'avversario più temuto da Napoleone I;
nella famosa campagna di Russia, la disfatta dell'esercito invasore,
più che dal freddo, forse più che dalla fame e dalla
diserzione, fu determinata dall'odio dal quale esso fu circondato e
perseguitato da Vitebsk in poi, appena cioè entrò nei
paesi propriamente russi. Fu quest'odio che inspirò la
sinistra energia di distruggere le provvigioni nel raggio battuto
dall'esercito nemico, di bruciare tutte le città ed i
villaggi, che si trovavano nella strada da Smolensko a Mosca, e che
die' a Rostopckin il coraggio di far bruciare la stessa Mosca.
Poichè anche per il moujik russo, Dio, lo czar, la santa
Russia formavano parte integrante di quelle credenze e di quei
sentimenti dei quali, fin dalla nascita, era stato imbevuto e che
per tradizione domestica aveva imparato a venerare.
E la stessa unità morale ci dà il segreto di altre
resistenze fortunate e quasi miracolose, e, là dove manca,
spiega il segreto di certe debolezze vergognose. Fu forte la Vandea,
perchè nobili, curati e contadini avevano le stesse credenze,
gli stessi affetti, le stesse passioni; fu fortissima la Spagna nel
1808 perchè il grande di Spagna e l'ultimo mandriano
ugualmente sentivano l'odio contro i Francesi invasori, tenuti in
conto di miscredenti, la fedeltà verso il loro sovrano,
l'orgoglio di essere una nazione fiera ed indipendente. E questa
unanimità di sentimenti, malgrado la mediocrità dei
duci, e quella ancora più spiccata degli eserciti regolari,
spiega i miracoli delle difese di Saragozza e di Tarragona e la
vittoria finale che coronò la campagna per la guerra
d'indipendenza112.
Al contrario debolissima si mostrò la stessa Spagna all'epoca
dell'invasione legittimista francese del 1822, perchè allora
solo una parte delle classi superiori comprendevano ed apprezzavano
il principio in nome del quale si combatteva, quello della monarchia
costituzionale, che era incomprensibile per il resto delle classi
superiori e per la massa del popolo. E debole si mostrò il
Napoletano negli anni 1798 e 1799, malgrado i numerosi atti
individuali e collettivi di disperato valore. Perchè, mentre
la massa del popolo e la maggioranza delle classi medie e superiori
odiavano i giacobini francesi, le idee rivoluzionarie, ed erano
fanatici della monarchia legittima e più ancora della fede
cattolica, una minoranza esigua delle classi elevate, scarsa di
numero, ma forte per intelligenza, esaltazione ed audacia,
dispregiava i sentimenti dei suoi compatriotti ed aderiva
completamente a quelli dei Francesi. Fu per questo che il
tradimento, e forse più che il tradimento il sospetto
continuo di esso, disorganizzò ogni resistenza:
disorganizzò l'esercito regolare, già per se stesso
mediocre, e rese meno efficace la resistenza spontanea delle
popolazioni, che forse, senza le intelligenze vere e supposte cogli
invasori, avrebbe trionfato113.
IV. — Finora abbiamo quasi esclusivamente accennato alle differenze
di credenze religiose e politiche nei diversi strati sociali, ora
faremo anche rilevare come il diverso grado di coltura intellettuale
e la diversità di linguaggio, di abitudini e di costumi
famigliari abbiano la loro importanza.
Noi siamo così abituati ad ammettere una distinzione fra la
classe che ha ricevuto un'educazione letteraria e scientifica
più o meno raffinata e quella che non ne ha ricevuto affatto
od è rimasta ai primi rudimenti, fra il ceto civile, che ha
le abitudini e le maniere della buona società, e la numerosa
categoria di persone che di questi requisiti manca, che facilmente
possiamo essere indotti a credere che la stessa distinzione,
ugualmente profonda ed ugualmente netta, esista in tutte le
società umane ed abbia sempre esistito nei nostri paesi. Ora
ciò non è: certo nell'Oriente maomettano la
distinzione accennata o non esiste quasi affatto o è
infinitamente meno spiccata che fra noi114; in Russia la profonda
differenza, che ci è ora fra la classe che colà si
appella l'intelligenza ed i moujicks ed i mercanti dalla lunga
barba, non poteva esistere all'epoca di Pietro il Grande, quando non
v'erano colà Università, ed i boiardi eran quasi
così rozzi ed ignoranti come i contadini. Anche nell'Europa
occidentale solo due secoli fa la differenza della coltura
intellettuale e delle abitudini pubbliche e private fra le diverse
classi sociali era assai meno spiccata di ora; essa si è
andata accentuando sensibilmente solo nei secoli decimottavo e
decimonono. E, per quanto sia strano a prima vista, pure è
esattamente vero che questo movimento nei costumi, notato da
parecchi scrittori di paesi diversi115, coincide col nascere e col
crescere di quella corrente d'idee e di sentimenti, che generalmente
va intesa col nome di democrazia, rendendo più stridente la
contraddizione fra le teorie adesso più in voga e la loro
pratica applicazione.
È nelle società burocratizzate che la differenza di
educazione fra le varie classi sociali può divenire
più accentuata, giacchè in quelle a tipo feudale i
singoli membri della classe dirigente sono generalmente dispersi in
mezzo ai loro seguaci, vivono in continuo contatto con loro, e
devono esserne, in certo modo, i capi naturali. A qualcuno
può far maraviglia che, durante il Medio Evo, quando il
barone stava isolato in mezzo ai suoi vassalli e li trattava
duramente, questi non profittassero della loro superiorità
numerica per liberarsi. Or certo la cosa non sempre era facile,
perchè un gruppo di persone, superiore per energia e pratica
delle armi al resto dei soggetti, era sempre più o meno
legato alla sorte del signore. Ma, indipendentemente da questa
considerazione, bisogna tenerne presente anche un'altra, che ha un
peso grandissimo: il barone conosceva spesso personalmente i suoi
vassalli, aveva il loro modo di pensare e di sentire, le stesse
superstizioni, le stesse abitudini, lo stesso linguaggio; era per
loro un padrone, qualche volta anche duro ed arbitrario, ma era pure
l'uomo, che essi comprendevano perfettamente, alla cui conversazione
potevano pigliar parte, alla cui mensa, sebbene in luogo più
basso, spesso si assidevano, ed insieme al quale qualche volta si
ubbriacavano. Or bisogna mancare di qualunque conoscenza psicologica
delle classi plebee per non comprendere subito quante cose questa
famigliarità vera, proveniente dall'uguaglianza
dell'educazione o, se così si vuole, da un'uguale rozzezza di
abitudini, faccia tollerare e perdonare116.
Difatti le prime rivolte dei contadini scoppiarono non quando la
feudalità era più dura, ma quando i nobili impararono
a stare fra loro e la gaia scienza e le corti d'amore cominciarono a
dirozzarli e ad allontanarli dalle rustiche abitudini dell'isolato
castello. Ed una osservazione importante fa su questo riguardo Adamo
Mickievicz. Secondo quest'autore la nobiltà polacca fu
popolare fra i contadini finchè visse in mezzo a loro; questi
si lasciavano allora togliere volentieri il pane dalla bocca,
perchè il loro signore potesse comprare cavalli ed armi di
lusso per la caccia ed anche per andare a sciabolare i Turchi ed i
Russi. Ma, quando l'educazione francese s'introdusse fra i nobili
polacchi, quando essi impararono a dare le feste di ballo all'uso di
Versailles e passarono le loro giornate danzando il minuetto, allora
contadini e nobiltà cominciarono a fare due popoli a parte,
nè i primi sostennero validamente la seconda nelle lotte, che
alla fine del secolo decimottavo combattè contro gli
stranieri117. Anche l'aristocrazia celtica dell'Irlanda, la vecchia
nobiltà degli 0' e dei Mac era, secondo il Macaulay e tutti
gli altri storici, popolarissima fra i contadini, le cui fatiche
fornivano al capo del clan il lusso della sua rozza ed abbondante
tavola, le cui figlie erano talora prelevate per il suo rustico
harem; ma quei nobili erano considerati quasi come membri della
famiglia, essi coi contadini aveano comune, dicevasi, il sangue e
certo le abitudini e le idee. Invece odiatissimo fu il proprietario
inglese che li surrogò, e che, forse più moderato e
certo più regolato e corretto nelle esigenze, era però
straniero di lingua, di religione, di consuetudini, viveva lontano,
e, anche stando vicino, avea per tradizione acquistato l'abitudine
di stare isolato, senza alcun contatto coi suoi dipendenti, tranne
quello strettamente necessario fra padroni e servi118.
V. — Gli è che vi sono nell'umanità sentimenti
individualmente forse imponderabili, di analisi difficile e di
più difficile definizione, ma il cui insieme è
fortissimo e può contribuire alla preparazione di fatti
sociali importantissimi. Chi scrisse che l'uomo si lascia guidare
dal solo interesse, diede una massima generale di un valore pratico
presso che nullo, la quale riesce a farci apprendere qualche cosa
solo a patto di analisi e distinzioni molto minute. Chi crede che
l'interesse sia quello solo che viene materialmente espresso per
mezzo del danaro, e che si misura a soldi ed a lire, è una
persona di poco cuore e che non ha testa sufficiente per capire gli
altri uomini. In verità per ogni individuo l'interesse
equivale al proprio gusto; ognuno quindi l'intende in una maniera
speciale, e per molti la soddisfazione dell'amor proprio, del
sentimento della dignità personale, di vanità grandi e
piccole, di capricci e rancori individuali, vale più dei
godimenti puramente materiali. Questi concetti bisogna sopratutto
tener presenti quando si vogliono studiare le relazioni fra ricchi e
poveri, fra superiori e subordinati, o meglio fra le diverse classi
sociali. In fondo, purchè i primi bisogni siano abbastanza
soddisfatti, ciò che contribuisce principalmente a far
nascere ed a mantenere la ruggine fra le diverse classi sociali non
è tanto la differenza dei godimenti materiali quanto
l'appartenere a due ambienti diversi: giacchè, ad una parte
almeno delle classi inferiori, ancor più delle privazioni,
può riuscire amara l'esistenza di un mondo superiore dal
quale è esclusa: di un mondo il cui accesso, senza esser
proibito da leggi nè da privilegi ereditari, è
ostacolato da un filo di seta sottilissimo, che difficilmente
però si può scavalcare: la differenza di coltura, di
maniere e di abitudini sociali.
Fin dall'antichità si è scritto che in ogni
città ed in ogni Stato vi sono due popolazioni nemiche, che
stanno sempre alle vedette per nuocersi l'una all'altra: queste due
popolazioni sarebbero i ricchi ed i poveri. Or la massima non ci
pare che possa avere un'applicazione assoluta e sopratutto generale,
e quanto già abbiamo detto può servire a spiegare le
moltissime eccezioni e restrizioni colle quali la si deve
accogliere. Generalmente i poveri seguono i ricchi, o meglio le
classi dirette seguono le dirigenti, ogni volta che sono imbevute
delle stesse opinioni e credenze ed hanno un'educazione
intellettuale e morale non troppo dissimile; le plebi inoltre sono
fide coadiutrici delle classi elevate nelle lotte contro gli
stranieri, quando il nemico appartiene ad un tipo sociale
così differente da inspirare uguale ripugnanza a ricchi ed a
poveri. Infatti in Spagna nel 1808 ed in Vandea contadini e signori
combatterono insieme, nè i primi profittarono mai dei
disordini dell'anarchia per svaligiare le case dei secondi. Non ci
è quasi esempio che le classi povere di un paese cristiano si
siano sollevate per aiutare una invasione maomettana, e molto meno
poi le classi povere di un paese maomettano favorirebbero
l'invasione cristiana.
La democrazia sociale dell'Europa centrale ed occidentale si mostra
indifferente riguardo al concetto di nazionalità e proclama
l'alleanza dei proletari di tutti i paesi contro i capitalisti di
tutto il mondo; or queste teorie potrebbero forse avere una certa
efficacia pratica se avvenisse una lotta fra Tedeschi e Francesi
ovvero fra Italiani ed Inglesi, popoli appartenenti tutti, presso a
poco, allo stesso tipo sociale. Ma se si trattasse di respingere una
seria invasione tartara o chinese, o semplicemente turca o russa,
noi crediamo che la grande maggioranza dei proletari, anche
colà dove sono fortemente imbevuti di collettivismo mondiale,
darebbero volentieri la loro cooperazione alle classi dirigenti119.
Chi ha molto viaggiato avrà notato un fatto, che ha la sua
importanza: spessissimo i poveri di paese diverso, come del resto
fanno anche i ricchi che appartengono a differenti contrade, si
affratellano fra di loro assai più che ricchi e poveri dello
stesso paese120. Però ciò accade finchè si
è tra popoli i costumi dei quali abbiano molta
affinità con quelli di casa propria; perchè se si va
in contrade molto lontane, dove si trovino idee ed abitudini
interamente nuove, allora il ricco ed il povero dello stesso paese,
o anche semplicemente di paesi vicini, si sentiranno fra di loro
assai più legati che cogli stranieri della loro classe121. Il
che vuol dire che, presto o tardi, arriva un punto in cui la
differenza di tipo sociale è assai maggiore con lo straniero
che fra le diverse classi dello stesso paese.
VI. — L' isolamento psicologico ed intellettuale delle plebi, il
distacco troppo marcato fra la coltura, le credenze e la educazione
delle varie classi sociali possono dare origine a parecchi fenomeni
sociali, interessanti certamente per lo studioso di scienze
politiche, ma pericolosi per le società ove accadono.
Ed in primo luogo, in sèguito a quest'isolamento, quasi
necessariamente si forma in mezzo alla plebe un'altra classe
dirigente, spesso in antagonismo con quella, che tiene in mano il
governo legale122. Quando questa classe dirigente plebea è
bene organizzata può dare a chi ufficialmente governa una
data società serii impicci. In molti paesi cattolici, ad
esempio, l'influenza morale sui contadini è ancora quasi
tutta in potere del clero: questi hanno per il curato tutta quella
fiducia che negano al funzionario governativo. In altri, dove il
popolo vede in questo funzionario e nel signore degli uomini, se non
del tutto nemici, certo completamente estranei, gli elementi
più risoluti e maneschi della plebe qualche volta riescono a
formare vastissime e tenacissime associazioni, che esigono tasse,
amministrano una giustizia speciale per proprio conto, hanno la loro
gerarchia, i loro capi, i loro tribunali riconosciuti. Si viene cosi
a costituire un vero Stato entro lo Stato, un Governo occulto spesso
più temuto, più obbedito e, se non più amato,
certo più compreso del Governo legale.
Dappertutto poi dove una frazione della classe politica, o
perchè convertita ad una nuova formola politica, o per altre
ragioni, aspira a rovesciare il Governo legale, essa usa sempre di
appoggiarsi sulle classi inferiori, che facilmente la seguono quando
sono nemiche od indifferenti verso l'ordine di cose costituito. E
per questa alleanza, così spesso conclusa, che noi vediamo la
plebe strumento necessario di quasi tutte le sommosse e rivoluzioni
e così spesso stare a capo dei movimenti popolari uomini di
una condizione sociale superiore. Accade pure talvolta il fenomeno
opposto: cioè che quella parte della classe politica, che ha
in mano il potere e resiste alle correnti innovatrici, si appoggi
sulle classi basse, che restano fedeli alle antiche idee ed
all'antico tipo sociale. Cosi avvenne in Spagna dopo il 1822 e fino
al 1830, così nel Napolitano nel 1799 ed in parte fino al
1860. In questi casi si possono avere periodi di governo goffo,
ignorante e plebeo, del genere di quello che fu definito la
negazione di Dio.
Ma il più pericoloso fra gli effetti, che può produrre
la differenza di tipo sociale fra le varie classi sociali e
l'isolamento reciproco fra esse, che necessariamente l'accompagna,
è la mancanza di energia nelle classi superiori, che
divengono deficienti di caratteri arditi e pugnaci e ricche di
individui molli e passivi. Abbiamo già accennato come nello
Stato a tipo feudale questo fatto riesca quasi impossibile:
giacchè, là dove la società si divide in
frammenti quasi indipendenti l'uno dall'altro, i capi di ogni
singolo gruppo devono essere necessariamente energici, essendo la
loro supremazia in gran parte affidata alla propria forza materiale
e morale, che hanno campo inoltre di continuamente applicare ed
esplicare nelle lotte cogli immediati vicini. Ma, quando
l'organizzazione sociale è progredita, allora la
superiorità della cultura e della ricchezza e sopra tutto la
coesione e l'organizzazione della classe governante, la quale
usufruisce dei vantaggi della macchina burocratica, possono, fino ad
un certo punto, supplire alla mancanza di energia individuale.
Può così accadere che una parte notevole della classe
governante, specialmente quella che dà alla società il
tono e l'indirizzo intellettuale, si disabitui dal trattare cogli
uomini delle classi inferiori e dal direttamente comandarli.
È questa la condizione di cose necessaria perchè la
frivolezza ed una specie di cultura tutta astratta e convenzionale
prendano il posto del senso della realtà e della vera ed
esatta conoscenza della vita umana; perchè gli animi perdano
ogni virilità e comincino a farsi strada le teorie
sentimentali ed esageratamente umanitarie sulla bontà innata
della specie umana, specialmente quando non è guasta dalla
civiltà123, e sulla preferenza assoluta da darsi, nelle arti
di governo, ai mezzi dolci e persuasivi piuttosto che a quelli
rigidi od imperiosi. Si crede allora, come scrisse il Taine, che,
poichè la vita sociale per secoli ha proceduto blanda ed
ordinata, come un fiume delle acque impetuose tra i suoi robusti
argini, gli argini siano diventati superflui e si possano
impunemente abbattere, perchè il fiume è rinsavito.
In questi errori tanto più facilmente una classe politica
è esposta a cadere quanto più essa è, se non
legalmente, effettivamente chiusa agli elementi provenienti dalle
classi inferiori; perchè in queste le necessità della
vita, la gara continua ed aspra per il pane, la mancanza di coltura
letteraria, mantengono sempre svegli gli aviti istinti della lotta e
la rudezza inesauribile della natura umana. Ad ogni modo, si
aggiunga o no all'isolamento intellettuale e morale anche
quest'altro coefficiente dell'isolamento per dir così
familiare, certo è che, quando la classe dirigente è
degenerata nel modo che abbiamo accennato, perde l'attitudine a
provvedere ai casi suoi ed a quelli della società, che ha la
disgrazia di essere da essa guidata. Allora lo Stato rovina al primo
urto un po' forte che venga dal nemico esterno, chi governa non sa
affrontare la minima tempesta, ed i rivolgimenti che una classe
politica forte ed avveduta avrebbe attuato con perdite infinitamente
minori di ricchezza, di sangue umano e di senso morale124 pigliano
l'aspetto di cataclismi sociali.
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
I. Varie opinioni intorno al progresso del senso morale. — II. La
scuola evoluzionista. — III. Dottrina del Buckle - Disciplina del
senso morale. — IV. Influenza delle credenze religiose nella
disciplina del senso morale. — V. Influenza dell'organizzazione
politica. — VI. Il semplicismo politico in rapporto alla difesa
giuridica. — VII. I Governi misti - Completamento della teoria di
Montesquieu sulla divisione dei poteri. — VIII. Influenza della
separazione del prestigio religioso dal potere laico. — IX.
Influenza della distribuzione della ricchezza. — X. Rappresentanza
ed equilibrio di tutte le forze politiche. — XI. L'unità di
tipo nella classe politica.
I. — Non sarebbe indispensabile definire che cosa sia il senso
morale: giacchè si tratta di un concetto, che tutti sentono e
capiscono, senza che sia necessario che venga da una formola
determinato e circoscritto. Ad ogni modo diremo come per esso
generalmente s'intenda quell'insieme di sentimenti, per i quali la
naturale propensione degli individui umani ad esplicare le proprie
facoltà ed attività, a soddisfare i propri appetiti e
le proprie volontà, a comandare ed a godere, viene frenata
dalla naturale compassione per il danno ed il dispiacere, che altri
uomini potrebbero risentirne. Qualche volta questo sentimento arriva
al punto che la soddisfazione morale per aver procurato il piacere e
l'utile altrui vince quella materiale di aver provveduto al proprio.
Quando la limitazione all'appagamento del proprio piacere, di fronte
al sacrifizio altrui, è determinata dai sentimenti affettuosi
verso le persone che ci stanno più vicine e che ci sono
ordinariamente care, allora si dice che essa è basata sulla
simpatia; quando essa è inspirata soltanto dal rispetto che
si deve agli altri uomini, anche estranei, anche nemici, sol
perchè uomini, allora si ha il sentimento più delicato
e molto meno diffuso della giustizia. L'idealizzazione e
l'esagerazione di questi sentimenti sono state concretate nelle note
formole: ama il prossimo tuo come te stesso, non fare agli altri
quello che non vorresti che fosse fatto a te. Esse però hanno
piuttosto il significato di uno sforzo per raggiungere un
perfezionamento morale, che mai potrà essere toccato,
anzichè quello di un consiglio pratico ed applicabile alla
vita reale. Infatti, tranne le eccezioni dovute quasi sempre
all'amor paterno e materno, ogni individuo è quello che a
preferenza di tutti può e sa provvedere meglio ai casi suoi,
e, perchè vi provveda bene, è necessario che ami
sè stesso almeno un po' più degli altri e che li
tratti in modo differente dal proprio io125.
È una quistione molto discussa quella intorno al progresso od
alla stabilità del senso morale. Si sa che un chiarissimo
scrittore del secolo scorso, il Buckle, osservando che i principi
etici più puri ed elevati furono già noti e proclamati
anche in società antichissime, sostenne che il progresso
delle società umane è quasi esclusivamente
intellettuale e scientifico, non già morale126. A conclusioni
essenzialmente diverse viene la moderna e numerosa scuola
evoluzionista: secondo questa, il senso morale può e deve
continuamente progredire in grazia della lotta per l'esistenza, in
base alla quale entro ogni società sopravvivono a preferenza
gli individui più ricchi di sentimenti altruistici, che sono
i più utili agli interessi del corpo sociale, e, nella lotta
tra società diverse, finiscono sempre per vincere quelle dove
gli stessi sentimenti sono in media più forti127. Esamineremo
brevemente le due dottrine, tanto quanto basterà a dimostrare
che nessuna di esse può venire riguardata come base
inconcussa di deduzioni scientifiche, e cominceremo dalla seconda
che fino ad oggi è la più sparsa e diffusa.
II. — Or, anche non tenendo conto di quanto abbiamo creduto di
dimostrare nella prima parte del nostro lavoro, circa la lotta per
l'esistenza, che viceversa fra gl'individui di una società
arrivata ad un grado anche mediocrissimo di cultura, sarebbe
piuttosto lotta per la preminenza, ci pare un vero paradosso il
principio proclamato dai sedicenti positivisti, secondo il quale,
entro ogni gruppo sociale, o ai gradi più elevati, od anche
addirittura alla sopravvivenza dovrebbero arrivare preferibilmente
gl'individui più morali e perciò più dotati di
sentimenti altruistici. Tutto ciò che in questo proposito
possiamo concedere, e concediamo volentieri, è che un
individuo specialmente sprovvisto di senso morale, e che non sappia
abbastanza mascherare le sue tendenze, avrà a superare
difficoltà maggiori degli altri per l'antipatia e ripugnanza
che generalmente inspirerà; ma anche un individuo di senso
morale specialmente squisito si troverà in condizioni
svantaggiosissime. In sostanza, in tutti i negozi grandi e piccoli
della vita, egli dovrà lottare con armi assolutamente impari.
La maggioranza degli uomini userà contro lui quelle arti, che
egli potrà conoscere benissimo, ma che si guarderà
bene dall'adoperare; e da ciò ricaverà un danno certo
maggiore di quello che risentirà dalla malevolenza di cui
è circondato un accorto briccone, che sa misurare bene le sue
bricconate. In verità si può essere eccezionalmente
buoni quasi senza averne conscienza, per naturale semplicità
di animo, od anche conscientemente per magnanimità di cuore,
per insuperabile ripugnanza al male ed inflessibile dirittura di
carattere; ma non già perchè si possa menomamente
credere che con la bontà si ottenga più facilmente il
conseguimento dei proprî fini o ciò che comunemente si
dice la riuscita ed il successo nella vita. L'utilitarismo inteso in
questo senso come base della morale, ci si permetta di dirlo, non
può essere che la furberia di un ipocrita o il sogno di uno
sciocco.
È chiaro quindi che, in tutte le società, la
così detta evoluzione e selezione dei migliori dovrebbe
risolversi in un perpetuarsi e moltiplicarsi dei tipi di
moralità media, che sono veramente i più adatti a
ciò che si dice la lotta per l'esistenza; e la sopravvivenza,
e forse è più esatto dire la preminenza, dovrebbe a
preferenza spettare a quei caratteri, che in ogni ambiente sociale,
rappresentano la più aurea mediocrità morale.
Senonchè ci pare che, neppure così sostanzialmente
modificata, la teoria degli evoluzionisti riesca accettabile;
giacchè essa suppone ad ogni modo che l'elemento morale sia
sempre il fattore principale, che contribuisce a preferenza degli
altri alla riuscita o al mancamento degli scopi, che ogni individuo
si prefigge nella vita. Or praticamente la cosa non va così.
A tacere dell'influenza della fortuna, che è più
grande di quello che generalmente si immagina, la ricchezza o la
deficienza di certe qualità intellettuali, come sarebbero la
prontezza della percezione e la finezza dell'osservazione,
contribuiscono moltissimo a portare un uomo ai più alti
gradini della società o a tenerlo nei più bassi. Ma
sopratutto vi contribuiscono altre qualità, che dipendono
dalla tempra dell'individuo senza che siano, propriamente parlando,
nè intellettuali nè morali. Esse sono la tenacia nei
propositi, la confidenza in sè stesso, e, sopra tutto
l'attività. Anzi, a voler giudicare in qualunque
società se un individuo si farà o no avanti nella vita
non si può certo usare un criterio unico, ma volendo tener
d'occhio il criterio principale, si deve guardare se è attivo
e se sa bene impiegare la sua attività128.
Una parte sola della teorica selezionista possiamo ammettere come
vera; crediamo infatti che si possa accettare che nella lotta fra
due società (caeteris paribus), debba trionfare quella i cui
individui sono in media più provvisti di senso morale, e che
quindi saranno più uniti, più fiduciosi gli uni degli
altri, più capaci di abnegazione. Ma questa eccezione nuoce
anzichè giovare al complesso della tesi evoluzionista;
giacchè, se in una data società una media più
elevata del senso morale non può provenire dalla
sopravvivenza dei migliori, ammesso che il fatto esista, non si
può attribuirlo che ad una migliore organizzazione della
società stessa: a quelle cause cioè d'indole storica,
che sono le peggiori nemiche di coloro, che i fenomeni sociali
vogliono precipuamente spiegare mercè i mutamenti
dell'organismo e della psiche individuale.
III. — Sebbene meno lontane dal nostro modo di vedere, pure non
possiamo accettare le teorie del Buckle senza modificarle o almeno
senza completarle. È verissimo infatti che in società
molto antiche troviamo massime e leggi, che dinotano un senso morale
molto squisito; in papiri, ad esempio, che rimontano alla dodicesima
dinastia egiziana, si leggono precetti che valgono quasi quelli
della morale cristiana e buddistica129. Platonici e Stoici nel mondo
greco-romano, gli Esseni in quello ebraico sono pure i
rappresentanti di una morale superiore, e numerose traccie di essa
si possono agevolmente rintracciare nelle civiltà chinese,
indiana e persiana anteriori all'êra volgare. Ma bisogna
considerare e notare che, benchè la data alla quale rimontano
i precetti accennati sia remota, pure essi sono stati escogitati ed
accolti da popoli la cui civiltà era già antica ed il
cui senso morale avea perciò subìto una lunghissima
elaborazione. Invero, se un paragone è possibile fra la
morale di una tribù primitiva e quella di un popolo
relativamente civile e che per lunghi secoli ha vissuto organizzato
in grandi e numerosi organismi politici, è quello stesso che
si può fare fra la morale di un bambino e quella di un
adulto. La prima rappresenta l'incoscienza, la seconda la coscienza:
nel primo gli istinti buoni e cattivi sono semplicemente abbozzati,
nel secondo li osserviamo completamente sviluppati e maturi. Tanto
il fanciullo che il selvaggio possono fare il male, e grandissimo
male, ma nel loro operato prevarrà sempre il cieco, bestiale
impeto al calcolo ed alla premeditazione, e possono anche fare il
bene senza mai raggiungere in esso la squisita correttezza, il
consciente sacrifizio di sè di cui è capace l'uomo
adulto e civile130.
Ma non è soltanto nella maggiore perfezione degli istinti
morali ed immorali che l'uomo civile differisce dal selvaggio;
giacchè, nelle società di antica cultura e che per
secoli hanno goduto di una salda organizzazione politica, la
compressione degli istinti immorali, ciò che alcuni penalisti
chiamerebbero la contro spinta che li frena, è
indiscutibilmente più forte, ed acquista tutta l'importanza
di una inveterata abitudine. In queste società si vanno per
lunga e lenta elaborazione creando quegli organi, che fanno
sì che, in un certo numero di rapporti pubblici e privati, la
moralità generale tenga a freno la manifestazione della
immoralità individuale. Quasi tutti comprendono, quando non
sono interessati ed appassionati, che un dato atto non risponde a
quei sentimenti di giustizia, che sono comuni nella società
in cui vivono; ma certo potrebbe darsi che la gran maggioranza
commettesse quello stesso atto sotto la spinta della passione o di
un forte interesse.
Or l'opinione pubblica, la religione, la legge e tutta
l'organizzazione sociale che la fa osservare, sono l'espressione
della coscienza della moltitudine, che nei casi generali è
spassionata e disinteressata, contro l'uno o i pochi ai quali la
violenza dei sentimenti egoistici vela, in un dato momento, il retto
intendimento del giusto e dell'onesto; il giudice è lo
strumento del senso morale di tutti, che, caso per caso, tiene a
dovere e frena le passioni e gl'istinti malvagi di ciascuno.
Quindi non solo in una civiltà avanzata gl'istinti morali,
come le passioni egoistiche, si affinano e diventano più
coscienti e perfetti, ma in una società la cui organizzazione
politica è molto progredita, la disciplina morale è
indiscutibilmente maggiore, e sono più numerosi e più
specificati gli atti troppo egoistici, che dal controllo e freno
reciproco degli individui che la compongono sono proibiti ed
ostacolati. In ogni società vi è certamente, un numero
di individui relativamente piccolo, che ha tendenze spiccatamente
refrattarie ad ogni disciplina sociale; ed è pure certo che
vi ha un certo numero di coscienze superiori e di caratteri
saldamente temprati, per i quali ogni freno, che li mantenga nella
rotta via, riesce quasi superfluo. Ma fra questi due estremi vi
è la maggioranza immensa delle coscienze mediocri, per le
quali il timore del danno e della pena, il fatto che delle proprie
azioni si è responsabili davanti ad altri, che non sono
nè complici nè subordinati, sono mezzi efficacissimi
per far superare vittoriosamente le mille tentazioni, che la vita
pratica offre alla trasgressione dei doveri morali.
I meccanismi sociali che regolano questa disciplina del senso morale
formano ciò che noi chiamiamo la difesa giuridica. Diciamo
subito che essi non sono in tutte le società ugualmente
perfetti: può darsi anzi, e si è dato il caso, che una
società scientificamente ed artisticamente più
progredita di un'altra resti, da questo lato, in uno stato di
notevole inferiorità. E può darsi anche che la difesa
giuridica si vada infiacchendo e diventi meno efficace in
società le quali sono in un periodo di progresso scientifico
ed economico131. È innegabile poi che una grave catastrofe,
come sarebbe una lunga guerra od una grande rivoluzione, produce
dovunque un periodo di dissoluzione sociale; la disciplina dei
sentimenti egoistici allora vien meno, le abitudini colle quali essi
sono stati lungamente frenati si scuotono, e gli istinti bestiali,
addormentati ma non spenti da un lungo periodo di pace e di
civiltà, riappaiono vivaci. Giacchè se da una parte la
maggiore cultura è riuscita a dissimularli, dall'altra li ha
resi più temprati ed acuiti.
È così che vediamo talvolta gruppi di avventurieri
appartenenti a popoli civili, in contatto con popoli barbari o di
tipo sociale differentissimo, credersi sciolti dagli ordinari
vincoli morali e perpetrare le azioni per le quali rimasero celebri
i conquistatori spagnuoli nell'America, e Warren Hastings e Clive
nell'India; ed è ricorrendo agli stessi criteri che si
possono spiegare gli eccessi tremendi della guerra dei trent'anni,
della Rivoluzione francese e di altre guerre civili132.
IV. — Se noi guardiamo ai principali popoli, che hanno avuto ed
hanno una storia, vediamo che in essi la disciplina del senso morale
è affidata tanto alle religioni quanto a tutta
l'organizzazione legislativa. In origine anzi presso tutti, ed
ancora adesso presso molti popoli, la legge civile e il precetto
religioso si sono assolutamente confusi e le sanzioni che li
accompagnavano andavano e vanno sempre uniti. Oggi nei paesi di
civiltà europea e chinese l'organizzazione laica o civile e
quella religiosa sono più o meno nettamente separate: e la
seconda riesce tanto più efficace quanto più forte
è la fede che sa inspirare e mantenere; mentre la prima fonda
la sua perfezione nella sua maggiore conformità a certe
tendenze psicologiche, che sarà nostro dovere d'indagare.
Si è lungamente disputato se la sanzione religiosa, quando
è separata da quella politica, riesca più efficace di
questa; se il timore dell'inferno valga in pratica più del
carcere e del gendarme: ci pare che una risposta precisa ed
applicabile a tutti i casi, che la questione può presentare,
difficilmente possa darsi. È ovvio che un paese la cui
organizzazione politica è fiacca e primitiva e nel quale la
fede religiosa è ardente, trovasi in condizioni
essenzialmente diverse di quelle di un altro paese, nel quale gli
entusiasmi religiosi siano intiepiditi ed il regime politico,
amministrativo e giudiziario assai perfezionato. Più avanti
dovremo trattare lungamente dell'efficacia etica delle religioni in
genere; ad ogni modo possiamo fin da ora dire, che, sebbene tanto il
precetto religioso che le leggi civili siano emanazione di quel
senso morale collettivo, che è indispensabile in tutte le
associazioni umane, sebbene sia innegabile che un qualche effetto
pratico tutte le religioni hanno e devono avere, pure è per
lo meno arrischiata l'opinione di coloro, che ne vorrebbero
esagerare l'importanza. Se chi pensa così avesse ragione,
grande, ad esempio, dovrebbe essere la differenza morale fra un
popolo cristiano ed uno idolatra. Or certo, se si paragona un popolo
cristiano civile ad un popolo idolatra barbaro, il distacco morale
è immenso; ma se poniamo accanto due popoli allo stesso grado
di barbarie, dei quali uno abbia abbracciato il Cristianesimo e
l'altro no, allora si trova che, nella pratica, essi si diportano
presso a poco alla stessa maniera, o almeno non vi è un
distacco molto sensibile nella loro condotta: i moderni Abissini
sono un esempio vivente e notorio di quanto affermiamo133. Se poi
paragoniamo la società ancora pagana, ma politicamente
ben'ordinata, dell'epoca di Marco Aurelio con quella cristiana ma
disordinatissima, che ci viene descritta da Gregorio di Tours,
dubitiamo forte che il parallelo non riesca tutto favorevole alla
prima.
Invero è proprio della natura umana che un danno certo e
prossimo, per quanto relativamente piccolo, sia generalmente
più temuto di un danno incerto e remoto per quanto grande.
Per la massa delle coscienze volgari, nel momento che la
cupidità, la libidine o la vendetta le spinge al furto, allo
stupro, all'omicidio, il timore dell'ergastolo e del patibolo sono
mezzi più potenti e sopratutto più sicuri di
prevenzione della possibilità degli eterni tormenti; e se
ciò è vero per i grandi strappi al senso morale, che
si fanno solo nei momenti di passione violenta, è verissimo
per le piccole violazioni ai precetti più ovvii
dell'equità e della giustizia, alle quali possiamo essere
indotti dalla spinta quotidiana dei piccoli interessi e delle
piccole bizze. Infatti quale legge morale o religiosa non riconosce
che il pagare i debiti è, in massima, una cosa giusta e
doverosa? Eppure dobbiamo confessare che moltissimi buoni credenti
si asterrebbero dal farlo, e troverebbero mille cavilli e pretesti
per ingannare la propria coscienza, se non vi fossero costretti
dalla pubblica vergogna e sopratutto dall'usciere. Non ci vuole un
sentimento troppo delicato per capire che il bastonare un altro
è una cosa, per lo meno, scorretta; eppure l'abitudine di
alzare le mani sul prossimo nei momenti d'ira, viene nelle masse
combattuta efficacemente solo dalla sicurezza che chi dà un
pugno si espone a riceverne subito un altro, e che l'affare
può anche terminare col carcere o con la multa.
E noi vediamo, pur troppo, che gli esseri più deboli e
più incapaci di difesa, le donne ed i fanciulli, i quali
appunto per ciò dovrebbero essere maggiormente tutelati dal
sentimento religioso e morale, sono le vittime più frequenti
delle brutalità manesche. E in paesi molto religiosi, ma nei
quali le classi inferiori sono completamente abbandonate
all'arbitrio di quelle superiori, non è cosa straordinaria
che i padroni battano servi e vassalli.
Certo che la fede religiosa, come l'entusiasmo patriottico e le
passioni politiche, possono, in dati momenti di sovraeccitazione
straordinaria, produrre grandi correnti di abnegazione e di
sacrificio e spingere le masse a fatti ed a sforzi che, a chi tien
conto solo della natura ordinaria dell'uomo, sembrano quasi
sovrumani134. I giubilei cattolici e i revivals protestanti ce ne
porgono più di un esempio, e, come fatti caratteristici, si
possono anche citare il gran movimento di carità e d'amore,
che agitò l'Umbria al tempo di S. Francesco d'Assisi, e
qualche fugace giornata della rivoluzione francese e dei moti del
1848 in Italia. Ma la possibilità che hanno certi sentimenti
di eccitare febbri passeggiere non ci deve indurre in errore intorno
alla loro reale efficacia nella vita ordinaria dell'umanità.
Si sono viste città intiere, in momenti di sovraeccitazione
patriottica e religiosa, spogliarsi dei propri beni per donarli allo
Stato od alla Chiesa: ma certo nessuna organizzazione politica
può a lungo sussistere se l'imposta non ha un carattere
coattivo; e la Chiesa stessa, quando ha potuto, ha reso obbligatorie
le decime.
Il sentimento patriottico ed ancor più il religioso, e
più ancora quando sono combinati in unica passione, bastano a
produrre insurrezioni generali e violente, ed in certi momenti hanno
indotto intere popolazioni a pigliare le armi per imprendere
spedizioni lontane ed arrischiatissime, come ad esempio avvenne
nelle prime due o tre crociate. Ma essi non bastano a fornire
eserciti saldi e sicuri, che in tutti i momenti siano pronti laddove
il bisogno lo richieda; tranne che non si tratti di popolazioni
nelle quali la guerra sia un'occupazione ordinaria e fornisca lucri
abituali. Questa specie di eserciti, fra genti che vivono
ordinariamente d'agricoltura, d'industrie e di commercio, sono
invece il prodotto di una salda disciplina sociale, che costringe
inesorabilmente ogni individuo a fare il suo dovere ed a prestare il
suo servizio in dati tempi e in dati modi.
V. — Or è certo che l'organizzazione propriamente detta
politica, quella che stabilisce l'indole dei rapporti tra la classe
governante e quella governata e tra i vari gradi e le diverse
frazioni della prima, è il fattore, che contribuisce
precipuamente a determinare il grado di perfezione, che può
raggiungere la difesa giuridica di un popolo. Un Governo onesto, un
Governo di verità e di giustizia, un Governo veramente
liberale, come l'intendeva il Guicciardini135, è la miglior
garenzia che, anche i diritti che più comunemente s'intendono
per privati, la tutela cioè della proprietà e della
vita, saranno efficacemente custoditi. Un regime corrotto, nel quale
può accadere che chi comanda, in nome di Dio o del popolo
poco importa, libito faccia licito in sua legge, è evidente
che sarà insufficiente anche nell'adempiere a questa
missione; e, sebbene ufficialmente possa riguardo ad essa proclamare
principii accettabili ed anche elevati, pure nella pratica questi
saranno malamente osservati136.
È un'osservazione non solo facile, ma diremo quasi banale
questa: che i rapporti fra governanti e governati e fra le varie
categorie dei primi, sono più o meno inspirati a principii di
moralità e giustizia, secondo la diversità dei paesi e
dei tempi. Infatti non vi è chi non veda subito la
differenza, che corre su questo riguardo fra il governo dei
pascià e dei visir turchi del buon tempo antico, dello stampo
di Maometto Köproli, Mustafà Bairakdar ed Ali Tebelen,
che disponevano alla spiccia delle sostanze, del corpo e della vita
dei raiah ed anche talvolta dei credenti da loro governati, e quello
dei mandarini chinesi, che in conclusione devono far capo alla
corruzione burocratica per potere aggiunger qualche supplemento al
loro stipendio; e per eseguire una sentenza di morte, a meno che una
provincia non sia sottoposta a leggi eccezionali, devono spedire il
processo a Pekino per esservi riveduto ed all'occorrenza corretto.
Salta subito agli occhi che la Russia sotto Ivano IV il terribile,
quando le confische e gli sterminii in massa d'intere città
erano cose ordinarie, era retta in modo alquanto diverso di come
è governata oggi; ne è meno evidente che la Russia
d'oggi, è governata in modo diverso dall'Inghilterra, dove
ogni arresto personale deve essere subito e seriamente legalizzato.
E neppure è dubbio che le grandi nazioni dell'Europa centrale
ed occidentale siano rette in modo alquanto diverso delle
Repubbliche dell'America meridionale, dove la fucilazione, che il
partito vincitore infligge ai capi del partito vinto, non è
ancora andata in disuso, ed in qualcuna delle quali, in epoca non
remota, coloro che ressero per qualche anno il potere ebbero modo di
rubare non dei milioni ma dei miliardi137.
Tutte queste sensibilissime variazioni nel grado di bontà del
regime politico sono da alcuni molto facilmente spiegate colle
differenze di razza. Abbiamo già nella prima parte del nostro
lavoro ampiamente trattato quest'argomento; ci limiteremo ora a
rammentare che il vizio della razza difficilmente si può
invocare quando si tratta di popoli, che hanno saputo creare
civiltà molto avanzate e che in altri tempi aveano
organizzazioni politiche nelle quali la difesa giuridica era
relativamente eccellente rispetto a quella delle nazioni, che ora da
questo lato li sopravanzano, e che finalmente, nei loro rapporti
privati, non mostrano quella inferiorità organica del senso
morale, che solo nelle pubbliche faccende verrebbe a
manifestarsi138. Altri la spiegano colla differenza del grado di
civiltà: e questi hanno senza dubbio una parte di ragione;
perchè, come più avanti dovremo dimostrare, è
assai difficile, per non dire impossibile, che una società
vasta e numerosa come una nazione moderna abbia molto perfezionato
la sua difesa giuridica, se non ha raggiunto uno sviluppo
intellettuale ed economico abbastanza notevole. Ma la parte è
cosa differente dal tutto: giacchè molti sono i popoli che
hanno avuto periodi di splendore materiale ed anche intellettuale e
che, quasi costretti da una specie di forza fatale, non hanno mai
potuto disfarsi da certi tipi di organizzazione politica, i quali
sembrano del tutto impropri ad assicurare un vero progresso nella
morale delle classi governanti139: quindi, ciò che
comunemente appellasi civiltà è, evidentemente, una
condizione necessaria, ma non sufficiente per il vero progresso
politico.
Si può invero affermare che le abitudini contribuiscono
grandemente nel determinare il grado massimo di perfezione o
d'imperfezione nella difesa giuridica, che un popolo è capace
di stabilmente godere o sistematicamente tollerare. Infatti si
può senza stento ammettere che sarebbe impossibile che, in
una od anche in poche generazioni, i moderni Persiani, ad esempio,
possano diventare adatti al regime che ora vige in Inghilterra, o
che i nostri contemporanei Inglesi possano ridursi a tale da essere
governati come lo sono i sudditi dello Scià. Abbiamo
già accennato al fatto che le abitudini morali si modificano
assai più lentamente di quelle intellettuali, però
esse, per quanto lentamente, pur si modificano; e possono andar
cambiando in senso buono come in senso cattivo. Se è vero
quindi che gl'Inglesi moderni non tollererebbero più un re
come Riccardo 3°, un lord cancelliere come Francesco Bacone, un
giudice come Jeffreys, un generale comandante le truppe nella Scozia
come Graham di Claverhouse e probabilmente neppure un lord
protettore come Cromwell, se si può ragionevolmente sperare
che Bernabò Visconti e Cesare Borgia sarebbero impossibili
fra gl'Italiani d'oggidì, non è men vero che, a
qualche secolo d'intervallo, i Romani, dei quali Polibio avea
ammirato l'organizzazione politica che era forse la migliore di
tutta l'antichità classica, si adattarono a sopportare la
tirannide di Tiberio, di Caligola e di Nerone, e che i discendenti
dei Greci contemporanei di Aristide, di Pericle e di Epaminonda
stettero per lunghi secoli sotto il governo degli imperatori
bizantini. Inoltre è innegabile che vi devono essere delle
cause, che determinano il formarsi di alcune abitudini a preferenza
di altre; sicchè, ammesso anche che la varietà di
regime politico sia dovuta principalmente alla differenza di
abitudini politiche, resta integro il problema intorno alla ricerca
delle cause per le quali le dette abitudini si sono variamente
stabilite.
In conclusione noi crediamo di trovarci davanti ad una grande legge
psicologica, la quale può sola spiegare perchè
gl'istinti morali di un popolo più o meno si affermano e si
sviluppano nella sua organizzazione politica; legge che in fondo non
è che una delle tante esplicazioni dell'altra legge
più generale, che abbiamo esposto in principio di questo
capitolo, la quale spiega la maggiore o minore forza dei freni
morali in tutte le manifestazioni della vita sociale.
VI. — La preponderanza assoluta di una sola forza politica, il
predominio di un concetto semplicista nell'organizzazione dello
Stato, l'applicazione severamente logica d'un solo principio
ispiratore di tutto il diritto pubblico, sono gli elementi necessari
per qualunque genere di dispotismo; tanto per quello fondato sul
diritto divino, che per l'altro che presume di avere la sua base
nella sovranità popolare; per il fatto che essi permettono a
chi ha in mano il potere di sfruttare maggiormente, a beneficio
delle proprie passioni, i vantaggi di una posizione superiore.
Giacchè, quando coloro che stanno alla testa della classe
governante sono gli interpreti esclusivi della volontà di Dio
o del popolo, ed esercitano la sovranità in nome di questi
enti, in società profondamente imbevute di credenze religiose
o di fanatismo democratico, e quando altre forze sociali organizzate
non esistono all'infuori di quelle, che rappresentano il principio
sul quale si basa la sovranità della nazione, allora nessuna
resistenza, nessun controllo efficace sono possibili, che valgano a
temperare la naturale tendenza, che hanno coloro che stanno a capo
della gerarchia sociale ad abusare dei loro poteri.
Una classe governante, che tutto si può permettere in nome di
un sovrano, che tutto può fare, subisce una vera
degenerazione morale; quella degenerazione che è comune a
tutti gli uomini, i cui atti sono esenti dal freno e dal controllo,
che ad essi ordinariamente impone l'opinione e la coscienza dei loro
simili. Le responsabilità dei subordinati, che finiscono col
risolversi nell'irresponsabilità e nell'onnipotenza
dell'uomo, o del piccolo gruppo di uomini che stanno a capo della
gerarchia di tutti i funzionari, si chiamino Czar, Sultano o
Comitato di salute pubblica, comunicano a tutta la macchina politica
i vizi che l'assolutismo genera nei capi. Giacchè tutto si
può osare quando s'interpreta la volontà, vera o
supposta, di chi crede avere il diritto che tutto pieghi ad un suo
cenno, senza che abbia la possibilità di tutto vedere e senza
che altre coscienze libere e disinteressate possano controllare le
sue passioni ed i suoi errori.
E gli effetti di un simile sistema sono pronti e tristissimi.
Crediamo che nessuno come il russo Dostoiewsky, che visse lungamente
nel paese dell'autocrazia e passò dieci anni nelle miniere
della Siberia, abbia fra i moderni descritto con più
verità e sentimento la degenerazione del carattere, che il
potere assoluto produce negli uomini, sicchè non rinunciamo a
trascrivere le sue parole. Egli dice: “Chi possiede la potenza
illimitata sulla carne ed il sangue del suo simile, chi ha la
facoltà di avvilire coll'avvilimento supremo un altro essere,
è incapace di resistere al desiderio di fare il male. La
tirannia è un' abitudine, che diventa alla lunga una
malattia. Il miglior uomo del mondo può abbrutirsi
così da non distinguersi da una fiera. Il sangue inebria, lo
spirito diviene accessibile ai fenomeni più anormali, che
possono sembrare delle vere gioie. La possibilità di una tale
licenza diviene alle volte contagiosa a tutto un popolo; eppure la
società, che disprezza il carnefice ufficiale, non disprezza
codesti carnefici potenti...” Or è appunto questa specie di
ubbriachezza morale, rilevata pure da parecchi moderni psichiatri,
quella che spiega gli eccessi degli onnipotenti, che ci dà la
chiave delle follie criminose di parecchi imperatori romani, di
Ivano IV e Pietro il Grande, di tanti sultani dell'Oriente, di
Robespierre, di Barrere, di Carrier e di Lébon140.
Si può obbiettare che vi sono stati sovrani assoluti buoni,
come ve ne sono stati di cattivi, e che nell'Europa continentale,
prima della recente adozione dei Governi costituzionali e
parlamentari, l'assolutismo non produsse risultati cosi disastrosi
da giustificare quanto noi abbiamo sostenuto. Rispondiamo facilmente
che l'assolutismo europeo posteriore al Medio Evo fu tutt'altro che
completo; perchè anche l'autorità di un Luigi XIV avea
freni possenti nella tradizione di un tempo in cui il Re non era che
il primo dei baroni, nei privilegi secolari della nobiltà e
delle Provincie, e sopratutto nella separazione più o meno
completa della Chiesa dallo Stato. Ad ogni modo, tanta è la
ricchezza e la varietà della natura umana, che ammettiamo,
ciò che del resto è provato dalla storia, che alcuni
individui abbiano saputo interamente dominare le proprie passioni e
conservarsi puri ed onesti, anche dopo essere stati lungamente
investiti di un'autorità assoluta. Ma l'influenza benefica di
questi fortunati accidenti è meno grande di quello che
comunemente si crede: giacchè, in un paese abituato
stabilmente ad un regime dispotico, la massa della classe politica
usa ad essere adulatrice e vile coi superiori, necessariamente deve
diventare superba, dispotica, soverchiatrice cogli inferiori; gli
uomini sciaguratamente essendo cosi fatti che, quanto più
sono soggetti al capriccio ed all'arbitrio di chi sta in alto, tanto
più, in generale, tendono a far pesare il loro capriccio ed
il loro arbitrio su chi sta in basso e resta in loro balia141.
VII. — Nell'antichità Aristotile, Polibio e qualche altro
scrittore, dando la preferenza ai governi misti di monarchia,
aristocrazia e democrazia, intuirono chiaramente la legge, che
abbiamo enunciato. In verità, nello Stato greco, l'antica
monarchia appoggiata al carattere sacro ed alla tradizione,
l'aristocrazia che rappresentava pure la tradizione ed
ordinariamente la proprietà territoriale, la democrazia
basata sulla ricchezza mobiliare, sul numero, sulle passioni della
folla, erano altrettante forze politiche, la cui contemperanza,
finchè una non prevalse esclusivamente sulle altre, potea
dare, e diede, un tipo di organizzazione politica, nel quale la
difesa giuridica era, nei tempi ordinari, sufficientemente
garentita. Anche in Roma, all'epoca nella quale la sua costituzione
fu tanto ammirata da Polibio, troviamo contemperate le influenze
della grande proprietà patrizia e della piccola
proprietà plebea con quella della proprietà mobiliare
dei cavalieri; troviamo le tradizioni delle grandi famiglie di
ottimati, discendenti dai Numi, mantenere la loro possanza di fronte
alle passioni popolari ed ai servizi ed alle ricchezze recenti delle
grandi famiglie plebee, e troviamo queste forze politiche diverse
estrinsecarsi nelle varie autorità politiche, militari,
amministrative e giudiziarie, alleandosi e temperandosi in modo da
dar luogo allo Stato giuridicamente più perfetto di tutta
l'antichità.
Nel secolo scorso Montesquieu dallo studio della Costituzione
inglese ricavò la dottrina la quale insegna che,
perchè un paese sia libero, è necessario che il potere
vi freni il potere e che l'esercizio dei tre poteri fondamentali,
che egli trovava in qualunque Stato, sia affidato ad organi politici
diversi. Omai i trattatisti di diritto costituzionale hanno
dimostrato che una separazione assoluta dei tre poteri trovati dal
Montesquieu non esiste e che non è necessario che essi siano
precisamente tre. Ma non è questo forse il difetto principale
della dottrina del Montesquieu, difetto del resto piuttosto
imputabile ai numerosi scrittori, che ad essa attinsero, che al suo
primo autore. Costoro infatti, tenendo gli occhi rivolti alla teoria
del maestro, hanno dato importanza piuttosto al suo lato formale, e,
diremmo quasi curialesco, anzichè a quello sostanziale e
politico. Si è dimenticato troppo che un organo politico, per
essere efficace a frenare l'azione di un altro, deve rappresentare
una forza politica, deve essere l'organizzazione di
un'autorità e di un'influenza sociale, che nel seno della
società valga qualche cosa, di fronte all'altra, che
s'incarna nell'organo politico, che si deve controllare.
È per questa ragione, che, malgrado la lettera degli Statuti
e delle Carte fondamentali, noi vediamo in parecchie monarchie
parlamentari, il Capo dello Stato non sostenuto nè da vecchie
tradizioni, nè dal prestigio quasi scomparso del diritto
divino, nè dall'influenza delle classi economicamente
elevate, della burocrazia e dell'esercito, diventare insufficiente a
controbilanciare l'azione della Camera elettiva; la quale viene
sostenuta dalla credenza che essa rappresenti l'universalità
dei cittadini e riunisce in sè un cumulo notevole di
attitudini, di interessi, di ambizioni e di energie. E perciò
che vediamo, negli stessi paesi, la magistratura proclamata a parole
uno dei poteri fondamentali dello Stato, ma ridotta di fatto ad
essere un ramo della burocrazia dipendente dal Gabinetto ligio alla
maggioranza della Camera elettiva, mancare di prestigio e
d'indipendenza e non attirare a sè energie morali e
intellettuali bastevoli a rilevarne l'importanza. È sempre
per la stessa ragione che vediamo qualche Camera alta, composta di
funzionari in riposo, di deputati che rinunziano alla vita politica
militante e di qualche ricco del quale il Ministero ha trovato
conveniente di soddisfare la vanità, e che non offre
perciò un sufficiente pascolo nè agli spiriti pugnaci,
nè a quelli ambiziosi, essere rigettata facilmente in seconda
linea dalla Camera bassa, che le siede accanto.
VIII. — Il primo elemento, e diremo anzi il più essenziale,
perchè un organismo politico possa progredire nel senso di
ottenere una difesa giuridica sempre migliore, è la
separazione del potere laico dall'ecclesiastico; o, per dir meglio,
bisogna che il principio a nome del quale si esercita
l'autorità temporale non abbia nulla di sacro e di
immutabile. Quando il potere si appoggia ad un ordine d'idee e di
credenze, al di fuori del quale non è riputato potervi essere
nè verità, nè giustizia, è quasi
impossibile che esso nella pratica sia discusso e temperato e che il
progresso sociale possa arrivare al punto che le diverse
potestà si armonizzino e frenino fra di loro, in maniera che
sia evitato l'arbitrio di chi sta in alto nella gerarchia sociale.
L'immobilità relativa di certi tipi sociali si deve appunto
attribuire alla ragione che abbiamo accennato. Il carattere sacro
delle caste ha ad esempio impedito da molti secoli qualunque
progresso sociale nella civiltà indiana. E bisogna tener
presente che essa in origine dovette avere un brillantissimo
sviluppo, altrimenti non si potrebbero spiegare i grandi progressi
materiali ed artistici, che raggiunse; il che fa supporre,
ciò che del resto pare confermato da recenti studi, che la
divisione e l'isolamento delle varie caste non siano stati sempre
così rigorosi come ora li troviamo142.
Anche le società maomettane sono colpite dalla stessa
debolezza. Questo fatto, parzialmente osservato da molti, è
stato con grande esattezza rilevato dal Leroy-Beaulieu. Parlando
questo autore dei Tartari maomettani, che ancora abitano la Russia
nei governi di Kazan, Astrakan e Crimea, li descrive come agiati,
puliti e dediti al commercio, ma aggiunge: “il vero vizio
dell'Islam, la sua vera causa d'inferiorità politica non
è nel suo domma, nè nella sua morale, ma nella
confusione dello spirituale col temporale, della legge religiosa
colla civile. Il Corano essendo insieme Bibbia e codice, le parole
del Profeta tenendo il posto del diritto, le leggi ed i costumi sono
per sempre resi sacri dalla religione e da questo solo fatto deriva
che la civiltà maomettana è necessariamente
stazionaria”143. Per completare quest'analisi, così fine e
così giusta, potea aggiungere che, nei paesi dove le
popolazioni maomettane sono indipendenti, il sovrano è quasi
sempre Califfo o vicario del Profeta, o almeno dal Califfo fa
derivare nominalmente o realmente la sua autorità; ed a
questo titolo nessuno dei credenti può rifiutargli obbedienza
assoluta, a meno che non impugni come illegittima l'autorità
del califfato e non si faccia iniziatore di una riforma
religiosa144.
I popoli cristiani hanno potuto superare il pericolo della
confusione accennata dal Leroy-Beaulieu ed hanno potuto creare lo
Stato laico per un complesso di circostanze favorevoli. In primo
luogo il Vangelo contiene fortunatamente poche massime che siano
applicabili direttamente alla vita politica; in secondo luogo non
bisogna dimenticare che la Chiesa cattolica, malgrado che abbia
sempre aspirato ad avere una parte preponderante nel potere
politico, non ha potuto giammai monopolizzarlo interamente per due
principalissime ragioni, inerenti alla sua costituzione. La prima
è che, generalmente, è stato prescritto il celibato
dei preti e, sempre, quello dei monaci; sicchè non si sono
potute stabilire vere dinastie di abati e di vescovi sovrani; e da
questo lato anzi dobbiamo essere molto grati a Gregorio VII. La
seconda consiste nel fatto che la missione ecclesiastica, malgrado i
numerosi esempi contrarii che troviamo nel bellicoso Medio-Evo,
è stata sempre per sua natura poco conciliabile
coll'esercizio delle armi. Il precetto il quale vuol che la Chiesa
aborrisca dal sangue non si è potuto mai interamente obliare,
e in tempi relativamente ordinati e pacifici, ha finito col
prevalere: sicchè anche nei secoli che vanno dal decimoprimo
al decimoquarto, gli scrittori guelfi accanto alla supremazia papale
hanno dovuto ammettere l'esistenza di un imperatore, di un sovrano
laico, che di questa fosse lo strumento ed il braccio secolare. Non
bisogna poi dimenticare che il dispotismo più completo, al
quale siano stati sottoposti dei popoli cristiani, lo troviamo a
Bisanzio ed in Russia, dove i sovrani laici riuscirono più
completamente a ridurre sotto la loro diretta influenza
l'autorità ecclesiastica, e che le libertà inglesi
molto debito di gratitudine hanno verso i Puritani e gli altri non
conformisti.
IX. — Dopo la separazione dell'autorità laica da quella
ecclesiastica, i coefficienti più potenti di una difesa
giuridica più o meno progredita si trovano nel modo come
è distribuita in una società la ricchezza e nel modo
come è organizzata la sua forza militare. E qui occorre
anzitutto fare una distinzione fra i popoli che sono ancora nel
periodo feudale e quelli che già hanno un'organizzazione
burocratica.
Nello Stato feudale il monopolio della ricchezza, che, in uno stadio
ancor rozzo di civiltà, consiste nel possesso della terra, e
la supremazia militare si trovano ordinariamente concentrati nella
classe dominatrice; ma questo stato di cose, pur presentando
moltissimi inconvenienti, non produce mai gli effetti, che avrebbe
in una organizzazione sociale più perfezionata. Il capo di
uno Stato feudale infatti potrà fare un torto a qualcuno dei
suoi baroni, ma non potrà mai essere il padrone assoluto di
tutti i suoi feudatari, perchè questi disponendo di una
parte, diciamo così, della pubblica forza, potranno sempre
esercitare di fatto quel diritto di resistenza, che negli Stati
burocratici, quando è sancito, resta scritto nelle
costituzioni e nei libri di diritto pubblico. Ed anche i singoli
baroni hanno un limite alla tirannia, che possono esercitare contro
la massa dei loro soggetti, nella disperazione degli stessi, che si
può cambiare facilmente in ribellione. Quindi in tutti i
paesi veramente feudali, il dominio dei capi, a scatti violento ed
arbitrario, è ordinariamente assai limitato dalle
consuetudini; e si sa ad esempio che gli Abissini e sopratutto gli
Afgani non prestano che un'obbedienza molto condizionale ai loro Ras
ed ai loro Emiri. Abbiamo già visto come le tradizioni e gli
avanzi di un regime feudale valgano a temperare l'autorità di
un capo dello Stato, tanto che, neppure all'epoca di Luigi XIV e di
Federico il Grande di Prussia, la monarchia europea può
essere paragonata ai regimi politici, a capo dei quali stavano o
stanno gli imperatori di Bisanzio o gli Scià di Persia145. Ma
quando al contrario la classe, che ha il monopolio della ricchezza e
delle armi estrinseca il suo potere per mezzo di una burocrazia
accentratrice e di un esercito stanziale onnipotente, allora si
può avere il dispotismo nelle sue peggiori manifestazioni: si
ha cioè una forma di governo barbara e primitiva, la quale
tiene a sua disposizione gli strumenti di una civiltà
avanzata, un giogo di ferro, che può essere applicato da mani
rozze e inconscienti e che difficilmente si può spezzare,
perchè è temprato da artefici provetti.
Che l'onnipotenza di un esercito stanziale sia una delle forme
peggiori di regime politico è cosa cosi ovvia e conosciuta,
che non ci affaticheremo ad insistervi ancora146. Si sa pure che il
soverchio accentramento della ricchezza in una frazione della classe
governante ha prodotto la decadenza di organismi politici
relativamente molto perfetti come ad esempio la repubblica romana.
È impossibile infatti che leggi ed istituzioni, che
garentiscano la giustizia ed i diritti dei deboli, siano efficaci,
quando la ricchezza è così distribuita, che di fronte
ad un piccolo numero di persone, che possiedono le terre ed i
capitali, vi è una moltitudine di proletari, che non hanno
altra risorsa che le proprie braccia ed hanno bisogno dei ricchi per
non morir di fame dall'oggi al domani. In questa condizione di cose
la massima che la legge è uguale per tutti, la proclamazione
dei diritti dell'uomo ed il suffragio universale non sono che
ironie; ed è pure un'ironia il dire che ogni plebeo porta nel
suo sacco il bastone di maresciallo, cioè che può
diventare alla sua volta capitalista. Giacchè, anche ammesso
che qualcuno lo diventerà, egli non sarà il migliore
di animo e di costumi, ma il più infaticabile, il più
fortunato e forse anche il più briccone, mentre la massa
resterà sempre ugualmente sottomessa a coloro che stanno in
alto147.
Non ci è poi da farsi illusioni sulle conseguenze pratiche di
un regime, in cui la direzione della produzione economica, la
distribuzione di essa ed il potere politico fossero
indissolubilmente legati ed attribuiti alle stesse persone. Noi
vediamo che, a misura che lo Stato assorbe e distribuisce una parte
maggiore della pubblica ricchezza, i capi della classe politica
hanno maggiori mezzi d'influenza e di arbitrio sui loro subordinati
e più agevolmente si sottraggono al controllo di chicchessia.
Non ci è invero chi non sappia come una delle cause
più importanti della decadenza del Parlamentarismo sia la
grande quantità di impieghi, di appalti, di lavori pubblici e
di altri favori d'indole economica, che i governanti possono
distribuire o ad individui o a collettività di persone; e
gl'inconvenienti di questo regime sono maggiori colà appunto
dove relativamente più grande è la quantità di
ricchezza che il Governo ed i corpi elettivi locali assorbono e
distribuiscono; e dove quindi è più difficile
procacciarsi una posizione indipendente ed un onesto guadagno senza
aver che fare con le pubbliche amministrazioni. Se poi tutti gli
strumenti della produzione fossero in mano del Governo, i
funzionari, che la produzione dovrebbero dirigere e distribuire,
sarebbero gli arbitri della fortuna e del benvivere di tutti; e
giammai oligarchia più possente, camorra più
universale si sarebbe avuta in una società di coltura
avanzata. Quando tutti i vantaggi morali e materiali dipendessero da
coloro che hanno in mano il potere, non ci è viltà che
non si farebbe per contentarli; come non ci è violenza o
frode alla quale non si ricorrerebbe per arrivare al potere, ossia
per appartenere al numero di coloro che distribuiscono la torta,
anzichè restare fra i molti altri che si devono contentare
della porzione loro attribuita.
Una società si trova nelle condizioni migliori per applicarvi
una organizzazione politica relativamente perfetta, quando in essa
esiste una classe numerosa, in posizione economica presso che
indipendente da coloro che hanno nelle mani il supremo potere, la
quale ha quel tanto di benessere, che è necessario per
dedicare una parte del suo tempo a perfezionare la sua cultura e ad
acquistare quell'interesse al pubblico bene, quello spirito diremmo
quasi aristocratico, che solo possono indurre gli uomini a servire
il proprio paese senza altre soddisfazioni che quelle che procura
l'amor proprio. In tutti i paesi, che sono stati e sono
all'avanguardia della difesa giuridica, o come comunemente dicesi
della libertà, una classe simile si è sempre trovata.
Esisteva a Roma, quando vi era quella numerosa plebe composta di
piccoli proprietari, che, per la frugalità dei tempi, poteva
bastare a se stessa e che seppe, passo passo, con una tenacia
maravigliosa, conquistare il diritto di piena cittadinanza. Esisteva
nell'Inghilterra del secolo decimosettimo ed esiste in quella
presente; giacchè nell'una e nell'altra si è trovata e
si trova una numerosa gentry, formata prima a preferenza di medii
proprietari, ora a preferenza di medii capitalisti, che ha fornito e
fornisce il miglior contingente alla classe politica. Esisteva ed
esiste negli Stati Uniti d'America, dove la classe dei farmers
agiati ha fornito e fornisce gli elementi politici migliori; ed
esiste più o meno in tutti gli Stati d'Europa centrale ed
occidentale. Colà dove, per cultura, per educazione, per
troppo scarsa agiatezza, questa classe è insufficiente alla
sua missione, il governo parlamentare, come farebbe qualunque altro
regime politico, dà i frutti peggiori.
X. — È indiscutibile poi che col crescere della
civiltà aumenta il numero di quelle influenze morali e
materiali, che sono suscettibili di diventare forze politiche.
Accanto alla ricchezza immobiliare si crea ad esempio quella
mobiliare, frutto delle industrie e dei commerci; gli studi
progrediscono, le occupazioni che hanno per base una cultura
scientifica acquistano importanza, e si forma una nuova classe
sociale, la quale può, fino ad un certo punto, bilanciare il
prestigio materiale dei ricchi e quello morale dei sacerdoti.
Inoltre la tolleranza reciproca, che può essere effetto di
una cultura avanzata, permette la coesistenza di diverse correnti
religiose e politiche, che naturalmente si bilanciano e controllano
a vicenda, e nello stesso tempo rende possibile la discussione
pubblica degli atti dei governanti148. La specializzazione stessa
delle funzioni pubbliche fa sì che influenze diverse possano
estrinsecarsi e partecipare al reggimento dello Stato.
Senonchè è da osservare che ogni forza politica,
perchè si faccia valere proporzionatamente alla sua reale
importanza, è necessario che sia organizzata, e che,
perchè sia bene organizzata, sono indispensabili diversi
coefficienti, fra i quali principalissimi il tempo e la tradizione.
E perciò che spesso vediamo un vero disquilibrio prodursi, in
diverse epoche ed in paesi diversi, fra l'importanza che una classe
aveva nella società e la sua diretta influenza nel governo
del paese149. Oltreciò vi è quasi sempre qualche forza
politica, che ha la tendenza invincibile a soverchiare, ad assorbire
le altre, ed a distruggere quindi l'equilibrio giuridico legalmente
stabilito. Ciò è vero tanto per le forze politiche che
hanno un carattere materiale, come sarebbero la ricchezza e la
preponderanza militare, quanto per quelle che hanno un carattere
morale, come sono le grandi correnti religiose e dottrinali. Ognuna
di queste correnti pretende di avere il monopolio della
verità e della giustizia, ed ogni specie di esclusivismo e di
bacchettoneria, siano essi cristiani o maomettani, abbiano il
carattere sacro o quello razionalista, s'inspirino
all'infallibilità del papa o a quella della democrazia, sono
da questo lato ugualmente perniciosi. Ogni paese, ogni epoca,
può avere la sua speciale corrente d'idee e di credenze che,
essendo la più forte, preme sul meccanismo politico e tende a
sconvolgerlo. Avviene anzi generalmente che si apprezzino benissimo
i danni prodotti dalle correnti già indebolite e passate di
moda, che si stigmatizzino con orrore le lesioni gravissime che esse
hanno fatto al sentimento della giustizia; mentre non si scorgono o
si scusano o si condannano debolmente i danni analoghi, che la
corrente in voga ha fatto o minaccia di fare. Si grida e si proclama
che la libertà è raggiunta, che la bufera è
passata, mentre in verità essa non ha che cambiato di
direzione e, ci si passi la metafora, di forma e di colore.
Al giorno d'oggi in Europa due sono le forze morali, che aspirano a
rompere l'equilibrio giuridico: la Chiesa cattolica e la democrazia
sociale. La prima, malgrado la sua mirabile organizzazione,
può essere per il momento riguardata come meno violenta e
pericolosa e continuerà ad esserlo fino a quando le minaccie
della seconda non avranno spinto di nuovo le classi alte in grembo a
quelle credenze, che esse hanno ora abbandonato o professano molto
tiepidamente. Fra le forze materiali, quella che più
facilmente si può imporre a tutti i poteri dello Stato e
riesce più facilmente a violare, non diciamo le norme della
giustizia e dell'equità, ma qualche volta anche il testo
preciso della legge, è la ricchezza mobiliare; o almeno
quella parte di essa che è potentemente organizzata. Il
grande sviluppo del credito e del sistema bancario, le grandi
compagnie per azioni, che spesso dispongono dei mezzi di
comunicazione di estesissime contrade e d'interi Stati, l'estensione
grandissima che hanno preso i debiti pubblici, hanno creato, negli
ultimi cento anni, nuove compagini, nuovi elementi d'importanza
politica, la cui azione invadente e prepotente parecchi dei maggiori
Stati del nuovo e del vecchio mondo hanno avuto già occasione
di sperimentare.
La relativa facilità di organizzazione della ricchezza
mobiliare, la possibilità di accentrare la direzione di una
parte ragguardevole di essa in mano di pochi individui contribuisce
a spiegare la sua preponderanza. Abbiamo qui uno dei tanti esempi di
minoranze organizzate che prevalgono sulle maggioranze
disorganizzate. Un piccolissimo numero d'individui possono dirigere
tutte le Banche d'emissione di uno Stato, oppure tutte le compagnie
che esercitano la grande industria dei trasporti ferroviari o
marittimi, oppure anche possono essere arbitri delle grandi
compagnie per azioni, che esercitano industrie indispensabili alla
difesa del paese, come quelle metallurgiche, o compiono opere
pubbliche per le quali neppure le finanze dei Governi più
ricchi sarebbero sufficienti. Questi individui, che hanno il
maneggio di centinaia di milioni, possiedono mezzi svariatissimi per
allarmare o lusingare interessi molto estesi, per intimidire e
corrompere funzionari, ministri, deputati e giornalismo; senza che
quella parte del capitale nazionale, che è senza dubbio la
parte maggiore, la quale si trova impegnata in moltissime industrie
mediocri o piccole, ovvero dispersa in una moltitudine di mani,
sotto forma di risparmi più o meno grandi, possa menomamente
reagire contro di essi. E si noti che anche la parte principale del
capitale delle Banche e delle Compagnie industriali per azioni,
appartiene ordinariamente ai piccoli e mediocri azionisti, i quali
non solo restano completamente passivi, ma spesso sono le prime
vittime dei loro duci, che sulle loro perdite riescono a fondare la
loro fortuna e la loro influenza150.
XI. — È da notare infine che qualunque ordinamento politico
semplicista, basato sopra un principio assoluto, il quale fa
sì che tutta la classe politica sia organizzata sopra unico
tipo, rende malagevole la partecipazione alla vita pubblica di tutte
le influenze sociali e più malagevole il controllo, che le
une possono sulle altre esercitare. Ciò è vero tanto
quando il potere è esclusivamente affidato ad impiegati, che
si suppongono nominati dal principe, che quando esso è in
mano a funzionari elettivi, la cui scelta si dice che appartenga al
popolo. Dappoichè i freni che la burocrazia come la
democrazia possono imporre a loro stesse, e che si esplicano per
mezzo di altri burocratici o di molteplici funzionari elettivi,
riescon sempre insufficienti e nella pratica non raggiungono mai
interamente il loro scopo.
La storia amministrativa dell'impero romano ci fornisce infatti un
esempio opportuno della incapacità d'una burocrazia
accentratrice a frenare efficamente sè stessa. Si sa che in
origine, tanto nella capitale che nei municipi, nelle colonie e
nelle città di provincia, vi era, sotto la supremazia di Roma
repubblicana o imperiale, quello che gl'Inglesi chiamano un
self-government; le cariche pubbliche erano cioè
gratuitamente esercitate da una numerosa classe agiata. Ma fin dal
principio dell'impero le funzioni, che in Roma fino allora erano
state attribuite agli edili ed ai censori, furono date a funzionari
speciali stipendiati, aiutati nel loro servizio da un personale
numeroso d'impiegati pure retribuiti. Così la cura
dell'alimentazione della città fu affidata al praefectus
annonae, i lavori pubblici ai curatores viarum, aquarum, operum
pubblicorum, riparum et alvei Tiberis, la sorveglianza
dell'illuminazione e sugli incendi al praefectus vigilum e la
polizia al praefectus urbis. Ben presto il sistema della capitale si
andò estendendo ai municipî, che andarono perdendo la
loro autonomia amministrativa. Infatti, fin dalla fine del primo
secolo dell'impero, vediamo diminuire sensibilmente
l'autorità dei duumviri juris dicundo e degli aediles, ai
quali era affidata l'amministrazione municipale delle singole
città, che vennero poco a poco sostituiti da impiegati
imperiali: juridici, correctores, curatores rerum publicarum. Per
quanto l'evoluzione fosse lenta151, a partire da Nerva e Traiano
interpolatamente l'autorità dei funzionari elettivi veniva
sospesa e le loro attribuzioni erano affidate per un dato tempo ad
un curatore simile al nostro regio commissario, e nello stesso tempo
si andava lentamente accrescendo l'autorità ispettiva e
l'ingerenza del corrector provinciae, equivalente nel caso al nostro
prefetto. Finchè, alla fine del secondo secolo, vediamo quasi
universalmente spente le autonomie municipali ed una vastissima ed
assorbente rete burocratica stendersi per tutto l'impero152.
Contemporaneamente decadeva l'agiata borghesia municipale, che
componeva l'ordo decurionum, la quale partecipava al reggimento
delle città e dal cui seno uscivano appunto coloro, che
coprivano le cariche di duumviro e di edile153. Or, quando
l'accentramento burocratico ed il fiscalismo ebbero creata la
società romana del Basso Impero, composta di una classe
ristrettissima di grandi proprietari e di alti funzionari e di
un'altra numerosissima di persone assolutamente povere, prive di
ogni importanza sociale, e che, sebbene libere di nascita,
decadevano facilmente fino a ridursi alla condizione di coloni, noi
vediamo comparire un'istituzione originalissima, un nuovo organo
burocratico, che avea appunto la missione di difendere e tutelare le
classi disagiate e gli avanzi dei piccoli proprietari contro gli
abusi della burocrazia. Il defensor civitatis creato da Valentiniano
I°, nel 364, era appunto un impiegato, creato apposta per
proteggere la plebe urbana contro le soverchierie degli alti
funzionari e dei ricchi, che con quelli facevano causa comune; egli
dovea specialmente curare che i reclami dei poveri fossero accolti
come di diritto e potessero arrivare ai piedi del trono. Ma questo
sforzo, che fece l'assolutismo burocratico per correggere e
controllare sè stesso, malgrado le rettissime intenzioni del
legislatore, non dovette avere una sensibile efficacia;
giacchè i mali antichi non disparvero e le cause, che
conducevano l'impero alla dissoluzione, continuarono colla stessa
forza ad agire154.
In Russia l'assolutismo burocratico trova le sue antichissime radici
nell'influenza bizantina, che fin dall'epoca di Wladimiro il Grande
e dei suoi successori si fece sentire a Kief, e fu certo rafforzato
dalla terribile dominazione mongolica, che sopravvenne nel secolo
tredicesimo e fece sentire il suo peso fin nel decimosesto. Ed anche
quivi la famosa cancelleria segreta organizzata dallo czar Alessio,
verso la metà del secolo decimosettimo, non era che una
polizia speciale, che facea capo direttamente al sovrano ed era
incaricata di scrutare gli abusi ed anche i tentativi di rivolta
degli alti impiegati e dei boiari, i quali formavano in fondo una
unica classe. Or l'attuale terza sezione, tanto tristamente famosa,
discende in linea diretta e legittima da questa cancelleria segreta,
più volte nominalmente abolita, ma sempre di fatto
conservata155; e pare che, più che a correggere la
venalità e la corruttela della burocrazia russa, essa sia
stata efficace nell'aumentare l'oppressione, che questa fa subire a
tutto il resto del paese.
Negli Stati Uniti d'America vediamo al contrario l'impotenza della
democrazia a controllare e limitare se stessa. Non si può
negare che i redattori della Costituzione del 1787 abbiano avuto
gran cura di attuare il contrappeso e l'equilibrio perfetto dei
diversi poteri e dei diversi organi politici. Data la base
assolutamente democratica del Governo, la mancanza assoluta di un
potere, che direttamente non provenga dalle elezioni popolari,
difficilmente crediamo che si sarebbe potuto immaginare di meglio.
Difatti, anche non tenendo conto, che colà il Senato, munito
di poteri più efficaci delle Camere alte europee156 e fondato
sul sentimento ancor vivace delle autonomie dei singoli Stati,
è certamente molto autorevole, il Presidente, che usa
liberamente del diritto di veto, che non può essere buttato
giù da un voto della Camera bassa e che riassume nella
propria persona la responsabilità del Governo per un intero
lustro, come organo della difesa giuridica è superiore ai
Gabinetti dei paesi parlamentari: corpi collettivi meno autorevoli,
che hanno più bisogno di cattivarsi la simpatia dei deputati
e dei politicanti, ed i di cui membri sentono meno il peso della
responsabilità personale. Certo si deve anzi a questa
larghezza di poteri ed al sentimento della responsabilità
personale, che spesso si sviluppa stando in una carica elevatissima,
se, nell'ultimo mezzo secolo, abbiamo visto alcuni Presidenti, come
il Johnson, l'Hayes ed il Cleveland, opporsi con tenacia e coraggio
ai peggiori eccessi dei partiti, che li avevano eletti157.
Ma questa perfezione che chiameremo formale, del meccanismo del
Governo federale ed anche dei Governi dei singoli Stati non ha
potuto riparare che fino ad un certo punto al vizio fondamentale di
tutto il regime politico ed amministrativo dell'Unione americana.
Vizio, che è stato molto aggravato dalla tendenza, che fra il
1820 ed il 1850 cominciò a prevalere e che ora è
diventata quasi generale, per la quale il suffragio è quasi
in tutti gli Stati divenuto universale; sicchè un'unica
categoria di elettori dà i suffragi in tutte le elezioni e si
son rese direttamente elettive e temporanee le nomine dei giudici
dei vari Stati, che prima erano a vita e generalmente attribuite ai
rispettivi governatori158. In questo modo la stessa cricca
elettorale elegge infallibilmente le autorità federali e
quelle locali; governatori, giudici e Parlamento sono in fondo gli
istrumenti delle stesse influenze, le quali diventano le padrone
assolute ed irresponsabili di tutto uno Stato. Tanto più che
i politicanti americani, che fanno un mestiere delle elezioni, sono
abilissimi nell'arte di stabilire il Ring (letteralmente tradotto
l'anello, il circolo), cioè il sistema mediante il quale
tutti i poteri, che dovrebbero controllarsi e completarsi a vicenda,
diventano l'emanazione di un solo caucus o comitato elettorale.
Ma si potrebbe obiettare che, col sistema del suffragio universale,
tutte le forze e tutte le influenze politiche possono essere
rappresentate nella classe governante proporzionatamente alla loro
importanza numerica, e che riesce perciò impossibile ad una
minoranza di monopolizzare il potere a proprio vantaggio e farne
così uno strumento alle proprie vedute ed alle proprie
passioni. A quest'obiezione, che riflette un sistema d'idee ancora
molto in voga, ma che noi non abbiamo accettato ed abbiamo fin qui
indirettamente combattuto, risponderemo direttamente nel capitolo
venturo.
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime
rappresentativo e la difesa giuridica. — III. Significato della
così detta azione dello Stato. — IV. Questioni intorno ai
limiti di questa azione. — V. La dottrina del Comte sui tre stadi
intellettuali e politici. — VI. Valore pratico del parallelismo
stabilito dal Comte. — VII. Classificazione degli Stati, secondo lo
Spencer, in militari ed industriali. — VIII. Debolezze e lacune di
questa classificazione.
I. — Nei precedenti capitoli abbiamo esposto quali siano, secondo il
nostro modo di vedere, alcune delle leggi e tendenze costanti che
regolano le società umane. Ora possiamo più
agevolmente fare la critica di alcune opinioni e teorie politiche,
ancora o almeno fino a poco tempo fa, molto in voga, le quali
vengono, secondo noi, dalle leggi che abbiamo ricordato più o
meno sfatate.
Molte fra le dottrine sulla libertà e sull'uguaglianza, come
ancora sono comunemente intese, dottrine che il secolo decimottavo
ha escogitato, che il diciannovesimo ha maturato e tentato di
applicare e che il ventesimo probabilmente liquiderà o
modificherà sostanzialmente, si riassumono e si concretano
nel concetto che vuole a base di ogni Governo il suffragio
universale. Si crede infatti molto comunemente che Governo libero,
egalitario, legittimo, sia esclusivamente quello basato sulla
volontà della maggioranza, la quale coi suoi suffragi
trasmette per un dato tempo i suoi poteri ai propri mandatari. Fino
a qualche generazione addietro, e per parecchi scrittori ed uomini
politici anche oggi, tutte le imperfezioni dei Governi a base
rappresentativa sono state attribuite alla incompleta o falsata
applicazione di questi principii159.
Una scuola così vasta, credenze cotanto diffuse, non si
sfatano con qualche pagina, quindi noi ora non faremo una
confutazione in regola delle teorie sulle quali si fonda il
suffragio universale. Del resto, indipendentemente da quanto abbiamo
già detto su questo argomento nel presente lavoro, di esso ci
siamo occupati anche in altri scritti160; sicchè ora
accenneremo semplicemente a qualcuno degli argomenti fondamentali
che meglio possono minare le basi dell'edificio intellettuale, sul
quale il suffragio universale è poggiato. Ci basterà
quindi di dimostrare che la supposizione per la quale l'eletto
è ritenuto l'organo della maggioranza dei suoi elettori
ordinariamente non è conforme alla verità. E,
fondandoci sull'esperienza dei fatti e ricordando alcune
osservazioni pratiche, che tutti hanno presenti e che riguardano il
modo come si svolge il fenomeno elettorale, facilmente proveremo il
nostro assunto.
Quel che avviene colle altre forme di Governo, che cioè la
minoranza organizzata domina la maggioranza disorganizzata, avviene
pure, e perfettamente, malgrado le apparenze contrarie, col sistema
rappresentativo. Quando si dice che gli elettori scelgono il loro
deputato, si usa una locuzione molto impropria; la verità
è che il deputato si fa scegliere dagli elettori, e, se
questa frase sembrasse in qualche caso troppo rigida e severa,
potremmo temperarla dicendo che i suoi amici lo fanno scegliere.
Accade nelle elezioni, come in tutte le altre manifestazioni della
vita sociale, che gl'individui, che hanno la voglia e sopratutto i
mezzi morali, intellettuali e materiali per imporsi agli altri,
primeggiano su questi altri e li comandano.
Il mandato politico è stato quasi assimilato a quello civile
già noto nel diritto privato. Ma, nei rapporti privati, la
delegazione di poteri e di facoltà presuppone sempre nel
mandante la più ampia libertà nella scelta del
mandatario. Or appunto questa libertà di scelta, ritenuta
amplissima in teoria, diventa necessariamente quasi nulla ed
irrisoria nella pratica delle elezioni politiche. Infatti se ogni
elettore dasse il suo voto al candidato del suo cuore, sicuramente
non ne risulterebbe altro, nella quasi totalità dei casi, che
una grande dispersione di voti; poichè è quasi
impossibile che molte volontà, non coordinate e non
organizzate, s'incontrino nella scelta spontanea di un individuo, la
quale può essere determinata da criteri diversissimi e quasi
tutti subiettivi. Per dare al suo voto qualche efficacia ogni
singolo elettore è perciò costretto a limitare la
scelta in un campo ristrettissimo, cioè fra le due o tre
persone che hanno qualche probabilità di riuscita161; e
questa probabilità hanno ordinariamente solo coloro che sono
sostenuti da un gruppo, da un comitato, da una minoranza
organizzata, che ne propugna la candidatura.
Abbiamo altrove ragionato lungamente dei modi come si formano queste
minoranze organizzate attorno ai candidati singoli od ai gruppi di
candidati162. Ci basterà ora ricordare che esse sono
ordinariamente fondate sull'influenza del censo, sopra
cointeressamenti materiali o sui legami di famiglia, di classe, di
setta di partito politico. Buona o cattiva che sia la loro
composizione, è innegabile che i comitati ed i deputati, che
alle volte sono i loro strumenti, alle volte i loro duci e padroni,
rappresentano l'organizzazione di un numero rilevante di valori e di
forze sociali. La vera conseguenza pratica del regime
rappresentativo è perciò non già il governo
della maggioranza, ma la partecipazione di un certo numero di valori
sociali al reggimento dello Stato, la influenza e l'organizzazione
di molte forze politiche, che in uno Stato assoluto, cioè
retto dalla sola burocrazia, sarebbero rimaste inerti ed escluse.
II. — Esaminando i rapporti che il regime rappresentativo ha con la
difesa giuridica si possono fare le seguenti distinzioni ed
osservazioni.
Se è verissimo che la gran maggioranza degli elettori
è passiva, nel senso che non ha libertà di scegliere
il suo rappresentante, ma solo un limitatissimo diritto di opzione
fra i diversi candidati, pure questa facoltà, per quanto sia
limitata, fa sì che i pretendenti alla deputazione, cerchino
di attirare a sè quella forza che può dare il tracollo
alla bilancia in prò dell'uno o dell'altro; e perciò
fanno ogni sforzo per adulare, carezzare ed attirarsi le simpatie
delle masse. In questo modo certi sentimenti e certe passioni della
folla devono necessariamente avere influenza sull'animo dei
deputati, e l'eco di un'opinione molto sparsa, di un malcontento
molto forte si fa facilmente sentire fin nelle più alte sfere
dei governanti.
Si può obiettare che quest'influenza della maggioranza degli
elettori necessariamente è ristretta alle grandi linee
dell'indirizzo politico; che essa si fa sentire solo in pochissimi
argomenti di carattere generale e che, entro questi limiti, anche
nei Governi assoluti, le classi dirigenti sono obbligate a tener
conto dei sentimenti delle masse. È certo infatti che il
Governo più dispotico deve procedere molto cautamente quando
si tratta di urtare i sentimenti, le convinzioni, i pregiudizi della
maggioranza dei governati, o quando deve imporre ad essa sacrifici
pecuniari ai quali non è abituata; ma la cautela
nell'offenderla sarà anche maggiore quando ogni singolo
deputato, il cui voto può essere tanto utile e necessario al
potere esecutivo, sa che il malcontento delle turbe può, a
breve scadenza, procacciare il trionfo di un aborrito rivale163.
Il regime rappresentativo ha poi effetti molto diversi a seconda che
varia la composizione molecolare del corpo elettorale. Se tutti gli
elettori, che hanno qualche influenza per coltura e posizione
sociale, sono entro i Comitati, e se al di fuori di questi non resta
che una massa di poveri e di ignoranti, è impossibile che
essa possa esercitare con qualche serietà ed efficacia il suo
diritto di controllo ed opzione, ed in questo caso fra le diverse
minoranze organizzate, che si disputano il campo, vince
infallibilmente quella che più spende e più inganna.
Lo stesso avviene se entro il corpo elettorale le persone che hanno
capacità ed indipendenza economica, rappresentano una
minoranza sparuta, la quale non ha modo d'influire direttamente sul
voto delle maggioranze; perchè, come ordinariamente accade
nelle grandi città, queste si sottraggono alla loro azione
morale e materiale. Mentre quando le capacità politiche
dispongono esse direttamente dei voti della maggioranza e riescono a
sottrarla alla azione dei Comitati e dei galoppini, può
avvenire che il controllo sull'opera di costoro sia efficace.
Sicchè il paragone fra i meriti e le dottrine dei diversi
candidati sarà relativamente serio e spassionato solo quando
le forze elettorali non sono interamente in potere di coloro che
delle elezioni fanno un'occupazione abituale od un mestiere.
Ma la vera garanzia giuridica nei Governi rappresentativi sta nella
discussione pubblica, che ha luogo in seno alle assemblee. Dentro
queste possono penetrare forze ed elementi politici disparatissimi e
basta una piccola minoranza indipendente per controllare l'operato
di una grande maggioranza e sopratutto per limitare l'onnipotenza
della organizzazione burocratica. Ma quando le assemblee, oltre ad
essere organi di discussione e di pubblicità, diventano, come
accade nei Governi parlamentari, il corpo politico che riassume in
sè tutto il prestigio e tutto il potere dell'autorità
legittima, allora, malgrado il freno delle pubbliche discussioni, su
tutta la macchina amministrativa e giudiziaria può pesare la
tirannia irresponsabile ed anonima degli elementi che prevalgono
nelle elezioni e parlano a nome del popolo: si può avere
cioè uno dei peggiori tipi di organizzazione politica che la
maggioranza reale di una società moderna possa tollerare164.
Il referendum nei Governi a base quasi esclusivamente
rappresentativa può essere un modo abbastanza efficace col
quale quel complesso di odii ed amori, entusiasmi e disgusti, che,
quando sono veramente sparsi e generali, formano ciò che
più verisimilmente si appella la pubblica opinione,
può reagire contro l'operato e l'iniziativa della minoranza
governante. Difatti, trattandosi non di fare una scelta od
un'elezione, ma di dire un sì od un no sopra una determinata
questione, ogni singolo voto non può andare disperso, ed ha
la sua pratica importanza indipendentemente da ogni organizzazione e
coordinazione di setta, di partito, di comitati. È certo
però che col referendum non si avvera neppure l'ideale
democratico del Governo della maggioranza, poichè il
governare, più che nel consentire o proibire le modificazioni
della Costituzione od anche della legislazione, consiste nel
dirigere tutta la macchina militare, finanziaria, giudiziaria ed
amministrativa, o nell'influire su chi la dirige. Inoltre il
referendum se da una parte limita il potere della classe governante,
dall'altra non è men vero che può seriamente
ostacolare tutti i miglioramenti dell'organismo politico; i quali
saranno sempre più facilmente apprezzati dalla classe
governante, per quanto possa essere interessata e corrotta, che
dalla maggioranza dei governati165.
III. — Una quistione, che si agita molto tra gli scrittori di
scienze sociali, è quella relativa alla maggiore o minore
ingerenza che spetta allo Stato. Noi cercheremo di dimostrare che
essa non è una questione sola, ma un complesso di questioni,
ed, applicando le teorie che nei capitoli precedenti abbiamo
esposte, forse contribuiremo a dissipare alcuni equivoci e
malintesi, che finora ne hanno ostacolato il retto e preciso
intendimento, ed hanno perciò impedito che si venisse, almeno
in qualcuna di esse, a conclusioni precise.
È molto sparso ancora quel modo di vedere, che fa della
società e dello Stato due enti perfettamente separati e
distinti e spesso li considera anche come antagonisti. Or, prima di
tutto noi crediamo che occorra determinare chiaramente che cosa si
intende per Società e che cosa s'intende per Stato. Stando
alle regole dei Codici ed alle concezioni del diritto
amministrativo, lo Stato è certamente un ente distinto,
capace di vita giuridica, il quale rappresenta gli interessi della
collettività ed amministra il demanio pubblico; e che, come
tale, può venire in conflitto d'interessi con i privati e con
gli altri enti giuridici. Politicamente parlando però lo
Stato non è che l'organizzazione di tutte le forze sociali,
che hanno valore politico. Esso, in altre parole, rappresenta il
complesso di tutti quegli elementi, che in una società sono
atti alla funzione politica e sanno e vogliono ad essa partecipare;
è quindi il risultato della loro coordinazione e della loro
disciplina.
Questo è il vero punto di vista da cui lo Stato va
considerato dai cultori delle scienze sociali; giacche è
brutto e pericoloso errore, che dura ancora nel nostro secolo ed
impedisce il retto apprezzamento dei problemi politici, la tendenza
curialesca a riguardarli dal lato, non diciamo giuridico, ma
prettamente ed esclusivamente giudiziario. Sicchè, secondo il
nostro modo di vedere, antagonismo fra Stato e Società non
può esistere, potendosi riguardare lo Stato come quella parte
della Società, che disimpegna la funzione politica, e tutte
le questioni riguardanti la ingerenza o non ingerenza dello Stato
vengono ad assumere un nuovo aspetto, per il quale, piuttosto che
studiare quali debbano essere i limiti dell'azione dello Stato, si
deve cercare quale sia il miglior tipo di organizzazione politica;
quello cioè che consente a tutti gli elementi, che hanno
valore politico in una data Società, di essere meglio
utilizzati e specializzati, meglio sottoposti al reciproco controllo
ed al principio della responsabilità individuale per gli atti
che compiono nelle loro rispettive mansioni.
Comprendiamo che quando si hanno certe abitudini intellettuali non
è facile il mutarle rapidamente ed adattarsi a nuovi metodi
di osservazione e ad una nuova maniera di considerare un dato
argomento. Però confidiamo che basterà un semplice
accenno alle pratiche applicazioni che può avere il sistema
da noi esposto, perchè il lettore si familiarizzi con esso e
ne scorga anche i vantaggi.
Ad esempio, quando si contrappone l'azione dello Stato
all'iniziativa privata spesso non si fa che un paragone fra l'opera
della burocrazia e quella che possono esercitare altri elementi
direttivi della Società, che, in qualche caso, possono anche,
senza essere impiegati stipendiati, rivestire un carattere
ufficiale. Nelle nostre società di tipo europeo, per quanto
burocratizzate, la burocrazia non è lo Stato, ma soltanto una
parte di esso. Sicchè quando si dice comunemente che in
Italia ed in Francia, in Germania ed in Russia, lo Stato fa tutto ed
assorbe tutto, bisogna interpretare la massima nel senso che la
burocrazia francese, italiana, tedesca e russa hanno molte
più attribuzioni di quelle di altri paesi, ad esempio, di
quella inglese e dell'americana. Come, quando si parla del famoso
Self government inglese, del popolo dell'Inghilterra che si governa
da se stesso, non bisogna supporre, come se ne potrebbe avere la
tentazione stando alla dizione usata, che nei paesi del continente
europeo, i Francesi, gl'Italiani, i Tedeschi ed i Russi non si
governino da loro stessi e che essi affidino a stranieri la
direzione delle rispettive funzioni politiche ed amministrative; ma
bisogna intendere semplicemente che certi uffici, che in Inghilterra
sono affidati a persone nominate dagli elettori o anche nominate dal
Governo, ma scelte fra i notabili dei diversi luoghi e non
retribuite nè traslocabili a volontà, sono negli altri
paesi d'Europa disimpegnati da burocratici.
IV. — Abbiamo già accennato166 come, sebbene la burocrazia e
le assemblee che dispongono del supremo potere politico, abbiano
avuto ed abbiano ingerenza in certi rami della produzione economica,
quali sarebbero, ad esempio, la manutenzione e costruzione delle
opere pubbliche e le banche di emissione, pure sembra accertato che
la direzione di questo ramo dell'attività sociale non sia
stata mai, in nessuna società pervenuta ad un certo grado di
coltura e prosperità, completamente burocratizzata. Questa
direzione è stata ed è in massima sempre affidata ad
elementi, che certo fanno parte delle forze direttrici della
società e quindi sono vere forze politiche, ma non entrano
nei quadri della pubblica amministrazione. Si potrebbe anche
ricordare quanto sia stata in generale dannosa l'ingerenza degli
elementi che hanno la direzione propriamente politica, cioè
legislativa, amministrativa e giudiziaria, della società,
nelle faccende economiche, e quanta parte del depauperamento, che
affligge qualche nazione moderna, si debba a quest'ingerenza
attribuire167.
Generalmente coloro che vogliono restringere le funzioni dello Stato
dovrebbero inspirarsi a questo pratico e semplicissimo concetto:
che, in tutti i rami dell'attività sociale, nell'istruzione
pubblica, nel culto, nella beneficenza, nell'amministrazione della
giustizia, nell'organizzazione militare, ecc. la funzione direttiva
è sempre necessaria e che deve essere affidata ad una classe
speciale, che abbia le attitudini necessarie a disimpegnarla.
Or quando si vuole togliere, in tutto od in parte, una di queste
attribuzioni alla burocrazia od ai corpi elettivi bisogna tener
presente che è necessario che esista in seno alla
società una categoria di persone, che possieda le attitudini,
ossia abbia la necessaria preparazione morale ed intellettuale ed
anche la posizione economica sufficiente per adempire al nuovo
ufficio che le viene affidato. Spesso anche non basta che in una
società vi siano gli elementi adatti a ciò, ma bisogna
che siano bene scelti e bene coordinati, altrimenti l'esperimento
può fallire e produrre risultati dannosi. Noi crediamo, ad
esempio, che questa sia stata la vera ragione per la quale
l'istituzione dei giurati non ha fatto buona prova in molti paesi
del continente europeo.
I cosi detti giudici popolari infatti rappresentano l'intervento di
elementi sociali estranei alla magistratura regolare
nell'amministrazione della giustizia penale; ma sono troppo numerosi
per poter essere tutti intellettualmente e moralmente preparati al
loro ufficio, e perchè il farne parte dia tale una
soddisfazione di amor proprio da fare loro acquistare quello spirito
di corpo, quel sentimento, diremmo quasi aristocratico, che è
necessario per rialzare il carattere medio di uomini ai quali
così delicate mansioni sono affidate168.
Dall'altra parte coloro che invocano un maggiore intervento dello
Stato dovrebbero pensare al significato pratico e positivo di questa
parola, spogliandola di tutto ciò che essa ha di vago, di
indeterminato, diremmo quasi di magico e di soprannaturale nell'uso
comune. Spesso ai giorni nostri contro tutti i danni della
concorrenza privata, come rimedio a tutte le cupidigie, alla
libidine del prepotere, a tutti gli eccessi dell'individualismo, o
meglio dell'egoismo, s'invoca l'intervento dello Stato. Il quale,
organo del diritto e del progresso morale, dovrebbe sollevare gli
umili e debellare i superbi; e, puro di tutte le volgari
preoccupazioni degli interessi personali, dovrebbe reprimere tutte
le iniquità, provvedere a tutti i bisogni materiali e morali,
avviare l'umanità sui floridi sentieri della giustizia, della
pace, dell'armonia universale169. Quanto scemerebbe questa fiducia
se, invece di pensare allo Stato ente astratto, posto quasi al di
fuori della società, si tenesse presente ciò che esso
è in fatti, vale a dire l'organizzazione concreta di una gran
parte degli elementi dominatori di una società. Se si
pensasse che, nella nostra società europea, quando si parla
di azione dello Stato, la frase si riferisce all'azione che possono
esercitare ministri, deputati ed impiegati; tutta bravissima gente,
che, per quanto possa essere migliorata o frenata dal sentimento
della responsabilità, dalla disciplina e dallo spirito di
corpo, ha tutte le facoltà e tutte le debolezze umane.
Eccellenti persone, che però, come tutti gli uomini, hanno
gli occhi, che si possono all'occorrenza aprire o chiudere, e la
bocca, che può, secondo i casi, parlare, tacere ed anche
mangiare; e le quali possono peccare anch'esse di orgoglio, di
accidia, di cupidigia e di vanità, ed avere le loro simpatie
ed antipatie, le loro amicizie ed avversioni, le loro passioni ed i
loro interessi; e fra questi anche quello di restare al proprio
posto, ed all'occorrenza di conseguirne uno migliore.
V. — Sarebbe opera impossibile, od almeno assai difficile, il
rispondere a tutte le teorie e le dottrine, che si allontanano dal
nostro modo di vedere intorno alle tendenze costanti ossia le leggi,
che regolano l'organizzazione delle società umane. Fra queste
dottrine due però ve ne sono, strettamente connesse e legate,
che, per la loro odierna diffusione, hanno tale importanza, che di
esse non possiamo assolutamente tacere. Intendiamo alludere alle
teorie del Comte ed a quelle dello Spencer. Il primo, come si sa, ha
messo in rilievo i tre stadi dell'intendimento umano: il teologico,
il metafisico ed il positivo, ai quali fa corrispondere tre tipi
diversi di ordinamento sociale: il militare, il feudale e
l'industriale. Il secondo classifica invece semplicemente le
società umane in Stati militari, fondati sulla coercizione,
ed in Stati industriali, basati sul contratto e sul libero consenso
di coloro che li compongono. Sulle orme di questi illustri
sociologhi, ora gran parte di coloro che, specialmente in Italia, si
occupano di scienze sociali e politiche, fanno di questi concetti la
pietra angolare dei loro ragionamenti e dei loro sistemi.
In linea generale sulla classificazione dei tre stadi intellettuali
fatta dal Comte ci pare che ci sia poco da obiettare. L'uomo infatti
può spiegarsi tutti i fenomeni, tanto dell'universo
inorganico che di quello organico, compresi quelli sociali,
attribuendoli ad enti soprannaturali, all'intervento cioè di
Dio o degli Dei, di genî, benefici o malefici, che sono autori
della vittoria e della sconfitta, dell'abbondanza e della carestia,
della salute e della pestilenza, ed allora si ha il periodo detto
teologico. Li può anche spiegare attribuendoli a cause prime,
frutto della sua imaginazione oppure di un'osservazione superficiale
e sconnessa dei fatti, come quando credeva dipendesse dal moto e
dalla congiunzione dei pianeti la sorte degli individui e delle
nazioni, dalle combinazioni degli umori la sanità del corpo
umano, e dalla quantità di metalli preziosi posseduti la
ricchezza dei popoli, ed allora è nello stadio aprioristico o
metafisico. Può infine, rinunciando a conoscere le cause
prime di questi fenomeni, studiarne, con rigoroso sistema
d'osservazione, le leggi naturali che li regolano e farne suo
prò, ed allora è nel periodo scientifico o positivo.
Dove cominciano le obiezioni e le critiche al sistema del Comte
è quando si vuole fare una distinzione cronologica netta e
precisa fra le varie società umane, assegnandole ad uno dei
tre periodi accennati. Poichè è impossibile negare che
tutti e tre i periodi intellettuali coesistano in tutte le
società umane, dalle più mature a quelle che sono
ancora, per dir così, nello stadio selvaggio. Infatti la
Grecia antica ci diede Ippocrate ed Aristotile, Roma Lucrezio, la
moderna civiltà europea ci ha dato la fisica, la chimica,
l'economia politica, ha inventato il telescopio ed il microscopio,
si è impadronita della elettricità ed ha scoperto i
microbi, che cagionano le pestilenze e le malattie; eppure non si
può non riconoscere che ad Atene come a Roma antica, a Parigi
come a Berlino, a Londra come a New-York, la maggioranza degli
individui erano e sono in pieno periodo teologico, o almeno in
quello metafisico. Come non ci fu epoca alcuna della classica
antichità nella quale non si consultassero auguri ed oracoli,
non si facessero sacrifici e non si credesse ai presagi, così
vediamo ancora le religioni rivelate avere una parte importantissima
nella vita dei nostri contemporanei e, dove esse s'indeboliscono,
vediamo svilupparsi le superstizioni spiritistiche e gli assurdi
metafisici della democrazia sociale. E d'altra parte il selvaggio
che nella pianta e nel sasso vede un feticcio, che crede che lo
stregone della tribù possa produrre la pioggia e scongiurare
il fulmine, non potrebbe vivere se non possedesse alcune vere
nozioni positive. Quando egli studia le abitudini della selvaggina,
quando impara a distinguerne le orme e tien conto della direzione
del vento per sorprenderla ed impadronirsene, fa suo prò di
osservazioni accumulate e coordinate da lui e dai suoi maggiori,
agisce perciò secondo i dettami di una vera scienza170.
Ma vi ha di più: come si può già intuire dagli
esempi accennati, non solo nella stessa epoca e nello stesso popolo
possono coesistere i tre periodi intellettuali del Comte, ma anche
nello stesso individuo. Diremo anzi che questa è la regola
generale, della quale gli esempi a centinaia saltano agli occhi di
tutti, e che il contrario è l'eccezione. A chi infatti non
è accaduto di conoscere qualche capitano di nave buon
credente, che presta fede anche ai miracoli della Madonna di Lourdes
o della Madonna di Pompei, che in politica o nelle scienze
economiche si trova in completo stadio metafisico e che, quando si
tratta di dirigere la rotta e comandare la manovra della sua nave,
fa uso di criteri rigorosamente scientifici? Tutti o quasi tutti i
medici, fino a due secoli fa, erano credenti nelle loro religioni, e
perciò non negavano l'efficacia delle preghiere e dei voti
nella guarigione delle malattie; inoltre sul funzionamento dei
diversi organi del corpo umano e sulle virtù di certi
semplici avevano svariate credenze assolutamente metafisiche, dovute
in gran parte all'influenza di Galeno e dei medici arabi, ma nello
stesso tempo non mancavano certo di cognizioni positive, che
rimontano ad Ippocrate, e che, lentamente elaborate dall'esperienza
di tanti secoli, permettevano in certi casi una cura razionale.
Similmente le preghiere per invocare la vittoria dell'Altissimo ed i
Te Deum per ringraziarlo furono in uso in Europa, assai tempo dopo
che Gustavo Adolfo, Turenne e Montecuccoli aveano cominciato a
condurre le guerre con norme scientifiche.
Senofonte, per citare un caso concreto, quando credeva che un sogno
fosse un avvertimento degli Dei era in pieno periodo teologico;
sulla forma della terra e sulla composizione dei corpi aveva
certamente delle idee, che i geografi ed i chimici dei giorni nostri
avrebbero giustamente caratterizzato per metafisiche; ma, nel
condurre la famosa ritirata dei diecimila, quando, ad esempio, per
riparare la colonna principale, che marciava coi bagagli, dai
continui assalti della cavalleria persiana la faceva coprire da due
linee di fiancheggiatori armati alla leggiera, si regolava secondo
criteri, che, dato il sistema d'armamento allora in uso, anche uno
stratega moderno avrebbe trovato scientifici e positivi. Lo stesso
autore se nella Ciropedia si mostra prevalentemente teologico e
metafisico, diventa di nuovo positivo nel suo trattato sull'arte di
cavalcare, perchè su quest'argomento, come farebbe un
moderno, trae i suoi precetti dallo studio della natura del cavallo.
VI. — La verità è che in questo, come in tanti altri
casi, il semplicismo non si adatta bene alle scienze che riguardano
la psicologia dell'uomo, animale molto complesso, pieno di
contraddizioni, e che non sempre si cura di esser logico e coerente;
e che perciò anche quando crede e spera che Dio possa
intervenire in sostegno della sua causa, ha cura contemporaneamente
di tenere asciutte le polveri, di valersi cioè del sussidio
dell'intelletto e dell'esperienza propria e degli altri. Il solo
argomento veramente valido, che si potrebbe addurre a favore della
classificazione del Comte, è questo: che, sebbene i tre stadi
intellettuali coesistano in tutte le società umane e si
possano rintracciare nella maggioranza degli individui che le
compongono, pure possono essere, secondo i casi, assai inegualmente
distribuiti; sicchè un popolo può avere un corredo di
cognizioni scientifiche indiscutibilmente superiore a quelle di un
altro, e, secondo le varie epoche della sua storia, può su
questo riguardo grandemente progredire o decadere; come pure
è innegabile che le dottrine metafisiche e le credenze
soprannaturali hanno generalmente maggiore presa ed influenza sulle
nazioni e sugli individui maggiormente sprovvisti di cultura
scientifica. Ma, cosi ridotta, la teoria del Comte rassomiglia molto
a quest'altra, per verità alquanto banale: che quanto
più una società è scientificamente progredita,
meno campo resta alle dottrine aprioristiche, e di altrettanto
diminuisce in essa l'influenza del soprannaturale171.
Dove poi i concetti del padre della moderna sociologia ci sembrano
anche più lontani dalla verità è nella parte
che si riferisce al parallelismo fra i tre stadi intellettuali ed i
tre tipi di organizzazione politica che egli stabilisce: il
militare, cioè, il feudale e l'industriale, — corrispondenti
il primo alla infanzia, il secondo all'adolescenza, il terzo alla
maturità delle società umane.
La funzione militare, l'organizzazione cioè di una forza
armata per la difesa interna ed esterna di un popolo, e se si vuole,
secondo portano gl'interessi, i pregiudizi e le passioni umane,
anche per l'offesa, fino ad oggi è stata ed è una
necessità di tutte le società umane. La preponderanza
politica maggiore o minore dell'elemento militare dipende, in parte,
da cause che abbiamo già studiato, dall'essere cioè o
no questo elemento una forza politica più o meno
indispensabile ed assorbente, più o meno da altre forze
politiche bilanciata, ed in parte da altre cagioni, che quando
sarà il momento opportuno non mancheremo di esporre. Intanto
possiamo fin d'ora con sicurezza affermare che non vediamo la
necessità del connubio indissolubile che, secondo il Comte,
vi dovrebbe essere fra la prevalenza politica del militarismo e la
prevalenza, nel mondo intellettuale e morale, del periodo teologico.
Diremo anzi di più: che non ci pare cioè in niun modo
provato, che il tipo di organizzazione, che il citato autore chiama
militare, debba esclusivamente prevalere solo in quelle
società, che si trovano al primo stadio del loro sviluppo, e,
per parlare il linguaggio dei moderni positivisti, nello stato
d'infanzia.
La società ellenica, ad esempio, dopo Alessandro Magno si
trovava evidentemente organizzata secondo un tipo, che qualunque
sociologo avrebbe caratterizzato per quello militare. Le leghe
repubblicane della Grecia propriamente detta, posteriormente alla
conquista macedone, non ebbero che una importanza politica molto
limitata; esse, fino alla conquista romana, furono sempre nella
clientela o nel vassallaggio dei grandi regni ellenizzati d'Egitto,
di Siria e sopratutto di Macedonia, i quali erano vere monarchie
militari assolute e fondate sulla forza degli eserciti. Eppure,
proprio in quell'epoca, la società greca era tutt'altro che
in uno stato d'infanzia o in un periodo teologico, perchè
poco prima di allora si erano formate ed allora fiorivano quelle
scuole filosofiche, che rappresentano il massimo sforzo del pensiero
ellenico verso la scienza positiva. Lo stesso si può
osservare nella società romana, quando, dopo Cesare, si
affermò l'assolutismo imperiale sorretto dai pretoriani e
dalle legioni.
La prevalenza delle credenze religiose, la fede ardente che in esse
un popolo può avere, producono poi immancabilmente la
preponderanza politica delle classi sacerdotali. Ora queste non
sempre sono fuse interamente colle classi militari, nè sempre
hanno con esse completa comunanza di sentimenti e d'interessi. La
stessa unione fra il trono e l'altare, che ebbe luogo in Europa al
principio di questo secolo dopo la Santa Alleanza, fu dovuta alla
peculiare circostanza che entrambi erano direttamente minacciati
dalla corrente razionalista e rivoluzionaria. Ma questo fatto, lungi
dal formare una regola generale, che possa esser presa come legge
universale, è da riguardarsi piuttosto come uno dei tanti
fenomeni transitori che nella storia si producono. Non mancano certo
gli esempi in contrario; e sono facili a portarsi quelli dell'India,
dove ci fu un'epoca, nella quale la casta dei Bramini si
trovò in lotta con quella dei guerrieri, e l'altro delle
lotte avvenute in Europa fra il Papato e l'Impero.
Ci pare poi impossibile trovare una giustificazione qualsiasi,
fondata sui fatti, di quella parte della dottrina del Comte, che,
alla prevalenza della metafisica nel pensiero umano, fa
corrispondere la prevalenza del sistema feudale nell'ordinamento
politico172. Abbiamo già visto come, ciò che
comunemente si chiama l'organizzazione feudale, sia un tipo politico
relativamente semplice, che si riscontra spessissimo nell'inizio
delle grandi società umane e si riproduce quando un grande
Stato burocratico viene a dissolversi. Quantunque il progresso
politico e quello scientifico non procedano sempre di pari passo,
come è provato dalla storia d'Italia nel Rinascimento, pure
si può ammettere con molte riserve che, in generale, ad uno
stadio politico primitivo o ad un periodo di decadenza e
dissoluzione politica, corrisponda uno stato d'ignoranza quasi
generale od un periodo di accasciamento intellettuale. Ma non si sa
proprio vedere il perchè questo debba essere caratterizzato
dal prevalere dei concetti metafisici anzichè di quelli
teologici; come pure non si può ammettere che, durante il
fiorire di un ordinamento feudale, l'attività scientifica
debba essere necessariamente spenta. Confucio, che visse in un'epoca
nella quale la China era ordinata feudalmente, non fu certo un
metafisico; e dall'altro lato la scienza del trivio e del quadrivio,
come del resto qualunque altra specie di cultura che non sia affatto
superficiale, è ignota agli Afgani ed agli Abissini moderni.
Il Comte si fonda sull'esempio del Medio Evo europeo : quest'epoca
ebbe senza dubbio i suoi grandi scrittori metafisici, come ne ebbe
pure la classica antichità; però il voler fare del
pensiero medioevale quasi un ponte di passaggio fra
l'antichità teologica ed il moderno pensiero scientifico
è un concetto falso, come è falsa la credenza che il
feudalismo sia stato la forma politica organicamente intermedia fra
gli antichi imperi ieratici e lo Stato moderno.
Ma basta leggere gli scrittori medioevali, specialmente quelli delle
epoche che si allontanano un poco dalla caduta dell'Impero
d'occidente e non sono troppo vicine al Rinascimento, per capire
subito quanto il pensiero medioevale fosse assai più
profondamente, assai più costituzionalmente teologico di
quello antico. Quegli scrittori ed i loro contemporanei sono
immensamente più lontani, più diversi da noi, di
quanto lo siano stati i contemporanei di Aristotile e di Cicerone. E
l'ordinamento feudale si formava e fioriva proprio in quei secoli
nei quali la paura continua delle carestie e della peste, le
frequenti apparizioni di Enti celesti ed infernali, turbavano,
imbecillivano completamente i cervelli umani; quando il terrore del
demonio era lo stato permanente di quelle povere anime, in cui, per
mancanza di qualunque cultura, la ragione deperiva ed il
maraviglioso, il soprannaturale diventavano un elemento familiare
come l'aria respirabile173.
VII. — Resterebbe a dimostrare come il terzo rapporto necessario,
che pone il Comte fra il regime industriale e la scienza positiva,
sia anch'esso fallace. Ce ne dispensiamo, perchè, in
quest'ultima parte, i concetti dell'autore del sistema di politica
positiva non hanno avuta molta eco, essendo essi troppo diversi da
quelli che finora sono più in voga fra i nostri
contemporanei, e non offrendo sufficiente appiglio a giustificare,
con una parvenza di metodo scientifico, passioni ed interessi che
finora hanno molta forza. Infatti si sa che l'industrialismo secondo
il Comte è un tipo di organizzazione sociale di là da
venire, nel quale la funzione direttiva della società
dovrebbe essere affidata ad un sacerdozio scientifico positivista e
ad un patriziato bancario ed industriale, fra i quali non dovrebbe
essere facile ai membri della classe inferiore di penetrare.
Perchè l'autore, prevedendo il caso, non dimenticò di
scrivere che "il sacerdozio disporrà i proletari a
disprezzare qualunque tendenza ad uscire dalla propria classe, come
contraria alla dignità dell'ufficio popolare e funesta alle
giuste aspirazioni del popolo, che sempre è stato tradito dai
suoi disertori"174. Altra idea fondamentale dell'A, è che
tutto il movimento intellettuale e politico della fine del secolo
decimottavo e della prima metà del decimonono sia stato un
movimento rivoluzionario, che ha avuto per risultato l'anarchia
morale e politica proveniente dalla distruzione del regime
monoteista feudale al quale nulla si è saputo sostituire.
Coerentemente a questo modo di vedere, il regime parlamentare
è severamente condannato dal Comte, come un effetto del
periodo anarchico nel quale siamo; la stessa funzione
rappresentativa, per la quale gl'inferiori scelgono i superiori,
è definita da quest'autore come una operazione
rivoluzionaria175.
Piuttosto ci converrà fermarci sulla seconda teoria, che
abbiamo già accennato; sulla modificazione cioè che lo
Spencer, e dopo lui moltissimi moderni sociologhi, hanno apportato
alle dottrine del loro maestro, classificando le società
umane in due tipi, rappresentati dallo Stato militare e dallo Stato
industriale176.
Qualunque classificazione deve essere fondata sopra caratteri
distintivi netti e precisi e lo Spencer infatti non manca di
avvertirci che, sebbene "durante l'evoluzione sociale si vedano i
caratteri dei due tipi mescolarsi, pure, nella teoria come nei fatti
è possibile di seguire con tutta la chiarezza desiderabile i
caratteri opposti, che distinguono ciascuna delle due organizzazioni
nel loro completo sviluppo"177. Or, trattandosi di un autore
così reputato, anzi addirittura così celebre, si
può ammettere che egli sia il migliore giudice dell'opera
propria; ma tuttavia avremmo desiderato una chiarezza e certo una
precisione maggiore in quei due capitoli dei principii di sociologia
nei quali l'illustre scrittore tratta ex professo di questo
argomento; e non esitiamo a confessare che, certo per colpa nostra,
non ci siamo formato un concetto del tutto determinato delle idee
che egli espone in proposito178.
Il criterio fondamentale della classificazione dello Spencer, quello
che non solo è esposto nei due capitoli accennati, ma al
quale continuamente si allude in tutte le sue opere ed in quelle dei
suoi numerosi seguaci, è questo: che la società
militare è fondata sul regime degli statuti, sulla
coercizione che i governanti esercitano sui governati, mentre quella
industriale è basata sul contratto, sul libero consenso di
coloro che ne fanno parte, nè più nè meno come
una società letteraria, industriale e commerciale, la quale
non è possibile senza il libero assentimento dei soci. Ora,
ci perdonino tutti coloro che hanno abbracciato questo concetto, ma
a noi sembra, e non possiamo fare a meno di confessarlo, che esso si
fondi sopra presupposti eminentemente aprioristici e che non reggono
alla prova dei fatti. Qualunque organizzazione politica crediamo
invece che sia contemporaneamente spontanea e coercitiva; spontanea
poichè essa proviene dalla natura dell'uomo, come è
stato osservato fin da Aristotile, e nello stesso tempo coercitiva,
perchè è un fatto necessario, l'uomo non potendo
vivere altrimenti. È naturale quindi, ed è spontaneo,
e nello stesso tempo è indispensabile, che, dove ci sono
uomini, ci sia una società, e che, dove vi è una
società, ci sia anche uno Stato; cioè una minoranza
dirigente ed una maggioranza che da essa è diretta.
Si potrebbe obiettare che noi spostiamo la quistione in modo
artificiosamente a noi vantaggioso, e che, sebbene l'esistenza di
un'organizzazione sociale sia un fatto naturale e necessario
là dove ci sono gruppi o moltitudini umane, pure ci possono
essere alcuni Stati i cui ordinamenti riscuotono l'assentimento, o
almeno l'acquiescenza completa, della gran maggioranza degli
individui che ne fanno parte, mentre altri questa condizione non
raggiungono. Non neghiamo che la cosa sia precisamente così,
ma non vediamo però perchè i primi si debbano chiamare
Stati industriali ed i secondi Stati militari. Infatti il consenso
della maggioranza di un popolo in una data forma di regime politico,
dipende unicamente dal fatto che questo regime è fondato
sopra credenze religiose o filosofiche universalmente accettate; o,
per parlare il linguaggio nostro, dipende dalla diffusione e
dall'ardore della fede, che la classe governata ha nella formola
politica con la quale la classe governante giustifica il suo potere.
Ora questa fede, in generale, è certo maggiore in quegli
Stati, che lo Spencer classificherebbe fra gli Stati militari e che
presentano tutti i caratteri che egli ad essi suole attribuire;
cioè negli Stati dove un Governo assoluto ed arbitrario si
fonda sul diritto divino.
Infatti nelle monarchie orientali spesso si congiura contro la
persona del sovrano, ma fino a pochi anni fa è stata rara
l'aspirazione ad una forma diversa di Governo; e fra i popoli della
moderna Europa noi vediamo che i Turchi ed i Russi, ad eccezione di
una piccola minoranza istruita, sono stati quelli fra i quali il
regime che esisteva fino a pochi anni fa era più in armonia
coll'ideale politico della gran maggioranza della nazione. Del resto
in tutti i paesi barbari la popolazione può essere
malcontenta del capo dei capi, ma ordinariamente non concepisce e
non desidera un regime politico migliore.
Senza che sia mai tassativamente detto, da alcuni esempi citati
dallo Spencer179 e dal capitolo che segue i due già
rammentati, e che tratta del passato e dell'avvenire delle
istituzioni politiche, si potrebbe arguire che per lui gli Stati
industriali sono quelli nei quali il Governo ha una base
rappresentativa, o nei quali vi è almeno la tendenza a non
riconoscere altra autorità legittima se non quella che emana
dai popolari comizi.
Però malgrado gl'indizi che abbiamo accennato, non possiamo
ammettere che sia precisamente questo il concetto del chiarissimo
autore. Perchè altrimenti tutti i suoi volumi di Sociologia
non servirebbero che a rinforzare quella corrente d'idee già
tanto diffusa, che comunemente appellasi radicale, e che dallo
stesso Spencer e da molti dei suoi seguaci è stata più
o meno direttamente combattuta. Inoltre egli non può ignorare
quanto il sistema elettivo sia stato diffuso nelle repubbliche
dell'antica Grecia, a Roma e persino fra gli antichi Germani, che
tumultuariamente sceglievano i loro capi innalzandoli sugli scudi, e
tutti questi popoli, stando ai suoi criteri, andrebbero classificati
fra quelli che avevano un tipo accentuatamente militare. Nè
infine si può ammettere che alla sua alta mente siano
sfuggite totalmente le considerazioni già più o meno
accennate in altri libri e da altri autori, e che noi abbiamo
sommariamente svolte nel principio di questo capitolo. Or dalle
considerazioni ricordate risulta che la partecipazione del popolo ai
comizi elettorali non significa che esso diriga il Governo e che la
classe dei governati scelga quella dei governanti, ma piuttosto che
la funzione elettorale, quando si svolge in buone condizioni
sociali, equivale ad un mezzo col quale alcune forze politiche
controllano e limitano l'azione delle altre.
VIII. — Lo Spencer stabilisce altri caratteri distintivi fra i due
tipi militare ed industriale, che ci sembrano ugualmente vaghi ed
indeterminati. Scrive egli, ad esempio, che colla decrescenza del
militarismo e l'accrescimento relativo dell'industrialismo, si va da
un ordinamento sociale nel quale gl'individui esistono a profitto
dello Stato ad un altro ordinamento nel quale lo Stato esiste a
profitto degl'individui180. Distinzione sottile, che ci rammenta
quella che si farebbe qualora si disputasse se nell'uomo il cervello
esista a profitto del resto del corpo o il resto del corpo esista a
vantaggio del cervello. Altrove asserisce che l'azione dello Stato
militare è regolatrice positiva, nel senso che impone una
quantità di atti da compire, mentre quella dello Stato
industriale è regolatrice negativa181, limitandosi essa a
prescrivere gli atti che non si possono commettere; non avendo
presente che non esiste organizzazione sociale nella quale l'azione
dirigente non sia nello stesso tempo positiva e negativa, e che,
siccome l'attività umana è limitata, moltiplicando la
regolamentazione negativa, si ottiene, riguardo all'inceppamento
dell'iniziativa individuale, quasi lo stesso risultato di quello che
produce una soverchia regolamentazione positiva.
Alcuni caratteri poi dello Stato militare che lo Spencer enumera si
riferiscono alle società soverchiamente burocratizzate, come
sarebbero quelle che l'autore ritrova nell'antico Perù, dove
gli ufficiali pubblici dirigevano le colture e distribuivano l'acqua
(probabilmente a scopo d'irrigazione oppure in paesi ed in tempi di
estrema siccità); mentre altri al contrario si riscontrano
nei popoli, dove l'autorità sociale è ancora, od
è stata recentemente, debole, e che si trovano in quel
periodo di organizzazione rozza e primitiva, che noi abbiamo
definito l'ordinamento feudale o ne sono usciti da poco. Fra
quest'ultimi va messa l'usanza della vendetta privata, che il
chiarissimo autore, il quale crede opportuno citare in proposito
l'autorità di Brantôme, trova ancora diffusa in Francia
alla fine del Medio Evo perfino fra gli ecclesiastici.
Inoltre, dove vige quest'usanza, e quindi presso tutti i popoli
barbari, o la cui organizzazione sociale è molto indebolita,
è naturale che il valore personale sia qualità molto
pregiata e cosi va spiegata quest'altra caratteristica che lo
Spencer attribuisce alle società militari. Aggiungiamo che lo
stesso accade in quelle società che, per svariate ragioni,
hanno dovuto sostenere molte guerre offensive e difensive, e che
è naturale che la bravura sia l'unico attributo che
conferisce prestigio ed influenza, là dove la rozzezza non
permette alle attitudini scientifiche, od a quelle che mirano a
produrre la ricchezza, di svilupparsi.
Finalmente non possiamo tacere che la tendenza, che lo Spencer
attribuisce alle società militari, di vivere delle proprie
risorse economiche ricorrendo il meno possibile agli scambi
internazionali, è più che altro una conseguenza della
rozzezza e dell'isolamento di molti popoli e, presso altri
già più civili, dei pregiudizi delle masse sfruttati
dagli interessi dei pochi, che sanno raggiungere il loro tornaconto
a danno dei molti. È molto probabile infatti che ben poco
abbiano profittato degli scambi cogli altri popoli quelle
tribù che lo Spencer cita così spesso come tipi di
società industriali primitive; ed al giorno d'oggi le
correnti protezioniste pur troppo non si sono fatte sentire meno
forti nell'industriale America del Nord che nella militare Germania.
Nè vuolsi per ultimo dimenticare che mal si apporrebbero
coloro i quali volessero distinguere le società industriali
dal grado di sviluppo economico che hanno raggiunto, o quelle
militari dall'energia e dalla prevalenza guerresca che hanno saputo
ottenere. Giacchè lo stesso Spencer direttamente od
indirettamente ci avverte che questo criterio, forse superficiale ma
certo molto semplice e facilmente percepibile, è da scartare.
Difatti, riguardo alla prima ipotesi, l'egregio l'autore non manca
di far rilevare che "non bisogna confondere una società
industriale con una società industriosa" e che "le relazioni
sociali che caratterizzano il tipo industriale possono coesistere
con un'attività produttrice molto limitata"182; e riguardo
alla seconda lo Spencer non vorrà ammettere che la Repubblica
romana abbia avuto una organizzazione più militare e meno
industriale, nel senso che egli dà a quest'espressione, degli
Imperi Orientali che furono da essa conquistati, o che i
conquistatori inglesi siano stati meno inoltrati nel tipo
industriale dei conquistati indiani.
Malgrado queste e malgrado altre obiezioni, che si potrebbero
muovere alla classificazione dello Spencer, non possiamo però
negare, che, diremo così, nascosta ed ottenebrata da un
equivoco, con essa una grande verità non sia stata
intravista. E certo che, oltre ai criteri di classificazione che
abbiamo già accennato e che ci siamo sforzati di confutare,
molti altri se ne possono desumere da tutte le affermazioni sue,
dall'insieme delle sue opere e sopratutto dallo spirito che le
anima. Dal complesso di quanto questo autore ha scritto non si
può infatti fare a meno di ricavare che egli per Stato
militare intende quello in cui la difesa giuridica è meno
progredita, e per Stato industriale un altro tipo di società,
in cui la giustizia e la morale sociale sono maggiormente tutelate.
L'equivoco, di cui testè abbiamo parlato e che ha impedito
allo Spencer di procedere oltre nello scoprire una grande
verità scientifica, consiste in ciò: che egli,
preoccupato dal fatto che la violenza materiale è stata ed
è uno dei maggiori ostacoli al progredire della difesa
giuridica, ha creduto nello stesso tempo che la guerra e la
necessità di un'organizzazione militare sia di ogni violenza
l'origine.
Così concependo il problema, si è confusa la causa con
uno dei suoi effetti. Si è creduto che la guerra sia
l'esclusiva origine della tendenza, che ha la natura umana a
prepotere sui propri simili, mentre non è che una delle sue
tante manifestazioni. Ora questa tendenza, che, nei rapporti esterni
fra popolo e popolo, non può essere frenata che dalla
prevalenza sempre maggiore degli interessi materiali ben intesi183,
nei rapporti interni fra gl'individui dello stesso popolo, abbiamo
già visto che viene, fino ad un certo punto, neutralizzata
solo dalla moltiplicità delle forze politiche che in una
società si possono affermare e dal controllo che le une sulle
altre possono esercitare.
Su quanto abbiamo scritto già sopra quest'importante
argomento nulla abbiamo da togliere, ma certo molto ci resta da
aggiungere. È infatti nostro compito l'esaminare come mai fra
le classi dirigenti, fra le forze politiche, quella frazione che
rappresenta appunto la forza materiale, che tiene in mano le armi,
non rompa l'equilibrio giuridico a suo vantaggio e non s'imponga
sistematicamente alle altre. Certo la possibilità che questo
fatto avvenga è un pericolo continuo, al quale tutte le
società sono esposte e che suole minacciare specialmente
quelle che si trovano in un periodo di rapido rinnovamento di forze
e di formole politiche. Senonchè l'esame dei rapporti fra gli
ordinamenti militari e la difesa giuridica, la ricerca dei metodi
migliori affinchè il detto pericolo sia scongiurato, è
tema così arduo che a trattarlo consacreremo un apposito
capitolo del nostro lavoro.
Per ora solo dobbiamo far rilevare che le idee dello Spencer su
questo argomento, delle quali abbiamo cercato di porre in luce i
lati deboli per quel che riguarda la generalità sistematica,
non sono neppure tali da potersi approvare rispetto a quelle
applicazioni pratiche, che, più o meno direttamente, l'autore
suggerisce. Egli infatti fra gli ordinamenti militari mostra di
prediligere quelli nei quali "il soldato, volontariamente arruolato
a certe condizioni determinate, partecipa in qualche maniera delle
condizioni di un libero operaio" e crede che un tale ordinamento
convenga ad una società "in cui il tipo industriale si
è già affermato184". In altri termini ciò
significa che quella frazione della società, che ha
più gusto per il mestiere delle armi, dovrebbe assumere
volontariamente, mediante compenso, che, per questo come per gli
altri mestieri sarebbe determinato dalle condizioni del mercato,
l'incarico della difesa militare sì interna che esterna. Ora
pare a noi, e molto prima di noi era parso a Machiavelli ed a tanti
altri scrittori, che a meno di circostanze speciali ed eccezionali,
sia appunto questo il sistema, che, nei popoli di cultura avanzata,
dà peggiori risultati; che più facilmente sviluppa
nella classe militare la tendenza ad opprimere le altre e toglie a
queste la possibilità di ogni rimedio efficace e di ogni
riparo.
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
I. Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri
coefficienti delle gare religiose e politiche. — III. Qualità
dei fondatori di nuove religioni e dottrine politiche. — IV. Nuclei
dirigenti di ogni nuova religione o dottrina politica. — V.
Condizioni transitorie per l'adattabilità delle dottrine
religiose e politiche ai vari momenti storici. — VI. Condizioni
permanenti per la loro adattabilità alla natura umana. — VII.
Transazioni pratiche di certe dottrine. — VIII. Organizzazione
stabile dei nuclei dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti
generosi e degli interessi materiali. — X. Sistemi per attirare e
dominare le masse. — Efficacia della forza materiale. — XI. Altre
arti adoperate allo stesso scopo. — XII. Conclusione del capitolo.
I. — Narra Buffon che, racchiudendo un certo numero di daini in un
parco, avviene immancabilmente che dividonsi in due truppe sempre in
guerra fra loro. Pare che un istinto molto simile a questo faccia
sentire la sua influenza sugli uomini. Essi hanno infatti la
naturale inclinazione alla lotta, ma questa solo sporadicamente
assume il carattere individuale, di un solo cioè in guerra
contro un solo; perchè, anche lottando, l'uomo resta un
animale eminentemente sociale. Vediamo perciò abitualmente
gli uomini formarsi in nuclei, fra i quali vi sono capi e gregari; e
gl'individui, che ogni nucleo compongono, sono fra di loro
specialmente affratellati e concordi e sfogano gli istinti pugnaci
contro coloro che fanno parte degli altri nuclei.
Questo istinto di attrupparsi e di combattere contro gli altri
attruppamenti è la prima base ed il fondamento più
primitivo tanto delle lotte esterne, che accadono fra società
diverse, che delle fazioni, delle sette, dei partiti, ed in certo
modo anche dello varie chiese e di tutte le divisioni e suddivisioni
che sorgono in seno ad una stessa società e vi occasionano
lotte morali e qualche volta materiali. Esso, nelle società
molto piccole e primitive, nelle quali vi è molta
unità morale ed intellettuale ed ogni individuo ha gli stessi
costumi, le stesse credenze e le stesse superstizioni, può
bastare da solo a mantenere le abitudini discordi e bellicose. Gli
Arabi e i Kabili della Barberia, ad esempio, hanno tutti le stesse
credenze religiose, lo stesso grado e lo stesso tipo di cultura
intellettuale e morale, eppure, quando non combattevano contro
l'infedele in Algeria ed a Tunisi, contro i Turchi a Tripoli, e
contro il Sultano nel Marocco, erano sempre in lotta fra loro185.
Ogni confederazione di tribù era in rivalità od in
lotta aperta contro la confederazione vicina; nel seno della stessa
confederazione vi erano discordie e spesso si faceva parlare la
polvere fra le tribù che la componevano; dentro la
tribù vi erano inimicizie fra i vari douars, e spesso il
douar era diviso dalle contese fra le singole famiglie.
Altre volte, quando gli ambienti sociali sono piccoli, anche tra
minuscole frazioni di popoli abbastanza civili le lotte interne
possono nascere senza che siano giustificate da differenze morali ed
intellettuali delle parti nemiche, o, se pure queste differenze si
accampano, non sono che un puro pretesto. Cosi i nomi di Guelfi e
Ghibellini fornirono piuttosto la giustificazione e l'occasione
anzichè la causa alle lotte intestine dei nostri Comuni
medioevali; e lo stesso si può dire generalmente dei nomi di
liberale, clericale, radicale e socialista, che assumono oggi le
fazioni, che si contendono il potere amministrativo nei piccoli
Comuni dell'Italia meridionale. In momenti poi di eccezionale apatia
intellettuale, pretesti, anche frivolissimi, possono dare occasione
a lotte abbastanza importanti in seno a società molto grandi
e progredite. A Bisanzio, ad esempio, durante e dopo l'impero di
Giustiniano, i due partiti dei Verdi e dei Turchini o dei Prasini e
dei Veneti, che spesso insanguinarono con lotte molto cruenti le vie
della città, ebbero origine dal parteggiare che facevano gli
spettatori del circo per i cocchieri di differente colore186. Un
pallido ricordo di queste lotte si ebbe, prima del 1848, in qualche
città italiana, dove una parte della gioventù si
accalorava per la preminenza di qualche prima donna o prima
ballerina.
II. — Prima di procedere oltre apriamo una brevissima parentesi e
facciamo osservare che, tanto nelle società piccole che nelle
grandi, quando il bisogno di lottare trova il suo sfogo nelle gare e
nelle guerre esteriori, esso è in certo modo appagato ed
è men facile che si esplichi nelle discordie e nei certami
civili od interni. Ciò premesso, diremo come, guardando
attentamente alla natura dei partiti, delle sette, delle fazioni
politiche, filosofiche e religiose, che si manifestano in generale
in seno ai popoli civili, facilmente ci possiamo accorgere che in
esse all'istinto pugnace di attrupparsi e combattere, che è
il più primitivo e, se ci fosse lecita la parola, diremmo il
più animalesco, si mescolano altri coefficienti intellettuali
e psicologici più complessi e più umani. Nelle
società grandi e civili tenute insieme, oltre che dalla
affinità morale ed intellettuale anche da una forte e
complicata organizzazione politica, vi è la
possibilità di una libertà speculativa ed affettiva
molto maggiore che in quelle piccole e rozze. Perciò in un
gran popolo le lotte politiche e religiose sono anche determinate
dalla moltiplicità delle correnti d'idee, di credenze e di
affetti, che riescono ad affermarsi; dalla formazione di crogiuoli
intellettuali e morali diversi, entro i quali le convinzioni ed i
sentimenti dei singoli individui sono variamente elaborati.
Così noi vediamo il Buddismo svilupparsi in seno alla
società bramanica, il Profetismo e posteriormente le varie
scuole dei Saducei e degli Esseni e la setta degli Zelanti tenere
agitata la vita d'Israele, lo Stoicismo, il Manicheismo, il
Cristianesimo ed il culto mitriaco contendersi la supremazia del
mondo romano-ellenico, il Mazdeismo187 propagarsi nella Persia dei
Sassanidi, il Maomettismo nascere in Arabia e diffondersi
rapidamente in Asia, Africa ed Europa. Fenomeni perfettamente
analoghi, sebbene adattati all'indole più razionalista della
moderna civiltà europea, sono il liberalismo ed il
radicalismo del secolo decimonono, e meglio ancora la democrazia
sociale, che, nata quasi contemporaneamente al liberalismo, ha
mantenuto più a lungo la sua forza di propaganda e come
è stata uno dei fattori storici più importanti della
fine del secolo decimonono, continuerà ad esserlo nei primi
decenni del ventesimo. Accanto a queste che abbiamo nominato, nella
storia dei popoli civili sarebbe facile rintracciare moltissime
altre correnti minori, le quali, con più o meno fortunata
diffusione, hanno tutte raggiunto una certa importanza, ed hanno
tutte contribuito a dar pascolo agli istinti della disputa, della
lotta, del sacrificio e della persecuzione, che sono così
radicati nei cuori degli uomini.
Il modo come nascono tutte queste dottrine o correnti di idee, di
sentimenti, di convinzioni, ha sempre qualche cosa di costante, che
dà all'esordio di ognuna di esse alcuni caratteri comuni.
L'uomo, essere debole assai davanti le sue passioni ed anche davanti
quelle degli altri, egoista spesso più che necessità
il comporti, ordinariamente vano, invidioso, meschino, conserva
nella quasi totalità degli individui due grandi aspirazioni,
due sentimenti che lo nobilitano, lo elevano, lo purificano: cerca
la verità, ama la giustizia; e qualche volta è capace
di sacrificare a questi due sentimenti anche una parte più o
meno grande dell'appagamento delle sue passioni e dei suoi interessi
materiali. L'uomo civile, essere assai più complesso e
delicato del selvaggio e del barbaro, può, in qualche caso,
elevarsi fino ad una concezione assai raffinata dei sentimenti
accennati.
In certi momenti storici, in una data società un individuo
può sorgere, che acquisti la convinzione che egli ha qualche
cosa di nuovo a dire riguardo alla ricerca della verità, una
dottrina più elevata da insegnare per la migliore attuazione
della giustizia; quest'individuo è il piccolo seme, che
può, date alcune doti di carattere, il favore dell'ambiente e
molteplici circostanze accidentali, produrre la pianta che
stenderà i suoi rami in gran parte del mondo.
III. — La storia non sempre ci ha conservato i particolari
biografici di questi fondatori di religioni e di scuole
politico-sociali, che in fondo sono pur esse quasi religioni spoglie
dell'elemento teologico. Di alcuni però sappiamo abbastanza;
e ad esempio Maometto, Lutero, Calvino e sopratutto Rousseau,
possono essere con una relativa facilità analizzati.
La qualità fondamentale, che tutti debbono avere, è
una profonda convinzione della propria importanza o meglio
dell'efficacia dell'opera loro. Se credono in Dio si stimeranno
sempre destinati dall'Onnipotente a riformare la religione e la
umanità intiera. Indiscutibilmente poi non è in essi
che si potrà ricercare il perfetto equilibrio di tutte le
facoltà intellettuali e morali, ma neppure possono essere
considerati come pazzi; giacchè la follia è un male
che presuppone nell'individuo che ne è colpito uno stato
anteriore e normale di sanità. Vanno piuttosto classificati
fra coloro che ordinariamente sono chiamati originali o esaltati;
nel senso che attribuiscono a certi lati della vita o
dell'attività umana una importanza esagerata, e che tutto il
loro essere, tutto lo sforzo di cui sono capaci, giuocano sopra una
carta, cercando di raggiungere l'ideale della loro esistenza per una
via inusitata che dai più sarebbe ritenuta assurda. Ma
evidentemente chi ha il perfetto equilibrio di tutte le sue
facoltà, chi fa il conto esatto dei risultati da raggiungere
di fronte agli sforzi ed ai sacrifici che sono necessari per
ottenerli, chi giudica modestamente e sensatamente dell'importanza
del proprio individuo e dell'efficacia reale e duratura che la sua
azione, dato il corso ordinario degli eventi umani, può
esercitare nel mondo, chi calcola esattamente e freddamente le
probabilità prò e contro la riuscita, non
intraprenderà mai un'iniziativa originale e ardita e non
farà mai grandi cose. Se tutti gli uomini fossero normali ed
equilibrati, la storia del mondo sarebbe molto diversa, e, conviene
anche confessarlo, sarebbe molto monotona.
Qualità fondamentale del capo partito, del fondatore d'una
setta di una religione ed in generale, si può dire, di
qualunque pastore di popoli, che voglia far sentire la propria
personalità ed indirizzare una società secondo le sue
vedute, è il sapere infondere in altri le proprie convinzioni
e sopratutto i propri sentimenti, il riuscire a far sì che
molti vivano della sua vita intellettuale e morale e compiano dei
sacrifici per gli ideali, che egli ha concepito.
Questa facoltà comunicatrice dei sentimenti e delle passioni
proprie non è comune a tutti i riformatori; quelli che ne
mancano, anche che abbiano una forte originalità di pensiero
e di sentimento, riescono inefficaci nella vita pratica e spesso
finiscono coll'entrare nella categoria dei novatori senza seguito,
dei geni incompresi, i quali difficilmente possono evitare il
ridicolo.
Al contrario coloro che la posseggono non solo sanno inspirare agli
apostoli ed alle turbe i loro entusiasmi e persino suscitarne il
delirio, ma finiscono anche col far nascere una specie di
venerazione per la loro persona e col diventare l'oggetto di un vero
culto, per il quale ogni loro minimo atto acquista importanza, ogni
loro parola è senza discussione creduta, ogni loro cenno
ciecamente obbedito. Attorno ad essi si forma un ambiente di
esaltazione, che è sommamente contagioso e che è padre
di atti arditi e sacrifici, che certamente non sarebbero possibili
se gli uomini che ne sono gli autori fossero nel loro stato normale.
È così che si spiega il successo enorme di certe
predicazioni ed insegnamenti e la fortuna straordinaria che, ad
esempio, ebbero nel Medio Evo due tipi, così diversi in tante
altre cose ma così simili nell'arte di interessare gli
uomini, come furono San Francesco d'Assisi ed Abelardo. Così
si spiega come Maometto fosse tenuto in tale venerazione dai suoi
discepoli ed adepti, che conservavano quali reliquie i peli della
sua barba e (bisogna far la parte alla rozzezza dei tempi)
raccoglievano con venerazione i suoi sputi, e come bastasse una sua
insinuazione perchè i suoi più pericolosi avversari
fossero assassinati188. E così si spiega pure come, ad un
cenno di Mazzini, non siano mancate quasi mai persone disposte ad
assumere le imprese più arrischiate e perigliose, e come in
tutti i tentativi di comunismo pratico, che si sono fatti nel secolo
decimonono da Owen e da Fourier fino a David Lazzaretti, siansi
trovate sempre un certo numero di persone disposte a sacrificare la
loro sostanza.
Quando qualcheduno di questi fondatori o capi di scuole politiche o
religiose è anche uomo di guerra, come fu Giovanni Ziska,
riesce ad infondere nei suoi seguaci una sicurezza di vincere e
quindi un coraggio poco comuni.
Non si deve poi cercare in tutti i caratteri originali, che si fanno
iniziatori di un movimento d'idee e di sentimenti, un senso morale
assolutamente squisito che presieda uniformemente a tutti gli atti
della loro vita, perchè non sempre lo si troverebbe.
Preoccupati quasi esclusivamente di raggiungere il loro ideale, per
il conseguimento di questo scopo sono quasi sempre pronti a soffrire
essi ed a far soffrire anche gli altri. Generalmente anzi hanno un
alto disprezzo o almeno una gran trascuranza per tutto ciò
che si riferisce ai bisogni quotidiani ed agli interessi materiali
ed immediati della vita, e, anche che non lo dicano espressamente,
biasimano sempre in cuor loro la gente dedita a seminare, mietere e
conservare il raccolto, perchè pensano che, una volta
stabilito quello che essi credono il regno di Dio o della
verità e della giustizia, i bisogni degli uomini saranno cosi
facili ad essere appagati come quelli degli uccelli dell'aria o dei
pesci delle acque. Quando vivono in tempi razionalisti, ed
apparentemente più positivi, non tengono conto
dell'esaurimento della pubblica ricchezza che il solo tentativo di
attuare i loro ideali potrebbe produrre.
Su questo riguardo, del resto, conviene distinguere tre periodi
attraverso i quali la vita di ogni grande riformatore può
passare.
Il primo è quello durante il quale egli concepisce la sua
dottrina e questa si va elaborando nell'intimo della sua coscienza,
e, durante questo stadio, egli può conservarsi in perfetta
buona fede e potrà essere accusato di fanatismo, ma non
già di doppiezza e ciarlataneria; il secondo comincia quando
inizia la sua predicazione, ed allora la necessità di
impressionare gli altri lo spinge fatalmente a caricare alcune tinte
e quindi alla posa; il terzo periodo si ha quando è
così fortunato da poter tentare l'attuazione pratica dei suoi
insegnamenti.
Arrivato a quest'ultimo stadio e trovandosi necessariamente in
contatto diretto con tutte le imperfezioni e le debolezze della
natura umana, deve, se vuole riuscire, moralmente decadere.
Allora tutti i riformatori convengono nell'interno della loro
coscienza che il fine giustifica i mezzi, che non si possono guidare
gli uomini senza alcun poco ingannarli, e, di transazione in
transazione, si arriva al punto che riesce malagevole anche al
più acuto psicologo il distinguere dove finisca in essi la
sincera convinzione e dove cominci la messa in scena e la
furfanteria189. Certo è che svariatissimi elementi morali
possono coesistere nello stesso individuo, come ad esempio in
Enfantin, il secondo sommo pontefice del Sansimonismo190, ed in
Maometto, nel quale non si può negare l'aspirazione sincera
ed onesta verso una religione meno rozza e materiale di quella che
gli Arabi praticavano prima di lui, mentre è pure certo che
qualche volta i versetti del Corano, che l'Arcangelo Gabriele mano
mano gli comunicava, giungevano opportuni per liberarlo da impegni
presi e perfino per esentarlo dall'osservanza di certi freni morali,
che in versetti precedenti erano stati stabiliti191.
IV. — Accanto all'individuo, che primo concepisce una nuova
dottrina, vi è sempre un gruppo più o meno numeroso,
che riceve direttamente la parola dal maestro e che dei suoi
sentimenti è profondamente imbevuto192. Ogni Messia deve
avere i suoi apostoli, dappoichè l'uomo ha in quasi tutte le
manifestazioni della sua attività morale e materiale bisogno
della società; non c'è entusiasmo che non si spenga,
non ci è fede che non si scuota se restano in un prolungato
isolamento. La scuola, la chiesa, l'agape, la loggia, il convegno
abituale, comunque si chiami, di un gruppo di persone, che sentono e
pensano nello stesso modo, che hanno gli stessi entusiasmi, gli
stessi odi, gli stessi amori e comprendono ugualmente la vita,
fortifica, esalta e sviluppa i loro sentimenti e produce tale
un'assimilazione di questi nel carattere di ogni singolo individuo
da renderne la traccia indelebile.
È in questo gruppo dirigente che d'ordinario la inspirazione
primitiva del maestro viene sviluppata, raffinata, completata tanto
da diventare un vero sistema politico, religioso o filosofico scevro
da incongruenze e contraddizioni troppo apparenti. È dentro
di esso che si mantiene il fuoco sacro della propaganda anche dopo
che il primo autore della dottrina è scomparso; ed è a
questo nucleo, che si recluta da sè per coaptazione, che
l'avvenire della nuova dottrina è affidato. Giacchè
per quanto l'originalità di vedute, la forza dei sentimenti,
l'attitudine alla propaganda di un maestro siano grandi, tutte
queste qualità riescono inefficaci se, prima di materialmente
o moralmente morire, egli non ha fondato la scuola; mentre, al
contrario, quando il soffio che anima questa è energico e
potente, tutti i difetti e le imperfezioni, che posteriormente si
possono scorgere nell'opera del primo autore della dottrina, possono
essere mano mano corretti o dimenticati e la propaganda può
continuare attiva ed efficace.
Al di fuori del nucleo dirigente resta la folla dei proseliti, ma
questa, mentre numericamente forma l'elemento maggiore e dà e
fornisce alla Chiesa od al partito la forza materiale ed anche
economica, intellettualmente e moralmente è il fattore
più trascurabile di qualunque dottrina politica e religiosa.
Le masse, difficili ad essere conquistate da una dottrina nuova, non
l'abbandonano poi che con difficoltà193; e, quando ciò
avviene, la colpa è quasi sempre del nucleo dirigente;
giacche è quasi sempre in mezzo ad esso che prima s'insinuano
l'indifferentismo e lo scetticismo. La miglior maniera di far
credere è quella di essere profondamente convinto, l'arte di
appassionare consiste nell'essere fortemente appassionato. Quando il
sacerdote non sente la sua fede il popolo diventerà
indifferente ed abbraccerà un'altra dottrina che avrà
ministri più zelanti; se l'ufficiale non è imbevuto di
spirito militare, se non sarà pronto a dar la vita per il
decoro della propria bandiera, il soldato non si batterà; se
il settario non sarà infanatichito non potrà
trascinare le turbe alla ribellione.
Se si tratta di dottrine o credenze antiche, da un pezzo formate,
che si sono già tradizionalmente imposte, ed il cui campo
d'azione è omai fissato e circoscritto, è generalmente
la nascita che ascrive un individuo nelle file dei loro seguaci. In
Germania o negli Stati Uniti, ad esempio, quasi sempre si è
cattolici, protestanti od israeliti a seconda che si nasca in una
famiglia che professi una di queste religioni; in Spagna ed in
Italia chi ha ancora una religione è quasi sempre cattolico.
Se però in un paese vi sono diverse dottrine, ancora nello
stadio di formazione e di propaganda attiva, che si fanno
vicendevolmente la concorrenza, allora la scelta individuale, nelle
persone di media levatura, dipende da un cumulo di circostanze, in
parte accidentali, in parte frutto dell'abilità con cui la
propaganda di una data dottrina vien fatta. In Francia ed anche in
Italia il giovinetto può diventare conservatore o radicale
socialista a seconda delle idee del padre, del professore o del
compagno, che esercita più influenza sopra di lui nel momento
che i suoi principii cominciano a formarsi; un libro che capita
nelle sue mani, un giornale che si legge quotidianamente, in
un'età in cui i concetti generali non sono ancora precisati e
si ha principalmente bisogno di entusiasmarsi, amando ed odiando
qualche cosa e qualche uomo, possono determinare l'intiero indirizzo
di una vita. Giacchè, siccome le convinzioni politiche,
religiose o filosofiche sono in fondo per molti uomini una cosa
molto secondaria, specialmente dopo che è trascorsa la prima
gioventù ed è venuta l'età delle occupazioni
pratiche e degli affari, così un po' per indolenza, un po'
per abitudine, un po' per malinteso amor proprio e per la
così detta coerenza di carattere, si finisce spessissimo,
quando l'interesse fortemente nol contrasta, col conservare per
tutta la vita quelle dottrine, che si sono abbracciate in un momento
d'impeto fanciullesco, consacrando ad esse quel po' di energia e di
attività, che anche gli uomini comunemente detti positivi
sogliono riserbare per ciò che si reputa l'ideale.
Dal fatto però che la scelta individuale di una credenza o di
un colore politico può essere determinata dal caso non si
deve indurre che questo sia la causa principale che contribuisce
alla riuscita delle varie scuole o chiese. Vi sono invece dottrine
molto adatte al proselitismo, ed altre ve ne sono assai meno adatte.
Tre infatti sono i fattori dai quali quasi esclusivamente dipende la
larga diffusione di un insegnamento politico o religioso. Il primo
consiste nella sua adattabilità ad un dato momento storico.
Il secondo corrisponde alla sua attitudine a soddisfare un maggior
numero di passioni, di sentimenti e d'inclinazioni umane, di quelle
specialmente che sono più diffuse e radicate nelle masse. Il
terzo finalmente è costituito dalla buona organizzazione del
nucleo dirigente, formato di tutti gl'individui specialmente dediti
al mantenimento ed alla diffusione dello spirito, che informa una
data dottrina.
V. — Perchè una dottrina sia adatta ad un dato momento
storico di una data società, bisogna anzitutto che
corrisponda allo stato di maturità che lo spirito umano ha
raggiunto in quel momento ed in quella società. Una religione
monoteista trionferà facilmente quando gli intelletti saranno
abbastanza progrediti per comprendere come tutti i fenomeni naturali
si possano attribuire ad unica causa ed unica sia la forza che regge
l'universo. Il razionalismo potrà essere il fondamento di
altre dottrine, quando il libero esame ed i risultati delle scienze
naturali e storiche avranno infirmato il contenuto delle religioni
rivelate, e la concezione di un Dio, fatto ad immagine e somiglianza
dell'uomo, che interviene arbitrariamente negli eventi umani,
apparirà assurda alle classi dirigenti.
Nei secoli durante i quali il Cristianesimo si diffuse nell'impero
romano, ancora quasi tutti, pagani e cristiani, credevano nel
soprannaturale e nel miracolo; ma il soprannaturale pagano era
già divenuto troppo grossolano ed incoerente, mentre quello
cristiano, che, oltre a rispondere meglio ai bisogni dell'animo
umano, era più sistematico e meno fanciullesco, doveva
trionfare. Luciano, perfettamente scettico, che ride di tutti,
pagani e cristiani, nel secondo secolo dell'era volgare è
un'eccezione. Il pubblico colto di allora nella sua media
intelligenza era meglio rappresentato da Celso, che, deista e
credente nel soprannaturale e nei miracoli, pure attaccava col
ridicolo il Vecchio ed il Nuovo Testamento194. Ma, giacchè si
era posto in questa via tanto conveniente ad un razionalista, e che,
sedici secoli dopo, in circostanze diverse, dovea riuscire cosi bene
a Voltaire, avrebbe dovuto facilmente accorgersi come fosse molto
più facile provocare il ridicolo ed anche il disgusto sulle
turpi azioni e le puerili baruffe di cui davano spettacolo gli Dei
dell'Olimpo. Ed in verità riesce evidente che da parecchio
tempo il paganesimo classico non potea bastare più nè
al sentimento, nè all'intelletto degli uomini e, come bene
osserva il Renan195, il mondo romano ed ellenico se non fosse
divenuto cristiano si sarebbe convertito al culto di Mitra, o a
qualche altra religione asiatica più mistica del Paganesimo
classico e meno incoerente.
Similmente Rousseau apparve ed ebbe fortuna quando, prima
l'Umanesimo e la Riforma, poi i progressi delle scienze esatte e
naturali, infine Voltaire e l'Enciclopedia aveano sfatato tutto il
mondo cristiano e medioevale, sicchè poteva riuscire accetta
una nuova spiegazione razionale, se non ragionevole, delle
istituzioni politiche. Se noi esaminiamo la vita di Lutero e di
Maometto facilmente possiamo vedere che la Germania e l'Arabia
erano, quando essi apparvero, preparate ad accogliere le loro
dottrine.
Se teniamo presente che l'uomo, quando ha una certa cultura, e
soprattutto quando non è sotto la pressione assorbente dei
bisogni materiali, ha generalmente la tendenza ad interessarsi a
qualche cosa di superiore, che riguardi gl'interessi della
società alla quale appartiene e si elevi al di sopra delle
cure ordinarie della vita, facilmente ci possiamo accorgere che
è assai più facile che una nuova dottrina possa
attecchire colà dove questa tendenza non trova il suo pascolo
nell'organizzazione politica già esistente; dove
perciò gli entusiasmi, le ambizioni, il desiderio di lottare
e primeggiare più difficilmente riescono ad avere uno sfogo.
Certo, ad esempio, il Cristianesimo non si sarebbe rapidamente
diffuso quando Roma repubblicana potea offrire ai suoi cittadini le
emozioni delle lotte elettorali o quando essa faceva il suo
terribile duello con Cartagine; sicchè fu la pace dell'impero
che, attutendo le guerre fra le nazioni, riserbando tutte le
pubbliche funzioni ai soli impiegati, preparando un lungo periodo di
sicurezza e di ozio politico, rese alla nuova religione il miglior
servizio possibile. Similmente la consolidazione dello stato
burocratico, che avvenne nel secolo passato, la fine delle guerre
religiose, la formazione di una classe colta ed agiata che era
esclusa dalle funzioni politiche, fornirono il sostrato che rese
possibile prima il movimento liberale e poi quello radicale
socialista.
Conviene anche ammettere che una nazione si può trovare,
diremo così, psicologicamente esaurita o riposata. E lo
stesso concetto che, forse con meno proprietà di parola, si
esprime quando si dice che un popolo è vecchio o giovane.
Quando una società da parecchi secoli non ha subito
rivoluzioni o gravi rivolgimenti politici e si prepara ad uscire da
questo suo lungo torpore, riesce più facile di convincerla
che il trionfo di una nuova dottrina, l'inizio di una nuova forma di
governo debbano segnare il principio di un'era nuova,
dell'età dell'oro o del regno della cuccagna, coll'avvento
del quale tutti gli uomini debbono diventare buoni e felici196.
Al contrario è naturale che, dopo una serie di rivolgimenti,
l'entusiasmo e la fede che inspirano i novatori e le novità
politiche, diminuiscano di molto e che un certo senso di scetticismo
e di stanchezza si diffonda nelle masse. Però questo
esaurimento della facoltà di credere e di entusiasmarsi si
produce assai più difficilmente di quanto a prima vista possa
sembrare. Non solo infatti sfuggono in gran parte alla influenza
deleteria della disillusione tutte le dottrine religiose, che si
fondano sul soprannaturale, sulla soluzione del problema che
riguarda la causa prima dell'universo e che rimandano ad un'altra
vita l'attuazione di un ideale di felicità e di giustizia; ma
anche quelle apparentemente più positive, che dovrebbero dare
i loro frutti in questa vita, resistono assai bene alle smentite che
dà loro l'esperienza quotidiana dei fatti. In fondo le
illusioni durano perchè, per la quasi totalità degli
uomini, l'illudersi è un bisogno meno materiale, ma non meno
sentito di tanti altri; perciò un sistema di illusioni non si
sfata facilmente finchè non lo si sostituisca con un sistema
nuovo. Alle volte, quando ciò non è possibile, neppure
una serie di sofferenze, delle prove terribili, frutto di più
terribili esperienze, bastano a far ricredere un popolo; o meglio
l'accasciamento, più che la delusione, dura finchè
vive la generazione, che è stata personalmente desolata e
decimata; ma poi, appena le energie sociali si rinfrancano alquanto,
se l'indirizzo delle idee e l'educazione dei sentimenti non mutano,
le stesse illusioni produrranno nuove lotte e nuove sventure197.
VI. — L'attitudine di una dottrina a soddisfare i bisogni dell'anima
umana, oltrechè dalle necessità di tempo e di luogo
alle quali abbiamo già accennato, dipende anche da condizioni
permanenti, da vere leggi psicologiche, che è necessario
siano da essa osservate. Anzi è questo il secondo ed
importantissimo fattore del successo delle nuove dottrine politiche
e religiose del quale veniamo ora a parlare.
Come regola generale un sistema d'idee, di credenze, di affetti per
essere accolto da grandi masse umane, deve rispondere da una parte
ai sentimenti più elevati dell'animo, deve perciò
promettere il regno della giustizia e dell'uguaglianza in questo
mondo o nell'altro, e proclamare che i buoni saranno premiati, i
malvagi puniti. Ma nello stesso tempo non sarà male se
darà un po' di soddisfazione all'invidia ed a quel rancore,
che generalmente si ha contro i forti ed i fortunati, e sarà
molto opportuna l'affermazione che, in questa vita o nell'altra,
verrà un momento in cui gli ultimi saranno i primi ed i primi
saranno gli ultimi. Gioverà molto se qualche lato della
dottrina che si vuole propagare potrà offrire un rifugio agli
animi dolci e buoni, che dalle lotte e dalle delusioni della vita
cercano un conforto nel raccoglimento e nella rassegnazione;
sarà pure utile ed anzi indispensabile che essa abbia modo di
usufruire e di indirizzare lo spirito di abnegazione e di
sacrificio, che in alcuni individui è preponderante, ma la
dottrina stessa deve lasciare anche una qualche base all'orgoglio ed
alla vanità.
Sicchè i credenti devono essere sempre il popolo o la classe
degli eletti o almeno devono rappresentare l'avanguardia del vero
progresso. Il Cristiano quindi deve poter pensare con soddisfazione
che, al di fuori della propria fede, tutti saranno dannati; il
Bramino deve poter rallegrarsi che egli solo discende dalla testa di
Brama ed ha l'altissimo onore di leggere i libri sacri; il Buddista
deve apprezzare altamente il privilegio di raggiungere più
presto il Nirvana, il Maomettano deve con soddisfazione rammentare
che egli solo è il vero credente e che tutti gli altri sono
cani infedeli in questa vita e dannati nell'altra, il radicale
socialista infine deve esser convinto che sono putridi ed egoisti
borghesi o pecoroni ignoranti e servili coloro che non pensano come
lui. Così si provvede al bisogno di stimare se stesso ed il
proprio culto o le proprie convinzioni e nello stesso tempo a quello
di disprezzare ed odiare gli altri.
Dall'odio alla lotta non vi è che un passo, e difatti non vi
è setta politica o credenza religiosa che non l'ammetta,
cruenta od incruenta secondo i casi, contro coloro che non accettano
i suoi dogmi. Se la scansa assolutamente e predica in tutti i casi
mansuetudine e sottomissione è segno che si sente del tutto
debole e che troppo rischierebbe ad intraprenderla. Nella lotta poi
trovano pascolo tutti gli appetiti meno nobili ma non meno diffusi
del cuore umano: l'amore del lusso, la libidine di sangue e di
donne, l'ambizione di comandare e prepotere.
Certo non si può fare una ricetta con i quantitativi che
esige la soddisfazione di ogni sentimento umano per la fondazione di
una duratura setta politica o dottrina religiosa, ma si può
affermare con sicurezza che a raggiungere questo scopo è
necessaria l'alleanza di una certa quantità di sentimenti
elevati e di passioni basse, di metallo prezioso e di metallo vile;
altrimenti la lega non riesce resistente. Ogni dottrina che non
tiene abbastanza conto delle qualità diverse e
contraddittorie delle masse umane, ha poca forza di propaganda e, se
si vuole diffondere, deve essere nella pratica modificata. Anzi la
mescolanza del bene e del male è così ingenita nella
natura umana, che un po' di metallo fino deve esistere anche nella
lega di cui sono impastate le associazioni di malfattori e le sette
misteriose ed assassine, ed un po' di metallo basso deve entrare
anche in quel complesso di sentimenti, che inspira le
comunità degli asceti, che fanno completo sacrificio di se
stessi, ed i gruppi degli eroi. La soverchia scarsezza dei due
elementi ha sempre però lo stesso risultato di impedire la
larga diffusione della dottrina o della disciplina speciale, che un
dato instituto impone ai suoi membri.
Infatti è accaduto ed accade che si formi una setta
brigantesca, che predichi il furto, l'omicidio e la distruzione; ma,
anche in questo caso, noi vediamo che la perpetrazione di questi
fatti è colorita con qualche speciosa dottrina politica o
religiosa, che serve ad attirare nel sodalizio qualche illuso non
del tutto spregevole, il quale col suo briciolo di
rispettabilità rende più tollerabile agli altri la
loro turpitudine e introduce nel sodalizio quel tanto di senso
morale, che è indispensabile perchè le bricconate
riescano198. Esempio di società di questo genere abbiamo
negli Assassini, che nel Medio Evo funestarono la Siria e
l'Irak-Arabi, nei Thugs o strangolatori dell'India, negli anarchici
militanti d'Europa e d'America e forse anche in qualche
società secreta della China199.
Vediamo pure d'altra parte, che associazioni di uomini si sono
costituite nelle quali si è stabilito di rinunciare ad ogni
vanità e ad ogni godimento di questo mondo e si è
accettato il sacrificio completo della propria personalità in
prò del sodalizio o della umanità intera. I conventi
dei bonzi e gli ordini religiosi del cattolicesimo sono esempi
abbastanza noti di istituti di questa specie. E nondimeno, sebbene
essi siano in generale reclutati fra gl'individui i quali, o per
circostanze speciali della vita o per naturale vocazione al
sacrificio ed alla rassegnazione, sono più adatti al loro
speciale ufficio, pure non si può dire che siano del tutto
esenti dalle passioni mondane; giacchè il desiderio di
riscuotere l'ammirazione dei devoti, la voglia che hanno molti
individui di primeggiare nell'ordine e quella, forse ancora
più forte, che l'ordine primeggi sopra i sodalizi rivali,
sono molle potentissime, che contribuiscono alla durata di simili
associazioni ed alla loro prosperità.
Ma nell'uno e nell'altro caso, oltre che un briciolo di bene si
è trovato sempre mescolato al male e che un briciolo di male
ha sempre intossicato il bene, siamo di fronte costantemente a
sodalizi non troppo grandi, e che sopratutto non hanno mai compreso
tutti i membri di una grande società umana. Malgrado tutte le
speciose giustificazioni del delitto, che si sono escogitate, le
sette assassine e ladre non sono state finora che delle vere
malattie sociali, che sono riuscite per qualche tempo a terrorizzare
ed anche ad influenzare vaste contrade, ma non hanno mai convertito
un gran popolo ai loro principii. Anche il convento è stato
sempre un'eccezione e, dove la vita monacale si è estesa ed
è diventata un mestiere abituale di una parte notevole della
popolazione, essa ha rapidamente tralignato. Le Chiese ebionite, che
nei primi tempi del Cristianesimo esigevano che ogni fedele mettesse
in comune i propri guadagni e volevano estendere il tipo monacale
all'intera società cristiana, vissero sempre vita stentata e
presto dovettero scomparire. Giacchè se tesori di abnegazione
si possono ottenere da un piccolo numero d'individui scelti ed
educati con acconcia disciplina, lo stesso non è possibile
quando si abbia da fare con un'intiera massa umana, nella quale
necessariamente il bene è mescolato al male ed i bisogni e le
passioni di ogni genere si fanno sentire. È perciò che
qualunque esperimento di palingenesi sociale per provare qualche
cosa dovrebbe essere applicato ad un popolo intero; dato che se ne
trovi uno che si presti ad un simile studio.
VII. — È per queste ragioni che una religione la cui morale
è troppo elevata produce tutto al più quei buoni
risultati, certo non disprezzabili, che spesso si ottengono quando
gli uomini si sforzano di raggiungere un ideale di bene, che
è al di sopra delle loro forze l'attuare, ma nella pratica
deve finire sempre coll'essere poco scrupolosamente osservata.
L'urto continuo fra la credenza religiosa e le necessità
umane, fra ciò che si riconosce santo e conforme alla legge
divina e ciò che si fa, costituisce la eterna contradizione,
la inevitabile ipocrisia della vita di molti popoli e non soltanto
dei popoli cristiani. Poco prima che il Cristianesimo diventasse,
mercè Costantino, la religione ufficiale dell'impero romano,
il buon Lattanzio esclamava: "Se il vero Dio soltanto fosse onorato
(cioè se tutti si fossero convertiti al Cristianesimo), non
vi sarebbero più dissensioni nè guerre. Gli uomini
sarebbero tutti uniti con i legami di una carità
indissolubile, perchè essi si riguarderebbero tutti come
fratelli. Nessuno macchinerebbe più agguati per disfarsi del
suo vicino, ciascuno si contenterebbe di poco e non vi sarebbero
più frodi e latrocinii. Come diventerebbe fortunata la
condizione degli uomini, che età dell'oro comincierebbe per
il mondo!"200. Doveva essere questa infatti l'opinione di un
cristiano, convinto che ogni credente dovesse porre interamente in
pratica i precetti e lo spirito della sua religione e che reputava
possibile che questi fossero osservati da un'intiera società,
come lo erano da quelle anime elette che, col sacrificio della loro
vita, non rinnegavano la fede davanti le persecuzioni di
Diocleziano. Se Lattanzio fosse vissuto solo cinquant'anni
più tardi, forse si sarebbe accorto come nessuna religione
basti ad elevare sensibilmente e rapidamente il livello morale di
tutto un popolo; se fosse rinato nel Medio Evo avrebbe potuto
accertarsi come, adattandosi sempre più alle mutevoli
condizioni storiche ed alle esigenze perenni dell'animo umano, la
stessa religione, che aveva dato il martire e che dava il
missionario, era buona a produrre pure il crociato e l'inquisitore.
I Maomettani, in generale, osservano il Corano assai più
scrupolosamente di come i Cristiani obbediscono al Vangelo. Ma
ciò non proviene soltanto dalla loro fede più cieca,
che è un effetto della loro maggiore ignoranza scientifica,
ma anche dal fatto che le prescrizioni di Maometto sono moralmente
meno elevate, e quindi umanamente più realizzabili di quelle
di Cristo. Coloro che praticano l'Islam si astengono, in generale,
molto severamente dal vino e dalla carne di maiale, ma un individuo,
che non ne abbia mai gustato, non risente un disagio apprezzabile se
è privo di questi alimenti201. L'adulterio è anche fra
i seguaci dell'Islam assai più raro che fra i Cristiani, ma
il divorzio è fra i primi molto più facile e Maometto
permette di prendere diverse mogli, nè proibisce di praticare
le schiave. È raccomandato assai ai credenti nell'Islam di
fare l'elemosina ai compagni di fede e di essere con essi larghi di
ogni sorta di aiuti, ma è anche loro inculcato di far la
guerra agli infedeli, ed è anzi riputata opera meritoria lo
sterminarli in guerra ed il sottoporli a tributo in pace. In fondo
nel Corano si trovano perciò prescrizioni per tutti i gusti
e, restando fedeli alla sua lettera ed al suo spirito, si può
andare in paradiso per parecchie strade maestre. Non è da
dimenticare che qualche credenza islamitica, la quale urta uno degli
istinti più forti e radicati nella natura umana, è
quella appunto che meno facilmente riesce ad influenzare la condotta
dei Musulmani. Maometto infatti promette il paradiso a tutti coloro
che soccombono nella guerra santa. Ora se ogni credente conformasse
la sua condotta a quanto assicura il Corano, ogni volta che un
esercito maomettano si trova di fronte ai miscredenti dovrebbe
vincere o perire fino all'ultimo uomo. Non si può negare che
un certo numero di individui si comporti conforme al detto del
Profeta, ma la maggioranza preferisce per ordinario la sconfitta
alla morte, benchè accompagnata dall'eterna beatitudine.
I Buddisti sono, in generale, osservantissimi dei precetti esteriori
della loro religione, però nel metterne in pratica lo spirito
e le prescrizioni sanno, come i Cristiani, togliersi di imbarazzo
facendo col cielo opportuni accomodamenti. Penultimo re di Birmania
fu il saggio ed accorto Meudoume-Men: oltre a governare bene i suoi
sudditi, egli era molto appassionato per le discussioni religiose e
filosofiche, nè mancava mai di far venire alla sua presenza
tutti gli Inglesi e gli altri Europei di distinzione, che passavano
per Mandalay capitale dei suoi Stati. Discorrendo con costoro si
sforzava sempre di sostenere la superiorità della morale
buddista su quella delle altre religioni, e non mancava mai di
richiamare l'attenzione dei suoi interlocutori sul fatto che la
condotta dei Cristiani non rispondeva ordinariamente ai precetti
della loro religione; e certamente non dovea stentare molto a
dimostrare che la maniera come gl'Inglesi avevano tolto al suo
predecessore una parte dei suoi Stati non era in nulla conforme al
Vangelo. Egli dal canto suo, essendo stato educato in un monastero
di bonzi, era rigido osservatore delle prescrizioni buddistiche;
alla sua corte non era affatto permesso di macellare alcun animale,
e gli Europei che lungamente vi soggiornavano, ai quali la dieta
esclusivamente vegetale riusciva ostica, erano costretti a cercarvi
di nascosto un supplemento nei boschi, dove andavano in traccia
d'uova d'uccelli. Non avrebbe poi dato giammai, e per nessuna
ragione al mondo, l'ordine di una esecuzione capitale. Infatti,
quando la presenza di qualcuno lo incomodava troppo, l'arguto
monarca si limitava a domandare replicatamente al suo primo
ministro: il tale è ancora in questo mondo? E, quando il
primo ministro rispondeva finalmente di no, Meudoume-Men sorrideva
placidamente. Egli non aveva offeso i precetti della sua religione,
ma non per questo aveva ottenuto meno il suo scopo, cioè, che
un'anima umana avesse anticipato il cominciamento di quella serie di
trasmigrazioni, che la devono condurre alla fusione nell'anima
universale preconizzata dalle credenze buddistiche202.
Una dottrina essenzialmente virile che ben poco, anzi quasi nulla,
concedeva alle passioni, alle debolezze ed anche ai sentimenti umani
fu quella stoica203. Ma appunto per questo lo stoicismo
limitò la sua influenza ad una frazione della classe colta, e
le masse restarono completamente estranee alla sua propaganda. La
scuola stoica potè quindi in una data epoca contribuire alla
formazione del carattere di una parte della classe dirigente
dell'impero romano e ad essa senza dubbio si deve una serie di buoni
imperatori; ma dal momento che i suoi adepti non sedettero
più sui gradini di un trono restò completamente
inefficace. Impotente a trasformarsi, perchè la parte
intellettuale e strettamente filosofica aveva in essa quasi
totalmente assorbito quella dommatica ed affettiva, non potè
contendere l'impero del mondo romano al Cristianesimo, come non
sarebbe riuscita a contenderlo al Mosaismo, all'Islam ed al
Buddismo.
Certo non si può affermare che sia indifferente per un popolo
l'abbracciare una qualsiasi religione o dottrina politica. Anzi
difficilmente si potrà sostenere che gli effetti pratici del
Cristianesimo siano uguali a quelli del Maomettismo o della
democrazia sociale. È quindi indiscutibile che una credenza
alla lunga può determinare una certa piega nei sentimenti
umani le cui conseguenze possono essere grandissime. Ma ciò
che ci pare ugualmente indiscutibile è che nessuna credenza
riuscirà a render l'uomo sostanzialmente diverso da quello
che è; e, per parlare un linguaggio compreso da chiunque,
oltre che dagli adepti delle scienze sociali, nessuna lo
renderà del tutto buono o del tutto cattivo, completamente
altruista od assolutamente egoista. Un adattamento a quella
mediocrità morale ed affettiva, che risponde alla media
dell'umanità, è in tutte indispensabile. Coloro che
questa verità non vogliono riconoscere ci pare che agevolino
il compito a quegli altri che, dalla inefficacia relativa dei
sentimenti religiosi e delle dottrine politiche, traggono argomento
per proclamarne l'inefficacia assoluta204.
VIII. — Resta a parlare dell'organizzazione del nucleo dirigente e
dei mezzi che esso usa per convertire le masse, o mantenerle fedeli
ad una data credenza o dottrina. Come il lettore rammenterà,
è questo il terzo dei fattori dai quali dipende la riuscita e
la durata di qualunque sistema religioso o politico.
Come abbiamo già visto, la prima formazione del nucleo
dirigente di una nuova dottrina politica o religiosa avviene per
coaptazione spontanea; in seguito la sua organizzazione è
basata principalmente su quel fenomeno dello spirito umano, al quale
abbiamo pure accennato, che chiameremo mimetismo e consiste nella
tendenza che hanno le passioni, i sentimenti e le credenze di un
individuo a svilupparsi secondo la corrente, che prevale
nell'ambiente in cui egli moralmente si forma e viene educato.
È un fatto perfettamente naturale che, in un popolo
arrivato ad un certo grado di cultura, un certo numero di giovani
abbia la facoltà di entusiasmarsi per ciò che crede
vero e morale, per quelle idee, in apparenza almeno, generose ed
elevate, che riguardano il destino della nazione e
dell'umanità. Questi sentimenti e lo spirito di abnegazione e
di sacrificio, che ne è la conseguenza, possono restare allo
stato puramente potenziale ed atrofizzarsi od avere uno splendido
sviluppo a seconda che siano o no coltivati; e possono dare frutti
diversissimi secondo la maniera diversa come sono coltivati.
Nel figlio di un mercante a minuto, che non ha altro contatto che
cogli avventori ed i commessi della bottega paterna, è
probabile che non abbiano mai occasione di affermarsi o
manifestarsi; a meno che non si tratti di uno di quegli individui
superiori e rarissimi, che riescono a formarsi da sè; mentre
un giovane allevato fin dai primi anni religiosamente ed educato in
seguito in un seminario cattolico potrà diventare un
missionario, che tutta la sua vita consacrerà al trionfo
della fede. Un altro, nato in una famiglia blasonata, educato in un
collegio militare, e che poi entrerà come sottotenente in un
reggimento, dove troverà compagni e superiori imbevuti delle
stesse convinzioni, crederà suo dovere primo ed esclusivo
d'obbedire per tutta la vita agli ordini del Sovrano ed
all'occorrenza farsi ammazzare per lui. Un altro infine, venuto su
fra antichi congiuratori e rivoluzionari, che da bambino avrà
provato entusiasmi e fremiti al racconto di persecuzioni politiche e
di episodi delle barricate, la cui cultura intellettuale si
sarà formata sugli scritti di Rousseau, di Mazzini o di Marx,
crederà santo il lottare sempre contro l'oppressione dei
Governi costituiti e per la rivoluzione affronterà il carcere
ed il patibolo. Tutto ciò accade perchè, una volta
formato l'ambiente cattolico-ecclesiastico, il burocratico-militare,
il rivoluzionario, un individuo, un giovane specialmente, che non
sia assolutamente d'intelletto superiore o di animo del tutto
volgare, presto entro quell'ambiente darà alle sue
facoltà affettive quella direzione che da esso gli viene
indicata; sicchè, a seconda dei casi, si svilupperanno
nell'alunno certi sentimenti anzichè altri, lo spirito di
ribellione e di lotta, ad esempio, a preferenza di quello di
obbedienza passiva e di sacrificio. L'educazione (i Francesi
direbbero il dressage) riesce, l'abbiamo già accennato, sui
giovani a preferenza che sugli adulti, sui caratteri entusiasti e
passionati, anzichè su quelli freddi, ponderati e
calcolatori, sui docili anzichè sui ribelli; tranne nel caso
che la dottrina si trovi in un periodo, o sia per la sua essenza
tale, che riesca utile di coltivare e sviluppare l'istinto della
ribellione.
Una condizione sopra tutte è opportuna e quasi indispensabile
perchè si raggiunga lo scopo, che abbiamo accennato,
dell'assimilazione cioè degli individui all'ambiente: che
quest'ambiente sia chiuso a tutte le influenze esteriori, che nessun
sentimento e sopratutto nessuna idea al di fuori di quelle che
portano la marca della fabbrica vi penetri. Nel seminario non deve
entrare nessun libro posto all'indice, la filosofia si deve
riassumere in S. Tommaso d'Aquino, la cultura deve esservi
essenzialmente teologica e patristica, i racconti che desteranno
l'interesse e serviranno di pascolo alla curiosità dei
giovani saranno tolti dalla storia dei martiri e confessori. Nel
collegio militare si narreranno le gesta dei grandi capitani, le
glorie del proprio esercito e della propria dinastia, l'educazione e
l'istruzione saranno quelle strettamente necessarie per far
conoscere il mestiere delle armi ed apprezzare altamente l'onore di
essere ufficiale, gentiluomo e servire fedelmente il Re e la patria.
Nella conventicola rivoluzionaria non si parlerà che delle
vittorie e delle glorie del popolo impeccabile, delle nefandezze dei
tiranni e dei loro satelliti, della cupidità e viltà
dei borghesi e sarà proscritto qualunque libro che non sia
redatto secondo lo spirito e le vedute dei maestri. Ogni barlume di
equanimità, ogni raggio che porti la luce di altri mondi
morali ed intellettuali, il quale penetri in uno di questi ambienti
chiusi, vi produce dubbi, titubanze, diserzioni. La storia vera,
sincera, obiettiva dei fatti, quella che insegna a conoscere ed a
valutare gli uomini indipendentemente dalla loro casta, religione o
partito politico, che solo tien conto delle loro debolezze e delle
loro virtù, che educa e forma il senso dell'osservazione e
del reale, deve esservi assolutamente interdetta.
In fondo non si tratta dunque che di un vero squilibrio dello
spirito, che ogni ambiente procaccia alla recluta che entro il suo
seno viene attirata, alla quale si offre della vita un'immagine
parziale, accuratamente riveduta, circoscritta e corretta, che il
neofita prende per quella intiera e reale. Si esagerano certi
sentimenti, si comprimono certi altri, si dà del giusto,
dell'onesto, del dovere una idea, se non fondamentalmente errata,
certo del tutto incompleta205. Però bisogna anche riconoscere
che le persone perfettamente equilibrate, che conoscono ed
apprezzano tutti i doveri e ad ognuno di essi annettono la giusta
importanza, è difficile assai che consacrino tutta la loro
vita e la loro energia ad uno scopo particolare e determinato. E la
forza di una esagerazione e, se così si vuole, di una
illusione collettiva quella che produce i grandi fatti storici e fa
muovere il mondo. Se un Cristiano ammettesse che anche senza
battesimo si può essere ugualmente onesto e che fosse
possibile salvarsi l'anima rinnegando la propria fede, si sarebbe
spento l'ardore dei missionari e dei martiri ed il Cristianesimo non
sarebbe divenuto uno dei grandi fattori della storia umana. Se molti
tra i fautori di una rivoluzione fossero ben persuasi che l'indomani
della vittoria lo stato della società non potrebbe essere
gran fatto migliorato, e se dubitassero che vi è anche il
rischio di peggiorarlo, sarebbe difficilissimo trascinarli sulle
barricate. Le nazioni infatti in cui lo spirito critico abbonda e
che sono (in fondo giustamente) scettiche sugli effetti pratici che
possono avere dottrine nuove, non si fanno mai iniziatrici di grandi
movimenti sociali e finiscono coll'essere trascinate a rimorchio
dalle altre più facilmente entusiasmabili; ed, a guardar
bene, lo stesso accade fra gl'individui di uno stesso popolo, entro
il quale i più riflessivi finiscono spessissimo coll'esser
trascinati dai più impulsivi. Dappoichè non sempre
accade che i pazzi siano trattenuti dai savi, spesso anzi i primi
costringono gli altri a tener loro compagnia.
IX. — Ma una volta passato il periodo eroico di ogni istituzione,
quello della prima propaganda, allora la riflessione e gl'interessi
presto reclamano i loro diritti. L'entusiasmo, lo spirito di
sacrificio, la unilateralità di vedute, bastano a fondare
religioni e partiti politici, ma non sono sufficienti a diffonderli
molto ed a durevolmente conservarli. Allora il reclutamento del
nucleo dirigente si modifica o meglio si completa; poichè
accade sempre che fra gl'individui che lo compongono si entri per
considerazioni puramente idealiste, ma l'età nella quale
l'idealismo è tutto passa presto nella gran maggioranza degli
individui umani, e bisogna trovare anche qualche cosa che soddisfi
l'ambizione, la vanità, la sete di godimenti materiali. In
una parola, insieme ad un centro d'idee e di sentimenti, bisogna
creare un centro d'interessi.
E qui riappare e ritroviamo di nuovo la teoria della lega del
metallo puro col metallo vile, che abbiamo precedentemente
enunciata. In un nucleo dirigente veramente bene organizzato tutti i
caratteri devono trovare il loro posto: chi vuol sacrificarsi agli
altri e chi vuole sfruttare il prossimo a favor suo, chi vuol
sembrare potente e chi vuole esserlo effettivamente senza curarsi
delle apparenze, chi ama soffrire le privazioni e chi vuol godere i
piaceri della vita. Tutti questi elementi fusi e disciplinati sotto
un regime forte ed autoritario, entro il quale ogni individuo sa
che, finchè resterà fedele allo scopo ed all'indirizzo
dell'istituzione, le sue tendenze saranno appagate, e, se ad essa si
ribella, potrà essere moralmente ed anche materialmente
distrutto, formano quegli organismi sociali, che sfidano le
più svariate vicende storiche e durano per decine di secoli.
E la mente ricorre spontanea alla Chiesa cattolica, che di tutti
questi organismi è stato ed è il più saldo ed
il più tipico, e non si può non restare ammirati di
fronte alla complessità ed alla sapienza del suo ordinamento.
Il seminarista, il novizio, la sorella di carità, il
missionario, il predicatore, il frate mendicante, l'opulento abate
ed il convento aristocratico, il curato di campagna, il ricco
arcivescovo, qualche volta anche principe sovrano, il cardinale che
prende il passo sui primi ministri, il Papa, fino a qualche secolo
fa uno dei più potenti sovrani temporali, tutti in essa hanno
il loro posto e la loro ragione d'essere. Il Macaulay ha fatto
rilevare un grande vantaggio, che ha il Cattolicesimo sul
Protestantesimo e che sarebbe il seguente: quando in seno al secondo
nasce uno spirito entusiasta e squilibrato finisce sempre col
trovare una nuova spiegazione della Bibbia e col fondare quindi
un'altra delle tante sette in cui si divide la Riforma; mentre lo
stesso individuo dal Cattolicesimo sarebbe stato perfettamente
utilizzato e sarebbe divenuto un elemento di forza anzichè di
disgregazione. Avrebbe infatti vestito un saio di frate, sarebbe
divenuto un famoso predicatore e, nel caso che fosse stato un
carattere veramente originale, un cuore davvero caldo, e che i tempi
avessero aiutato, se ne sarebbe potuto fare anche un San Francesco
d'Assisi od un Sant'Ignazio di Loyola. Ora questo esempio, pur
così calzante, ci svela solo uno dei tanti modi con cui la
gerarchia cattolica sa mettere a profitto tutte le attitudini umane.
Si dice che il celibato degli ecclesiastici sia contro natura, e
veramente per un certo numero di uomini è sacrificio
grandissimo il restar privi di una famiglia legale; ma d'altra parte
bisogna riflettere che a questo prezzo soltanto si può avere
una milizia scevra di affetti privati ed isolata dal resto della
società; e per i caratteri che ad esso sono proclivi, il
celibato stesso non esclude certe soddisfazioni materiali. Credono
anche molti che la Chiesa sia tralignata e che abbia perduto forza
ed influenza perchè si è allontanata dalle sue origini
e non è stata più unicamente l'ancella dei poveri. Ma
anche questo è un modo di vedere superficiale e quindi
erroneo.
Forse alla fine del secolo decimonono o al principiare del
ventesimo, quando tutti parlano e s'interessano, o mostrano
d'interessarsi, delle classi diseredate, può convenire anche
al Sommo Pontefice di rammentarsi un poco di più che Egli
è il servo dei servi di Dio. Ma, tolte certe epoche
transitorie, la Chiesa cattolica non sarebbe divenuta quella che
è stata, nè sarebbe durata tanto tempo in auge, se si
fosse conservata sempre una istituzione a puro beneficio dei miseri
e popolare soltanto fra gli straccioni. Essa al contrario
accortamente ha trovato il modo di farsi apprezzare tanto dal povero
che dal ricco: al primo ha offerto elemosine e consolazioni, il
secondo ha conquistato colla magnificenza e colle soddisfazioni, che
ha saputo procacciare alla sua vanità ed al suo amor proprio.
E tanto quest'indirizzo è stato bene scelto, che tutti i
nemici della Chiesa, mentre da una parte le hanno rimproverato il
suo lusso e la sua mondanità, d'altra parte, se sono stati
accorti, hanno avuto sempre cura di toglierle, per quanto è
stato possibile, influenza e ricchezze; ed un'altra istituzione, che
ora in parecchi paesi a combatter la Chiesa cattolica si è
tutta consacrata, dal canto suo non manca di procacciare, per quanto
può, soddisfazioni personali e vantaggi materiali ai suoi
aderenti.
X. — Organizzato il nucleo dirigente, i sistemi da esso adoperati
per conquistare le masse e mantenerle fedeli alla dottrina possono
essere vari. Quando non s'incontrano forti ostacoli esteriori o
nella natura stessa di un sistema politico o religioso, possono dare
buoni risultati tanto i metodi di propaganda fondati sulla
persuasione e l'educazione graduale delle turbe, quanto gli altri
che ricorrono alla violenza. La violenza è anzi forse il modo
più spiccio di far prevalere convinzioni ed idee, ma
naturalmente per usarla è ovvio che bisogna essere i
più forti.
Nel secolo decimonono si è molto diffusa la persuasione che
la forza e la persecuzione non valgano a combattere le dottrine
fondate sulla verità, alle quali è riserbato
l'avvenire, e che sono del pari inutili contro quelle sbagliate,
delle quali la ragione popolare fa giustizia da sè. Or, ci si
conceda di esser sinceri, è difficile trovare un concetto
più erroneo, perchè fondato sopra una maggiore
superficialità di osservazioni e sopra una maggiore
inesperienza dei fatti storici, di questo che abbiamo ora esposto:
esso ci pare uno di quelli che faranno più ridere i posteri
alle nostre spalle. Che un simile modo di vedere sia predicato da
tutti i partiti e da tutte le sette, che non hanno ancora nelle mani
il potere, lo si comprende benissimo; perchè l'istinto del
proprio interesse le deve indurre a professare questa opinione; ma
la stoltezza incomincia quando essa è accettata dagli altri.
Quid est veritas? diceva Pilato, e noi cominciamo col domandare che
cosa sia una dottrina vera e una dottrina falsa? Scientificamente
parlando, tutte le dottrine religiose, anche quelle più
diffuse, sono false, e certo non si sosterrà che il
Maomettismo, ad esempio, che ha conquistato tanta parte del mondo,
sia fondato sulla verità scientifica. È quindi molto
più esatto il dire che vi sono dottrine le quali soddisfano i
sentimenti più sparsi e radicati nei cuori umani e che quindi
hanno una gran forza di diffusione, e dottrine le quali posseggono
in minor grado la qualità accennata, e che quindi,
benchè dal lato intellettuale possano essere più
accettabili, si diffonderanno meno. E, se si vuole, si possono anche
distinguere le dottrine la cui diffusione è giovevole agli
interessi della civiltà e della giustizia e produce una
maggior somma di pace, di moralità, di benessere, dalle
dottrine colle quali si può ottenere un effetto contrario; le
quali pur troppo non sono quelle che sempre presentano meno i
caratteri della diffusibilità. Noi, ad esempio, crediamo che
la democrazia sociale minacci l'avvenire della civiltà
moderna, eppure bisogna riconoscere che essa si fonda sul sentimento
della giustizia, sulla invidia e sulla sete dei godimenti;
qualità così diffuse negli uomini, specialmente in
quelli presenti, che sarebbe errore grandissimo negare alle dottrine
socialiste una gran forza di propaganda.
Si rammenta sempre l'esempio del Cristianesimo che trionfò
malgrado le persecuzioni, e del liberalismo moderno che vinse i
tiranni che lo comprimevano. Ciò dimostra soltanto che una
persecuzione condotta male non può bastare a tutto, e che vi
sono forse dei casi in cui la forza stessa non basta ad arrestare
una corrente d'idee; ma l'eccezione non può servire di
fondamento ad un principio generale. La verità è che
quasi sempre se le persecuzioni mal fatte, tardivamente intraprese,
condotte con mollezza ed oscitanza, possono anche giovare al trionfo
di una dottrina, la persecuzione spietata, energica, che colpisce la
dottrina avversaria appena essa si manifesta, è il modo
più adatto per combatterla.
Il Cristianesimo non sempre nell'impero romano fu perseguitato
energicamente, ebbe lunghi periodi di tolleranza, e le persecuzioni
stesse furono di frequente parziali, limitate cioè in qualche
provincia; infine non trionfò definitivamente se non quando
un imperatore, che aveva in mano la forza costituita,
cominciò a favorirlo. Similmente la propaganda liberale non
solo non fu ostacolata, ma fu quasi aiutata dai governi dalla
metà del secolo decimottavo fino alla Rivoluzione francese.
Combattuta in seguito con intermittenza e non mai contemporaneamente
in tutto il mondo europeo, trionfò quando i Governi stessi si
convertirono o furono colla forza, interna od esterna, abbattuti.
Di fronte a questi due esempi dubbi quanti altri ve ne sono
decisamente contrari. Lo stesso Cristianesimo nei suoi inizi
difficilmente si diffuse fuori dei confini dell'impero romano; in
Persia, ad es., non fu accolto, non solo perchè trovò
ostacolo nella religione nazionale, ma anche perchè vi fu
energicamente perseguitato. Colla spada e col fuoco Carlo Magno,
durante lo spazio di una generazione, lo impiantò fra i
Sassoni. L'evangelizzazione dell'impero romano avea richiesto
secoli; pochi anni bastarono a quella di molti paesi barbari,
perchè una volta convertiti i Re ed i grandi, il popolo in
massa chinava la cervice al battesimo. In questo modo molto spiccio
la croce fu impiantata nei diversi regni anglo-sassoni, in Polonia,
in Russia, nei paesi scandinavi ed in Lituania. Nel secolo
decimosettimo la religione cristiana fu quasi spenta nel Giappone
mediante una persecuzione spietata e quindi efficace. Colla
persecuzione il Buddismo fu sradicato dall'India sua patria, il
Mazdeismo dalla Persia dei Sassanidi ed il Babismo dalla Persia
moderna, la nuova religione del Taeping dalla China. Mercè la
persecuzione sparirono gli Albigesi dalla Francia meridionale ed il
Maomettismo ed il Mosaismo furono sbarbicati dalla Spagna e dalla
Sicilia. La Riforma religiosa in fondo non trionfò che in
quei paesi in cui fu appoggiata dai Governi ed in qualche caso da
una rivoluzione vittoriosa. La stessa rapida diffusione del
Cristianesimo, che si attribuisce a miracolo, è nulla di
fronte a quella ben più rapida del Maomettismo. Il primo in
tre secoli si estese per tutto il territorio dell'impero romano; il
secondo in soli ottanta anni allargò i suoi confini da
Samarcanda ai Pirenei. Ma il primo agiva unicamente colla
predicazione e la persuasione, il secondo impiegava a preferenza la
scimitarra.
Del resto il fatto che tutti i partiti politici e tutte le credenze
religiose tendono ad esercitare un'influenza su chi comanda, e,
quando possono, a monopolizzare il comando, è la miglior
prova che essi, anche se non lo confessano apertamente, hanno
l'intima convinzione che il disporre di tutte le forze più
efficaci di un organismo sociale, e specialmente di uno Stato
burocratico, sia il modo migliore per diffondere e sostenere le loro
dottrine.
XI. — Indipendentemente dall'uso della forza materiale, sugli altri
modi che usano le varie religioni ed i partiti politici per attirare
le turbe, per conservare sopra di esse il predominio e sfruttarne la
credulità, ci sono da fare osservazioni analoghe a quelle che
abbiamo già fatte, relativamente alla necessità che
hanno i fondatori di dottrine e le dottrine stesse di adattarsi ad
una certa mediocrità morale. I seguaci di ogni sistema
politico o religioso usano su questo riguardo rilevare accuratamente
le pecche degli avversari, avendo la pretensione di esserne mondi,
ma in fatti tutti sono, con molte gradazioni è vero,
più o meno intinti della stessa pece. In verità, come
abbiamo già accennato, si può essere perfettamente
morali finchè non si viene in contatto cogli altri uomini e
sopratutto finchè non si ha la pretensione di guidarli, ma
quando si vuole dirigere la loro condotta, allora è
necessario far giuocare tutte le loro molle sensibili, sfruttare
tutte le loro debolezze, e chi volesse soltanto fare appello ai loro
sentimenti generosi sarebbe assai facilmente vinto da altri meno
scrupoloso. Gli Stati non si governano coi paternostri, diceva
Cosimo dei Medici (il padre della patria): ed invero è
difficile assai il condurre le moltitudini secondo certe vedute,
quando non si sa all'occorrenza lusingare le passioni, soddisfare
fantasie ed appetiti ed incutere paura206.
A guardarci bene si vede che le arti usate per adescare le turbe, in
tutti i tempi ed in tutti i luoghi, hanno avuto ed hanno una grande
analogia, perchè è occorso sempre di mettere a
profitto le stesse debolezze umane. Tutte le religioni, anche quelle
che rinnegano il soprannaturale, hanno il loro speciale stile
declamatorio, con cui si fanno le prediche, i discorsi od i sermoni;
tutte hanno per colpire la fantasia il loro rituale a le loro pompe
esteriori; le processioni alcune le fanno coi ceri e salmodiando
litanie, altre dietro le bandiere rosse al suono della marsigliese o
cantando l'inno dei lavoratori.
Religioni e partiti politici mettono ugualmente a profitto i
vanitosi e creano per loro gradi, uffici e distinzioni, ed
ugualmente sfruttano i semplici e gli ingenui e gli avidi di
sacrificio o di notorietà per creare il martire, e, una volta
ottenuto il martire, hanno cura di mantenerne vivo il culto, che
serve tanto a rafforzare la fede. Altra volta nei conventi si soleva
scegliere il più baccellone dei frati e lo si accreditava
come santo, attribuendogli anche miracoli, e ciò allo scopo
di aumentare la celebrità e quindi la ricchezza e l'influenza
del sodalizio, le quali erano sapute ben adoperare da coloro che
aveano diretto la commedia. Ai giorni nostri sette e partiti
politici sono abilissimi nel creare l'uomo superiore, l'eroe
leggendario, il carattere che non si discute, il quale serve anche
esso a mantenere il lustro della congrega e procaccia ricchezze e
potere ai furbi che ne fanno parte. Quando il conte zio rammentava
al padre provinciale dei cappuccini le marachelle che il padre
Cristoforo avea commesse in gioventù: è la gloria
dell'abito, rispondeva di botto il padre provinciale, che uno, che
al secolo ha potuto far dire di sè, con quest'abito indosso
diventa tutt'altro207. Questa è senza dubbio risposta
prettamente fratesca, ma agiscono peggio dei frati partiti e sette
politiche, che, purchè i loro adepti siano fedeli alla
bandiera, ne coprono e ne scusano le peggiori ribalderie. Per essi
chiunque porta l'abito indosso diventa di botto tutt'altro.
Quel complesso di dissimulazioni, artifici e furberie, che va
comunemente inteso col nome di gesuitismo, non è proprio
soltanto dei seguaci di Loyola; forse questi ebbero l'onore di
dargli il nome perchè lo coordinarono, lo perfezionarono e
quasi lo costituirono a sistema; ma in fondo lo spirito gesuitico
non è che una esagerazione dello spirito settario portato
alle ultime conseguenze. Tutte le religioni e tutti i partiti, che,
con più o meno sincerità iniziale d'entusiasmo, si
sono prefissi di condurre gli uomini secondo un dato scopo, hanno,
con maggiore o minor temperanza, usato modi analoghi a quelli dei
Gesuiti e qualche volta forse anche peggiori. Il principio che il
fine giustifica i mezzi si è adottato per il trionfo di tutte
le cause e di tutti i sistemi sociali e politici; per tutti i
partiti, come in tutti i culti, vige l'usanza di giudicare uomini
grandi solo quelli che militano nelle loro file, gli altri tutti
essendo bricconi o cretini; e, quando peggio non si può fare,
si mantiene un ostinato silenzio sui meriti degli individui, che
stanno fuori della chiesa o della chiesuola. Tutti i settari
praticano l'arte di mantenere formalmente e letteralmente la parola
data violandola nella sostanza; tutti conoscono il modo di torcere
la narrazione dei fatti a loro profitto; tutti sanno trovare i
caratteri semplici e timorati e conoscono le vie di cattivarsene la
fiducia ed averne aiuti e sussidi per l'idea e per le persone che la
rappresentano e ne sono gli apostoli. Pur troppo perciò anche
se i Gesuiti sparissero il gesuitismo resterebbe; e basta guardarsi
un poco attorno per essere convinti di questa verità208.
XI. — È difficile assai che venga un giorno in cui le lotte e
le gare fra religioni e partiti diversi debbano finire; ciò
sarebbe possibile quando tutto il mondo civile appartenesse ad unico
tipo sociale, ad unica religione, e non vi fossero più
dispareri sul modo di raggiungere un miglioramento sociale. Or,
senza accogliere le teorie di qualche autore tedesco che ammette la
necessità dei partiti politici, perchè rispondono alle
varie tendenze, che si manifestano nelle diverse età
dell'uomo, noi possiamo facilmente constatare che qualunque nuova
religione, qualunque nuovo indirizzo politico, che arrivano a
raggiungere un certo successo, si suddividono ordinariamente in
altre sette; nelle quali gli istinti della disputa e della lotta
trovano il loro sfogo, e che combattono fra loro collo stesso zelo e
lo stesso accanimento, che prima adoperavano contro le religioni ed
i partiti avversari. I numerosi scismi e le eresie continuamente
ripullulanti del Cristianesimo, del Maomettismo e di tante altre
religioni, le divisioni che già nascono in seno alla
democrazia sociale, ancor lontana dal suo trionfo, che forse non
raggiungerà mai, provano la difficoltà straordinaria
di attuare quell'universalità di un solo mondo morale ed
intellettuale, alla quale abbiamo accennato.
Del resto, ammesso anche che essa si possa facilmente conseguire,
non ci pare desiderabile: finora la libertà di pensare,
osservare e giudicare serenamente e spassionatamente uomini e cose
è stata possibile, sempre, s'intende, per pochi individui,
solo in quelle società il dominio delle quali è stato
conteso da diverse correnti religiose e politiche. Questa stessa
condizione, abbiamo già visto al capitolo quinto, essere
indispensabile quasi per ottenere quella maggior giustizia nei
rapporti fra governanti e governati, che è compatibile
coll'imperfetta natura umana, il che sarebbe ciò che
comunemente viene inteso per libertà politica. Nelle
società infatti nelle quali la scelta fra più correnti
religiose e politiche non è più possibile,
perchè una sola è riuscita ad imporsi esclusivamente,
il pensatore isolato ed originale deve tacere, e, al monopolio
morale ed intellettuale, si unisce infallibilmente quello politico a
prò di una casta o di una sola forza sociale.
Base delle moderne dottrine massoniche è la credenza che
l'uomo tende a divenire fisicamente, intellettualmente e moralmente
sempre più sano ed elevato, e che solo l'ignoranza e la
superstizione, che hanno generato le religioni dommatiche, lo hanno
allontanato e lo allontanano dal seguire questa via, che sarebbe per
lui la più naturale, e lo hanno spinto alle persecuzioni,
alle stragi, alle lotte fratricide209. Un simile modo di vedere non
ci pare accettabile. Quelle che ora molti chiamano superstizioni,
tutte le religioni rivelate, non sono state certo insegnate all'uomo
da un Ente extra-umano, ma furono create dagli uomini stessi e nella
natura umana hanno trovato il loro alimento e la loro ragion
d'essere. Esse non sono che solo in parte, e qualche volta minima,
responsabili delle lotte, delle stragi e delle persecuzioni, dovute
spesso più alle passioni degli uomini che ai dommi che le
religioni insegnano. Anzi crediamo che la scusa dei tempi e dei
fanatismi religiosi e politici non valga a togliere, innanzi la
storia imparziale, che una piccola frazione della
responsabilità individuale per gli eccessi di ogni genere;
perchè in ogni tempo, in ogni religione, in ogni dottrina,
ciascuno può e sa trovare quella tendenza, che alla sua
indole è più confacente. E tanto ciò è
vero che il Maomettismo non impedì a Saladino di essere umano
e generoso anche cogli infedeli, come il Cristianesimo non
mitigò la ferocia di Riccardo cuor di leone210; che la stessa
religione, che diede Simone di Monfort e Torquemada, diede pure S.
Francesco d'Assisi e Santa Teresa, che nello stesso anno 1793, in
cui vissero ed operarono Marat, Robespierre e quel convenzionale
Carrier, che a Nantes faceva annegare a migliaia i bambini dei
Vandeisti, il capo vandeista Bonchamps, ferito, al letto di morte
implorava ed otteneva la vita e la libertà di quattromila
prigionieri repubblicani, che i suoi commilitoni volevano
moschettare. Del resto lotte vivissime si sono avute, e persecuzioni
e stragi, nell'ultimo secolo, si sono perpetrate in nome di altre
dottrine, che non hanno alcun fondamento nel soprannaturale e
proclamano la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza di
tutti gli uomini.
In verità il sentimento, che nasce spontaneo da una rapida e
spregiudicata sintesi della storia dei popoli, è la
compassione per le qualità contradittorie della povera razza
umana: così ricca di abnegazione, così pronta alle
volte al sacrificio individuale e nella quale, nello stesso tempo,
ogni tentativo più o meno indovinato, e qualche volta non
indovinato affatto, per raggiungere un miglioramento morale e quindi
materiale, va unito allo sfrenarsi di odii, di rancori, delle
passioni peggiori. Tragico destino quello degli uomini: i quali, pur
aspirando sempre a conseguire ed attuare il bene, trovarono nello
stesso tempo il modo di scannarsi e perseguitarsi a vicenda, fino a
ieri, per l'interpretazione di un dogma o di un passo della Bibbia;
hanno continuato a scannarsi ed a perseguitarsi oggi per inaugurare
il regno della libertà, dell'uguaglianza e della fratellanza;
e forse si scanneranno, si perseguiteranno, si martirizzeranno
atrocemente domani, quando, in nome della democrazia sociale, si
vorrà fare sparire dal mondo ogni traccia di violenza e
d'ingiustizia.
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni.
I. Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei
Comuni medioevali. — II. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica,
nell'Europa feudale e nei paesi maomettani. — III. Rivoluzioni in
China. — IV. Insurrezioni di carattere nazionale. — V. Insurrezioni
rurali in Europa. — VI. Rivoluzioni tipiche della Francia moderna. —
VII. Condizioni per la riuscita di queste rivoluzioni.
I. — Abbiamo esaminato i modi come si formano e si affermano le
correnti d'idee, di sentimenti e di passioni, che ordinariamente
influiscono a mutare l'indirizzo delle società umane. Resta a
vedere in qual maniera queste correnti riescano talora materialmente
ad imporsi mediante l'uso della forza, cambiando anche gli individui
che stanno al potere e facendo sì che essi rappresentino i
loro principii. Simili mutamenti, nelle società che hanno
raggiunto un certo sviluppo nella loro organizzazione, possono
avvenire o per iniziativa o almeno col consenso di quella frazione
della società, alla quale suole essere affidata la tutela di
tutto il corpo politico e che, nei casi ordinari, ha il monopolio
delle armi, oppure per opera di altri elementi e forze sociali, che
quella frazione riescono a vincere. Allora ha luogo quel fenomeno,
abbastanza frequente nella storia contemporanea, che comunemente
chiamasi rivoluzione e che sarà ora nostro compito di
brevemente analizzare.
I rivolgimenti dei piccoli Stati, nei quali l'organizzazione
burocratica non esiste o è assolutamente embrionale, non
hanno che un'analogia del tutto apparente con quelli dei grandi e
sopratutto colle rivoluzioni moderne. Nell'antichità
classica, ad esempio, quando un tiranno diveniva padrone di una
città, oppure un'oligarchia si sostituiva alla democrazia, e
spesso anche quando il tiranno o l'oligarchia venivano rovesciati,
in fondo si trattava sempre di una cricca, più o meno
numerosa, che, nella direzione della cosa pubblica, ne sostituiva
un'altra. Quando lo Stato greco funzionava regolarmente, tutta la
classe governante, cioè tutti coloro che non erano nè
schiavi, nè stranieri domiciliati, nè operai manovali
partecipavano alle funzioni politiche. Quando si stabiliva il regime
tirannico, ovvero oligarchico, o anche quella degenerazione della
democrazia che dicevasi oclocrazia, allora una frazione di questa
classe usurpava per sè tutto il potere a detrimento
dell'altra, che veniva in parte uccisa, in parte spogliata dei beni
ed esiliata. Alla loro volta i vincitori dovevano temere le
rappresaglie dei vinti, i quali se riuscivano a superarli li
trattavano alla stessa maniera.
La lotta era quindi condotta a base di forza e di furberia, cogli
assassinii e le sorprese, e le parti in lizza spesso ricorrevano
all'appoggio degli stranieri o di qualche pugno di mercenari e, una
volta vittoriose, usavano occupare la rocca e togliere le armi a
tutti coloro che non erano fra i loro accoliti, e queste, essendo
allora abbastanza costose, non si potevano facilmente rimpiazzare.
Raro avveniva, come nel caso delle imprese condotte da Pelopida ed
Epaminonda a Tebe e da Timoleone a Siracusa, che si profittasse
della vittoria per stabilire un regime meno sanguinario e violento,
ed in questo caso la benefica innovazione durava solo quanto
l'influenza personale o la vita di colui, che ne era stato autore.
Qualche altra volta invece la fazione usurpatrice riusciva a
mantenersi al potere per più di una generazione, come avvenne
per i Pisistraditi e per i due Dionigi. Agatocle, uno dei peggiori
tiranni del mondo greco, morì vecchio ed era arrivato al
potere da giovane, e pare che solo il veleno sia riuscito ad
abbreviare la sua vita ed il suo governo.
Nei Comuni italiani, la cui organizzazione politica somigliava a
quella della classica Grecia, rivissero le abitudini dell'antico
Stato ellenico: una fazione con a capo un signore sbandiva gli
avversari o li assassinava, e in tutti e due i casi s'impadroniva
dei loro beni; spesso bisognava sopraffare per non essere
sopraffatti. Ordinariamente le due famiglie più ricche e
potenti del Comune se ne contendevano armata mano la supremazia;
anche esse, come gli antichi capi-parte greci, appoggiandosi, quando
potevano, agli aiuti stranieri ed ai mercenari. Così Torriani
e Visconti si disputarono il possesso di Milano e la scena, con
poche varianti, si ripetè nei Comuni minori. Paci, tregue,
intenerimenti religiosi, provocati da frati e da cittadini dabbene,
come quello che racconta il buon Dino Compagni211, non ottenevano
che un effetto momentaneo e, peggio ancora, spesso non erano che
arti colle quali i più ribaldi sopraffacevano i meno malvagi
assalendoli quando erano impreparati e indifesi.
Col Rinascimento i costumi si fecero meno armigeri, la lotta in
campo aperto più rara, ma la perfidia ed il tradimento
diventarono ancor più sottili e con il lungo uso furono quasi
innalzati all'altezza di scienza. In qualche città prevalsero
i così detti modi civili: in Firenze i potenti, ad esempio,
si strinsero fra loro con parentadi, mantennero un certo equilibrio
e conservarono la preponderanza riempiendo le borse (ora sarebbero
le liste elettorali) con i loro clienti. Questa fu la politica che
seguì l'oligarchia mercantile con a capo gli Albizzi
finchè fu vivo Niccolò d'Uzzano e quella che
seguì Cosimo dei Medici coi suoi consorti, sebbene,
all'occorrenza, sapesse usare altri mezzi212. Altrove, nelle Romagne
e nell'Umbria, le lotte si prolungarono fin dopo il 1500, come tra
veri masnadieri. A Perugia gli Oddi, cacciati dai Baglioni, li
sorpresero di notte; ma i Baglioni combatterono perfino in camicia e
non si fecero sopraffare; vittoriosi poi si sterminarono fra di
loro. Oliverotto da Fermo ottenne la signoria della sua città
trucidando, a capo della sua compagnia di ventura, suo zio ed i
maggiorenti del luogo, che l'avevano invitato ad amichevole
banchetto.
Tanto nelle lotte civili delle città greche, quanto in quelle
dei Comuni italiani, la temperanza e l'umanità poco potevano
giovare, la prevalenza dovea ordinariamente restare ai più
pronti ed ai più furbi, a coloro che meglio sapevano fingere
e meno pativano di scrupoli. Anche il caso fortuito avea una gran
parte nella buona riuscita di un'impresa e si raccontano in
proposito molti episodi romanzeschi. Un cane che latrava,
un'ubbriacatura presa qualche ora prima o dopo, una lettera letta a
tempo o rimandata chiusa per l'indomani, decidevano del successo di
un colpo di mano; come avvenne quando Epaminonda e Pelopida
s'impadronirono di Tebe ed Arato di Sicione. È da notare poi
che, tanto le lotte civili che tormentarono gli Stati greci, quanto
quelle che dilaniarono i Comuni italiani non contribuirono
sensibilmente a maturare alcun vero cambiamento sociale. Mutavano i
governanti, ma la società, chiunque trionfasse, rimaneva
quasi sempre organizzata alla stessa maniera. I grandi fattori
storici, la scienza e l'arte ellenica, l'emancipazione dei servi
della gleba, il rinascimento artistico e letterario, si svolsero
indipendentemente dalle gare sanguinose, che turbarono la Grecia e
l'Italia. Tutto al più le guerre civili non poterono influire
che a ritardarne lo sviluppo, simili in ciò alle guerre
esteriori, alle fami, alle pestilenze, che impoverendo od abbattendo
un paese ne ostacolano sempre i progressi economici ed
intellettuali.
Qualunque scienza politica, basata poi esclusivamente
sull'osservazione dei periodi storici ai quali abbiamo accennato,
non potea riuscire che incompleta e superficiale. E tale è
appunto quella che si rivela nella famosa opera di Machiavelli
intitolata il Principe, troppo vituperata, troppo lodata, ed alla
quale in ogni caso si è attribuita soverchia importanza. Al
giorno d'oggi un osservatore, che tenesse mente al modo come nelle
Borse, nelle Società anonime, e nelle Banche si fanno e si
disfanno le fortune private, potrebbe facilmente scrivere un libro
sull'arte di arricchirsi, nel quale dovrebbe probabilmente dare
consigli tali sui modi di parere onesto e di non esserlo e di rubare
scansando la Corte d'assise, da far diventare facezie innocenti i
precetti che si trovano nel libro del segretario fiorentino. Ma,
l'abbiamo già accennato213, un simile lavoro non farebbe
parte della scienza economica, come l'arte di arrivare al potere e
restarci, in date condizioni sociali, non è la scienza
politica. E che non si tratti di scienza, cioè di grandi
leggi psicologiche che si ritrovano in tutte le grandi
società umane, è provato dal fatto che i suggerimenti
del Machiavelli potevano giovare forse a Ludovico il Moro od a
Cesare Borgia, come probabilmente avrebbero servito a Dionigi, ad
Agatocle ed a Giasone di Fere, ai dey di Algeri, ad Alì
Tebelen ed anche a Mehemet Alì, quando questi esclamava che
l'Egitto era all'asta e sarebbe rimasto a colui che avrebbe speso
l'ultima somma e dato l'ultimo colpo di sciabola; ma agli uomini
politici dell'Europa moderna od a quelli della Repubblica romana
avrebbero apportato un sussidio molto scarso. Sebbene, a scanso di
equivoci, convenga confessare che la rettitudine, l'abnegazione e la
buona fede forse in nessun luogo ed in nessun tempo siano state e
siano le qualità più adatte per conseguire il potere e
conservarlo214.
Dopo quanto abbiamo già esposto non occorre neppure di far
rilevare che negli Stati moderni, di organizzazione molto
complicata, assai più vasti degli antichi e poggiati sulla
burocrazia e gli eserciti stanziali, è impossibile compire le
rivoluzioni mediante uno o più colpi di pugnale od
organizzando bene una sorpresa od un'imboscata: perciò i
rivoluzionari moderni inspirandosi a quelli classici commettono un
grossolano anacronismo. Ciò non vuol dire però che le
reminiscenze classiche siano affatto inutili, perchè esse
sono sempre molto adatte a riscaldare i cervelli dei giovani ed a
mantenere l'ambiente rivoluzionario, e, fin dall'epoca del
Rinascimento, furono in questo senso abilmente sfruttate215. Se il
regicidio infatti ora non basta a rovesciare un Governo,
l'assassinio politico può sempre servire a spargere la
titubanza ed il terrore nei capi della classe governante ed a
renderne meno energica l'azione; inoltre, siccome quasi tutti gli
assassini politici soccombono nell'esecuzione delle loro imprese,
così diventano martiri di un'idea, ed il culto che loro si
viene a tributare è uno dei mezzi meno onesti, ma non meno
efficaci, per mantenere una propaganda rivoluzionaria.
II. — Roma repubblicana fu in complesso lo Stato antico in cui la
difesa giuridica fu meglio assicurata e le lotte civili
perciò meno sanguinose e più rare. Durante i lunghi
contrasti fra patrizi e plebei, nel foro non mancarono i tumulti e
qualche volta si trascorse anche fino alle pugnalate, qualche altra
volta accadde che una mano di facinorosi occupasse di sorpresa il
Campidoglio, ma, per secoli interi, non ci furono fazioni che
usurpassero violentemente il potere trucidando ed esiliando gli
avversari. Quando furono uccisi i Gracchi per ben due volte lo
svolgersi legale delle votazioni fu impedito col sangue, e quando
poi fu violentemente rivocata la deliberazione dei comizi, che
affidava il comando della guerra d'Asia a Silla, avvenne che questi,
con esempio nuovo, entrasse in città a capo di un esercito.
Giacchè le legioni, militando lungamente fuori d'Italia,
aveano acquistato il carattere di eserciti stanziali ed erano
divenuti tali da potere essere strumenti ciechi in mano dei loro
capi. Sicchè fra eserciti regolari si combatterono poi le
guerre civili, ed il capo dell'ultimo esercito che in queste guerre
fu vittorioso, Ottaviano Augusto, mutò stabilmente la forma
di governo e diè principio alla monarchia burocratica e
militare. D'allora in poi le soldatesche regolari si arrogarono il
diritto di mutare non già la forma, ma il Capo del Governo.
Nell'Europa feudale, ed in generale in tutti i popoli feudalmente
organizzati, le lotte civili e le rivoluzioni assunsero ed assumono
sempre il carattere di guerre fra le fazioni in cui si dividevano o
si dividono i baroni o capi locali. Cosi avveniva che in Germania
all'elezione di un nuovo imperatore spesso si formassero fra i
baroni e le città libere due partiti, che si combattevano a
vicenda, ognuno seguendo il sovrano di sua scelta che proclamava
legittimo. Altrove, come in Sicilia all'epoca delle lotte fra la
nobiltà latina e la catalana, le parti contendenti si
disputavano il possesso della persona del Re o del principe o
principessa ereditaria, giacchè questo possesso dava il modo
ad una fazione di mettersi sotto lo scudo della legittimità e
di proclamare ribelli e felloni gli avversari. Per analoghe ragioni
in Francia Borgognoni ed Armagnacchi si contendevano il possesso
della persona del Re o del Delfino. Altre volte i baroni si
schieravano sotto gli stendardi di due dinastie rivali, come avvenne
in Inghilterra durante la guerra delle due Rose. Quando poi tutta o
quasi tutta la nobiltà si sollevava unanime contro un
sovrano, allora la rivoluzione era presto compiuta ed il Re veniva
agevolmente sbalzato e ridotto all'impotenza; quest'ultimo caso, non
raro in tutti i regimi feudali, accadde con una certa frequenza
nella Scozia.
Come nelle lotte civili degli Stati greci e dei Comuni italiani,
così pure in quelle intestine fra i baroni dello stesso
regno, la parte vincitrice soleva, quando ciò era possibile,
spossessare i vinti dei loro feudi, che distribuiva fra i suoi
accoliti. Se gli assassinii e sopratutto gli avvelenamenti erano
più rari, ai vinti, quando non perivano sul campo di
battaglia, sovrastava spesso la scure del carnefice. Tutta la nobile
famiglia Chiaramonti perì a Palermo sul palco fatale; sul
palco e sui campi di battaglia fu sterminata quasi tutta la vecchia
nobiltà inglese durante le successive vittorie e sconfitte
delle due case di Yorck e di Lancaster. In Francia parecchi capi
Armagnacchi furono assassinati, altri uccisi a furor di popolo dalla
plebe di Parigi, ed assassinato alla sua volta moriva Giovanni senza
paura duca di Borgogna.
Nei paesi maomettani, non tenendo conto degli intrighi di serraglio,
che producono la deposizione e la morte di un sultano e ne elevano
un altro, le rivoluzioni propriamente dette, mentre da un lato hanno
molta analogia con le lotte che si combattevano nell'Europa feudale,
dall'altro racchiudono spesso i germi di un movimento, che ora
chiameremmo socialista, nascosto e dissimulato da una riforma
religiosa. Difatti, malgrado che gli sforzi di molti sovrani
orientali ed africani per circondarsi di truppe regolarmente
assoldate siano alle volte abbastanza riusciti, pure, nella
maggioranza delle popolazioni musulmane, specialmente in quelle che
abitano la campagna e che menano una vita più pastorale che
agricola, l'antichissima organizzazione delle tribù si
è conservata, e l'insurrezione dei capi di esse, come quella
dei baroni europei, per sostenere un pretendente al trono od i
diritti di una nuova dinastia è rimasta sempre un fatto
possibile. Fra le tribù stesse poi può sempre sorgere
un novatore, il quale pretenda di ricondurre l'Islam alla primitiva
purezza e predichi una riforma religiosa, ed allora, se la sua
propaganda è seguita dal successo, si ha la rivoluzione
religiosa e sociale.
Giacchè nei paesi orientali ed anche nel nord dell'Africa, se
non vi è la lotta di classe fra capitalisti e proletari, che
si vorrebbe inaugurare nell'Europa moderna, si è mantenuto
per diecine di secoli e dura sempre il sordo antagonismo fra le
tribù povere e brigantesche del deserto e della montagna e
quelle più ricche, che abitano i fertili piani, e più
ancora fra le prime e le imbelli e doviziose popolazioni delle
città. Nè si può dire che l'Islam non offra
appiglio al risorgere del vecchio spirito egalitario dispregiatore
delle ricchezze e dei godimenti, che già troviamo in alcuni
profeti ebraici, in Isaia ed in Amos il mandriano di Tecoa. Se
Maometto non disse che era più facile che un camello passasse
attraverso la cruna di un ago anzichè un ricco andasse in
Paradiso, era però assai amante della semplicità dei
costumi, e delle gioie di questo mondo non pregiava che le donne ed
i profumi. Una volta che si presentarono a lui come ambasciadori
ottanta cavalieri dei Beni-Kende, tribù recentemente
convertita all'Islamismo, in magnifico arnese con abiti di seta,
egli fece subito loro osservare che la nuova religione non
permetteva il lusso, e quelli stracciarono subito le ricche
vestimenta216. Il secondo califfo Omar, che conquistò tante
terre e tanti tesori, desinava frugalmente per terra, e, quando
morì, lasciò per eredità personale un solo
abito e tre dramme.
Così si spiega facilmente come nella Barberia, durante
l'undecimo e dodicesimo secolo, le vecchie dinastie arabe venissero
vinte e spossessate dalla riforma religiosa degli Almoravidi, che
alla loro volta furono rovesciati da una nuova riforma religiosa,
detta degli Almohaidi. In tutti e due i casi le tribù del
deserto o della montagna caldeggiarono le dottrine riformatrici e si
sovrapposero alle popolazioni più colte e più ricche
del Tell o zona marittima. Elementi consimili si possono facilmente
trovare nella setta dei Wahabiti dell'Arabia e nelle più
recenti fortune del Mahadismo dell'alto Nilo. Va da sè che
come i prischi Saraceni, una volta padroni delle ricche contrade
della Siria, della Persia e dell'Egitto, dimenticarono la
frugalità dei Sarabehoni, ossia degli uomini che avevano
conosciuto il Profeta, qualcuno dei quali nella sua vecchiaia ebbe
campo di scandalizzarsi per il fasto spiegato dai califfi Ommiadi di
Damasco, che fu poi superato dai califfi Abbassidi di Bagdad;
così anche nel caso degli Almoravidi ed Almohaidi, la natura
umana presto trionfò dell'ardore settario. Anche questi
infatti, una volta in possesso delle reggie di Fez e di Cordova,
obliarono la vita semplice che avevano praticato e predicato negli
altipiani al di là dell'Atlante, ed adottarono tutte le
raffinatezze del lusso orientale. Se risultati perfettamente
identici non hanno dato i Wahabiti, i Mahdisti ed altre sette
maomettane, ciò è avvenuto per la minor fortuna che
finora esse hanno avuto.
III. – In China le rivoluzioni ed i rivolgimenti violenti non sono
stati rari, ci riesce però ancora difficile di apprezzare le
cause sociali di quelli molto antichi. Sappiamo che l'Impero Celeste
è passato attraverso regimi economici e politici diversi, che
da Stato feudale, che era prima, è diventato uno Stato
burocratico; a seconda di questi cambiamenti hanno dovuto, certo
cambiare i motivi e le forme delle ribellioni.
Ci è noto questo: che, quando l'educazione di una dinastia
era molto decaduta, quando principi fiacchi facevano governare le
donne e gli eunuchi o perdevano il tempo a cercare la bevanda
dell'immortalità, e gli abusi dei funzionari oltrepassavano
certi limiti, allora qualche governatore ribelle o qualche ardito
avventuriero, posti a capo di bande d'insorti, battevano qualche
volta le truppe del Governo, aiutati dall'universale malcontento,
spossessavano la vecchia e fondavano una nuova dinastia. La quale
conservava una maggiore energia per qualche generazione,
finchè anch'essa s'infiacchiva e di nuovo si accentuavano gli
antichi abusi.
Le invasioni dei barbari del settentrione e dei Tibetani
occasionarono ed agevolarono spesso questi cambiamenti. Quando poi
il paese intiero cadde sotto la dominazione dei Mongoli, col tempo
maturò una di quelle potentissime reazioni dello spirito
nazionale, che spesso si accentuano fra i popoli di antica
civiltà, come avvenne nell'antico Egitto colla cacciata degli
Hiqsos, e come in questo secolo è accaduto in Grecia ed in
Italia. Alla fine del secolo decimoquarto un gruppo di uomini
entusiasti ed energici, con a capo il bonzo Rong-ou217,
sollevò lo stendardo della rivolta contro i Mongoli ed,
aiutati dall'esplosione del sentimento nazionale, che avvenne in
tutta la China, riuscirono a ricacciare i barbari al di là
della grande muraglia. Rong-ou fu il fondatore della dinastia dei
Ming, che governò il paese fino allo scorcio del secolo
decimosettimo.
Durante il secolo decimonono la China, diventata uno Stato quasi
completamente burocratizzato, ebbe un'altra rivoluzione che, sebbene
non sia riuscita, pure merita di essere ricordata, ed è
importante sopratutto per l'analogia che offre con quella che aveva
messo sul trono il bonzo Rong-ou. In seguito al disordine che la
guerra cogli Inglesi, terminata cogli svantaggiosi trattati del 1842
e 1844, produsse in tutto l'impero, una rivolta contro la dinastia
straniera dei Tartari Manschù scoppiò nelle vicinanze
di Nankin, l'antica capitale dei Ming, il cuore del nazionalismo
chinese. La cacciata dello straniero e la fondazione di una nuova
religione, nella quale i dommi del Cristianesimo erano curiosamente
mescolati ed adattati alle idee filosofiche ed alle superstizioni
popolari dei Chinesi, fornirono la base morale della rivoluzione. Un
maestro di scuola, letterato d'infima classe, una specie di
spostato, che rispondeva al nome di Rong-Sieou-Tsien, ne fu il capo
supremo: attorno a lui un gruppo di uomini energici, intelligenti,
ambiziosi ne secondarono i primi movimenti e lo aiutarono tanto
nell'escogitare il sistema religioso e filosofico accennato, quanto
nel dirigere le prime imprese dell'insurrezione.
La macchina burocratica chinese era allora profondamente scossa per
le sconfitte toccate e la inferiorità manifestata di fronte
agli Europei, i popoli erano malcontenti, sicchè i primi
successi dei ribelli furono rapidissimi. Entrati in Nankin nel 1853,
essi vi proclamarono il Taè-ping, cioè l'êra
della pace universale218, e nello stesso tempo Rong-Sieou-Tsien, che
certo non era un uomo volgare, fu assunto al grado di Imperatore
Celeste e capo-stipite della nuova dinastia nazionale. Siccome
però, anche in China, la forza bruta necessaria alla riuscita
delle rivoluzioni si trova a preferenza nella feccia della
società, i gregari dell'esercito che dovea inaugurare la pace
universale si reclutarono a preferenza fra i soldati disertori, i
delinquenti sfuggiti alla giustizia, e, in generale, fra tutti i
vagabondi e gli spostati, che abbondano nelle grandi città
tanto chinesi che europee. Ben tosto i capi furono impotenti a
frenare gli eccessi dei loro seguaci, e le bande del Taè-ping
portarono dappertutto il saccheggio, la desolazione, la strage. Le
mosse stesse della insurrezione non furono più dirette da un
pensiero politico, ma dalla libidine del furto e del sangue, ed i
paesi che essa dominava subirono tutti gli orrori di una vera
anarchia.
La nuova guerra coll'Inghilterra e colla Francia scoppiata il 1860 e
la insurrezione dei Maomettani del nord-ovest prolungarono per
parecchi anni questo stato di cose, ma appena il Governo chinese,
liberatosi in parte dai suoi imbarazzi, potè spedire forze
considerevoli contro i ribelli, questi, che omai aveano perduto
interamente la simpatia delle popolazioni, si trovarono ridotti a
mal partito. Nankin fu accerchiata, quasi tutti i primi compagni di
Rong-Sieou-Tsien, i soli capaci di vedute politiche e larghi
concetti, erano periti, e questi, attorniato da una massa
raunaticcia pronta a saccheggiare come a tradirlo, disperando di
resistere ancora, si avvelenò nel suo palazzo il 30 giugno
1864. Venti giorni dopo le truppe imperiali, padrone di Nankin,
decapitavano il giovane figlio del defunto capo dei ribelli, e
soffocavano atrocemente nel sangue una rivolta che tra il sangue si
era mantenuta219.
Adunque, anche nel Celeste Impero, come nei paesi maomettani e come
in gran parte è accaduto in Europa, l'idealità della
concezione politica, in nome della quale nacque la rivoluzione, si
turbò e si perdette quasi interamente appena si entrò
nel periodo della sua attuazione.
Ed un altro punto di contatto possiamo trovare fra la insurrezione
del Taè-ping e quelle europee nel fatto che anche in China il
movimento rivoluzionario fu preceduto e preparato dalle
società secrete. Infatti, fin dal secolo decimottavo, si
è avvertita colà l'opera di associazioni occulte, che
mantengono vivo il malcontento del popolo l'odio contro la dinastia
straniera220. Esse del resto sono sopravvissute alla rivolta, che
avevano contribuito a suscitare. Pare anzi che all'opera loro si
debbano gli assassinii di parecchi europei, diretti a suscitare al
Governo di Pechino imbarazzi colle Potenze occidentali, e che a
queste società siano affiliati, proprio come accade in paesi
molto più noti della China, patrioti ardenti e
disinteressati, malfattori che del legame settario si valgono per
procacciarsi l'impunità, e perfino funzionari che ne
approfittano alle volte per far carriera.
IV. — Fra le rivoluzioni europee hanno un carattere speciale quelle
che rappresentano la reazione di un popolo sottomesso verso il
popolo oppressore. Tali furono l'insurrezione della Svezia contro la
Danimarca sotto Gustavo Wasa, quella dell'Olanda contro la Spagna,
della Spagna stessa contro la Francia nel 1808, della Grecia contro
la Turchia, dell'Italia contro l'Austria, della Polonia contro la
Russia. Queste insurrezioni somigliano più alle guerre
esteriori fra due popoli anzichè alle lotte civili, e sono
quelle che più facilmente riescono. Oggi però coi
grossi eserciti stanziali che abbiamo, il popolo che insorge, per
avere forti probabilità di vittoria, deve già godere
di una semi-indipendenza, in maniera che una parte di esso sia
militarmente bene organizzata.
Nella Spagna nel 1808, oltre alle famose guerrillas, anche gli
eserciti regolari presero parte attivissima a favore
dell'insurrezione; in Italia al 1848 l'esercito piemontese ebbe la
parte principale nella lotta contro lo straniero, e le truppe
regolari del Piemonte insieme agli alleati francesi diedero nel 1859
i colpi che decisero della sorte della penisola. Anche la Polonia,
nel 1830 e 31, potè lottare quasi un anno contro il colosso
russo, perchè esisteva fino allora un esercito polacco, che
sposò la causa nazionale. L'insurrezione del 1863 e 1864
condotta da sole bande irregolari ebbe infatti risultati assai meno
importanti e fu repressa mercè sforzi assai minori.
Nella stessa classe di rivoluzioni va messa quella degli Stati Uniti
contro l'Inghilterra. Si sa che le colonie anglo-americane godevano,
anche prima del 1776, una larghissima autonomia; sicchè
quando si strinsero in confederazione e proclamarono l'indipendenza,
poterono facilmente, un po' colle antiche milizie dei vari Stati, un
po' coi volontari, organizzare una forza armata colla quale tennero
in bilico le truppe mandate dalla madre patria a soggiogarli,
finchè, soccorsi dalla Francia, riuscirono ad emanciparsi
interamente.
Quando scoppiò la rivoluzione inglese del 1643 l'Inghilterra
non era ancora uno Stato burocratico, ed il Re Carlo I non poteva
disporre che di uno scarsissimo esercito stanziale. Sicchè
dalla parte del Parlamento combatterono in principio le milizie dei
Comuni, dalla parte del Re sostennero principalmente il peso della
lotta i nobili di campagna, ossia i Cavalieri.
Questi erano assai più esercitati nelle armi e furono sulle
prime facilmente vittoriosi, ma quando Cromwell seppe formare pria
un reggimento e poi un esercito di truppe stanziali e disciplinate,
allora la lotta non fu più possibile; ed alla testa di
quell'esercito il lord protettore non solo vinse i Cavalieri, ma
sottomise la Scozia e l'Irlanda, tenne a posto i Livellatori,
mandò a casa poco garbatamente il lungo Parlamento e divenne
il padrone assoluto delle isole britanniche. Certo la memoria di
questi fatti per lungo tempo rese diffidenti gl'Inglesi, amanti
delle costituzionali franchigie, verso le truppe stanziali; essa
fece sì che si lasciassero mancare a Carlo II e Giacomo II i
mezzi per mantenere un grosso esercito stanziale, che si cercassero
tutti i modi di tenere esercitate le milizie delle contee, e che si
costringesse lo stesso Guglielmo d'Orange a rinviare nel continente,
con suo grande rammarico, quei vecchi reggimenti olandesi alla testa
dei quali aveva rovesciato l'ultimo degli Stuardi.
V. — Altro fenomeno sociale importante troviamo nelle insurrezioni
contadinesche piuttosto frequenti in diverse contrade di Europa
nella seconda metà del secolo decimottavo e nella prima
metà di quello decimonono. Tali furono, a tacere di quelle
che scoppiarono in Russia al principio dell'impero di Caterina II,
sotto colore di rimettere sul trono diverse persone che si
spacciavano per lo Czar Pietro III morto assassinato, e di quella
spagnuola del 1808 alla quale prese parte tutta la nazione, la
grande insurrezione della Vandea nel 1793, quella del Napoletano nel
1799 contro la repubblica partenopea, l'altra dei calabresi contro
Giuseppe Bonaparte del 1808, quella del Tirolo nel 1809 e le diverse
insurrezioni carliste della Biscaglia e della Navarra.
Il Macaulay, parlando della insurrezione rurale che fu capitanata da
Moumouth all'epoca di Giacomo II, osserva che essa fu possibile,
perchè allora in Inghilterra i contadini erano tutti un po'
militari. E veramente una seria insurrezione delle plebi agricole
è solo possibile dove esse hanno una certa abitudine alle
armi; o almeno dove la caccia, o il brigantaggio, o le lotte di
famiglia e di campanile mantengono la famigliarità coi colpi
di fucile.
Nella Russia i moti che abbiamo già accennati, dei quali il
più importante venne capitanato da Pugatcheff, furono una
conseguenza dell'odio che i contadini, i cosacchi, e tutti gli
scorridori abituati alla libertà della steppa, nutrivano per
l'accentramento burocratico, che allora si andava accentuando e
contro gli impiegati tedeschi, che di questo accentramento erano
ritenuti principali autori. Però gl'insorti mantennero sempre
un carattere, che ora si direbbe lealista, perchè sostenevano
che il vero Czar si trovava nel loro campo, e che la Czarina, che
risiedeva a Pietroburgo ed a Mosca, era una usurpatrice. Sentimenti,
da un lato conservatori e dall'altro lato avversi alla soverchia
ingerenza dello Stato, troviamo anche in tutte le insurrezioni
contadinesche, generalmente avvenute quando i partiti novatori
trionfanti, in nome della civiltà e del progresso, hanno
voluto imporre sacrifici nuovi. I Vandeisti, infatti, per quanto
malcontenti della Repubblica che perseguitava i loro curati,
benchè irritatissimi per il supplizio di Luigi XVI, si
sollevarono in massa soltanto nel marzo 1793 quando la Convenzione
decretò una leva generale. I contadini del Napoletano nel
1799, oltrechè lesi dai novatori nelle loro abitudini e nelle
loro credenze, furono dalle truppe francesi taglieggiati e
saccheggiati in malo modo. Nella Spagna nel 1808, oltre al
sentimento cattolico e nazionale altamente offeso, dicevasi e
credevasi che gl'invasori francesi venissero provveduti di gran
numero di manette, che dovevano servire a condurre fuori del paese
tutta la gioventù destinata ad essere arruolata negli
eserciti napoleonici221. Nella Biscaglia e nella Navarra spagnuola
le diverse insurrezioni carliste sono state in gran parte causate
dalla gelosia colla quale queste provincie hanno tutelato il
mantenimento degli antichi fueros, che loro assicuravano molte
immunità rispetto ai pubblici pesi ed un'amministrazione
locale quasi indipendente.
I primi capi delle insurrezioni rurali sogliono essere per cultura e
condizione sociale di poco superiori ai contadini. Il famoso
cabecilla spagnuolo Mina era un mulattiere; nel Napoletano al 1799
il solo Rodio era un leguleio di provincia, ma Pronio, Mammone e
Nunziante facevano prima i mugnai o i sotto-ufficiali. Andrea
Hoffer, il capo della insurrezione tirolese del 1809, era un agiato
oste: i moti iniziali dell'insurrezione vandeista furono diretti dal
barbiere Gaston, dal vetturale Cathelinau e dal guardacaccia
Stofflet. Se però le classi superiori aderiscono
all'insurrezione, dando ad essa forza e consistenza, presto sorgono
altri capitani di una condizione sociale superiore. Fu così
che in Vandea i contadini andarono ai castelli dei signori,
naturalmente esitanti perchè capivano meglio le
difficoltà dell'impresa, e li persuasero o li costrinsero
quasi a mettersi alla loro testa. Così furono trascinati
nell'azione i gentiluomini Lescure, Bonchamps, Larochejacquelin e
Charette. Quest'ultimo, freddo, astuto, di un'attività e di
un'energia indomabili, spiegò subito tutte le doti di un
perfetto capoparte; sicchè, invece di frenare gli eccessi dei
suoi seguaci, fece loro commettere tutte le vendette che vollero, al
fine di comprometterli e legarli irrevocabilmente alla causa della
ribellione. Fra i capi delle rivolte rurali e conservatrici il solo
che possa essere paragonato a lui è il biscaglino
Zumalacarreguy, capo supremo della prima insurrezione carlista, che
anch'egli era un piccolo gentiluomo campagnuolo.
Un carattere comune alle insurrezioni conservatrici dei contadini,
come a quelle che in nome della libertà e del progresso si
fanno nelle grandi città, è il seguente: per poco che
esse durino presto si forma una classe di persone che vi prende
gusto ed ha interesse a continuarle. Il primo movimento può
avere un carattere di universalità, ma ben tosto nella massa
si distinguono coloro che, una volta lasciate le abituali
occupazioni, non vogliono tornarvi, perchè sentono
svilupparsi l'istinto della lotta e delle avventure. Vi sono infatti
uomini, che non hanno attitudine per farsi molto avanti nei momenti
ordinari della vita sociale, ma al contrario sanno farsi valere nei
momenti eccezionali, come sono le guerre civili; costoro hanno
naturalmente la tendenza a che l'eccezione diventi regola generale.
Cosi vediamo che, dopo la prima fase, la più grandiosa
dell'insurrezione vandeista, che si chiuse colla terribile rotta di
Savenay, la guerra si prolungò ancora per anni,
perchè, attorno ai capi, si erano formati nuclei di uomini
risoluti, che altro mestiere non volevano esercitare che quello del
partigiano. Più si accentua questa tendenza quando la
rivoluzione è un mezzo di far rapida fortuna, come avvenne a
Rodio ed a Pronio, che diventarono di botto generali, ed a Nunziante
e Mammone, che furono riconosciuti colonnelli. Nella Spagna il
lievito rivoluzionario lasciato dai sei anni della guerra
d'indipendenza fermentò nelle successive guerre civili, nelle
quali il nocciolo delle insurrezioni fu sempre formato da
avventurieri che speravano fortune ed avanzamenti; poichè
molti gradi furono colà guadagnati servendo ed abbandonando
in tempo le diverse parti combattenti222.
VI. — Le rivoluzioni che rappresentano fatti sociali apparentemente
più strani, perchè dovuti a condizioni politiche
più speciali, sono senza dubbio quelle scoppiate in Francia
durante il secolo decimonono. Esse sono state infatti rese possibili
solo da una eccessiva burocratizzazione e da altre circostanze
peculiari alle quali brevemente accenneremo.
Non mettiamo nel novero la grande rivoluzione del 1789, che fu una
vera dissoluzione delle classi e delle forze politiche che fin
allora avevano diretto la Francia. Si sa che allora
l'amministrazione e l'esercito, disorganizzati completamente
dall'inesperienza dell'Assemblea nazionale, dall'emigrazione e dalla
propaganda dei clubs, non furono per parecchio tempo più al
caso di far rispettare le decisioni di qualunque governo223.
Sicchè il potere caduto dalle mani del Re non fu raccolto da
un ministero che aveva la fiducia dell'Assemblea costituente, ed
appartenne volta per volta alla setta od all'uomo che, in un dato
giorno, sapea farsi seguire a Parigi da un nucleo di forza armata;
fosse questi La Fayette a capo della guardia nazionale o Danton
colla plebe dei sobborghi armata di picche.
Però fin d'allora comincia a manifestarsi una tendenza che si
andrà vieppiù accentuando nella prima metà del
secolo decimonono. Coloro che dirigevano le insurrezioni cercavano
sempre di impadronirsi della persona o delle persone, che
rappresentavano il simbolo o l'istituzione alla quale la Francia, o
per antica tradizione o per fede nei principii nuovi, obbediva; ed,
una volta riusciti nel loro intento, erano realmente padroni del
Paese.
Così fecero gli insorti al 6 ottobre 1789, quando, obbedendo
evidentemente ad una parola d'ordine, andarono a Versailles e
s'impadronirono del Re. Abolita la monarchia, fu contro la
Convenzione nazionale che si diressero i colpi di mano, come quello
del 31 maggio 1793 che fece l'Assemblea la quale rappresentava la
Francia, schiava di un pugno di marmaglia parigina. La provincia
tentò allora di reagire, ma invano, perchè l'esercito
restò obbediente ai comandi che venivano dalla capitale in
nome della Convenzione, per quanto fosse notorio che questa era
coartata.
La stessa generale acquiescenza per tutto ciò che avveniva
nella sede del Governo contribuì molto al felice risultato
dei diversi colpi di stato, che avvennero sotto il Direttorio e fino
allo stabilirsi dell'impero napoleonico.
Ma forse ancora più caratteristico è quello che
avvenne nel 1830, nel 1848 e nel 1870. Dopo un combattimento
più o meno lungo, qualche volta relativamente
insignificante224, con quella frazione di truppe, che difendeva
nella capitale i fabbricati dove stavano i rappresentanti del
supremo potere fin allora riconosciuto legittimo, la folla armata e
disarmata fece fuggire sovrani e ministri, sciolse le assemblee e
tumultuariamente formò un Governo, composto di uomini
più o meno noti al paese, i quali s'insediarono nei luoghi
dove gli antichi capi del Governo erano soliti a governare, e di
là, coadiuvati quasi sempre dai soliti funzionari,
telegrafarono alla Francia che, grazie al popolo vittorioso, essi
erano diventati i padroni del Paese; e Paese, amministrazione ed
esercito prontamente li obbedirono. Pare la storia della lanterna
maravigliosa di Aladino, la quale quando, per caso od astuzia,
capitava in mano ad uno, fosse egli anche un semplice ed ignorante
fanciullo, subito i genii lo servivano ciecamente e rendevano il
possessore più ricco e potente dei sultani dell'Oriente,
senza che nessuno gli domandasse come e perchè il prezioso
talismano fosse pervenuto nelle sue mani.
Si può obiettare che nel 1830 il Governo era diventato cieco
strumento del partito legittimista, che era uscito dalla
legalità, che una gran parte della Francia era decisamente
contraria all'indirizzo politico che esso seguiva e che una parte
stessa delle truppe agì mollemente o non agì del tutto
nel momento decisivo. La catastrofe del 1870 contribuisce pure a
spiegarci il cambiamento di Governo, che allora in Francia ebbe
luogo. Ma nessun elemento di questo genere abbiamo per renderci
ragione della subitanea rivoluzione del 1848: nè le Camere,
ne la burocrazia, nè l'esercito avevano allora simpatie per
il Governo repubblicano, la maggior parte dei dipartimenti vi era
contraria225; a Parigi stessa la guardia nazionale, in febbraio
oscillante, perchè desiderava la caduta del Ministero Guizot,
nel marzo e nell'aprile successivi fece manifestazioni reazionarie.
Eppure bastarono poche ore di titubanza perchè Luigi Filippo,
la sua famiglia ed i suoi ministri dovessero fuggire non da Parigi,
ma dalla Francia, le Camere fossero annullate ed un Governo
provvisorio, i cui membri furono, in mezzo ad una folla tumultuante,
proclamati al Palazzo Borbone, assumesse, di punto in bianco, la
direzione politica della Francia.
Il cittadino Caussidière, fino al giorno avanti perseguitato
dalla polizia, alla testa di un gruppo d'insorti e con le mani
ancora sporche di polvere, andò nel pomeriggio del 24
febbraio 1848 alla Prefettura di polizia e, fin dalla stessa sera,
ne divenne il capo ed il direttore. L'indomani tutti i capi servizio
gli promisero la loro fedele cooperazione e, volenti o nolenti,
mantennero la promessa226.
Il Blanc, nella prefazione dell'opera testè citata, dice che
Luigi Filippo cadde principalmente perchè i suoi fautori lo
sostenevano per interesse non già per devozione personale.
Secondo quest'autore, aveva il Re borghese pochi nemici, molti
cointeressati, ma al momento del pericolo non si trovò un
amico. Questa ragione crediamo che abbia un valore molto limitato;
giacchè non ci pare che tutti coloro che sostengono una forma
di governo debbano avere affezione personale od amicizia
disinteressata per l'individuo, che di questa forma sta a capo. Anzi
questi sentimenti non possono essere sinceramente sentiti che dalle
poche persone o poche famiglie, che stanno nella sua
intimità. La devozione politica per un sovrano o anche per il
capo di una repubblica è tutt'altra cosa. Piuttosto, come
abbiamo già accennato, ci pare invece che la causa principale
dei subitanei rivolgimenti della Francia sia il soverchio
accentramento burocratico, peggiorato dal regime parlamentare, il
quale fa sì che gli impiegati siano già abituati ai
cambiamenti di padrone e d'indirizzo e sappiano per esperienza che a
contentare chi sta in alto ci si guadagna molto e che a scontentarlo
ci si perde assai.
Con un simile regime ciò che abbisogna alla gran maggioranza
dell'esercito, della burocrazia ed anche a quella parte della
popolazione che per interesse od istinto ama l'ordine, è un
governo, non un dato governo; sicchè coloro che di fatto
stanno a capo della macchina dello Stato trovano sempre le forze
conservatrici pronte a sostenerli e l'intiero organismo politico si
muove quasi ugualmente, qualunque sia la mano che lo faccia agire.
Certo con questo sistema si può ottenere piuttosto un
cambiamento nelle persone che hanno in mano il supremo potere,
anzichè nel vero indirizzo politico di una società; e
ciò appunto è accaduto in Francia dopo il 1830, il
1848 ed il 1870: giacchè, se si vuole tentare un mutamento
più radicale, gli stessi governanti usciti dalla Rivoluzione
sono trascinati ad impedirlo, come avvenne nel giugno 1848 e nel
1871, dagli elementi conservatori che sono i loro strumenti e nello
stesso tempo i loro padroni.
È pure indiscutibile che un forte sentimento della
legalità e della legittimità del Governo preesistente
ostacolerebbe l'obbedienza passiva ad un nuovo regime sorto dalle
barricate, ma un sentimento di questo genere per nascere ed
affermarsi ha bisogno del tempo e della tradizione, ed in Francia
troppo rapidi furono i cambiamenti avvenuti fino al 1870
perchè la tradizione vi potesse attecchire. Bisogna
finalmente tener presente che, durante il secolo decimonono, in
Francia ed in gran parte d'Europa le minoranze rivoluzionarie hanno
potuto fare assegnamento non solo sulla simpatia delle masse povere
ed incolte, ma anche, e principalmente forse, su quelle delle
classi, che pure hanno una certa cultura. A torto od a ragione, si
è, per tre quarti di secolo, insegnato alla gioventù
che molte fra le più importanti conquiste della vita moderna
si sono ottenute in seguito alla grande rivoluzione o colle
rivoluzioni. Data una simile educazione, non è da
maravigliare se i tentativi e le vittorie dei rivoluzionari non
siano vedute con ripugnanza dalla generalità, fino a tanto
almeno che non ne minacciano o danneggiano seriamente gli interessi
materiali227. Naturalmente i sentimenti ai quali abbiamo accennato
devono essere per un pezzo più forti e diffusi in quei paesi
nei quali gli stessi Governi di fatto o legali sono usciti da una
rivoluzione; in modo che, pur condannando le ribellioni in genere,
devono pur celebrare quella buona, quella santa insurrezione dalla
quale ripetono la loro origine.
VII. — Uno dei modi principali mercè i quali la tradizione e
le passioni rivoluzionarie si sono mantenute in molti paesi d'Europa
sono le società politiche, specialmente quelle segrete. E nel
loro seno infatti che si educano i gruppi dirigenti, che sanno poi
fomentare le passioni delle masse e condurle verso un dato fine.
Quando si potrà scrivere imparzialmente la storia del secolo
decimonono essa si dovrà molto occupare dell'efficacia colla
quale qualche società segreta molto diffusa ha saputo
spargere le idee liberali e democratiche, modificando profondamente
e rapidamente l'indirizzo intellettuale di una gran parte della
società europea. Giacchè, se non si tenesse conto di
una propaganda attiva, organizzata e ben diretta, difficilmente si
potrebbe spiegare come certi modi di vedere, che sulla fine del
secolo decimottavo erano patrimonio dei salotti eleganti e di una
società ristrettissima, ora si sentono ripetere in fondo ai
più remoti villaggi da persone ed in ambienti, che certo non
si sono modificati in forza di una cultura propria.
Se però nella preparazione intellettuale e morale delle
rivoluzioni le associazioni, sia palesi che segrete, ordinariamente
eccellono, lo stesso non si può dire quando si tratta di
spingere le masse all'azione immediata, di suscitare un movimento a
mano armata in un dato punto ed in un giorno stabilito;
perchè allora società e congiure, per una volta che
riescono, dieci volte almeno falliscono. La ragione è
evidente: per lanciare una rivoluzione non bastano gli spostati
pronti ad ogni rischio, che si trovano in tutte le grandi
città europee, ma bisogna anche la cooperazione di una parte
notevole delle masse. Or queste non si commuovono senza che vi sia
un gran fermento negli spiriti causato da avvenimenti, che i Governi
spesso non sanno o non possono evitare, ma che nello stesso tempo le
società rivoluzionarie non possono creare, e dei quali
perciò possono soltanto trarre abilmente profitto. Una grande
speranza delusa, un rapido peggioramento delle condizioni
economiche, una sconfitta toccata all'esercito nazionale o una
rivolta vittoriosa di un paese vicino sono tutti fatti molto adatti
a sovracccitare una moltitudine già preparata dall'educazione
rivoluzionaria. Allora il nucleo dei ribelli stabilmente
organizzato, se sa profittare del momento, può sperare un
successo; ma se al contrario si lancia solo nell'azione, senza alcun
sussidio di circostanze eccezionali, viene infallibilmente e con
facilità sopraffatto, come accadde in Francia in occasione
dei moti del 1832, 1834, e 1840. Perciò le Polizie, che
d'ordinario si preoccupano poco della propaganda dei principii e
stanno solo attente a prevenire e sventare i colpi di mano dei
gruppi rivoluzionari, dei quali riescono abbastanza facilmente a
conoscere i progetti e le intenzioni immediate mercè qualche
spia che insinuano nel loro seno228, danno prova di quella
meschinità di vedute, che pare una qualità comune e
quasi fatale in tutte le presenti istituzioni conservatrici.
In Francia, in Spagna ed anche in Italia si trova qualche
città, nella quale è più facile trascinare le
masse sulle barricate. È questo uno dei tanti effetti
dell'abitudine e della tradizione, per le quali una popolazione, che
una volta ha fatto alle fucilate ed ha rovesciato il Governo
costituito, crederà, per una generazione almeno, possibile di
rinnovare con buon esito il tentativo, a meno che ripetuti e
sanguinosi insuccessi non la disingannino. Aggiungiamo che
gl'individui, che hanno parecchie volte affrontato il fuoco,
acquistano una specie d'educazione guerresca e diventano capaci di
battersi meglio229. Malgrado però tutti i vantaggi di tempo,
di luogo, di circostanze, dei quali un movimento rivoluzionario
può fruire, certo ai giorni nostri, coi grossi eserciti
stanziali che abbiamo e mercè i mezzi pecuniari e gli
strumenti bellici, che solo i poteri costituiti sono al caso di
procurarsi, nessun Governo può essere colla forza rovesciato
se gli uomini stessi che lo dirigono non sono per i primi scossi ed
esitanti, o se almeno non sono trattenuti da una forte paura di
assumere la responsabilità di una repressione sanguinosa. Le
concessioni all'ultima ora, gli ordini e contrordini, le titubanze
di coloro che hanno in mano la forza legale e che la debbono
adoperare, sono i veri e più efficaci fattori della riuscita
di una rivoluzione e la storia delle giornate di febbraio 1848
è su questo riguardo molto istruttiva230. Ed è dannosa
illusione il credere che, mentre nei posti più elevati si
tentenna e si ha paura di compromettersi, si possano trovare
ufficiali subalterni che assumano la responsabilità di una
energica iniziativa o anche di una energica esecuzione di ordini
perplessi e contradittori.
Resta ora ad esaminare in che modo si siano costituiti gli eserciti
stanziali e quali siano le condizioni perchè non degenerino
questi organismi complessi e delicati, che, senza turbare
ordinariamente l'equilibrio giuridico delle altre forze sociali,
sono, se saputi ben adoperare, strumenti così efficaci in
mano dei Governi legali. Di ciò tratteremo nel seguente
capitolo.
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — II. Lo
Stato burocratico e gli eserciti mercenari e stanziali. — III.
Preponderanza politica abituale dell'elemento militare. — IV.
Ragioni per le quali questa preponderanza è stata limitata e
distrutta nei paesi di civiltà europea. — V. Importanza
pratica delle moderne milizie cittadine. — VI. Diversità di
classe fra la bassa forza e gli ufficiali in molti eserciti
stanziali. — VII. Giudizi e pregiudizi intorno alle speciali
attitudini militari dei vari popoli. — VIII. Gli eserciti stanziali,
la guerra e l'avvenire della civiltà di tipo europeo.
I. — Nei paesi selvaggi o molto barbari, nei quali la produzione
economica è rudimentale, nel caso abbastanza frequente che si
venga alla guerra, tutti gl'individui maschi ed adulti sono soldati.
Giacchè nelle società primitive, dato che esista la
pastorizia nomade o che vi sia anche un embrione di agricoltura e
d'industria, queste non sono mai così sviluppate da assorbire
interamente l'attività umana; sicchè restano sempre
tempo ed energia sufficienti per darsi alle scorrerie avventurose,
le quali forniscono un'occupazione non solo piacevole ma quasi
sempre lucrosa. Nelle popolazioni dunque alle quali accenniamo, le
arti pacifiche sono lasciate volentieri alle donne o tutto al
più agli schiavi e gli uomini si danno a preferenza alla
caccia ed alla guerra.
Così è accaduto ed accade fra tutte le razze ed in
tutti i climi, quando si trovino le condizioni che abbiamo rilevate:
cosi vivevano gli antichi Germani e fino a pochi anni fa gli avanzi
delle odierne Pelli Rosse, gli Sciti dell'antichità classica
ed i Turcomanni dell'êra moderna, e così vivono fino ad
oggi una parte dei Negri dell'interno dell'Africa e le tribù
ariane, semitiche o mongole, che, nelle regioni più
inaccessibili dell'Asia, hanno potuto conservare un'indipendenza di
fatto.
Un coefficiente favorevole alla durata di questo stato di cose
è la esistenza di organismi politici minimi, l'autonomia di
fatto di ogni piccola tribù o minuscolo villaggio, che
può rendere diuturna la guerra e continui il ladroneggio e le
rappresaglie fra vicini. Difatti anche le tribù barbare
sottomesse ad un Governo regolare che impedisce le guerre intestine,
alla lunga diventano pacifiche; come, ad esempio, è accaduto
in gran parte alle popolazioni nomadi dell'Asia da lungo tempo
sottoposte al Governo chinese ed a quelle fra il Volga e gli
Urali, che pure da un pezzo subiscono il giogo della Russia. Al
contrario, nel Medio Evo, vediamo in Germania ed anche in Italia
popolazioni relativamente colte mantenere costumi molto guerreschi,
perchè divise in feudi e Comuni fra i quali di fatto durava
il diritto del pugno.
Appena però grandi organismi politici, anche rudimentali ed
imperfetti, si vanno costituendo, e sopratutto appena lo sviluppo
economico è più avanzato e la guerra non fornisce
più l'occupazione maggiormente lucrosa, allora vediamo
consacrarsi al mestiere delle armi una classe speciale, la quale
ritrae il proprio sostentamento non tanto dalle prede, che fa sugli
avversari, quanto dai tributi, che, sotto diverse forme, preleva sui
lavoratori pacifici del paese che essa tutela e difende.
Generalmente, siccome in un periodo di mediocre civiltà e
cultura la produzione è quasi esclusivamente agricola, i
guerrieri o sono proprietari delle terre, che fanno da altri
coltivare, o dai lavoratori della terra ritraggono pesanti ed
onerose contribuzioni. Così accadde durante quel periodo
primitivo della classica antichità nel quale la parte
dominatrice e militare della città era costituita unicamente
dai proprietari di terre231, e lo stesso fenomeno si ha più
spiccatamente in tutti i paesi feudalmente organizzati. Lo troviamo
perciò tra i Latini ed i Germani del Medio Evo come anche fra
gli Slavi, presso i quali si determinò più tardi,
perchè più tardi abbandonarono la vita nomade ed
entrarono nel periodo stabilmente agricolo; e lo troviamo pure, in
certe epoche, in China, nel Giappone e nell'India, nella quale era
rientrato in pieno vigore durante quell'epoca di decadenza e di
anarchia, che seguì la dissoluzione dell'impero del Gran
Mogol. Organizzazioni analoghe si possono rintracciare in Turchia,
nell'Abissinia, in Afganistan e nei periodi di decadenza, che si
frappongono fra le diverse fasi dell'antichissima civiltà
egiziana; in tutte quelle società, insomma, che non hanno
ancora abbandonato quel primo e più rozzo periodo di cultura,
che possiamo in una grande nazione trovare, ovvero che, dopo avere
raggiunto una civiltà molto più avanzata, per ragioni
interne ed esterne decadono, si decompongono, e, come tipo sociale,
si trasformano e periscono, come fu il caso dell'Impero romano232.
II. — Quando però la civiltà degli Stati feudali va
aumentando, non tarda a manifestarsi in essi la tendenza verso la
centralizzazione e perciò verso l'ordinamento burocratico.
Dappoichè il potere centrale cerca costantemente di
emanciparsi dalla necessità di ricorrere alla buona
volontà dei piccoli organismi politici, che formano lo Stato;
buona volontà che non è sempre pronta e
disinteressata. Quindi, anche per tenerli ubbidienti e disciplinati,
cerca di fornirsi direttamente dei mezzi coi quali efficacemente si
impone la propria volontà agli altri uomini: il denaro,
cioè, ed i soldati. È così che si vanno creando
i corpi mercenari, che sono a servizio diretto del capo dello Stato,
e questo fatto è cosi naturale e costante, che, in embrione
almeno, lo troviamo in tutti i paesi feudalmente organizzati.
Al giorno d'oggi infatti il Negus d'Abissinia, oltre il contingente
che gli forniscono i vari Ras, ha un primo nucleo di armati formato
dalle guardie addette alla sua persona, che egli mantiene
direttamente colle requisizioni che affluiscono a Corte, ed anche
dai servitori della sua casa, beccai, palafrenieri e panattieri, che
seguono l'Imperatore dappertutto ed all'occorrenza diventano
soldati233.
Anche nella Bibbia troviamo che il primo nucleo dell'esercito di
David e dei suoi successori era composto dai guerrieri che
mangiavano alla mensa del Re e dai mercenari Cretesi e Filistei;
tutta gente molto provetta nelle armi, la quale represse la rivolta
capitanata da Assalonne sebbene fosse secondata dalla maggioranza
del popolo234. Il Renan crede anzi che questo fatto di un nucleo di
sbirri stranieri presi al servizio del Governo centrale sia proprio
soltanto dei popoli semitici, presso i quali lo spirito di
tribù e di famiglia è così forte, che gli
elementi indigeni non riescono adatti a far rispettare i diritti
dello Stato, che vengono sempre posposti agli interessi della
propria fazione. Ma in verità pare a noi che ciò
accada dappertutto dove l'aggregato sociale si componga di piccoli
nuclei provvisti di tutti gli organi necessari ad una vita
indipendente e che quindi possono facilmente ribellarsi al potere
centrale. Sicchè il Re d'Inghilterra, che nel Medio Evo
procurava di assoldare Fiamminghi e Brabanzoni, il Re di Francia che
si circondava di Svizzeri, il signore italiano che stipendiava i
Tedeschi, in fondo obbedivano alle stesse necessità politiche
che spingevano i Re di Giuda ad assoldare Filistei e Cretesi, e
spinsero più tardi i Califfi di Bagdad ad assoldare la
guardia turca.
A nostra conoscenza solo il genio organizzatore di Roma portò
a tale perfezione l'ordinamento degli eserciti cittadini reclutati
nella classe dominatrice ed agiata e composti d'individui che
pigliavano le armi solo in caso di bisogno, da renderne possibile,
senza scosse e quasi insensibilmente, la trasformazione in un vero e
proprio esercito stanziale formato di soldati di mestiere235.
Generalmente però l'inizio degli eserciti stanziali si deve
trovare nei nuclei di mercenari indigeni o stranieri che il potere
centrale assolda per avere un punto di appoggio di fronte alle altre
forze militari feudalmente organizzate. La nazionalità dei
mercenari stessi può qualche volta essere stata determinata
da ragioni politiche e forse anche da abitudini ed attitudini
tradizionali, ma il criterio che più comunemente ha prevalso
è senza dubbio quello economico del minimo mezzo col massimo
risultato: cioè di avere il maggior numero possibile di
soldati colla minima spesa.
Perciò sono stati sempre i paesi relativamente poveri di
capitali e ricchi di popolazione, nei quali il tempo e la vita degli
uomini si possono avere a più buon patto, quelli che hanno
fornito, come regola generale, i contingenti più importanti
alle truppe assoldate236.
III. — Stranieri o indigeni i mercenari stabilmente organizzati, una
volta diventati la forza preponderante di un paese, hanno sempre
cercato d'imporsi al resto della società. Come la classe
feudale, essi, una volta conseguito il monopolio delle armi, ne
hanno profittato per ottenere privilegi, per vivere quanto
più grassamente è stato possibile alle spalle dei
lavoratori, e sopratutto per ridurre alla loro dipendenza il supremo
potere politico; e la loro influenza è stata tanto più
esclusiva quanto più perfetta era la loro organizzazione e
quanto più completa la disorganizzazione militare del resto
della nazione.
Alcuni esempi in proposito sono a tutti familiari e, senza
rammentare i pretoriani e le legioni che disponevano dell'Impero
romano, diremo che quasi ogni volta che i Governi, per reagire
contro l'anarchia feudale o per altre ragioni, hanno creato corpi di
truppe stanziali, si sono poi trovati quasi sempre in balia di
questi. Ivano IV di Russia, per non dipendere interamente dai
contingenti forniti dai boiardi e poter governare più
assoluto, formò il corpo degli strelitzi stabilmente
assoldato, e che dipendeva direttamente dal Sovrano; e ben tosto gli
strelitzi fecero e disfecero gli czar, diventarono quasi i padroni
della Russia, e Pietro il Grande non se ne potè liberare
altrimenti che mitragliandoli e decapitandoli a migliaia. A
Costantinopoli i Sultani vollero anch'essi avere una milizia
completamente fida, che all'occorrenza marciasse senza scrupoli, non
solo contro gl'infedeli, ma anche contro gli scheiks degli Arabi e
dei Kurdi, i begs albanesi e bosniaci ed i kan dei Turcomanni e dei
Tartari, perchè formata da gente senza patria e senza
famiglia, educata esclusivamente nella devozione all'Islam ed al
Padischiàh; e crearono i giannizzeri reclutati con fanciulli
circassi, greci e di altre nazioni cristiane, comprati o rapiti
giovanissimi alle loro famiglie. E ben tosto i giannizzeri crearono
e deposero i Sultani, furono i veri padroni dell'Impero degli
Osmanli, strangolarono l'infelice Selim III, che primo volle frenare
la loro onnipotenza, ed il sultano Mahmud dovette sterminarli per
vincerli.
Ed i sultani di Costantinopoli avrebbero potuto far tesoro
dell'esperienza degli Abbassidi di Bagdad, loro predecessori nel
califfato. Costoro fin dagli inizi del nono secolo, e forse anche
prima, per avere una milizia fida, che non avesse la tentazione
d'innalzare lo stendardo dei Fatimiti o dogli Ommeiadi, come non di
rado facevano le truppe arabe, avevano formato la guardia turca. A
partire dal califfo Motasem (833-842), questa guardia divenne
onnipotente ed i mercenari turchi commisero in Bagdad ogni sorta di
eccessi. Il successore di Motasem, di nome Vatek, fu dai Turchi
deposto e surrogato col fratello Al-Motavakel e poi in quattro anni
(806-870) essi fecero e disfecero tre altri califfi; finchè
il califfo Motamed, dopo la morte di Musa loro capo, potè
alquanto imbrigliarli e, sparpagliatili sulle frontiere del Khorasan
e della Dsungaria, riguardava come proprie vittorie le sconfitte che
essi toccavano.
In conclusione la storia c'insegna che ordinariamente la classe che
ha portato la lancia od il fucile si è imposta all'altra, che
ha maneggiato la vanga o la spola. Appena una società
è tanto progredita che la produzione economica debba
assorbire un gran numero di braccia e d'intelligenze, fra popoli
civili dati abitualmente alle occupazioni pacifiche, il dichiarare
in principio che tutti sono soldati, quando non vi è una
salda organizzazione militare ed un nucleo di capi e di ufficiali
particolarmente consacrati al mestiere delle armi, equivale in
pratica a non avere nel momento del pericolo alcun soldato e ad
esporre un paese popolatissimo a restare in balia di un piccolo
esercito, nazionale o straniero, purchè sia ben esercitato ed
organizzato. Dall'altro lato l'affidare il mestiere delle armi
esclusivamente a quella frazione della società, che
spontaneamente vi è più adatta e volontariamente lo
assume, sistema che pare il più naturale ed ovvio, e che
molti popoli nel passato hanno adottato, presenta pure gravissimi e
vari inconvenienti. In una società disorganizzata, in ogni
villaggio si formerà una banda di uomini composta da coloro,
che avranno più ripugnanza al lavoro metodico e più
inclinazione alle avventure ed alla violenza, e questa banda ed il
suo capo tiranneggeranno i pacifici lavoratori senza regola
nè legge. In una società semi-organizzata, l'insieme
di queste bande costituirà la classe dominatrice, che
sarà signora e padrona di tutta la ricchezza e l'influenza
politica, come fu il caso della feudalità medioevale
nell'occidente di Europa e della nobiltà polacca fino a poco
più di un secolo fa. In uno stato burocratico, che
rappresenta il tipo di organizzazione sociale più complicato,
l'esercito stanziale, che comprenderà tutti gli elementi
più belligeri e saprà facilmente e prontamente
obbedire ad unico impulso, facilmente s'imporrà al resto
della società.
Il gran fatto moderno, quasi generale nelle nazioni di
civiltà europea, di grossi eserciti stanziali rigidi custodi
della legge, ossequenti agli ordini dell'autorità civile, e
la cui importanza politica è scarsa ed indirettamente
esercitata, se non è assolutamente senza esempio nella storia
umana, rappresenta quindi una fortunata eccezione. Solo l'abitudine
di poche generazioni e la dimenticanza del passato fanno sì
che esso sembri normale a noi, che abbiamo vissuto sulla fine del
secolo decimonono e sul principio del ventesimo e che troviamo
strano quando questo stato di cose subisce qualche eccezione237. Ma
in verità un simile risultato si è potuto ottenere
solo in grazia ad un grande e sapiente sviluppo di quei sentimenti
sui quali è basata la difesa giuridica, e sopratutto
mercè una serie di circostanze storiche eccezionalmente
favorevoli, che sarà nostra cura di brevemente rammentare.
Accenniamo fin da ora che non è impossibile che altre
circostanze storiche, che si vanno elaborando, riescano ad
indebolire ed a sfasciare il complicato, delicato e sapiente
meccanismo degli eserciti moderni; ciò che ci ricondurrebbe
ad un tipo di organizzazione militare, forse più naturale e
più semplice, ma certo anche più barbaro e meno adatto
ad una difesa giuridica perfezionata.
IV. — La lenta elaborazione storica per la quale si è
arrivati alla costituzione dei moderni eserciti stanziali rimonta
alla fine del Medio Evo. Fu durante il secolo decimoquinto che, in
Francia dapprima, e poi nelle altre regioni d'Europa la monarchia
accentratrice, madre dello Stato burocratico moderno, andò
sostituendo le truppe stanziali alle milizie feudali. Se fin
d'allora l'Europa ebbe relativamente poco a soffrire dalle
insurrezioni e dalle sovrapposizioni militari, ciò si deve al
fatto che la sostituzione avvenne lentamente, gradatamente e che,
anche sulla fine del Medio Evo, la costituzione degli eserciti
europei fu complicata in guisa che diversi e disparati elementi
sociali vi erano rappresentati e si bilanciavano a vicenda. La
cavalleria infatti, al principiare del periodo storico al quale
abbiamo accennato, era in generale formata dagli uomini d'arme,
gentiluomini di nascita, profondamente imbevuti di spirito
aristocratico e feudale, che stavano però al soldo del Re;
mentre la fanteria era una raccolta di avventurieri di vari paesi.
Poco a poco prevalse il sistema di affidare anche il comando dei
reggimenti e poi delle compagnie di fanteria a gentiluomini, per
nascita ed indole diversi dai loro soldati. Inoltre, fino a Luigi
XIV ed anche dopo, si prolungò l'antico uso che un signore
raccoglieva per conto suo uno squadrone, un reggimento, una
compagnia fra gli uomini delle sue terre, e con il corpo già
formato si metteva al soldo di un sovrano. In caso di bisogno poi si
supponeva sempre che il Re potesse convocare sotto le armi tutta la
nobiltà del Reame238.
Malgrado però che la mescolanza dei vari elementi sociali e
delle varie nazionalità avesse impedito agli eserciti del
cinquecento e della prima metà del seicento di diventare
padroni degli Stati che servivano, pure non era cosa facile il
mantenere una tollerabile disciplina fra truppe formate dagli
avventurieri di ogni paese ed in gran parte dalla zavorra della
società. Se restarono proverbiali gli eccessi dei
lanzichinecchi tedeschi e dei micheletti spagnuoli, non è a
credere che i reggimenti francesi, svizzeri od italiani, croati o
walloni, si diportassero molto meglio. Bisogna leggere la
corrispondenza di don Giovanni d'Austria per vedere con quanti
stenti, con quanta destrezza ed energia del capitano e degli
ufficiali fosse mantenuta una disciplina molto relativa fra le
truppe che repressero la rivolta dei Mori negli Alpuxarres, che
s'imbarcarono nelle galee che vinsero a Lepanto e che servirono
nella guerra di Fiandra. Già nei primi anni del secolo
decimosesto il cardinale Ximenes all'udire che un esercito
spagnuolo, sbarcato per conquistare Algeri, era stato sconfitto e
quasi distrutto, dicesi che abbia esclamato: "Dio sia lodato; ecco
finalmente liberata la Spagna da tanti mali arnesi!". Ed alla fine
dello stesso secolo, fra le cose impossibili che Cervantes faceva
desiderare al curato ed al farmacista del villaggio dove nacque il
cavaliere della Mancia, ci era anche questa: che i soldati, che
dall'interno del paese si avviavano ai porti per imbarcarsi per
l'estero, non saccheggiassero per la via i contadini loro
connazionali. Sono note poi le gesta delle milizie di tutti i paesi,
che combatterono nella famosa guerra dei trent'anni. In Inghilterra
una delle cause principalissime per le quali si mantenne a lungo
l'avversione agli eserciti stanziali fu la paura della vita
licenziosa che menavano i soldati di mestiere. Sotto Giacomo II fu
famoso per stupri e rapine un reggimento inglese tornato in patria
dopo avere servito alcuni anni in Tangeri sotto il colonnello Kirke.
Siccome questo reggimento portava nella bandiera per insegna un
agnello, i soldati che di esso facevano parte furono, con umorismo
britannico, soprannominati gli agnelli di Kirke239.
Una disciplina migliore non si ebbe che nella fine del secolo
decimosettimo e sopratutto nel secolo decimottavo, durante il quale
vediamo sparire quasi generalmente le milizie feudali e cittadine e
cominciare l'êra dei veri e propri eserciti stanziali alla
moderna.
Allora la necessità di tenere molti uomini in arme e la
difficoltà di pagarli tanto quanto bastava per averli
volontarii, fecero sì che si cominciasse ad introdurre la
coscrizione nella maggior parte dei paesi del continente europeo.
Inoltre poi i soldati non vennero più raccolti fra gli
avventurieri e la feccia della società, ma furono piuttosto
scelti fra i contadini ed operai, che, anzichè dedicarsi per
tutta la vita al mestiere delle armi, tornarono dopo pochi anni alle
loro ordinarie occupazioni e gli ufficiali continuarono ad
appartenere ad una classe totalmente distinta. Essi infatti
divennero sempre più dei gentiluomini burocratizzati, che,
all'ordine ed alla puntualità dell'impiegato, accoppiarono lo
spirito cavalleresco ed il sentimento dell'onore tradizionale nella
nobiltà240.
Solo nell'Inghilterra e negli Stati Uniti d'America durò e
dura l'antico sistema di reclutare i soldati volontariamente ed a
preferenze tra gli spostati delle classi più povere della
società241. In questi due paesi, e specialmente negli Stati
Uniti, le truppe stanziali si sono mantenute relativamente scarse;
perchè, per la loro posizione geografica, la loro difesa
esteriore può in gran parte essere affidata alla marina da
guerra, mentre l'ordine interno è in parte mantenuto da
milizie cittadine e sopratutto dalla numerosa e bene organizzata
polizia. Inoltre vi si conserva negli eserciti regolari più
rigorosamente che negli eserciti del continente europeo la
distinzione di classe fra gli ufficiali e la bassa forza;
distinzione la quale fa sì che i primi per attinenze di
famiglia e per educazione siano strettamente legati a quella
minoranza, che, per nascita, cultura e ricchezza, sta al vertice
della piramide sociale242.
V. — Il valore pratico della milizia cittadina americana finora si
è dimostrato molto mediocre. Già lo stesso Washington
diceva che, se fosse stato invitato a rispondere con giuramento a
questa domanda: se le milizie erano utili od inutili, non avrebbe
esitato a rispondere che erano inutili243. Le guerre esterne infatti
ed anche quelle di secessione si sono combattute quasi
esclusivamente dall'esercito federale aumentato da arruolamenti
volontari e, nei disordini interni, è dubbio almeno se la
milizia sia più efficace a sedarli che ad accrescerli. Essa
non ha saputo impedire i frequenti linciaggi, e davanti gli
scioperanti si è dispersa o è venuta a patti, come
accadde nel 1887 ed in altri scioperi più recenti, nei quali
l'ordine è stato ristabilito dall'esercito federale244. Ad
ogni modo la milizia americana diede il modello e fu in certo modo
la madre della guardia nazionale europea, alla quale fino a quaranta
o cinquant'anni addietro si attribuiva una grande importanza,
principalmente per lo scopo politico che credevasi dovesse
disimpegnare: si voleva infatti costituire con essa un corpo armato,
il quale, emancipato dalla cieca disciplina militare, custodisse le
istituzioni parlamentari contro gli attentati del potere esecutivo
sostenuto dalle truppe stanziali.
Già fin dalla grande rivoluzione francese Mirabeau avea
rivelato molto bene gl'inconvenienti della formazione di un simile
corpo, il quale favoriva o reprimeva la rivolta secondo gli umori
del momento e si costituiva in certo modo arbitro armato fra le
autorità costituite ed i rivoluzionari245. Malgrado
ciò nel 1830, quando si fece la revisione della Carta, non si
trascurò di sancire con un articolo speciale che "la Carta e
tutti i diritti che essa consacrava restavano affidati al
patriottismo ed al coraggio delle guardie nazionali", e, quando
Garibaldi entrò in Napoli, per salvare dalla distruzione il
Castel S. Elmo, da dove fino allora le truppe regie avevano tenuto
la città sotto il loro cannone, dovette promettere che esso
sarebbe stato sempre custodito dalla guardia nazionale napoletana.
In Francia, a dir vero, non sempre l'opera delle guardie nazionali
riusci inefficace: nel 1832 e 1834 e nelle giornate di giugno 1848
la paura del socialismo produsse scatti di coraggio nei pacifici
borghesi parigini, e la guardia nazionale coadiuvò l'esercito
nella repressione delle rivolte; ma nel febbraio 1848, scontenta del
Ministero Guizot, e non comprendendo che si faceva una rivoluzione,
fu dapprincipio ostile alle truppe, poi dubbiosa ed inerte, e la sua
condotta fu causa principalissima della caduta della monarchia di
luglio246. Non seppe poi ostacolare il colpo di Stato del 2 dicembre
1851, e nel 1870-71, essendo stati ammessi a servire nelle sue file
anche gli operai socialisti, gli elementi di disordine ebbero,
com'è naturale, il disopra sopra quelli d'ordine, e la
milizia cittadina di Parigi fornì i pretoriani alla Comune.
Ai giorni nostri, in parte perchè la poca efficacia e
solidità dell'istituzione sono diventate coll'esperienza
troppo evidenti, in parte perchè ogni professionista o
bottegaio, avendo servito qualche tempo nell'esercito permanente, ha
perduto l'entusiasmo per le parate e per l'uniforme, la guardia
nazionale è stata abolita in tutti i grandi paesi
d'Europa247.
VI. — Prima di concludere sull'argomento dell'organizzazione
militare della moderna Europa e sui suoi rapporti colla difesa
giuridica dobbiamo ancora fare due osservazioni.
La prima riguarda la divisione della forza armata in due classi,
delle quali l'una comprende gli ufficiali, reclutati quasi sempre
nella classe politicamente dirigente e che hanno una educazione ed
istruzione speciale e cominciano il loro servizio con un grado
abbastanza elevato, mentre l'altra viene composta dai gregari e dai
graduati inferiori i quali difficilmente hanno aperto l'adito ai
gradi maggiori. Or questa distinzione, che parrebbe a prima vista
oltremodo convenzionale ed arbitraria, si ritrova più o meno
precisa in tutti quei grossi eserciti stanziali, di epoche e paesi
differentissimi, che sono stati meglio organizzati. Essa era
già applicata in certe epoche dell'antico Egitto,
giacchè i papiri che rimontano a quelle dinastie, durante le
quali le armi egiziane più si distinsero, ci parlano di
ufficiali dei carri di guerra e di ufficiali di fanteria educati in
speciali collegi militari, dove erano iniziati a tutte le durezze
della vita delle armi, e per entrare nei quali si doveva pagare
abbastanza, non già in danaro, che allora non esisteva, ma in
schiavi ed in cavalli248. È stata applicata in certo modo
nella China moderna, dove il mandarinato militare ha avuto qualche
analogia colla nostra ufficialità; giacchè il
mandarino militare doveva superare un esame davanti alle
autorità militari della provincia ed entrava poi con un grado
abbastanza elevato nelle milizie di una delle diciotto provincie
chinesi249. Ma era sopratutto in vigore nelle legioni romane degli
ultimi secoli della repubblica e dei primi secoli dell'impero, nelle
quali si mantenne lungamente la distinzione fra la milizia comune e
quella detta equestris, che si iniziava servendo come contubernalis
(oggi si direbbe aiutante di campo) del console o del comandante la
legione, il quale poi apriva l'adito al grado di tribuno militare ed
agli altri gradi superiori; mentre, chi iniziava la sua carriera da
semplice soldato nella milizia comune, potè per lunghissimi
secoli solo arrivare a centurione primipilare, ufficio che
costituiva quasi il bastone di maresciallo della bassa forza.
Organizzazione questa che assicurava il possesso dei gradi elevati
nell'esercito alla stessa classe sociale che occupava le alte
magistrature civili e che, avendo la ricchezza ed il potere
politico, formava l'aristocrazia dell'antica Roma250.
VII. — L'altra osservazione riguarda uno dei giudizi e pregiudizi
più sparsi nel mondo : che le qualità militari siano
cioè assai inegualmente distribuite fra i popoli, dei quali
alcuni sarebbero naturalmente timidi e poltroni ed altri arditi e
valorosi. Certo non si potrà mai dimostrare che qualche cosa
di vero non vi sia in questi pregiudizi. Ma d'altra parte ci pare
indiscutibile che sono principalmente le abitudini più o meno
guerresche di un popolo, la solidità ed il tipo
dell'ordinamento militare che ha adottato, gli elementi che
più contribuiscono ad accrescere la sua fama bellicosa.
La verità è che la guerra, come tutti i mestieri
pericolosi, richiede una certa abitudine per essere affrontata con
calma e sangue freddo; quando quest'abitudine manca, non può
essere supplita che o da quei momenti d'orgasmo, che si producono in
rarissimi periodi della vita dei popoli, o da quel sentimento del
dovere e dell'onore che, in una classe molto ristretta ed eletta,
può essere suscitato e mantenuto vivo da una educazione
speciale. Or nelle nazioni civili, nelle quali la gran maggioranza
non può stabilmente dedicarsi alle lotte cruente,
l'organizzazione militare deve tendere allo scopo di distribuire fra
le masse una piccola minoranza che a queste lotte è abituata
o che è preparata dall'educazione speciale, che abbiamo
accennato, in modo che possa padroneggiare i gregari, esercitare
sopra di essi un'influenza decisiva ed indurli ad affrontare un
pericolo, che altrimenti avrebbero evitato251.
Siccome l'organizzazione, alla quale abbiamo accennato, può
essere più o meno perfetta e può anche completamente
mancare, siccome la classe dirigente può essere familiare col
mestiere delle armi e può anche esserne, per circostanze
diverse, completamente schiva, noi vediamo, percorrendo la storia
dei popoli civili, che quasi tutti hanno avuto i loro momenti di
gloria militare, e quasi tutti hanno avuto i loro periodi di
debolezza materiale. Gl'Indiani, tante volte saccheggiati e
conquistati da Turchi, Mongoli, Afgani e Persiani e che nel secolo
decimottavo si fecero sottomettere da poche migliaia d'Inglesi,
furono il popolo asiatico che resistette più valorosamente ai
Macedoni. Gli indigeni dell'Egitto per lunghi secoli hanno avuto
fama di soldati poco valorosi, eppure si reclutavano fra gli
abitatori della bassa valle del Nilo le truppe degli Ahmes e dei
Touthmes, che ai loro tempi erano i primi eserciti del mondo. Da
Leonida ad Alessandro Magno i Greci furono considerati soldati
valorosissimi, ed all'epoca di Senofonte parlavano col massimo
disprezzo dei Siri e degli abitanti della Mesopotamia, ma quando
sorse l'Islam, le popolazioni semitiche dell'Asia ripresero il
sopravvento e fecero scempio delle pacifiche popolazioni che
ubbidivano all'impero di Bisanzio252. Gl'Italiani del Rinascimento
erano cattivi soldati, perchè disabituati della vera guerra,
ma fra i loro padri si erano reclutati i legionari di Roma, valore
sufficiente aveano mostrato all'epoca dei Comuni e, solo qualche
secolo dopo Machiavelli, i reggimenti italiani emularono per la
solidità quelli spagnuoli nella famosa giornata di Rocroy. I
Napoletani, nel passato specialmente imputati di codardia, dovettero
questa loro fama piuttosto alla mancanza di coesione ed unità
morale, che hanno mostrato in diverse occasioni, che a deficienza di
valore personale, ed in Spagna ed in Russia sotto Napoleone I ed in
altre occasioni le truppe napolitane si sono assai bene
comportate253.
VIII. — Ai giorni nostri ci è una reazione contro i grossi
eserciti stanziali e si adducono a carico di essi le braccia, che
tolgono agli opifici ed all'agricoltura, i vizi che inspirano alla
gioventù e sopratutto l'intollerabile spesa di cui sono
cagione. Vero è che questi lagni sono a preferenza mossi da
quegli elementi sociali che in ogni tempo hanno avuto più la
tendenza a farsi valere ed imporsi colla forza al resto della
società, da quelli che avrebbero naturalmente e
spontaneamente più gusto per il mestiere delle armi e che
trovano ostacolo all'esplicazione dei loro istinti, forse
incoscienti, nella presente organizzazione militare delle masse
pacifiche e lavoratrici254; ma è pur vero che le
necessità, che hanno condotte le diverse nazioni europee alla
organizzazione degli eserciti moderni, hanno ora l'effetto di
allargare sempre più l'applicazione di quei principii sui
quali essi sono fondati in maniera da snaturarne la compagine.
Le guerre napoleoniche prima e poi sopratutto quella del 1870 avendo
dato la vittoria a quelle nazioni, che hanno armato e mobilizzato
eserciti più numerosi, hanno condotto a tale esagerazione, in
quasi tutti i paesi del continente europeo, il sistema del servizio
militare obbligatorio, che ora si è arrivati al punto da aver
la pretesa di raccogliere, in caso di bisogno, nei quadri
dell'esercito tutta la popolazione valida di uno Stato di trenta,
quaranta o più milioni di abitanti. Ma per rendere possibile
l'attuazione di una simile pretesa si è dovuto da una parte
accorciare tanto la durata del servizio da rendere dubbio che i
coscritti abbiano il tempo di acquistare quelle abitudini, quello
speciale spirito di corpo, che devono distinguere il soldato dal
resto della società, e che, per ragioni tecniche e sopratutto
politiche, è necessario che non siano soverchiamente
indebolite. E, d'altra parte, si è dovuto aumentare tanto la
spesa per gli uomini, per i quadri e per gli armamenti, che sono in
continuo rinnovamento, da renderne sempre più difficile la
continuazione e da produrre quel mostruoso accumulo del debito
pubblico, che è una delle principalissime piaghe di molti
paesi moderni e sotto il quale qualcuno di quelli economicamente
meno forti rischia di soccombere.
Nè ciò è tutto: la macchina militare, a forza
di essere ingrandita, è diventata sempre più
complicata e delicata ed il dirigerne il funzionamento in tempo di
mobilitazione e di guerra è divenuta opera irta di sempre
maggiori difficoltà255. Ed è lecito anche domandarsi
se la guerra stessa sarà un fatto possibile, quando ogni
giorno di ostilità, fra i danni economici del paese e le
spese dell'erario, costerà ad ogni nazione parecchie decine
di milioni; quando, il giorno in cui sarà dichiarata, saranno
turbati gl'interessi e gli affetti di tutte le famiglie di un popolo
civile. — Or, se gli interessi economici e le ripugnanze morali, che
si oppongono ad uno scoppio bellicoso fra nazioni civili, riescono
ad evitarlo solo per sessanta o settanta anni di seguito, è
dubbio se fra le nuove generazioni potrà durare ancora quello
spirito militare e patriottico sul quale sono fondati gli eserciti
moderni e che solo rende possibili gli enormi sacrifici materiali,
che essi costano.
Quando il decadere dei sentimenti accennati e la lunghissima pace
avranno di fatto abolito o reso parvenza vana e senza subbietto gli
eserciti stanziali, rinascerà il pericolo che la prevalenza
militare ritorni ad altre razze, ad altre civiltà, che hanno
avuto ed avranno svolgimento diverso da quella europea e se ne
saranno appropriati i mezzi ed i metodi di distruzione. — E se anche
questo pericolo parrà ad alcuni troppo lontano e chimerico,
nessuno potrà negare che, nel seno stesso delle popolazioni
europee, vi saranno sempre i caratteri violenti e quelli timidi, le
discrepanze d'interessi e la voglia d'imporsi con la forza
materiale. — Sicchè, sciolta una volta od indebolita la
grande organizzazione per la quale il monopolio della funzione
militare è stato tolto a quella categoria di persone che
naturalmente vi ha più gusto ed attitudine256, chi
impedirà alle piccole organizzazioni dei forti, degli arditi
e dei violenti di ricostituirsi per opprimere i deboli ed i
pacifici? E la guerra, morta all'ingrande, non rinascerà a
minuto nelle contese tra le famiglie, le classi ed i villaggi?
In verità dai dubbi, che abbiamo espresso, si può
trarre una conclusione, che noi non osiamo quasi nettamente
formulare: che la guerra stessa cioè, nella sua forma
presente causa ancora di tanti mali e madre di tante barbarie, sia
un fatto che di tanto in tanto si rende necessario, affinchè
non decada ciò che ci ha di meglio nel funzionamento delle
odierne società europee ed esse non ritornino ad un tipo di
difesa giuridica meno elevato. Grave e terribile conclusione, che
non sarebbe del resto che un'altra di quelle conseguenze della
natura umana, così complicata e contradittoria, alle quali
abbiamo già accennato alla fine del capitolo settimo; di
quella natura umana per la quale il bene, nello svolgimento della
storia dei popoli, è sempre fatalmente connesso col male, ed
il miglioramento giuridico e morale di una società va unito
con lo sfogo delle passioni più basse ed egoistiche e degli
istinti più brutali257.
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — II. I tre problemi della vita moderna
— Il problema religioso. — III. L'avvenire del Cristianesimo. — IV.
Il Cristianesimo e la scienza positiva. — V. Il problema politico. —
VI. Esame critico del Parlamentarismo. — VII. Le riforme del
Parlamentarismo. — VIII. Quale sarebbe la riforma fondamentale —
Ostacoli che incontra. — IX. Il problema sociale — Origine della
democrazia sociale. — X. Estensione ed importanza della democrazia
sociale — Varie scuole nelle quali si divide. — XI. Esame critico
del collettivismo. — XII. La giustizia nell'organizzazione sociale.
— XIII. Esame critico dell'anarchia. — XIV. La lotta di classe. —
XV. Effetti pratici della democrazia sociale. — XVI. Cause della
stessa. — XVII. Probabilità di trionfo della democrazia
sociale. — XVIII. Rimedi atti a combatterla. — XIX. Missione della
scienza politica.
I. — Il chiudere questo nostro lavoro sarebbe cosa assai breve e
facile se ci potessimo limitare ad una semplice e sommaria
enumerazione degli argomenti che abbiamo finora trattati. Basterebbe
infatti rammentare che nel primo capitolo abbiamo esposto le ragioni
per le quali crediamo che solamente mercè lo studio dei fatti
storici si possano scoprire le tendenze costanti, ossia le leggi,
che regolano l'ordinamento delle società umane, e che nei
seguenti capitoli ci siamo appunto occupati di determinare la natura
e l'azione di alcune delle dette leggi. Abbiamo voluto infatti
dimostrare che, in qualunque aggregato umano che abbia raggiunto un
certo grado di cultura, esiste una minoranza dirigente, la quale si
recluta in modi diversi, ma sempre fondati sul possesso delle
molteplici e variabili forze sociali; cioè di quelle
qualità, che, secondo i tempi ed i luoghi, danno agli
individui che le posseggono prestigio morale e preminenza
intellettuale ed economica, e forniscono i modi di dirigere le
volontà altrui. Abbiamo anche cercato di porre in chiaro che
ogni società si fonda sopra un complesso di credenze e
principii religiosi e filosofici, che ad essa sono speciali, e in
base ai quali spiega e giustifica il suo ordinamento. Ciò ci
ha dato occasione di occuparci della diversità dei tipi
sociali, dovuta principalmente alla fondamentale diversità di
alcuni di questi sistemi filosofici e religiosi o formole politiche,
che si dividono l'impero di quella parte massima
dell'umanità, che ha raggiunto un certo grado di cultura.
Due poi sono i punti di questa parte del nostro lavoro, che ci
sembrano più specialmente suscettibili di applicazioni
scientifiche e pratiche di qualche importanza. Quello nel quale ci
siamo sforzati di provare che la migliore difesa giuridica, il
maggior rispetto del senso morale da parte dei governanti si
può ottenere solo mediante la partecipazione al Governo ed il
controllo reciproco di molteplici forze politiche. E l'altro che
consiste nella dimostrazione, che ci sembra di aver sufficientemente
dato, della incapacità che ha qualunque dottrina filosofica o
religiosa a cambiare radicalmente e durevolmente la natura umana;
specialmente quando, invece di limitare la propria propaganda ad un
piccolo numero di individui scelti, di anime elette, la estende a
tutta intera una grande società e pretende governarla
informandola ai suoi principii; senza con ciò negare la
notevole efficacia pratica che può avere la prevalenza di un
dato indirizzo dottrinario o religioso.
Infine i capitoli ottavo e nono riguardano l'applicazione delle
teorie precedentemente esposte ad un fenomeno così comune nei
tempi moderni come è stata la rivoluzione violenta e ad un
altro fenomeno in contraddizione col primo, che è
l'ordinamento dei moderni eserciti stanziali, il quale impedisce a
quella frazione della società, che potrebbe naturalmente
assumere il monopolio militare, di imporsi colla violenza alle altre
forze sociali.
Però noi crediamo che in quest'ultimo capitolo un compito un
po' più delicato e difficile ci resti ancora da esaurire.
Crediamo che sia nostro dovere l'esaminare al lume dei principii,
che abbiamo già esposto, i problemi più importanti che
agitano ora le nazioni di civiltà europea. Forse con
ciò da un lato determineremo meglio la natura di questi
problemi e potremo anche indagare più agevolmente quali siano
le soluzioni più probabili, che essi avranno; e dall'altro
lato potremo meglio scientificamente precisare i nostri concetti e
porre in luce ancora più le conseguenze pratiche, che se ne
possono trarre. Aggiungiamo che all'indagine predetta siamo pure
spinti da quello stimolo, tanto naturale ed umano, che certamente
agisce tanto sul lettore che sullo scrittore, e che fa sì che
siamo indotti ad interessarci sommamente a quei fatti ed a quelle
quistioni, che si svolgono intorno a noi, nel paese e fra la
generazione fra i quali viviamo.
II. — Diciamo subito che i problemi di cui ci occuperemo sono tre.
In primo luogo esamineremo se le presenti religioni a base dommatica
o, per precisare meglio il nostro concetto, se le diverse forme del
Cristianesimo riusciranno a sopravvivere alla presente corrente
rivoluzionaria ed a resistere al movimento razionalista, che tende a
distruggerle. In secondo luogo vedremo se la prevalenza delle
autorità politiche elettive, e sopratutto quel sistema di
governo che è comunemente chiamato Parlamentarismo, siano
suscettibili di una lunga durata, e, nel caso che si debbano
necessariamente modificare, esamineremo in che senso le
modificazioni potranno o dovranno avvenire. In terzo luogo
finalmente getteremo lo sguardo sull'avvenire della nostra
civiltà di fronte alla democrazia sociale, di questa
grandiosa corrente di sentimenti e d'idee, che invade tanti paesi
d'Europa e d'America, e che, mentre da un lato è una vera
conseguenza della loro storia più recente, dall'altro
è un fattore attissimo a modificare il loro avvenire.
Il primo di questi problemi può a prima vista sembrare il
più facile dei tre, ma certo non lo è: infatti
contiene forse una parte maggiore d'imprevedibile e d'imponderabile
che il secondo ed il terzo, che sembrano, giustamente, così
complicati e coi quali del resto è intimamente connesso.
Diciamo perciò fin da ora che, specialmente su questo primo
problema, una risposta precisa, netta e sicura non la daremo, e che
ci limiteremo piuttosto ad ipotesi ed a previsioni cautamente
generiche e pensatamente incerte.
Molti con sicurezza affermano che la scienza ammazzerà il
dogma. Questa opinione, superficialmente considerata, è senza
dubbio per diversi lati accettabile. Non si può negare
infatti che le scienze fisiche e chimiche, la geologia, la
preistoria, la critica degli stessi documenti storici, battano in
breccia tutto il soprannaturale del Vecchio e del nuovo Testamento e
l'inspirazione dei santi Padri. Diciamo anzi di più; che,
anche se la scienza non intaccasse direttamente le credenze
religiose, una mente educata alle sue severe indagini ed ai suoi
metodi rigorosi dove sentire, se è spassionata, una
invincibile ripugnanza ad accettare dottrine ed asserzioni
dommatiche, che deve considerare come gratuitamente affermate258.
Però d'altra parte è da tener presente che le credenze
religiose non hanno mai risposto ad un bisogno del nostro
raziocinio, ma piuttosto ad altre necessità della psicologia
e sopratutto del sentimento umano. Se da un certo punto di vista
possono essere considerate come illusioni, bisogna pure riconoscere
che esse son mantenute non tanto dalla loro apparenza di
verità, quanto dal bisogno che hanno gli uomini d'illudersi.
E questo bisogno è così generale, così forte,
specialmente in certi momenti della vita, che noi vediamo spesso
individui d'intelletto robusto, abituato al senso della
realtà, corredato di studi positivi, e talvolta anche di
carattere calmo ed equilibrato, pagare ad esso un largo tributo.
Nè in proposito dobbiamo attribuire troppa importanza ad un
fenomeno al quale ora assistiamo, segnatamente nei paesi cattolici,
e che può condurre ad apprezzamenti erronei. Le pratiche del
Cristianesimo nelle grandi città della Francia, in parecchie
della Spagna e dell'alta Italia, forse anche in taluna della
Germania e dell'America settentrionale, vanno scomparendo, e
scompaiono ivi a preferenza nelle plebi anzichè nelle classi
che hanno una certa agiatezza e cultura. Or non deve da ciò
dedursi che l'educazione razionalista e positiva abbia fatto fra
quelle plebi grandi progressi. Si può non solo dubitare della
verità delle dottrine religiose, ma esser convinti che esse
sono tutte fenomeni storici prodotti però da bisogni innati e
profondi dello spirito umano, perchè una educazione positiva
della mente, nutrita di larghi studi, l'ha a poco a poco abituato a
non ritenere per vero se non ciò che sia scientificamente
provato. In questo caso l'individuo, perdendo un sistema di
illusioni, resta cosi bene equilibrato che non è certo
disposto ad abbracciarne un altro, e sopratutto il primo che capita.
Ma la totalità dei miscredenti plebei ed anche, bisogna
dirlo, la gran maggioranza dei miscredenti di qualche cultura, che
abbiamo ora nelle nazioni di civiltà europea, non arriva al
razionalismo per questa strada: non crede, e schernisce,
semplicemente perchè è cresciuta in un ambiente nel
quale le hanno insegnato a non credere ed a schernire. Ed, in queste
condizioni, la mente, che respinge il Cristianesimo perchè
è una credenza basata sul soprannaturale, è sempre
disposta ad accoglierne altre certo più grossolane e volgari.
L'operaio di Parigi, di Barcellona o di Milano, il bracciante delle
Romagne o il piccolo commerciante di Berlino in fondo non sono
emancipati dall'ipse dixit, più di quanto lo sarebbero se
andassero a messa o frequentassero la predica del pastore
protestante o la Sinagoga. Invece di credere ciecamente al prete
credono con uguale cecità all'agitatore rivoluzionario. Si
stimano all'avanguardia della civiltà ed hanno lo spirito
accessibile a tutte le ubbie ed a tutti i sofismi. Lo stadio morale
ed intellettuale che hanno raggiunto, lungi dall'essere un
illuminato positivismo, non è che un volgare, sensuale e
degradante materialismo, o indifferentismo religioso che voglia
dirsi. Prima di ridere del lazzarone, che ha fede nella liquefazione
del sangue di San Gennaro, dovrebbero rendersi capaci di non
ammettere per vere cose ugualmente assurde e certo più
dannose.
III. — Ora, così stando le cose, prevalendo in parte delle
masse non già un positivismo od agnosticismo per dir
così, organico, ma un volgare ateismo d'imitazione, il
terreno che le credenze religiose hanno con rapidità perduto,
può essere, almeno per un certo spazio di tempo, prima
cioè che l'indifferenza religiosa diventi tradizionale, con
una relativa rapidità riguadagnato. Può darsi
benissimo che le dottrine socialiste e gli istinti rivoluzionari
abbiano fra qualche generazione manifestamente dichiarato la loro
bancarotta, può anche darsi che a questo risultato si arrivi
dopo lotte civili, dopo sofferenze morali ed economiche grandissime;
paragonabili, non già a quelle che si ebbero a patire dopo le
piccole rivoluzioni passeggiere del secolo decimonono, ma alle
altre, che provarono così duramente la generazione che
assistè alla grande rivoluzione francese. È risaputo
intanto che il Cristianesimo è a preferenza la religione dei
tempi difficili anzichè di quelli prosperi; di Esso si
può fare facilmente a meno quando la vita è facile ed
agiata, quando l'avvenire si presenta ridente, quando i godimenti
materiali non fanno difetto; ma si sente al contrario urgente il
bisogno delle sue speranze e dei suoi conforti quando si è
colpiti da disillusioni amare e da catastrofi, quando le privazioni
ed i dolori rendono amaro l'oggi e più amara la prospettiva
dell'indomani. Bisogna rammentare che già una volta
trionfò definitivamente quando le classi alte e medie del
mondo antico subirono quella tremenda catastrofe, quelle
inenarrabili sofferenze, che furono la conseguenza delle vittorie
definitive dei barbari e della caduta dell'impero romano
d'occidente259. Se, sulla fine del secolo decimono od all'alba di
quello venturo, molte vite fossero sacrificate, ed una buona parte
del capitale europeo fosse sciupato in lotte ed in vani tentativi di
riforme sociali, non è improbabile che al fasto ed allo
sperpero, che sono stati una delle caratteristiche degli ultimi
decenni del secolo decimonono260, non debba succedere un'era di
abbattimento e di relativa miseria, durante la quale le dottrine
cristiane troverebbero propizio il terreno per riguadagnare il cuore
delle masse261.
Finora, nei paesi cattolici, essendo appunto la Chiesa cattolica
quella che gode di una maggiore autonomia e che pretende una
più grande ingerenza nelle cose dello Stato, la propaganda
anti-religiosa è stata direttamente od indirettamente
favorita dalle autorità laiche con le quali il Papato si
è trovato in violenti conflitti d'interessi. Ciò
è avvenuto specialmente in Francia, nei primi anni della
monarchia di luglio e durante un certo periodo della terza
repubblica, ed in Italia, durante e dopo la caduta del potere
temporale dei Papi. Ma è erroneo scambiare queste lotte, che
sono episodii che di quando in quando si sono rinnovati nella vita
dei popoli cattolici, con l'essenza stessa della loro storia, dando
ad esse il carattere di guerre a morte non interrotte nè da
paci nè da tregue. Come è accaduto spessissimo nei
secoli scorsi, dopo essersi accanitamente disputata una posizione,
bisogna che quella delle due parti in contesa che l'ha perduta si
abitui alla nuova condizione delle cose e si rassegni, almeno
tacitamente, ad accettarla. Di queste ore di tacita rassegnazione la
Chiesa cattolica ne conta parecchie nella sua lunga storia.
Non è possibile poi che tanto la Chiesa che lo Stato non
finiscano coll'accorgersi che nelle loro lotte presenti, il vero
tertius gaudens, come ebbe a scrivere lo Schäffle262 e come
vede da sè chiunque sia spassionato ed. abbia appena appena
un zinzino di senno politico, è la democrazia sociale. Non
è possibile che questi due Enti non vedano alla lunga il gran
bene, che, camminando con un certo accordo, si possono
scambievolmente fare. Ormai in Francia pare che un movimento nel
senso da noi indicato si vada sempre più eccentuando263. Ed
anche in Italia il tempo è e sarà il miglior maestro,
e molta gente va vedendo, e vedrà sempre più
chiaramente, che, se da un lato il Cattolicesimo dura e facilmente
non si distrugge, dall'altro neppure è possibile distruggere
la storia; annullare cioè quei fatti ai quali un lungo
volgere di anni ha apposto il suo incancellabile suggello ed ha dato
l'autorità di cosa giudicata. Corre ormai il ventiseiesimo
anno dal dì nel quale le ultime traccie del potere temporale
dei papi furono distrutte, ed era già un pezzo che gli ultimi
suoi avanzi non si potevano più reggere per forza
propria264. Chiunque vive nel mondo europeo, e specialmente in
quello italiano, e non vuole affettare vani timori nè
pascersi d'inconsulte speranze, deve scorgere chiaramente
l'impossibilità materiale della sua restaurazione; e tutto fa
prevedere che la quistione, che ad essa si riferisce, va posta tra
quelle che il secolo ventesimo dimenticherà, incalzato, come
sarà, da tante altre questioni più nuove, più
calde, più urgenti265.
IV. — Meno conciliabile è, a dir vero, il dissidio fra il
metodo scientifico positivo e quella base soprannaturale e dogmatica
che si trova in tutte le religioni, quella cristiana compresa, e che
il Cattolicesimo segnatamente ha di recente esagerato. Ma bisogna
tener presente che la fede è cosa vecchia e la scienza
relativamente nuova. Essa avea già mostrato qualche barlume
di sè nell'antico Egitto, in Babilonia, nell'India braminica,
in China; barlumi però non coordinati, avvolti quasi sempre
nel mistero ed interrotti da lunghi secoli di oscurità.
Più forte fu la luce che sviluppò la civiltà
greco-romana; ma anch'essa si spense quasi al declinare del mondo
antico; altri sprazzi ne vediamo apparire durante l'epoca più
splendida della civiltà araba, che fecondò germi
preparati dalla Grecia e dalla Persia dei Sassanidi; ma anch'essi
furono soffocati dall'imbarbarimento progressivo del mondo
maomettano266. Come base integrante di una civiltà, come vero
portato di un periodo storico, la scienza positiva comincia nel
secolo decimosesto e non si affermò che nel decimottavo in
questa Europa, che ereditò e fecondò dottrine e
nozioni elaborate da tanti popoli e da tante civiltà. Ora, la
guerra fra questa nuova forza sociale, che si volea affermare, e la
religione che si voleva difendere, e che per prima cosa cercò
di soffocare nelle fasce il nuovo concorrente, fu naturale e
spiegabile. E la religione prima cercò di negare, e poi
colpì d'anatema i risultati della scienza, e d'altra parte la
scienza assunse con particolare impegno la missione di sbugiardare
agli occhi delle masse i dogmi della religione.
Tante istituzioni però e tante persone sembrano
incompatibili, le quali, dalla impossibilità di eliminarsi a
vicenda e dalla necessità, che ne viene in conseguenza, di
far vita insieme, sono costrette a compatirsi. Se la scienza poi
attacca direttamente od indirettamente il dogma, almeno essa si
svolge in un campo differente da quello delle religioni; il pensiero
scientifico infatti spiega la sua azione sul raziocinio umano,
mentre la fede ha la sua base nel sentimento. Il primo
necessariamente è accessibile solo a quel piccolo numero di
individui, che hanno la capacità e la possibilità di
menare una vita fortemente intellettiva, mentre l'altra estende la
sua azione sulle masse. Certo più incompatibili assai che la
scienza ed una religione sono due religioni diverse, che
necessariamente si devono sbugiardare a vicenda e si fanno la
concorrenza sullo stesso terreno. Eppure noi vediamo che, parecchie
volte, dopo lunghe ed atroci lotte, due religioni, una volta
convinte della impossibilità di distruggersi, finiscono col
tollerarsi a vicenda. Così è avvenuto ed avviene
dovunque cattolici e protestanti, cristiani e maomettani, maomettani
ed idolatri hanno convissuto e convivono pacificamente nello stesso
paese.
Ma forse la China ci offre su questo argomento un esempio, che fa
più al caso nostro. Colà le classi colte e governanti
seguono un vago Deismo, che in fondo è un vero e proprio
positivismo razionale267, mentre il popolo è buddista,
seguace della religione di Lao-Tze, o maomettano. Il Buddismo
è anche in certo modo legalmente riconosciuto e
l'autorità partecipa ufficialmente alle sue feste. Or
potrebbe avvenire qualche cosa di molto analogo in Europa. Quivi ci
pare assai improbabile che in un prossimo avvenire religioni nuove
possano, non diciamo nascere, ma diffondersi; sicchè le varie
forme del Cristianesimo manterranno la loro preponderanza in quei
paesi dove attualmente la hanno268. Alla lunga una reciproca
tolleranza potrebbe stabilirsi fra il positivismo o meglio
l'agnosticismo scientifico degli individui più colti e le
credenze seguite, non solo dalle masse povere ed incolte, ma anche
da tutta quella gran parte della classe agiata, che per sesso, per
abitudine, per l'educazione ricevuta o per temperamento, è
più ossequente agli impulsi del sentimento.
I primi dovrebbero comprendere che non si ottiene alcun vantaggio
sociale facendo la propaganda della miscredenza fra coloro che
sentono il bisogno delle credenze religiose, o che son troppo
ignoranti per arrivare a formarsi una concezione originale e propria
intorno a certi problemi naturali e sociali. E d'altra parte, coloro
che dirigono il movimento cristiano, e specialmente quello
cattolico, dovrebbero pure persuadersi, e questa persuasione a dir
vero è alquanto difficile che acquistino, che ormai la
scienza è diventata tanta parte della vita dei popoli civili,
che non può riuscire facile, e diremmo quasi che non
può riuscire possibile, di soffocarla e distruggerla.
Però le soluzioni, alle quali abbiamo ora accennato, dei
problemi moderni riguardanti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e
fra la scienza e le religioni dommatiche, sono soltanto da ritenersi
come possibili; il che non vuol dire che siano facili e sopratutto
che sian le più probabili.
Perchè fossero adottate, dovrebbero avere molto senno
politico le parti che attualmente sono in conflitto, e purtroppo, a
preferenza del senno, le passioni, i rancori ed i fanatismi dirigono
gli avvenimenti umani. Non bisogna poi dimenticare che attualmente
la corrente democratica socialista rappresenta quasi un'altra
religione, che fa una terribile concorrenza a quella cristiana, ed
è con essa quasi assolutamente incompatibile.
Or, è pure possibile che, nell'urto fra queste due correnti,
non resti più la libertà, la tolleranza sufficiente
perchè continui a prosperare ed a vivere quel piccolissimo
strato sociale capace di conservare l'indipendenza del pensiero
davanti i grandi problemi sociali e politici. Pur troppo le epoche
nelle quali è stato permesso di liberamente esprimere il
proprio pensiero, di non esser servo di alcun fanatismo, di alcuna
superstizione, sono epoche privilegiate e piuttosto eccezionali
nella storia dei popoli, ed esse non hanno durato ordinariamente
molto a lungo. Spesso le società umane si sono adagiate per
secoli in un sistema di credenze, e ad esso hanno sacrificato la
libertà di discutere e di pensare, oppure si sono dilaniate
aspramente perchè due diverse correnti di dottrine e di
credenze hanno conteso in tutti i modi per la preponderanza sociale.
I momenti di pace, di tolleranza relativa, nei quali le passioni
sono state alquanto imbrigliate e l'intelletto ha potuto con calma
osservare e ragionare, sono stati in fondo fortunate parentesi,
divise fra loro da lunghi periodi di cieco ed esclusivo fanatismo o
di selvaggie lotte e persecuzioni.
E, che ognuna di queste parentesi possa essere chiusa, è
provato dai tipi di civiltà che troviamo ora decaduti od
immobilizzati, e che dovettero avere anch'essi dei momenti in cui il
pensiero umano fu relativamente libero, altrimenti non si potrebbe
spiegare il grado di progresso intellettuale, che pure un giorno
raggiunsero. E, anche restando nell'Europa, si può rammentare
che da Aristotile si andò indietro fino al bizantinismo,
dalla civiltà splendida e positiva dei primi secoli
dell'impero romano, che solo nei secoli decimottavo e decimonono le
più colte nazioni hanno sorpassato, si andò, con una
decadenza ora lenta ora rapida, alla barbarie, che troviamo
descritta da Gregorio di Tours e Paolo Diacono ed a quella, forse
ancora più supina e degradante, che troviamo documentata
nella cronaca di Raul Glaber269. E ripensando a queste grandi
eclissi dell'intelletto umano che, senza fare pronostici la cui
difficoltà è evidente, sorge nell'animo il triste
sospetto che all'epoca presente potrà succederne un'altra in
cui non sarà libero per ogni individuo il professare o il non
professare pubblicamente la religione cristiana, ed in cui la
spontanea e sincera espressione del pensiero umano, la piena
indipendenza dell'indagine scientifica potrà essere limitata
dalla necessità di conservare intatto quel tipo sociale, che,
dopo lunghe ed accanite lotte, sarà riuscito vittorioso.
V. — Legato al problema religioso e sopratutto al terzo problema,
cioè all'avvenire della nostra civiltà di fronte allo
svolgimento della democrazia sociale, è il secondo problema
che ora imprendiamo a trattare, che riguarda la crisi che traversano
i Governi rappresentativi e sopratutto quelli parlamentari; crisi
che, ristretta oggi nel campo delle idee e delle opinioni,
può allargarsi domani in quello dei fatti e determinare
mutamenti graduali o repentini nelle istituzioni che reggono tanta
parte d'Europa.
Cominciamo coll'osservare infatti che, non tenendo conto delle nuove
forze sociali, che si affermarono durante il secolo decimottavo,
forze basate sopra la produzione di nuove ricchezze e sulla diversa
distribuzione delle ricchezze stesse e sul sorgere di una classe
media colta ed agiata, due furono le correnti intellettuali che
produssero i movimenti politici, i quali hanno condotto alla loro
volta quasi tutti i popoli di civiltà europea ai governi
rappresentativi e spesso anche ai governi parlamentari. La prima
è quella basata sulle dottrine del Montesquieu, e che
chiameremo la corrente liberale, la quale, mercè la divisione
dei poteri, ha voluto fare un argine all'assolutismo burocratico, ed
abbiamo già visto come, benchè incompleto, il sistema
d'idee al quale ora accenniamo non si possa dire fondamentalmente
errato. La seconda è la corrente democratica, il cui padre
intellettuale è indiscutibilmente il Rousseau, la quale pone
come base legale di ogni potere politico la sovranità
popolare, il mandato che i governanti ricevono dalla maggioranza dei
cittadini, e fa dipendere dalla sincera attuazione di questo
presupposto non solo la legittimità dei governi, ma anche la
loro bontà, ossia la loro attitudine a soddisfare gli
interessi e gli ideali delle masse ed a condurle verso il
miglioramento economico, intellettuale e morale270. Or, come
più avanti cercheremo di dimostrare, questa seconda corrente
d'idee, venendo alle sue ultime esplicazioni e conseguenze, ha
prodotto anche la moderna democrazia sociale.
Le numerose obiezioni che ora si muovono ai governi rappresentativi,
e sopratutto a quelli nei quali, per la larga base data al suffragio
popolare, e più ancora per la preponderanza che ha
politicamente l'organo elettivo detto comunemente camera bassa,
l'ideale democratico si potrebbe dire a preferenza attuato, sono di
tre ordini: Una prima categoria di attacchi e di critiche infatti si
riferisce ai pettegolezzi, alle lungaggini, alle futilità di
cui spesso si occupano le assemblee parlamentari. Un'altra, che fin
d'ora crediamo di potere affermare che è meglio fondata,
viene a preferenza formulata dai socialisti avanzati e dagli
anarchici, e si può riassumere nell'accusa che, dato il
presente sistema d'ineguale distribuzione della ricchezza, i
parlamenti non rappresentano gli interessi e le aspirazioni della
maggioranza, ma piuttosto quelle delle classi ricche e dirigenti. La
terza finalmente, certo più fondata di tutte, riguarda la
soverchia ingerenza, non tanto della Camera come corpo politico,
quanto dei singoli deputati, nella giustizia, nell'amministrazione,
nella distribuzione di tutta quella parte grandissima di ricchezza
sociale, che è, sotto forma di imposte e di tasse, assorbita
dallo Stato e da esso impiegata nei diversi servizi pubblici e di
quell'altra parte, pure grande, concentrata nelle banche e nelle
grandi speculazioni industriali, nelle Opere Pie, la quale non
sfugge ordinariamente alla influenza e sorveglianza dei governi
moderni.
Non ci è infatti chi non veda a prima vista quanto sia
dannosa la continua ingerenza, la faccenderia dei deputati in un
regime fortemente burocratizzato quale è il nostro; ad essa
si è dato un nome speciale, recente e pure già odioso:
si chiama infatti comunemente il Parlamentarismo.
VI. — Or gl'inconvenienti insiti a qualunque regime di discussione,
la lungaggine delle assemblee, la vacuità di molti discorsi
nei quali è facile scorgere che lo sfogo di piccole ambizioni
e del piccolo amor proprio individuale ha una parte maggiore che la
devozione al pubblico interesse, la leggerezza con cui spesso si
compilano nuove leggi, l'ostruzionismo che qualche volta ritarda
provvedimenti necessari, le stesse violenze di linguaggio non sempre
giustificate, sono tutti senza dubbio difetti gravi; ma possono
sembrare gravissimi e di capitale importanza solo a chi ha la
persuasione che il regime politico di un popolo possa andare esente
dalle debolezze inerenti alla natura umana. La capacità che
ha l'uomo di concepire il bene, la giustizia assoluta, il modo
migliore di adempiere al proprio dovere, e la difficoltà
grandissima che poi prova nel regolare le proprie azioni
conformandosi scrupolosamente a questi suoi concepimenti, producono
la conseguenza inevitabile che non vi è uomo di Stato e forma
di Governo che non possano essere oggetto di censure numerose ed,
astrattamente considerate, anche giuste. L'unico criterio pratico
per giudicare tanto gli uomini che i regimi politici è dunque
quello di paragonarli con gli altri, e sopratutto con quelli che li
hanno preceduti e, quando si può, con quelli che li hanno
seguito. Or, valutati a questa stregua, i vizi delle Assemblee, le
cattive conseguenze che il loro controllo e la loro partecipazione
al potere può produrre in tutti i regimi rappresentativi,
compresi quelli costituzionali271, sono ben poca cosa di fronte ai
danni innegabili che si avrebbero dal loro annullamento o dalla loro
completa esautorazione.
Infatti, nelle presenti condizioni della società, alla
soppressione della assemblee rappresentative seguirebbe
immancabilmente quel regime, che si chiama comunemente assoluto, e
che noi crediamo che si potrebbe meglio battezzare come
esclusivamente burocratico, perchè ha come caratteristica
principale l'allontanamento dalla vita pubblica di tutte le forze
politiche, di tutti i valori sociali, che non fanno parte della
burocrazia e, se non altro, la loro subordinazione assoluta
all'elemento burocratico. Certo non escludiamo interamente che il
disgusto sempre crescente del parlamentarismo e sopratutto la paura
della democrazia sociale, là dove essa assume un carattere
minacciosamente rivoluzionario, possano spingere parecchi popoli
della moderna Europa verso un tale regime; ma non possiamo ammettere
che ciò sarà un bene; e non occorre una lunga
dimostrazione per questa nostra tesi, dopo quanto abbiamo esposto,
nel capitolo quinto, sui pericoli e gli inconvenienti della
preponderanza assoluta, non soggetta a limitazione ed a discussione
alcuna, di una sola forza politica. E che non si tratti di
un'obiezione puramente teorica e dottrinale, ma di un valore pratico
grandissimo, è facilmente provato dall'esempio di qualche
paese di civiltà europea, dove il regime rappresentativo
ancora molto imperfettamente funziona, come ad esempio sarebbe la
Russia, e forse meglio ancora dalle ricordanze dell'antico regime
francese e da quelle più recenti che gl'Italiani,
specialmente quelli del Mezzogiorno, possono facilmente
rievocare272. Solo l'abitudine ai vantaggi di un regime di
discussione pubblica di tutti gli atti dei Governi può non
fare scorgere a prima vista agli osservatori superficiali della
giovane generazione quale sarebbe la rovina morale che verrebbe
dalla sua caduta; rovina che si esplicherebbe in una serie di
attentati alla difesa giuridica, alla giustizia, a tutto ciò
che comunemente dicesi la libertà, assai più
perniciosi di tutti quelli che possono essere addebitati, non
diciamo ai governi rappresentativi in genere, ma anche ai meno
corretti fra i Governi parlamentari273.
Le obiezioni che i socialisti molto avanzati e gli anarchici fanno
comunemente al sistema rappresentativo hanno fondamento in una
osservazione già da noi esposta nel capitolo VI del presente
lavoro ed altrove, che molti altri scrittori hanno pure formulato e
che è da maravigliare soltanto che non sia più diffusa
ed accreditata. Alludiamo al fatto evidente che i membri di una
Camera elettiva non sono quasi mai scelti liberamente e
spontaneamente dalla maggioranza dei loro elettori, perchè
questi non hanno che una limitatissima libertà di opzione tra
i pochissimi candidati, la riuscita dei quali presenta una certa
probabilità. Certo questa contraddizione flagrante tra il
fatto ed il diritto, fra la base giuridica del mandato politico e la
sua pratica esplicazione, è una debolezza grandissima di
qualunque sistema rappresentativo. Però essa può
fornire un argomento di capitale importanza contro al detto sistema
solo a coloro, e sono ancora moltissimi, che accettano la teoria
della sovranità popolare secondo la interpretazione ristretta
e precisamente circoscritta, che ne hanno dato Rousseau ed i suoi
seguaci della scuola democratica, pei quali significa che il Governo
di ogni società debba emanare dalla maggioranza numerica dei
cittadini. Ma se, come noi crediamo, la sola cosa importante e
possibile in un regime politico è che vi prendano parte tutti
i valori sociali, che in esso trovino un posto tutti coloro che
hanno qualcuna delle qualità, che, in un dato tempo e in un
dato popolo, determinano il prestigio e l'influenza delle classi e
degli individui, allora si può ammettere che, come non va
combattuta una religione per la scarsa veridicità dei suoi
dogmi quando moralmente produce buoni risultati, così le
applicazioni di una dottrina politica si possono accettare
finchè hanno per conseguenza un miglioramento della difesa
giuridica, benchè la dottrina stessa offra facilmente il
fianco ad una critica inspirata a criteri positivi. Or è
innegabile che il sistema rappresentativo dà a molteplici
forze sociali il modo di partecipare al regime politico,
controllando e limitando l'azione di altre forze sociali,
cioè, della burocrazia. E certamente, se queste sole fossero
le conseguenze e le applicazioni possibili della dottrina della
sovranità popolare, converrebbe accettarle, pur riconoscendo
la scarsa base scientifica della corrente d'idee e di sentimenti che
le ha prodotte.
Nè si dica che il fatto che le maggioranze vere e reali hanno
un'influenza molto limitata nella scelta dei rappresentanti dipenda
esclusivamente dalle presenti disuguaglianze sociali.
Indiscutibilmente, quando queste esistono, è naturale che la
scelta degli elettori cada a preferenza su coloro che nella
disuguaglianza rappresentano i punti più elevati della scala
sociale; ma, anche se per un'ipotesi, che crediamo impossibile, la
scala fosse livellata in modo da diventare un piano, resterebbe
sempre la prevalenza inevitabile delle minoranze organizzate e
facili ad organizzare, di fronte alle maggioranze disorganizzate. La
moltitudine degli elettori sarebbe perciò sempre costretta a
scegliere i suoi rappresentanti fra i candidati sostenuti dai gruppi
di persone per gusto ed interesse più attivamente dedite alla
vita politica.
Adunque, ciò che vi è di più fondato nelle
critiche, che ormai da più di un ventennio si fanno contro i
Governi rappresentativi, sta tutto nella soverchia ed esclusiva
prevalenza degli elementi elettivi, che si verifica in molti di essi
e specialmente quando degenerano nel Parlamentarismo. Il fatto che,
dove questo è in vigore, esce dal seno della Camera elettiva
il Ministero, che dirige tutta la vasta ed assorbente macchina
burocratica, e quello più grave ancora che Presidenti del
Consiglio e Ministri restano in carica finchè piaccia alla
maggioranza della detta Camera il conservarli, sono le prime e vere
radici dei mali così comunemente lamentati. E per essi che
nelle Camere la discussione degli atti del Governo ed il controllo,
che sopra l'azione governativa i deputati dovrebbero esercitare,
sono quasi sempre traviati da ambizioni personali ed interessi di
parte. È per essi che il desiderio naturale nei governanti di
fare il bene viene efficacemente e costantemente combattuto dal
desiderio, non meno naturale, di fare il proprio interesse, che il
sentimento del dovere professionale è nei ministri e nei
deputati sempre bilanciato da tutte le ambizioni e da tutti gli amor
propri giustificati ed ingiustificati. È per essi che la
macchina amministrativa e giudiziaria viene mutata in grande agenzia
elettorale col relativo sperpero di pubblico danaro e di senso
morale, che le pretese di qualunque grande elettore, attraverso il
deputato che ha bisogno di lui, e del ministro che ha bisogno del
deputato, bastano talvolta a far rinnegare qualunque rispetto
all'equità ed alla legge. È infine per questa
costante, procurata, flagrante contraddizione fra il dovere e
l'interesse di chi governa e di chi deve limitare e giudicare
l'azione del Governo, che la burocrazia e l'elemento elettivo, che
dovrebbero controllarsi a vicenda, finiscono col corrompersi e con
lo snaturarsi a vicenda274.
VII. — Prima di studiare i rimedi proposti e da proporre ad un
simile stato di cose conviene fermarsi un momento per esaminare cosa
accadrebbe se esso durasse immutato per un certo spazio di tempo,
se, ad esempio, per mezzo secolo ancora nulla di sostanziale fosse
mutato nelle istituzioni che reggono tanta parte della
società europea e non avvenissero in essa nuovi rivolgimenti
talmente violenti da spostare le influenze e le fortune personali.
Or, dato che questa ipotesi, cosa che ci pare difficile, possa
avverarsi, respingiamo formalmente quell'opinione, un tempo
abbracciata da molti ed ora seguita da pochi, secondo la quale le
istituzioni parlamentari avrebbero in sè stesse una
virtù riparatrice dei mali che producono negli inizi della
loro applicazione275. Possiamo però ammettere che questi mali
cambierebbero un po' di natura per quel fenomeno della
stabilità o cristallizzazione delle influenze politiche, che
avviene in tutti i paesi il cui regime politico non è per un
lungo tempo cambiato da infiltrazioni straniere o da un
lavorìo interiore d'idee e di passioni. I figli delle
notorietà presenti del Parlamento, della Banca e della
burocrazia arriverebbero infatti sempre più facilmente ai
posti già occupati dai padri, e si formerebbe un piccolo
mondo, una consorteria di famiglie influenti, entro la quale sarebbe
difficile agli uomini nuovi di penetrare. Accadrebbe ciò che
è accaduto in Roma repubblicana, dove le diverse generazioni
delle famiglie più cospicue si succedevano nelle cariche
più elevate e nell'Inghilterra del secolo decimottavo e dei
primi decenni del decimonono fino alla riforma del 1832, quando le
antiche famiglie parlamentari erano alternativamente alla testa
dell'Opposizione o del Gabinetto, e si accentuerebbe ciò che
già accade in Francia ed in Italia, paesi dove il sistema
rappresentativo è ancora recente, nei quali spesso vediamo i
figli, i fratelli ed i generi degli uomini politici ereditare i
collegi dei loro parenti. Mercè questa maggiore
stabilità della classe che avrebbe l'alta direzione politica
si renderebbe più difficile il farsi avanti agli uomini di
merito e di nascita oscura, ma crescerebbe la difficoltà
anche per coloro che escono dalla folla e salgono i primi gradini
della notorietà e dell'influenza politica lusingando ed
acuendo le più basse o le più insensate aspirazioni
della folla. Il tempo farebbe pure dimenticare la prima origine
impura di molte fortune e molte influenze, ai figli nati in elevata
fortuna sarebbero risparmiate le bassezze e le contraddizioni che,
per arrivarvi, furono necessarie ai padri, ma diventerebbe sempre
più flagrante la contraddizione fra lo spirito delle
istituzioni e coloro, che sarebbero chiamati a rappresentarle, e
l'oligarchia, che governerebbe a nome del popolo, e che non potrebbe
mai ripudiare interamente le arti e le ipocrisie necessarie in
qualunque regime parlamentare, starebbe sempre più lontana ed
appartata dai sentimenti e dalle passioni del popolo. E per popolo
non intendiamo solo le masse dei contadini e degli operai, ma anche
quelle numerose classi medie, fra le quali si svolge tanta parte
dell'attività economica ed intellettuale del paese.
Prescindendo quindi dagli effetti naturali, che eserciterebbe
l'azione del tempo, la quale, come abbiamo visto, sarebbe di dubbia
utilità, non è difficile escogitare quelle
modificazioni degli istituti presenti, che attenuerebbero i danni
del Parlamentarismo.
Non ci è infatti chi non veda quanto riuscirebbe utile
l'aumentare le guarentigie d'indipendenza della magistratura,
assicurando ai magistrati in tutti i paesi quella vera e reale
inamovibilità di grado e di luogo, che ora è praticata
soltanto in alcuni, ed elevando, a fatti non a parole, la loro
posizione sociale ed il loro prestigio. Non ci è chi non veda
quanto gioverebbe in Francia ed in Italia ed altrove l'introdurre il
sistema della responsabilità di tutti gli impiegati dello
Stato al modo tedesco, in guisa che tutti i pubblici funzionari di
grado elevato rispondessero dell'opera loro davanti tribunali
amministrativi realmente indipendenti, e sottraendo nello stesso
tempo i detti funzionari agli arbitrii dei Ministri e quindi dei
deputati.
Si potrebbe anche organizzare meglio il controllo finanziario,
aumentando l'indipendenza della Corte dei Conti. Disgraziatamente
tutti questi rimedi, che attenuerebbero la gravità di alcuni
sintomi del male senza toglierne la radice, sono pure di difficile
attuazione per la resistenza che gli elementi dominatori che hanno
il battesimo del suffragio popolare, e che vengono comunemente
appellati democratici, oppongono tacitamente od apertamente, in nome
degli intangibili principii della sovranità nazionale, ogni
qual volta si tratta di aumentare il prestigio e le attribuzioni di
quegli istituti, che limitano la loro onnipotenza276.
Più radicale ed efficace rimedio sarebbe senza alcun dubbio
quello, che è stato vagheggiato da molti, e che consiste in
un ritorno al sistema costituzionale del quale il Governo
parlamentare non è che una trasformazione e, secondo alcuni,
una degenerazione. Non bisogna nascondere che un movimento politico
che cercasse di arrivare a questo resultato, avrebbe una certa
facilità di pratica attuazione, perchè realmente,
stando alla lettera degli Statuti e delle Carte fondamentali sulle
quali posa l'edificio giuridico dei Governi moderni, non si
può scorgere alcuna differenza fra il regime parlamentare e
quello costituzionale, anzi tutti i testi ammettono esclusivamente
l'esistenza di un regime costituzionale non già di quello
parlamentare277. Questa forma di Governo non si è
perciò stabilita se non in base ad una serie di concessioni
tacitamente richieste dalla pubblica opinione e tacitamente
consentite dai Capi degli Stati; sicchè basterebbe un
cambiamento nell'opinione pubblica per tornare ad una
interpretazione più autentica dei principii codificati nelle
Costituzioni. Aggiungiamo non essere esatto ciò che alcuni
credono, che il Governo parlamentare cioè abbia avuto in
Inghilterra la sanzione di una durata parecchie volte secolare;
perchè realmente esso cominciò colà a
delinearsi soltanto poco prima della metà del secolo
decimottavo e non ha funzionato secondo le norme, che i trattatisti
credono corrette, se non durante il secolo decimonono e specialmente
durante il lungo regno della regina Vittoria e durante quelli dei
suoi successori278.
Malgrado ciò confessiamo che una evoluzione politica nel
senso indicato ci parrebbe ora di una opportunità molto
dubbia. In Francia, in Italia e negli altri paesi parlamentari del
continente europeo il funzionamento di tutti gli istituti politici
è ormai legato al presupposto che debba vigere in fatto il
regime parlamentare. È discutibile se sia stato giovevole il
passaggio diretto dal regime burocratico assoluto a quello
parlamentare, senza fermarsi prima, almeno per un certo tempo, nel
periodo semplicemente costituzionale; ma, poichè gli eventi
hanno cosi proceduto, bisogna subirne le conseguenze. Or
principalissima conseguenza delle teorie e delle consuetudini
politiche, che hanno finora prevalso in tanta parte d'Europa,
è stata questa: che la Camera elettiva, sicura che il
Gabinetto potea essere sempre rovesciato da un suo voto contrario,
non ha curato abbastanza la necessità di limitarne i poteri e
le attribuzioni. Sicchè essa è stata larghissima
nell'aumentare le risorse, le funzioni, le inframmettenze dello
Stato, ed è stata forse poco gelosa della
intangibilità di alcuni dei suoi poteri279; perchè ha
pensato che coloro che dello Stato sono a capo sarebbero sempre gli
strumenti della sua maggioranza.
Così stando le cose, è evidente che il passaggio
rapido dal regime parlamentare al costituzionale, nei paesi che sono
al primo abituati, condurrebbe ad un sistema di Governo molto
più autoritario e ristretto di quello che vediamo in vigore
in quelle nazioni nelle quali il costituzionalismo puro non si
è mai trasformato e le funzioni di tutti i poteri sono
rimaste sempre conformi alla lettera degli Statuti fondamentali.
Senza farsi illusioni, si può con quasi sicurezza affermare
che una simile evoluzione, decapitando la Camera dei rappresentanti,
togliendole cioè la principale delle sue attribuzioni e nello
stesso tempo conservando intatta tutta quell'assorbente
organizzazione burocratica, tutti quei mezzi e quelle abitudini di
corruzione coi quali ora i Governi parlamentari sanno modificare i
responsi delle urne, toglierebbe almeno per molto tempo ogni
spontaneità di azione, ogni importanza politica ai Parlamenti
e ci condurrebbe ad un regime molto simile a quell'assolutismo
burocratico, del quale abbiamo poco sopra accennato i vizi e
gl'inconvenienti. Ed è anche da tener presente che questi
sarebbero più sentiti, più amari, più gravi se
il Gabinetto, che inaugurerebbe il nuovo sistema, fosse uscito, come
è molto probabile, dal Parlamentarismo e fosse quindi
inquinato da tutte le corruttele e le ipocrisie inerenti alla sua
origine.
VIII. — Il rimedio più efficace e più sicuro ai mali
del Parlamentarismo starebbe in un discentramento largo ed organico,
il quale non dovrebbe solo consistere in un passaggio di
attribuzioni dalla burocrazia centrale a quella provinciale, e dalle
Camere del Parlamento nazionale ai corpi elettivi locali, ma
nell'affidare gran parte delle mansioni, che ora sono esercitate
dalla burocrazia e dai corpi elettivi, a quella classe di persone,
che per cultura ed agiatezza ha capacità, indipendenza,
prestigio sociale assai superiore a quello delle masse; la quale non
si dà ai pubblici impieghi e che ora, quando non riesce o non
vuole farsi eleggere alla deputazione, non entra a far parte dei
Consigli provinciali o di quelli dei grandi Comuni, resta
completamente lontana dalla vita pubblica. È in questo modo
soltanto che si possono lenire i mali del Parlamentarismo o rendere
meno pericoloso per le pubbliche libertà il passaggio da esso
al regime costituzionale.
Se non fosse noto altrimenti, si potrebbe rilevare da quanto noi
abbiamo già scritto che le magagne dei Governi parlamentari
hanno quasi tutte origine dall'indebita ingerenza che la burocrazia,
per mezzo principalmente dei Prefetti, esercita nella formazione
degli elementi elettivi centrali e locali e da quella, ugualmente
indebita, che gli elementi elettivi centrali, ossia i deputati,
esercitano alla loro volta sulla burocrazia.
Da ciò proviene un indecente ed ipocrita mercimonio di
tolleranze reciproche e di scambievoli favori, che è la vera
cancrena di parecchie nazioni europee. Or questo cerchio non si
rompe aumentando i poteri della burocrazia o allargando le
attribuzioni dei corpi elettivi, ma si spezzerà soltanto
chiamando nuovi elementi politici, nuove forze sociali al servizio
della cosa pubblica, perfezionando la difesa giuridica mediante la
partecipazione ai pubblici uffici di tutte le persone, che hanno
attitudine a ciò e che non sono impiegati salariati
promovibili e traslocabili a beneplacito di un Ministro, nè
devono attendere la riconferma della loro carica dalla
sollecitazione dei voti, dal beneplacito di un comitato o di un
faccendiere elettorale.
In Francia, in Italia ed altrove, in ogni provincia o dipartimento
si potrebbe applicare il concetto testè esposto, facendo la
lista di tutti coloro che hanno una laurea universitaria280 e pagano
un dato censo, e formandone una categoria speciale di funzionari
gratuiti, la quale, sebbene aperta a tutti coloro che arrivassero a
conquistare i titoli enunciati, pure per l'omogeneità della
condizione sociale e per la naturale tendenza che ha l'uomo per le
distinzioni sociali, acquisterebbe presto solidità e spirito
di corpo, e dedicherebbe volentieri una parte del suo tempo ai
pubblici negozi.
Fra gl'individui appartenenti a questa categoria si dovrebbero
scegliere a sorte o nominare a vita, secondo i casi, i giudici
conciliatori, gli ufficiali incaricati di redigere le liste degli
elettori politici e comunali e alcuni nuovi funzionari, che
dovrebbero essere incaricati di certe mansioni di polizia
giudiziaria. Nella stessa classe dovrebbero essere scelti i
componenti dei tribunali amministrativi di primo grado, che
dovrebbero surrogare, là dove esistono, le presenti Giunte
amministrative e che potrebbero essere anche presieduti da un
magistrato di carriera. Lo stesso elemento potrebbe, anzi dovrebbe,
essere rappresentato nei Consigli di prefettura.
Certo non possiamo qui esporre minutamente tutto un sistema di
riforme delle istituzioni politiche ed amministrative della
società europea e diamo quindi soltanto l'idea fondamentale,
che del resto non è esclusivamente nostra281, alla quale le
riforme dovrebbero essere inspirate, tracciamo la via che ci pare
opportuno e necessario di seguire. Non ci dissimuliamo neppure le
obiezioni, che alla immediata applicazione dei nostri concetti si
potrebbero opporre. Anzi, sebbene non abbiano tutte la stessa
gravità, è nostro dovere farne un sommario esame.
Si può dire infatti che la presente istituzione della giuria
è organizzata secondo il metodo da noi propugnato e che pure
essa fa cattiva prova e si va di giorno in giorno sempre più
discreditando. Ma, in primo luogo, osserviamo che le accuse contro
la giuria sono forse esagerate nel senso che gl'inconvenienti, che
ad essa esclusivamente si attribuiscono, sono forse a preferenza il
frutto di una tendenza generale del secolo verso una soverchia
mitezza nella repressione dei reati comuni; tendenza contro la
quale, presto o tardi, dovrà affermarsi una forte reazione.
In secondo luogo poi gli elementi che entrano nella giurìa
non sono esclusivamente quelli da noi indicati, perchè,
essendosi allargata molto, anzi troppo, la base di questo istituto,
ne fa parte una maggioranza di persone, che non ha la preparazione
intellettuale e morale sufficiente al delicato ufficio che deve
esercitare.
Or gli organismi sociali spesso funzionano male, non già
perchè il principio al quale devono la loro origine sia
sostanzialmente falso, ma perchè è male applicato.
Certo, ad esempio, è giusto il principio propugnato dal
Machiavelli, che la forza armata a tutela dell'ordine e
dell'indipendenza di uno Stato debba essere composta di cittadini,
che a turno prestino il loro servizio, anzichè di stranieri e
di mercenari, che della milizia fanno un mestiere. Ma, mentre una
sapiente ed accorta applicazione di questo principio ha prodotto i
moderni eserciti stanziali, un'applicazione inorganica e leggiera
dello stesso avrebbe risultati identici a quelli che diedero
l'ordinanza fiorentina creata secondo i suggerimenti del segretario
fiorentino e la guardia nazionale che funzionò in Italia fino
a quarant'anni fa.
Si può anche obiettare che la formazione di una classe di
funzionari come quella da noi accennata avrebbe qualche cosa di
artificiale e di arbitrario. Non neghiamo che ad un osservatore
superficiale la critica possa sembrare giusta, perchè nessun
istituto umano, nessuna legge, si sottrae alla necessità di
stabilire limiti che hanno qualche cosa di artificioso e
convenzionale282; ma, nel caso nostro, se guardiamo alla sostanza
delle cose, ci pare che sia perfettamente il contrario. Nei nostri
costumi e nelle nostre abitudini private facciamo infatti sempre una
notevole distinzione tra colui che ha un'elevata cultura e per la
sua posizione economica fa parte della buona società, e
l'uomo povero ed ignorante; e, se politicamente sono ambidue
considerati alla stessa stregua, ciò dipende appunto dal
fatto che nel nostro ordinamento politico prevalgono criteri
arbitrari e convenzionali. Se una cosa ci deve perciò far
maraviglia è la nullità politica come classe di coloro
che hanno i requisiti accennati. E diciamo pensatamente come classe,
perchè poi, individualmente, escono ora quasi tutti dagli
strati sociali che hanno una certa agiatezza ed una certa cultura
coloro che coprono le cariche elettive di qualche importanza,
cioè i deputati, i consiglieri provinciali o dipartimentali
ed i sindaci ed i consiglieri comunali delle grandi città. Il
male è che ne escono dopo esser passati, meno rare eccezioni,
attraverso un sistema di selezione alla rovescia, che esclude dai
posti di maggiore importanza quanti non vogliono o non possono
comprare i voti degli elettori, oppure coloro che hanno carattere
troppo elevato per sacrificare all'ambizione la dignità, e
troppa lealtà e correttezza per profondere promesse che sanno
di non poter mantenere, o che si mantengono soltanto col sacrificio
dell'utile pubblico a quello privato.
Più grave, più reale è l'ostacolo che
all'attuazione pratica dei nostri concetti verrebbe dalle presenti
condizioni economiche di molti paesi d'Europa. Nel secolo scorso e
nella prima metà di quello presente, la gentry inglese ha
esercitato quasi tutti gli uffici equivalenti a quelli che noi
vorremmo affidati alla classe, che ad essa corrisponde nella
società del continente europeo; e li ha esercitato in base ad
un sistema analogo a quello che vorremmo introdurre nei nostri
paesi, sistema che purtroppo, è bene che lo dichiariamo fin
da ora, per l'influenza delle moderne idee democratiche, ha perduto
negli ultimi decenni molto terreno anche al di là della
Manica.
Ma l'Inghilterra è stata negli ultimi secoli un paese
relativamente ricco e, fino a cinquant'anni fa, la scienza non avea
una così larga applicazione nei varii rami
dell'attività sociale: perciò a stabilire il prestigio
di un individuo bastava una certa agiatezza ed una certa educazione
morale e non era, come oggi, quasi indispensabile che a questi
fattori si aggiungesse una cultura superiore. Ora le
necessità dei tempi e sopratutto il bisogno di mantenere la
propria influenza possono indurre la classe più ricca, quella
che possiede le grandi fortune, a scuotere la tradizionale ignavia,
della quale ha dato in molti paesi spettacolo, ed a seguire i corsi
universitari; ma questa classe è e sarà sempre molto
ristretta, e non potrà bastare a tutti gli uffici che abbiamo
enumerato, se non è unita a quell'altra, che possiedo solo
una onesta e mediocre agiatezza.
Intanto questo strato sociale è appunto quello, che
più stenta a mantenere il proprio rango, colpito come
è, forse a preferenza degli altri, dai pesantissimi e
depauperanti sistemi tributari moderni. Sicchè esso
difficilmente in molti paesi conserva quel margine di benessere
economico, che è indispensabile per adire la cultura
superiore quasi esclusivamente a scopo di decoro individuale, di
lusso di famiglia, di utilità sociale; ma a preferenza la
consegue con uno scopo professionale, costretta come è ad
avere quei diplomi, che sono necessari per l'esercizio delle
carriere dette liberali. E fin qui il danno sociale sarebbe forse
tollerabile, ma il peggio è che l'ingombro di queste carriere
spinge sempre più questa classe verso la ricerca affannosa
dei pubblici impieghi, i quali per le pressioni degli aspiranti si
moltiplicano non solo nelle amministrazioni centrali, ma anche in
quelle locali, occasionando nuove spese e nuove ingerenze
burocratiche. Sicchè si stabilisce un cerchio fatale di cause
ed effetti reciproci, per il quale la rovina della media
proprietà e dei capitalisti mediocri, dovuta al soverchio
peso delle imposte, rende quasi necessario di aumentare ancora le
imposte: e vengono così trasformati in funzionari di carriera
quegli stessi elementi sociali, che, in un paese più
prospero, resterebbero liberi cittadini e costituirebbero il
più efficace controllo all'azione della burocrazia.
Ma anche le difficoltà economiche si potrebbero gradatamente
superare, se, alla formazione di una nuova aristocrazia a basi
larghe, di una classe numerosa, che racchiuderebbe quasi tutte le
energie morali e le forze intellettuali delle nazioni e che sarebbe
lo strumento più atto a contrappesare le oligarchie
burocratiche, bancarie ed elettorali, non fosse più forte e
meno vincibile ostacolo quella corrente democratica, ancora tanto in
voga, la quale nessuna legittimità di azione politica,
nessuna prerogativa ammette, che non emani direttamente od
indirettamente dal suffragio popolare. Questa corrente, che, come
abbiamo già accennato, ha contribuito potentemente a
diminuire, negli ultimi decenni, le attribuzioni della gentry
inglese e le ha affidate in cambio all'elemento elettivo od alla
burocrazia, spiegherebbe tutta la forza di cui è ancora
capace per impedire che una evoluzione in senso inverso si compisse
nel continente europeo. In fondo perciò la maggiore
difficoltà nei rimedi da applicare ai mali del
parlamentarismo sta tutta nelle condizioni intellettuali delle
società, che sono rette a sistema parlamentare, nelle
dottrine cioè e nelle opinioni che in esse sono più
diffuse; e, nella ricerca di questi rimedi, finiamo col trovarci di
fronte a quello stesso ordine d'idee e di passioni al quale deve la
sua origine la democrazia sociale283.
IX. — Cominciando l'esame di quest'ultimo ed importantissimo degli
argomenti, che ci eravamo prefissi di trattare, sarà
opportuno premettere un po' di storia. In parecchi movimenti
religiosi e sociali, che poi hanno assunto grandi proporzioni,
può riuscire difficile il rintracciare esattamente e
determinare la parte precisa che il primo fondatore ed i suoi
prischi collaboratori hanno avuto nella maniera come i detti
movimenti praticamente si sono svolti; diciamo di più che non
è agevole l'accertare la fede di nascita dei primi maestri ed
i caratteri che, fin dalla nascita, erano loro speciali. La
personalità di Sakya Muni resta confusa infatti tra il vago e
l'incerto delle leggende buddistiche e forse non si potrà mai
determinare la parte che Manete, primo fondatore del Manicheismo,
ebbe in quelle credenze che poi produssero in Persia sulla fine del
secolo quinto una specie di tentativo di rivoluzione sociale. Ma,
quando spuntò l'alba del socialismo odierno, eravamo
già in un periodo intellettualmente assai più maturo,
nel quale le dottrine nuove ed i ricordi personali venivano subito
raccolti e fissati in libri pubblicati a migliaia di copie, che non
saranno mai forse interamente distrutti e perduti. I primordi
perciò delle attuali dottrine riformatrici sono noti e
possono essere seguiti passo per passo; ed, arrivando alle loro non
lontane origini, facilmente constatiamo che Voltaire e i suoi
seguaci ebbero una parte importantissima nel distruggere il mondo
antico, ma non accennarono quasi mai a sistemi sociali nuovi che a
quello allora vigente si potessero sostituire. Sicchè il vero
padre di quei sentimenti, di quelle passioni, di quel modo di
comprendere e giudicare la vita sociale, che hanno avuto per
conseguenza pratica la nascita e lo sviluppo della democrazia
sociale, è indiscutibilmente, per come molti hanno già
osservato prima di noi, Giangiacomo Rousseau284.
Certo è facile trovare nella China, nell'India, perfino
nell'antico Egitto, in qualche scrittore greco e romano, nella
Persia dei Sassanidi, fra i Profeti d'Israele e fra i Santi Padri
della Chiesa cattolica, negli eresiarchi cristiani del Medio Evo e
del principio dell'era moderna e fra i rèformatori della
religione maomettana, idee, sentimenti, giudizi staccati e talvolta
anche sistemi completi di credenze, che si avvicinano mirabilmente a
quelli dei moderni socialisti285. Ciò è molto naturale
perchè i sentimenti sui quali poggiano tanto le scuole
socialiste propriamente dette, quanto quelle anarchiche, non sono
certo esclusivi delle odierne generazioni europee ed americane.
Inoltre l'applicazione dello spirito critico all'analisi delle
istituzioni sociali contemporanee, collo scopo di fornire una base
razionale e sistematica, almeno apparente, alla esplicazione dei
sentimenti accennati, è pure un fatto antico ed abbastanza
ovvio, che può accadere in tutte le società umane
arrivate ad un certo periodo della loro maturità.
Però ciò non significa che il socialismo odierno
discenda per filiazione morale ed intellettuale diretta e non
interrotta da alcuna delle dottrine che hanno con esso qualche
analogia, e che fiorirono nelle diverse parti del mondo in secoli
più o meno remoti, e perirono dopo aver lasciato nella storia
traccie più o meno profonde della loro propaganda. Le odierne
scuole riformatrici, tanto socialiste che anarchiche, che non si
riattaccano ad alcun principio religioso ed hanno una base puramente
razionale, sono invece un parto spontaneo delle condizioni
intellettuali e morali del secolo decimottavo e del secolo
decimonono. Il loro germe è tutto in quella dottrina che
proclama l'uomo naturalmente buono, e sostiene che la società
lo rende cattivo, dimenticando che la struttura di una
società non è che un risultato delle transazioni e
degli equilibri fra gli svariati e complicatissimi istinti umani.
Or il primo che formulò nettamente questa dottrina, colui che
ne fu il propugnatore più illustre, è senza dubbio il
filosofo ginevrino, nelle cui opere, del resto, non solo appare
esplicitamente il concetto che pone la giustizia assoluta a
fondamento di tutte le istituzioni politiche e condanna
perciò ogni disuguaglianza politica ed economica, ma anche
agevolmente si riconoscono quei sentimenti di rancore verso i
prediletti della fortuna, i ricchi, i potenti, che entrano per tanta
parte nel bagaglio polemico dei socialisti delle generazioni passate
e della presente286.
Il lavoro sull'origine della ineguaglianza fra gli uomini, nel quale
il Rousseau poneva quei germi che, fecondati maravigliosamente
dall'ambiente, doveano tanto svilupparsi, fu pubblicato nel 1754 e
già l'anno dopo, nel 1755, dai principii posti si traevano le
naturali conseguenze in un libro lungamente oscuro, attribuito per
un pezzo al Diderot, ma il cui vero autore è certo Morelly, e
nel quale già sono grossolanamente ma chiaramente tracciate
le linee fondamentali di una riforma sociale in senso
collettivista287; ed ugualmente per l'abolizione della
proprietà privata conchiudeva nel 1776 uno scrittore, ai suoi
tempi abbastanza celebre e conosciuto, cioè l'abate Mably, e
la famosa frase di Proudhon che la proprietà è un
furto la troviamo già in un opuscolo pubblicato nel 1778 da
quel Brissot di Warville, che divenne poi uno dei capi più
noti del partito girondino288.
Si è molto disputato e si disputa ancora se gli uomini che
diressero il gran movimento rivoluzionario francese alla fine del
secolo XVIII fossero stati o no intinti di dottrine socialiste.
Anteriormnente al 1848 il Blanc lo ha affermato ed il Quinet,
fondandosi principalmente sulle memorie del convenzionale Baudot, lo
ha negato. A noi pare evidente che il socialismo debba essere una
conseguenza necessaria della democrazia pura, se almeno per
democrazia devesi intendere la negazione di ogni superiorità
sociale che non sia basata sul libero consenso della maggioranza; e
su questo punto non esitiamo a dar perfettamente ragione allo Stahl
e torto al Tocqueville e ad altri, che hanno sostenuto il contrario.
Però una conseguenza necessaria non vuol dire che debba
essere immediata, ed è naturale anzi che corra un certo tempo
fra il tentativo di attuare l'uguaglianza assoluta nel campo
politico e l'altro col quale si cerca di applicarla anche nel campo
economico, giacchè ordinariamente solo l'esperienza insegna
che la prima è del tutto apparente se non è completata
dalla seconda. Sicchè, durante il periodo che corre dal 1789
al 1793, un po' perchè l'esperienza mancava, un po'
perchè le dottrine socialiste erano ancora nella loro
infanzia e non erano state ancora bene elaborate e concretate in
sistemi che avessero almeno l'apparenza scientifica, sopratutto poi
perchè i capi dei rivoluzionari d'azione, se erano soldati,
si contentavano di arrivare in un par d'anni da sergenti a generali,
se avvocati, si limitavano a diventare (quando non morivano sulla
ghigliottina) legislatori, proconsoli, membri dei Comitati di salute
pubblica, o alla peggio altissimi funzionari, e perchè tutti
costoro, insieme ai contadini, trovavano assai comodo acquistare
dallo Stato le proprietà private degli emigrati mercè
un pugno di assegnati senza valore, le teorie che ufficialmente
prevalsero nelle varie Assemblee legislative e costituenti furon
quelle che i socialisti odierni chiamano individualiste e borghesi.
Vero è che se tali furono le dottrine prevalenti, ben altra
intonazione ebbero gli istinti e le passioni che allora si
scatenarono, e che, se non si fece ufficialmente la guerra alla
ricchezza ed alla proprietà privata in genere, la si fece, in
generale con molta efficacia, ai proprietari ed ai ricchi. Quindi di
fatti e discorsi dei rivoluzionari d'allora, perfettamente
all'unisono colle aspirazioni dei socialisti rivoluzionari di mezzo
secolo fa e d'oggi, se ne possono citare a dovizia289.
Nondimeno, quando il movimento rivoluzionario era già al suo
declinare, troviamo un tentativo per attuare l'uguaglianza assoluta
e porre termine alle oppressioni ed ai privilegi, mediante
l'abolizione della proprietà privata e la concentrazione di
tutta la ricchezza nelle mani dello Stato. Questo infatti era il
fine, che, come è notorio, si proponeva di raggiungere il
famoso Cajo Gracco Babœuf. La cospirazione degli Eguali, della quale
costui era a capo, comprendeva tutta quella parte dei sopravvissuti
giacobini, che nelle idee socialiste, come abbiamo visto non ignote
alla fine del secolo scorso, volevano attingere la forza
ravvivatrice della rivoluzione, che accennava a spegnersi
nell'anarchia o nel cesarismo. Compagno del Babœuf, che, sventata la
sua congiura, fu ghigliottinato come si sa nel 1797, era l'italiano
Buonarroti, anello di congiunzione fra i socialisti del secolo
scorso e quelli della prima metà del presente. Egli infatti
espose chiaramente le dottrine del suo maestro in un libro che
comparve nel 1828, che contiene tutta la parte essenziale delle
dottrine secondo le quali lo Stato deve diventare unico proprietario
delle terre e dei capitali290.
Questo libro ebbe una grandissima influenza nell'educazione
intellettuale di tutte le conventicole rivoluzionarie che si
formarono in Francia poco prima e sopratutto dopo della rivoluzione
del 1830, quando le passioni e gl'intelletti cominciarono ad
agitarsi nel senso di una radicale riforma della società e si
costituì il primo grande ambiente socialista. Pochi anni
prima del Buonarroti aveano cominciato le loro pubblicazioni il
Fourier ed il Saint-Simon291, e nei dieci o quindici anni che
seguirono il 1830 il socialismo veniva fecondato dalle pubblicazioni
di Pietro Leroux292, di Luigi Blanc293 e di Proudhon294, per tacere
degli astri minori. E, a stare bene attenti, nella feconda fioritura
d'idee riformatrici che ebbe luogo in Francia dal 1820 al 1848,
troviamo già accennate tutte le varietà e le
gradazioni del socialismo presente. Abbiamo infatti già il
socialismo legalitario di Fourier e quello rivoluzionario di Blanc,
ci sono già in Proudhon i germi delle dottrine anarchiche e
nel Buchez è già abbozzato il socialismo cristiano295;
e, se guardiamo ai metodi coi quali si faceva la propaganda,
constatiamo anche allora la pubblicazione del romanzo collettivista
che mena grande rumore296.
X. — Se una lettura attenta degli scrittori socialisti anteriori al
1848, che sono quasi tutti Francesi, ci può facilmente
convincere che essi poco o nulla lasciarono da inventare ai Tedeschi
che vennero dopo, se si può agevolmente scorgere che Marx non
ha fatto che sviluppare sistematicamente, in una forma più
strettamente logica e valendosi di una conoscenza più ampia
dell'economia politica classica ed anche della filosofia hegeliana,
quegli stessi principii, che già avevano posato il
Buonarroti, il Leroux, il Blanc e sopratutto il Proudhon, non
è men vero che il socialismo contemporaneo è un
fenomeno sociale assai più grave di quello di sessanta anni
fa. La sua diffusione, infatti, è senza paragone maggiore,
perchè, invece di essere ristretto quasi unicamente alle
grandi città della Francia e sopratutto a Parigi, abbraccia
quasi tutta l'Europa oltre agli Stati Uniti d'America ed
all'Australia, sicchè si può dire che sia un bene od
un male comune a tutti i popoli di civiltà europea. Nè
in profondità ha guadagnato meno che in estensione;
giacchè gl'istinti rivoluzionari ed i propositi generosi, che
prima trovavano un obbiettivo ed uno sfogo nel movimento
semplicemente democratico o in quello per la ricostituzione di
alcune nazionalità, ora che i governi rappresentativi a larga
base sono stati introdotti quasi dappertutto ed hanno avuto spesso
per risultato le delusioni del Parlamentarismo, ora che
l'unità italiana e quella tedesca sono da un pezzo quasi
compiute e che la quistione polacca può sembrare tristamente
giudicata, si sono tutti concentrati nell'aspirazione di riforme
sostanziali del presente ordinamento sociale297.
È venuto un momento in cui sono molti al mondo che hanno sete
di giustizia e nutrono la speranza di poterla presto soddisfare.
Ormai non è più un pensatore, un uomo di cuore isolato
“che ha veduto tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole, ha
veduto le lagrime degli oppressi, i quali non hanno alcun
consolatore, nè forza da potere scampare dalle mani dei loro
oppressori”298 e, colla constatazione generale del danno, va unita
la fiducia nella possibilità di un sollecito rimedio.
La credenza che i primi Cristiani avevano nel prossimo avvento del
regno di Dio, che dovea fare sparire il male, premiare i giusti,
punire i malvagi, trova il suo riscontro nella persuasione, diffusa
in tutti gli strati sociali, che la parte maggiore delle
iniquità, che si trovano nel mondo, sia imputabile alla
maniera come è ora organizzata la società, e che esse
potrebbero essere evitate se coloro che hanno nelle mani il potere
sociale non fossero lo strumento dei ricchi e dei forti ed
intervenissero efficacemente a favore dei deboli. Questa
persuasione, che ornai ha conquistato tante menti e riscalda tanti
cuori, la convinzione omai tanto sparsa che vi sia una quistione
sociale, che fra poco siano inevitabili importanti riforme del
diritto di proprietà, della famiglia, di tutta la presente
organizzazione industriale e capitalistica, i tentativi e le
promesse, che gli stessi governanti ed i Sovrani non mancano
talvolta di fare su questo argomento, contribuiscono a formare
quell'ambiente intellettuale e morale in cui il socialismo militante
vive, prospera, si diffonde.
Col favore infatti di quest'ambiente, attorno ai più reputati
maestri ed organizzatori, si sono formate due numerosissime
organizzazioni politiclie, ognuna delle quali ha le sue aspirazioni,
i suoi programmi, le sue dottrine abbastanza circoscritte e
determinate, quasi due vere Chiese: esse sono costituite dai seguaci
del collettivismo e da quelli dell'anarchia. Ambedue hanno, a
somiglianza delle comunità religiose, una certa tendenza
all'universalità e, se non spediscono missionari a convertire
i barbari, esercitano però la loro propaganda in quasi tutti
i popoli di civiltà europea; in una di esse più
specialmente, cioè in quella collettivista, vediamo che,
malgrado i numerosi eresiarchi ed i frequenti scismi, fenomeno
comune a tutti gli organismi giovani e pieni di vita, i capi,
gl'ispiratori, si riuniscono in frequenti concilii nazionali ed
universali, e discutono intorno ai dogmi, alla disciplina, alla
linea di condotta che il partito deve tenere, e fissano norme e
metodi, che poi sono dalla moltitudine dei credenti universalmente
accettati.
XI. — L'esporre succintamente i postulati del collettivismo è
cosa abbastanza facile, essendo essi già abbastanza noti a
tutte le persone di qualche cultura dopo che, da non pochi anni a
questa parte, i suoi seguaci son diventati cosi numerosi da essere
rappresentati nei Parlamenti dell'Italia, della Francia e sopratutto
della Germania, dove essi assumono il titolo, che noi crediamo il
più scientificamente adatto a designarli, di democrazia
sociale. Secondo dunque la dottrina universalmente riconosciuta per
ortodossa, lo Stato rappresentante della collettività dei
cittadini dovrebbe essere l'unico proprietario di tutti gli
strumenti di produzione, siano essi capitali propriamente detti,
macchine o terreni, e dovrebbe essere l'unico direttore e l'unico
distributore della produzione economica.
Non essendovi più nè proprietari d'immobili, nè
capitalisti privati, tutti lavorerebbero per conto dell'intera
società, e l'organismo sociale provvederebbe a tutti o in
ragione del bisogno di ogni individuo, come avrebbe voluto una
formola più semplice e più antica, o in ragione del
lavoro compiuto, come vorrebbe la formola più nuova ed ora
più generalmente accettata299.
Tutta la macchina cosi organizzata sarà poi amministrata e
diretta da capi scelti dal popolo a suffragio universale, che
avranno cura di attribuire ad ognuno quella qualità di lavoro
di cui è più capace, faranno in modo che i prodotti
del lavoro e dei capitali sociali non siano sciupati nè
indebitamente sottratti o goduti, e nello stesso tempo ne
distribuiranno ad ogni individuo, con perfetta equità e
giustizia, quella quota esatta, che gli spetta o come prodotto del
proprio lavoro onestamente ed infallibilmente calcolato, o per i
propri bisogni, dei quali con eguale imparzialità i
governanti si saranno formato un esatto criterio.
Or noi non vogliamo tener conto delle lotte civili, delle violenze,
che molti giustamente ritengono indispensabili per l'attuazione di
questo programma e che certo non farebbero che esasperare gli odi e
rancori e le cupidigie e, dividendo la popolazione in vincitori e
vinti e mettendo i secondi in balia dei primi, darebbero agio di
sfrenarsi ai più malvagi tra gl'istinti umani. Ammettiamo
anzi che le riforme accennate siansi potute compiere pacificamente e
di comune accordo, o che i secoli col loro volgere abbiano
già spento l'ultima eco delle guerre fratricide, con le quali
il nuovo tipo di organizzazione sociale si era inaugurato.
Ammettiamo anche di più, che la produzione e la ricchezza
totale della società non sia, come vogliono gli economisti, e
come ci pare che essi abbiano indiscutibilmente provato, col nuovo
sistema notevolmente diminuita. Anzi siamo prontissimi a riconoscere
che il lato etico del problema sociale debba avere un'assoluta
prevalenza su quello esclusivamente economico e che giustamente per
molte menti e molte coscienze il poco, ben diviso, sia preferibile
al molto, diviso male. Ma, dopo aver tanto conceduto, abbiamo il
diritto ed il dovere di proporre un'altra quistione, che chiameremo
politica, perchè è la più larga, la più
comprensiva che si possa immaginare; perchè è un
prodotto spontaneo dell'esame sintetico di ogni ordine di rapporti
sociali; perchè la sua soluzione deve interessare non meno
gli economisti ortodossi che i socialisti, non meno i capitalisti
che gli operai, i ricchi che i poveri; perchè essa è
la prima, la più importante per tutti i cuori nobili, per
tutti gl'intelletti spregiudicati, che, al disopra di qualunque
formola e di qualunque partito, pongono la ricerca spassionata di un
assestamento sociale che rappresenti il massimo del bene che sia
lecito alla nostra povera umanità di raggiungere. Abbiamo
dunque il diritto ed il dovere di chiedere se, con l'attuazione del
sistema comunista o di quello collettivista, la giustizia, la
verità, l'amore ed il compatimento reciproco fra gli uomini
avranno nel mondo un posto maggiore di quello che ora vi occupano:
se i forti, che staranno sempre in alto, saranno meno soverchiatori;
se i deboli, che rimarranno sempre in basso, saranno meno
soverchiati. A questa domanda rispondiamo fin d'ora recisamente, ma
osiamo dirlo ponderatamente, con un no.
Un uomo di mente ci disse una volta che era impossibile allo
studioso di scienze storiche e politiche di prevedere esattamente
ciò che avverrà in un futuro prossimo o remoto nelle
società umane, perchè vi è sempre negli eventi
umani una parte dovuta a ciò che comunemente si chiama il
caso fortuito, la quale non potrà mai essere in anticipazione
calcolata; aggiungeva però che si può al contrario
prevedere molto bene ciò che non avverrà mai,
l'indagine negativa avendo una base sicura nella conoscenza della
natura umana, la quale mai permetterà che si attui realmente
ciò che ad essa fondamentalmente ripugna300. La seconda di
queste massime ci pare molto applicabile al caso che ora stiamo
studiando, e la sua applicazione deve riuscire tanto più
facile che in gran parte non si tratta già di prevedere
ciò che potrà o no accadere, ma di constatare
semplicemente ciò che è accaduto e tutti i giorni
accade; sicchè il moltissimo già per esperienza noto
ci rende agevolissimo lo stabilire ciò che sarà il
poco, che alcuni credono ancora un ignoto.
Infatti le società comuniste e collettiviste sarebbero senza
dubbio rette da magistrati eletti esclusivamente a suffragio
universale301, e noi sappiamo già come funzionino i poteri
politici dove essi sono in mano quasi esclusivamente ai così
detti mandatari del popolo. Sappiamo già come le maggioranze
non abbiano che un semplice diritto di opzione fra i pochi candidati
possibili e come non possano perciò esercitare sopra di essi
che un controllo saltuario, limitato e spesso inefficace; sappiamo
come l'indicazione dei candidati stessi sia quasi sempre l'opera di
minoranze organizzate per gusto o per mestiere dedite alla politica
elettorale, di caucus e di comitati i cui interessi sono spessissimo
in contradizione con quelli delle maggioranze. Conosciamo già
quali siano le astuzie usate dai peggiori per falsare a loro
profitto i verdetti delle urne, quali siano le bugie che si dicono,
le promesse fallaci e le violenze che si fanno, per carpire i voti
degli elettori.
Ma, possono obiettare i comunisti e collettivisti, tutto ciò
avviene perchè esiste la presente organizzazione
capitalistica, perchè ora i latifondisti ed i proprietari
delle grandi fortune mobiliari hanno mille modi diretti ed indiretti
di coartare e comprare i voti dei poveri, dei quali si giovano per
rendere il suffragio universale una menzogna ed assicurarsi la
preponderanza politica; ed è appunto per evitare
gl'inconvenienti testè enumerati che bisognerebbe, quando non
ci fossero altre ragioni, cambiare radicalmente l'ordinamento
sociale. Coloro che ragionano in questo modo dimenticano però
un particolare della questione, che a noi non pare trascurabile;
dimenticano cioè che, anche nelle società organizzate
come essi vorrebbero, vi sarebbero sempre coloro che
amministrerebbero la pubblica ricchezza e vi sarebbe la grande massa
degli amministrati, che si dovrebbero contentare della parte che
loro verrebbe attribuita. Or gli amministratori della repubblica
sociale, che sarebbero nello stesso tempo i capi politici,
diverrebbero indubbiamente molto più potenti dei ministri e
dei milionari d'oggidì.
Poichè l'uomo, che avrà la facoltà di
costringere gli altri ad un dato lavoro e di fissare la porzione di
godimenti e di soddisfazioni morali e materiali, che dovrà
essere il correspettivo di questo lavoro, per quanto possa essere
frenato da leggi e regolamenti, sarà sempre il despota dei
suoi fratelli e potrà sempre far piegare a suo vantaggio la
loro coscienza e la loro volontà302.
E tutte le menzogne, tutte le viltà, tutte le violenze e le
baratterie, che ora non servono soltanto per brigare i suffragi del
popolo ma si adoperano anche per farsi avanti nei pubblici impieghi
semplicemente per far quattrini presto e con modi poco scrupolosi,
in un regime collettivista sarebbero tutte consacrate allo scopo di
diventare amministratori dell'azienda sociale. Unica sarebbe la
mèta degli avidi, dei furbi e dei violenti, unica la tendenza
delle cabale e delle combriccole, che non mancherebbero di formarsi
a scapito dei caratteri più miti, più giusti,
più leali. E la differenza sarebbe tutta a vantaggio della
società presente; poichè la distruzione della
pluralità delle forze politiche, della diversità dei
modi e delle vie con cui ora si acquista l'importanza sociale,
toglierebbe ogni indipendenza ed ogni possibilità di
controllo reciproco. Ora almeno l'impiegato può ridersi del
milionario; un buon operaio, che sappia bene guadagnarsi la vita
colle proprie braccia, nulla ha da temere dal capo-divisione, dal
deputato o dal ministro; chiunque abbia una posizione discreta come
proprietario, industriale o professionista può portare la
fronte alta dinanzi a tutti i poteri dello Stato ed a tutti i
latifondisti ed alti baroni della finanza che stanno nel mondo. Col
collettivismo nessuno potrà fare a meno di essere sottomesso
agli uomini che saranno al governo, essi soli potranno dispensare i
favori, il pane, la gioia ed il dolore della vita. Una tirannide
unica, assorbente e schiacciante graverà su tutti; i grandi
della terra saranno i padroni assoluti di tutto, e la parola
indipendente di chi da loro nulla teme e nulla spera non
verrà più a frenarne gli eccessi.
Cita il George frequentemente, nel suo libro intitolato Progresso e
Povertà, un passo dei Vedas nel quale è detto che gli
elefanti folli d'orgoglio ed i parasoli ricamati d'oro sono il
frutto della proprietà privata della terra. Al giorno d'oggi,
che la civiltà è più raffinata e la vita
più multiforme, la ricchezza può procacciare ben altro
che elefanti e parasoli; ma in fondo i privilegi che essa conferisce
a chi la possiede consistono nel render più facile il
conseguimento dei piaceri intellettuali, nel più abbondante
godimento di quelli materiali, in soddisfazioni di vanità e
d'amor proprio e sopratutto nel poter disporre delle volontà
altrui, conservando indipendente la propria. Or i capi di una
repubblica comunista o collettivista disporrebbero più che
mai tirannicamente delle volontà degli altri e, potendo
distribuire privazioni o favori, avrebbero mezzo di godere, forse
più gesuiticamente ma con eguale abbondanza, di quei piaceri
materiali e di quei trionfi della vanità, che ora sono
patrimonio dei potenti e dei milionari; come questi, e meglio di
questi, potrebbero avvilire la dignità degli altri uomini e
potrebbero corrompere la virtù delle donne303.
XII. — Più che nella parte positiva, la forza delle dottrine
socialiste e di quelle anarchiche sta nella parte negativa,
cioè nella critica acuta, minuziosa, spietata, che fanno
degli ordinamenti presenti.
Or che la distribuzione della ricchezza, così come si
è fatta per il passato e come avviene ai nostri tempi,
considerata dal punto di vista della giustizia assoluta, offra
margine a molti e gravissimi appunti, perchè consacra grandi
e flagranti ingiustizie, è cosa tanto evidente che
l'affermarla ci pare quasi una vera e propria banalità. In
verità non ci volevano il sottilissimo ingegno del Proudhon,
non le lunghe ed algebriche deduzioni del Marx, nè la potente
e sanguinosa ironia del Lassalle, per provare ciò che salta
tanto agevolmente agli occhi di tutti, anche dell'osservatore
più superficiale e profano: che il godimento individuale dei
beni della vita non è proporzionato, non diciamo allo stento,
ma neppure al merito del lavoro, che è stato impiegato a
produrli. Accade nella vita economica ciò che osserviamo
tutti i giorni nella vita politica, in quella scientifica, in tutti
i rami, insomma, dell'attività sociale: che il successo,
cioè, quasi mai è proporzionato al merito; che fra il
servizio reso da un individuo alla società ed il guiderdone
che ne ricava vi è quasi sempre un grande e spesso stridente
squilibrio.
Il combattere il socialismo volendo negare o semplicemente attenuare
la verità del fatto testè da noi accennato, equivale a
porsi sopra un terreno nel quale si è sicuri di avere la
peggio. Gli economisti ortodossi, che qualche volta l'hanno tentato
ed hanno cercato dimostrare che la proprietà privata delle
terre e dei capitali non solo è indispensabile o utile per la
convivenza sociale, ma risponde anche ai dettami assoluti della
morale e della giustizia, ci pare che abbiano prestato il fianco a
poderosissimi attacchi; e la loro tesi, che in ogni tempo potrebbe
essere giudicata difficile, anzi quasi disperata, raggiunge
l'evidenza dell'assurdità nei tempi che corrono, quando tutti
sappiamo con quali modi si costituiscano di frequente le grandi
fortune.
Tutto ciò che si può e si deve obiettare alla critica
demolitrice dei socialisti si riassume in una verità, che
può sembrare crudele ed alla quale abbiamo già
accennato, ma che è utile e morale che sia altamente e
ripetutamente proclamata. Questa verità consiste nella
constatazione che non vi può essere organizzazione sociale
che sia basata esclusivamente sul sentimento della giustizia e che
da questo lato quindi non lasci molto a desiderare. Ed è
naturale che sia così, perchè ogni individuo non
è mai nella sua condotta privata e pubblica guidato
esclusivamente dal senso del giusto, ma anche dalle sue passioni e
dai suoi bisogni. Solo chi si isola dal mondo, chi rinuncia ad ogni
ambizione di ricchezza o di potere, ad ogni vanità mondana,
ad esplicare in qualsiasi modo la propria personalità,
può lusingarsi che i suoi atti siano inspirati dal sentimento
assoluto della giustizia; ma l'uomo d'azione, che sta nella vita
politica o in quella degli affari, sia egli commerciante o
proprietario, professionista o manuale, sacerdote di una religione
od apostolo del socialismo, mira sempre a raggiungere il successo, e
perciò la sua condotta sarà sempre il risultato di una
transazione, consciente od inconsciente, fra il sentimento della
giustizia ed i suoi interessi304. Il volere, con sentimenti
così fatti, costituire un tipo di organizzazione sociale
corrispondente in tutto a quell'ideale di giustizia che l'uomo
può concepire ma non sa attuare, è un'utopia che in
certe circostanze può diventare pericolosa; quando essa
cioè riesce a far convergere una quantità di forze
intellettuali e morali verso il conseguimento di uno scopo che non
sarà mai una verità e che il giorno che si
tenterà di realizzare non potrà produrre che il
trionfo dei peggiori e lo sconforto e la delusione dei buoni305.
I dottori del socialismo affermano che tutte o almeno gran parte
delle imperfezioni umane, delle ingiustizie che ora si commettono
sotto il sole, non sono un effetto delle naturali condizioni etiche
della nostra specie, ma piuttosto di quelle che ad essa vengono
imposte dalla presente organizzazione borghese. Uno di questi
dottori in un suo recente lavoro ha detto esplicitamente che
"cambiando le condizioni sociali, secondo gl'intenti che si propone
il socialismo, avremo una profonda trasformazione della natura
umana"306.
Or noi non faremo il torto ai riformatori odierni di supporre che
essi vogliano riprodurre sotto una forma nuova il vecchio aforisma
di Rousseau: che l'uomo nasce buono e la società lo rende
cattivo. Poichè, per accettare incondizionatamente questo
giudizio, bisogna anche ammettere che la società non sia il
risultato della naturale e spontanea attività degli uomini,
ma siasi costituita per influenza di un ente sovrumano od
extraumano, che si è divertito a darci leggi, istituti e
consuetudini, che hanno attossiccato e sconvolto la bontà, la
generosità, la magnanimità innate della stirpe di
Adamo. Non crediamo neppure che i socialisti moderni pensino che la
presente organizzazione sociale risponda solo agli istinti di altre
razze, di altre generazioni umane, il cui senso morale dovea essere
molto più basso di quello della generazione contemporanea, la
quale, nobile ed elevata come è, sentirebbe urgente il
bisogno di liberarsi, come da una tunica di Nesso, degli istituti
ereditati dai suoi poco scrupolosi maggiori. Dappoichè,
ammesso questo modo di applicare le teorie evoluzioniste alle
società umane, ammesso che la selezione abbia da qualche
secolo ad ora sensibilmente rialzato il livello medio della
moralità, bisogna anche ammettere che il progresso morale
già ottenuto avrebbe dovuto sensibilmente diminuire,
anzichè aumentare, gl' inconvenienti della organizzazione
borghese.
Or ciò non è evidentemente accaduto: gli uomini non
sono diventati, stando anche a quello che dicono i socialisti, meno
egoisti e duri di cuore. Giacchè, se il contrario fosse vero,
se un atomo dell'utile proprio non avesse spesso per loro ugual peso
di una gran somma d'interessi e di dignità altrui, se tutta
una società fosse nella sua gran maggioranza composta di
persone giuste e compassionevoli, di gente retta ed intera, come
piaceva al Signore d'Israele e come certo sarebbe piaciuta ai
signori Marx e Lassalle, verrebbero ridotti ai minimi termini tutti
quei funesti risultati del rapace capitalismo e della disperata
concorrenza, i quali dagli autori ora citati sono stati con
sì rara maestria rilevati307.
Sicchè l'interpretazione più positiva, che si possa
ora dare all'antica dottrina di Rousseau, è quella che viene
appunto seguita da moltissimi fra coloro che militano nelle file del
partito collettivista o anche fra gli anarchici. Essi credono
infatti che il lavorìo naturale della selezione sia
profondamente disturbato e pervertito nelle presenti società
borghesi e che esso potrà liberamente agire ed avere i suoi
benefici effetti solo quando saranno attuati quei programmi, che
variano secondo le diverse scuole riformatrici. Ragionando in questo
modo è evidente che si sconta una speranza, che non si
potrà mai provare anticipatamente se sarà realizzata,
che si calcola sopra un progresso morale che si asserisce che si
raggiungerà, per attuare un tipo di organizzazione sociale,
che lo suppone di già raggiunto e che potrebbe forse
funzionare soltanto quando fosse raggiunto. Non si farebbe infine
che rinnovare, in grande e con effetti più disastrosi,
l'errore al quale dobbiamo principalmente i danni presenti del
Parlamentarismo.
Ma in verità, se lo studio spassionato della storia ci
può dire qualche cosa, esso c'insegna, come crediamo di avere
dimostrato al capitolo VII di questo lavoro, che è assai
difficile il modificare sensibilmente il livello morale medio di
tutto un popolo che abbia già raggiunto da un pezzo un grado
elevato di civiltà, e che l'influenza, che i diversi tipi di
organizzazione sociale e politica possono avere in queste
modificazioni, è certo minore di quanto immaginano i novatori
d'oggidì. C'insegna inoltre che tutte le volte che, nel corso
dei secoli, quest'influenza si è esplicata in modo benefico,
questo si è ottenuto perchè l'arbitrio individuale e
collettivo di coloro che avevano in mano un potere è stato
frenato e controllato da altri uomini posti in condizioni di
assoluta indipendenza e di nessuna comunanza d'interessi con coloro
che dovevano controllare. È stato necessario ed
indispensabile perciò che siasi potuta avere la
moltiplicità delle forze politiche, che parecchie fossero le
vie colle quali si arrivava ad acquistare l'importanza sociale e che
le diverse forze politiche fossero rappresentate nel reggimento
dello Stato. Il collettivismo ed il comunismo, come tutte le
dottrine basate sulle passioni e la fede cieca delle masse, tendono
a distruggere l'accennata moltiplicità delle forze politiche
e, riducendo ogni potere in mano ai soli eletti del popolo, abolendo
per giunta la ricchezza individuale, che in tutte le società
mature ha fornito spesso il mezzo d'acquistare indipendenza e
prestigio senza il concorso dei reggitori dello Stato, non possono
condurre che alla menomazione della difesa giuridica, a ciò
che in linguaggio povero si chiama la tirannia dei governanti sui
governati. Quella tirannia, ch'è stata sempre il risultato
pratico di tutte le dottrine politiche sempliciste, che, non
osservando quanto vi sia di complicato e difficile nella natura
umana, hanno voluto adattare l'organizzazione sociale ad un solo
concetto unilaterale ed assoluto ed hanno voluto stabilirla sopra un
principio esclusivo, sia stato esso quello della volontà di
Dio, interpretata dai suoi ministri e dai suoi vicari terrestri, o
quello della volontà del popolo, esercitata per mezzo dei
suoi rappresentanti.
Certo, per quanto una sana dottrina politica possa suggerire rimedi
legislativi ed indicare quell'indirizzo atto a diminuire alquanto le
ingiustizie sociali; per quanto i congegni della difesa giuridica
possano esser migliorati in modo da moderare l'oltracotanza degli
uomini investiti dei pubblici poteri; i benefici che da tutte le
riforme inspirate a questi criteri si potrebbero avere sono sempre
ben poca cosa di fronte a quell'era di felicità, di
uguaglianza, di giustizia universale, che le varie scuole socialiste
implicitamente od esplicitamente promettono ai loro seguaci. I detti
benefici corrispondono ai pochi e dubbi anni di discreta
sanità fisica che un coscienzioso medico può, con le
debite riserve, garantire ai suoi clienti; premio, invero, molto
scarso di una diuturna osservanza di tutte le norme igieniche,
specialmente se vien paragonato alla pronta e sicura guarigione di
tutti i malanni ed alla vita quasi secolare che viene promessa
dall'elisir del ciarlatano.
Chiediamo sinceramente venia di un ravvicinamento, che certo dal
lato morale non è applicabile ad uomini che in buona fede
sostengono le loro idee; ma osserviamo che potrebbe darsi benissimo
che il medico dimostrasse la fallacia dell'elisir e che il
ciarlatano lo sfidasse di rimando ad inventarne un altro, che avesse
realmente quella virtù che dovea esser contenuta nel suo.
Siamo certi che il medico risponderebbe che, appunto perchè
egli conosce quale sia la moltiplicità dei germi patogenici e
quanto siano varie e numerose le cause che possono deteriorare il
delicato organismo del corpo umano, non pretenderà mai di
trovare il rimedio universale e sicuro di tutte le malattie,
poichè, se semplicemente lo tentasse, scenderebbe subito al
livello del ciarlatano.
XIII. — Gli anarchici, come abbiamo già notato, fondano la
loro critica demolitrice delle istituzioni vigenti sulle stesse
passioni, sullo stesso ordine di osservazioni e d'idee, che
costituiscono la base della propaganda collettivista; con questa
differenza soltanto, che essi sono ordinariamente più
violenti, e qualche volta addirittura feroci, non solo negli atti,
ma anche nelle parole308. Negli ideali che si propongono di attuare,
si distinguono però profondamente da tutte le scuole
socialiste. Mentre queste, infatti, per abolire od attenuare
notevolmente le ingiustizie e le disuguaglianze che si lamentano nel
mondo, vorrebbero modificare, sia pure radicalmente,
l'organizzazione presente della società, gli anarchici,
saggiamente argomentando che, con qualunque tipo di organizzazione
sociale, vi sarebbero sempre le disparità di condizione fra
gli uomini, e continuerebbero a coesistere i dominatori ed i
dominati, o, come essi dicono, gli sfruttatori e gli sfruttati,
propugnano la distruzione di ogni società organizzata. Fanno
come colui che, avendo scoperto che nessun morigerato tenore di vita
può assicurare una salute perfetta, ricorre, come rimedio
sicuro contro ogni possibilità di malattia, al suicidio.
Seguaci più logici e più rigorosi del padre di tutti i
novatori moderni, ossia di Giangiacomo Rousseau, i partigiani
dell'anarchia ritengono dunque che, essendo la società
organizzata l'origine di tutti gli abusi, questi non possano venir
altrimenti eliminati che con una disorganizzazione completa del
consorzio umano, ossia con un ritorno allo stato di natura. Ma con
ciò non fanno che ripetere, forse inconsciamente, un errore
del loro maestro; poichè la verità è che lo
stato naturale dell'uomo, come del resto quello di molti altri
animali, non è il disgregamento individuale, ma la
società, che può esser soltanto più o meno
vasta, più o meno organizzata. Il supporre quindi che un
fatto cosi universale, come è quello tanto facilmente
constatabile che tutti gli uomini vivono socialmente, sia dovuto
all'interesse ed alla furberia di pochi, è un concetto che,
certo non noi per i primi, ci permettiamo di definire come assurdo
ed infantile. Aristotile, che visse ventuno secoli prima del
filosofo e romanziere ginevrino, ebbe una percezione infinitamente
più chiara e precisa della vera natura dell'uomo quando
scrisse che questi è un animale politico. Ma le
facoltà intellettuali del peripatetico greco probabilmente
non furono mai turbate nè da un puntiglioso amor proprio,
nè dalla vanità letteraria; e si può anche
supporre che la protezione dei sovrani di Macedonia, o il saper
bastare ai propri bisogni, lo abbiano sottratto alla
necessità di inasprirsi il carattere e guastarsi il fegato
stando vicino a persone spesso frivole, qualche volta pettegole,
quasi sempre di condizione sociale superiore309.
Nel fatto, ammesso che l'ipotesi anarchica si avverasse, che fosse
distrutto perciò il tipo odierno di organizzazione sociale,
che non ci fossero più nazioni nè Governi, che fossero
spazzati via gli eserciti stanziali, la burocrazia, le Camere, e
sopratutto i poliziotti e le carceri, resterebbe sempre la
necessità di vivere, e perciò di usare delle terre e
degli altri strumenti di produzione e resterebbero sempre le armi ed
i caratteri intraprendenti ed arditi disposti ad usarne per
asservire altri. Dati questi elementi, si costituirebbero subito
piccoli nuclei sociali, in cui molti lavorerebbero e pochi armati ed
organizzati li spoglierebbero o tutelerebbero, vivendo in ogni modo
alle loro spalle; si tornerebbe cioè a quel tipo di
organizzazione semplice e primitivo, nel quale ogni gruppo di armati
è padrone assoluto di un cantuccio di terra e dei suoi
coltivatori, dato che lo sappia conquistare e difendere con le
proprie armi; tipo che noi abbiamo chiamato feudale. Accadrebbe,
infine, ciò che accadde in Europa, quando la dissoluzione
dell'impero di Carlo Magno finì di disgregare quel tanto di
organizzazione sociale che era sopravvissuto alla caduta dell'Impero
romano, ciò che accadde nell'India quando i successori del
Gran Mogol furono ridotti all'impotenza, ciò che
accadrà in ogni società di cultura avanzata che, per
cagioni interiori od esteriori, si disgrega e discioglie.
Certo coloro che si sentono baldi e forti e non hanno nulla da
perdere si avvantaggerebbero di un simile rivolgimento, che darebbe
la preponderanza come forza politica solo alla violenza ed al valor
personale; ma ne sarebbe danneggiata l'immensa maggioranza dei
pacifici, forse il novanta per cento degli uomini, che al regno del
pugno preferisce anche una imperfettissima giustizia sociale, un po'
di tranquillità e la sicurezza di godere almeno una parte dei
frutti del proprio lavoro310.
Per non far nascere fallaci speranze dobbiamo intanto osservare che
i risultati, che il trionfo dell'anarchia ci farebbe raggiungere,
non si possono ottenere in pochi anni, o anche in qualche
generazione. Giacchè, se occorsero molti secoli per arrivare
dalla barbarie al grado presente di civiltà, ne deve passare
pure qualcuno perchè una società vada perdendo le
abitudini civili e ritorni in uno stato di relativa barbarie. Che se
poi si volesse addirittura tornare alla barbarie assoluta, allo
stato delle tribù, che vivono di caccia, di pesca, di
agricoltura nomade, allora ci vorrà un tempo anche maggiore;
quello cioè che occorre perchè la vecchia e
popolatissima Europa si riduca ad una popolazione che sia appena un
ventesimo di quella presente. A meno che, per far presto, i fautori
dell'anarchia, oltre a sterminare i borghesi e, come essi dicono, i
loro satelliti e sicofanti, non vorranno pure distruggere
violentemente la grandissima maggioranza di quegli sfruttati, sulla
sorte dei quali ora spargono tante lagrime311.
XIV. — Una dottrina comune a tutti i partiti novatori, siano essi
anarchici o semplicemente socialisti, è quella della
così detta lotta di classe. Questa dottrina, svolta
abbastanza largamente per la prima volta dal Marx, è uno dei
migliori cavalli di battaglia di tutti coloro che attaccano
l'ordinamento presente della società; occorre perciò
dirne qualche cosa.
E prima di tutto facciamo rilevare che essa è fondata sopra
un esame incompleto, unilaterale e tendenzioso della storia, col
quale si vorrebbe provare che tutta l'attività delle
società civili siasi finora esplicata negli sforzi che hanno
fatto le classi dominatrici per mantenersi al potere e sfruttarlo a
loro vantaggio e in quelli delle classi basse tendenti a scuotere
questo giogo. Or ritroviamo nel passato di tutti i popoli
importantissimi fatti sociali, che non possono essere contenuti in
verun modo nella vernice angusta di questo quadro. Ad esempio, la
lotta della Grecia contro la Persia, quella di Roma contro
Cartagine, l'immensa diffusione del Cristianesimo e del Maomettismo,
le Crociate e lo stesso risorgimento della nazionalità
italiana, che, come diceva un arguto e coltissimo economista,
piuttosto che a fattori economici, fu dovuto alla influenza
esercitata dai poeti e dai romanzieri312.
Venendo poi alle gare civili, che dovrebbero a preferenza essere
determinate dalla lotta di classe, osserviamo che anche in questo
punto il fenomeno sociale è posto in luce dai socialisti in
modo parziale e quindi errato. Troviamo di quando in quando nella
storia esempi di insurrezioni violente delle classi più
povere o di frazioni di queste, come furono, ad esempio, le
ribellioni degli Iloti a Sparta e quelle degli schiavi a Roma, le
Jacqueries della Francia ed altri moti contadineschi e dei minatori,
che sono scoppiati nei secoli scorsi in Germania, in Inghilterra ed
anche in Russia. Essi sono stati occasionati o da oppressioni
inusitate e veramente intollerabili o, più di frequente, da
disordini degli Stati all'origine dei quali gli insorti erano
rimasti estranei, ma che avevano loro offerto il destro di avere
delle armi e un principio di organizzazione. Ad ogni modo
però è certo che tutti i movimenti ai quali hanno
preso parte esclusivamente le sole classi che vivono di lavoro
manuale, sono stati sempre con una relativa facilità, e
talvolta con crudeltà, repressi, e che quasi mai hanno
contribuito a migliorare stabilmente le condizioni di queste classi.
Le sole lotte, cruenti od incruenti, che hanno avuto il risultato
pratico di modificare l'ordinamento delle società e
sopratutto la composizione delle classi dirigenti, sono state quelle
che nuovi elementi d'influenza e nuove forze politiche, sorte nel
seno della classe governata ma che rappresentavano numericamente una
frazione minima di essa, hanno impegnato per ottenere quella
partecipazione al governo dello Stato, che esse credevano, e forse
era, loro ingiustamente ostacolata.
Fu così che le famiglie più ricche della plebe romana,
escluse dal consolato e da altre cariche cospicue, ingaggiarono nel
quinto e quarto secolo avanti l'êra volgare quella lotta con
l'antico patriziato, che ebbe per effetto la costituzione di una
classe dirigente più larga, fondata sul criterio del censo
anzichè su quello esclusivo della nascita, classe che
formò la nobiltà degli ultimi secoli della Repubblica.
Fu pure così che quella parte del terzo stato francese, che,
durante il secolo scorso, aveva acquistato ricchezze quasi uguali e
cultura ed attitudine di governo anche superiore a quelle della
nobiltà ebbe, dopo la Rivoluzione, aperto l'accesso a tutte
le cariche pubbliche. E, se è vero che, tanto nell'uno che
nell'altro caso, la massa dei governanti ebbe a godere i vantaggi di
una maggiore difesa giuridica, ciò avvenne perchè i
suoi interessi si trovarono concordi con quelli delle nuove forze
politiche, che richiedevano l'ammissione nella classe governante;
avvenne perchè queste nuove forze, per ottenere il loro
intento, dovettero propugnare principii di utilità sociale e
di giustizia, l'applicazione dei quali, se giovava più
direttamente a loro, giovava pure ai membri più umili del
civile consorzio. Certo anzi non si può disconoscere che
questo che abbiamo accennato sia uno dei tanti modi coi quali il
sorgere di nuovi elementi d'influenza sociale può migliorare
e rendere più equi i rapporti fra governanti e governati; ma
ciò non vuol dire che qualche volta sia avvenuto, o possa
avvenire, che l'intiera massa dei governati, di fatto non di
diritto, si sostituisca o venga messa a pari alla minoranza
governante, che finisca perciò la distinzione fra quella che
i socialisti chiamano classe sfruttatrice e la classe che essi
dicono sfruttata.
Resta a vedere poi se sia esatta questa divisione della
società, di cui tanto scrivono e che tanto vanno predicando,
in una classe parassita, che nulla contribuisce alla produzione ed
al benessere sociale e ne gode la parte migliore, ed una classe, che
tutto fa, tutto produce e che viene rimunerata appena col necessario
alla vita e qualche volta neppure con questo. Ora, neppure isolando
completamente, come fanno spesso gli economisti ed i loro avversari
socialisti, i fenomeni riguardanti la produzione e la distribuzione
della ricchezza da tutti gli altri fatti sociali, questo modo di
vedere risulta perfettamente conforme alla verità.
Giacchè se è vero che è il capitale, non il
capitalista, quello che fornisce agli operai i mezzi e la
possibilità di un lavoro proficuo, se è pur vero che
è la terra, non il proprietario di essa, ciò che
è necessaria al contadino, non si può negare che
l'individuo, che sa riunire nelle sue mani una forte quantità
di capitale e sa impiegarlo proficuamente a scopo industriale, ed il
proprietario che sa dirigere bene la cultura dei suoi fondi, non
rendano un vero servizio sociale aumentando la produzione e la
ricchezza; servizio del quale è perfettamente giusto che
abbiano una rimunerazione. Che se poi guardiamo l'insieme dei
fenomeni sociali, se teniamo presente che la produzione della
ricchezza è strettamente legata al grado di coltura che un
paese ha raggiunto, alla bontà del suo ordinamento politico
ed amministrativo, allora l'accusa di parassitismo leggermente
lanciata all'intiera classe dirigente composta di proprietari, di
capitalisti, d'industriali, d'impiegati, di professionisti, di tutti
coloro, insomma, che non vivono di lavoro manuale, ci parrà
supremamente ingiusta e tale che soltanto dalla più cieca
passione può essere accolta313.
Ora infatti che la grande industria e l'agricoltura hanno bisogno
ogni giorno di più delle applicazioni della scienza, ora che
la produzione economica è basata quasi tutta sugli scambi fra
paesi lontanissimi, che non sono possibili se gli uomini non sono
riuniti in grandi nazioni e sotto governi sapientemente organizzati,
è assurdo l'asserire che tutto è prodotto dai
lavoratori manovali e tutto debba loro legittimamente appartenere;
è iniquo dimenticare i servizi che rende quella classe che
mantiene la pace e l'ordine, dirige tutto il movimento politico ed
economico, conserva e fa progredire l'alta cultura scientifica e
rende possibile che grandi masse umane vivano e collaborino insieme.
In piena giustizia non si può negare a questa classe che una
parte non disprezzabile della produzione economica sia consacrata a
sostentarla con tutta quell'agiatezza, che è necessaria
affinchè conservi e sviluppi la propria superiorità
intellettuale e morale. Giacchè se è certo, che senza
la cooperazione dei lavoratori manovali, essa sarebbe condannata a
decadere e forse anche a perire, è pure certo che, senza gli
elementi dirigenti, i lavoratori manovali cadrebbero subito in uno
stato di barbarie, che farebbe immensamente diminuire la produzione
economica e deteriorerebbe quindi in modo grandissimo il loro stato
morale e materiale. Su questo argomento la più antica lezione
di sociologia, l'apologo delle membra e dello stomaco, che Menenio
Agrippa recitava, circa ventiquattro secoli fa, avanti la plebe
romana adunata sul Monte Sacro, resta sempre quella che meglio
risponde alla verità delle cose314.
Ciò che tutti debbono riconoscere, e che nessuno potrà
negare, è che nelle classi elevate vi è buon numero di
parassiti o sfruttatori, che molto godono e molto consumano senza
rendere alcun vero servizio sociale, nè di direzione,
nè di esecuzione; e che vi sono in esse anche elementi che
profittano della loro posizione per trarre una rimunerazione dei
loro servizi infinitamente superiore ai loro meriti reali. A questi
elementi abbiamo già accennato fin dal capitolo V del
presente lavoro, quando abbiamo parlato di quelle tali forze
sociali, che tendono sempre con la loro soverchia preponderanza a
rompere l'equilibrio giuridico a loro vantaggio; e se mal non ci
apponiamo, abbiamo nominato come particolarmente pericolosi a questo
riguardo i banchieri, alcuni grossi industriali e speculatori e
generalmente coloro che riuniscono in unica mano grosse frazioni di
capitale mobiliare. Però, osservando questi sfruttamenti, che
avvengono in molti paesi mediante le famose tariffe protezioniste,
ed in alcuni altri anche mediante i privilegi bancari, dobbiamo
convenire che essi sono esercitati tanto a danno delle classi
lavoratrici che a pregiudizio delle frazioni più grosse della
classe dirigente; sicchè anche questa, nella sua grande
maggioranza, paga largamente il fio della sua debolezza ed
ignoranza, sopportando sacrifici che vanno a prò di un numero
piccolissimo d'individui315.
Del resto parassiti e sfruttatori esistono in tutti gli strati
sociali, come pure in tutti i gradini della scala economica e
gerarchica vi sono gli sfruttati. E uno sfruttatore colui che sciupa
in lusso, giuochi e bagordi una fortuna, e disfà in questo
modo il capitale ereditato, ed è uno sfruttato quegli che
laboriosamente ed onestamente l'ha accumulato, faticando molto,
consumando poco e forse godendo niente. È sfruttatore l'uomo
politico, che arriva ai primi posti profittando della
facilità che hanno i popoli a lasciarsi ingannare, lusingando
le borie e le vanità delle masse, comprando le coscienze,
usando ed abusando di tutte le cattive qualità e le debolezze
dei suoi simili, ed è uno sfruttato l'uomo di Stato che,
più che all'effetto ed all'applauso, mira al vantaggio reale
dei governati ed è sempre pronto a lasciare il potere quando
questo vantaggio crede di non poter più raggiungere. È
sfruttatore l'impiegato che ha conquistato il suo posto ingannando
gli esaminatori o rendendo servizi loschi ai politicanti e lo
conserva e fa carriera e lavora il meno possibile, adulando i suoi
superiori o tradendo il suo dovere d'ufficio, ed è uno
sfruttato il suo collega che fa... precisamente tutto il contrario.
È uno sfruttatore il soldato, che si eclissa nel momento del
pericolo ma si fa vivo quando si tratta di avere la medaglia o la
ricompensa, ed è uno sfruttato il suo commilitone, che
affronta la morte e le ferite senza pensare a farsene un titolo per
posare ad eroe e chiedere posti di favore e sussidi per tutta la
vita. Sono sfruttatori quei contadini e sopratutto quegli operai
pigri, viziosi, e disonesti, che cominciano coll'essere i parassiti
dei loro parenti più laboriosi, continuano coll'essere i
parassiti dei loro compagni, ai quali scroccano aiuti dando in
cambio chiacchiere e cattivi consigli, e dei padroni ai quali
scroccano il salario dando in cambio un lavoro mal fatto ed
incompleto, e finiscono spesso coll'essere parassiti della
società intera nel carcere; e sono sfruttati tutti quei
lavoratori manovali, che coscienziosamente e tacitamente adempiono
al loro dovere, che mai si sottraggono al disagio ed alla fatica, e
vivono stentatamente senza poter migliorare la propria posizione o
mettere qualche cosa da parte per la vecchiaia. È uno
sfruttatore colui che, restando pensatamente celibe, insidia
all'onore delle donne altrui, ed è uno sfruttato chi, dopo
essersi sobbarcato ai pesi ed alla responsabilità di una
famiglia regolarmente costituita, diventa bersaglio alle insidie del
primo. Finalmente è uno sfruttatore lo scienziato che
consegue la cattedra scrivendo il libro che piace a coloro che
devono essere i suoi giudici, o consegue la celebrità o la
popolarità pubblicando l'opera che piace alle turbe,
perchè lusinga la passione del giorno; ed è uno
sfruttato quegli che all'amore della verità sacrifica buona
parte del suo successo e si rassegna perciò a rimanere in un
rango inferiore a quello in cui, se meno onesto, il suo ingegno ed i
suoi studi l'avrebbero chiamato.
Un tempo gli sfruttati si chiamavano i buoni, gli onesti, i
galantuomini, i bravi, i laboriosi ed i morigerati, e gli
sfruttatori venivano definiti come viziosi, scioperati, poltroni,
intriganti, farabutti e delinquenti. — Si chiamino pure come si
vogliono, e forse non è male che ci siano due espressioni
sole, che sintetizzino le molteplici categorie delle quali sono
formate le due classi di cui ci siamo occupati, che ci sono sempre
state e purtroppo sempre ci saranno nel mondo. — L'importante
è che si tenga presente che, se più miseri e
più da compiangere sono gli sfruttati delle classi più
basse, un buon numero pure ne deve esistere nelle classi medie ed
alte; altrimenti verrebbe meno quel tanto di abnegazione e di
sentimento del dovere che è indispensabile nella minoranza
dirigente affinchè il consorzio civile possa durare316.
XV. — Resta a vedere se tutta questa gran corrente di idee e di
passioni, che complessivamente va designata col nome di socialismo,
pur non essendo fondata sopra un'osservazione esatta delle leggi che
regolano la vita sociale, pur mirando ad un ideale, che non si
potrà raggiungere se non quando sarà radicalmente
mutata la natura umana, abbia almeno l'effetto pratico di migliorare
le condizioni morali e quindi materiali della maggioranza. — La sua
azione in questo caso sarebbe benefica e potrebbe paragonarsi a
quella di altre grandi illusioni collettive, che, rendendo gli
uomini più buoni, più scambievolmente tolleranti, meno
impazienti di fronte alle ingiustizie del mondo, fanno, nei limiti
del possibile, meno dura l'esistenza per tutti coloro che restano
negli ultimi gradini della scala economica e contribuiscono con
ciò a fortificare la compagine della società. — Fin da
ora dichiariamo che l'indagine sommaria, che faremo su questo
importante argomento, ci darà un risultato tutt'altro che
positivo.
Si sa che tutti i libri, oltre ad avere una influenza intellettuale,
che si esplica mercè le dottrine in essi contenute ed a
seconda del modo come certi problemi della vita umana vengono
studiati e presentati al lettore, hanno pure un'influenza che
chiameremo morale, la quale dipende dalle passioni e dai sentimenti
che gli autori consciamente ed inconsciamente sovraeccitano od
attutiscono. Or, se cominciamo ad esaminare sotto quest'ultimo punto
di vista le opere dei maggiori dottori del socialismo e specialmente
di quelli della seconda metà del secolo decimonono, che sono
più noti, certamente troviamo che un soffio di pace, d'amore
di concordia sociale spira da quelle di Rodbertus, di Carlo Marlo317
e sopratutto di Enrico George, nel quale più che l'odio
contro i forti si sente una nobile e tenera compassione per i
deboli318; ma in altri più numerosi, ed a tacere di
Bakounine, in qualcheduno degli autori più divulgati e
più ortodossi, in Marx, ad esempio, nello stesso Lassalle, il
sentimento che predomina, attraverso la facilità polemica ed
il brio o l'aridità e la pesantezza con cui è condotto
il ragionamento scientifico, è l'avversione contro il ricco
ed il potente, che si esplica di continuo coll'ironia, col sarcasmo,
coll'invettiva. Nei loro scritti il capitalista viene sempre
considerato e dipinto quasi come un uomo di altra razza, di altro
sangue, che il povero non deve riguardare come un suo simile, il
quale ha fondamentalmente le sue stesse debolezze e le sue
virtù, che si manifestano in modo un po' diverso, solo
perchè diverso è per lui l'ambiente, diverse sono le
tentazioni e le necessità della vita, ma come un rivale ed un
nemico, come un essere infesto, oppressore, degradato e degradante,
la cui rovina soltanto può rendere possibile la propria
redenzione e la propria salvezza319.
Indiscutibilmente un movimento così vasto e complesso come la
democrazia sociale non si può fondare unicamente sui buoni
istinti della natura umana; sicchè riconosciamo come naturale
e necessario che, accanto al sentimento della giustizia ed
all'aspirazione verso una società migliore, anche le passioni
basse, antisociali e selvaggie vi trovino il loro pascolo. Il male
è che precisamente a quest'ultime le dottrine socialiste
offrono un campo troppo fertile e vasto dove possono oltremodo
moltiplicarsi e lussureggiare. Si è insegnato al povero che
il ricco gavazza col frutto dei suoi sudori, che gli viene rapito
mediante una artificiosa organizzazione della società basata
sulla violenza e la frode. Questa credenza in tutte le coscienze,
che non siano assolutamente nobili e pure, serve mirabilmente a
giustificare lo spirito di ribellione, la sete dei godimenti
materiali, la bestemmia, l'odio, la maledizione; essa feconda il
sentimento della vendetta e l'invidia istintiva verso quelle
superiorità naturali e sociali, che solo una lunga abitudine
e la convinzione che sono fatti necessari ed inevitabili possono
rendere universalmente indiscusse ed accettate.
Debolezza innegabile di tutto il movimento socialista è poi
la soverchia materializzazione del concetto della felicità
umana e quindi della giustizia sociale. — I socialisti, dopo aver
idealizzato troppo l'uomo, credendolo migliore di quello che
è, giacchè attribuiscono all'ordinamento sociale gran
parte dei vizi e delle debolezze che sono inerenti alla natura
umana, mostrano poi un concetto troppo basso dei loro simili quando
credono, o mostrano di credere, che la ricchezza sia compagna
inseparabile del godimento e la povertà vada fatalmente unita
alla sofferenza. Leggendo i loro scritti ed ascoltando i loro
sermoni parrebbe che la felicità individuale sia esattamente
proporzionata alla quantità di danari che ognuno possiede. —
Or, per quanto un simile sistema sia polemicamente comodo per tutti
i novatori, facendo apparire maggiore assai di quella che realmente
sia l'ingiustizia della società odierna, esso non corrisponde
alla verità, perchè, fortunatamente, le cose non vanno
così. Infatti, sebbene il poter mantenere quel tenore di vita
al quale siamo abituati e sopratutto la sicurezza del domani, siano
condizioni indispensabili di un certo benessere, pure non è
men vero che alla felicità individuale contribuiscono molti
altri elementi obiettivi e subiettivi. — In fondo chi è buono
ed ha l'animo ben temprato può essere molto più
soddisfatto di un altro che gli è assai superiore in
ricchezza ed anche di posizione sociale, ed il riconoscere che fa
generalmente il mondo che il primo è stato mal rimeritato
può, insieme all'intima soddisfazione della sua coscienza,
essere uno degli elementi della sua maggiore felicità320.
Altre dottrine, altre credenze si sono trovate davanti al grave e
tormentoso problema della vita, nella quale spesso il giusto ed il
buono soccombe, l'iniquo ed il malvagio trionfa, ma l'hanno risoluto
in modo diverso di come pretende risolverlo il socialismo. Gli
stoici, ad esempio, non potendo fare sparire dal mondo il dolore,
educavano i loro adepti a sopportarlo fortemente; non potendo
promettere a tutti il godimento dei beni materiali, ne inculcavano
il disprezzo anche a coloro che erano nella possibilità di
largamente fruirne. Lo stesso disprezzo delle gioie della carne, del
piacere materiale troviamo negli inizi ed in tutti i momenti di
fervore del Cristianesimo. E se è vero che l'esagerazione di
questo indirizzo può produrre quel misticismo, che aliena dal
mondo e dalla vita i caratteri più nobili e più
proclivi al sacrifìcio di sè, non è men vero
che un insegnamento così fatto è non solo moralmente
più elevato, ma anche più pratico di quello
diametralmente opposto che tengono in generale i socialisti; il
quale può avere per conseguenza il momentaneo decadimento di
alcuni dei sentimenti più elevati della natura umana.
L' uguaglianza fra tutti gli uomini e l'aspirazione verso la
giustizia assoluta non è la prima volta che sono predicate
per il mondo. Ma esse possono essere bandite poggiandosi sull'amore,
sulla tolleranza, sul compatimento reciproco, e possono anche essere
proclamate facendo appello all'odio ed alla violenza. Si può
intimare al ricco ed al potente di considerare il povero ed il
misero come suo fratello e si può anche far credere al povero
ed al misero che il ricco ed il potente sia il suo nemico. La prima
maniera è quella seguita da Gesù, dagli apostoli, da
S. Francesco d'Assisi, che dicevano ai ricchi: date. La seconda
è quella usata dalla maggioranza dei socialisti presenti,
che, descrivendo i godimenti dei ricchi come il prodotto dei sudori
furati ai poveri, implicitamente od esplicitamente dicono a questi:
prendete. Non è chi non veda come tale differenza sostanziale
di metodo debba avere in pratica conseguenze incalcolabili.
XVI. — Dopo quanto abbiamo scritto non occorrerà lungamente
soffermarsi per esporre quali siano le cause della corrente
socialista. Il lettore avrà già compreso che la causa
delle cause è quella che abbiamo combattuto in tutto il
presente lavoro, cioè l'indirizzo intellettuale del secolo
nelle dottrine che riguardano la organizzazione della
società, i modi di vedere che finora prevalgono, nelle
persone di mezzana e qualche volta di elevata cultura, circa le
leggi che regolano i rapporti politici. Naturalmente poi questa
causa prima si presenta in mille forme e genera quelle molteplici
cause secondarie e dirette, che sono state da parecchi scrittori
più o meno completamente rilevate. Noi ne accenneremo
soltanto alcune, alle quali forse non si è data finora
l'importanza che meritano; notando che spesso esse assumono
l'apparenza, e anche la realtà di malattie del senso morale
anzichè di errori di discernimento e del giudizio.
Giacchè per la strettissima connessione che vi è in
tutto ciò che riguarda l'ordinamento sociale fra il mondo
morale e quello intellettuale, di frequente avviene che il falso
indirizzo nel campo speculativo, l'apprezzamento sbagliato sulla
natura e le tendenze sociali degli uomini, si traducano in pratica
nel mettere questi in una posizione moralmente falsa; e quindi nel
renderli più facili alle transazioni ed alle colpe,
diminuendo l'efficacia degli istinti più nobili e avendo per
necessaria conseguenza un abbassamento del livello medio del
carattere e della coscienza.
Ad esempio, una delle cause prossime ed immediate, un coefficiente
importante del progresso della propaganda socialista è
l'allargamento del suffragio politico, e meglio ancora il suffragio
universale, che, in omaggio ai principii della scuola radicale ed
alla logica democratica, si è venuto adottando in tanta parte
di Europa. Ora il suffragio a larga base può riuscire
pericoloso, non tanto perchè, come molti sperano o temono,
dando ai proletari il diritto di deporre la scheda nell'urna, i loro
rappresentanti genuini possano formare la maggioranza delle
assemblee politiche; giacchè in fondo, con qualunque sistema
elettorale, la preponderanza resterà sempre alle classi
più influenti anzichè a quelle più numerose; ma
piuttosto per l'omaggio che la maggior parte dei candidati, per
superare più facilmente i rivali, si affretta a rendere ai
sentimenti ed ai pregiudizi popolari. Omaggio che porta facilmente a
fare professioni di fede e promesse fondate sui postulati del
socialismo. Naturalmente il sistema fa sì che i caratteri
più schietti ed energici vengano a preferenza allontanati
dalla vita pubblica, che le transazioni e le restrizioni morali
diventino sempre più comuni, e, come risultato ultimo, fa
imbecillire sempre più, moralmente ed intellettualmente, le
schiere dei così detti conservatori.
Altro elemento importantissimo nella elaborazione dei partiti
socialisti è la tradizione rivoluzionaria ancora vivissima
nei paesi latini, nei quali le classi dirigenti hanno fatto di tutto
per tenerla viva e perpetuarla. Come ha osservato il Villetard321 e
come già abbiamo accennato nel capitolo VIII, in Francia,
almeno fino a pochi anni addietro, ad eccezione forse dei
clericali-legittimisti, solo gl'interessi sono stati conservatori,
ma le idee ed i sentimenti inspirati non solo dall'istruzione e
dall'educazione privata, ma sopratutto da quella ufficiale, sono
stati eminentemente rivoluzionari. E lo stesso si può dire
dell'Italia negli ultimi cinquanta anni.
Si sa quanto sia naturale nella gioventù il bisogno di
entusiasmarsi e di avere davanti un tipo, un modello, che
rappresenti l'ideale della virtù e della perfezione, che
ognuno cerca, per quanto può, di imitare. Or il modello che
si è posto davanti ai giovani moderni, tanto da noi che oltre
Alpe, non è, e non può essere, il cavaliere che si fa
uccidere per la sua bella, la sua fede ed il suo Re, ma molto meno
è stato il funzionario, il magistrato, il militare rigido
custode della legge e della consegna; esso è puramente e
semplicemente il rivoluzionario d'azione: l'uomo che, in nome della
libertà e dell'eguaglianza, ha combattuto i tiranni, si
è ribellato al potere costituito, e che, vinto, ne ha
subìto intrepido le persecuzioni, vincitore lo ha rovesciato
e spesso lo ha sostituito.
Dopo che si è così studiosamente coltivata la simpatia
per i ribelli, dopo che si è insegnato che tutto quanto essi
hanno fatto è stato nobile e generoso, è naturale che
la corrente dei sentimenti e delle idee della nuova generazione
siasi spinta verso quella dottrina, che può giustificare e
render necessaria la ribellione. Dappoichè, non essendoci
più una Bastiglia da espugnare, non potendosi più
cacciare dal Louvre gli Svizzeri di Carlo X, compita presso a poco
l'unità d'Italia, diventato quel Governo, che fu definito
come la negazione di Dio, una memoria talmente remota che lo si
comincia a giudicare con imparzialità, lo spirito di
ribellione non si può applicare che contro le istituzioni,
che dalle antiche rivoluzioni sono venute fuori, e contro gli uomini
che di queste istituzioni stanno a capo e che sono stati spesso gli
antichi rivoluzionari.
E ciò parrà anche più naturale e ovvio se si
pon mente che, in parte per le imperfezioni inseparabili da
qualunque regime politico, in parte per la loro debolezza
intrinseca, le nuove istituzioni non hanno potuto appagare tutte
quelle speranze di rigenerazione sociale che in esse si erano
riposte, e che gli antichi congiuratori e rivoluzionari diventati
uomini di Stato e reggitori di popoli certo non sono stati immuni da
onori e peccati. Così stando le cose, chi si potrà
maravigliare se quegli elementi giovani che credono possibile una
più radicale riforma della società, se coloro che
sperano con essa di acquistare importanza politica, se buona parte
di quanto vi è di nobile, di attivo, di generoso ed ambizioso
nella generazione che si prepara a raccogliere l'eredità dei
vecchi, abbia abbracciato le dottrine socialiste?322.
Ha acquistato una certa popolarità fra le persone di qualche
cultura una massima del Machiavelli, il quale scrisse che per
salvare o rinvigorire le istituzioni antiche bisognava richiamarle
ai loro principii. Leggendo la storia dei principi mongoli
discendenti da Gengiskan ne abbiamo trovata un'altra, che può
avere un significato diametralmente opposto a quella del segretario
fiorentino e che ci pare più vera, perchè applicabile
ad un numero maggiore di casi pratici. Secondo gli storici dunque,
Yeliui-Cutsai, primo ministro di Octai figlio di Gengiskan, avrebbe
di frequente detto al suo padrone e signore: il vostro impero fu
conquistato a cavallo, ma non lo potete governare restando a
cavallo. Nessuno vorrà negare l'intuito politico del ministro
mongolo; perchè veramente, e lo potremmo con facilità
dimostrare, i modi con cui si conservano gli Stati, le religioni ed
i partiti politici, i sentimenti e le passioni che bisogna a
quest'uopo coltivare, sono di frequente essenzialmente diversi di
quelli che hanno servito a fondarli.
Tornando al caso nostro, facilmente riconosciamo che uno Stato
nuovo, un nuovo regime politico possono esser fondati mediante la
rivoluzione, ammettiamo anzi che qualche volta ciò possa
essere necessario; ma è certo però che nessuno Stato
si consolida, nessun regime dura se continua lo spirito
rivoluzionario, e peggio ancora se coloro che hanno nelle mani il
potere proseguono a fomentarlo, invece di coltivare quei sentimenti,
quelle passioni, quei modi di vedere, che ad esso sono
diametralmente opposti.
Prima di terminare questo argomento rammenteremo di volo altre
cause, che contribuiscono indubbiamente ai progressi del socialismo
e che sono state già da altri autori ampiamente svolte. Tali
sarebbero le improvvisate ricchezze di tanti speculatori, quasi
sempre disonestamente guadagnate e più malamente spese
nell'acquisto di immeritata ed ingiustificata influenza politica,
oppure in un lusso volgare ed appariscente, che offende le
mediocrità degli onesti ed insulta quasi alla inopia dei
più miseri. Tutto l'andazzo del secolo, del resto, congiura
ad aumentare questo danno, perchè, mentre si predica
uguaglianza, democrazia e che tutti gli uomini hanno gli stessi
diritti, mai forse ci è stato tanto pubblico squilibrio nei
godimenti materiali, mai la ricchezza, comunque raggiunta, ha
servito meglio ad aprire tutte le porte, mai essa è stata
più stupidamente ostentata323.
Altri fattori del socialismo sarebbero la guerra inconsulta che si
è fatta al sentimento religioso, la povertà pubblica
prodotta dalle imposte eccessive e sovratutto dai soverchi debiti e
dalle troppe spese improduttive, le immoralità notorie dei
governanti, le ingiustizie e le ipocrisie del Parlamentarismo, le
fabbriche di spostati, che si sono istituite mediante l'ordinamento
presente dell'insegnamento secondario e superiore. Finalmente occupa
un posto distinto in questa enumerazione l'uso invalso di servirsi
dell'influenza che si ha sull'opinione pubblica e sui governi per
ottenere concessioni di monopolii o dazi così detti
protettori dell'industria e dell'agricoltura nazionale.
Giacchè in questa maniera si giustifica qualunque altra forma
di socialismo, avendone già adottato una veramente pessima
che fa servire l'autorità dello Stato ad avvantaggiare alcuni
pochi, per lo più doviziosi, a danno di tutti gli altri
poveri e ricchi.
Si sa che la trascuranza delle norme igieniche, la penuria di buoni
viveri, buona acqua e sane abitazioni, se non hanno l'effetto di
generare il bacillo del cholera, indebolendo però gli
organismi umani ed ostacolando le difese contro il morbo, ne
agevolano la diffusione colà dove esso è entrato, e
producono lo sviluppo della epidemia. Analogamente tutti i
coefficienti che abbiamo enumerato, tutti gli atti di mal governo,
se non sono direttamente responsabili di aver dato origine a
quell'infezione intellettuale che è il socialismo, certo,
aumentando il malcontento e diminuendo quindi la resistenza organica
della società, ne agevolano il progresso. Sarebbe
perciò molto opportuno il consigliare alle classi dirigenti
una più stretta igiene sociale, il che vuol dire l'abbandono
dei vecchi errori. Disgraziatamente il consiglio facile a dare
è piuttosto difficile ad eseguire; perchè sia accolto
e messo in pratica, le dette classi dovrebbero avere maggiore
moralità e sopratutto preveggenza e capacità maggiori
di quelle di cui finora hanno dato, in molti paesi, spettacolo.
XVII. — Forse ben pochi fra coloro che oggi seguono con un certo
interesse lo svolgimento della vita pubblica in Europa ed in
America, non si sono fatta la domanda se la democrazia sociale sia o
no destinata a trionfare in un avvenire più o meno prossimo.
Dobbiamo sinceramente confessare che molti, i quali certo non hanno
simpatia per le dottrine socialiste e che non hanno alcun interesse
a favorirle, sono però inclinati a rispondere
affermativamente alla domanda accennata, e questo è uno dei
frutti di quell'educazione intellettuale per la quale la gran
maggioranza delle persone di qualche coltura è abituata a
considerare la storia dell'umanità come un cammino continuo
verso la realizzazione di quelle idee, che ora diconsi comunemente
avanzate. La credenza cieca poi nel trionfo fatale, inevitabile e
più o meno prossimo del loro programma è comunissima
nei seguaci del collettivismo e dell'anarchia, ed è per essi
un grandissimo elemento di forza, rendendo loro lo stesso servizio
che ai Cristiani primitivi rese la fede nel prossimo avvento del
Regno di Dio o nella vita futura. Come questi, infatti, fondati
sulla fiducia che avevano nella rivelazione divina, affrontavano
intrepidi il martirio, cosi i novatori odierni sopportano volentieri
le noie, i disagi, le persecuzioni, quando per caso debbono qualcuna
patirne, pregustando anticipatamente la gioia della sicura, e molti
credono, della vicina vittoria324.
Dopo quanto abbiamo già scritto nessuno si
meraviglierà se noi affermiamo recisamente che, anche
nell'ipotesi che collettivisti ed anarchici fossero vittoriosi in
parecchi Stati e s'impadronissero dell'autorità politica,
sarebbe sempre impossibile la realizzazione del loro programma;
poichè i postulati del collettivismo, del comunismo e
dell'anarchia non potranno mai avere una pratica attuazione325.
Resta però a vedere quanta probabilità di divenire una
realtà abbia la ipotesi che abbiamo accennata. Giacchè
il semplice tentativo, continuato per qualche anno, di porre in
vigore, ad esempio, le teorie collettiviste, se non altererà
le leggi costanti, che regolano la organizzazione delle
società umane, leggi che finiranno sempre coll'imporsi e col
trionfare, graverà terribilmente sulla sorte della
generazione sulla quale l'esperimento sarà fatto. Essa,
sbattuta fra la rivoluzione e la inevitabile reazione, sarà
ad ogni modo costretta a ritornare verso un tipo di governo assai
più rozzo ed assoluto di quello al quale siamo omai abituati
e dovrà subire necessariamente una decadenza nella difesa
giuridica e un vero disastro morale e materiale, i quali fra qualche
secolo potranno essere studiati con interesse e forse anche con
diletto, come un bel caso di patologia sociale, ma intanto
procacceranno sofferenze inenarrabili a coloro, che ne saranno stati
gli spettatori e le vittime.
Ma, anche posta in questi termini, la questione non è di
quelle che si possono risolvere con sicurezza, perchè molti
sono gli argomenti che si possono addurre prò e contro il
trionfo temporaneo di una rivoluzione sociale, e gli elementi del
giudizio variano abbastanza da uno Stato all'altro di Europa, e
variano ancora di più se si tien conto delle colonie inglesi
e degli Stati Uniti d'America.
Certo è assai meno facile l'attuazione di un semplice
tentativo di collettivismo che l'abbattere la più salda delle
dinastie regnanti. Non bisogna infatti dimenticare che, nel presente
ordinamento sociale, le due redini di cui si serve qualunque Governo
per condurre una nazione, sono la burocrazia e l'esercito stanziale.
Or, come abbiamo già accennato nel capitolo VIII, nelle
rivoluzioni precedenti, fatta eccezione della grande rivoluzione
francese, si è cambiato il cavaliere, ma le redini non si
sono spezzate, esse anzi hanno continuato a funzionare.
Or se trionfasse una grande rivoluzione sociale, è assai
dubbio se il presente corpo d'impiegati ed ufficiali potrebbe
continuare nelle sue funzioni, e sopratutto è oltremodo
dubbio se nelle fila dei vincitori si troverebbe il personale adatto
a surrogarli. Non agendo più i consueti organi del Governo,
si avrebbe un periodo d'anarchia dal quale non si sa che cosa
potrebbe uscire, ma che intanto renderebbe impossibile persino la
continuazione momentanea di un saggio qualunque di collettivismo.
L'ordinamento presente della società fornisce poi forze di
resistenza immense e di cui ancora non si è esperimentato il
valore. Incalcolabile è il numero di uomini e d'interessi la
cui sorte è legata alla continuazione del regime che oggi
prevale. Banchieri, commercianti, industriali, impiegati pubblici e
privati, possessori di titoli di credito pubblico, depositari di
risparmi anche piccoli, proprietari grandi e piccini, formano un
esercito numerosissimo, i cui gregari se possono anche simpatizzare
colle idee di uguaglianza sociale, quando si tratta di progetti
vaghi ed a lunga scadenza, certo penserebbero altrimenti se ne
vedessero immediata l'esecuzione ed imminente fosse la lesione dei
loro interessi.
Bisogna anche calcolare che un Governo può in certi momenti
avere il monopolio di mezzi d'azione efficacissimi, quali sarebbero
la posta, il telegrafo e le ferrovie326, che esso può
disporre dei milioni che si trovano nelle pubbliche casse, senza
pregiudizio di quelli che in un momento grave possono fornigli le
Banche ed il corso forzoso, e che esso infine ha a sua disposizione
la polizia e l'esercito stanziale, che, se non è stato
già disorganizzato dalle concessioni fatte allo spirito
democratico327, quando è saldo e risolutamente adoperato
può, anche ridotto ad un numero relativamente scarso,
comprimere sempre qualunque tentativo d'insurrezione armata.
D'altra parte si deve tener conto della propaganda continua che, in
tutti gli strati sociali, anche in quelli che dovrebbero essere
più inclinati alla difesa dell'ordine presente, fa la
democrazia sociale. Propaganda, che se raramente ottiene delle
conversioni piene ed intere fra gli uomini di una certa età e
di una certa posizione sociale, rende dubbiosi della giustizia della
propria causa molti di coloro, che, per interesse o per ufficio,
dovrebbero combattere la nuova corrente rivoluzionaria, e che nel
momento del pericolo può far diventare oscillanti buona parte
di quelle forze, che hanno la missione di arrestarla. E questa
titubanza può diventare un grave fattore di sconfitta se
è complicata colla lenta azione dissolvente, che in tutti gli
organi dello Stato esercita il regime parlamentare. Come si
può esigere infatti fermezza nel pericolo, ed un servizio
scrupoloso e leale senza debolezze ed esitazioni, da una macchina
burocratica abituata al mutevole arbitrio dei successivi Ministeri;
da Prefetti ed ufficiali di polizia cambiati periodicamente in
agenti elettorali? Quale affidamento potranno dare uomini, che, per
obbligo quasi di ufficio, non devono avere fedeltà e
devozione sincera per alcun principio, per alcuna persona, che
devono combattere oggi colui al quale ubbidirono fino a ieri, e il
cui studio principale deve esser quello di non incorrere nella
collera del padrone presente, senza farsi troppo nemico il padrone
futuro? In questo modo si potranno formare buoni equilibristi,
adatti tutto al più per i momenti ordinari della vita
amministrativa, ma che non avranno nè l'abitudine alla cieca
obbedienza, nè il coraggio di ardite iniziative e di assumere
gravi responsabilità, e che sopratutto mancheranno della
fermezza di mente e di cuore, così rara negli uomini abituati
a transazioni ed a ripieghi, e che pure è la qualità
più indispensabile per gli alti funzionari di un Governo nei
momenti straordinari in cui avvengono le rivoluzioni.
Ciò che sopratutto poi rende difficile qualunque presagio
è il fatto che il giorno in cui lo scoppio rivoluzionario
avverrà (e non è secondo noi sicuro che debba
avvenire), non sarà determinato nè dai capi della
democrazia sociale, nè dagli uomini che staranno al governo
dei vari Stati. Esso sarà la conseguenza o di errori
involontari dei governanti, o di avvenimenti inconsciamente
provocati, che nessuno avrà avuto la forza d'impedire e che
produrranno in una data società una scossa ed una agitazione
grandiosa328. Or non sappiamo, nè possiamo sapere, se
l'occasione che si presenterà e nella quale il partito
rivoluzionario sarà in certo modo forzato ad agire,
potrà essere per questo la migliore possibile; se allora
cioè le sue forze saranno del tutto organizzate e quelle dei
suoi avversarii abbastanza disorganizzate. D'altra parte bisogna
tener presente che se il momento favorevole di iniziare la
rivoluzione dovesse ancora per molto tempo tardare, ciò
sarebbe dannoso ai rivoluzionari stessi. Perchè è
difficilissimo mantenere a lungo fra le masse una agitazione
qualsiasi, quando non si fa alcuno sforzo concreto affinchè
queste possano sperare che vedranno l'attuazione di quegli ideali,
che l'agitazione stessa si propone di raggiungere; e perchè
in Francia ed in qualche altro paese, dove si conservano le
abitudini e le tradizioni della lotta a mano armata, esse andrebbero
interamente perdute, e mancherebbero del tutto quei capi, che,
coll'autorità e l'esperienza acquistate nei precedenti
cimenti, potrebbero meglio dirigere l'andamento delle future
rivoluzioni.
Infine il valore personale degli uomini, che reggeranno il potere
supremo nei grandi Stati d'Europa e d'America nel momento che si
giocherà la partita decisiva, se pure questa sarà
giocata, costituirà un fattore non indifferente di vittoria o
di sconfitta per la democrazia sociale rivoluzionaria.
XVIII. — Ad ogni modo è certo che, anche che sia evitato un
movimento violento, ammesso pure che tra le file dei novatori il
partito detto evoluzionista abbia a conservare sempre tale
preponderanza da poter impedire, per ora e per qualche generazione
ancora, una lotta a mano armata, non per questo la democrazia
sociale cesserà di essere un violento agente dissolvitore
della società moderna. Sicchè se la nuova dottrina non
sarà debellata, l'ordine di cose ora prevalente
rimarrà sempre in uno stato di equilibrio instabile, e non
sarà in gran parte custodito che dalla forza materiale. Or
questa può bastare ad impedire, giorno per giorno, lo scoppio
di una catastrofe violenta, ma non può ridare al consorzio
civile quell'unità morale senza la quale esso non può
godere di uno stabile assetto329. Ci pare perciò
indiscutibile che la civiltà europea, se sarà
costretta a stare lungamente e diuturnamente sulle difese contro le
tendenze delle scuole socialiste, sarà, per questo solo,
costretta a decadere. E la decadenza si manifesterà tanto se
vorrà con esse transigere, far concessioni e quasi venire a
patti, come fra poco meglio vedremo, quanto se adotterà un
sistema di coazione e di resistenza assoluta, per mantenere il quale
dovrà abbandonare buona parte delle sue idealità,
diminuire la libertà del pensiero ed adottare nuovi tipi di
governo, che segneranno una vera diminuzione nella tutela della
giustizia e nella difesa giuridica.
Rimedi se ne sono suggeriti molti e certo buona parte di essi non
è da respingere; ma, anche i migliori, se accrescono, come
già abbiamo visto, la forza di resistenza del malato, non
tolgono la vera causa della malattia. Di questa specie di farmachi
abbiamo testè parlato e non crediamo opportuno di ritornarci
sopra. Se si migliora l'economia nazionale, se si diminuiscono le
imposte, se si rende più equa ed efficace la giustizia, se si
tolgono tutti gli abusi che si possono fare scomparire, sarà
certo per la società un bene non disprezzabile; ma la
democrazia sociale, che aspira alla giustizia assoluta ed
all'uguaglianza assoluta, le quali mai si potranno ottenere, non
disarmerà certo per questo e non perdonerà alla
società borghese solo perchè essa confesserà in
parte le sue colpe e farà penitenza; giacchè,
diversamente del Dio dei cristiani, il vero socialista di fronte
all'ordinamento economico presente vuole la morte del peccatore, non
già che si converta e viva.
Un secondo ordine di rimedi nel quale molto hanno sperato uomini di
Stato e qualche sovrano moderno, consiste nell'applicare
l'intervento dello Stato a sanare o diminuire molte delle
ingiustizie, delle sofferenze, che sono il prodotto
dell'individualismo economico, della concorrenza spietata che si
fanno proprietari e grandi industriali, e che hanno per effetto la
miseria e l'incertezza del domani per i proletari salariati. Anche
su questo punto noi ci siamo già abbastanza spiegati nel
capitolo VI del presente lavoro. Abbiamo infatti già detto
che non vi è una quistione sociale, ma vi sono molte
quistioni sociali, e che, caso per caso, l'intervento dello Stato,
ossia della burocrazia e delle altre classi dirigenti organizzate,
può essere giustificato o respinto. Certo vi sono esempi in
cui quest'intervento, moderatamente usato, può essere
accolto, come avviene per la limitazione di certi lavori per le
donne ed i fanciulli. Non negheremo anche che per quel che riguarda
la carità, l'assistenza pubblica o la mutua assistenza,
l'organizzazione moderna sia affatto insufficiente; poichè
fra lo Stato ed il grosso Comune, strumento dello Stato, enti troppo
grandi, entro i quali l'individuo sparisce ed è dimenticato,
e la famiglia moderna ridotta omai alla massima semplicità,
alla minima espressione possibile, nella quale neppure i fratelli
sentono spesso il dovere di aiutare i loro consanguinei, non vi sono
organismi intermedia Tali erano fra noi nell'antichità, nel
Medio Evo e fino a qualche secolo fa, le corporazioni e le
fratellanze d'arte e di professione, e organismi consimili si
trovano anche ora in tutte le altre civiltà330. Essi
impongono certi obblighi a coloro che ne fanno parte; ma riconoscono
pure in essi certi diritti e sopratutto impediscono che l'individuo
o la famiglia, colpiti da un momentaneo disastro, siano lasciati
nell'abbandono e ridotti alla disperazione. Indiscutibilmente
(quindi da questo lato qualche cosa vi è da rifare, e forse
basterebbe che i Governi lasciassero fare perchè
spontaneamente si andassero ricostituendo quelle solidarietà
naturali, che per formarsi hanno principalmente bisogno di un lungo
periodo di stabilità nelle popolazioni e negli interessi
economici331.
Ben altro però è ciò che ordinariamente si
pretende dall'intervento dello Stato; perchè si vorrebbe da
molti che questo direttamente influisse sulla distribuzione della
ricchezza, togliendo, mediante le imposte, ai ricchi il superfluo
per darlo ai poveri. Or questo concetto, che raccoglie molte
simpatie anche tra i conservatori, come quello che tende a
contentare tutti i numerosissimi socialistoidi, cioè quella
turba grandissima, che, senza essere ascritta al partito
collettivista od all'anarchico, forma quell'ambiente di simpatia nel
quale i detti partiti possono prosperare e propagarsi, è
veramente pericoloso. Non bisogna infatti dissimularsi che una sua
applicazione alquanto larga, colpendo troppo gravemente il capitale,
o pretendendo, ad esempio, d'imporre un dato tipo di cultura delle
terre, ucciderebbe ciò che i Francesi chiamano la vacca da
latte; cioè farebbe diminuire grandemente la produzione della
ricchezza e quindi aumenterebbe la miseria ed il malcontento in
tutti gli strati sociali. Inaugurando un simile sistema, non si
avrebbe il collettivismo, non sparirebbero le disuguaglianze
sociali, e quindi resterebbe sempre ai novatori qualche cosa di
sostanziale da chiedere, ma si turberebbe oltremodo tutta l'economia
della società detta borghese e se ne disorganizzerebbe del
tutto il funzionamento. Che i seguaci del Marx caldeggino
transitoriamente l'applicazione del sistema accennato è
naturale ed è logico; perchè è il solo che
possa ridurre la società al punto da rendere desiderabile un
esperimento di collettivismo; ma ci pare molto strano che quelli,
che le loro teorie non accettano, sperino di neutralizzarle e
combatterle agendo in modo da peggiorare le condizioni economiche di
tutti e riducendo quasi tutti nella condizione di attendere un
miglioramento dal collettivismo332.
Il socialismo cristiano, e più specialmente quello cattolico,
è infine ritenuto da molti mezzo adattissimo a neutralizzare
quello ateo, materialista e rivoluzionario, e sforzi lodevolissimi,
e non del tutto inefficaci, si sono fatti e si fanno in questo
senso. Non bisogna però avere una fiducia illimitata in
questa diversione. Come abbiamo già accennato, il
Cristianesimo ed il socialismo, sebbene ambidue profittino di quella
sete di giustizia e d'ideale, che è così comune negli
uomini, pur costretti a vivere in un mondo dove esistono tante
nequizie delle quali essi stessi sono gli autori, si appoggiano poi
ad altri sentimenti, che nelle due dottrine sono tutt'altro che
identici. I loro metodi di propaganda, le loro aspirazioni sono
anche essenzialmente diverse, e diversissimo è l'ambiente
intellettuale, che è loro necessario per prosperare.
Giacchè la base del Cristianesimo è la fede nel
soprannaturale, in un Dio che vede le lacrime dei miseri e li
consola in questa vita e li premia nell'altra; mentre il socialismo,
nato dalla filosofia razionalista del secolo passato, si fonda sulle
dottrine materialiste, che insegnano tutta la felicità
consistere nell'appagamento degli istinti e delle passioni terrene.
Sono perciò due piante di natura differentissima, che possono
benissimo contrastarsi gli umori del suolo, ma delle quali è
impossibile tentare lo scambievole innesto. È vana
perciò la speranza che il ramoscello cristiano inserito nel
tronco socialista ne possa modificare i frutti, togliendo loro ogni
sapore aspro, ogni virtù nociva, e rendendoli dolci e
salubri; ed il socialismo cristiano invero altro non è e non
può essere che un nome nuovo applicato ad una cosa vecchia,
cioè alla carità cristiana. La quale può senza
dubbio rendere ancora grandissimi servigi alla società
europea, ma potrebbe interamente distruggere il socialismo ateo e
rivoluzionario solo quando il mondo divenisse di nuovo talmente
imbevuto di spirito cristiano, come lo fu nei secoli meno colti del
Medio Evo.
XIX. — Nelle condizioni presenti della civiltà europea, il
rimedio che può colpire il male alla radice, quello che,
facendo sparire i succhi vitali dei quali l'albero si nutre,
può solo farlo disseccare, è ben altro. La democrazia
sociale, come crediamo di aver già dimostrato, è
principalmente una malattia intellettuale del secolo nostro. E,
sebbene essa abbia trovato propizio anche l'ambiente morale,
preparato da tutti i rancori, le ambizioni e le cupidigie, che sono
la necessaria conseguenza di un lungo periodo rivoluzionario e dagli
spostamenti di fortuna che a questo vanno uniti, sebbene le sia
stata sommamente giovevole la disillusione prodotta dalla democrazia
parlamentare, che dovea inaugurare nel mondo il regno della
giustizia e dell'uguaglianza ed ha così male adempiuto ai
suoi impegni, pure l'origine della nuova dottrina è dovuta ad
un dato sistema d'idee, che in fondo è la conseguenza logica
di quello al quale l'antica democrazia pura si era inspirata.
La credenza nella possibilità che il Governo emani dalla
maggioranza, la fede nella incorruttibilità di questa
maggioranza, la fiducia assoluta che gli uomini emancipati da ogni
principio d'autorità, che non abbia la sua base nel consenso
universale, da ogni superstizione aristocratica, monarchica e
religiosa, potranno inaugurare quel regime politico, che più
risponde agli interessi generali ed a quelli della giustizia, hanno
formato quel complesso di idee e di sentimenti, che ha combattuto e
combatte le credenze cristiane nel popolo ed è il principale
ostacolo a qualunque compromesso con la Chiesa. Lo stesso ordine
d'idee e di sentimenti ha prodotto la democrazia parlamentare e,
come abbiamo visto, impedisce ora che si applichino al
parlamentarismo rimedi radicali; e lo stesso infine è quello
che ci porta inesorabilmente verso il socialismo ed in ultimo verso
l'anarchia.
Poichè, dopo che l'esperienza ha dimostrato che la semplice
uguaglianza politica, estrinsecata col suffragio universale, non
produce l'uguaglianza di fatto e mantiene la preminenza di una data
classe e di certe influenze sociali, è naturale ed è
logico che si escogiti un sistema, che distrugga le disparità
delle fortune private e ponga in condizioni uguali coloro che,
aspirando a reggere la società, domandano il suffragio del
popolo. E, dopo che un'esperienza un po' più matura
avrà accertato, o semplicemente fatto intuire, che neanche in
questo modo si avrà un Governo che sia la sincera emanazione
della volontà della maggioranza, e che molto meno si
avrà la giustizia assoluta, sorgerà, come ultimo
portato di un concetto metafisico che invano ha corso verso la sua
realizzazione, la dottrina che caldeggia la fine di qualunque tipo
di organismo sociale, e perciò l'anarchia.
La verità è quindi che la dottrina democratica, che
pure ha reso innegabili servigi alla civiltà, e che,
incarnandosi nel sistema rappresentativo del quale ha trovato il
modello in Inghilterra, ha contribuito alla realizzazione di
importantissimi miglioramenti nella difesa giuridica, ottenuti
mercè un regime di libera discussione che si è
applicato in tante parti d'Europa, ora che si è arrivati alle
sue ultime deduzioni logiche, e che i principii sui quali è
fondata si vogliono attuare fino alle loro ultime conseguenze,
produce la disorganizzazione ed il decadimento dei paesi nei quali
prevale333. Ed è necessario che sia così;
perchè la detta dottrina, sotto apparenze
pseudo-scientifiche, è in fondo perfettamente apriorista.
Infatti le sue premesse non sono in nulla giustificate dai fatti,
giacchè, nelle società umane, l'uguaglianza assoluta
non è mai esistita, ed il potere politico non è stato
o non sarà mai fondato sul consenso esplicito della
maggioranza; perchè esso è stato e sarà sempre
esercitato da quella minoranza organizzata che ha avuto od
avrà i mezzi, variabili secondo i tempi, di imporre la sua
supremazia alla moltitudine. Abbiamo già visto che solo
un'organizzazione sapiente ed un numero veramente grande di
circostanze storiche favorevoli hanno potuto rendere questa
preponderanza della classe dirigente meno pesante ed abusiva.
Scrisse Rénan che l'Impero romano avrebbe potuto arrestare il
propagarsi del Cristianesimo ad una sola condizione: diffondendo
cioè quell'insegnamento positivo delle scienze naturali che
solo può sviluppare il senso del reale e che, col porre in
chiaro che nei fatti naturali il nostro mondo ubbidisce a leggi
immutabili, riesce a sradicare dallo spirito umano la credenza nei
miracoli e nell'intervento continuo del soprannaturale334. Ma allora
le scienze naturali erano appena in uno stato embrionale, ed il
Cristianesimo trionfò. Ora, nel mondo in cui viviamo, il
socialismo sarà solo arrestato se la scienza politica
positiva arriverà nelle discipline sociali a schiacciare del
tutto gli attuali metodi aprioristici ed ottimisti, se cioè
la scoperta e la dimostrazione delle grandi leggi costanti, che si
manifestano in tutte le società umane, metterà a nudo
l'impossibile attuazione della concezione democratica. A questo
patto, ma a questo patto soltanto, le classi intellettuali saranno
interamente sottratte all'influenza della democrazia sociale e
formeranno un ostacolo invincibile al suo trionfo.
Finora questo o quell'altro postulato dei socialisti è stato
dagli studiosi di scienze sociali, e sopratutto dagli economisti,
studiato in modo da farne rilevare l'evidente fallacia. Ma
ciò non basta, perchè equivale a dimostrare falsi uno
o parecchi miracoli senza distruggere la fede nella
possibilità dei miracoli. Ad un intero sistema metafisico si
deve opporre un intero sistema positivo. Scrisse pure recentemente
un altro egregio autore che ''nell'insegnamento superiore, agli
errori del marxismo bisogna contrapporre le teorie dell'Economia
politica e della sociologia positiva, perchè gl'intelletti
giovanili non restino in balia di chimere ad essi presentate come
gli ultimi risultati della scienza"335. Saggie e giuste parole, ma
che finora contengono più l'espressione di un lodevole
desiderio che l'indicazione di un rimedio di pronta e sicura
efficacia. Eccellente cosa è invero lo studio dell'Economia
politica, ma non basta da solo a bandire dalla mente le chimere alle
quali si accenna. Perchè questa disciplina, che ha acutamente
indagato le leggi che regolano la produzione e la distribuzione
della ricchezza, non si è consacrata eziandio a studiare i
rapporti che hanno con le altre leggi che spiegano la loro azione
sull'organizzazione politica delle società umane;
perchè gli economisti non si sono dedicati ad osservare
quelle credenze, quelle illusioni collettive, che possono diventare,
in una data società, generali e formano tanta parte della
storia del mondo; essendochè è risaputo che l'uomo non
vive di solo pane. E in quanto poi alla sociologia positiva,
l'egregio autore che abbiamo citato ci permetta di credere che
finora non siasi manifestata, almeno nella maggioranza delle sue
dottrine, come scienza matura ed indiscutibile. Ci pare infatti che,
nella seconda metà del secolo decimonono, la concorrenza alla
metafisica democratico-socialista sia stata fatta solo da altri
sistemi sedicenti positivi, ma ugualmente metafisici, che hanno
anche meno riscontro nella vita reale dei popoli e sono anche meno
suscettibili di pratiche applicazioni. Fra le diverse metafisiche
è naturale che la prevalenza sia rimasta a quella che meglio
sa lusingare le passioni più vive e più generali.
Arduo quindi è il compito che resta alla scienza politica. E
lo sarà tanto più, perchè le verità, che
è sua missione di rivelare, non saranno generalmente gradite
ed urteranno molte passioni e molti interessi. È quindi molto
probabile che, malgrado l'abitudine alla libera discussione che
distingue i nostri tempi, la diffusione dei nuovi risultati
scientifici incontrerà ancora una volta quegli ostacoli, che
hanno ritardato i progressi degli altri rami dello scibile.
Nè è da credere che le nuovissime dottrine potranno
trovare un appoggio nei Governi, in quelle classi dirigenti, che
dovrebbero pure sostenerle. Perchè gli interessi, di
qualunque natura siano, amano la polemica, non la discussione
spassionata, e sostengono solo la teoria che serve ad un fine
particolare ed immediato, che giustifica un uomo, sostiene un dato
Governo od un partito; non già quella che potrà
portare pratiche conseguenze solo in momenti relativamente lontani e
nell'interesse generale della società. Se la scienza quindi
finirà col trionfare, la sua vittoria sarà, ora come
sempre, dovuta alla coscienza degli studiosi onesti, per i quali,
sopra ogni altra considerazione, sta il dovere di ricercare ed
esporre la verità.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da circa un
secolo. — II. Cause estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo.
— III. Cause intrinseche della sua mancata diffusione e cenni sui
modi di eliminarle.
I. — La dottrina la quale afferma che, in tutte le società
umane arrivate ad un certo grado di sviluppo e di cultura, la
direzione politica nel senso più largo dell'espressione, che
comprende quindi quella amministrativa, militare, religiosa,
economica e morale, viene costantemente esercitata da una classe
speciale, ossia da una minoranza organizzata, è più
antica di quanto comunemente si crede anche da parecchi di coloro
che la propugnano.
Perchè, pur non tenendo conto che i fatti, sui quali si
fondano i suoi principi fondamentali, sono così evidenti e
comuni che non poterono mai intieramente sfuggire alla osservazione
volgare, sopratutto se sgombra da preconcetti teorici, e che vaghi
accenni e più o meno chiare intuizioni di essa si possono qua
e là rinvenire perfino in qualche scrittore politico di
secoli abbastanza lontani dal nostro, come sarebbe il
Machiavelli336, certo è che le linee fondamentali della
dottrina accennata furono tracciate in modo abbastanza preciso ed
evidente circa cento anni fa negli scritti del Saint-Simon.
Difatti fin d'allora questo autore, del quale ancora non è
abbastanza nota ed apprezzata la profonda originalità,
esaminando le condizioni morali e politiche della società
medioevale e paragonandole a quelle della società agli inizi
del secolo decimonono, affermava che nella prima prevaleva
l'elemento militare e teologico, e perciò all'apice della
piramide politica stavano i sacerdoti ed i capi militari, mentre
nella seconda le funzioni principali ed essenziali per la vita
sociale erano quella scientifica e quella industriale, e quindi la
direzione politica doveva essere affidata a coloro che avevano la
capacità di far progredire la scienza e di dirigere la
produzione economica. E con ciò non solo veniva a stabilire
implicitamente la immanente necessità di una classe
dirigente, ma chiaramente proclamava che essa doveva possedere i
requisiti e le attitudini che, in una data epoca ed in un dato tipo
di civiltà, sono alla direzione sociale più
necessari337.
Figliuolo intellettuale di Saint-Simon fu il suo allievo Augusto
Comte338, il quale nel suo Sistema di politica positiva ossia di
sociologia, pubblicato verso la metà del secolo decimonono,
sviluppò, modificandole, alcune delle idee fondamentali del
suo antico maestro, sostenendo che la direzione della società
doveva in avvenire spettare ad un'aristocrazia scientifica, che egli
appellava sacerdozio scientifico, ed affermando che questo regime
sarebbe stato una conseguenza necessaria del periodo positivo al
quale era pervenuta la mentalità umana nel secolo scorso, in
contrapposto allo stadio teologico prevalente nell'antichità
classica ed a quello metafisico prevalente nel Medio Evo339. Circa
venti anni dopo, poco dopo il 1870, Enrico Taine spiegava
magistralmente le cause prime della grande rivoluzione francese
colla necessità di sostituire una nuova classe dirigente alla
vecchia, che le antiche attitudini al comando avea perduto e quelle
che i nuovi tempi richiedevano non aveva saputo acquistare; e poco
prima, il Marx e l'Engels aveano formulato la teoria per la quale lo
Stato sarebbe stato sempre nel passato, e sarebbe ancora oggi nella
società borghese, il rappresentante della classe padrona
degli strumenti di produzione economica. Dottrina che rimanda quindi
alla fine di un'evoluzione, che dovrebbe fatalmente condurre al
collettivismo, l'inizio di una forma di regime politico ed economico
nel quale la collettività intiera, impadronitasi alla sua
volta degli strumenti accennati, non sarà più
sfruttata a beneficio di una minoranza.
Perciò più di sessanta anni erano trascorsi dopo le
pubblicazioni di Saint-Simon, e la prima unica fonte si era
già suddivisa in diverse correnti, assai divergenti l'una
dall'altra, quando, sullo scorcio del secolo scorso e nei primi anni
di quello presente, la nuova visione del mondo politico veniva
proclamata e propalata da un certo numero di scrittori di vari
paesi, che ad essa spesso erano arrivati per vie diverse ed avendo
scarsa od imperfetta conoscenza gli uni degli altri e dei loro primi
predecessori. Ciò che, se qualche volta aggiungeva alla loro
percezione qualche cosa di spontaneo ed originale, qualche altra
volta la guidava per vie senza uscita o l'arricchiva di dettagli
facilmente confutabili. Quando si farà la storia della nuova
dottrina della classe politica non sarà difficile
l'attribuire ad ogni scrittore la parte di merito che avrà
avuto nell'apportare il suo contributo di materiale buono, mediocre
o cattivo nella costruzione dell'edificio, e distinguere anche quale
materiale era perfettamente nuovo e quale già usato. Per ora
basterà ricordare a titolo di cronaca che nel 1881 veniva
alla luce la Lotta delle razze di Gumplowicz340, che riconosceva in
ogni organismo politico l'esistenza di due classi dirigenti, delle
quali l'una si riservava la direzione amministrativa e militare e
l'altra quella industriale, commerciale e bancaria, e fondava sopra
la diversità delle origini etniche la differenziazione fra
queste due classi ed il loro predominio su quella diretta, e nel
1883 veniva pubblicata la nostra Teorica dei governi, nella quale,
esaminando l'intimo funzionamento dei regimi democratici, si
dimostrava come anche in essi perduri la necessità di una
minoranza organizzata che, a dispetto delle apparenze e dei
principî sui quali legalmente poggia lo Stato, conserva la
direzione reale ed effettiva di esso. Negli anni successivi venivano
pubblicate la prima edizione degli Elementi di scienza politica ed a
tacere di altri, le opere dell'Ammon, del Novikof, del Rensi, del
Pareto e del Michels341.
Sicchè, in parte per opera degli scrittori menzionati, ed in
parte forse anche maggiore per quella spontanea maturità
dell'esperienza collettiva per la quale il pensiero di una
generazione, quando non si cristallizza nell'adorazione cieca degli
insegnamenti degli antenati, arriva a profondità un poco
più grandi di quelle raggiunte dalle generazioni precedenti,
si può affermare che oggi il concetto dell'esistenza
necessaria di una classe dirigente è entrato, in modo
più o meno preciso, nella coscienza di tutti coloro che, nei
paesi più colti d'Europa, pensano, meditano o parlano sui
fenomeni storici e politici. Difatti vediamo comunemente attribuire,
più che all'ignoranza delle masse o all'arbitrio dei
reggitori supremi, alla incapacità ed insufficienza delle
classi dirigenti gli insuccessi delle varie nazioni e le catastrofi
che le minacciano. Ciò che, per conseguenza logica,
porterebbe ad attribuire all'azione illuminata delle stesse classi i
successi, quando questi si conseguiscono. E bisogna aggiungere che
alla divulgazione dell'idea accennata ha proceduto parallela la
lenta erosione di quella concezione ottimistica della natura umana
che, nata nel secolo decimottavo, occupò un posto
preponderante nella mentalità europea durante quasi tutto il
secolo decimonono. Concezione per la quale si credeva che, distrutte
le ineguaglianze legali, fosse possibile una elevazione morale ed
intellettuale indefinita in tutti gli strati sociali, in modo da
renderli tutti ugualmente capaci di reggere la cosa pubblica. Il
quale modo di vedere evidentemente è il solo che possa
fornire una base morale ed intellettuale a ciò che
comunemente s'intende per democrazia, cioè al governo dello
Stato per opera della maggioranza numerica dei consociati.
II. — Dopo quanto abbiamo detto, può destare ragionevole
maraviglia la scarsa efficacia pratica che la nuova dottrina ha
esercitato ed esercita non solo nello svolgersi delle istituzioni
politiche, ma anche nella scienza ufficiale e non ufficiale.
Giacchè anche coloro che ammettono l'esistenza della classe
politica, ed il non ammetterla equivarrebbe alle volte a negare
l'evidenza, molto spesso non ragionano come se il fatto fosse
inevitabile, non ne traggono le conseguenze necessarie, e quindi non
si servono della nozione accennata come di un filo conduttore che
deve guidarci nell'indagine delle cause che preparano e producono
gli effetti, i quali alle volte spingono le società umane
verso la prosperità e la potenza, alle volte le inabissano
nel disfacimento e nell'anarchia. A nulla giova infatti l'attribuire
il merito del successo, o la responsabilità dell'insuccesso,
alla classe dirigente se non se ne scrutano i congegni, nell'azione
dei quali si può ritrovare la spiegazione della sua forza o
della sua debolezza. E con ciò si è già
accennato ad una delle cause della sterilità pratica della
nuova dottrina; cause che però vanno piuttosto largamente
esaminate e che, per facilitarne l'esame, divideremo in due
categorie: in estrinseche, cioè estranee all'essenza ed allo
svolgimento della dottrina stessa, ed intrinseche, ossia dovute a
difetti o manchevolezze di essa.
La prima delle cause estrinseche, e si potrebbe dir anche la
principale, consiste nel fatto che finora tutte le istituzioni
vigenti in Europa sono basate sopra altre dottrine, delle quali
qualcuna è diversa e quasi estranea a quella della quale ci
occupiamo e qualche altra con essa in antitesi perfetta. Difatti i
Governi rappresentativi, ora quasi da per tutto prevalenti nei paesi
di civiltà europea, in parte sono modellati secondo i
precetti del Montesquieu, che nella triplice partizione dei poteri
sovrani fa consistere l'essenza e la guarentigia della
libertà politica, ed in parte sempre maggiore sopra quelli di
Rousseau, a tenore dei quali soli poteri legittimi sono quelli che
rappresentano la volontà della maggioranza numerica dei
cittadini ed il diritto al suffragio viene considerato come un
diritto innato, dal quale nessun individuo può essere
ragionevolmente ed onestamente escluso.
Or il regime democratico ha per sè, a preferenza di altri,
una grande forza conservatrice, la quale consiste nella
necessità che hanno i suoi naturali avversari di accettarlo
ufficialmente se vogliono eluderne, in parte maggiore o minore, le
conseguenze. Tutti coloro infatti che per ricchezza, cultura,
intelligenza o furberia hanno le attitudini e la possibilità
di guidare la comune degli uomini, in altre parole tutte le frazioni
della classe dirigente, una volta che il suffragio universale
è istituito, devono inchinarsi davanti ad esso; ed anche,
occorrendo, adularlo, se vogliono partecipare alla direzione dello
Stato ed arrivare a quei posti dai quali i loro particolari
interessi di classe possono essere meglio difesi. Questo omaggio
ufficiale, che gli stessi naturali avversari della democrazia devono
tributarle, impedisce ad essi di professarsi pubblicamente come
seguaci di teorie le quali esplicitamente negano la
possibilità di un regime democratico, come viene comunemente
concepito, e fa sì che difficilmente possa formarsi quella
coalizione di sentimenti e d'interessi, che è necessaria
affinchè una dottrina diventi una forza attiva capace di
trasformare le istituzioni, perchè essa conquisti e penetri
gli intelletti in modo da modificare sensibilmente l'indirizzo di
una società342.
Si aggiunga che una concezione nuova, in politica od in religione,
non può acquistare molta efficacia pratica finchè
quella che nella mentalità umana l'ha preceduto non ha
esaurito tutta la sua forza di espansione, o, meglio ancora,
finchè non ha compito il programma storico per il quale era
nata e si era più o meno rapidamente diffusa. Ora la moderna
concezione democratica è nata poco più di un secolo e
mezzo fa, ebbe rapidissima diffusione perchè prima in
Francia, e poi immediatamente dopo nell'Europa occidentale, la nuova
classe dirigente l'adoperò subito per abbattere i privilegi
della nobiltà e del clero e sostituirsi in gran parte ad
essi; ma, per quanto i progressi della cennata dottrina siano stati
rapidi, alla fine del secolo decimonono la sua missione non era
certamente compiuta e, nei paesi dell'Europa orientale, l'efficacia
della sua azione è stata relativamente molto recente.
Perciò quando Saint-Simon, circa cento anni fa, credeva
esaurito il compito delle dottrine democratiche ed in una lettera
aperta a Luigi XVIII gli suggeriva "di non preoccuparsi del preteso
dogma della sovranità popolare, il quale non era che
un'antitesi opposta dai legisti e dai metafisici al dogma del
diritto divino, un'astrazione provocata da un'altra astrazione, e
che i due dogmi rappresentavano i residui di una lotta omai
terminata”343, evidentemente egli commetteva un grossolano
anacronismo e dimenticava, o non sapeva, con quanta disperante
lentezza si svolga ordinariamente la storia in rapporto alla
brevità della vita umana.
Invece il diritto divino, che Saint-Simon credeva morto e sepolto
precisamente un secolo fa, tentava ancora di resistere in Francia
nel 1830, quando Saint-Simon era già morto, con Carlo X e con
Polignac, ed in Germania ed in Russia resisteva ancora alla corrente
dei tempi fino a qualche anno fa; mentre l'altro dogma metafisico
della sovranità popolare non si affermò interamente
che col suffragio universale, che la Francia adottò per la
prima in Europa solo nel 1848. Sebbene sia pure vero che, in tutti i
paesi che più o meno recentemente l'hanno adottato, si
è mantenuto finora, sotto l'egida di esso, quel predominio
delle classi colte ed agiate, più o meno temperato dalle
influenze della piccola borghesia e da quelle dei rappresentanti
degli interessi di alcune categorie del proletariato, il quale ha in
fondo molta analogia con quel governo degli industriali, dei dotti e
degli artisti auspicato dal nostro autore e che egli voleva che
Luigi XVIII iniziasse di sua autorità. E si potrebbe
aggiungere che le istituzioni democratiche potranno forse ancora
durare se, mediante esse, si riuscirà a mantenere un certo
equilibrio fra le varie frazioni della classe dirigente e se
l'apparente democrazia, fatalmente trascinata dalla logica, che
è la sua peggiore nemica, e dagli appetiti delle classi
inferiori e di coloro che le capeggiano, non vorrà fare il
tentativo di diventare realtà, integrando l'uguaglianza
politica con quella economica e culturale.
III. — Alla principale causa intrinseca della scarsa fortuna che ha
avuto finora la dottrina della immanenza necessaria della classe
dirigente abbiamo già sommariamente accennato.
Una dottrina è un filo dal quale, non dico i profani, ma
coloro che sono iniziati nello studio di un dato ordine di fatti,
vogliono essere guidati nel laberinto che questi a prima vista
presentano, e, tanto più riesce praticamente utile, quanto
più agevola e semplifica la loro comprensione e la loro
analisi; ed in questa cosa, come in tante altre, l'apparenza basta
spesso a soddisfare gli uomini quanto la sostanza. Or certamente le
antiche classificazioni delle varie forme di regime politico, quella
di Aristotile, che le divideva in monarchie, aristocrazie e
democrazie, e quella di Montesquieu, che le tripartiva in governi
dispotici, monarchici e repubblicani, adempivano abbastanza bene al
fine indicato. Ognuno, seguendo lo Stagirita o l'autore dello
Spirito delle leggi, poteva facilmente orizzontarsi nello stabilire
la categoria alla quale apparteneva il regime politico del proprio
paese o dei paesi vicini o anche lontani e, bene stabilito questo
punto, poteva credersi facilmente autorizzato, applicando i precetti
del maestro che aveva scelto e dei suoi continuatori, a rilevarne i
pregi, i difetti ed i pericoli ed a rispondere alle obbiezioni che
gli venivano fatte.
Invece, la semplice affermazione che in tutte le forme di governo il
potere vero e reale risiede in una minoranza dirigente, esautora le
antiche guide senza fornirne una nuova; è la constatazione di
una verità generica, che non aiuta ad addentrarsi nell'esame
degli avvenimenti politici presenti e passati, che per sè
sola non spiega perchè certi organismi politici siano saldi
ed altri deboli, ne indica i modi e le vie per evitarne la decadenza
e riparare i loro possibili difetti. E l'imputare tutto il merito
della prosperità, la responsabilità della dissoluzione
politica di una società, alla sua classe dirigente serve a
poco quando non si conoscono i vari tipi secondo i quali le classi
politiche si formano e si organizzano, perchè è
appunto in questa varietà che bisogna ricercare il segreto
della loro forza o della loro debolezza.
Perciò all'affermazione sintetica e generica è
necessario aggiungere lo studio analitico, ricercando pazientemente
i caratteri costanti delle varie classi dirigenti e quelli
variabili, ai quali si riattaccano le cause remote, quasi sempre
inavvertite dai contemporanei, della loro coesione o della loro
dissoluzione. Si tratta in fondo di adoperare il procedimento tanto
usato nelle scienze naturali, nelle quali una quantità di
cognizioni, diventate ora patrimonio intangibile del sapere umano,
sono dovute ad intuizioni felici, in parte confermate, in parte
modificate, ma sempre sviluppate, dagli esperimenti e dalle
esperienze successive. E se si obbiettasse la difficoltà, e
si potrebbe aggiungere la quasi impossibilità, di fare
esperimenti quando si tratta di fatti sociali, si potrebbe
rispondere che la storia, la statistica e l'economia politica hanno
omai raccolto tale un tesoro di esperienze che esso è
sufficiente per iniziare l'indagine accennata.
Finora gli storici, seguendo in ciò l'opinione prevalente nel
pubblico, hanno messo sopratutto in evidenza le gesta dei capi
supremi degli Stati, di coloro che stanno al vertice della piramide
politica ed, occasionalmente, anche i meriti degli strati più
bassi della piramide, delle masse che coi loro sudori, e spesso col
loro sangue, hanno fornito ai capi supremi i mezzi materiali
necessari a raggiungere i loro fini. Se la nuova visione relativa
all'importanza della classe dirigente si vuole affermare occorre
che, senza negare la valida cooperazione tanto del vertice che della
base della piramide, sia dimostrato che, senza l'opera degli strati
intermedi, quasi nulla di importante e duraturo l'uno e l'altra
avrebbero potuto fare; poichè dalla maniera come questi
strati intermedi sono formati e funzionano dipende principalmente il
tipo al quale un organismo politico appartiene e l'efficacia della
sua azione. E, quando questa dimostrazione verrà fatta,
sarà reso evidente che l'opera dei capi supremi degli Stati
ha potuto lasciare di sè traccia duratura, in generale, solo
quando essa ha saputo prendere l'iniziativa di una opportuna riforma
delle classi dirigenti, e che il merito precipuo delle classi
popolari ha consistito sempre nella capacità congenita di
trarre dalle loro viscere nuovi elementi idonei a bene guidarle.
È per le ragioni esposte che intendiamo ora di continuare e
sviluppare lo studio analitico della classe politica. Naturalmente
non mancheremo di valerci in proposito delle osservazioni fatte
nella prima parte di questo ed in altri nostri lavori, coordinandole
e completandole con osservazioni nuove, nè trascureremo di
trarre il massimo profitto che ci sarà possibile di quanto
altri autori hanno scritto sull'argomento.
Sarebbe puerile la speranza di esaurire il tema, poichè si
tratta di lavoro per il quale può non riuscire sufficiente
l'opera di tutta una generazione di pensatori. È come se ci
trovassimo davanti un'ardua catena di montagne nella quale
l'umanità, se vorrà acquistare una certa conoscenza
delle leggi che finora, quasi a sua insaputa, hanno guidato la sua
azione politica, deve aprire un'arditissima strada, che dovrà
inerpicarsi per cime difficili e scavalcare abissi profondi. Non
aspiriamo neppure a completarne il primo tronco, e saremo assai
soddisfatti se arriveremo a costruire alcuni dei sentieri, che
permetteranno agli ingegneri di studiare bene il tracciato che la
strada dovrà seguire e di preparare alcuni dei progetti di
quelle opere d'arte, che, per la sua costruzione, saranno
indispensabili.
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica.
I. I primi nuclei politici. — II. I grandi imperi orientali. — III.
Formazione dello Stato ellenico. — IV. Originalità e
debolezze dello Stato ellenico.
I. — Volendo studiare i diversi tipi di formazione ed organizzazione
della classe politica, è molto utile, per non dire
indispensabile, di gettare prima uno sguardo sui varî metodi
secondo i quali le società umane, che hanno raggiunto un
certo sviluppo ed hanno acquistato un posto nella storia del mondo,
si sono costituite ed hanno funzionato. Questa indagine preliminare
fornisce forse la maniera più adatta e più pratica di
porre in evidenza la importanza che alla classe politica spetta in
ogni organizzazione sociale; perchè, studiando i diversi
metodi seguiti nella formazione dei varî Stati, sarà
facile accertare che le differenze, per dir così anatomiche,
che in essi riscontreremo, ed i tipi, secondo i quali queste
differenze si possono raggruppare, corrispondono appunto alla
diversa formazione ed al diverso funzionamento delle loro classi
dirigenti.
Uno studio, che aveva qualche analogia con quello che ora vogliamo
iniziare, fu già intrapreso, più di mezzo secolo fa,
quando lo Spencer e poi i suoi seguaci, volendo costruire la nuova
scienza che essi, sull'esempio del Comte, appellavano Sociologia,
credettero opportuno dividere tutte le organizzazioni politiche in
due grandi tipi fondamentali: quello militare, basato sulla
costrizione con la quale i dominatori s'imponevano ai dominati, e
quello industriale, basato sopra patti o contratti liberamente
accettati da tutti coloro che partecipavano al consorzio sociale.
Abbiamo già nella prima parte di questo lavoro accennato alla
imperfezione di questa classificazione, ed abbiamo già messo
in rilievo come il germe di verità che conteneva sia rimasto
infecondamente sperduto in una visione unilaterale ed incompleta dei
fatti che, colla guida di esso, si volevano analizzare344.
Aggiungeremo ora che a questa infecondità della
classificazione accennata, ed in generale di tutte le dottrine dello
Spencer e dei suoi seguaci, ha senza dubbio efficacemente
contribuito l'indirizzo seguito nelle loro ricerche ed i materiali
da loro usati per costruire l'edificio della nuova scienza che
volevano creare.
Essi partivano infatti dal concetto che è negli organismi
sociali più semplici e primitivi, e perciò nelle
piccole orde dei selvaggi o semi-selvaggi, che bisogna rintracciare
i germi dai quali poi si sono sviluppati i diversi tipi di
ordinamento politico, che si possono riscontrare nei popoli arrivati
ad un certo grado di civiltà ed ordinati in nuclei politici
di qualche importanza; e le loro conclusioni perciò si
fondavano principalmente sulle relazioni dei viaggiatori, che con le
popolazioni più primitive avevano avuto maggiori contatti.
Mentre, a tacere di tanti altri appunti che al detto metodo si
potrebbero fare, sembra a noi evidente che, come avviene nelle
piante e negli animali, nei quali i tipi primitivi necessariamente
si rassomigliano, perchè una semplice cellula sarà
sempre simile ad un'altra cellula, anche negli organismi sociali la
differenziazione debba farsi maggiore a misura che essi si
sviluppano e si complicano.
Ed in verità non ci vuole molto a convincersi che una piccola
orda di selvaggi, del genere di quelle che ancora vagano
nell'interno dell'Australia, potrà essere pacifica o
guerriera, a seconda della maggiore abbondanza o deficienza dei suoi
mezzi di sussistenza o della natura delle popolazioni, con le quali
si troverà in contatto; ma che, se vogliamo rintracciare in
essa un regime politico, questo non potrà consistere che nel
predominio del maschio, più forte, intelligente ed astuto, e,
generalmente, del migliore cacciatore o del migliore guerriero.
Potrà anche darsi che l'esperienza di qualche vecchio o di
qualche vecchia sia tenuta in qualche considerazione, ma è
impossibile che in un organismo sociale così primitivo ci sia
già una distinzione di classi, che non può essere
fondata che sulla differenziazione stabile delle occupazioni.
Ed, anche quando lo stadio primitivo è decisamente
oltrepassato, quando la sussistenza è già basata sulla
pastorizia ed anche sopra una incipiente agricoltura, e l'orda
è diventata una tribù, che comprende, secondo i casi,
diversi raggruppamenti di tende od anche un borgo o parecchi
villaggi, e comincia a delinearsi una certa specializzazione nelle
funzioni e quindi una certa gerarchia sociale, il tipo politico che
riscontriamo in tutti questi organismi, che non hanno superato la
prima fase del loro sviluppo, presenta, in tutte le razze ed in
tutte le latitudini, una notevole somiglianza. Poichè la
tribù, sia essa ancora nomade o semi-nomade, o abbia
già stabile dimora, avrà sempre un capo, che è
giudice supremo, sacerdote, quando essa ha ancora i suoi speciali
Dei protettori, e duce militare. Ma egli, in tutte le quistioni di
qualche importanza, deve sempre consultare il consiglio dei
maggiorenti e nulla decide senza il loro consenso, ed in quelle di
massima importanza, le sue decisioni e quelle dei maggiorenti devono
essere approvate dall'assemblea di tutti i membri della
tribù, cioè di tutti gli adulti, che non sono schiavi,
e neppure individui estranei, ai quali la tribù ha accordato
la sua protezione, ma che non ha ancora aggregato a sè per
via dell'adozione o di qualche altra finzione legale.
È questo l'ordinamento che troviamo descritto in Omero345, e
quasi identico è quello che Tacito riscontrava nei Germani
suoi contemporanei346, e che ora riscontrasi nelle tribù
arabe dell'Asia in quelle arabo-berbere dell'Africa settentrionale,
nelle quali però il capo, dato il prevalente islamismo, ha
quasi perduto ogni carattere religioso. Nè altro ordinamento
sarebbe, date le condizioni sociali, possibile. Perchè il
capo, sebbene appartenga ordinariamente alla famiglia più
ricca ed influente della tribù, non potrebbe farsi obbedire
senza che siasi prima concertato con gli altri membri autorevoli per
ricchezze ed aderenze, od anche per particolare fama di saggezza. La
massa poi degli uomini liberi, quando è riunita in assemblea,
ordinariamente non prende parte attiva alla discussione e si limita
ad approvare coi suoi applausi od a disapprovare coi suoi mormorii
le proposte dei maggiorenti, che quasi sempre hanno preso la
precauzione di mettersi prima d'accordo e che, già consumati
nell'arte di condurre le folle, qualche volta si sono prima divise
le parti che devono recitare347.
In questi organismi politici al primo stadio del loro sviluppo, come
si è già accennato, comincia ordinariamente a
delinearsi una certa differenziazione di classi basata
sull'eredità della situazione economica e politica. Anzi il
capo supremo è molto spesso ereditario, ma, come oggi accade
nelle tribù arabo-berbere, difficilmente al padre succede il
figlio se questi per intelligenza, tatto ed energia si mostra
incapace a reggere la suprema carica e se non è affiancato da
numerosi parenti e clienti e sorretto da una fortuna personale
relativamente cospicua. E lo stesso avviene per i maggiorenti, nei
quali il lustro degli antenati è quasi sempre pregiato, ma
non è sufficiente da solo alla conservazione del rango
politico. In certe tribù non vi è un vero capo,
perchè gli altri maggiorenti gelosi non lo tollererebbero, ma
in fondo vi è quasi sempre qualcuno fra loro che riesce ad
avere di fatto un predominio sugli altri348. Spesso il primo posto
è disputato fra due famiglie influenti e rivali ed è
questa alle volte l'origine dei cof o partiti, che agitano
così spesso le tribù arabo-berbere349. Naturalmente
poi, quando la tribù si sviluppa in modo che essa si avvia a
diventare un piccolo popolo di parecchie decine di migliaia di
persone, la sua organizzazione politica accenna a modificarsi; e si
modifica in generale nel senso di una maggiore differenziazione
delle classi sociali e di una maggiore influenza dei maggiorenti,
che tendono a rafforzare ed a rendere più stabile la loro
azione sulle masse350.
II — Ma dovette venire un momento, che forse non sarà mai
precisato, nel quale una tribù si potè sviluppare
tanto, assorbendo o sottomettendo altre tribù limitrofe, che
essa potè diventare un popolo, creare una civiltà, e
costituire un grande organismo politico, così saldo da
riunire e coordinare un numero rilevante di sforzi e di energie
individuali indirizzandoli al raggiungimento di scopi comuni, sia di
guerra che di pace; riuscendo perciò ad organizzare ed a
tenere in campo eserciti numerosi e relativamente disciplinati, o
costruendo edifici maravigliosi, o meglio ancora, rendendo
più feconda la terra per via di un complesso e studiato
sistema di canalizzazione delle acque.
Certo anche questa volta la natura non dovette fare dei salti, e
perciò il sorgere dei primi grandi stati dovette essere
preceduto da un lungo periodo di elaborazione, durante il quale il
borgo primitivo, che era capoluogo della tribù, dovette
avviarsi a diventare una città, i progressi dell'agricoltura
dovettero esser tali da permettere ad un numero relativamente grande
di uomini di vivere addensati in un territorio relativamente
piccolo, e l'organizzazione politica potè divenire più
salda e meno rudimentale di quella testè descritta. Anzi,
molto probabilmente, durante questo periodo preparatorio alcune arti
avevano già preso un qualche sviluppo ed un primo accumulo di
capitale sotto la forma di scorte di viveri e di strumenti di guerra
e di pace era già avvenuto. E già fin d'allora la
scrittura, per quanto ancora imperfetta, cominciava a fissare i
ricordi del passato ed a facilitare la trasmissione delle nozioni e
dell'esperienza di una generazione alle generazioni successive.
Pare che il primo grande impero del quale è possibile,
mercè documenti storici, di stabilire presso a poco la data
della nascita, sia stato quello fondato da Sargon, detto l'antico,
re di Agadé nella Caldea, circa tremila ottocento anni prima
dell'era volgare; esso si estendeva sicuramente dal golfo Persico
fino al Mediterraneo ed alla penisola del Sinai. E, se realmente fu
questo il più antico grande organismo politico, esso segna
senza dubbio un passo decisivo nella storia della civiltà
umana. Sembra del resto che abbia durato meno di un secolo,
essendosi spezzato in parecchi regni rivali e nemici fra di loro,
dopo la morte di Saramsin figlio e successore di Sargon. Ma
l'esempio dato dovea trovare imitatori, ed altri grandi imperi, in
epoca sempre remota, doveano sorgere prima nella bassa Mesopotamia e
più tardi in quella alta. Babilonia, posta in una posizione
quasi intermedia fra l'alta e la bassa vallata dell'Eufrate e del
Tigri, fu, almeno per sedici secoli, quanti ne corrono da Hammurabi
a Nabu-kudur-ussur, quasi sicuramente il più grande centro di
popolazione, di ricchezza e di cultura che abbia avuto allora il
mondo.
Intanto, forse qualche tempo prima di Sargon, certo non molto tempo
dopo, Menes, il fondatore della prima dinastia egiziana, aveva
riunito in un solo tutti i piccoli stati nei quali si suddividevano
prima l'alto e basso Egitto, dando origine ad un impero e ad un
centro di civiltà rivale di quelli mesopotamici e che dovea,
interrotto da qualche lunga eclissi, quanto questi durare.
Tutto ciò che sappiamo dell'organizzazione politica degli
antichissimi imperi della Mesopotamia e dell'Egitto ci fornisce la
prova che al vertice della piramide sociale stava un sovrano che
aveva un carattere sacro, perchè offriva a nome di tutto il
popolo i sacrifizi al nume nazionale, al quale era affidata la
tutela dell'impero, nume che a Tebe egizia era Ammon, a Babilonia
Marduk ed a Ninive Asshur. A nome del sovrano tutti i poteri civili
e militari erano esercitati da una numerosa gerarchia di funzionari,
scelti ordinariamente fra i maggiorenti della popolazione che aveva
fondato l'impero. Spesso le popolazioni sottomesse conservavano i
loro capi ereditari locali ed una certa autonomia, ma qualche volta
venivano interamente assorbite da quella vincitrice, si fondevano
con essa, ed in questo caso i funzionari locali venivano
direttamente nominati e revocati dal Re, o meglio dalla Corte e
nella Corte. In Egitto si è potuto notare che i due sistemi,
durante il lunghissimo periodo nel quale durò la
nazionalità egizia, hanno parecchie volte prevalso l'uno
sull'altro, a seconda che l'impero rafforzandosi si centralizzava o,
indebolendosi, tendeva a scompaginarsi. La classe dirigente
dividevasi ordinariamente in capi dei guerrieri e sacerdoti, ma i
sacerdoti egizii e caldei erano i depositari della scienza d'allora
e ad essi era ordinariamente devoluta la conoscenza e l'applicazione
delle leggi. Non manca qualche esempio di sommi sacerdoti che
riuscivano anche a sostituire il potere laico e ad esercitare
l'autorità regia351.
Quanto al sistema di reclutamento dei funzionari civili e militari
si è potuto pure constatare, sopratutto nell'antico Egitto,
una grande differenza di metodi durante i tremila anni circa che
dura la sua storia. Come abbiamo detto nella prima parte di questo
lavoro, ci furono epoche nelle quali la conoscenza esatta della
scrittura geroglifica era la chiave che apriva l'adito alle carriere
superiori, sia civili che militari, e si vedevano persone del popolo
arrivare ai gradi elevati352. Ma generalmente, se non vi erano delle
vere caste chiuse, la gerarchia sociale aveva una grande
stabilità e si era piuttosto figli dei propri padri
anzichè delle proprie opere. In Babilonia sappiamo intanto
che gli schiavi erano numerosissimi e quasi tutti i documenti ed i
monumenti egiziani ci fanno testimonianza del fasto che, sia durante
la vita che nella tomba, spiegava sempre la classe elevata, mentre
un lavoro manuale intenso, e spesso forzato, era la sorte ordinaria
di quelle più umili.
Le notizie che gli scrittori greci incidentalmente ci danno sulle
condizioni sociali e politiche dell'ultimo grande impero orientale
anteriore all'era volgare, su quello cioè dei Persiani, col
quale la Grecia ebbe frequentissimi contatti, dimostrano
concordemente la grande importanza che la nascita aveva nella
formazione della gerarchia politica. Secondo Erodoto, dopo
l'uccisione del falso Smerdi, che aveva potuto diventare re
facendosi credere figlio di Ciro, sette signori persiani disposero
del trono; secondo Senofonte quando, morto a Cunassa Ciro il
giovane, i mercenari greci offrirono la corona ad Arieo, che
comandava le truppe persiane che avevano combattuto insieme a Ciro,
Arieo si rifiutò dicendo che egli non era abbastanza nobile e
che perciò i grandi di Persia non l'avrebbero mai accettato
per re. Gli stessi Greci ci informano che l'impero di Persia era in
fondo una confederazione più o meno spontanea di popoli, di
civiltà più o meno antica e diversa, sotto l'egemonia
della Persia. Alcuni popoli, come l'Armenia, la Cilicia e la
città di Tiro, conservavano le loro autonomie ed i loro
sovrani nazionali, mentre altri, come la Lidia e la Babilonia, erano
governati da satrapi scelti fra i grandi signori persiani della
Corte di Susa e che la Corte faceva strettamente sorvegliare. Ad
essa quasi tutte le nazioni sottomesse pagavano un tributo annuo,
proporzionato alla loro ricchezza, e fornivano all'occorrenza
milizie ausiliarie. Nel mezzo poi delle Provincie sottomesse alcune
popolazioni di montanari conservavano di fatto una selvaggia
indipendenza, come era il caso dei Carduchi, che corrispondevano su
per giù agli odierni Curdi353.
Nel Medio Evo in gran parte sul tipo dello Stato orientale si
costituì lo Stato maomettano, il quale senza dubbio alcuni
elementi della sua organizzazione amministrativa e politica
potè riceverli da Bisanzio, ma in parte assai maggiore si
modellò sugli esempi e le tradizioni del nuovo impero
persiano dei Sassanidi354. Si sa però che lo Stato
maomettano, malgrado il cemento religioso che costituiva la forza
della sua classe dominante, malgrado che anch'esso in certe epoche
abbia permesso lo sviluppo di una grande cultura, avea delle
debolezze innate, che fatalmente produssero la più o meno
rapida disgregazione dei grandi organismi politici che lo slancio
conquistatore delle prime generazioni islamiche avea creato. Anche
non tenendo conto del fatto risaputo che quasi tutti i rapporti
sociali e politici vengono nel mondo musulmano regolati dal codice
religioso, ossia del Corano, ciò che alla lunga dovea
necessariamente arrestarne lo sviluppo, pare accertato che una delle
cause più frequenti delle rapide disgregazioni degli imperi
musulmani derivasse dall'uso di concedere ai capi preposti alle
singole provincie la facoltà di levare i soldati e di
riscuotere direttamente le imposte, con le quali li pagavano.
Concentramento di poteri che facea sì che essi facilmente
riuscissero a formare tale uno spirito nelle truppe da potersi
proclamare indipendenti, o diventare di fatto tali, conservando
verso il Califfo un ossequio solo formale355.
Anche la Cina, fino a pochi anni fa, era politicamente organizzata
sul tipo dello Stato orientale, che però essa da parecchi
secoli aveva portato ad un grado di perfezionamento forse mai
raggiunto, per la morale laica e positiva che formava la base della
sua civiltà, per la grande unità della cultura, che
fra il suo popolo si era diffusa in tanti secoli di storia comune, e
finalmente per il sistema democratico di reclutamento dei suoi
funzionari, ammessi e promossi sempre in seguito a concorsi.
Malgrado ciò lo Stato cinese ebbe quasi sempre una forza
inadeguata alla sua vastità, ed esso mostrò subito la
inferiorità della sua macchina politica appena venne in
contatto con gli Stati europei. E si sa infine che il Giappone, se
ha voluto conservare la sua indipendenza e la sua antica anima
nazionale, ha dovuto rapidamente rinnovare la sua organizzazione
politica, amministrativa e militare secondo i modelli forniti dagli
Stati di civiltà europea.
Certo è dunque che l'organizzazione degli imperi di tipo
orientale è rimasta sempre assai inferiore a quella dei
moderni Stati di civiltà europea ed anche a quella
dell'antico impero romano. E si potrebbe anche aggiungere che essa
per molti lati era imperfetta, se la paragoniamo a quella del
piccolo stato ellenico dell'epoca classica, di cui fra poco dovremo
occuparci. Senonchè sarebbe ingiusto dimenticare che fu in
quegli antichi imperi, le cui vicende apprendiamo a misura che si
vanno decifrando le vecchie iscrizioni geroglifiche e cuneiformi,
che l'umanità potè accumulare le prime esperienze ed i
primi capitali, che resero possibili gli ulteriori progressi
intellettuali ed economici. Fu sulle rive del Tigri, dell'Eufrate e
del Nilo che per la prima volta i gruppi di maggiorenti, che prima
reggevano le singole tribù, si fusero ed organizzarono in
vere classi politiche, le quali ebbero campo di concepire e
sviluppare l'idea che vi erano grandi interessi comuni a milioni di
individui umani. E fu in queste classi che, per la prima volta,
potè avvenire una selezione per la quale un certo numero
d'individui, liberi dalle cure materiali della vita, difesi
dall'organizzazione, della quale facevano parte, contro le cupidigie
e le violenze di coloro che, in ogni tempo ed in ogni
società, aspirano ad occupare i posti migliori, poterono
dedicarsi all'osservazione dell'uomo e del mondo in cui esso vive ed
elaborare i primi rudimenti della morale famigliare e sociale. Quei
rudimenti, che troviamo espressi circa 4.000 anni fa nel Codice di
Hammurabi, dove sono già sancite molte delle norme che
l'individuo deve osservare affinchè il consorzio sociale
possa sussistere, e nel vecchio rituale dei morti dell'antico
Egitto, in parte più antico del codice di Hammurabi, nel
quale troviamo per la prima volta alcuni di quei precetti morali, di
quelle norme di carità, che poi formeranno la base morale di
tutte le grandi religioni mondiali356. Fu infine colà che
fece le sue prime prove la difficile arte della pubblica
amministrazione, la quale consiste sopratutto nel fare in modo che
in una grande società, col minimo di costrizione possibile,
l'attività che ogni individuo spiega spontaneamente a proprio
vantaggio dia anche risultati proficui per la collettività.
III. — Se la civiltà europea ha potuto creare un tipo di
organizzazione politica, che profondamente si distingue da quella
dell'impero orientale, ciò si deve in grandissima parte
all'eredità intellettuale della Grecia e di Roma. Senza
dubbio grandissima è la differenza che corre fra un grande
Stato moderno europeo od americano e ciò che era lo Stato
ateniese o spartano o anche quello romano all'epoca repubblicana, ma
possiamo ritenere come sicuro che, senza l'eredità
intellettuale degli scrittori politici dell'epoca classica, i quali
formarono il loro pensiero sulle istituzioni politiche che sotto i
loro occhi si svolgevano, l'Europa moderna ed i paesi d'oltremare
colonizzati da Europei non avrebbero adottato quegli ordinamenti
politici, che tanto li distinguono dagli imperi asiatici.
Certo molti elementi della sua civiltà la Grecia li prese dai
più vicini imperi asiatici e dall'Egitto, e le prime
infiltrazioni dovettero avvenire nel periodo preistorico, quando
fiorì quella civiltà preellenica, che ebbe il suo
centro a Creta e scomparve non lasciando che vaghi ricordi e
l'iniziazione all'agricoltura e ad altri progressi materiali che,
una volta entrati nelle abitudini di un paese, possono decadere ma
non scompaiono mai interamente, anche se sono distrutti il popolo o
la civiltà che per i primi li hanno inventati od adottati.
Altre infiltrazioni orientali ed egiziane avvennero pure nell'epoca
nella quale la cultura, che fu propriamente ellenica,
cominciò a ridestarsi, cioè a partire dal nono secolo
avanti l'êra volgare, quando intermediari fra la Grecia, gli
imperi orientali e l'Egitto furono principalmente i Fenici. E questa
volta i nuovi semi trapiantati nel suolo dell'Ellade diedero frutti
abbastanza diversi, e per molti rispetti migliori, di quelli della
pianta dalla quale provenivano, specialmente per quel che riguarda
l'arte, la scienza e l'organizzazione politica.
Abbiamo già visto come il regno omerico, che troviamo agli
inizi del risveglio della civiltà greca, non si
differenziasse molto dal tipo di organizzazione politica
semi-primitivo, che troviamo in tutte le popolazioni che hanno
salito solo i primi gradini della scala la quale conduce alle grandi
organizzazioni politiche. Il Re omerico era infatti assai analogo al
capo della tribù araba o germanica, perchè egli
esercitava la sua autorità, che era principalmente morale ed
aveva anche un certo fondamento religioso, coll'assistenza di un
Consiglio di maggiorenti e, nei casi più gravi, chiamava a
parlamento tutti i guerrieri, ossia gli uomini liberi che facevano
parte della tribù. Senonchè in uno spazio di tempo,
che non può essere superiore ai tre secoli, vediamo questo
tipo di organizzazione politica, che ben poco aveva di speciale,
trasformarsi nell'originalissima città greca dell'epoca
classica357.
Se studiamo le cause di questa trasformazione, si può
anzitutto notare che il suolo greco, accidentato in modo che ogni
cantone, ogni borgo col suo territorio, era diviso da ostacoli
naturali abbastanza importanti dai cantoni vicini, ostacolava la
formazione di grandi imperi come quelli che poterono sorgere nelle
grandi e pianeggianti vallate del Tigri, dell'Eufrate, del Nilo e
del fiume Giallo. Inoltre la stabilità delle sedi, già
abbastanza assicurata, e la proprietà privata della terra,
già entrata nelle consuetudini fin dai tempi di Omero,
permisero tale uno sviluppo della produzione agricola da rendere
possibile che, in un territorio relativamente piccolo, potesse
vivere una popolazione relativamente grande, sicchè il
villaggio od il borgo primitivo potè diventare una
città di trenta o quarantamila abitanti ed in casi speciali
anche più popolosa358. Forse anche al diverso sviluppo
politico contribuì la salda organizzazione gentilizia, per la
quale ogni gruppo di famiglie che reputavasi discendere da un
antenato comune conservava in origine una certa autonomia politica e
religiosa, in maniera che la città era una specie di
confederazione di genti. Ma, accanto a questi coefficienti, ne
dovettero agire altri di natura intellettuale e morale, che, a tanta
distanza di tempo ed in tanta povertà di documenti, non
possiamo esattamente scernere ed analizzare e che perciò
indichiamo con una espressione generica ed imperfetta, definendoli
come un prodotto del genio particolare della stirpe ellenica e poi
di quella italica.
Checchè ne sia, certo è che nell'Ellade, forse meno di
un secolo dopo Omero359, la regalità cominciò a
perdere terreno ed a cadere in dissuetudine e che nel Consiglio dei
maggiorenti il re o disparve o perdette quasi intieramente la sua
importanza. La città fu perciò governata dai capi
delle genti, ossia dei gruppi di famiglie più antiche ed
influenti, che possedevano le terre migliori e le facevano coltivare
dagli schiavi, o da quella turba di spostati e di profughi, che ogni
città soleva accogliere quando qualche cittadino influente
concedeva loro la sua protezione. L'organo politico prevalente fu
quindi l'antico senato o Consiglio dei maggiorenti, dove le famiglie
principali erano rappresentate. Quasi sicuramente l'antica assemblea
di tutti i cittadini continuò a sussistere accanto al
Consiglio dei maggiorenti, ma, dato l'accentramento della
proprietà e date le numerose clientele di cui i gruppi di
famiglie principali disponevano, quest'ultimo conservò per un
certo tempo la preponderanza che aveva all'epoca della
regalità.
In un'epoca, che deve corrispondere su per giù al settimo
secolo avanti l'êra volgare, i progressi dell'agricoltura ed
un incipiente commercio dovettero fornire a molti dei discendenti
degli antichi stranieri domiciliati i mezzi per formarsi una
posizione economica presso a poco indipendente, e nacque quindi in
essi il desiderio di essere ammessi nella cittadinanza, ciò
che era l'unico modo di partecipare ai pubblici poteri e di
sottrarsi alla onerosa tutela dei maggiorenti. Il movimento dovette
essere secondato dalle famiglie più povere ed oscure degli
antichi cittadini, che anche essi avevano interesse a combattere il
regime oligarchico che le famiglie più ricche ed illustri
avevano instaurato360. Dopo un periodo di lotte civili, nelle quali
spesso la parte soccombente doveva emigrare, periodo del quale le
traccie si ritrovano nei poeti dell'epoca e segnatamente nei versi
di Teognide da Megara, e che fu alle volte interrotto dalla
dittatura di qualche capo popolo che appellavasi tiranno, si venne
generalmente ad un compromesso del genere di quello che Solone
attuò in Atene nei primi decenni del sesto secolo avanti
Cristo, e da questi compromessi nacque quella costituzione delle
città greche nell'epoca classica che, nella storia politica
del mondo, doveva avere così grande importanza.
Le basi precipue dei compromessi furono generalmente due: anzitutto
l'entrata nella città di un certo numero di discendenti di
antichi stranieri domiciliati o di schiavi emancipati, senza
però che il principio fosse applicato ai casi posteriori alla
riforma della costituzione, perchè i nuovi stranieri
domiciliati rimasero in generale rigorosamente esclusi dalla
cittadinanza, tanto che perfino la democratica Atene non ammetteva
fra i suoi cittadini i figli di un cittadino e di una straniera361;
ed in secondo luogo il riconoscimento esplicito che il potere
sovrano risiedeva nell'assemblea di tutti i cittadini. La quale
perciò assorbì a poco a poco quasi tutte le antiche
giurisdizioni gentilizie, che prima i capi delle famiglie
aristocratiche esercitavano sui loro consanguinei, ed
esautorò più o meno l'antico Consiglio dei
maggiorenti, che si trasformò ordinariamente in un senato,
che era molto spesso un'emanazione diretta dell'assemblea che ne
nominava i membri.
Si sa che l'antichità classica non conobbe quella netta
divisione dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario che,
almeno teoricamente, è una delle principali caratteristiche
delle costituzioni moderne362, tanto che il pretore romano
potè esercitare funzioni che ora si direbbero legislative; ma
è certo che, nell'Ellade classica, ciò che ora
corrisponderebbe al potere sovrano per eccellenza, cioè al
potere legislativo, veniva quasi esclusivamente affidato
all'assemblea dei cittadini, mentre ciò che noi chiamiamo
funzioni esecutive e giudiziarie venivano delegate a Corpi o ad
individui, che erano quasi sempre eletti da tutti i cittadini, o
designati dalla sorte fra tutti o fra determinate categorie di
cittadini363.
Caratteristiche comuni di quasi tutte le costituzioni delle
città elleniche erano la temporaneità delle cariche, i
cui titolari venivano quasi sempre rinnovati almeno tutti gli anni,
e la moltiplicità delle persone che esercitavano una data
pubblica funzione; moltiplicità che mirava a far sì
che il potere di un individuo potesse esser sempre controllato e
limitato da quello di uno o di parecchi altri individui rivestiti di
uguale potere, come appunto avveniva dei consoli a Roma. Ed il
principio veniva cosi rigorosamente applicato che, in molte
città greche, il comando dell'esercito o del naviglio in
guerra veniva affidato a diversi polemarchi o navarchi, che
l'esercitavano a turno. Altra caratteristica dell'ordinamento
politico ed amministrativo della città greca era la quasi
completa mancanza di ciò che ora si direbbe una burocrazia
professionale e di un esercito stanziale364, e si deve inoltre
notare che anche alcune funzioni giudiziarie ed esecutive ritenute
di grande importanza venivano ordinariamente riservate all'assemblea
del popolo. La quale perciò conservava quasi sempre il
diritto di dichiarare la guerra e concludere la pace e si riservava
spessissimo quello di applicare le pene più gravi, quali
erano la morte e l'esilio, o quanto meno veniva in questi casi
ammesso l'appello all'assemblea del popolo.
IV. — A cominciare da Erodoto, tutti gli scrittori greci dell'epoca
classica ammettono l'esistenza di tre forme di governo: la
monarchia, l'aristocrazia e la democrazia365. Si comprende
agevolmente come il ricordo della monarchia omerica, il recente
esempio delle tirannie, frequenti sopratutto nelle colonie elleniche
della Magna Grecia e della Sicilia, la sopravvivenza stessa della
antica monarchia patriarcale in qualche remoto cantone dell'Epiro,
le traccie di essa che tenacemente si mantenevano a Sparta e
finalmente il contatto frequente coi popoli barbari, che quasi
sempre avevano un re, dovevano far sì che i pensatori
dell'Ellade enumerassero fra le possibili forme di governo anche il
regime monarchico. Ma in verità lo Stato ellenico dell'epoca
classica oscillava quasi sempre fra l'aristocrazia e la democrazia,
le quali rappresentavano le due tendenze costanti che in esso erano
in perenne contrasto. E difatti all'analisi di questo inevitabile
contrasto consacra Aristotile buona parte della sua immortale opera
sulla Politica366.
Or sarà bene anzitutto ricordare che presso i Greci
dell'epoca classica, non si potrebbe dire precisamente lo stesso dei
Romani; il concetto di aristocrazia non si accoppiava in modo quasi
inscindibile a quello della ereditarietà del potere e delle
cariche pubbliche nelle stesse famiglie, ma voleva dire
semplicemente che le cariche venivano affidate, esclusivamente od a
preferenza, a coloro che, per ricchezza o per meriti eccezionali,
spiccavano fra gli altri cittadini, discendessero o no da antenati
illustri. Tanto vero che Aristotile distingue l'aristocrazia
dall'eugenismo, che significava appunto l'appartenere ad una
famiglia già da lunga data illustre367. Anzi non raramente
accadeva che qualche eugenico capitanasse il popolo contro la parte
aristocratica composta in maggioranza di nuovi arricchiti, come
appunto fu il caso di Pericle.
Venendo ora all'esame del contrasto accennato, in poche parole si
può affermare che nello Stato greco si aveva il regime
aristocratico quando fra i cittadini la ricchezza riusciva a
prevalere sul numero, mentre quello democratico significava la
prevalenza del numero sulla ricchezza. Perciò nel regime
aristocratico le cariche pubbliche, o almeno le più
importanti, quando non venivano per legge riservate alle categorie
dei maggiori censiti, erano gratuite, in maniera che diventavano
accessibili solo a coloro che non dovevano personalmente e
diuturnamente lavorare per vivere, e nessuna indennità vi era
per la partecipazione alle assemblee dei cittadini, che venivano
così disertate dai poveri e frequentate assiduamente dai
ricchi e dai loro clienti; mentre in quello democratico le cariche
pubbliche venivano retribuite e la partecipazione all'assemblea dava
diritto ad un gettone di presenza.
Nel primo le cariche pubbliche erano quasi sempre elettive,
perchè nelle votazioni i ricchi, stretti in associazioni
più o meno secrete, che si dicevano eterie, e con l'appoggio
dei loro clienti riuscivano facilmente a concentrare i loro suffragi
sui propri candidati ed a prevalere su quelli dei poveri, che
più difficilmente riuscivano ad organizzarsi; nel secondo le
cariche pubbliche erano generalmente distribuite a sorte fra i
cittadini. Sistema a giusta ragione ritenuto assurdo anche da molti
pensatori della Grecia antica, ma che in sostanza era il solo
mediante il quale l'influenza della notorietà, delle
relazioni personali e dei comitati elettorali poteva venire
eliminata.
Come si è già accennato, poichè i poveri erano
sempre più numerosi dei ricchi, i governi aristocratici molto
si poggiavano sulle clientele, mantenute mercè il patrocinio
che ogni ricco esercitava a pro di un certo numero di poveri e sulla
larghezza colla quale coloro che aspiravano alla carriera politica
esercitavano l'ospitalità a favore dei cittadini meno
facoltosi. Aristotile nota espressamente che Pericle non potendo,
perchè meno ricco, lottare su questo terreno con Cimone,
figlio di Milziade, capo della parte aristocratica, guadagnò
a sè i poveri facendo retribuire dal pubblico erario molte
cariche prima gratuite368; sistema che, coi dovuti adattamenti, non
è ignoto neppure oggi nei paesi retti a democrazia, dove
all'influenza della ricchezza privata spesso si contrappone lo
sperpero del danaro pubblico.
Gli abusi del regime aristocratico nello Stato greco quasi sempre
consistevano nella esagerazione del sistema prevalente, la quale
faceva sì che molto spesso l'aristocrazia si trasformava in
oligarchia, cioè in una consorteria chiusa, che gelosamente
escludeva dalle cariche pubbliche tutti gli elementi estranei,
qualunque fosse la loro ricchezza ed il loro merito personale. Altri
abusi frequenti si avevano quando il monopolio delle cariche
pubbliche veniva usato per la conservazione e l'accrescimento delle
ricchezze private dei governanti e dei loro consorti e clienti,
ciò che ottenevasi sopratutto facendo in modo che i giudizi
nelle cause civili e penali fossero sempre affidati a persone
affiliate o ligie alla fazione che reggeva lo Stato.
Viceversa, dove i poveri si contavano e riuscivano in maggioranza a
sottrarsi alla clientela dei ricchi, facilmente si avevano gli abusi
della democrazia. Molte ed importanti erano allora le cariche
pubbliche che venivano date ai designati dalla sorte, la quale
naturalmente non aveva nessun riguardo alla capacità ed alle
attitudini necessarie a disimpegnarle; e le indennità
attribuite per l'esercizio di ogni pubblica funzione aggravavano
talmente l'erario che, per fare fronte all'ingente spesa, si
dovevano colpire con gravissime imposte i ricchi e gli agiati, fino
ad arrivare ad una larvata confisca delle fortune private e quindi
al disastro dell'economia pubblica. Aristotile calcola che all'epoca
di Pericle in Atene circa ventimila cittadini venissero sussidiati
dall'erario pubblico, sicchè quasi tutta la cittadinanza
erasi trasformata in una classe di stipendiati dallo Stato369.
Ciò che fu per un certo tempo possibile non solo per il
reddito che la città traeva dalle miniere d'argento del
Laurion, ma anche, e principalmente, perchè si stornavano i
contributi che gli alleati pagavano ad Atene per il proseguimento
della guerra contro la Persia. Causa questa non ultima della lunga e
nefanda guerra scoppiata poi fra gli Elleni, che prese il nome di
guerra del Peloponneso. Nei casi più gravi un caporione del
popolo uccideva o mandava in esilio i ricchi e ne confiscava i beni,
che divideva poi fra i suoi partigiani o fra i mercenari stranieri
che lo sostenevano. Si aveva allora quella sospensione del normale
funzionamento della costituzione e quella dittatura di un capo,
sostenuto dalla sua fazione, che appellavasi tirannide, che tutti
gli scrittori greci concordemente descrivono come la peggiore delle
forme di governo370.
Dopo quanto abbiamo detto, appare evidente che il normale
funzionamento dello Stato ellenico richiedeva un grado di
prosperità economica e di elevazione intellettuale e morale
nella parte maggiore della cittadinanza, che non era agevole che
fosse sempre raggiunto. Difatti la piena efficienza di questa forma
di organizzazione politica durò meno di due secoli,
cioè dal principio del quinto al declinare del quarto secolo
avanti Cristo, periodo che coincide con quello del massimo sviluppo
della civiltà ellenica. La mancanza di una burocrazia
regolare e di un corpo di polizia permanente incaricati
dell'esecuzione delle leggi rendeva necessario che, nella
maggioranza dei cittadini, fossero molto forti il senso della
legalità e lo spirito di sacrificio degli interessi
individuali a quello pubblico, le quali virtù perciò
venivano coll'educazione in tutti i modi inculcate e celebrate371.
Inoltre era indispensabile che fosse conservata una certa
proporzione numerica fra i cittadini e gli schiavi. Perchè se
i primi erano molto pochi, gli altri facilmente si ribellavano, come
spesso facevano gli Iloti a Sparta, e, se i cittadini invece erano
troppo numerosi, allora fatalmente una buona parte di essi era molto
povera e non si sentiva cointeressata al mantenimento delle
istituzioni. Per superare queste difficoltà Platone nella sua
Repubblica propose l'abolizione della proprietà privata, e
conseguentemente della famiglia, almeno nella classe dominante, ed
Aristotele invece, con criterio più pratico,
raccomandò la diffusione della media proprietà,
facendo giustamente osservare che la porta era aperta a tutti i
rivolgimenti, dove pochi cittadini molto ricchi si trovavano di
fronte a numerosi poveri, che, mentre disponevano delle armi e dei
voti, non avevano alcun interesse a difendere l'ordine di cose
esistente372.
E poi lo Stato greco era dalla sua stessa costituzione organica
destinato fatalmente a restare sempre piccolo ed a non oltrepassare
i limiti di una città di mediocre grandezza col suo
territorio. Infatti se gli antichi Greci adoperarono lo stesso
vocabolo, πόλις, per indicare lo Stato e la città, ciò
avvenne perchè essi non concepivano uno Stato ellenicamente
organizzato che fosse più vasto di una città e della
contrada che ad essa forniva i mezzi di sussistenza. Certo che,
quando la civiltà greca ebbe con Alessandro Magno conquistato
l'impero di Persia, essa si estese a Stati di grande mole, quali
erano i regni di Siria, di Egitto e di Macedonia, ma questi erano
grandi monarchie militari, la cui organizzazione nulla aveva a che
fare colla forma politica della quale trattano Platone ed
Aristotile, ed in esse l'ellenizzazione era limitata solo ad un
piccolo strato dirigente. La Grecia propriamente detta non conobbe i
grandi Stati, perchè la città greca tale non poteva
divenire. La base della sua costituzione era infatti l'assemblea dei
cittadini e, per intervenirvi assiduamente, occorreva abitare in
città o nei suoi immediati dintorni, e l'assemblea stessa non
poteva essere troppo numerosa, perchè altrimenti la maggior
parte dei presenti non poteva udire le argomentazioni degli oratori.
Ed è appunto per questa ragione che Platone nella sua
Repubblica ed Ippodamo da Mileto nel suo progetto di costituzione
ideale, limitano il numero dei cittadini il primo a cinque mila ed
il secondo a diecimila373 e che lo stesso Aristotile, senza
precisarne il numero, dice che essi devono esser tanti da potere
ascoltare una voce umana che non sia quella di Stentore374. Atene, a
dir vero, nei suoi più bei tempi, forse oltrepassò i
trentamila cittadini, ma costituì un'eccezione; Siracusa ne
ebbe forse anche più, ma in essa, a cominciare dal quarto
secolo avanti Cristo, la costituzione normale della città
greca non potè più funzionare; Sparta all'epoca di
Aristotile era ridotta a due o tre mila cittadini375.
Per rimediare alla impossibilità di formare un grande Stato
conservando integra l'organizzazione della città ellenica, la
Grecia antica tentò l'attuazione della così detta
egemonia, cioè della supremazia di una città
più grande su molte più piccole, ma il rimedio si
rivelò inadatto ed insufficiente, perchè le
città sottomesse riacquistavano la loro indipendenza appena
la loro dominatrice subiva un grave rovescio di fortuna376. Le
stesse colonie di poco aumentavano la potenza della madre patria,
perchè generalmente formavano tante città e quindi
tanti Stati a sè, conservando appena qualche legame affettivo
e religioso con quella dalla quale traevano origine.
Perciò può destare ragionevole ammirazione il fatto
che in organismi politici così piccoli siansi elaborate, e
per la prima volta attuate, alcune di quelle idee fondamentali, che
poi hanno servito di base alle costituzioni dei grandi Stati moderni
di tipo europeo. A dir vero, il concetto di libertà politica
non fu completamente estraneo ai popoli dell'antico Oriente ed
all'Egitto, ma esso significava semplicemente che un popolo non era
sottomesso ad un altro, di razza, religione e civiltà
differente, che coloro che reggevano una gente erano uomini della
stessa gente e non già stranieri, ma non veniva mai
interpretato nel senso che potesse essere riguardato come
servitù un regime nazionale, per quanto assoluto ed
arbitrario377. Fu invece nella Grecia antica che, per la prima
volta, in una popolazione non più primitiva e che aveva
raggiunto un alto grado di civiltà, si riguardò come
politicamente libera solo quella gente che era sottomessa alle
leggi, che la maggioranza dei consociati avea approvato, ed a quei
magistrati ai quali la maggioranza stessa avea delegato, per un
determinato tempo, determinati poteri; fu in Grecia che, per la
prima volta, l'autorità non venne trasmessa dall'alto in
basso, da chi stava all'apice della gerarchia politica a coloro che
erano a lui subordinati, ma dal basso in alto, cioè da coloro
sui quali l'autorità si esercitava a coloro che la dovevano
esercitare.
In altre parole, fu la civiltà ellenica la prima ad
affermare, di fronte al diritto divino dei Re, il diritto umano del
popolo a governare se stesso, fu essa che per la prima non
considerò più la legge come una emanazione della
volontà divina, o di coloro che agivano in nome della
volontà divina, ma bensì come una interpretazione
umana e variabile della volontà popolare. E, se grande fu
l'autorità che lo Stato greco esercitava sul cittadino, fino
al punto da regolare i dettagli della vita familiare,
quest'autorità dovea sempre essere esercitata in base alle
norme che la maggioranza aveva accettato.
E, come abbiamo già ricordato, questi stessi concetti
fondamentali, adattati per quanto era possibile alle società
europee del secolo decimottavo e decimonono, efficacemente
contribuirono a modificarne gli ordinamenti politici, fecero sentire
la loro influenza dovunque vi sono popoli di origine europea, ed
oggi, trasmessi mercè il contatto intellettuale con l'Europa
e l'America, hanno la loro ripercussione persino nel Giappone, nella
China ed in altre popolazioni di civiltà asiatica.
CAPITOLO III.
Continua il tema del capitolo precedente. — I. Caratteri speciali
della città-Stato romana. — II. Sua graduale trasformazione
in uno Stato burocratico-militare durante l'Impero. — III.
Dissolvimento dello Stato e della civiltà romana. — IV. Cause
che prepararono lo Stato feudale e sue caratteristiche. — V,
Graduale trasformazione dello Stato feudale nello Stato assoluto
burocratico. — VI. Cause intellettuali ed economiche che preparano
la trasformazione dello Stato assoluto burocratico nello Stato
rappresentativo moderno. — VII. La Costituzione inglese del secolo
XVIII fornisce il modello formale allo Stato rappresentativo
moderno. — VIII. Caratteristiche dello Stato rappresentativo moderno
ed elementi dissolvitori che lo minacciano.
I. — Sia per l'affinità della stirpe italica con la stirpe
ellenica, sia perchè la civiltà greca, attraverso le
colonie della Sicilia e della Magna Grecia, fece sentire la sua
influenza sui popoli italici in epoca più remota di quella
nella quale avvenne la conquista delle accennate colonie per opera
dei Romani, certo è che la costituzione politica delle
città italiche presenta molte analogie con quella della
città greca.
In origine infatti abbiamo anche nella città italica
primitiva un re, un Consiglio di maggiorenti ed una assemblea del
popolo, ed in seguito, quando incomincia l'epoca veramente storica,
cioè quando sulla fine del quarto e nei primi decenni del
terzo secolo avanti l'êra volgare, tutte le popolazioni
italiche sono costrette a riconoscere la supremazia di Roma, non
troviamo in esse quasi più traccia della regalità
ereditaria, mentre non vi erano rare le rivalità fra gli
ottimati e la plebe378. Tanto vero che Roma generalmente
favorì i primi, giustamente ritenendo che, come più
inclinati al conservatorismo ed alla tranquillità sociale, la
sua supremazia potesse sopra di essi più facilmente
appoggiarsi, e, per raggiungere meglio lo scopo, concesse con
abbastanza larghezza il diritto di cittadinanza romana agli ottimati
delle città federate.
Di Roma sappiamo che in epoca remota ebbe i suoi re, il suo Senato
composto dai capi delle diverse genti patrizie, la cui
confederazione formò la città primitiva, ed anche
l'assemblea del popolo, ossia i comizi. Abolita come in Grecia la
regalità ereditaria e sostituita ad essa il Consolato e le
altre magistrature temporanee ed elettive, e quasi sempre multiple
in modo che la stessa funzione veniva contemporaneamente affidata a
diverse persone, sorse presto anche a Roma la lotta fra l'antica
cittadinanza patrizia, costituita da coloro che facevan parte delle
antiche genti, e la nuova cittadinanza plebea, composta a preferenza
dai discendenti degli stranieri domiciliati e dei servi liberati. E
per un certo tempo pare che due città coesistano nel recinto
dell'urbe con magistrature speciali all'una ed all'altra,
finchè si fondono quasi intieramente entro una costituzione
che ricorda molto il tipo ellenico testè esposto, che anche
essa è fatta certamente per essere applicata ad una
città-Stato, ma che si distingue per alcune
particolarità profondamente originali.
La prima di esse e la più ricca di conseguenze pratiche fu
l'estensione data al diritto di cittadinanza, le cui prerogative
vennero suddivise in modo che, accanto al cittadino perfetto, vi era
quello imperfetto, che ne godeva una parte sola ed a poco a poco
subiva l'assimilazione necessaria per diventare giuridicamente
uguale agli altri membri della città romana379. Ciò
permise tale un'estensione del diritto di cittadinanza da far
sì che di esso godessero molte persone le quali abitavano
così lontano da Roma che difficilmente, anche avendone il
diritto, poteano intervenire ai comizi. In altre parole, Roma seppe
rompere il cerchio fatale, che impediva alla città greca di
allargarsi, concedendo la cittadinanza a coloro che abitavano tanto
lontano dal centro da non potere diuturnamente fare atto di presenza
alle assemblee e praticò, per dir così, dei gradini
nell'abisso che nella Grecia divideva il cittadino da chi non era
tale. In questa maniera essa potè avere inscritti nei suoi
ruoli nel duecentosessantacinque avanti Cristo, cioè
nell'anno precedente alla prima guerra punica,
duecentonovantaduemila cittadini, e dopo le perdite in essa subite,
ne aveva ancora duecentoquarantamila nel duecentoquarantasette,
ossia tra la prima e la seconda guerra punica; ciò che rese
possibile il reclutamento delle numerose legioni mediante le quali
potè superare la terribile prova che subì durante
l'invasione di Annibale in Italia380. E fu continuando in questo
sistema che potè a poco a poco assimilare tanta parte del
mondo facendone, come cantava durante l'agonia dell'impero un poeta
nativo della Gallia romanizzata, una città sola381.
La seconda nota originale della costituzione repubblicana di Roma
antica consistette nel carattere spiccatamente più
aristocratico che essa mantenne rispetto a quelle greche. Il Senato
romano infatti col tempo non fu più la riunione dei padri di
famiglia delle antiche genti, ma i suoi membri furono sempre scelti
dal censore fra coloro che avevano già esercitato cariche
elevate, e, solo in un'epoca relativamente recente, i comizi
centuriati furono riformati in maniera da togliere in essi la
preponderanza alle classi altamente censite ed, accanto ai comizi
centuriati, furono ammessi quei tributi nei quali prevaleva
decisamente il numero sul censo382. Ma la legge non poteva essere
dai comizi approvata se non quale i magistrati l'avevano proposto e
l'autorità del Senato l'avea confermato. Ed in quanto alle
cariche elettive il costume più che la legge impedì
fino agli ultimi tempi della repubblica che fossero conferite a veri
popolani. Infatti il tribunato militare, che era il primo gradino
che dovevano salire coloro che aspiravano alla carriera politica,
fino alle guerre puniche, non fu praticamente accessibile che ai
membri dell'ordine equestre383, ed il Ferrero fa giustamente
rilevare come, anche durante il periodo delle guerre civili, ad
eccezione di Caio Mario, che del resto pare fosse di famiglia
equestre, gli eserciti furono sempre comandati da membri delle
grandi famiglie romane384.
Inoltre il fatto che molti cittadini abitavano così lontano
da Roma che fra la data della convocazione dei comizi e quella della
loro riunione doveva intercedere un intervallo di diciassette, o,
come altri vogliono, di ventiquattro giorni385, contribuì ad
aumentare le attribuzioni e l'autorità del Senato, che si
poteva radunare assai più rapidamente, e che ebbe
perciò fino alla fine della repubblica la direzione quasi
esclusiva della politica finanziaria e di quella estera.
II. — Nell'ultimo secolo della repubblica, dopo i Gracchi, questa
costituzione aristocratica fu modificata o per dir meglio essa non
potè più regolarmente funzionare. Poichè si
rese manifesta l'impossibilità che uno Stato città
organizzato sul tipo ellenico, per quanto modificato ed allargato,
potesse diventare un corpo politico mondiale. I comizi, che
rappresentavano l'adunanza legale di tutto il popolo sovrano nel
foro di Roma, potevano già sembrare una finzione legale
quando, nell'ottantotto avanti Cristo, la cittadinanza fu estesa a
tutti i popoli italici, ma divennero un'irrisione quando buona
parte, se non la maggioranza dei cittadini, risiedeva fuori
dell'Italia sparsa per tutto il bacino del Mediterraneo386.
Nè l'annuale avvicendamento delle cariche pubbliche fu
più praticabile una volta che i loro titolari, investiti di
potere quasi assoluto, dovevano stare per anni lontani dall'Italia
in Provincie remote e che, per la stessa ragione, gli eserciti
perdettero il carattere di milizie cittadine, reclutate anno per
anno, ed acquistarono gradualmente quello di soldati professionali,
legati più al capitano, che per molti anni consecutivi li
comandava, che alla repubblica. Sicchè era fatale che
l'antica civitas romana si dovesse trasformare in un organismo
politico tenuto insieme e governato mercè una burocrazia
professionale ed un esercito stanziale.
Questa trasformazione ebbe luogo quando, per usare il linguaggio ora
comunemente accettato, alla Repubblica fu sostituito l'impero; si
può disputare, e certo si disputerà ancora, sulle
intenzioni che ebbero Augusto ed i suoi collaboratori quando
inaugurarono il nuovo regime, ed è indiscutibile che essi non
vollero sostituire a quello vecchio nè la monarchia assoluta
nè la monarchia temperata, come oggi l'intendiamo; ma
è pure certo che coi nuovi ordinamenti fu fatto un passo
decisivo verso la trasformazione dell'antico Stato città in
una nuova forma di organizzazione politica, la quale rendeva assai
più agevole di tenere uniti, governare ed assimilare
lentamente i vasti domini che Roma aveva saputo conquistare.
È legge forse costante che, nella trasformazione degli
organismi politici, quelli susseguenti conservino larghe traccie di
quelli immediatamente precedenti, perchè più o meno il
nuovo edificio viene costruito sulle rovine del vecchio ed, almeno
in parte, coi materiali da esso forniti. Questa legge noi la vediamo
chiaramente affermarsi nella riforma augustea, la quale, se non
tolse di un tratto la potestà legislativa ai comizi, tanto
che essi continuarono ad essere qualche volta convocati ed a
funzionare, sia pure in modo intermittente, fino a più di un
secolo dopo la battaglia d'Azio, fece in modo che la facoltà
di legiferare fosse, poco a poco, intieramente usucapita dal Senato
e dal Principe387.
Quanto a ciò che ora corrisponderebbe al potere esecutivo ed
al giudiziario, esso fu diviso quasi intieramente fra il Senato e
l'imperatore. Poichè questi fu considerato come un magistrato
cittadino, che concentrava in sè molti poteri, ma molti altri
ne lasciava al Senato, a Roma, in Italia e nelle provincie
senatorie, ma assunse subito le funzioni di sovrano assoluto nelle
provincie imperiali, considerate soggette ad un'occupazione
militare, e che egli governava a suo talento, per mezzo di una
burocrazia i cui dirigenti erano scelti qualche volta fra i senatori
ma a preferenza fra i semplici cavalieri388.
Naturalmente, come sempre accade nei contatti e nelle competizioni
inevitabili fra gli avanzi di un regime vecchio ed un regime nuovo
più conforme alle necessità dei tempi, i funzionari
scelti dal Senato andarono perdendo sempre più terreno,
finchè finirono col lasciare poche traccie di sè.
Difatti, fin dai primi imperatori della casa Giulia, nella stessa
Roma, alla competenza di molti degli antichi magistrati onorari si
sostituì quella di nuovi funzionari scelti dall'imperatore, e
gradatamente la burocrazia regolare, composta di cavalieri ed anche
di liberti del principe, fece sentire sempre più la sua
azione in tutto l'impero. Praticamente, dopo i primi imperatori, la
competenza del Senato, reclutato sempre fra l'alta burocrazia e fra
le grandi famiglie d'Italia e poi del mondo intero, fu ristretta nei
limiti che agli imperatori ed ai suoi strumenti piaceva di
tracciare389. Sicchè, dopo la grave crisi che l'impero ebbe a
subire e che potè superare nella seconda metà del
terzo secolo, non fu difficile a Diocleziano ed a Costantino di
sopprimere quasi tutti i ricordi e le sopravvivenze dell'antica
costituzione cittadina, od a ridurle a nomi vani, senza alcun
contenuto positivo. I soli concetti provenienti dall'antica
costituzione che si salvarono dal naufragio furono quello che
l'imperatore riceveva la sua autorità dal popolo, concetto
che, in grazia ai giureconsulti, sopravvisse fino a Giustiniano390,
e l'altro che ogni magistrato aveva una sfera di competenza
nettamente delimitata e doveva, almeno teoricamente, esercitare la
sua autorità conformemente alla legge. Forse a ciò in
parte si deve il fatto che l'azione della burocrazia romana fu certo
più regolare, e quindi più efficace, di quella degli
antichi imperi orientali, e basterebbe a provarlo il modo
maraviglioso con il quale riuscì a diffondere la lingua, le
leggi ed i costumi di Roma e ad unificare moralmente quasi tutto il
mondo civile di allora.
III. — Le cause prime della decadenza della civiltà antica e
del disgregamento dell'impero romano d'occidente costituiscono forse
il problema più intricato ed oscuro della storia; e,
benchè molta luce sopra di esse abbiano apportato gli studi
dell'ultimo mezzo secolo, non tutte le tenebre sono ancora
scomparse391. Ed il punto più oscuro del grande fenomeno
storico resta sempre l'inizio di esso: cioè quella
povertà di uomini superiori, quella decadenza artistica e
letteraria, che già sono manifeste nel terzo secolo
dell'êra volgare, quando gli antichi ideali pagani erano
già esauriti ed il nuovo ideale cristiano non era ancora,
nelle classi còlte, diffuso.
Certo che, nella società romana del basso impero, vi erano
molte gravi piaghe: il sistema delle imposte era pesante ed assurdo,
esauriva le fonti della ricchezza e colpiva sopratutto le classi
medie, ossia la borghesia provinciale che formava il decurionato
delle città392, e la decadenza delle classi medie lasciava di
fronte un'aristocrazia di grandi proprietari, fra i quali a
preferenza si reclutava l'alta burocrazia, ed una numerosa
poveraglia, che tumultuava e viveva in parte a spese dello Stato, e
poi della Chiesa, nella capitale e nelle grandi città, o che
era ridotta nella semiservitù del colonato nelle campagne. La
sicurezza pubblica era molto relativa, il brigantaggio fioriva, i
ricchi si difendevano tenendo ai loro servizi delle guardie private,
specie di bravi che si chiamavano buccellari, le medie e piccole
fortune non avevano modo di difendersi e soccombevano393. L'igiene
pubblica non era così perfezionata che l'incremento ordinario
della popolazione potesse facilmente colmare i vuoti lasciati dalle
carestie, dalle pestilenze, dalle incursioni dei barbari o da
qualsiasi mortalità straordinaria, e del resto, come accade
in tutte le civiltà molto stagionate e non rattenute da freni
religiosi, pare che la natalità fosse scarsa394.
Dopo Diocleziano lo Stato, per porre riparo alla grave crisi, che
alla metà circa del terzo secolo aveva colpito l'impero,
assunse poteri ed esercitò ingerenze straordinarie ed ebbe la
pretesa di disciplinare tutta la vita economica, fissando i salari
ed i prezzi delle derrate e, per assicurare la continuità di
ciò che ora sarebbero i servizi pubblici, ne proibì
l'abbandono a coloro che vi erano addetti e costrinse i loro figli a
seguire il mestiere del padre. Infine l'amministrazione era
fortemente inquinata dal vizio, che è la maledizione e la
fonte di ogni debolezza dei regimi burocratici, cioè dalla
venalità. Il funzionario romano del basso impero generalmente
badava più al suo interesse privato che all'interesse
pubblico che era incaricato di tutelare, e per molte notizie
è noto che talora, anche nei gradini più elevati della
scala burocratica, nulla era possibile di ottenere senza ricchi
presenti395.
Ma d'altra parte non bisogna dimenticare che non vi è
società umana che non abbia le sue piaghe e che, accanto ad
esse, vi è quasi sempre una forza naturale riparatrice, la
quale tende ad attenuarne gli effetti. L'impero romano d'oriente,
che soffriva delle stesse piaghe di quello d'occidente, non solo
potè sopravvivere, ma, nel sesto secolo, sotto Giustiniano, e
poi nell'ottavo e nono secolo, sotto gli imperatori iconoclasti e la
dinastia macedone, ebbe notevoli risvegli di energia e potè
allora in gran parte salvare il suo territorio e la sua
civiltà assalita dai barbari del settentrione e poi anche
dagli Arabi.
Un individuo muore quando, essendo logorati i suoi organi per la
vecchiaia, essi non possono più normalmente funzionare,
ovvero quando, indebolito per questa o per altre cause, non
può resistere ad una infezione che lo assale. A prima vista
parrebbe che la vecchiaia non dovesse mai manifestarsi in un popolo,
in una civiltà, perchè in essi le generazioni umane
sempre si rinnovano ed ogni generazione nuova ha tutto il vigore
della giovinezza. Invece ciò che può equivalere alla
vecchiaia o alla debolezza organica, si manifesta in un popolo
quando vengono meno i legami morali, come sarebbero la religione ed
il patriottismo, che formavano la base della sua coesione sociale, e
non agisce più quella forza naturale riparatrice, alla quale
testè accennavamo, perchè i migliori elementi
rimangono paralizzati, avendo rivolta la loro attività ed
energia verso fini diversi da quelli che sarebbero necessari per la
salvezza dello Stato. E la debolezza interna deve essere tanto
maggiore quanto minore è la forza dell'urto esterno che
produce la catastrofe, ciò che avviene quando essa ha luogo
per l'assalto di popoli inferiori per mezzi offensivi, sapere e
disciplina.
Or, come abbiamo già accennato in un precedente lavoro,
l'impero romano d'occidente subì la grande irruzione dei
popoli germanici, determinata alla fine del quarto secolo dall'urto
degli Unni, in un momento critico, quando erano venute meno le
concezioni ed i sentimenti, che formavano la base morale della
vecchia civiltà classica ed una ondata di misticismo toglieva
allo Stato tutti gli elementi migliori, quasi tutti gli individui
che si distinguevano per altezza di carattere e d'ingegno, per darli
alla Chiesa396. Sopravvisse la parte orientale del mondo romano
perchè, forse in grazia della sua posizione geografica, ebbe
il tempo di superare il momento critico e di restaurare le sue
forze, mentre questo tempo mancò alla parte occidentale,
già quasi tutta in potere dei barbari alla metà del
quinto secolo.
IV. — Dopo che i barbari si furono insediati in tutte le antiche
provincie dell'impero d'Occidente, il processo di disgregazione
politica e civile, già iniziato nel terzo secolo
dell'êra volgare, procedette rapidamente. In principio
parecchi dei primi governanti barbari, e segnatamente l'ostrogoto
Teodorico, pare che si siano sforzati di conservare per quanto era
possibile i quadri dell'antica amministrazione civile romana,
riservando agli invasori la difesa militare del paese, ma i nuovi
regimi difficilmente potevano adattarsi alla complicata macchina
burocratica romana, che presupponeva una esperienza amministrativa
ed una cultura giuridica che mancavano ai conquistatori. Inoltre la
necessità in cui si trovarono i re barbari, di compensare i
loro seguaci colla concessione di buona parte delle terre dei vinti,
dovette necessariamente sconvolgere la società d'allora,
nella quale le classi alte di origine romana o si adattarono alla
vita ed ai costumi dei barbari o scomparvero confondendosi nella
plebe, e dovette preparare la trasformazione del grande proprietario
terriero in sovrano ereditario locale. Se a ciò si aggiunge
che ai primi invasori, già un poco assuefatti alla
civiltà ed alle istituzioni romane, spesso si sostituirono,
come fu il caso dei Longobardi, altri completamente ignari, si
comprende agevolmente come, dopo qualche secolo, quasi nulla dovesse
sopravvivere dell'antica macchina statale romana, e come la nuova,
modellata sulle istituzioni ed i sentimenti con i quali si soleano
reggere le tribù germaniche nella loro patria d'origine,
cioè sull'obbligo personale di reciproca fedeltà, che
legava il capo supremo della banda guerriera ai suoi sottocapi,
siasi alla lunga dimostrata assolutamente insufficiente a mantenere
salda sotto unica direzione la compagine di un grande Stato.
Perciò lo sfacelo della grande monarchia barbarica, arrestato
durante due o tre generazioni per opera della energica dinastia
franca degli Heristal, e sopratutto di Carlo Magno, dopo la morte di
questo geniale sovrano, che tentò di far rivivere le
tradizioni unitarie ed accentratrici di Roma, si accentuò
sempre più, aiutato dalle nuove scorrerie degli Ungheri, dei
Normanni e dei Saraceni, tanto che al decimo secolo la indipendenza
dei capi locali di fronte al potere centrale era già quasi
completa e di fatto era già istituito quel regime che poi si
disse feudale.
Il feudalesimo non fu, nè potea essere, un ritorno puro e
semplice alle condizioni di tribù o piccole popolazioni
nemiche l'una dell'altra, che Roma avea trovato nel mondo
occidentale prima che l'avesse conquistato. Poichè certi
progressi intellettuali, come l'adozione di un linguaggio comune, e
sopratutto quelli materiali, una volta acquisiti, non si perdono
più intieramente, anche quando l'organizzazione politica che
li ha reso possibili intieramente si dissolve.
Difatti un popolo abituato alla stabilità delle sedi, ad una
agricoltura basata sulla proprietà privata, ad una certa
differenziazione fra le classi sociali, non perde intieramente
queste abitudini caratteristiche anche dopo un lungo periodo di
anarchia. Si potrebbe anche aggiungere che alcuni dei materiali con
i quali si costruì l'edificio feudale non furono che lo
sviluppo e la continuazione di istituti del basso impero.
Così ad esempio la servitù della gleba, ossia il
vincolo che legava alla terra la numerosa classe addetta al lavoro
agricolo, è noto che rimonta già al basso impero,
sicchè nelle campagne il nuovo regime non fece che
trasformare nel castello fortificato del barone la villa dell'antico
grande proprietario romano.
Invece come novità introdotta dal feudalesimo si può
riguardare la supremazia politica di una classe esclusivamente
guerriera, che abbandonò al clero la cura di mantenere vivi
quei bricioli di cultura, che sopravvissero alla catastrofe del
mondo antico. Un'altra caratteristica del sistema feudale
consistette nell'accentramento di tutte le funzioni direttive e di
tutta l'influenza sociale nei capi militari locali, che nello stesso
tempo furono i padroni della terra, ossia del quasi unico strumento
di produzione che allora vi fosse. E finalmente non bisogna
dimenticare che il feudalesimo instituì una sovranità
intermedia fra l'organo centrale e coordinatore dello Stato e
l'individuo.
Difatti i capi locali più importanti, diventati ereditari,
legarono a sè con subconcessioni di terre i capi minori, i
quali, stretti dall'omaggio feudale e dall'obbligo di fedeltà
verso il concedente, non avevano alcun rapporto diretto col capo di
tutta la confederazione feudale, cioè col Re, e si credevano
obbligati a combatterlo se il capo al quale erano direttamente
legati lo combatteva. E certamente fu questa la causa principale
della lunghissima resistenza opposta dal regime feudale all'azione
diuturna del potere centrale che mirava a distruggerlo.
V. — Scrisse il Bryce che le due grandi idee che l'antichità
morente trasmise all'età che la seguì furono quelle di
una monarchia universale e di una religione universale397. Difatti
fino al secolo decimoquarto si mantenne nelle classi intellettuali,
rappresentate dal clero e dai giuristi, vivace il ricordo
dell'antica unità di tutte le genti civili e cristiane
guidate nelle cose religiose dal pontefice romano, che a poco a poco
fu riconosciuto come supremo gerarca della Chiesa cattolica, ed in
quelle temporali dal successore dell'antico imperatore romano. Senza
la vivacità di queste reminiscenze non si spiegherebbe il
tentativo di restaurazione dell'impero, che ebbe luogo per opera di
Carlo Magno e di Papa Leone III nell'anno ottocento, nè
quello, alquanto più duraturo, di Ottone I di Sassonia nel
962.
Ma un nome ed un'idea, per quanto possano esercitare una grande
influenza morale, non bastano alla restaurazione di un sistema
politico accentrato e coordinato, quando esso è già
disfatto, senza il sussidio di un'organizzazione materiale che si
metta al loro servizio, e, per avere questa, occorrono i mezzi
necessari a costituirla. E di questi appunto difettavano i
successori di Carlo Magno e gli imperatori germanici, che non
disponevano nè di una finanza solida, nè di una
burocrazia regolare, nè infine di un esercito stanziale
adatti a fare rispettare le loro pretese.
Sotto Carlo Magno l'antico bando germanico forniva ancora agli
eserciti franchi milizie abbastanza disciplinate ed i signori locali
non erano ancora onnipotenti; per la stessa ragione gli imperatori
della casa di Sassonia ed i primi due della casa di Franconia
poterono contare sulla cooperazione della classe militare tedesca,
non ancora saldamente raggruppata attorno a pochi capi398; ma,
appena il sistema feudale ebbe poste salde radici anche in Germania,
questa base divenne pure tentennante. Se poi si tiene conto che la
lotta sopravvenuta fra l'Impero e la Chiesa fornì alle
sovranità locali, in urto con l'autorità imperiale, il
sussidio di una grande forza morale, non desterà maraviglia
che il tentativo di ristabilire l'unità politica universale
dei popoli cristiani, iniziato da Carlo Magno e ripreso da Ottone I
di Sassonia, si possa considerare, dopo la morte di Federico II di
Hohenstauffen, come completamente e definitivamente fallito.
Ma, siccome nell'Europa centrale ed occidentale non dovea eternarsi
quello stato di semibarbarie che fu la caratteristica dell'epoca
più oscura del Medio Evo, siccome in essa la civiltà
dovea risorgere, era fatale che il lavorìo di riassorbimento
dei poteri locali nell'organo centrale dello Stato dovesse essere
ripreso sotto altra forma, e che ciò che era riuscito
impossibile al rappresentante dell'antico impero romano dovesse
diventare il compito delle diverse monarchie nazionali.
Intanto dopo il mille avea cominciato a sorgere accanto al feudo
un'altra forma di sovranità locale, ossia il Comune,
costituito dalla confederazione delle ghilde, delle fratellanze
vicinali, delle corporazioni di mestiere, di tutte quelle leghe di
uomini non nobili e non soggetti a vassallaggio, che, nei periodi
più brutti dell'anarchia feudale, si erano formate,
affinchè gli individui ad esse appartenenti godessero,
mercè la mutua difesa, di una certa sicurezza personale. Ora
i Comuni, i quali diventati potentissimi prima nell'Italia
settentrionale e poi in Germania ed in Fiandra, furono colà
uno degli ostacoli maggiori all'affermarsi del potere del sacro
imperatore romano, viceversa, avendo forze più modeste in
Francia, in Inghilterra, nei regni iberici e nell'Italia
meridionale, appoggiarono in questi paesi il Re contro la
feudalità.
In generale le monarchie nazionali si riattaccavano storicamente
alle antiche monarchie barbariche, che i Germani invasori aveano
formato sulle rovine dell'antico impero romano. Senonchè
esse, dopo il periodo di dissoluzione politica che ebbe luogo sotto
i primi successori di Carlo Magno, si andarono ricostituendo
adattandosi più ai criteri geografici e linguistici
anzichè a quelli puramente storici. Sicchè ad esempio
la Francia di San Luigi non corrispondeva all'antico paese dei
Franchi, ma da una parte abbracciava l'antica Settimania, già
dominata dai Visigoti, e dall'altra avea dovuto rinunziare alle
Fiandre, alla Franconia, ed alle rive del Reno, paesi germanici e
perciò attratti nell'orbita del sacro romano impero.
Certamente poi, per quanto il suo titolo derivasse ufficialmente da
quello di cui si erano fregiati gli antichi re barbarici, il re
nazionale non fu in origine che il capo, qualche volta nominale, di
una confederazione di grandi baroni, primo fra essi, ma primo fra i
pari. Come tali furono considerati in Francia Ugo Capeto e Filippo
Augusto, come tale appare Giovanni senza terra nel testo della Magna
Charta, e tali appaiono i re d'Aragona nella formola del giuramento
che essi dovevano prestare davanti le Cortes399.
Ci vollero più di sei secoli di lotte e di lavorìo,
lento ma costante, perchè il Re feudale si trasformasse in Re
assoluto, la gerarchia feudale in burocrazia regolare e l'esercito,
formato dalla nobiltà in armi e dai suoi vassalli, diventasse
un esercito regolare e stanziale; sei secoli durante i quali vi
furono anche dei periodi in cui la feudalità, giovandosi dei
momenti critici che il paese e la Corona traversavano, potè
alle volte riguadagnare qualche parte del terreno perduto. Ma alla
fine la vittoria rimase alla monarchia accentratrice, che seppe a
poco a poco riunire nelle sue mani una quantità di forze
materiali, maggiore di quelle che la nobiltà feudale potea
contrapporle, e che contro di essa abilmente si giovò
dell'appoggio dei Comuni e di potenti e costanti forze morali, quali
furono l'opinione diffusa della missione divina delle dinastie
regnanti e la dottrina dei giureconsulti, i quali nei Re ravvisavano
il potere sovrano che, a somiglianza dell'antico imperatore romano,
creava colla sua volontà la legge e la facea osservare400.
È importante di rilevare come le cause economiche abbiano
esercitato un'azione poco sensibile nella trasformazione dello stato
feudale in quello burocratico, trasformazione che è certo uno
degli avvenimenti che maggiormente modificarono la storia del mondo;
perchè dal secolo decimoquarto al decimosettimo i sistemi di
produzione economica non subirono cambiamenti radicali, sopratutto
se li paragoniamo a quelli che ebbero luogo dopo che fu costituito
lo Stato burocratico assoluto. Viceversa dalla fine del quattrocento
alla seconda metà del seicento, nell'epoca cioè in cui
il sistema feudale perdeva ogni giorno terreno ed era
definitivamente domato, ebbe luogo un gravissimo rivolgimento
nell'arte e nell'organizzazione militare, prodotta dal
perfezionamento e dal generalizzarsi delle armi da fuoco. Difatti il
castello baronale potè essere facilmente e rapidamente
espugnato appena si rese comune l'uso del cannone e la cavalleria
pesante formata dalla nobiltà, che sola poteva sottoporsi
alla lunga esercitazione ed all'ingente spesa che richiedevano
l'armamento equestre, non fu più l'arma che decise dell'esito
delle battaglie, dopo che l'archibuso fu perfezionato e le fanterie
lo ebbero generalmente adottato401.
VI. — Lo Stato assoluto burocratico si può considerare come
definitivamente stabilito e sviluppato in Francia all'inizio del
Regno di Luigi XIV, cioè nel 1660; contemporaneamente, o poco
dopo, il rafforzamento dell'autorità centrale e
l'assorbimento delle sovranità locali si generalizzò,
più o meno completamente, in quasi tutta l'Europa; i pochi
Stati che, come la Polonia e Venezia, non seppero o non poterono
marciare con i tempi e trasformare il loro organismo, perdettero
ogni forza ed ogni coesione e scomparvero prima che terminasse il
secolo decimottavo.
Ora, data l'origine relativamente recente di quella forma di regime
politico che appellavasi ed appellasi monarchia assoluta, uno dei
fenomeni storici più interessanti è senza dubbio la
rapidità con la quale, nel suo seno ed alla sua ombra, si
formarono quelle nuove forze dirigenti e quelle nuove condizioni
intellettuali, morali ed economiche, le quali, in un periodo che non
è più lungo di circa un secolo e mezzo, resero
inevitabile la sua trasformazione nello stato rappresentativo
moderno.
Il più importante coefficiente di questa trasformazione fu la
rapida creazione di una classe sociale nuova, la quale sorse e si
affermò fra il popolo minuto ed i discendenti dell'antica
aristocrazia feudale. Fu infatti durante il secolo decimottavo che
nacque la borghesia nel senso lato della parola, cioè quella
classe numerosa addetta alle professioni liberali, ai commerci, alle
industrie, che ad una discreta agiatezza accoppia una cultura
tecnica e spesso scientifica assai superiore a quella delle altre
classi sociali. Certo che, anche prima di allora, le file della
nobiltà non erano impenetrabili; anzi qualche grande
giureconsulto aveva potuto esservi ammesso, ed, in alcune grandi
città commerciali, alcune grandi famiglie di industriali e di
banchieri avevano finito col confondersi con l'antica nobiltà
feudale o col sostituirla addirittura. Ma, fino agli inizi del
secolo decimottavo, una vera classe media non esisteva,
perchè come tale non poteva riguardarsi il modesto
artigianato, le cui condizioni economiche ed intellettuali assai
poco differivano da quelle del popolo minuto.
Fu il regime assoluto che, assicurando l'ordine ed una pace
relativa, ed allontanando la nobiltà dalle sue
proprietà terriere402, rese possibile che dalle classi
inferiori della popolazione si staccassero gli elementi più
adatti a formare un nuovo strato sociale, quello strato, che,
assorbendo anche gli elementi meno doviziosi e più attivi
dell'antica nobiltà, formò quella classe, la quale,
con vocabolo molto espressivo, in Russia ed in Germania appellasi
l'intelligenza. Classe che da un lato, per la sua educazione
scientifica e letteraria, per le sue maniere e per le sue abitudini,
distinguesi nettamente dai lavoratori manuali, mentre dall'altro,
per le sue condizioni economiche, alle volte si confonde con i ceti
più agiati, alle volte molto se ne distacca. Come si è
già accennato, essa in qualche paese cominciò a
formarsi negli ultimi decenni del secolo decimosettimo, ma si
sviluppò ed affermò in tutta l'Europa centrale ed
occidentale durante il secolo decimottavo ed anche nella prima
metà del decimonono. Il suo sviluppo è in certo modo
parallelo al diffondersi dell'istruzione secondaria classica e
tecnica e dell'insegnamento universitario.
Questa classe, appena ebbe acquistato le sue qualità
caratteristiche e la coscienza della propria forza ed importanza,
dovette accorgersi che essa era vittima di una grande ingiustizia;
la quale consisteva nei privilegi che la nobiltà aveva,
più o meno in tutti gli Stati assoluti, ma sopratutto in
Francia, conservato. Abbiamo già accennato ad una legge quasi
costante della storia, per la quale ogni nuovo edificio politico
deve più o meno utilizzare i ruderi di quello che l'ha
preceduto. Obbedendo per necessità a questa legge, il regime
assoluto, quando si era costituito, aveva tratto quasi tutti gli
elementi della nuova burocrazia civile e militare, che reggeva lo
Stato, dalla nobiltà e dal clero, ai quali aveva tolto le
antiche sovranità territoriali, e sovratutto ai membri della
nobiltà aveva riservato tutte le posizioni più elevate
e le cariche più lucrose. Tutto ciò parve una cosa
naturale finchè al di sotto della nobiltà non vi era
che plebe e l'abitudine tradizionale al comando costituiva il
migliore e quasi unico requisito per comandare, ma degenerò
in parassitismo odioso e dannoso alla società quando la
cultura e la preparazione tecnica, nelle quali i ceti privilegiati
si lasciarono generalmente sopravvanzare dalla nuova classe media,
divennero i requisiti più richiesti per l'esercizio degli
uffici pubblici elevati.
Ma la borghesia avrebbe potuto forse prima intaccare e poi
distruggere, o ridurre a vana parvenza, i privilegi nobiliari, senza
che fosse necessario un cambiamento radicale dell'organizzazione
dello Stato, se, nel secolo decimottavo, non si fosse pure formata
una mentalità politica profondamente diversa da quella
precedente; e se, in un paese europeo nel quale per la sua posizione
insulare l'organizzazione politica aveva avuto uno svolgimento assai
diverso di quello del continente, non si fosse nel secolo
decimottavo stabilita una forma di governo che offriva, almeno
apparentemente, un modello pratico adatto all'attuazione di quelle
aspirazioni che erano il frutto della nuova mentalità alla
quale abbiamo accennato.
Indebolito fortemente il sentimento religioso, che solo poteva
fornire una base morale al così detto diritto divino dei
principi403, cadute in completo discredito, come reliquie di
un'epoca barbara, tutte le reminiscenze e le sopravvivenze
dell'antico regime feudale, distrutta ogni sovranità
intermedia fra lo Stato e l'individuo, nel secolo decimottavo gli
intelletti si nutrirono più che mai delle classiche dottrine
politiche della Grecia e di Roma, e più che mai tornarono in
onore gli antichi concetti di libertà, di uguaglianza, di
sovranità popolare, che gli scrittori classici, avendo sotto
gli occhi il modello dell'antica città greca e romana,
avevano formulato. Quel rinnovamento della forma mentale, che era
avvenuto durante il Rinascimento nel campo letterario ed artistico
mercè lo studio dei modelli classici, avvenne sugli stessi
modelli, quasi tre secoli dopo, in quello politico; prima che lo
sviluppo del senso storico permettesse di scorgere chiaramente
quanto fosse diversa l'organizzazione di quegli Stati sui quali le
concezioni politiche dell'antichità greca e romana si erano
formate.
Senza questa nuova mentalità, senza questa nuova visione
della vita politica, così profondamente penetrata nella
coscienza delle classi intellettuali di allora, non si spiegherebbe
il rapido successo del Contratto sociale di Gian Giacomo Rousseau.
In quest'opera infatti lo scrittore ginevrino, partendo dall'ipotesi
di uno stato di natura, che gli uomini avrebbero abbandonato in
sèguito ad un patto nel quale erano fissate le basi morali e
giuridiche del consorzio politico, ipotesi entrata anche essa nel
bagaglio intellettuale del secolo decimottavo, arrivava alla
conchiusione che solo patto o contratto legittimo fosse quello che
faceva sì che la legge fosse l'espressione della
volontà della maggioranza numerica dei consociati e che
affidava l'esecuzione della legge a coloro che dalla stessa
maggioranza, per un tempo determinato, ne avevano ricevuto il
mandato. Concetto, come si vede, perfettamente corrispondente a
quello della democrazia classica, colla semplice differenza che gli
antichi non ammisero mai nello Stato la massima parte dei lavoratori
manuali, cioè gli schiavi, i quali furono sempre esclusi dal
voto e dalle cariche pubbliche e tenuti lontani dalle armi.
Senonchè l'assolutismo burocratico del secolo decimottavo
aveva in un punto solo preparato il terreno all'applicazione delle
nuove teorie democratiche; distruggendo cioè, o riducendo a
vana parvenza, ogni sovranità intermedia fra il potere
supremo ed i singoli cittadini, facendo sì che fosse
possibile concepire la sovranità popolare, come la
sovranità della pura e semplice maggioranza numerica di
coloro che facevano parte di uno Stato, e non già alla
maniera medioevale, che si prolungò del resto fino a tutto il
secolo decimosesto ed ai primi decenni del decimosettimo, come
l'espressione della volontà dei capi ereditari e naturali del
popolo, ossia dei baroni, e dei rappresentanti dei Comuni e delle
corporazioni404. Ma in tutto il resto il Governo assoluto con la sua
complessa ed accentrata organizzazione burocratica, col suo esercito
stanziale, con le sue abitudini autoritarie, mal si adattava a
trasformarsi in modo da rendere possibile la pratica applicazione di
quei principi, che erano stati escogitati avendo avanti il modello
della città stato greca e latina. E si può dubitare se
l'adattamento sarebbe stato possibile, e se la storia politica
dell'Europa continentale non sarebbe stata, nei secoli decimottavo e
decimonono, diversa di quella alla quale le generazioni precedenti
alla nostra hanno assistito, se l'Inghilterra nel secolo decimottavo
non avesse già adottato un regime politico il quale offriva
un modello pratico, che rendeva possibile la trasformazione dello
Stato assoluto in un altro tipo di organizzazione politica
abbastanza conciliabile colle idee ereditate dalla classica
antichità e sopratutto, ed era ciò che più
importava, col bisogno che aveva la borghesia di partecipare
largamente ai poteri sovrani.
VII. — In Inghilterra infatti, a cominciare sopratutto dagli inizi
del secolo decimosettimo, le istituzioni politiche avevano avuto uno
svolgimento originale e sostanzialmente diverso da quello del vicino
continente. Il regime feudale era stato colà trapiantato
dalla conquista normanna, ma esso fin dal principio ebbe al di
là della Manica alcune caratteristiche speciali, per il fatto
che la razza conquistatrice, stando nei primi tempi come accampata
in paese nemico, aveva dovuto mantenersi più unita e
più disciplinata attorno al Re di quello che fosse la classe
dominatrice nel continente. Avvenuta poi, dopo circa un secolo e
mezzo, la fusione fra vinti e vincitori, la grande nobiltà
aveva strappato colla forza al Re la Magna Charta, vero patto
bilaterale fra il Re ed i baroni, nel quale si stabilivano i diritti
ed i doveri reciproci dell'uno e degli altri405. Si ebbe
perciò una delle solite costituzioni feudali che, mano mano
sviluppandosi, restrinse sempre più i poteri della Corona di
fronte a quelli del Parlamento, dove, accanto alla Camera alta,
ossia dei Pari e quasi un'appendice di questa, presto sorse la
Camera bassa, dove sedettero i rappresentanti dei piccoli nobili
delle Contee e quelli dei Comuni, che colà furono piuttosto
gli alleati e gli strumenti dei Pari e dell'alta nobiltà
anzichè dei Re.
Mentre nella seconda metà del secolo decimoquinto i monarchi
del continente dovevano ancora lottare strenuamente contro i grandi
feudatari, in Inghilterra la lunga guerra civile detta delle due
rose faceva sì che essi si dividessero in due parti
acerbamente nemiche l'una dell'altra, che si sterminarono a vicenda.
Sicchè, quando nel 1485, con l'avvento della dinastia dei
Tudor, si riebbe la pace interna, la Corona si trovò davanti
una Camera alta composta quasi esclusivamente di uomini nuovi, da
essa stessa di recente innalzati alla dignità di Pari, che
non avevano nè le forze materiali, nè il prestigio e
l'autorità degli antichi baroni; mentre nello stesso tempo,
non essendo sorta ancora in Inghilterra una borghesia campagnuola e
cittadina, docile e poco autorevole rimaneva la Camera dei Comuni.
Fu per queste ragioni che il secolo decimosesto può
riguardarsi come quello nel quale massima fu la potenza della Corona
inglese. Tanto che un autorevolissimo ed acuto testimonio
contemporaneo, ossia Giovanni Botero, nelle sue Relazioni
universali, pubblicate verso la fine del cinquecento, a ragione
poteva osservare che, sebbene i Re d'Inghilterra continuassero a
convocare regolarmente il Parlamento, pure di fatto non avevano
poteri meno estesi di quelli dei Re di Francia, dove le convocazioni
degli Stati generali si facevano sempre più rare ed andavano
in disuso406.
Ma forse fu appunto questa facilità che ebbero i Tudor, ed i
loro cortigiani e funzionari, di dirigere quasi senza opposizione la
vita politica del loro paese la causa principale per la quale la
Corona inglese trascurò allora la creazione dei due strumenti
più sicuri dell'assolutismo monarchico: cioè
dell'esercito stanziale e della burocrazia stabile e regolare.
Infatti, un po' per economia, un po' perchè la posizione
insulare dell'Inghilterra l'assicurava contro le invasioni
straniere, come forza armata i Re di quella dinastia stimarono
sufficiente una milizia reclutata in ogni Contea fra i nativi del
luogo e che era composta d'individui i quali, dopo alcuni giorni di
esercitazioni periodiche, ritornavano alle loro ordinarie
occupazioni, ed anche probabilmente per economia prevalse pure l'uso
di affidare nelle provincie le cariche civili di lord luogotenente,
di scerifo, di coroner, ecc., ai notabili del luogo; i quali
volentieri servivano senza stipendio, perchè la carica dava
lustro alla famiglia ed autorità alla persona che ne era
investita, ma la cui fedeltà poteva diventare dubbia o
condizionata una volta che l'opinione pubblica si fosse fortemente
dichiarata contro il Re e la Corte407.
Sicchè, quando all'inizio del secolo decimosettimo, la
dinastia degli Stuard volle stabilire il regime assoluto, di fronte
al ridestarsi dell'opposizione della Camera dei Comuni, dove era
rappresentata la borghesia rurale e cittadina, che, per le peculiari
condizioni del paese, non depauperato da guerre esterne e civili e
meno gravato d'imposte, aveva potuto di là della Manica
formarsi qualche generazione prima che nel continente, e che in
parte anche per ragioni religiose era avversa all'autorità
della Corona, i sovrani inglesi si trovarono privi di quei mezzi
materiali che nel continente avevano dato la vittoria alla
regalità contro la feudalità408. E, dopo più di
mezzo secolo di lotte, e dopo che un Re ebbe lasciata la testa sul
patibolo, l'influenza delle forze politiche rappresentate nel
Parlamento soverchiò definitivamente quella dei sostenitori
della regalità.
La consacrazione legale di questa vittoria si ebbe con una serie di
atti del Parlamento, debitamente sanzionati dalla Corona, i quali, o
miravano come l'Habeas corpus ad assicurare le libertà
individuali di tutti gli Inglesi, impedendo efficacemente l'arbitrio
dei regi funzionari, oppure, come il secondo atto dei diritti del
1688 e l'atto di stabilimento del 1700, accoppiavano a disposizioni
di questo genere altre, in forza delle quali la Corona era
indirettamente costretta a governare secondo le leggi approvate dal
Parlamento. E valga per tutte ricordare quella appunto compresa nel
secondo degli atti citati, per la quale ogni atto di governo aveva
valore solo se controfirmato da un membro del Consiglio privato, che
era così personalmente responsabile della sua
legalità409. Coll'avvento poi della dinastia di Hannover,
cioè dal 1715 in poi, si accentuò vieppiù la
preponderanza politica della Camera elettiva, perchè la
Corona prese l'abitudine di scegliere i membri del Gabinetto, ossia
del ristretto Consiglio al quale affidava l'esercizio del potere
esecutivo, fra le personalità più spiccate della
maggioranza della Camera bassa.
In questo modo, se si tiene anche conto della indipendenza della
magistratura assicurata dalla sua inamovibilità, delle
guarentigie concesse ad ogni inglese contro gli arresti e le
condanne arbitrarie e del fatto che la libertà di stampa
cominciò in Inghilterra ad affermarsi fin dal secolo
decimottavo, si può dire che si ebbe allora colà un
regime che, nelle sue linee principali e nei suoi caratteri
più appariscenti, rassomigliava ai regimi rappresentativi
moderni410. E si può anzi osservare che la grande
originalità della storia politica inglese consistette nella
trasformazione lenta e graduale del regime feudale sancito dalla
Magna Charta in un regime rappresentativo moderno, trasformazione
che fu poi compiuta nel secolo decimonono, senza che quel paese
abbia attraversato quel periodo di assolutismo burocratico e
militare, che, più o meno, si ebbe in tutti gli Stati
dell'Europa continentale.
Ma non sarà inutile ricordare che la rassomiglianza fra la
costituzione inglese, quale era nel secolo XVIII, e le moderne
costituzioni rappresentative a base democratica si può
constatare più nelle forme che nella sostanza; poichè
questa rassomiglianza era grande se guardiamo il funzionamento degli
organi principali dello Stato, ma era ben piccola, per non dire
inesistente, se teniamo conto della maniera come i detti organi
venivano formati, ossia delle forze politiche che essi
rappresentavano. Difatti la Camera elettiva inglese era già
fin d'allora il potere preponderante dello Stato, ma il diritto
elettorale era concesso solo ad una piccola minoranza di cittadini,
i quali ne godevano o perchè erano proprietari di immobili
rurali nelle Contee, o in virtù di diritti e consuetudini,
che spesso rimontavano al Medio Evo, nei borghi, tra i quali erano
comprese anche cospicue città. E tutto ciò faceva si
che l'elezione di buona parte dei deputati dipendesse da qualche
centinaio di grandi proprietari, che spessissimo sedevano inoltre
per diritto ereditario nella Camera dei Pari.
Poco più di venti anni prima che Rousseau nel suo Contratto
sociale avesse dimostrato, con apparente rigore logico e quasi
matematico, che la sola autorità legittima era quella che si
basava sul consenso della maggioranza numerica dei consociati,
Montesquieu nello Spirito delle leggi, scrutando e direi quasi
anatomizzando la Costituzione inglese di allora, era arrivato alla
conclusione che la sua superiorità consistesse nella
divisione e nella reciproca indipendenza dei tre poteri fondamentali
dello Stato; che, secondo lui erano il legislativo, l'esecutivo ed
il giudiziario. Un esame sommario dei regimi rappresentativi del
secolo decimonono basta a convincerci che essi sono il risultato
della fusione dei concetti del filosofo ginevrino, che erano poi
molto analoghi a quelli che la classica antichità aveva
elaborato, con le idee dell'acuto magistrato francese. E' bastato
infatti fare della Camera elettiva l'organo delle forze politiche
preponderanti, e farla eleggere mercè un suffragio largo od
anche universale, perchè si potesse credere di avere
trasformato l'antico stato burocratico ed assoluto in un regime che
aveva per base la sovranità popolare, come l'intendevano gli
antichi, o, meglio ancora, come l'intendevano Rousseau ed i suoi
seguaci. Si ebbero quindi, ci sia lecito il paragone, dei regimi
politici paragonabili ad abiti tagliati sul modello della
Costituzione inglese dell'epoca degli Hannover, ma confezionati con
stoffe che potevano anche essere intessute coi principi della
più pura democrazia.
VIII. — Le generazioni, che vissero durante il secolo decimonono,
hanno potuto considerare come il massimo dei cataclismi sociali
quello che, alla fine del secolo decimottavo, diede un fortissimo
crollo all'antico regime assoluto e che, dopo la parentesi
napoleonica, inaugurò gradatamente il regime rappresentativo,
prima in Francia e poi negli altri paesi del centro e dell'occidente
d'Europa. Questa maniera di vedere presenta molta analogia col
solito errore di ottica, per il quale gli oggetti vicini ci sembrano
più grandi di quelli lontani; ma in verità il
cataclisma al quale assistettero i nostri bisnonni, e che fu seguito
da altri molto minori, dei quali furono attori e spettatori i padri
dei nostri padri, può sembrare relativamente piccolo se lo
paragoniamo a quella grande catastrofe della civiltà umana,
che precedette e seguì la caduta dell'impero romano
d'occidente, o alle terribili invasioni dei Mongoli, che nel secolo
decimoterzo misero a durissima prova tanta parte del mondo,
poichè dalla China si estesero fino all'Ungheria. E, se fosse
possibile prevedere esattamente l'avvenire, si potrebbe forse
affermare che le convulsioni occasionate dall'avvento e dal
diffondersi delle istituzioni liberali e del regime rappresentativo
saranno probabilmente considerate come lievi a paragone di quelle
altre, che potranno essere nello stesso tempo causa ed effetto della
loro sparizione.
Come si sa, fra le scosse che accompagnarono l'istituzione del
regime rappresentativo, la prima, che fu la più violenta,
avvenne in Francia nell'ultimo decennio del secolo decimottavo; e
quivi allora si ebbe quel grande e subitaneo spostamento della
ricchezza a danno di una classe ed a favore di altre, che suole
accompagnare tutti i gravi e profondi rivolgimenti politici.
Senonchè in Francia il moto, per la grandissima maggioranza
dei contemporanei, giunse improvviso e quasi inaspettato, non
trovò, per l'impreparazione politica delle vecchie classi
privilegiate e di quelle che aspiravano a surrogarle, uomini adatti
a dirigerlo ed a moderarlo, e l'ondata rivoluzionaria disciolse
quindi l'antica organizzazione statale senza avere pronta l'altra
che la doveva sostituire. Sicchè Napoleone dovette poi
ricostruirla quasi di sana pianta, adoperando all'uopo gli elementi
più adatti, che non mancavano nè nelle antiche classi
privilegiate nè sopratutto in quella borghesia che aveva
fatto la rivoluzione. Ma nella grande maggioranza degli altri paesi
d'Europa, quando s'iniziò il regime rappresentativo, esso era
già così aspettato e socialmente così maturo,
che potè essere inaugurato senza gravi perturbamenti; se come
tali non si vogliono riguardare quelli che nel 1848 e 49 ebbero
luogo nella quasi totalità degli Stati europei.
E si ebbe così, poco prima o poco dopo, verso la metà
del secolo decimonono, il nuovo tipo di organizzazione politica, che
si può definire come lo Stato rappresentativo moderno411.
Esso, come già si è accennato, è il risultato
di nozioni ed idee ereditate dalla classica antichità ed
adattate ai bisogni della società del secolo decimonono,
così diversa da quella che aveva creato la Città Stato
della Grecia e di Roma, ed adattate entro un modello che, quasi
empiricamente e per effetto delle circostanze specialissime della
sua storia, era stato nei due secoli precedenti tracciato in
Inghilterra. Pure i nuovi ordinamenti rispondevano cosi bene alla
mentalità ed alle necessità sociali dell'epoca che li
adottò che, sussidiati dalle maravigliose scoperte le quali
resero possibile un progresso economico mai prima sognato,
potettero, durante tutto il secolo decimonono, conservare indiscussa
nel mondo la supremazia dei popoli di civiltà europea,
già affermatasi nel secolo precedente, e, nel regime interno
di questi popoli, hanno potuto mantenere un ordine relativo ed una
prosperità materiale, dei quali difficilmente si troverebbero
esempi analoghi nella storia di altri tempi e di altre
civiltà umane412.
Certo che fra i presupposti teorici del nuovo regime politico ed il
suo pratico funzionamento ci è stata, e non poteva non
esserci, una profonda ed insanabile disarmonia. Poichè
naturalmente, malgrado l'adozione graduale del suffragio universale,
il potere effettivo è rimasto sempre per una parte in mano
alle classi più doviziose e per una parte maggiore,
specialmente nei paesi così detti democratici, in mano alle
classi medie; le quali hanno sempre avuto la prevalenza nelle
organizzazioni direttive dei partiti politici e nei comitati
elettorali ed hanno in grandissima maggioranza fornito i redattori
alla stampa quotidiana, il personale alla burocrazia e
l'ufficialità all'esercito413.
Ma nello stesso tempo, appunto in grazia della combinazione insita
nel regime fra l'elemento burocratico e quello elettivo, si è
potuta avere una utilizzazione quasi completa nel campo politico ed
amministrativo di tutti i valori umani e si è dato il modo a
quasi tutti gli elementi più adatti delle classi dirette di
entrare in quelle dirigenti.
La specializzazione poi delle diverse funzioni politiche e la
cooperazione ed il controllo reciproco fra l'elemento burocratico e
quello elettivo, che sono due delle principali caratteristiche dello
Stato rappresentativo moderno, hanno fatto sì che esso possa
essere riguardato come il tipo di organizzazione politica più
complesso, e quindi più delicato, fra tutti quelli che sono
ricordati nella storia del mondo. Da questo e da altri lati si
può anzi affermare che vi è una quasi perfetta armonia
fra il presente ordinamento politico e le condizioni della
civiltà del secolo che l'ha visto nascere e vivere.
Civiltà che se, nella squisita perfezione delle forme
artistiche e letterarie, nella profondità del pensiero
filosofico e del sentimento religioso, nel valutare l'importanza di
alcuni grandi problemi morali, si è forse rivelata inferiore
a qualcuna di quelle che l'hanno preceduto, è stata ed
è di molto superiore a tutte le altre nella sapiente
organizzazione della produzione economica e di quella scientifica,
come anche nell'esatta cognizione e nell'accorto sfruttamento delle
forze della natura. Ora indiscutibilmente la vittoria, che quel
complesso d'istituzioni, di strumenti, di cognizioni e di attitudini
acquisite, le quali formano la cultura e la forza di una
generazione, ha ottenuto sulle forze naturali, l'organizzazione
politica finora vigente l'ha ottenuto sulle spontanee energie e
sulle volontà dei singoli individui umani414.
Certo che, anche ieri ed oggi, è stato ed è possibile
ad interessi particolari di piccole minoranze organizzate di
prevalere sull'interesse collettivo, paralizzando l'azione di coloro
che dovrebbero tutelarlo. Ma dobbiamo pure riconoscere che la
macchina statale è così potente e perfezionata che
giammai, come oggi, in Europa e nel mondo si è vista una
somma uguale di mezzi economici e di attività individuali
convergere per il raggiungimento di un fine collettivo; e l'ultima
grande guerra mondiale ce ne ha dato una terribile ma irrecusabile
prova. E, se si obietterà che qualche città antica ed
anche qualche comune medioevale, proporzionatamente alla loro
grandezza, non hanno fatto talora sforzi minori, si può
facilmente rispondere che, quanto più piccolo è un
organismo tanto più facile riesce di coordinare l'azione
delle cellule che lo compongono, e che Atene, Sparta ed anche
qualche grosso Comune medioevale avevano un territorio ed una
popolazione cento volte minore di quella di uno Stato moderno di
media grandezza. Solo Roma, nell'epoca delle due prime guerre
puniche, e più ancora quando seppe nei primi due secoli
dell'Impero espandere la sua lingua e la sua civiltà in tutta
l'Europa occidentale, ottenne risultati paragonabili per
l'entità, e forse anche da certi lati superiori, a quelli
delle organizzazioni politiche presenti.
Senonchè, come tutti gli organismi, siano essi individuali o
sociali, anche lo Stato rappresentativo moderno porta con sè
i germi che, sviluppandosi, possono produrne la decadenza e la
dissoluzione. Accenneremo per ora soltanto ad alcuni dei principali
fra essi, a quelli cioè la cui azione già si
può chiaramente percepire.
E prima di tutto faremo presente che in molti paesi d'Europa si nota
in questo momento una notevole decadenza economica di quella classe
media che, col suo sorgere e col suo prosperare, rese possibile
l'avvento del regime rappresentativo. E, se questa decadenza dovesse
prolungarsi per la durata di una generazione, essa sarebbe
immancabilmente seguita da quella intellettuale. Ora, come la
diffusione della media proprietà era, secondo Aristotile, una
condizione indispensabile per il retto funzionamento della
città greca, così l'esistenza di una media borghesia
riesce necessaria per la vita normale del regime rappresentativo
moderno. Tanto vero che in quei paesi ed in quelle regioni nelle
quali questa classe è poco sviluppata, o non ha i requisiti
richiesti per mantenere il suo prestigio e la sua influenza, questo
regime ha dato i risultati peggiori415. Perciò, se la
decadenza accennata dovesse accentuarsi e durare, si potrebbero
forse per qualche tempo ancora osservare le forme degli ordinamenti
presenti, ma di fatto si avrebbe o una dittatura plutocratica o una
dittatura burocratica e militare, oppure una dittatura demagogica di
pochi caporioni, che saprebbero lusingare le masse ed appagarne, fin
dove sarebbe possibile, e con danno sicuro dell'interesse generale,
l'invidia e gli istinti spogliatori416. Ovvero, peggio ancora, si
potrebbe avere una combinazione di due e magari di tutte e tre le
dittature citate.
Ed il pericolo sembra tanto più grande in quanto esso si
riconnette ad un altro, il quale è una conseguenza necessaria
del sistema d'idee che ha fornito la base morale ed intellettuale al
sistema rappresentativo. Intendiamo alludere a quella forma mentale,
finora prevalente, che ha reso quasi ineluttabile l'introduzione del
suffragio universale.
A dir vero, nei primi decenni del regime rappresentativo la
borghesia, transigendo col dogma della sovranità popolare sul
quale quel regime era fondato, aveva adottato quasi dappertutto
forme di suffragio ristretto; ma in sèguito, vinta più
dalla forza della logica che dalla spinta che veniva dagli strati
più umili della società, e sopratutto costretta dalla
necessità di mostrarsi coerente ai principî che aveva
proclamato ed in nome dei quali aveva combattuto ed abbattuto
l'assolutismo, adottò il suffragio universale. Il quale fu
cominciato ad attuare prima negli Stati Uniti d'America, poi in
Francia nel 1848, ed in sèguito in tutti gli altri paesi
retti a regime rappresentativo.
Ora giammai i molti, specialmente se poveri ed ignoranti, hanno
diretto i pochi, sopratutto se essi sono relativamente ricchi ed
intelligenti; e perciò la così detta dittatura del
proletariato non potrebbe essere che quella di una classe assai
ristretta esercitata a nome del proletariato; e forse la nozione di
questa verità, penetrata più o meno chiaramente nella
coscienza o nella subcoscienza delle classi dirigenti, ha
contribuito a far loro accettare senza molta resistenza il suffragio
universale. Ma, una volta che tutti hanno acquistato il diritto al
voto, è inevitabile che dalla stessa borghesia si distacchi
una frazione, la quale, nella gara per arrivare ai posti migliori,
cercherà di appoggiarsi sugli istinti e sugli appetiti delle
classi più numerose, insegnando ad esse che l'uguaglianza
politica significa presso che nulla se non è accompagnata da
quella economica e che la prima può servire benissimo di
strumento per ottenere la seconda.
E ciò è avvenuto ed avviene tanto più
facilmente in quanto la borghesia, non solo è rimasta in
certo modo prigioniera dei suoi principî democratici, ma anche
di quelli liberali; e si sa che il liberalismo accetta come
verità assiomatica che ogni credenza, ogni opinione ha il
diritto di essere senza alcun ostacolo predicata e propagata. Certo
che il liberalismo e la democrazia non sono la stessa cosa, ma hanno
un certo fondo comune in quella corrente intellettuale e
sentimentale formatasi nel secolo decimottavo e che si fondava sopra
una concezione ottimistica della natura umana, o meglio dei
sentimenti e delle idee che necessariamente avrebbero dovuto
prevalere nelle collettività umane. Sicchè, come la
democrazia deve ammettere che il governo migliore è quello
che emana dal consenso della maggioranza numerica dei consociati, il
liberalismo deve credere che basti il buon senso popolare a
distinguere la verità dall'errore ed a far giustizia delle
idee antisociali e dannose. E, dato che le classi dirigenti hanno
informato la loro condotta ai principi accennati, non è da
maravigliare se in molti paesi siasi affermata e grandemente diffusa
una nuova dottrina, e si potrebbe anzi dire una nuova fede, la
quale, se si può presumere e dimostrare inetta a ricostruire
un sistema di ordinamento sociale e politico migliore, e sopratutto
più morale, di quello esistente, è certamente
attissima a distruggerlo417.
Se a tutto ciò aggiungiamo la grandissima complessità
della moderna economia e la conseguente specializzazione delle
attività necessarie alla produzione ed alla distribuzione
delle derrate e dei servizi più indispensabili alla vita
quotidiana dell'intiera società, e quindi dello Stato,
ciò che rende possibile a piccole minoranze di causare,
incrociando semplicemente le braccia, gravissimi perturbamenti in
tutto il corpo sociale, potremo formarci un concetto sommario degli
elementi dissolvitori, che corrodono la compagine degli attuali
ordinamenti politici e sociali e ne minacciano l'esistenza418. Ma di
questo argomento crediamo per ora di aver detto abbastanza, tanto
più che ce ne dovremo di nuovo occupare nell'ultimo capitolo
del presente lavoro.
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
I. I due principi e le due tendenze che si possono riscontrare nelle
varie classi politiche. — II. Il principio autocratico. — III. I due
strati della classe politica e l'autocrazia burocratica. — IV. Il
principio liberale. — V. Analisi della tendenza democratica. — VI.
Analisi della tendenza aristocratica. — VII. Risultati
dell'equilibrio fra i due principi e le due tendenze.
I. — Secondo scrisse Platone in uno dei suoi ultimi dialoghi, la
monarchia e la democrazia sarebbero le due forme di governo
fondamentali, dalle quali, mercè combinazioni più o
meno felici, deriverebbero tutte le altre419. Questo concetto,
accortamente interpretato e completato, si può anche oggi
accettare; perchè realmente in tutte le forme di
organizzazione politica o l'autorità viene trasmessa
dall'alto verso il basso della scala politica e sociale, in maniera
che la scelta del funzionario inferiore viene lasciata a quello
superiore, finchè si arriva al supremo gerarca che sceglie i
suoi immediati collaboratori, come dovrebbe accadere nella monarchia
assoluta tipica, ovvero dal basso viene delegata a coloro che stanno
in alto, dai governati ai governanti, come si usava nell'antica
Grecia ed in Roma repubblicana.
Bisognerebbe aggiungere che i due sistemi possono essere fusi e
contemperati in vari modi, come accade oggi nei governi
rappresentativi; e si potrebbe citare in proposito la forma presente
di governo degli Stati Uniti d'America, nei quali il Presidente
è scelto dalla universalità dei cittadini ed egli alla
sua volta nomina tutti i funzionari del governo federale ed i
magistrati della Corte suprema.
Il primo tipo di organizzazione politica, quello nel quale
l'autorità viene trasmessa dall'alto della scala politica ai
funzionari inferiori, e che fu da Platone appellato monarchico, noi
crediamo più esatto di chiamarlo autocratico; perchè
un monarca nel senso lato della parola, ossia un capo dello Stato,
si trova quasi sempre in tutte le forme di regime politico.
Più difficile riesce la scelta del vocabolo adatto ad
indicare il secondo. Seguendo l'esempio di Platone, si potrebbe
chiamarlo democratico, ma, siccome per democrazia s'intende oggi
comunemente una forma di regime politico nella quale tutti
ugualmente partecipano alla formazione dei poteri sovrani,
ciò che non sempre è accaduto nel passato nei regimi
nei quali il popolo scieglieva i suoi governanti, perchè
spesso per popolo s'intendeva una ristretta aristocrazia, crediamo
più opportuno di appellarlo liberale420. E questa
denominazione ci sembra tanto più appropriata in quanto
è prevalso l'uso di ritenere liberi quei popoli nei quali,
stando alla legge, i governanti dovrebbero essere scelti da tutti o
anche da una parte dei governati e la legge stessa dovrebbe essere
una emanazione della volontà generale. Mentre nei regimi
autocratici essa o ha un carattere immutabile e sacro, oppure
è una espressione della volontà dell'autocrate o
meglio ancora di coloro che agiscono in suo nome.
Viceversa ci sembra più adatto di chiamare democratica quella
tendenza che, latente o manifesta, agisce sempre con maggiore o
minore intensità in tutti gli organismi politici e che mira a
rinnovare la classe dirigente, sostituendola con elementi
provenienti dalle classi dirette. E naturalmente chiameremo
aristocratica la tendenza contraria, anche essa costante sebbene di
varia intensità, la quale mira alla stabilizzazione della
direzione sociale e del potere politico nei discendenti di quella
classe che, in un dato momento storico, se ne è impossessata.
A prima vista parrebbe che la prevalenza di quello che noi
denomineremo principio autocratico dovrebbe accoppiarsi a quella che
chiameremo tendenza aristocratica; e che al contrario il principio
opposto, che chiameremo liberale, dovrebbe accoppiarsi alla tendenza
che abbiamo appellato democratica. E realmente dall'esame di molti
tipi di organizzazione politica potrebbe trarsi la conclusione che
esiste una certa simpatia fra l'autocrazia e l'aristocrazia da una
parte ed il liberalismo e la democrazia dall'altra; ma però
sarebbe questa una di quelle regole che sono soggette a moltissime
eccezioni. Riuscirebbe facile infatti trovare esempi di autocrazie
che non hanno ammesso l'esistenza di classi alle quali la nascita
conferiva privilegi legali, e si potrebbe citare in proposito
l'impero chinese durante lunghi periodi della sua storia; ed anche
più facile sarebbe di trovare esempi di regimi elettivi nei
quali il popolo elettore era costituito solo dalla classe dirigente
ereditaria, come avveniva a Venezia e nella repubblica polacca.
Ad ogni modo, tenendo anche conto che riesce difficile assai di
trovare un regime politico nel quale si possa constatare
l'esclusione assoluta di uno dei due principî, o di una delle
due tendenze, ci sembra certo che la forte prevalenza
dell'autocrazia o del liberalismo, della tendenza aristocratica o
della democratica, possa fornire un criterio sicuro e fondamentale
per determinare il tipo al quale l'organizzazione politica di un
dato popolo, in una data epoca, appartiene. Ed è
perciò che ora ci sembra molto utile di iniziare un breve
studio sui vantaggi e gli inconvenienti che ad ognuno e ad ognuna di
esse si possono attribuire.
II. — Pare indiscutibile che l'autocrazia abbia formato la base
della organizzazione politica dei primi grandi aggregati umani.
Tutti gli antichi grandi imperi dell'Asia e l'antico Egitto erano
organizzati autocraticamente, come pure secondo il principio
autocratico erano organizzati il nuovo impero persiano dei Sassanidi
ed i califfati arabi421. Fino a pochi anni fa erano autocratici i
regimi politici del Giappone, della China e della Turchia, che, per
la natura della sua civiltà, potea essere considerata come
paese asiatico. In Europa si può considerare come autocratico
il governo dell'impero romano dopo Diocleziano e quello dell'impero
bizantino e fu retta da una pura autocrazia la Russia di Ivano IV il
terribile e di Pietro il grande e quella di Alessandro III e dei
primi tempi di Niccola II. Abbiamo visto come, anche nell'Europa
occidentale, la formazione del grande Stato moderno, mercè la
distruzione di tutte le sovranità intermedie che
caratterizzavano il regime feudale, abbia dato luogo alla creazione
di governi autocratici; che poi si trasformarono nei regimi
rappresentativi moderni. Finalmente anche in America erano
autocraticamente organizzati il Messico ed il Perù, ossia i
soli due grandi Stati che gli Europei trovarono nel nuovo
continente422.
È evidente che un sistema di organizzazione politica
così diffuso e così duraturo fra popoli di
civiltà diversissima, e che spesso nessun contatto nè
materiale nè intellettuale avevano avuto fra di loro, deve,
se non sempre, spessissimo corrispondere alla natura politica
dell'uomo, perchè ciò che è artificioso od
eccezionale non sussiste lungamente. L'autocrazia infatti, sia che
il capo supremo che sta al vertice della piramide politica eserciti
la sua autorità in nome di Dio e degli Dei, sia che egli la
riceva dal popolo o da coloro che presumono di rappresentarlo,
fornisce una formola politica, ossia un principio d'autorità
ed una giustificazione del potere, chiara, semplice e che tutti
facilmente comprendono. Non ci può essere una organizzazione
umana senza una gerarchia, e qualunque gerarchia necessariamente
richiede che alcuni comandino e gli altri ubbidiscano; e,
poichè è nella natura degli uomini che molti di essi
amino il comandare e che quasi tutti si adattino ad ubbidire, riesce
assai utile una istituzione, la quale dà a coloro che stanno
in alto la maniera di giustificare la loro autorità e nello
stesso tempo aiuta potentemente a persuadere coloro che stanno in
basso a subirla.
Si potrebbe obiettare che se l'autocrazia è un regime molto
adatto alla formazione di grandi organismi politici, come furono gli
antichi imperi mesopotamici e l'antica Persia, ed in tempi
più recenti la China, la Turchia e la Russia, e ad
assicurarne la durata per parecchi ed alle volte per molti secoli,
essa non consente ai popoli che l'hanno adottato, e sopratutto alle
loro classi dirigenti, di raggiungere tutta quella elevazione morale
ed intellettuale di cui l'umanità civile è capace.
Difatti l'arte ed il pensiero della Grecia e di Roma furono in
complesso superiori a quelli degli imperi orientali e nessuna delle
civiltà asiatiche antiche e recenti ha avuto una vita
intellettuale così intensa da potere sostenere il confronto
con quella delle grandi nazioni dell'Europa centrale ed occidentale
e dell'America del secolo decimonono. Ma l'epoca splendida di Atene
durò circa un secolo e mezzo, perchè iniziatasi colla
battaglia di Platea, che ebbe luogo il 479 avanti Cristo, si
protrasse tutto al più fino alla guerra lamiaca, cioè
fino al 323 a. C. Ed anche Roma potè cominciare ad essere
considerata come un grande Stato ed un centro di cultura alla fine
della seconda guerra punica, cioè al 203 a. C.; ma già
al 133 s'iniziarono con Tiberio Gracco le lotte civili, ed al 31 a.
C, dopo un secolo di tumulti quasi continui, di proscrizioni, di
guerre intestine, l'antico Stato città dovette tramutarsi
nell'impero d'Augusto.
Fra le grandi nazioni moderne l'Inghilterra ed il Nord-America sono
quelle che da più lungo tempo si reggono secondo il principio
liberale, ma abbiamo già visto che la prima lottò
contro l'assolutismo fino al 1689, e sappiamo che la data della
nascita degli Stati Uniti può essere fissata al 1783. E
l'Inghilterra del 1689 era per potenza, ricchezza e valore
intellettuale assai diversa da quella di oggi; come pure è
noto che la grande repubblica nord-americana, fin quasi alla
metà del secolo decimonono, era un paese quasi esclusivamente
agricolo, sobrio, ristretto in se stesso, attaccato alle antiche
tradizioni, molto lontano dalla opulenza e dalla importanza mondiale
che oggi ha raggiunto. Sicchè parrebbe quasi che il principio
liberale facilmente prevalga in quei periodi eccezionali della vita
dei popoli durante i quali alcune delle più nobili
facoltà dell'uomo si manifestano con tutta la loro
intensità ed energia e maturano i germi che produrranno a
breve scadenza un notevolissimo aumento di potenza politica e
prosperità economica. Ma sembra pure che a questi periodi, i
quali segnano alcune delle tappe più importanti raggiunte nel
cammino della civiltà, altri ne seguano, durante i quali le
società umane sentono quasi il bisogno di un lungo riposo,
che politicamente trovano adagiandosi in un autocratismo più
o meno larvato, e più o meno adattato al grado di sviluppo e
di cultura raggiunto.
Il regime autocratico naturalmente presuppone l'esistenza di un
autocrate, di un uomo cioè che personifichi l'istituzione in
nome della quale agiscono tutti coloro che sono investiti di una
parte o di una particella qualsiasi della pubblica autorità.
Ora l'autocrate può essere ereditario, nel quale caso si ha
una combinazione del principio autocratico colla tendenza
aristocratica, o elettivo, nel quale caso la combinazione avverrebbe
colla tendenza democratica. Non bisogna però dimenticare che
gli autocrati a vita tendono sempre a trasformarsi in ereditari e
che, come avveniva a Roma durante l'impero, l'autocrate, il quale
nominalmente ha ricevuto il mandato dal popolo, molto spesso viene
creato dalle classi dirigenti, o meglio da quella frazione delle
classi dirigenti che ha i mezzi più efficaci per imporsi alle
altre, ovvero finalmente da quel gruppo di alti funzionari che
tengono in mano le fila colle quali si dirige la macchina dello
Stato423.
L'eredità, quando è regolata in maniera che non
possano nascere dubbi sui diritti dell'erede al trono, presenta
certamente il vantaggio di assicurare meccanicamente la
stabilità e la continuità del potere e di evitare che
ogni successione fornisca facili occasioni a guerre civili e ad
intrighi di Corte a favore o contro i vari pretendenti. Da questo
lato il sistema adottato dalle monarchie europee, nelle quali la
famiglia legale è stata ed è sempre monogama e la
successione è toccata sempre al maschio primogenito, ha dato
risultati migliori di quello usato nelle monarchie orientali, che
non hanno mai regolato il diritto di successione in modo così
chiaro e preciso e hanno sempre ammesso che il sovrano regnante
possa cambiarlo. Ciò che naturalmente ha aperto la porta agli
intrighi della sultana favorita, degli alti funzionari ed anche del
basso personale di Corte, che col sovrano ha quotidiani contatti424.
La prima origine delle dinastie autocratiche è dovuta molto
spesso ad una individualità forte ed energica, la quale, dopo
che è arrivata al potere supremo, ha saputo acquistare tale
prestigio nella classe politica ed anche fra le masse popolari ed ha
saputo costituire tale una rete intessuta d'interessi e di devozione
fra gli alti funzionari, da fare sembrare molto opportuno, e quasi
naturale, che la successione venga trasmessa ai suoi discendenti.
Sappiamo infatti che in China le nuove dinastie sono state
generalmente fondate da avventurieri energici e fortunati che,
ponendosi a capo di una rivolta vittoriosa, rovesciavano la dinastia
precedente. Origine simile ebbe nel Giappone la dinastia degli
Shogun Tokugava e si sa pure che in India il turco Baber, postosi a
capo di una grossa banda di avventurieri suoi compatriotti,
riuscì a fondare, nei primi decenni del secolo decimosesto,
l'impero del Gran Mogol. In Europa simili casi sono avvenuti assai
più raramente; Napoleone non potè trasmettere il trono
al re di Roma, ed il figlio di Oliviero Cromwel potè occupare
la carica di lord protettore soltanto per meno di un anno. Un caso
tipico, che si potrebbe in proposito ricordare, fu quello di Gustavo
Wasa che, figlio di un nobile svedese, ma ridottosi nella sua
gioventù a fare il pastore ed il minatore nella Derecarlia,
si pose poi a capo di una rivolta dei suoi compatriotti contro i
Danesi, e fu il fondatore di una dinastia che, dai primi decenni del
secolo decimosesto, regnò nella Svezia fino all'avvento dei
Bernadotte. Invece più di frequente è avvenuto fra noi
che una dinastia, nata piccola e debole, siasi a poco a poco
fortificata ed ingrandita mediante il lavorìo costante di una
serie di generazioni. E basterebbe citare l'esempio dei Capetingi,
dei Savoia, degli Hohenzollern e forse anche degli Habsburgo.
In una autocrazia ereditaria è assai difficile che la persona
destinata dalla nascita ad occupare la difficilissima carica di capo
supremo di un grande Stato abbia le qualità necessarie per
effettivamente e bene disimpegnarla. A dir vero l'eredità
familiare e l'educazione possono contribuire molto a far sì
che un sovrano ereditario riesca ad acquistare il contegno esteriore
e le forme che più convengono alla posizione che occupa. Ma,
benchè le forme abbiano la loro importanza, sopratutto quando
ogni gesto ed ogni parola possono attirare l'attenzione di un intero
popolo, esse non bastano a supplire alla deficienza delle
qualità più sostanziali: quali sarebbero la
capacità di lavoro, l'energia, la volontà di dominio,
la conoscenza degli uomini ed anche una certa insensibilità
affettiva tanto utile per i regnanti, che non dovrebbero troppo
commuoversi per i dolori altrui, ma dovrebbero invece sapere
reprimere gli slanci del cuore ed evitare studiosamente quei momenti
critici nei quali l'animo umano è irresistibilmente spinto a
rendere palesi i sentimenti ed i pensieri più intimi425.
Alla deficienza accennata si ripara nella maggior parte dei casi
affidando a due diversi personaggi le funzioni autocratiche;
all'autocrate titolare resta la parte rappresentativa e decorativa
della carica, mentre il potere effettivo viene affidato ad un'altra
persona, che si può chiamare maestro di palazzo, primo
ministro o vizir. Spesso però quest'ultimo compito è
affidato, anzichè ad una persona sola, ad un Consiglio
formato di un piccolo gruppo di maggiorenti, come sarebbero stati il
Consiglio dei Ministri, che assisteva il principe in Europa sotto
l'antico regime, il Tsong-li-yamen in China, il Divano in Turchia,
il Ba-ku-fu nel Giappone dei Tokugava426. Ma ordinariamente in
questo piccolo gruppo vi è un individuo il quale ad una
maggiore capacità di lavoro accoppia una più forte e
più ferma volontà di dominio e che perciò
predomina sugli altri. Quando il principe titolare regna ed il primo
ministro governa, e le circostanze esigono un cambiamento radicale
d'indirizzo politico, esso si può effettuare cambiando il
ministro e lasciando in piedi la dinastia ed il sovrano regnante.
Naturalmente di fronte a questo vantaggio sorge il pericolo che il
sovrano di fatto, cioè colui che effettivamente governa, si
sforzi di conservare il potere per tutta la vita e cerchi anche di
trasmetterlo ai suoi figli; come accadde in Francia all'epoca dei
maestri di palazzo ed è accaduto replicatamente nel Giappone,
dove, assai prima che s'istituisse lo Shogunato dei Tokugava, il
potere del Mikado era diventato nominale ed era di fatto esercitato
dal capo di qualche grande famiglia feudale427.
Non è facile di teorizzare sul come e sul quando diventa
necessaria la divisione accennata del potere autocratico. Certo
è che essa si rende inevitabile quando la dinastia
autocratica è invecchiata ed ammollita, sicchè
l'autocrate legale, chiuso nel suo palazzo e spesso snervato dai
piaceri sensuali, perde ogni contatto coi grandi e col popolo e non
conosce più l'arte di fare agire le ruote della macchina
statale. Ma non mancano, specialmente in Europa, numerosi esempi di
discendenti di antiche dinastie, che come Carlo V e Filippo II di
Spagna, Luigi XIV di Francia, Vittorio Amedeo II di Savoia, Pietro
il grande di Russia e Federico il grande di Prussia, hanno saputo
dirigere effettivamente il governo dei loro Stati. Studiando uno ad
uno i personaggi indicati, e quegli altri che si potrebbero
indicare, facilmente si potrebbe constatare che, malgrado la
varietà dei caratteri individuali, essi avevano comuni due
qualità fondamentali: cioè una grande capacità
di lavoro fisico ed intellettuale ed una forte volontà di
dominio.
È naturale che in origine, e si potrebbe anche dire a caso
vergine, la scelta dell'autocrate coadiutore, che esercita il potere
effettivo, spetti all'autocrate titolare, e che il primo
perciò debba essersi saputa accaparrare la fiducia del
secondo. Ma col tempo un carattere forte può acquistare tale
ascendente sopra un carattere debole che questo non oserà
più revocare ciò che una volta ha liberamente
concesso; sicchè il mandatario volontariamente scelto
può diventare un tutore che si subisce. Si aggiunga che la
prima e la più urgente cura del vice-principe è quasi
sempre quella di mettere in tutte le cariche elevate persone legate
a lui da vincoli di famiglia, di riconoscenza, o, meglio ancora, da
complicità in azioni basse od in vere ribalderie.
Poichè cosi facendo egli può contare sulla
fedeltà della camarilla che ha contatti frequenti col
principe e tenere da lui studiosamente lontani tutti coloro che ad
essa non appartengono.
Del resto la formazione di un gruppo di persone, che, secondo i
casi, può comprendere due o tre dozzine o anche un centinaio
d'individui, i quali monopolizzano la direzione dello Stato e
occupano, alle volte a turno, le cariche più importanti,
è un fatto che avviene in tutte le autocrazie, anzi in tutte
le forme di regime politico. Variano soltanto i criteri con i quali
questo gruppo, che forma il primo strato della classe dirigente,
viene selezionato, a seconda che il regime è autocratico o
liberale o che prevale la tendenza democratica o quella
aristocratica. Ma, in tutti i casi ed in tutti i regimi, un criterio
costante, e che ha sempre grande importanza, consiste nel gradimento
di coloro che del gruppo già fanno parte. In tempi normali,
quando si tratta di arrivare ad uno dei posti che permettono di
disporre effettivamente di una parte delle forze di uno Stato, e
quindi della sorte di molti individui, quasi sempre sono necessari
il consenso o almeno la simpatia e l'acquiescenza di coloro che ai
posti accennati sono già arrivati. Non per nulla dice il
proverbio che non si entra in Paradiso a dispetto dei santi.
Nei paesi nei quali prevale nello stesso tempo il principio
autocratico e la tendenza aristocratica, il gruppo al quale abbiamo
accennato viene formato a preferenza dai membri della più
alta nobiltà, i quali dalla nascita sono destinati ad
occupare gli uffici e le mansioni più importanti dello Stato.
La Corte allora suole spesso essere il teatro dove si svolgono le
gare di preminenza fra le più grandi famiglie del reame, come
avveniva in Francia all'epoca delle lotte fra il conte di Armagnac
ed il duca di Borgogna, in Sicilia nella seconda metà del
secolo decimoquarto ed in Spagna sotto il debole Carlo II. Ma,
quando il sovrano titolare ha ingegno e forza di volontà,
riesce alle volte a rompere il cerchio delle camarille
aristocratiche, che lo servono e nello stesso tempo lo
padroneggiano, e spesso lo padroneggiano più di quanto lo
servano, e lo rompe portando a posti molto elevati persone di
nascita mediocre, che, dovendo tutto a lui, sono strumenti
più efficaci e più fedeli della sua politica. Si sa
infatti che i due principali ministri di Luigi XIV, Colbert e
Louvois, non appartenevano all'alta nobiltà francese, e che
Pietro il Grande di Russia affidò spesso cariche elevate ad
avventurieri di origine straniera o anche a Russi di bassa
estrazione. Nelle autocrazie orientali non era neppure inaudito il
caso di persone di origine molto bassa che arrivavano prima alle
cariche più elevate e poi al potere supremo, e si potrebbero
citare gli esempi di Basilio il Macedone nel secolo nono a Bisanzio
e di Nadir Scià nella Persia del secolo decimottavo428. Non
occorre dire che queste carriere eccezionali erano dovute ad una
straordinaria assistenza della fortuna, a doti eccezionali
d'intelletto e sopratutto all'arte di valersi di tutte le
circostanze propizie per salire in alto; la quale arte consiste
sopratutto nel sapersi rendere utili, e meglio ancora necessari, a
coloro che già si trovano in alto, sfruttandone tutte le
qualità buone e cattive.
III. — Al di sotto del primo strato della classe dirigente ve ne
è sempre, e quindi anche nei regimi autocratici, un altro
molto più numeroso, che comprende tutte le capacità
direttrici del paese. Senza di esso qualunque organizzazione sarebbe
impossibile, perchè il primo strato non basterebbe da solo ad
inquadrare e dirigere l'azione delle masse. Sicchè dal grado
di moralità, d'intelligenza e di attività di questo
secondo strato dipende in ultima analisi la consistenza di qualunque
organismo politico, la quale suole essere tanto più grande
quanto maggiore è la pressione che il senso degli interessi
collettivi della nazione o della classe, riesce ad esercitare sulle
cupidigie individuali di coloro che ne fanno parte. Perciò le
deficienze intellettuali e morali di questo secondo strato
rappresentano per l'organismo politico un pericolo più grave
e più difficilmente rimediabile di quello nel quale si
incorre quando le stesse deficienze si riscontrano nelle poche
dozzine di persone che tengono in mano i meccanismi della macchina
statale429.
Nei regimi autocratici primitivi, ed in generale in quelli
più antichi, questo secondo strato della classe politica era
quasi sempre formato dai sacerdoti e dai guerrieri. Cioè da
quello due categorie di persone che disponevano della forza
materiale e della direzione intellettuale e morale della
società e che, come conseguenza più che come causa,
del predominio intellettuale e morale, avevano anche quello
economico; e, date queste condizioni della società, era
naturale che al regime autocratico si accoppiasse quasi sempre il
prevalere della tendenza aristocratica. Ma, col decorrere del tempo,
colla fusione completa della razza conquistatrice colla conquistata,
là dove la differenziazione delle classi era dovuta in
origine all'invasione di popoli stranieri, coll'aumento della
civiltà e quindi della ricchezza e della cultura, e colla
conseguente necessità di una preparazione tecnica per bene
disimpegnare le cariche pubbliche, le autocrazie aristocratiche si
sono quasi sempre più o meno trasformate in autocrazie
burocratiche. Tali erano infatti l'impero romano, specialmente dopo
Diocleziano, e quello bizantino, l'impero chinese, almeno negli
ultimi secoli della sua esistenza, la Russia dopo Pietro il Grande,
i principali Stati europei nel secolo decimottavo e, con qualche
riserva, poteva anche essere considerato come un'autocrazia
burocratica il Giappone dopo la creazione dello Shogunato dei
Tokugava430.
Perchè un'autocrazia inizi la burocratizzazione di un grande
Stato è senza dubbio necessario che l'organizzazione politica
sia già così salda da potere regolarmente prelevare
una parte delle entrate dei privati sufficiente a fornire un
trattamento ai pubblici funzionari ed a potere mantenere una forza
armata permanente. Ma, come spesso avviene nei fenomeni sociali,
alla sua volta una burocratizzazione già bene iniziata
permette di accrescere grandemente l'efficacia coercitiva della
macchina statale e rende quindi possibile alla classe dirigente, e
sopratutto al gruppo che la guida, di esercitare un'azione sempre
più forte sulle masse governate, orientandone gli sforzi
verso i fini voluti dai governanti. In altre parole, un'autocrazia
burocratizzata è un'autocrazia perfezionata, con tutti i
vantaggi e gli inconvenienti dovuti al perfezionamento. Tra i primi
si possono enumerare la possibilità di affidare le diverse
funzioni dirigenti agli specialisti, e quella di aprire le porte
alle capacità provenienti dagli strati meno elevati della
società e di fare così largo al merito personale.
Rendendo con ciò omaggio ad un canone di giustizia
distributiva, che ha avuto sempre presa nel cuore degli uomini, e
che ne ha sopratutto oggi; canone che vorrebbe stabilire un rapporto
esatto e quasi matematico fra il servizio che ogni individuo rende
alla società ed il grado che egli raggiunge nella gerarchia
sociale.
Ma, come scrive il Ferrero, il merito personale, è una delle
cose che le passioni e gli interessi degli uomini sanno meglio
falsificare431. E si potrebbe forse aggiungere che nei regimi
autocratici, dove il successo dipende dal giudizio di una o di poche
persone, può bastare per falsificare l'intrigo; mentre in
quelli liberali, sopratutto quando prevale anche la tendenza
democratica, ed occorre quindi per farsi avanti anche la stima e la
simpatia attiva di molti, all'intrigo bisogna accoppiare una buona
dose di ciarlataneria. Ad ogni modo, anche prescindendo da questa
obiezione pregiudiziale, e, se si vuole, troppo pessimista, è
certo che ogni giudizio sul merito e sulle attitudini di una persona
sarà sempre più o meno subbiettivo e che perciò
ogni giudice apprezzerà maggiormente, ed in piena buona fede,
nei candidati, quelle qualità intellettuali e morali che egli
stesso possiede. Ed è questa certamente una delle ragioni
principali di quel conservatorismo cieco, di quell'incapacità
a correggere i propri vizi e le proprie debolezze che spesso si
riscontra nei regimi esclusivamente burocratici432.
E per evitare questo grave inconveniente non basta che i funzionari
superiori, dai quali dipende l'ammissione e la carriera di quelli
inferiori, siano persone di alto intelletto, ma bisogna pure che
abbiano il cuore molto generoso ed elevato. Difatti alle volte anche
le persone dotate delle qualità più rare ed eccelse
dell'intelletto umano prediligono coloro che hanno le qualità
più comuni e secondarie, le quali danno meno ombra al
superiore e lo completano meglio. Poichè coloro che le
posseggono fanno ciò che egli non sa fare, o disdegna di
fare, e sono quasi sempre più insinuanti, non avendo, o
sapendo meglio dissimulare, quella baldanza giovanile, che spesso
può sembrare od anche essere presunzione, e che di frequente
si riscontra negli uomini di verde età e d'ingegno vivace; i
quali riescono spesso a vedere subito ciò che gli altri,
anche vecchi, o non vedono affatto o vedono molto tardi.
Che se poi, diffidando della umana imparzialità, alla scelta
ed all'indicazione dei superiori si vogliono sostituire regole di
avanzamento meccaniche, le quali non possono essere basate che sulla
anzianità, avviene infallibilmente che uguale è la
carriera del pigro e del solerte, dell'intelligente e del mediocre,
e che quindi il funzionario, persuaso che far meglio e più
degli altri non serve a nulla, farà solo quel minimo che
è indispensabile per non perdere il posto o la promozione.
Allora le carriere burocratiche tendono a diventare l'asilo dei
mediocri o di coloro che hanno urgenza assoluta di avere un posto
rimunerato per potere provvedere alla propria sussistenza, ed un
uomo intelligente che entra nella burocrazia consacra al suo ufficio
solo una parte, e spesso non quella migliore, della propria
attività e del proprio ingegno.
Va da sè che, per quanto una burocrazia possa essere
legalmente aperta a tutte le classi sociali, di fatto essa viene
quasi sempre reclutata nella classe media, cioè in quel
secondo strato della classe dirigente di cui abbiamo parlato;
perchè i nati in questa classe trovano assai più
facilmente i mezzi di procacciarsi l'istruzione necessaria e nello
stesso ambiente familiare acquistano la nozione pratica dei modi
più adatti per entrare nella carriera e per fare carriera; e
non occorre neppure dire quanto possano a ciò giovare la
guida e la protezione del padre o di parenti ed amici di famiglia
altolocati. Perciò si può in genere affermare che, sia
nel regime autocratico puro, sia in quello combinato con il regime
liberale, quasi identico è il livello morale della burocrazia
e della classe dirigente del paese. Quindi è più
elevato dove questa classe ha tradizioni radicate di probità
e di onore, perchè da più lungo tempo formata e
raffinata e da molte generazioni si è consacrata al servizio
dello Stato, tanto nelle carriere civili che in quella militare. Ed
è più basso quando essa è di data più
recente, e proviene o da avventurieri procaccianti e fortunati o da
famiglie di contadini e piccoli commercianti, appena digrossate,
nelle quali, sebbene abbiano acquistato una certa agiatezza, molto
spesso ancora perdurano la mancanza di ogni idealità e la
inveterata e sordida avidità del grosso ed anche del piccolo
guadagno.
È in questi casi che l'organizzazione burocratica dà i
frutti peggiori: che sarebbero il favoritismo sfacciato dei
superiori, la bassa servilità dei subalterni, in tutti la
tendenza a barattare con favori di qualsiasi genere quel tanto
d'autorità che la carica mette a loro disposizione. Nei casi
più gravi il baratto si converte in vendita, ed allora si ha
quella corruzione pecuniaria che, quando diventa comune nei gradi
alti e bassi della scala burocratica, disgrega e paralizza ogni
azione dello Stato. Difetto poi comune a tutte le burocrazie, e
quindi anche a quelle moralmente più elevate, è la
convinzione della propria infallibilità; per la quale sono
sempre oltremodo restie ad accogliere quelle critiche e quei
suggerimenti che provengono da persone estranee alla loro carriera.
IV. — Abbiamo già visto nelle pagine precedenti come il
principio liberale abbia uno stato di servizio più brillante,
ma certo più ristretto e più breve, di quello
autocratico. Agli esempi di Stati liberali antichi e moderni che
allora abbiamo addotto, si potrebbero aggiungere quelli della
Polonia, dell'Olanda, delle città anseatiche, di Genova, di
Firenze e della Svizzera, paesi nei quali il regime liberale
durò più o meno lungamente, e finalmente di Venezia,
dove un regime liberale, nel senso da noi attribuito al vocabolo, e
nello stesso tempo oligarchico, prevalse per molti secoli. Ma anche
quasi tutti gli altri Stati che abbiamo menzionato, ad eccezione di
qualche piccolo cantone della Svizzera, erano governati da
aristocrazie più o meno ristrette, ed in Polonia, cioè
in quello che raggiungeva la massima estensione, l'aristocrazia
presto degenerò in una turbolenta anarchia.
Come abbiamo pure accennato, le caratteristiche del regime liberale
consistono nel fatto che la legge è basata sul consenso della
maggioranza dei cittadini, i quali però possono anche essere
una esigua frazione degli abitanti dello Stato, e che i funzionari i
quali la applicano sono nominati direttamente od indirettamente dai
loro subordinati e sono temporanei e responsabili della
legalità dei loro atti. Nei grandi Stati liberali
generalmente i cittadini, anzichè esercitare personalmente il
potere legislativo, lo delegano ad assemblee direttamente od
indirettamente da loro nominate, e l'azione dei funzionari elettivi
viene completata ed integrata da una vera e propria burocrazia.
Inoltre, dove prevale il principio liberale, lo Stato suole
riconoscere certi limiti ai suoi poteri nei suoi rapporti coi
singoli cittadini e coi sodalizi da essi formati. Questi limiti, non
completamente ignoti alla Grecia classica ed a Roma antica, sono
quasi sempre sanciti nei moderni Statuti e riguardano la
libertà di religione, di stampa, d'insegnamento, di
associazione e riunione e le guarentigie per la libertà
personale, per la proprietà privata e l'inviolabilità
del domicilio.
Anche negli Stati nei quali prevale il principio liberale troviamo
quei due strati della classe dirigente, il primo molto piccolo, il
secondo molto più largo e profondo, dei quali abbiamo parlato
a proposito del regime autocratico. Il sistema elettivo non esclude
infatti che si formino dei gruppi più o meno chiusi, i quali
si contendono le cariche più elevate dello Stato e fanno capo
ciascuno ad un pretendente alla carica più elevata, che
potrebbe essere quella di Presidente della Repubblica o di
Presidente del Consiglio dei Ministri; gruppi che corrispondono alle
camarille di Corte, fra le quali nelle autocrazie si scelgono i
coadiutori immediati del supremo gerarca. Naturalmente i metodi
usati sono diversi, perchè nelle autocrazie per arrivare
basta influire sopra di uno o di pochi uomini, sfruttandone tutte le
passioni buone e cattive; mentre nei regimi liberali bisogna guidare
la volontà di almeno tutto il secondo strato della classe
dirigente, il quale, se non costituisce da solo il corpo elettorale,
fornisce i quadri che ne formano le opinioni e ne determinano
l'azione. Perchè dal suo seno escono i comitati che dirigono
le associazioni politiche, gli oratori dei comizi ed i redattori dei
giornali, ed infine quel piccolo numero di persone capaci di
formarsi una opinione propria sugli uomini e sugli avvenimenti del
giorno e che perciò esercitano una grande influenza sui
moltissimi incapaci, e preparati quindi, senza saperlo, ad
accogliere sempre quella degli altri.
Molto diversi sono i risultati che dà l'applicazione del
principio liberale a seconda che il corpo elettorale, dal quale
dipende la scelta di coloro che occupano le cariche pubbliche
più elevate, è molto ristretto, ovvero molto largo.
Nel primo caso è evidente che una buona parte della classe
politica, o di coloro che avrebbero le attitudini a farne parte, ne
resta esclusa. Questa esclusione fa sì che il regime liberale
diventi molto somigliante ad un'autocrazia larvata di una classe
ristrettissima, che alle volte si riduce a poche famiglie potenti e
quasi onnipotenti, come accadeva in Polonia negli ultimi decenni
anteriori alla sua spartizione. Inoltre quando il corpo elettorale
è molto ristretto, quasi tutti gli elettori sono o possono
credersi effettivamente eleggibili, e quindi quasi tutti diventano
candidati, ossia giudicabili, senza che resti un numero sufficiente
di giudici433.
Ordinariamente perciò nei corpi elettorali ristrettissimi o
si forma una cricca unica, composta dai titolari delle cariche e dai
loro consorti e cointeressati, o se ne formano due, delle quali una
sta al potere e l'altra fa un'opposizione astiosa e sistematica. I
pochi che si mantengono al di fuori delle due cricche ordinariamente
restano isolati e vengono lasciati in disparte; e riescono ad
esercitare un'azione efficace solo nei momenti critici, quando una
serie di gravi scandali o di grandi insuccessi rendono inevitabile o
facile la caduta della cricca che stava al potere.
Nel secondo caso, cioè quando tutti o quasi tutti sono
elettori, lo studio principale delle diverse organizzazioni di
partito in cui si divide la classe dirigente diventa quello di
captare i suffragi delle classi più numerose, che sono
necessariamente le più povere ed indotte. La prima e la
più spontanea e naturale aspirazione di queste classi,
costrette a subire un governo che spesso non amano e del quale
ancora più spesso non capiscono gli scopi e gli ingranaggi,
sarebbe quella di esser governata il meno possibile, ossia di fare
per lo Stato il minor numero possibile di sacrifizi; la seconda, che
si sviluppa sopratutto coll'esercizio del suffragio, sarebbe quella
di trarre da esso profitto per migliorare la propria situazione
economica e per sfogare quel risentimento compresso e quell'invidia
che spesso, non sempre, l'uomo che sta in basso sente per colui che
sta in alto, e specialmente per colui che è il suo superiore
immediato.
Or, quando nella lotta fra le diverse frazioni della classe
dirigente il successo dipende dall'appoggio e dalla simpatia delle
masse popolari, è inevitabile che quella frazione, la quale
dispone di mezzi d'influenza meno efficaci, si valga delle due
aspirazioni accennate, e sopratutto della seconda, per trascinare
con sè gli strati più umili della società. A
questa frazione si uniscono di frequente, per sentimento o per
interesse, quegli individui che, nati nelle classi meno elevate,
hanno saputo da esse sollevarsi, in grazia della loro speciale
intelligenza ed energia, ovvero per la loro eccezionale furberia434.
Ma, qualunque sia la loro origine, i metodi seguiti da coloro che
vogliono monopolizzare e sfruttare la simpatia delle plebi sono
stati e sono sempre identici: essi consistono nel porre in luce,
naturalmente esagerandoli, l'egoismo, l'insipienza ed i godimenti
materiali dei ricchi e dei potenti, nel denunziare i loro vizi ed i
loro errori reali ed immaginari e nel promettere di soddisfare quel
senso così comune e diffuso di grossolana giustizia, che
vorrebbe abolita ogni gerarchia sociale fondata sui vantaggi che
conferisce la nascita e vorrebbe nello stesso tempo raggiungere
l'uguaglianza assoluta dei godimenti e delle pene.
Accade poi spesso che i partiti ai danni dei quali si rivolge la
propaganda demagogica per combatterla usino mezzi assai analoghi a
quelli dei loro avversari. Anche essi perciò fanno promesse
impossibili a mantenere, adulano le masse, ne lusingano gli istinti
più rozzi e sfruttano e fomentano tutti i loro pregiudizi e
tutte le loro cupidigie, quando stimano di poterne trarre vantaggio.
Ignobile gara, nella quale coloro che ingannano volontariamente
abbassano il loro livello intellettuale fino a renderlo uguale a
quello degli ingannati, e moralmente scendono ancora più in
basso435.
Tutto sommato quindi il principio liberale trova le condizioni
migliori per la sua applicazione quando il corpo elettorale è
composto in maggioranza da quel secondo strato della classe
dirigente che forma la spina dorsale di tutte le grandi
organizzazioni politiche. Quando perciò esso è
abbastanza numeroso perchè la maggior parte degli elettori
non possa aspirare alle candidature, sicchè i candidati
possono trovare in essi dei giudici e non già dei rivali o
dei compari, e nello stesso tempo abbastanza ristretto perchè
non diventi necessario per riuscire di rendere omaggio alla
mentalità ed ai sentimenti delle classi più incolte,
allora soltanto può diventare, non diciamo completa, ma non
del tutto illusoria, quella responsabilità dei mandatari
verso i mandanti, che è uno dei principali presupposti del
regime liberale436.
Come è noto, e come abbiamo accennato, altro suo vantaggio,
presunto od effettivo, sarebbe la pubblica discussione degli atti
dei governanti, sia nelle assemblee politiche e nei consigli
amministrativi, che per opera della stampa periodica. Ma,
perchè questo ultimo ed efficacissimo mezzo di controllo
potesse realmente illuminare la pubblica opinione, bisognerebbe che
i giornali non fossero l'organo di camarille politiche o
finanziarie, o gli strumenti ciechi di una fazione, e, quando lo
sono, bisognerebbe che il pubblico lo sapesse e potesse tenerne
conto.
V. — La tendenza democratica, cioè verso il rinnovamento
delle classi dirigenti, si può affermare che agisce
costantemente, con maggiore o minore intensità, in tutte le
società umane. Alle volte il rinnovamento avviene in modo
rapido e violento, più spesso, anzi normalmente, mercè
la lenta infiltrazione di alcuni elementi provenienti dagli strati
più umili nelle classi elevate.
Nel passato i rinnovamenti violenti avvenivano non raramente in
seguito ad invasioni straniere, quando un popolo veniva conquistato
da un altro popolo che si stabiliva nello stesso paese e, senza
distruggerli o cacciarli, si sovrapponeva agli antichi abitanti.
Così avvenne nell'Europa occidentale dopo la caduta
dell'impero romano, nella Persia dei Sassanidi dopo l'invasione
araba, in Inghilterra dopo la vittoria di Guglielmo il
conquistatore, nell'India dopo l'invasione dei Maomettani ed in
China dopo l'invasione dei Mongoli e poi dopo quella dei Tartari
Mandchù. Però in questo caso, quasi sempre, frammenti
dell'antica aristocrazia paesana sono entrati in quella nuova di
origine straniera. E forse, in tutti i casi summentovati, uno studio
attento delle condizioni dei popoli conquistati ci farebbe
constatare che la conquista straniera è stata quasi sempre
agevolata da un principio di dissolvimento interno, che aveva
già indebolito e disgregato la classe dirigente indigena, o
l'aveva moralmente separato dal resto della popolazione.
In tempi più recenti si sono talora avuti rinnovamenti
violenti e molto larghi delle antiche classi politiche in seguito a
gravi rivolgimenti interni. Essi corrispondono alle vere e proprie
rivoluzioni, ed avvengono quando fra la organizzazione politica
ufficiale ed i costumi, le idee ed i sentimenti di un popolo si
determina una grande disarmonia ed artificiosamente vengono tenuti
in condizione subordinata molti elementi che sarebbero attissimi a
partecipare alla direzione politica. Un esempio classico di questo
genere si ebbe colla grande rivoluzione francese; un altro si sta
svolgendo sotto i nostri occhi in Russia437.
Ma le crisi violente, che cambiano radicalmente i criteri in base ai
quali si reclutano le classi dirigenti e che ne mutano o modificano
profondamente nel giro di pochi anni il personale, possono essere
considerate come un fatto piuttosto eccezionale, il quale
caratterizza alcune epoche storiche; fatto che qualche volta ha dato
un energico impulso al progresso intellettuale, morale e materiale,
e qualche altra volta è stato l'inizio o la conseguenza di un
periodo di decadenza e dissoluzione di una civiltà.
Viceversa, anche in tempi normali, possiamo quasi sempre constatare
che un lento e graduale rinnovamento della classe politica avviene
mediante infiltrazioni di elementi provenienti dagli strati
inferiori in quelli superiori della società. Senonchè
questa tendenza, che noi abbiamo chiamato democratica, alle volte
prevale ed agisce in modo più efficace e più rapido,
alle volte invece più copertamente, attraverso mille ostacoli
creati dalle leggi, dalle consuetudini e dai costumi, e
perciò in modo assai più blando.
Come abbiamo già osservato nella prima parte di questo
lavoro, la tendenza democratica prevale più facilmente nei
tempi agitati, quando una mentalità nuova riesce a scalzare
le antiche concezioni sulle quali si basava l'edificio della
gerarchia sociale, quando i progressi scientifici e tecnici hanno
creato nuove fonti di guadagno o hanno prodotto un cambiamento negli
ordinamenti militari, o anche quando un urto esterno ha costretto
una nazione a fare appello a tutte le sue energie e ad attitudini
che, in tempi quieti, sarebbero rimasti allo stato potenziale438.
Perciò in generale i cambiamenti di religione, le nuove
dottrine filosofiche e politiche, la scoperta di armi nuove o di
nuovi strumenti di guerra, l'applicazione di nuovi ritrovati alla
produzione economica e lo stesso aumento di essa, le lunghe guerre,
sono tutti elementi che favoriscono il rapido scambio delle molecole
che compongono i vari strati sociali. Aggiungiamo che questo scambio
avviene sempre più agevolmente nei paesi nuovi, dove
abbondano ancora le ricchezze naturali poco sfruttate, che danno
modo agli uomini energici ed intraprendenti di arrivare più
facilmente, o almeno meno difficilmente, alla ricchezza e quindi
alla notorietà. Gli esempi dei diversi Stati americani e
dell'Australia ci sembrano a questo riguardo abbastanza calzanti e
persuasivi.
Non si può negare che la tendenza democratica, sopratutto se
contenuta in limiti moderati, sia in certo modo indispensabile a
ciò che si chiama, e spesso è realmente, il progresso
delle società umane. Infatti, se tutte le aristocrazie
fossero rimaste sempre chiuse ed immobili, il mondo non sarebbe mai
cambiato e l'umanità si sarebbe fermata nello stadio
raggiunto all'epoca delle monarchie omeriche o degli antichi imperi
orientali. La lotta fra coloro che stanno in alto e coloro che, nati
in basso, aspirano a salire è stata, è, e sarà
sempre il fermento che ha costretto gli individui e le classi ad
allargare i proprii orizzonti ed a cercare quelle vie nuove che ci
hanno condotto fino al grado di civiltà raggiunto nel secolo
decimonono. A quel grado che ha reso possibile nel campo politico la
creazione del grande stato rappresentativo moderno, il quale, come
abbiamo visto nel precedente capitolo, fra tutti gli organismi
politici è quello che è riuscito a coordinare una
somma maggiore di energie e di attività individuali verso
fini d'interesse collettivo.
Si può aggiungere che la tendenza democratica, quando la sua
azione non tende a diventare eccessiva ed esclusiva, rappresenta
ciò che in linguaggio volgare si chiamerebbe una forza
conservatrice. Perchè essa permette di rinsanguare
continuamente le classi dirigenti mercè l'ammissione di
elementi nuovi, che hanno innate e spontanee le attitudini al
comando e la volontà di comandare, ed impedisce così
quell'esaurimento delle aristocrazie della nascita, che suole
preparare i grandi cataclismi sociali.
Però, come abbiamo già accennato, a cominciare dalla
fine del secolo decimottavo e durante il decimonono, e forse anche
oggi, da quando cioè il dogma dell'uguaglianza umana,
rimodernato secondo la mentalità dei tempi, ha acquistato
nuovo vigore, e si è riputato possibile che esso possa avere
completa applicazione nel mondo terreno, molti hanno creduto, e non
pochi hanno finto di credere, che ogni vantaggio proveniente dalla
nascita debba, col tempo con opportuni ordinamenti, venire eliminato
e che l'avvenire potrà vedere dei consorzi umani nei quali vi
sarà una corrispondenza completa fra il reale servizio reso
alla società ed il grado occupato nella gerarchia sociale439.
Ma, sebbene questa aspirazione mai forse come ora sia stata diffusa
e nettamente formulata, sarebbe assurdo credere che sia nata
soltanto poco meno di duecento anni fa; poichè essa invece ha
sempre costituito la base morale di ogni attacco che mirava al
rinnovamento o al rinsanguamento della classe dirigente. Ogni volta
che si è voluto forzare la barriera, che separava
un'aristocrazia, di diritto o di fatto ereditaria, dal resto della
società, si è sempre fatto appello in nome della
religione o dell'uguaglianza naturale degli uomini o almeno di
quella dei cittadini, ai diritti del merito individuale contro il
privilegio della nascita. Su questo riguardo le democrazie della
Grecia e di Roma, i contadini inglesi guidati da Wat Tyrel, i Ciompi
di Firenze e gli Anabattisti di Münster, senza avere in mano la
dichiarazione dei diritti dell'uomo, pensavano ed operavano come i
riformatori francesi del secolo decimottavo e come i comunisti di
oggi440.
Senonchè, ogni volta che il movimento democratico ha potuto
parzialmente o totalmente trionfare, abbiamo visto costantemente la
tendenza aristocratica risorgere per opera di coloro stessi che
l'avevano combattuta e talora ne avevano proclamato la soppressione.
A Roma i plebei ricchi, dopo avere forzato le porte che precludevano
loro l'accesso delle cariche più elevate, si fusero
coll'antico patriziato e formarono una nobiltà nuova, nella
quale l'accesso agli estranei, legalmente permesso, era di fatto
molto difficile. A Firenze alle famiglie nobili, delle quali si
volle distruggere l'influenza politica mercè i famosi
ordinamenti di giustizia, si sostituì l'oligarchia dei
popolani grassi. In Francia la borghesia del secolo decimonono
sostituì in parte la nobiltà dell'antico regime.
Dappertutto, appena si è abbattuta l'antica barriera, se ne
è edificata un'altra, talora forse più bassa e meno
irta di triboli e di spine, ma tale che presentava sempre un
ostacolo abbastanza efficace a coloro che la volevano superare.
Dappertutto gli arrivati ai primi gradini della scala sociale hanno
costituito una difesa per sè e per i loro figli contro coloro
che volevano arrivare441.
Si dirà che ciò è un prodotto necessario della
proprietà individuale, che rende ereditaria la ricchezza e
facilita grandemente, a coloro che la ereditano, le vie per arrivare
al potere e per restarci. Ed è certo che in questa obiezione
vi è una gran parte di verità, e non diciamo tutta la
verità perchè le cognizioni e le relazioni dei padri
possono essere trasmesse parzialmente ai figli anche quando la
famiglia non ha un patrimonio vero e proprio. Ma pochi si rendono
oggi conto che in uno stato collettivista l'inconveniente accennato,
che ora ha per base la proprietà privata, non sparirebbe,
anzi si presenterebbe in forma più grave. Perchè, come
abbiamo già dimostrato nell'ultimo capitolo della prima parte
di questo lavoro, e come attualmente accade in Russia, coloro che
reggono uno Stato organizzato secondo i principi collettivisti
avrebbero facoltà e mezzi d'azione molto maggiori dei ricchi
e dei potenti di oggi. Infatti in uno Stato collettivista i
reggitori cumulerebbero il potere politico con quello economico e,
disponendo così della sorte di tutti gli individui e di tutte
le famiglie, avrebbero mille modi di distribuire favori e castighi e
sarebbe strano che di queste facoltà non si valessero per
procacciare ai loro figli i posti migliori.
Per abolire intieramente il privilegio della nascita bisognerebbe
dunque abolire anche la famiglia ed adottare la Venere vaga, facendo
discendere l'umanità fino al livello della più bassa
animalità442. E crediamo per giunta che neppure questo
provvedimento così radicale sarebbe sufficiente a stabilire
nel mondo quella giustizia assoluta che, mai attuata, sarà
sempre invocata da coloro che vogliono rovesciare il sistema vigente
delle gerarchie sociali. Perchè abbiamo visto che, quando il
clero cattolico, il quale non poteva legalmente avere figli,
disponeva di una grande potenza economica e politica, è sorto
il nepotismo; e, quando non ci saranno neppure i nipoti, l'uomo
è così fatto che saprà trovare sempre qualcuno
dei suoi simili che amerà e proteggerà a preferenza
degli altri.
E resta poi a vedere se sarebbe sempre vantaggioso per la
collettività che fosse tolto ogni vantaggio alla nascita
nella lotta per entrare a far parte della classe dirigente e per
arrivare ai gradi più elevati della gerarchia sociale.
Poichè, quando tutti gli individui potessero prendervi parte
a condizioni uguali, questa lotta diverrebbe senza dubbio acuta fino
al parossismo e produrrebbe quindi un enorme dispendio di forze e di
energie dirette a raggiungere un fine individuale, senza che, nella
maggior parte dei casi, vi fosse un corrispondente profitto per
l'organismo sociale443. Mentre potrebbe benissimo darsi che certe
qualità intellettuali e sopratutto morali, le quali sono
utili e forse anche necessarie affinchè una classe dirigente
mantenga il suo prestigio e disimpegni bene la sua funzione,
richiedano, per svilupparsi ed affermarsi, che per parecchie
generazioni le stesse famiglie possano conservare una posizione
sociale abbastanza elevata. Ma di questo argomento ci dovremo
intrattenere a preferenza nel susseguente paragrafo e durante il
seguito del nostro lavoro.
VI. — Scrivendo nel primo quarto del secolo ventesimo, quando ben
pochi sono coloro che in pubblico non si dichiarano partigiani
entusiasti della democrazia, potrebbe sembrare superfluo di esporre
i danni e gli svantaggi del soverchio prevalere della tendenza
aristocratica, ossia della stabilizzazione del potere politico e
dell'influenza sociale in determinate famiglie. Però, siccome
questa stabilizzazione, tanto comune nelle civiltà tramontate
ed in quelle rimaste estranee alla presente cultura europea, anche
oggi fra noi di fatto è attenuata ma non distrutta, siccome
lo spirito aristocratico non è morto, e probabilmente non
morrà mai, non crediamo superfluo di consacrare qualche
pagina a questo argomento.
Parlando poco fa di alcuni vantaggi della tendenza democratica
abbiamo indirettamente accennato ad alcuni svantaggi di quella
aristocratica. Aggiungeremo ora che, quando un popolo è retto
lungamente da un'aristocrazia chiusa o semichiusa, è quasi
inevitabile che in essa nasca e si accentui uno spirito di corpo o
di casta per il quale i suoi membri si credono infinitamente
superiori al resto dell'umanità. Quest'orgoglio, che spesso
si accompagna ad una certa frivolezza di spirito e ad un culto
eccessivo per le forme esteriori, fa sì che facilmente coloro
che stanno in alto stimino che tutto sia loro spontaneamente dovuto,
senza che essi abbiano doveri precisi verso coloro che sono fuori
della loro casta, che considerano quasi come destinati ad essere
ciechi strumenti delle loro mire, delle loro passioni e dei loro
capricci444.
Questa maniera di pensare e di sentire, la quale si forma quasi
spontaneamente negli individui che fin dalla nascita sono destinati
ad occupare cariche più o meno elevate e che fin
dall'infanzia godono di molti privilegi e ricevono molti omaggi,
impedisce che essi generalmente comprendano, e quindi compatiscano,
i dolori e le pene di quegli altri che stanno negli ultimi gradini
della scala sociale e gli stenti e gli sforzi di coloro che hanno
saputo coll'opera propria salire qualcuno dei gradini della scala
accennata. Inoltre l'esagerazione dello spirito aristocratico fa si
che si evitino i contatti con gli strati più umili della
società e che quindi si trascuri di studiarli attentamente. E
questa trascuratezza produce spesso una completa ignoranza delle
loro reali condizioni psicologiche; che alle volte vengono
raffigurate, attraverso la letteratura ed i romanzi, come assai
vicine alla semplicità e bontà primitiva dell'uomo,
alle volte invece vengono assimilate senz'altro a quelle dei bruti.
Naturalmente tutte e due le esagerazioni hanno il comune risultato
di togliere alla classe dirigente qualunque influenza sulla
formazione della mentalità e dei sentimenti delle masse e di
renderla perciò inetta alla loro direzione.
Raramente nella storia troviamo esempi di classi elevate ereditarie
che, avendo coscienza, come debbono averla, della loro
superiorità intellettuale e morale, abbiano spontaneamente
avuto un'uguale coscienza dei doveri che questa superiorità
imponeva loro verso le classi inferiori. E più raramente
ancora fra gli individui appartenenti alle classi dirigenti
ereditarie si è diffuso quel sentimento di vera e reale
fratellanza e solidarietà universale, che forma la base e
l'onore delle tre grandi religioni mondiali, il Buddismo, il
Cristianesimo e l'Islam; sentimento il quale fa si che l'uomo
più elevato riconosca e comprenda che anche l'uomo più
basso fa parte integrante di quella umanità alla quale tutti
e due appartengono. Ciò che in fondo corrisponde a quel tanto
di vero che può essere contenuto in tutta quella grande
congerie di sogni e di menzogne che oggi appellasi democrazia.
Il più insidioso nemico di tutte le aristocrazie della
nascita è senza dubbio l'ozio, che genera la mollezza e la
sensualità, fomenta la frivolezza e produce l'aspirazione ad
una vita nella quale i piaceri non sono accompagnati dai doveri. E
bisogna confessare che, quando manca la necessità quotidiana
dell'obbligo ad un determinato lavoro, e quando non si è
già contratta nei primi anni della giovinezza l'abitudine di
lavorare, è difficile sfuggire alle insidie di questo
terribile nemico. Ma le aristocrazie che da esso non sanno
sufficientemente difendersi decadono rapidamente, giacchè, se
pure nominalmente conservano per qualche tempo il loro rango e le
loro funzioni, queste vengono di fatto esercitate dai subalterni,
che presto diventano i padroni effettivi; essendo impossibile che
chi fa e sa fare non riesca pure col tempo a comandare.
Senonchè non bisogna dimenticare che l'esenzione dei lavori
materiali, la sicurezza di potere vivere e conservare la propria
posizione sociale senza che ad essa corrisponda la necessità
impellente di un'occupazione grave e quotidiana, può dare in
certi casi ottimi risultati dal lato dell'interesse collettivo, e
che l'essersi un certo numero di uomini trovati nelle condizioni
accennate è una delle cause precipue dei progressi
intellettuali e morali della umanità.
Uno scrittore spagnuolo contemporaneo, Miguel de Unamuno, ha scritto
l'elogio della fannulloneria. Egli ha voluto dimostrare che il mondo
molto deve agli oziosi, perchè, se fra i nostri antenati non
ci fosse stato un certo numero di persone, che non dovevano lavorare
colle proprie braccia e che potevano interamente disporre del loro
tempo, non sarebbero nate nè la scienza, nè l'arte,
nè la morale445.
La tesi è ardita e contiene molta parte di vero, ma la
quistione non ci sembra posta nei suoi veri termini. Nel caso
contemplato ciò che i non iniziati, i quali possono
appartenere tanto alle classi superiori che alle inferiori, chiamano
ozio, molto spesso, lungi dall'esser tale, è la forma
più nobile di lavoro umano. Quella forma cioè che non
si propone una utilità immediata per l'individuo che vi si
dedica, o anche per altri determinati individui, ma cerca di
rendersi conto delle leggi che regolano l'universo, del quale
facciamo parte, e dello svolgimento del pensiero e delle istituzioni
umane, senza altra spinta che la passione disinteressata di
allargare un poco i confini del noto a spese dell'ignoto, senza
altro fine che quello di chiarire alquanto, e nei limiti del
possibile, quei problemi gravi ed angosciosi, che travagliano
l'anima e l'intelletto umano e gli danno quell'impronta
caratteristica che lo solleva al di sopra dell'animalità. Or
è evidente che questi istinti hanno avuto la maggiore
facilità, e diremmo quasi la possibilità di
affermarsi, solo fra uomini, che appartenevano ad una classe
dirigente così raffermata nel suo dominio da rendere
possibile che alcuni dei suoi membri fossero esenti dalle cure
materiali della vita e dalla preoccupazione di difendere giorno per
giorno la propria posizione sociale. Ed è perciò che
si deve ammettere che la scienza e la morale sociale sono state
originariamente elaborate in seno alle aristocrazie e che anche oggi
trovano in esse a preferenza i loro cultori più devoti446.
Si potrebbe obiettare che le grandi scoperte nel campo scientifico e
le grandi affermazioni nel campo morale sono dovute ad uomini dotati
di ciò che comunemente si dice il genio, cioè di una
capacità d'intelletto e di sentimento e di una forza di
volontà eccezionali, e che il genio raramente è
ereditario. E ciò è vero; ma il genio suole a
preferenza manifestarsi in individui che appartengono a quei popoli
ed a quelle classi nelle quali il livello medio dell'intelligenza
è più elevato, ed è notorio che le
qualità intellettuali, le quali, senza essere straordinarie,
sono superiori alla media, facilmente si tramandano dai genitori ai
figliuoli. Or non è arrischiato supporre che in origine le
classi elevate, qualunque sia stato il criterio con il quale vennero
costituite, dovettero attirare nel proprio seno molti degli
individui più intelligenti e, quando esse non sono
ermeticamente chiuse, continuamente si rinsanguano cogli elementi
più intelligenti che provengono dagli strati inferiori della
società447.
Certamente poi più spiccato è il fenomeno
dell'eredità familiare per quel che riguarda le
qualità morali, nello sviluppo delle quali grande è
l'influenza dell'educazione, e sopratutto di quella educazione
indiretta che proviene dall'ambiente in cui si nasce e si vive. Non
senza una profonda ragione in tutti i tempi e in tutti i luoghi si
è pregiata l'antichità di una famiglia, ossia il fatto
che per una lunga serie di generazioni essa ha potuto conservare una
posizione sociale elevata. Perchè è relativamente
facile di arrivare in alto, quando i tempi e la fortuna aiutano, ed
un individuo possiede una certa dose d'intelligenza, di
attività, di perseveranza e sopra tutto ha una grande e ferma
volontà di farsi avanti; ma nelle cose umane
l'immobilità è artificiale ed il cambiamento naturale,
sicchè occorrono una prudenza costante ed una vigile e
durevole energia per conservare, attraverso i secoli e per una lunga
serie di generazioni, ciò che si è acquistato per il
merito, o per un colpo di fortuna, e qualche volta anche per la
mancanza di scrupoli, di un lontano antenato.
Perciò le famiglie, che hanno potuto resistere lungamente a
questa prova, sono soltanto quelle nelle quali la maggioranza almeno
di coloro che ne facevano parte hanno saputo conservare il senso del
limite e della misura ed hanno saputo resistere alla tentazione di
cedere a desideri ardenti, che si aveva la possibilità di
immediatamente soddisfare; che in altre parole hanno conosciuto e
praticato l'arte di comandare a se stesso, più difficile di
quella di comandare agli altri, che alla sua volta è
più difficile di quella di obbedire448. Avviene quindi
naturalmente una selezione per la quale tutti i casati nei quali
fanno difetto le virtù accennate presto ricadono
nell'oscurità e perdono il rango che avevano acquistato. Or
è evidente che, perchè la selezione accennata abbia
luogo, è necessario che la classe dirigente abbia una certa
stabilità e che non venga perciò ad ogni generazione
rinnovata; ed è forse questa necessità che spiega la
grande persistenza della tendenza aristocratica e costituisce la sua
migliore giustificazione.
Uno degli organismi più saldi e duraturi che ricordi la
storia è senza dubbio la Chiesa cattolica, la quale ha sempre
ammesso nelle file del clero individui provenienti da tutte le
classi ed all'occorrenza ha saputo portare al posto più
insigne della gerarchia ecclesiastica uomini provenienti dagli
strati più umili della società, e si potrebbero
facilmente citare in proposito i nomi dei Papi Gregorio VII, Sisto V
e Pio X. Si sa che il celibato dei preti ha impedito che si formasse
nella Chiesa una vera aristocrazia ereditaria, ma è pure
notorio che parecchie furono nel passato le grandi famiglie che
avevano quasi sempre uno dei loro membri nel Sacro Collegio, e che
la maggioranza dei Papi e dei Cardinali provenivano nei secoli
scorsi, e forse provengono ancora, dalla classe elevata e da quella
media. Ed oggi forse una delle maggiori difficoltà con la
quale il Cattolicesimo deve lottare sta nel fatto che la vecchia
aristocrazia e l'alta e la media borghesia in molti paesi non danno
più alle file del clero un numero sufficiente di adepti.
Or, se da questo esempio, e da altri analoghi che si potrebbero
facilmente portare, si potesse trarre una regola, diremmo che la
penetrazione degli elementi provenienti dalle classi più
umili in quelle elevate riesce utile quando avviene in proporzione e
con criteri tali che i nuovi venuti si assimilano presto le
qualità migliori dei vecchi dominatori, e riesce dannosa
quando questi vengono in certo modo assorbiti ed assimilati dai
nuovi compagni. Perchè in questo caso l'aristocrazia non si
rinsangua ma anche essa diventa plebe.
Una delle qualità più essenziali delle classi
dirigenti è, o dovrebbe essere, la lealtà nei rapporti
coi propri subordinati. Infatti la menzogna, schermo molto usato
dall'inferiore verso il superiore, dal debole contro il forte,
diventa doppiamente ripugnante e vile quando il forte l'usa a danno
del debole. Essa toglie perciò a chi comanda ogni
rispettabilità e lo rende spregevole di fronte al
subordinato, e si può aggiungere che, appunto perchè
gli uomini vi ricorrono troppo spesso, acquista un grande prestigio
colui che se ne astiene. Or l'aborrimento dalla menzogna è
una qualità che di solito si acquista in seguito ad una lunga
ed accurata, e diremmo quasi tradizionale, educazione morale; ed
è naturale perciò che si trovi a preferenza in quelle
classi dirigenti nella formazione delle quali l'elemento ereditario
ha una parte preponderante.
Altro requisito importantissimo, e diremmo quasi indispensabile dei
ceti dirigenti, anche in tempi relativamente pacifici e mercantili,
è il coraggio personale. Appunto perchè gli uomini
ordinariamente scansano il pericolo e temono la morte, ammirano
coloro che sanno all'occorrenza esporre intrepidamente la vita;
perchè, quando non lo si fa per incoscienza o frivolezza,
ciò richiede una gran forza di volontà ed un gran
dominio sopra se stesso, che fra tutte le qualità morali
è forse quella che più impone il rispetto e
l'obbedienza. Perciò quando si farà una storia
dettagliata della maniera come si formarono, vissero e decaddero
molte classi dirigenti, si potrà constatare che quelle che
avevano un'origine ed una tradizione militare sono state più
salde ed in generale hanno durato più a lungo di quelle che
avevano soltanto una base industriale e plutocratica449. Ed ancora
oggi nell'Europa occidentale e centrale una delle migliori difese
della classe dirigente consiste nel coraggio personale che gli
ufficiali, i quali uscivano dal suo seno, hanno in generale
dimostrato davanti i propri soldati.
È assurdo il pregiudizio che considera le classi dirigenti
come economicamente improduttive, perchè esse, mantenendo
l'ordine e tenendo unita la compagine sociale, creano le condizioni
nelle quali il lavoro produttivo può meglio esplicare la sua
azione, ed inoltre forniscono ordinariamente alla produzione il
personale tecnico e direttivo. Però su questo riguardo
sarebbe interessante di esaminare se una classe dirigente di origine
recente si contenta nella ripartizione della ricchezza di una parte
minore di quella che è sufficiente per una classe dirigente
di antica data, nella quale perciò prevale la tendenza
aristocratica. Ciò che in altri termini equivale a giudicare
se la democrazia sia per una società più economica
della aristocrazia450.
Il giudizio è molto difficile e potrebbe assai variare
secondo i tempi ed i popoli. Perciò ci limiteremo a far
notare che in generale i grandi sogliono ostentare un lusso
chiassoso a preferenza nelle nazioni barbare o in quelle di recente
arricchite. E si sa che qualche cosa di simile avviene fra i singoli
individui delle classi dirigenti, nelle quali coloro che più
si distinguono per lo spreco insensato dei frutti del lavoro umano
sono appunto quelli che più di recente sono arrivati ai
fastigi della ricchezza e del potere.
Ciò premesso, non bisogna però dimenticare, che nella
distribuzione della produzione economica fra le varie classi sociali
è necessario che alla classe politicamente dirigente sia
attribuita una parte sufficiente a far sì che essa possa dare
ai propri figli una educazione lunga ed accurata, e quindi costosa,
e che possa conservare un tenore di vita decoroso. Tale insomma che
le permetta di non mostrarsi troppo attaccata ai piccoli guadagni ed
ai piccoli risparmi, a quelle lesinerie che pur troppo, talora
più di qualche cattiva azione, abbassano l'uomo agli occhi
dei propri simili.
VII. — Platone nel suo dialogo sulle leggi, che già abbiamo
ricordato e nel quale egli espose il pensiero della sua età
matura, sostenne che la migliore forma di governo era quella nella
quale l'autocrazia e la democrazia, che, come abbiamo già
visto, erano per lui le due forme tipiche di regime politico,
venivano fuse e contemperate451. Aristotile, nella sua immortale
Politica, dopo avere obiettivamente descritto le sue tre forme
fondamentali di governo, cioè la monarchia, l'aristocrazia e
la democrazia, mostra la sua preferenza per un'aristocrazia
temperata, e più ancora per una democrazia temperata, nella
quale, non diciamo gli schiavi ed i metechi, ma neppure gli
artigiani, avrebbero dovuto essere ammessi alle cariche
pubbliche452. Quasi due secoli dopo Polibio giudicava ottima la
costituzione politica di Roma perchè secondo lui in essa i
tre tipi fondamentali della costituzione aristotelica trovavano
contemporaneamente la loro applicazione453. Circa un secolo dopo
Polibio presso a poco analogo era il concetto esposto da Cicerone
nel suo libro sulla repubblica e, più di dodici secoli dopo
Cicerone, quando la scienza politica accennava a rinascere, San
Tommaso nella Summa dimostrava pure la sua preferenza per i governi
misti454. Come si sa, Montesquieu si emancipava dalla
classificazione aristotelica e divideva i governi in dispotici,
monarchici e repubblicani, ma prediligeva la monarchia temperata,
nella quale i tre poteri fondamentali, cioè il legislativo,
l'esecutivo ed il giudiziario, erano affidati ad organi diversi
indipendenti l'uno dall'altro, e quindi si accostava anche egli al
concetto di un equilibrio, necessario fra le diverse forze ed
influenze politiche455. E finalmente ricorderemo che anche Cavour in
politica si dichiarava partigiano del juste milieu, del giusto
mezzo, che equivale in fondo ad equilibrio e contemperanza fra le
diverse forze o correnti politiche456.
Sembra perciò che tutti questi grandi pensatori abbiano avuto
una intuizione comune: cioè che la saldezza delle istituzioni
politiche dipenda da una opportuna fusione o contemperanza di
principî e tendenze diverse, ma costanti, che agiscono
immancabilmente in tutti gli organismi politici. E crediamo per ora
prematuro formulare una legge, ma ci pare che si possa senz'altro
avanzare l'ipotesi, che la stabilità degli Stati e la
rarefazione di quelle crisi politiche violente, che, come avvenne
alla caduta dell'impero romano, e come avviene oggi in Russia,
procacciano a tanta parte dell'umanità sofferenze
inenarrabili, ed interrompono, alle volte per lunghi secoli, il
progredire della civiltà, provengano principalmente dalla
prevalenza quasi assoluta di uno dei due principî o di una
delle due tendenze che abbiamo testè esaminato. Questa
ipotesi, che potrebbe già essere corredata di un numero
considerevole di esperienze storiche, si appoggia sopratutto sul
fatto che solo l'opposizione, e diremmo quasi la concorrenza, del
principio o della tendenza contraria, può impedire
l'accentuazione dei vizi congeniti a ciascuno di essi od a ciascuna
di esse, vizi che abbiamo tentato di rapidamente descrivere.
Questa conclusione corrisponderebbe presso a poco all'antica
dottrina del giusto mezzo che trovava ottimi i governi misti,
dottrina che verrebbe rinnovata in base ad una conoscenza più
esatta e profonda delle leggi naturali che agiscono sulle
organizzazioni politiche. Rimarrebbe però sempre la
difficoltà di trovare dove sia il giusto mezzo, il quale
è un punto assai difficile a precisare, sicchè ognuno
facilmente lo può porre là dove meglio conviene alle
sue passioni ed ai suoi interessi.
Dopo averci molto pensato non troviamo in proposito che un solo
metodo pratico da suggerire alle persone di buona volontà, le
quali hanno la mira esclusiva del bene e della prosperità
generale, indipendentemente da qualsiasi interesse personale e da
qualsiasi preconcetto sistematico; e questo metodo consiste
nell'osservare, per dir così, le vicende atmosferiche dei
tempi e dei popoli, fra i quali e nei quali si vive.
Quando, per esempio, regna una calma glaciale, nella quale non spira
alito di discussione politica, ovvero quando quasi tutti inneggiano
a qualche grande personalità che ha restaurato l'ordine e la
pace, allora si può star sicuri che troppo prevale il
principio autocratico su quello liberale; ed il contrario accade
quando quasi tutti maledicono i tiranni e propugnano la
libertà. Similmente quando romanzieri e poeti vantano le
glorie delle grandi famiglie ed imprecano contro il volgo profano,
si può sicuramente ritenere che soverchia è la
prevalenza della tendenza aristocratica; e finalmente quando spira
un vento furioso di uguaglianza sociale e tutti si dichiarano teneri
degli interessi degli umili, è evidente che la tendenza
democratica è in forte rialzo e quindi assai pericolosa. In
fondo non si tratta che di seguire la regola contraria a quella
adottata, consciamente od inconsciamente, dagli arrivisti di tutti i
tempi e di tutti i paesi; e ciò facendo, quel piccolo nucleo
di intelletti saldi e di anime elette, che in ogni generazione
impediscono all'umanità di intieramente corrompersi, potranno
alle volte rendere un grande servizio ai loro contemporanei e
sopratutto ai figli dei loro contemporanei. Perchè nella vita
politica gli errori di una generazione sono quasi sempre scontati da
quella susseguente.
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
I. Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli
Stati e quello della classe politica. — II. Rapporti fra il valore
intellettuale e morale della classe politica e quello dei governati.
— III. Confutazione del materialismo storico. — IV. Se sia possibile
il governo dei migliori e quali siano politicamente i migliori. — V.
La giustizia assoluta e la giustizia relativa nelle organizzazioni
politiche. — VI. Se i progressi della scienza politica potranno in
avvenire evitare le grandi crisi sociali.
I. — È innegabile che vi debba essere uno stretto rapporto
fra il valore intellettuale e morale di tutto il secondo e maggiore
strato della classe dirigente e quello di colui che effettivamente
sta a capo di tutta l'organizzazione politica e del piccolo gruppo
di persone che direttamente lo coadiuvano. Giacchè gli uomini
che occupano i posti più elevati devono necessariamente
essere più o meno imbevuti delle idee, dei sentimenti, delle
passioni, e perciò del modo di vedere, degli strati sociali
che vengono immediatamente dopo di loro, con i quali strati sono in
continuo ed immediato contatto e senza l'aiuto dei quali non
potrebbero governare.
Ma, così complicata è la storia delle società
umane e così diversi sono i fattori materiali, morali ed
intellettuali i quali contribuiscono a determinarne lo svolgimento,
che non è stato e non è raro il caso di classi
politiche, che avevano la capacità di una salda
organizzazione ed erano ancora abbastanza ricche di elementi
energici e devoti al pubblico bene, le quali hanno avuto od hanno
alla loro testa, anche in momenti difficili, duci mediocrissimi e
qualche volta corrotti, e che perciò, in altre parole, hanno
dovuto sopportare o sopportano il rex fatuus di cui parla la Bibbia,
come di uno dei flagelli dei quali Dio si serve per castigare i
popoli.
Per spiegare questo fatto si possono addurre molte ragioni e
principalmente questa che una classe politica nella scelta dei suoi
duci supremi è in certo modo prigioniera delle idee e dei
criteri che in proposito essa ha adottato; idee e criteri che sono
un risultato della sua storia e del grado di maturità
intellettuale alla quale essa è pervenuta, e che
perciò non si possono da un giorno all'altro mutare. Tali
sarebbero, ad esempio, il criterio ereditario ed anche quello
elettivo, quando i meccanismi elettorali si cristallizzano e
diventano uno strumento comodo in mano di piccole cricche di
politicanti, che se ne servono per arrivare al potere e per restarvi
il più lungamente possibile.
Ciò premesso, si deve però constatare che, quando una
civiltà od una nazione hanno avuto una classe dirigente
vitale ed energica, il danno prodotto dalla fatuità, ed anche
dalla malvagità dei suoi duci supremi, è stato assai
minore di quanto si potrebbe aspettare. Difatti, malgrado che
qualche storico abbia tentato di riabilitarli, crediamo che si possa
sicuramente ammettere che Caligola, forse anche Claudio, e
certamente Nerone, non erano per le loro qualità personali
uomini adatti a stare a capo di un organismo politico così
importante come l'impero romano. Eppure si sa che, se della loro
stravaganza e nequizia e di quella degli uomini che erano i loro
immediati strumenti ebbero molto a soffrire le grandi famiglie
romane, che stavano a contatto diretto con l'imperatore, viceversa
il resto del mondo, durante il loro governo, continuò a
godere della pace romana e ad assorbire quella cultura che
un'amministrazione relativamente saggia ed ordinata sapeva
diffondere per tutte le provincie. Come pure è notorio che
Giorgio III d'Inghilterra fu uomo di poco ingegno, testardo ed
afflitto inoltre da frequenti accessi di vera follia e che,
ciò non ostante e malgrado che l'influenza funesta della
regale volontà siasi alle volte fatta sentire in modo
pernicioso per la cosa pubblica, durante il suo lunghissimo regno la
Gran Bretagna conquistò l'India ed il Canada, vinse
Napoleone, gettò le basi salde del suo impero mondiale e
diventò la padrona assoluta dei mari457.
E se vogliamo poi approfondire di più l'argomento, facilmente
possiamo constatare che l'opera più duratura ed efficace di
tutti i grandi capi di stato, le cui gesta sono ricordate dalla
storia, consistette in una felice trasformazione della classe
politica della quale resero migliore il reclutamento e
perfezionarono gli ordinamenti; con questa riserva che alle volte
l'opera accennata era stata iniziata e condotta a buon punto dai
loro immediati predecessori.
Infatti gli storici hanno molto disputato, e forse ancora molto
disputeranno, sulle vere intenzioni di Augusto, ma tutti concordano
nel riconoscere che egli compì la trasformazione della antica
organizzazione repubblicana in un'altra più adatta ai bisogni
dei tempi e che rinsanguò la vecchia classe politica romana,
decimata da quasi un secolo di guerre civili, introducendovi molti
elementi nuovi; concetto che poi fu ripreso e completato da
Vespasiano, il quale fece entrare in Senato i rappresentanti di
molte fra le più illustri famiglie italiche. Si sa che in
Francia la formazione dello Stato assoluto burocratico fu il
principale risultato dell'opera costante ed assidua di Richelieu,
Mazarino e Luigi XIV e dei suoi ministri Louvois e Colbert; i quali
tutti seppero a poco a poco creare un'amministrazione salda ed
efficace, una finanza corrispondente ai nuovi bisogni dello Stato ed
un forte esercito stanziale. Analogamente nell'Europa orientale la
trasformazione dell'antica e debole Moscovia in quell'impero degli
Czar, che tanto pesò sui destini dell'Europa e dell'Asia,
avvenne mediante le successive riorganizzazioni della classe
politica dovute agli sforzi di Ivano IV il terribile, di Pietro il
Grande e di Caterina II458. Ed infine non bisogna dimenticare che
Alessandro Magno non avrebbe potuto conquistare la Persia e
diffondere la cultura ellenica per tanta parte del mondo asiatico se
suo padre Filippo non avesse riorganizzato di sana pianta la
Macedonia e non avesse saputo creare l'esercito macedone459. Ed una
analoga riflessione si potrebbe fare a proposito di Federico il
Grande di Prussia e del suo immediato predecessore.
E se dopo la prova vogliamo fare la controprova, facilmente possiamo
constatare che, quando il caso o la disperazione hanno fatto
sì che un uomo superiore arrivasse a capo di un organismo
politico in completa dissoluzione, i suoi sforzi sono stati quasi
sempre impotenti a salvare lo Stato od a ritardarne notevolmente la
fine. L'infelice imperatore Magioriano, di cui tutti gli storici
lodano concordemente l'energia, l'alto intelletto e le ottime
intenzioni, non riuscì a ritardare forse neppure di un anno
la caduta dell'Impero romano d'occidente460. L'impero di Bisanzio
potè essere rinvigorito dalla dinastia isaurica nell'ottavo
secolo e potè acquistare nuova vitalità nel nono e
decimo secolo sotto la dinastia macedone poichè le sue classi
dirigenti conservavano ancora, nelle epoche accennate, notevoli
riserve di forza intellettuale e di patriottismo e le popolazioni
potevano ancora fornire larghe entrate all'erario e numerosi
soldati. Ma, alla fine del secolo decimoquarto, la civiltà
bizantina era così esaurita che i cronisti contemporanei
poterono scrivere che l'imperatore Manuele IV avrebbe salvato
l'impero se questo avesse potuto ancora essere salvato; ed è
noto poi come, qualche generazione dopo, la condotta energica e la
morte eroica dell'ultimo imperatore Costantino Dragases non abbia
ritardato che di poche settimane la caduta della capitale e la fine
dello Stato461.
II. – Senonchè, molti, che crederanno forse facilmente che vi
possa essere un rapporto abbastanza stretto fra le qualità
morali ed intellettuali del capo supremo di uno Stato e del gruppo
dei suoi immediati coadiutori e quello dell'intiera classe politica,
sarebbero molto restii ad ammettere l'esistenza di un identico
rapporto fra l'intiera classe politica e la grande massa dei
governati. Mentre noi opiniamo al contrario che questo secondo
rapporto sia più sicuro e costante del primo; perchè
molti elementi occasionali, che agiscono solo in dati momenti, quali
sarebbero la prevalenza di alcune dottrine politiche, la
volontà dei pochi uomini che già occupano le cariche
supreme e quelli che si chiamano i casi fortuiti, perchè
imprevedibili, e fra questi si potrebbe mettere anche la nascita,
hanno un'azione assai più efficace quando si tratta di
determinare la scelta di coloro che arriveranno ai primissimi posti
anzichè nello stabilire i criteri in base ai quali si esplica
quella grande e continua selezione da cui viene fuori tutta la
classe dirigente.
Nei tempi nei quali abbiamo vissuto ci è capitato spesso di
sentire affermare che il popolo è naturalmente buono e
virtuoso e che la classe dirigente è viziosa e corrotta, e
non diciamo che questa affermazione non possa avere talvolta una
qualche parvenza di verità. Ma coloro che la fanno quasi
sempre non tengono conto che è facile di conservare certe
virtù quando è materialmente impossibile di acquistare
certi vizi, che ad esempio la prepotenza non può essere
praticata dai deboli e che il lusso, lo spreco insensato ed il
soverchio amore dei godimenti sono inaccessibili ai poveri. Volendo
fare quindi un paragone esatto fra il senso morale di due classi
sociali diverse, sarebbe necessario di osservare i costumi e le
tendenze di coloro che dalla classe più bassa riescono ad
innalzarsi e ad entrare in quella più alta, e solo se essi ed
i loro figli fossero realmente migliori dei loro nuovi compagni di
classe si potrebbe con qualche sicurezza proclamare la
superiorità morale della classe diretta rispetto a quella
dirigente. Non sembra che un'indagine di questo genere dia in
generale risultati favorevoli per i nuovi arrivati.
Si potrà obiettare che fra le classi dirette solo i peggiori
riescono a farsi avanti e ad entrare nelle classi dirigenti; ma
l'obiezione ci sembra fondata sopra una concezione incompleta e
confusa, e quindi inesatta, dei criteri secondo i quali è
regolata la lotta per la preminenza sociale, criteri nei quali
bisogna rintracciare la causa prima del "per che una gente impera ed
altra langue". Senza dubbio vi sono alcune qualità che in
tutti i tempi ed in tutti i luoghi devono esser possedute da coloro
che dal basso riescono a salire in alto, qualità che anche i
loro discendenti devono fino ad un certo punto conservare, se non
vogliono ricadere nella condizione dei loro padri o dei loro
antenati, e tali sarebbero la capacità di lavoro e la
costante volontà di innalzarsi e di restare in alto; ma ve ne
sono altre variabili assai secondo i tempi ed i luoghi e che
rispondono appunto ai bisogni ed alla natura delle varie epoche ed
alle tendenze dei vari popoli. Ed in generale si può dire che
in ogni società il successo, a parità di circostanze,
è a preferenza riservato a quegli individui che posseggono in
modo eminente le doti che in quella società sono più
comuni, e quindi più apprezzate.
Infatti è evidente che per riconoscere ed apprezzare il
valore di una qualità intellettuale o morale nei nostri
simili bisogna in qualche modo possederla: è questa una
regola che crediamo di potere enunciare basandoci sull'esperienza
della vita, e di cui ognuno, guardandosi attorno, può
constatare la verità. Si sa che per sentire il fascino di un
grande artista bisogna fino ad un certo punto possedere il senso
dell'arte, e nello stesso modo per ammirare sinceramente un gran
coraggio od una grande rettitudine bisogna essere coraggiosi e
retti; poichè non è possibile di comprendere le
qualità più nobili dell'intelligenza e del carattere
umano se esse sono totalmente estranee alla nostra natura.
Viceversa, dove la furberia, l'intrigo e la ciarlataneria sono molto
comuni e pregiate, i più furbi, i più intriganti ed i
più ciarlatani, a parità di condizioni, faranno
fortuna; dove la maggioranza crede che l'inganno sia la via migliore
per raggiungere il successo, lo conseguiranno preferibilmente coloro
che raggiungeranno l'eccellenza nell'arte dell'ingannare.
Naturalmente in tutti i paesi ed in tutti i tempi l'uomo che vuole
farsi avanti dove avere un certo grado di quella che comunemente si
chiama abilità; cioè deve possedere l'attitudine a far
valere le proprie doti e ad imporsi all'attenzione, e qualche volta
all'ammirazione, dei propri simili, rendendoli persuasi della
propria superiorità462. Ma il genere di abilità
necessario alla riuscita varia molto secondo i tempi ed i luoghi. Si
sa che vi è la magia bianca e quella nera, la prima basata
sulle qualità superiori dell'ingegno e del carattere, la
seconda sulle inferiori. Forse in nessun paese ed in nessun luogo la
magia bianca è riuscita e riesce veramente efficace se non
è mescolata ad un poco di quella nera, o quanto meno all'arte
di mettere in mostra i lati migliori del proprio carattere e della
propria intelligenza, tenendo nella penombra quelli peggiori; ma le
dosi della mescolanza possono variare assai da una nazione ad
un'altra e nella stessa nazione secondo le epoche. Variano
perchè generalmente quando, in un dato ambiente sociale, la
quantità di magia nera è soverchia, il gusto del
pubblico non la tollera, e l'individuo che di questa mescolanza fa
uso resta squalificato, come succede al giocatore che bara. Ora
riesce evidente che, in un ambiente di gusto più raffinato,
si faranno avanti a preferenza coloro che meglio sanno e possono
usare le arti della magia bianca, mentre precisamente il contrario
accadrà in quegli altri nei quali più comuni, e quindi
più tollerate, sono quelle della magia nera.
Studiando la storia dei popoli noi possiamo facilmente constatare
che ve ne sono stati e ve ne sono di quelli che hanno lungamente
subito e subiscono la dominazione straniera, o che sono stati
lungamente governati da aristocrazie di origine straniera. Tale
è stato, ad esempio, il caso dell'Egitto dopo la dominazione
persiana, dell'India, dopo le prime invasioni maomettane, avvenute
verso il mille dell'era volgare, e fino ad un certo punto della
Russia463; nella quale la formazione del primo impero si dovette ad
un gruppo di avventurieri scandinavi e dove, dopo Ivano IV e sopra
tutto dopo Pietro il Grande, elementi stranieri entrarono in gran
numero nella sua classe dirigente.
Ed alle volte è avvenuto che, fino a quando la classe
dominatrice di origine straniera si è mantenuta abbastanza
pura, lo Stato ha conservato la sua forza ed il paese la sua
prosperità; ma poi, a misura che la detta classe si andava
fondendo e confondendo con gli elementi indigeni, la compagine
politica si è indebolita o la nazione è ricaduta
nell'anarchia od in un'altra dominazione straniera.
Or questi fatti, quando si sono costantemente ripetuti ed hanno
durato per lungo volgere di secoli, dimostrano che l'elemento
indigeno di quelle nazioni nelle quali sono accaduti non possedeva
le attitudini, le virtù necessarie a cavare dal proprio seno
una classe dirigente degna di dirigere e che, se in origine queste
virtù aveva posseduto, come fu il caso dell'Egitto e
dell'India, le aveva in seguito perdute. Abbiamo già detto
quanto il comandare sia più difficile dell'obbedire e, quando
un popolo od una razza non possiedono elementi atti al comando, o
quando questi elementi intisichiscono e non possono svilupparsi,
perchè soffocati dalla generale mediocrità
intellettuale e morale, allora questo popolo o questa razza sono
destinati ad obbedire agli stranieri, o ad elementi dirigenti di
origine straniera.
Questa ultima osservazione, insieme a quelle che già abbiamo
fatto in questo e nel precedente capitolo, permettono di fare meglio
rilevare la grande importanza pratica che è destinata ad
assumere la nuova dottrina, la quale mira a concentrare gli sforzi
degli studiosi nell'indagine relativa alla formazione ed
organizzazione delle varie classi politiche.
Infatti le antiche e viete classificazioni di Aristotile e di
Montesquieu mettevano in fondo un'etichetta comune a vasi il cui
contenuto era quanto mai disparato; per la prima, ad esempio,
potevano senz'altro essere classificate come democrazie quella di
Atene e quella che attualmente è in vigore nella Svizzera o
negli Stati Uniti d'America; e per la seconda potevano essere messe
fra le repubbliche quella di Roma antica e quella di Venezia, o
anche quelle dell'Argentina e del Brasile. Mentre la nuova dottrina
non ha saputo ancora trovare delle etichette ma costringe a studiare
il contenuto dei vasi, ad indagare ed analizzare i criteri che
prevalgono nella formazione di quelle classi dirigenti dalle quali
dipende, come si è visto, la forza o la debolezza degli
Stati, e nelle quali si può sempre trovare l'immagine fedele
delle virtù e delle manchevolezze politiche di ogni popolo e
di ogni razza. Il nuovo metodo è certamente più
difficile e richiede sopratutto uno spirito di osservazione, una
esperienza della vita politica ed una cultura storica infinitamente
superiori a quelle che potevano bastare coi metodi antichi; ma esso
è indiscutibilmente più positivo, e può
condurre, se usato con discrezione e con la dovuta preparazione, a
risultati più sicuri; e finalmente è più
corrispondente a quel grado di maturità intellettuale che gli
elementi più colti della presente generazione hanno
già quasi raggiunto.
III. – Ma anche il nuovo metodo potrà dare tutti i suoi
frutti solo quando saranno distrutti certi preconcetti che
rappresentano i residui della mentalità dei secoli
decimottavo e decimonono, preconcetti i quali impediscono che esso
sia efficacemente applicato allo studio dei fatti politici o che
almeno ne ostacolano e conturbano l'applicazione. Abbiamo già
ricordato nella prima parte di questo lavoro che il disimparare
è cosa assai più difficile dell'imparare; aggiungeremo
ora che il maggiore ostacolo alla prevalenza di un'idea o di un
metodo più conformi alla verità si riscontra quando
l'intelletto umano è già abituato ad un'altra idea o
ad un altro metodo meno perfetti, che lo ingombrano e impediscono
che in esso concetti nuovi possano agevolmente penetrare.
Or precisamente uno dei sistemi d'idee oggi molto diffusi e che
rendono difficile la retta visione del mondo politico è
quello che viene comunemente chiamato materialismo storico, il quale
non è soltanto un articolo di fede per i moltissimi seguaci
del Marxismo, ma ha eziandio più o meno influenzato molti di
coloro che alle dottrine marxistiche completamente non aderiscono.
Ed il pericolo maggiore della diffusione del cennato sistema e della
grande influenza intellettuale e morale che esercita consiste nella
piccola parte di verità che esso contiene; perchè
nella scienza, come in generale nella vita, le bugie più
pericolose sono quelle mescolate con una certa dose di
verità, che serve a meglio mascherarle ed a colorirlo in modo
da renderle facilmente credibili. Sicchè, sebbene tanto nella
prima che nella seconda parte di questo lavoro, non manchino molti
accenni diretti ed indiretti alla fallacia della detta dottrina,
crediamo indispensabile di tornare di proposito sull'argomento.
Il materialismo storico si può riassumere in due proposizioni
che ne costituiscono, per dir così, gli assiomi fondamentali,
sui quali si basa la dimostrazione di tutti i teoremi che ne
derivano.
Secondo il primo assioma, tutta l'organizzazione politica, giuridica
e religiosa di una società sarebbe costantemente subordinata
al tipo prevalente di produzione economica ed alla natura dei
rapporti che esso crea fra i detentori dei mezzi di produzione ed i
lavoratori manuali. Perciò, cambiando il sistema di
produzione economica, dovrebbero necessariamente cambiare la forma
di Governo, la legislazione che regola i rapporti fra gli individui
e fra questi e lo Stato e finalmente anche quelle concezioni
religiose e politiche che forniscono la base morale
all'organizzazione dello Stato; come sarebbero, ad esempio, il
concetto del diritto divino dei Re o quello della sovranità
popolare. Il fattore economico sarebbe quindi la causa unica ed
esclusiva di tutti i mutamenti materiali, intellettuali e morali che
avvengono nelle società umane e tutti gli altri fattori non
sarebbero tali, ma dovrebbero essere considerati come semplici
effetti e conseguenze di esso.
Il secondo assioma, che sarebbe in certo modo un postulato del
primo, afferma che ogni epoca economica racchiude i germi i quali,
mano mano maturandosi, rendono necessario l'avvento di quella
successiva con la conseguente trasformazione di tutta l'impalcatura
politica, religiosa e legislativa della società.
Perciò, durante la presente epoca borghese, sopratutto
mediante l'accentramento progressivo della ricchezza in pochissime
mani, si andrebbero preparando quelle condizioni economiche e
sociali, che quanto prima dovrebbero rendere inevitabile e fatale il
collettivismo. Quando poi si sarà arrivati a quest'ultima
fase dell'evoluzione storica, sparirà per sempre ogni
disuguaglianza fondata sulle istituzioni sociali, sarà reso
impossibile il predominio e lo sfruttamento esercitato da una classe
a danno delle altre e verrà inaugurato un nuovo sistema
basato, non già sull'egoismo individuale, ma sulla
fratellanza universale464.
Ora riguardo al primo assioma faremo anzitutto osservare che si
potrebbero addurre moltissimi esempi storici per dimostrare che
nelle società umane sono avvenuti cambiamenti
importantissimi, i quali ne hanno mutato radicalmente gli
ordinamenti politici, ed alle volte anche le concezioni fondamentali
sui quali questi ordinamenti erano fondati, senza che vi sia stata
una contemporanea, o quasi contemporanea, modificazione nei sistemi
di produzione economica e nei rapporti fra i detentori degli
strumenti di produzione ed i lavoratori. La repubblica romana, ad
es., si trasformò nell'impero di Augusto e dei suoi
successori, e perciò lo Stato città classico
diventò un organismo politico a base burocratica, senza che i
sistemi di produzione si fossero minimamente modificati e senza che
le leggi che regolavano la proprietà e la distribuzione della
ricchezza si fossero alterate. Il solo cambiamento che avvenne, e
che non fu certamente generale, fu quello delle persone dei
proprietari, perchè, sopratutto dopo la seconda guerra
civile, molti beni dei privati furono confiscati e distribuiti ai
soldati dei triumviri465. Il trionfo del Cristianesimo
apportò nel mondo antico un grande rivolgimento intellettuale
e morale; molte idee fondamentali, molti sentimenti, e per
conseguenza molte istituzioni, e basterebbe in proposito ricordare
il matrimonio ed altri rapporti di famiglia, furono dalla nuova
religione modificati; ma non consta, anzi si può escludere,
che lo stesso sia avvenuto nel quarto e quinto secolo dell'era
volgare nei rapporti fra coloro che possedevano gli strumenti della
produzione economica, dei quali principalissimo era allora a terra,
ed i lavoratori manuali.
È difficile citare un rivolgimento di tutta una
società paragonabile per la sua importanza alla caduta
dell'impero romano di occidente, all'inabissarsi della splendida
civiltà antica in tanta parte d'Europa466; eppure noi vediamo
che il sistema di produzione economica restò identico prima e
dopo le invasioni dei barbari; giacchè oggi è notorio
che il colonato, e quindi la servitù della gleba, non
trassero origine dalle invasioni barbariche, ma erano già
istituzioni generalizzate nel Basso Impero. Si potrebbe invero
citare come uno dei coefficienti della caduta dell'impero
d'Occidente l'esaurimento economico della società di
quell'epoca, dovuto alla diminuzione della produzione e quindi della
ricchezza; ma, esaminando attentamente il fenomeno, si vede che il
generale impoverimento fu piuttosto un effetto anzichè una
causa della decadenza politica, perchè esso fu in gran parte
dovuto alla cattiva amministrazione finanziaria467.
E, se dall'antichità veniamo a tempi meno remoti, vediamo in
Italia, verso la fine del secolo decimoterzo e durante il secolo
decimoquarto, i Comuni trasformarsi generalmente in Signorie senza
che i sistemi di produzione, e quindi i rapporti fra i lavoratori ed
i detentori delle terre e dei capitali si fossero sensibilmente
modificati. Analogamente vediamo in Francia costituirsi lo Stato
moderno assoluto e cominciare a formarsi il medio ceto, durante il
secolo decimosettimo, senza che fosse contemporaneamente avvenuta
nessuna importante modificazione nei sistemi di produzione e nei
rapporti economici che ne derivano; perchè la servitù
della gleba era in quell'epoca quasi dappertutto scomparsa e non ne
restavano che quelle poche traccie, che durarono fino alla grande
rivoluzione francese.
Nè si deve credere che vi sia un perfetto sincronismo fra il
sorgere della grande industria moderna e l'adozione del sistema di
governo rappresentativo, con la conseguente diffusione delle idee
liberali, democratiche ed anche socialiste. Infatti in Inghilterra
gli inizi della grande industria si ebbero nella seconda metà
del secolo decimottavo, quando il governo parlamentare funzionava
già da circa mezzo secolo, ma la classe dirigente conservava
ancora le sue antiche basi aristocratiche. In Francia, in Germania,
negli Stati Uniti d'America ed in tutto l'occidente d'Europa, lo
sviluppo della grande industria ed il grande accentramento di
capitali e di operai, che ne è la conseguenza, ebbe luogo in
generale dopo il 1830; perchè allora soltanto cominciò
ad essere diffusa l'applicazione del vapore alle navi ed ai
trasporti terrestri ed il carbon fossile acquistò
un'importanza capitale come fattore materiale della produzione.
Tutto quello che in proposito si può concedere è che
la grande fabbrica, con le grandi agglomerazioni di lavoratori
manuali che essa ha reso necessarie, ha contribuito fortemente allo
sviluppo ed alla popolarizzazione delle idee comuniste, che erano
state già precedentemente enunciate e che sono in fondo il
corollario naturale di quelle democratiche, già formulate da
Rousseau468.
Con ciò non si vuole negare che il sistema prevalente di
produzione economica, coi particolari rapporti che esso determina
fra coloro che la produzione dirigono e che ne posseggono gli
strumenti ed i loro coadiutori, non sia uno dei fattori che
maggiormente influiscono nel modificare gli ordinamenti politici di
una società e che questo fattore non abbia il suo necessario
contraccolpo anche nelle concezioni che servono di fondamento morale
agli ordinamenti accennati. L'errore del materialismo storico sta
nel credere che il fattore economico sia l'unico degno di essere
considerato come causa e che tutti gli altri debbono essere
riguardati come suoi effetti; mentre ogni grande esplicazione
dell'umana attività nel campo sociale è nello stesso
tempo causa ed effetto dei mutamenti che avvengono nelle altre:
causa, perchè ogni sua modificazione influisce sulle altre;
ed effetto, perchè sente l'influenza delle loro
modificazioni469.
Nessuno ha mai affermato, e speriamo che nessuno mai
affermerà, che le mutazioni che avvengono negli ordinamenti
politici abbiano come causa unica quelle che il cambiamento delle
armi, della tattica e dei sistemi di reclutamento hanno già
introdotto negli ordinamenti militari. Eppure abbiamo già
ricordato, nel corso del presente lavoro, quali effetti politici
abbia avuto nella città greca la sostituzione degli opliti,
come arma decisiva, agli antichi carri da guerra ed alla cavalleria
e come la vittoria definitiva della regalità sulla
feudalità, vittoria che ebbe luogo nel periodo che corre fra
la metà del secolo decimoquinto e la metà del
decimosettimo, sia stata in gran parte dovuta all'introduzione ed al
perfezionamento continuo delle armi da fuoco470. Aggiungeremo ora
che un esame attento della storia dell'ultimo secolo della
Repubblica romana potrebbe mettere in luce gli effetti politici
della modificazione introdotta nel reclutamento delle legioni da
Caio Mario, il quale arruolò anche i nullatenenti ed i figli
dei liberti, che prima, tranne in momenti eccezionalissimi, come ad
esempio verso la fine della seconda guerra punica, erano esclusi dal
servizio militare471. E, quando si potrà con mente serena
fare la storia del secolo decimonono e del ventesimo, facilmente si
potranno mettere in evidenza gli effetti politici del servizio
militare obbligatoriamente esteso a tutti i cittadini, che,
introdotto già dalla rivoluzione francese, venne poi adottato
e perfezionato prima dalla Prussia e poi dagli altri Stati del
continente europeo.
E diremo pure che ci sembra assurdo di annoverare fra i semplici
effetti, senza dar loro mai la dignità di causa, quelle
dottrine politiche e quelle credenze religiose, che forniscono agli
organismi statali la base morale e che, penetrando profondamente
nella coscienza delle classi dirigenti e delle masse, legittimano e
disciplinano il comando e giustificano l'obbedienza e creano quegli
speciali ambienti intellettuali e morali, che tanto contribuiscono a
determinare i fatti storici ed a dirigere perciò il corso
degli avvenimenti umani. Senza il Cristianesimo e la forza che esso
acquistò nella coscienza delle masse e delle classi dirigenti
e senza il tenace ricordo dell'unità che il mondo civile avea
conseguito sotto Roma, non si spiegherebbe la lotta secolare fra il
Papato e l'Impero, che fu uno degli avvenimenti principali della
storia medioevale. Come senza Maometto ed il Corano non sarebbe
sorto il grande Stato musulmano, che tanta parte ha avuto ed ha
ancora nella storia del mondo e che, dove ha potuto impiantarsi e
durare, ha introdotto uno speciale tipo di civiltà. E, se noi
non avessimo ereditato dai nostri lontani antenati Greci e Latini la
concezione della libertà politica e la dottrina della
sovranità popolare, che fu poi adattata ai tempi nuovi e
modificata da Rousseau e dagli altri scrittori politici del secolo
decimottavo, non sarebbe sorto lo Stato rappresentativo moderno e
l'organizzazione politica europea del secolo decimonono non si
sarebbe così profondamente differenziata da quella del secolo
decimottavo472.
Ed è inutile discutere se le forze morali hanno preponderato
su quelle materiali più di quanto queste abbiano messo al
loro servizio quelle morali. Come crediamo di avere già
dimostrato nella prima parte di questo lavoro, ogni forza morale
cerca, appena può, d'integrarsi creando a suo vantaggio una
base d'interessi costituiti, ed ogni forza materiale procura di
giustificarsi appoggiandosi a qualche concezione d'ordine
intellettuale e morale473.
In India le popolazioni di razza ariana aveano certo da parecchi
secoli sottomesso e relegato negli strati inferiori della
società gli indigeni di razza dravidica quando gli scrittori
dei Vedas insegnarono che i Bramini uscirono dalla testa di Brama, i
Ksiatria dalle braccia e le caste inferiori, ossia i Vaisia ed i
Sudra, dalle gambe e dai piedi del Dio. Il Cristianesimo nacque come
forza puramente intellettuale e morale, eppure, appena fu molto
diffuso, si tramutò in forza anche materiale; acquistò
ricchezze, seppe premere sui pubblici poteri ed infine i suoi
vescovi ed i suoi abati divennero anche sovrani. Nel Maomettismo la
concezione religiosa si integrò subito coll'esercizio del
potere sovrano, ma, senza la conversione disinteressata e sincera
dei suoi primi seguaci, ciò non sarebbe stato possibile.
Infine anche il moderno socialismo nacque come pura forza
intellettuale e morale, ma oggi, dove può e quanto
può, cerca di creare tutta una rete d'interessi materiali, la
quale serve mirabilmente a mantenere fedeli i gregari ed a
rimunerare la classe dirigente che in esso si è costituita. E
d'altra parte oggi anche le influenze puramente materiali della
plutocrazia cercano di mascherarsi, sovvenendo largamente giornali
di tinta spiccatamente democratica, influendo sui comitati
elettorali, chinando la cervice al battesimo della sovranità
popolare e mandando spesso nei Parlamenti i propri rappresentanti a
sedere fra le file dei partiti più avanzati.
La verità è dunque che i grandi fattori della storia
umana sono così complessi ed intrecciati fra di loro che
qualunque dottrina semplicista, che voglia determinare quale sia fra
essi il principale, quello che non è mosso giammai ma muove
sempre gli altri, conduce necessariamente a conclusioni e ad
applicazioni errate; specialmente quando essa intende spiegare,
seguendo il metodo cennato e guardandoli da un solo punto di vista,
tutto il passato ed il presente dell'umanità. E peggio ancora
accade quando, seguendo lo stesso sistema, se ne vuole predire il
futuro.
Dovremmo ora occuparci del secondo degli assiomi sui quali si fonda
il materialismo storico, ma, come abbiamo già accennato, esso
può essere considerato come una conseguenza del primo e
quindi perde ogni importanza quando questo è distrutto. Ad
ogni modo faremo rilevare come l'affermazione generica che ogni
epoca storica contiene i germi, i quali poi sviluppandosi la
trasformeranno in quella immediatamente successiva, equivale ad
enunciare una verità così evidente e di tanto facile
percezione per coloro che hanno una certa pratica della storia da
potere essere considerata quasi come un luogo comune; e ricorderemo
incidentalmente che alla regola accennata abbiamo già
parecchie volte dovuto fare allusione nel corso del presente lavoro.
Senonchè per il Marx questi germi sarebbero soltanto quelli
d'indole economica, mentre noi crediamo di aver dimostrato che sono
molto più numerosi e complessi.
E questa limitata visione del fenomeno sarebbe già
sufficiente a far respingere l'affermazione, che è uno dei
capisaldi della dottrina marxista, secondo la quale la presente
epoca borghese starebbe maturando, o secondo altri avrebbe
già maturato, quei germi che renderanno inevitabile l'avvento
del collettivismo. Ma, anche astraendo da questa considerazione,
è noto che omai la statistica ha dimostrato che quella
concentrazione della ricchezza e dei mezzi di produzione in
pochissime mani, che avrebbe dovuto preludere alla loro
collettivizzazione ed avrebbe reso facile all'infinita falange dei
proletari l'espropriazione dei pochissimi proprietari, non era prima
della grande guerra avvenuta e neppure era incamminata verso una sua
prossima attuazione474. E, se la guerra ha recentemente dappertutto
più o meno peggiorato la condizione delle classi medie,
ciò è dovuto ad altre cause non preannunziate
nè previste dal materialismo storico; ed anche oggi se la
compagine dello Stato borghese è stata in qualche paese
distrutta, ed in altri si dimostra molto scossa, ciò non
avviene per la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, ma
per ben altre ragioni alle quali avevamo già accennato nella
prima parte di questo lavoro e sulle quali dovremo ancora tornare
nel capitolo seguente.
Assolutamente fantastica poi ci sembra la conclusione del secondo
assioma e di tutta la dottrina del materialismo storico: cioè
che, una volta attuato il collettivismo, esso sarà l'inizio
di un'era di uguaglianza e di giustizia universale, durante la quale
lo Stato non sarà più l'organo di una classe e quindi
non ci saranno più sfruttati e sfruttatori. Non ci
attarderemo a confutare ancora una volta questa vera utopia,
perchè, insieme a tanti altri scrittori, anche noi l'abbiamo
già confutato durante tutto il presente lavoro. Ricorderemo
soltanto che essa è la conseguenza naturale e necessaria di
quella concezione ottimistica della natura umana che, nata nel
secolo decimottavo, non ha ancora compiuto, ma è forse
prossima a compiere, il suo ciclo storico. Concezione in base alla
quale l'uomo nasce buono e la società, o meglio le
istituzioni sociali, lo renderebbero malvagio; sicchè,
cambiando queste, la stirpe di Adamo, come liberata da una ferrea
compressione, avrebbe potuto esplicare tutta la sua naturale
bontà. Ed è ovvio che i seguaci di questa scuola
dovessero indicare la proprietà privata come origine prima ed
unica dell'egoismo umano, anzichè ammettere, come già
aveva fatto Aristotile, che l'egoismo fosse la causa che rendeva
inevitabile la proprietà privata475.
Difatti a cominciare da Morelly, da Mably e da Babeuf, venendo fino
a Luigi Blanc, a Proudhon ed a Lassalle, tutti gli scrittori che
hanno voluto tracciare un piano completo di rigenerazione umana
hanno sempre messo nel loro programma l'attuazione parziale e
graduale, ovvero completa ed immediata, del comunismo e l'abolizione
della proprietà privata. Il Marx, invece, seguendo in certo
modo le indicazioni di Pietro Léroux, sostituì al
piano concepito da un individuo il fatale corso della storia, che,
secondo lui, doveva condurre allo stesso risultato. E senza dubbio
il metodo da lui adottato si è dimostrato in pratica assai
più efficace di quello dei suoi predecessori; perchè
non si può criticare e demolire ciò che si presume che
debba fatalmente avvenire, come si critica e si demolisce un
progetto di riforme fondamentali, che poggia soltanto
sull'autorità di un uomo; e perchè, fra tutti gli
argomenti a favore di una dottrina, il più convincente di
tutti è quello che ne vuole dimostrare inevitabile il
più o meno prossimo trionfo.
IV. — Un'altra concezione, che, dal tempo in cui Platone scrisse i
suoi dialoghi, ha preoccupato, più o meno, le menti di coloro
che hanno meditato sopra argomenti politici, è quella secondo
la quale al Governo di un paese dovrebbero arrivare i migliori; e
conseguenza di questa aspirazione è stato, e forse è,
lo studio di trovare un sistema politico il quale faccia sì,
o almeno renda possibile, che tale concetto diventi una
realtà. Naturalmente, negli ultimi decenni del secolo
decimottavo e durante la prima metà del secolo decimonono, e
magari anche per qualche decennio ancora, la cennata aspirazione si
è intensificata, perchè essa ha trovato alimento in
quella opinione ottimista sulla natura umana della quale abbiamo
fatto tante volte parola; opinione la quale rendeva facile supporre
che, cambiando le istituzioni, si sarebbero senz'altro soppressi od
atrofizzati tutti gli istinti meno nobili che travagliano la povera
umanità.
Or, per esaminare quel tanto di vero e di falso che ci può
essere nell'idea accennata, conviene anzitutto stabilire chi siano
coloro che meritano di essere appellati migliori.
Ed anzitutto ci sembra evidente che, nel linguaggio comune, essendo
la parola migliore il comparativo ed, usata in senso assoluto, anche
il superlativo di buono, essa dovrebbe servire ad indicare quelle
persone che, rispetto al comune degli uomini, possono essere
giudicate di eccezionale bontà. I migliori dovrebbero
perciò essere i più altruisti, i più inclinati
a sacrificare se stessi agli altri, anzichè gli altri a se
stessi, coloro che nella vita molto danno e poco ricevono, che,
secondo Dora Melegari, sono più faiseurs de joie
anzichè faiseurs des peines476; e nei quali quindi più
compressi e domati sono gli istinti che mirano soltanto a superare
od a sopprimere gli ostacoli che si frappongono alla soddisfazione
delle proprie passioni e dei propri interessi.
Ma si dovrebbe omai sapere che la bontà, intesa in questo
senso, che è poi quello letterale, è una
qualità la quale serve molto agli altri e quasi sempre assai
poco a coloro che la posseggono. Essa tutto al più riesce
poco nociva quando si ritrova in persone nate od arrivate, quasi per
caso, in posizione sociale talmente elevata da togliere ogni
tentazione a coloro che vorrebbero abusarne. Ma, anche in questo
caso, l'individuo, al quale si può legittimamente applicare
l'aggettivo buono, deve sapere rinunziare a salire in alto tanto
quanto per le sue altre qualità gli sarebbe possibile.
Perchè per sollevarsi nella scala sociale, anche in tempi
calmi e normali, il primo requisito è senza dubbio la
costante capacità di lavoro, ma, immediatamente dopo, viene
l'ambizione, la volontà decisa di farsi avanti, di
primeggiare sui propri simili, e questa mal si concilia con una
soverchia sensibilità e, diciamolo pure, con la bontà.
La quale non può restare indifferente alle sofferenze di
coloro che, per farsi avanti, bisogna spingere indietro, e che,
quando è veramente profonda e sentita, si fa scrupolo di
calcolare i meriti, i diritti ed i dolori degli altri infinitamente
meno dei proprî.
E può sembrare a prima vista strano che gli uomini, i quali
in generale vorrebbero che i loro governanti avessero le
qualità morali più elevate e squisite e che pensassero
molto all'interesse pubblico e ben poco al proprio, poi, quando sono
essi stessi in ballo, e sopratutto quando cercano di farsi avanti e
di arrivare, se possono, ai posti più eminenti, non si curano
generalmente di osservare quei precetti che vorrebbero fossero guida
costante dei loro superiori. Mentre tutto quello che giustamente si
potrebbe a costoro richiedere è di non riuscire inferiori al
livello morale medio della società che governano, di
identificare fino ad un certo punto il loro interesse con quello
pubblico e di non commettere azioni troppo vili, basse e ripugnanti,
di quelle che squalificano, nell'ambiente in cui vive, l'uomo che le
ha compiute.
Senonchè l'espressione migliore applicata alla vita politica
può anche significare, ed anzi ordinariamente significa, che
l'uomo reputato tale possiede i requisiti che lo rendono più
atto a governare i proprî simili. Inteso in questo senso
l'aggettivo può essere sempre, in tempi normali, applicato
alle classi dirigenti, perchè il fatto che sono tali dimostra
che in una data epoca, ed in un dato paese, esse contengono gli
elementi più atti a governare; ciò che non sempre
significa che siano gli elementi più elevati
intellettualmente e sopratutto moralmente477. Perchè, per
governare gli uomini, più del senso della giustizia e molto
più dell'altruismo, e anche più della vastità
delle cognizioni e delle vedute, giovano la perspicacia, la pronta
intuizione della psicologia degli individui e di quella delle masse
e sopratutto la confidenza in se stessi e la forza di
volontà. E non per nulla poi Machiavelli metteva in bocca a
Cosimo dei Medici la famosa frase che abbiamo citato nella prima
parte di questo lavoro: che gli Stati cioè non si governano
coi paternostri.
Ed a questo proposito occorre analizzare una distinzione, che
già comincia ad entrare nella mentalità comune,
cioè quella fra uomo di Stato e uomo di Governo. Uomo di
Stato è colui che per la vastità delle sue cognizioni
e per la profondità delle sue vedute acquista una coscienza
chiara e precisa dei bisogni della società in cui vive e che
sa trovare la via migliore per condurla, con le minori scosse e le
minori sofferenze possibili, alla meta alla quale dovrebbe, o almeno
potrebbe, arrivare. Uomini di Stato in questo senso furono Cavour,
Bismark e Stolypine, il Ministro russo che nel 1906 comprese che in
Russia, dato l'aumento della popolazione e la necessaria
intensificazione dell'agricoltura, il sistema della proprietà
collettiva indivisa fra i contadini non poteva più durare e
promosse provvedimenti tali che, in mezzo secolo circa, avrebbero
creato colà una classe di contadini proprietari individuali
ed una vera borghesia rurale478. Mentre l'uomo di governo è
colui che ha le qualità richieste per arrivare ai posti
più elevati della gerarchia politica e per sapervi restare.
È una vera fortuna per i popoli quando alla loro testa vi
sono persone che alle qualità eminenti e rare dell'uomo di
stato sanno accoppiare quelle secondarie dell'uomo di governo, ed
è una fortuna meno grande, ma pure ragguardevole, quando i
suoi uomini di governo sanno trarre profitto delle vedute degli
uomini di Stato.
Platone nella conchiusione del suo dialogo sulle leggi, ribadendo un
concetto che può considerarsi come quello che appare
fondamentale nei suoi studi politici, dice che una città non
potrà essere bene governata finchè i Re, ossia i
governanti, non saranno filosofi, od i filosofi non saranno Re. Egli
naturalmente per filosofi intendeva i sapienti, coloro che
possedevano le cognizioni necessarie all'uomo di Stato e che erano
nello stesso tempo al disopra delle passioni basse e volgari479. Ora
qualche volta l'eredità od il caso hanno fatto sì che
a capo di uno Stato vi fosse un filosofo come l'intendeva Platone,
ma non sempre il filosofo Re è passato alla storia come il
modello di un buon reggitore di popoli480. Ed è difficile
assai poi che, in tempi normali, nella lotta per la preminenza, che
avviene fra coloro che aspirano ad arrivare ai posti supremi,
riportino la vittoria i filosofi come Platone li concepiva. Prima di
tutto perchè molto spesso la vera saggezza non eccita
l'ambizione ma la smorza, e poi perchè le alte qualità
del carattere e dell'intelletto non li avvicinano, ma piuttosto li
allontanano, dalle cariche più elevate; sopratutto quando non
sono integrate dalle qualità dell'uomo di governo e quando
l'individuo non ha abbastanza senso pratico per mettere, almeno per
qualche tempo, a dormire le prime e fare agire le altre481.
Come abbiamo già accennato si può esser quindi
contenti se al potere ci stanno uomini di governo il cui intelletto
e la cui moralità non sono al di sotto di quella media della
classe dirigente. Ed aggiungeremo che, quando il livello
intellettuale e morale di essa è abbastanza elevato per
comprendere ed apprezzare le concezioni dei pensatori che studiano a
fondo i problemi politici, non è necessario che questi ultimi
arrivino al potere per attuare i loro programmi; perchè la
pressione intellettuale della intiera classe politica, ciò
che comunemente appellasi la pubblica opinione, farà
sì che gli uomini di governo debbano più o meno
conformare la loro azione alle vedute di coloro che rappresentano
quanto di meglio l'intelligenza politica di un popolo sa e
può produrre.
V. — Il fatto che coloro i quali occupano ordinariamente le cariche
elevate non sono quasi mai i migliori in senso assoluto, ma
piuttosto gli individui che posseggono le qualità più
adatte a dirigere ed a padroneggiare i propri simili, dimostra
già come sia arduo e quasi impossibile, nei casi ordinari, di
applicare negli ordinamenti politici la giustizia assoluta, quale
l'uomo sa e può concepirla. Ma, siccome l'attuazione di
questo concetto è stato, da Platone in poi, il sogno di molte
anime nobili e di molte menti elevate e, diciamolo pure, anche il
comodo pretesto invocato da tanti ambiziosi, più o meno
volgari, per mettersi al posto di coloro che stavano in alto, ci
sembra opportuno di intrattenerci alquanto sopra di esso.
La giustizia assoluta negli ordinamenti politici naturalmente
dovrebbe significare che in ogni individuo il successo, il grado che
occupa nella scala politica, corrisponde perfettamente alla reale
utilità del servizio che egli ha reso o rende alla
società. In fondo si tratta dell'applicazione del concetto
che fu formulato in modo preciso forse per la prima volta da
Saint-Simon, concetto al quale abbiamo già accennato e che
fornì la formola famosa colla quale i sansimonisti
riassunsero il loro programma482.
La prima obiezione che sorge in proposito è quella relativa
alla difficoltà di valutare esattamente, e con una certa
sollecitudine, il valore esatto del servizio che ogni individuo ha
reso o rende, alla società di cui fa parte; e diciamo con
sollecitudine perchè, se la valutazione dovesse avvenire dopo
qualche secolo, o dopo alcune dozzine di anni, il guiderdone od il
castigo tarderebbero tanto che l'uomo al quale converrebbe di dare
l'uno o l'altro, sarebbe già nella tomba, o almeno in
età molto avanzata. Or, a farlo apposta, le benemerenze o gli
errori d'indole politica, dai più grandi ai più
piccoli, sono quelli i cui risultati si veggono ordinariamente a
più lunga scadenza. Difatti solo dopo un tempo ordinariamente
abbastanza lungo si può, con serenità e con una certa
sicurezza, giudicare se l'opera di un funzionario, un voto dato in
una Camera, o una deliberazione presa in un momento grave da un
Consiglio dei Ministri corrispondano o no agli interessi di un
paese. A dir vero gli uomini quasi sempre non aspettano tanto per
giudicare gli atti accennati, ma appunto perciò il loro
giudizio è tanto spesso influenzato dalle passioni e dagli
interessi, od artificiosamente sviato dalle arti dell'intrigo e
della ciarlataneria.
Ed alle volte, anche dopo che l'ala del tempo e le generazioni
trascorse hanno fatto tacere gli interessi e spento le passioni, e
che, insieme agli interessi ed alle passioni, sono venute meno le
opere dell'intrigo e della ciarlataneria, anche quando non vi sono
più turbe che applaudono perchè a ciò
ammaestrate, scrittori o giornali che in piena malafede vi esaltano
o vi deprimono, l'uomo per lo più è così fatto
che, pur essendo dedito agli studi, non riesce ad essere obiettivo
ed imparziale. Abbiamo già accennato come l'indagine storica
dia sempre risultati più o meno incerti quando essa vuole
giudicare le grandi personalità del passato, mentre le sue
deduzioni e le sue conclusioni sono assai meno incerte quando essa
rievoca e chiarisce le istituzioni, le idee, le opere delle grandi
civiltà tramontate483. Or l'incertezza accennata dipende in
buona parte dalla passionalità degli scrittori, i quali non
riescono ad esprimere la loro ammirazione per una grande
personalità vissuta quasi venti secoli prima di noi, senza
deprimerne un'altra che fu ad essa contemporanea; che non sanno, ad
esempio, scrivendo nel secolo decimonono, esaltare Cesare, senza
contemporaneamente deprimere il povero Cicerone. Ciò che
dimostra come, anche quando tacciono gli interessi e le cupidigie
personali, possano bastare le antipatie e le simpatie, nel senso
classico della parola, cioè le affinità o le
disaffinità della mente e del carattere, a renderci ingiusti
verso coloro che sono da tanti secoli scomparsi dalla terra.
Appare quindi evidente che lo stabilire un rapporto esatto ed
infallibile fra i meriti ed il successo, fra le opere di ogni
individuo ed il premio od il castigo che gli spettano, è
opera cosi sovrumana che solo un Essere onnisciente ed onnipossente,
che sa sollevare i veli che ricoprono tutte le coscienze, e che non
ha nessuna delle nostre ignoranze, nessuna delle nostre debolezze,
nessuna delle nostre passioni, vi potrà riuscire. Ed è
perciò che quasi tutte le grandi religioni, a cominciare da
quella degli antichi Egiziani, hanno rimandato il giudizio
definitivo sull'operato dell'uomo alla fine della sua vita terrena e
l'hanno affidato agli Dei od a Dio.
Una certa equivalenza fra il servizio reso e la ricompensa ricevuta
si potrebbe rinvenire nelle libere contrattazioni che avvengono
nella vita privata; ma questa equivalenza non è fondata sopra
un principio morale, come dovrebbe esser quella che si vorrebbe
stabilire nella vita politica, ma semplicemente sulla domanda e
sull'offerta; ossia sul bisogno relativo dei due contraenti, il
quale fa sì che si apprezzi di più il servizio quando
esso è molto richiesto, e si apprezzi più la
ricompensa quando l'offerta di questa scarseggia e quella del
servizio sovrabbonda. Ed aggiungeremo che questa equivalenza
puramente economica, che non tiene conto, come la morale vorrebbe,
del sacrifizio che il servizio ha costato, non funziona più
quando i servizi non sono resi a determinati individui od a
determinati gruppi d'individui, ma a tutta intiera la
collettività. Tutti sanno infatti che le grandi scoperte
scientifiche, sia nel campo delle scienze fisiche che in quello
delle scienze morali, non hanno fatto sì che i loro autori
fossero investiti delle cariche eminenti dello Stato o arrivassero
ai fastigi della ricchezza; esse anzi quasi mai hanno fornito agli
inventori i parasoli dorati e gli elefanti folli d'orgoglio che,
secondo gli antichi scrittori dei Vedas, spettavano ai potenti della
terra. Viceversa le applicazioni pratiche di queste scoperte, che
hanno potuto essere sfruttate da determinati individui, hanno quasi
sempre arricchito e reso influenti i loro autori. Veramente, almeno
nei paesi di antica e solida cultura, dovrebbe essere uno degli
uffici dei governanti il dare ricompense morali e materiali a quegli
scienziati, che, come Copernico, Galileo, Volta e Champollion hanno
fatto scoperte utili all'umanità intiera, ma non direttamente
utilizzabili da singoli individui; e qualche volta i governanti
hanno più o meno bene adempito a questo dovere, generalmente
quando ciò poteva loro riuscire utile perchè
corrispondeva al voto di un'opinione pubblica molto illuminata.
Ma se, fino a quando l'umanità non sarà realmente
plasmata ad immagine e somiglianza di Dio, non vi sarà mai
nel mondo una giustizia assoluta, nelle società più o
meno bene ordinate vi è stata, vi è e vi sarà
sempre una giustizia relativa; cioè un insieme di leggi, di
consuetudini, di norme imposte dalla pubblica opinione, tutte
variabili secondo le epoche ed i popoli, in base alle quali viene
regolata quella che noi abbiamo chiamato la lotta per la preminenza;
cioè lo sforzo che ogni individuo fa per migliorare e
conservare la propria posizione sociale484. Secondo questa giustizia
relativa quasi sempre per ottenere il successo è necessaria
una certa quantità di lavoro, ciò che generalmente
corrisponde ad un vero e reale servizio reso alla società, ma
il lavoro viene quasi sempre più o meno coadiuvato
dall'abilità, cioè dall'arte di farlo valere, e
naturalmente anche da ciò che comunemente appellasi la
fortuna, cioè da quelle circostanze imprevedibili che
sopratutto in certi momenti possono molto aiutare e molto
danneggiare un uomo; e ricorderemo in proposito che, in tutti i
paesi ed in tutti i tempi, spesso la migliore delle fortune, o la
peggiore delle sfortune, è quella di nascere figlio del
proprio padre e della propria madre485.
Accade in fondo nella vita quello che avviene ordinariamente nei
giuochi di carte, nei quali il vincere dipende in parte dalla cieca
sorte, in parte dall'abilità del giocatore o dagli errori dei
suoi avversari. Però come il gioco si convertirebbe in truffa
se venisse tollerata la sostituzione delle carte, così non
dovrebbe essere mai permesso, nella grande partita che ogni uomo
gioca nella sua vita, di violare le norme stabilite, ossia di
barare; e misera e disordinata sarà sempre quella
società nella quale è quasi tacitamente ammesso che il
giocatore abile possa anche correggere la fortuna486.
Spesso, ed oggi molto spesso, coloro che più e meglio sanno
mettere in evidenza le contraddizioni, alle volte stridenti, fra la
giustizia assoluta e quella relativa sancita dalle leggi e dalle
consuetudini, sono uomini che hanno in mano carte cattive e che
desidererebbero di averle migliori, e che quindi bramerebbero che
fosse sospesa la partita e rimescolato il mazzo, e forse anche che
questo carico fosse loro affidato. Perchè quasi sempre gli
individui più altruisti, e che più sinceramente
abborriscono la menzogna e la frode, coll'esperienza della vita
finiscono coll'acquistare la persuasione che il raggiungimento della
giustizia assoluta è impossibile, e che quindi la
lealtà e la bontà vera e cosciente devono essere
necessariamente accompagnate dalla generosità, che sa donare
senza speranza di nulla ricevere in cambio.
VI. — Prima di terminare questo capitolo dobbiamo fare cenno di una
grave quistione, che forse praticamente è la più
importante di tutte quelle che la scienza politica può e deve
trattare. Si tratta cioè di esaminare se i progressi di
questa scienza potranno un giorno eliminare, o rendere più
rare e meno gravi, le grandi catastrofi che di tanto in tanto
interrompono il corso della civiltà e ricacciano nella
barbarie, sia pure relativa e temporanea, popoli che avevano
acquistato un posto glorioso nella storia dell'umanità.
Volendo aggiungere qualche elemento nuovo, che possa riuscire utile
alla soluzione di questo intricato problema, occorre di porlo
anzitutto nei suoi termini precisi.
Le catastrofi accennate si dice generalmente che avvengano quando un
popolo è invecchiato e quando, come conseguenza naturale
della vecchiaia, avviene la sua morte. Or ci sembra evidente, e
l'abbiamo già accennato nel primo capitolo della prima parte
di questo lavoro, che, quando si parla della vecchiaia e della morte
di un popolo, o di una civiltà, si usa una metafora la quale,
non dà, sopratutto a coloro che non si sono approfonditi
negli studi storici, un'idea precisa del fenomeno che si vuole
studiare. L'individuo infatti invecchia fatalmente e muore quando le
sue forze vitali sono esaurite, o quando un'infezione od una causa
violenta sopprimono od impediscono la funzione di un organo
necessario alla continuazione della vita; mentre in una
società l'invecchiamento materiale non si concepisce,
perchè ogni generazione nuova deve avere tutto il vigore
della gioventù, nè la morte materiale è
possibile, perchè a ciò occorrerebbe che almeno una
generazione intera si astenesse dalla procreazione487.
Sarebbe facile invero citare il caso di genti scomparse senza
lasciare una discendenza. È noto che sono così spariti
gli indigeni della Tasmania, che sono in via di sparizione quelli
dell'Australia, che forse pochi sopravvivono fra i discendenti dei
Guanchi delle Canarie, che molte tribù indigene dell'America
sono scomparse ed altre in via di scomparire. Ma, si tratta, o si
trattava, di popolazioni rade, che vivevano o vivono di caccia e di
pesca, alle quali la colonizzazione bianca avea tolto o va togliendo
i mezzi di sussistenza e che, quando vennero in contatto coi
Bianchi, erano troppo arretrate per adattarsi alla vita agricola e
per potere adottare i loro metodi di produzione488.
Ben diverso è il caso quando ci troviamo davanti a
popolazioni già pervenute allo stadio agricolo, che hanno
costituito nazionalità numerose, ordinate e potenti e creato
o fecondato una civiltà. Allora quella che sarebbe la morte
materiale, lo spegnersi della razza per mancanza di discendenti,
forse mai è avvenuta. Un popolo arrivato allo stadio di
cultura accennato, potrà perdere la sua fisonomia originale,
essere assorbito da altri popoli, da altre civiltà, cambiare
la sua religione e qualche volta la sua lingua, potrà infine
subire un'intiera trasformazione intellettuale e morale, continuando
a sopravvivere materialmente489.
E la storia è piena di queste trasformazioni e di queste
sopravvivenze. Sopravvissero i discendenti degli antichi Galli e
degli antichi Iberi, sotto lo strato di civiltà latina dalla
quale furono plasmati, e sopravvissero i discendenti delle antiche
popolazioni mesopotamiche e siriache, sebbene abbiano adottato la
lingua e la religione degli Arabi, che nell'ottavo secolo le
conquistarono; e lo stesso è avvenuto in Egitto, dove la
massa della popolazione così detta araba conserva ancora i
caratteri fisici dei suoi veri antenati, che crearono e fecero
durare per più di quaranta secoli la civiltà dei
Faraoni, Gli Italiani moderni sono ancora prevalentemente i
discendenti degli antichi Italici e nelle vene dei Greci moderni,
per quanto molto commisto ad altro sangue, scorre ancora quello
degli Elleni contemporanei di Pericle e di Aristotile e quello dei
Bizantini del nono e del decimo secolo.
Ciò premesso, e non tenendo conto dei popoli assimilati per
opera di una dominazione straniera di origine ma apportatrice di una
cultura superiore, come avvenne nel caso citato dei Galli, degli
Iberi e delle altre genti più o meno barbare che la
virtù di Roma antica seppe fondere in una gente sola,
è evidente che la morte di un popolo, il quale ha saputo
creare e mantenere per un lungo corso di secoli una propria
civiltà, può avvenire ed avviene sopratutto per due
cause, che lo minano e corrodono internamente e che fanno sì
che il minimo urto esteriore basti ad ucciderlo; cause che del resto
sono quasi sempre fatalmente accoppiate. Muoiono infatti i popoli
quando manca alle loro classi dirigenti la capacità di
riorganizzarsi secondo i bisogni dei tempi e di attingere negli
strati più bassi e profondi della società elementi
nuovi che le rinsanguino, e, come abbiamo già accennato, sono
pure destinati a morire i popoli, quando vengono meno in essi quelle
forze morali che li tenevano uniti e facevano sì che una
quantità importante di sforzi individuali potesse essere
riunita, disciplinata e diretta verso scopi d'interesse
collettivo490. In altre parole, la vecchiaia, che è prodromo
della morte, si aggrava sugli organismi politici in seno ai quali
perdono ogni prestigio, senza che esse siano sostituite, quelle idee
e quei sentimenti che li rendono capaci dello sforzo collettivo
necessario a mantenere intatta la propria personalità.
E ciò spiega quel cieco attaccamento alla tradizione, ai
costumi ed agli esempi degli antenati, che costituiva il fondo delle
religioni e della mentalità politica di tutte le grandi
nazioni dell'antichità, a cominciare dalle vecchie
civiltà della Mesopotamia e dell'Egitto venendo fino a Roma;
attaccamento che si è mantenuto fortissimo, fino a qualche
generazione fa, nel Giappone e nella China, e che, malgrado le
apparenze contrarie, non è del tutto ignoto alle moderne
nazioni di civiltà europea, e specialmente a quelle di razza
anglo-sassone. Pare che l'anima nazionale istintivamente senta che
per non morire deve restare fedele a certi principî, a certe
idee fondamentali e caratteristiche, che impregnano tutti gli atomi
dalla unione dei quali è formata, e che solo a questa
condizione essa può conservare la propria personalità
e mantenere intatto il proprio edificio sociale, facendo sì
che ogni pietra che lo compone non perda il cemento che la unisce a
tutte le altre491.
Disgraziatamente, o fortunatamente, il culto del passato, quando
è eccessivo ed esclusivo, ha per conseguenza necessaria la
immobilità, e perchè fosse permesso ad una nazione di
restare impunemente immobile bisognerebbe che non si muovessero
tutte le altre; la China ed il Giappone che, durante i secoli
decimosettimo, decimottavo e parte del decimonono, hanno cercato di
adagiarsi nell'immobilità, pur non essendovi completamente
riusciti, hanno poi dovuto subire dei bruschi risvegli492. Ed
è ovvio che ciò sia avvenuto, perchè
l'immobilità completa è in una società umana
artificiale, mentre il cambiamento continuo nelle idee, nei
sentimenti e nei costumi, il quale non può non avere il suo
contraccolpo nella organizzazione politica, è naturale. Per
impedirlo bisognerebbe distruggere gli effetti dello spirito
d'osservazione e d'indagine, dell'allargarsi delle cognizioni, della
maggiore esperienza, che rendono inevitabili il maturarsi di una
mentalità nuova e l'affermarsi di nuovi sentimenti, i quali
necessariamente corrodono la fede negli insegnamenti dei maggiori e
nei concetti tradizionali, che formavano la base dell'edificio
politico.
Un Greco, ad esempio, contemporaneo di Platone e di Aristotile,
assai difficilmente potea credere negli Dei, quali li concepiva
l'infantile antropomorfismo omerico, e molto meno ammettere che essi
fossero soliti di aiutare coi loro consigli e la loro assistenza
quei capi ereditari delle città, che il sommo poeta della
Grecia soleva chiamare pastori di popoli; come un francese
contemporaneo di Voltaire assai difficilmente si sarebbe persuaso
che Luigi XV avesse avuto da Dio il mandato di governare la Francia;
e come oggi un Chinese od un Giapponese, che abbiano frequentato una
Università europea od americana, stentano a conservare la
convinzione che nei libri di Confucio sia contenuta la più
perfetta e completa espressione della saggezza umana.
Così stando le cose, risulta evidente che l'unico metodo per
evitare ciò che si chiama la morte di uno Stato o di una
grande nazione, ossia uno di quei periodi di crisi acuta che
talvolta producono o rendono possibile la sparizione di un tipo di
civiltà e sono causa di sofferenze inenarrabili per le
generazioni che vi assistono, come fu ad esempio quella che
determinò e che seguì la caduta dell'impero romano
d'Occidente, e come è quella che oggi travaglia la Russia,
consiste nella lenta ma continua modificazione della classe
dirigente e nella lenta e continua assimilazione di nuovi elementi
di coesione morale, che gradatamente si vanno sostituendo ai vecchi.
Forse anche in questo caso la giusta contemperanza fra due tendenze
naturali diverse e contrarie, la conservatrice cioè e la
innovatrice, finisce col dare i risultati praticamente migliori. In
altre parole quindi un organismo politico, un popolo, una
civiltà possono essere a rigor di termine immortali,
purchè sappiano continuamente trasformarsi senza mai
dissolversi493.
E se la morte dei popoli, lo sfasciamento completo degli organi
politici, le crisi sociali durature e violente, che interrompono il
corso della civiltà e ricacciano l'uomo verso la
bestialità, fossero a rigore evitabili, il sorgere e
l'affermarsi di una vera scienza politica potrebbe certamente molto
contribuire ad evitarle.
Noi crediamo che nel passato più d'una delle crisi accennata
sia stata alle volte notevolmente ritardata dal semplice empirismo
politico, purchè non sviato da false dottrine ed illuminato
dal lampo del genio494. Ci sembra evidente che opera assai
più efficace si potrà svolgere mercè la
conoscenza esatta delle leggi che regolano la natura sociale
dell'uomo; la quale conoscenza se non altro insegnerebbe a
distinguere ciò che può avvenire da ciò che non
può e non potrà mai avvenire, evitando così che
molti intenti generosi e molte buone volontà si disperdano
improficuamente, ed anche dannosamente, nel volere conseguire gradi
di perfezione sociale che sono irraggiungibili, e renderà
inoltre possibile di applicare alla vita politica lo stesso metodo
che la mente umana mette in pratica quando vuole padroneggiare le
altre forze naturali. Metodo che consiste precisamente nel
comprenderne il meccanismo mediante un'attenta osservazione e nel
saperne dirigere l'azione senza mai brutalmente violentarle495.
Abbiamo già accennato come sia nostra opinione che il secolo
decimonono ed i primi decenni di quello presente abbiano già
elaborato, mercè i progressi delle indagini storiche e quelli
delle scienze sociali descrittive, tale quantità di dati, di
fatti accertati, di materiale scientifico da rendere possibile alla
generazione presente ed a quelle immediatamente successive
ciò che è stato impossibile alle passate, cioè
la creazione di una vera politica scientifica. Ma è assai
difficile precisare quando essa potrà affermarsi e sopratutto
quando potrà diventare un fattore attivo capace d'integrare e
modificare gli altri, che finora hanno determinato il corso degli
avvenimenti umani496. Infatti, perchè un sistema d'idee possa
diventare una forza politica attiva bisogna che esso plasmi la
coscienza della maggioranza almeno della classe dirigente, e che
diventi preponderante nel determinare il suo modo di pensare e
quindi di sentire; or le idee veramente scientifiche sono a
ciò le meno adatte, perchè sono le meno adattabili, e
quindi poco o nulla si prestano all'eccitamento delle passioni del
giorno ed alla soddisfazione immediata degli interessi del momento.
CAPITOLO VI.
Conclusione.
I. Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo
decimonono. — II. Programma politico del detto secolo. — III.
Risultati pratici dell'esecuzione di questo programma. — IV. Germi
di dissoluzione politica che esso conteneva e contiene. — V.
Pericoli e danni che presentano le tre soluzioni radicali possibili
della crisi che ora traversa il regime rappresentativo. — VI.
Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi
più adatti per effettuarla.
I. — Un'epoca spesso viene indicata mediante il secolo che ad essa
corrisponde, perchè generalmente cento anni sono uno spazio
di tempo sufficiente per modificare sensibilmente la
mentalità, i costumi e le istituzioni di un popolo o di una
civiltà. Però, volendo precisare l'anno nel quale
questi cambiamenti riescono più sensibili e nel quale
è possibile stabilire che un'epoca finisce ed un'altra
comincia, difficilmente accade che fra l'epoca ed il secolo vi sia
una corrispondenza perfetta, anche perchè spesso vi sono dei
periodi di transazione, più o meno laboriosi, e qualche volta
accompagnati da crisi violente, fra la fine di un periodo storico e
l'inizio di un altro.
Così, ad esempio, ci sembra che, volendo stabilire il momento
preciso in cui terminò l'epoca che corrisponde al secolo
decimottavo, l'anno più indicato sarebbe il celebre 1789 e
non già il 1800; e, se la stessa indagine vogliamo fare sul
periodo successivo, pare che si possa stabilire che una nuova
êra si iniziò nell'anno 1815 e che terminò
precisamente quasi cento anni dopo nel 1914. Lo spazio di ventisei
anni, che corre fra il 1789 ed il 1815, corrisponderebbe ad una di
quelle parentesi contrassegnate da crisi violente che spesso, ma non
sempre, accompagnano le grandi trasformazioni delle società
umane497.
Volendo quindi esaminare quale sia stata in Europa l'opera politica
del secolo decimonono, bisogna evidentemente studiare gli
avvenimenti compresi fra il 1815 ed il 1914, anno che forse potrebbe
corrispondere all'apertura di una nuova parentesi, che si dovrebbe
poi chiudere coll'inizio di un'epoca nuova, che prenderebbe il nome
dal secolo ventesimo. Or, trovandoci in un momento storico, che
potrebbe essere decisivo per l'avvenire della nostra civiltà,
sarebbe forse opportuno che la generazione presente, e sopratutto la
parte più giovine di essa, prima di agire si raccogliesse per
qualche ora in se stessa per fare ciò che la Chiesa chiama un
esame di coscienza. E se i viventi di oggi, e sopratutto i giovani,
a quest'esame non volessero assoggettarsi, attribuendo ogni
eventuale peccato alle tre generazioni che li hanno preceduto,
siccome essi ad ogni modo hanno dai loro padri ricevuto
un'eredità alla quale non possono rinunziare, sarebbe molto
utile che almeno ne facessero l'inventario.
II. — Come si sa, durante il secolo decimonono i popoli di
civiltà europea si sforzarono di attuare in politica il
programma idealmente tracciato dal secolo precedente, programma che
si può riassumere in tre concetti fondamentali, che vennero
espressi con tre magiche parole: libertà, uguaglianza e
fratellanza.
Abbiamo già visto come il concetto di libertà, nel
senso che alla parola viene dato nella vita politica, gli Europei
moderni l'abbiano ereditato dai Greci e dai Romani antichi.
Confusamente ed imperfettamente inteso nel Medio Evo, ed in modo
assai più chiaro e preciso dopo il Rinascimento, questo
concetto fu popolarizzato ed interpretato conformemente alle
condizioni della società del secolo XVIII da Rousseau e da
altri scrittori a lui contemporanei498. Però, siccome era
impossibile la trasformazione dello Stato assoluto burocratico, che
vigeva nel secolo decimottavo, in uno Stato-città come erano
state Atene, Sparta ed anche Roma all'epoca di Fabrizio e di Attilio
Regolo, il concetto ereditato dagli antichi dovette subire un
ulteriore adattamento e si cercò di attuarlo prendendo come
modello quel tipo di organizzazione politica, che già nel
secolo decimottavo funzionava in Inghilterra ed i cui vantaggi erano
stati assai bene illustrati da un altro celebre scrittore, ossia da
Montesquieu.
Quindi invece delle Assemblee della Grecia classica e dei Comizi di
Roma, nei quali tutti i cittadini potevano intervenire e si
approvavano le leggi e si eleggevano i titolari di quasi tutte le
cariche pubbliche, si ebbero dei Parlamenti, quasi sempre di due
Camere, con preponderanza morale più che legale di quella che
più direttamente proveniva dal suffragio popolare, alle quali
furono affidati il potere legislativo, l'approvazione delle imposte
e delle spese ed un controllo generale su tutta l'amministrazione
dello Stato. Inoltre, allontanandosi anche qui dagli esempi della
classica antichità, non si estese l'applicazione del sistema
elettivo nè all'organizzazione amministrativa dello Stato,
nè, in generale, a quella giudiziaria. L'importanza delle
mansioni, che già sulla fine del secolo decimottavo
l'organismo statale europeo esercitava, e la tecnicità quasi
sempre indispensabile per l'esercizio di queste funzioni resero
necessario che esse continuassero ad essere affidate, anzichè
a funzionari elettivi e temporanei, come era avvenuto nell'antico
Stato-città, ad impiegati stabili e di carriera; reclutati
generalmente in seguito a concorsi o scelti liberamente da coloro
che stavano ai sommi gradi della loro gerarchia499.
Quindi l'impalcatura burocratica degli antichi regimi assoluti,
lungi dall'essere soppressa, venne mano mano sempre più
sviluppandosi ed affermandosi per le nuove mansioni che durante il
secolo decimonono veniva assumendo lo Stato, ed essa in fondo venne
a costituire due dei poteri fondamentali dei moderni regimi
politici, cioè il potere esecutivo ed il giudiziario. Parvero
provvedimenti sufficienti a temperarne le esorbitanze l'affidare,
come abbiamo ricordato, ai Parlamenti il controllo delle entrate e
delle spese ed il diritto di sindacare tutta l'amministrazione dello
Stato e, nei paesi retti a governo parlamentare, il preporre ai
diversi rami della macchina burocratica dei capi scelti a preferenza
fra i membri della Camera elettiva e perciò indirettamente
provenienti dall'elezione popolare.
In quasi tutti i paesi di civiltà europea gli ordinamenti
militari sono stati poi quella parte dell'organizzazione dello Stato
che, pure enormemente sviluppandosi e notevolmente modificandosi, ha
conservato a preferenza, durante il moderno regime rappresentativo,
quella fisonomia che ad essa avevano impresso gli antichi regimi
assoluti.
Infatti si è a dir vero quasi dappertutto adottato il
servizio militare obbligatorio esteso a tutte le classi dei
cittadini, in maniera che ora è possibile in caso di guerra
di mobilizzare tutta la popolazione valida di un paese, e si sono
aboliti i privilegi che conferivano all'antica nobiltà il
monopolio dei gradi superiori della milizia, sebbene traccie dei
privilegi cennati siano rimaste in alcuni eserciti europei fino a
tempi molto recenti500. Ma la forza armata conservò un
ordinamento strettamente autocratico, perchè l'avanzamento
nella carriera militare restò sempre esclusivamente
dipendente dal criterio di coloro che occupano i gradi superiori, e
perchè sopratutto si mantenne, più o meno
rigorosamente, ma sempre abbastanza notevole, l'antica distinzione
fra gli ufficiali e gli uomini di truppa. I primi generalmente
militari di professione e provenienti dalle classi alte e medie, e
quindi per la loro origine e per la loro istruzione ed educazione ad
esse legati; i secondi quasi sempre reclutati mercè il
servizio militare obbligatorio e che hanno perciò in grande
maggioranza la mentalità ed i sentimenti degli operai e dei
contadini.
Questa distinzione, che è la base della disciplina e
dell'organizzazione militare, unita alla maggiore cultura generale e
militare degli ufficiali, fa sì che gli uomini di truppa
diventino ordinariamente uno strumento sicuro nelle loro mani. Ed
è sopratutto mercè di essa che la moderna
società europea ha potuto raggiungere il risultato mirabile
di affidare le armi ai proletari senza che questi se ne potessero
servire come mezzo di dominio. Ed è sempre grazie alla
distinzione stessa che l'esercito è rimasto quasi dappertutto
una forza conservatrice, un elemento di ordine e di stabilità
sociale501.
Ma il concetto di libertà politica non si è, nella
moderna Europa, ed in generale in tutti i paesi di civiltà
europea, attuato soltanto coll'istituzione dei regimi
rappresentativi, ma quasi dappertutto esso è stato più
o meno completato mercè una serie di istituzioni, che
assicurano agli individui ed alle coalizioni di individui parecchie
efficaci guarentigie di fronte ai detentori dei pubblici poteri. Nei
paesi perciò che a buon diritto sono stati finora reputati
liberi noi troviamo che le proprietà private non possono
essere arbitrariamente violate, che un cittadino non può
essere arrestato e condannato se non mercè l'osservanza di
norme determinate, che ognuno può seguire la religione che
crede migliore senza menomazione dei suoi diritti civili e politici,
che la stampa non può essere soggetta a censura preventiva e
che essa può liberamente discutere e criticare gli atti dei
governanti; che i cittadini infine, seguendo certe norme, possono
riunirsi per prendere deliberazioni d'indole politica e che essi
possono pure associarsi allo scopo di raggiungere fini morali,
politici o professionali.
Queste ed altre simili libertà, che possono essere
considerate come delle vere autolimitazioni che lo Stato mette ai
suoi poteri sovrani nei suoi rapporti con i singoli cittadini, sono
in buona parte una imitazione di leggi che l'Inghilterra aveva
adottato alla fine del secolo decimosettimo, dopo la sua seconda
rivoluzione, od anche in epoca posteriore, e costituiscono un
complemento necessario del regime rappresentativo; che assai male
potrebbe funzionare se ogni libera attività politica degli
individui fosse soppressa e se essi non fossero tutelati abbastanza
contro l'azione arbitraria del potere esecutivo e del giudiziario.
Nello stesso tempo queste libertà trovano la loro massima
guarentigia nell'esistenza del regime rappresentativo, il quale fa
sì che il potere legislativo, che solo avrebbe il diritto di
toglierle o restringerle, sia l'emanazione di quelle stesse forze
politiche che hanno interesse a conservarle502.
Assai più difficile, perchè contraria alla natura
delle cose, e quindi meno reale e concreta, è stata
l'attuazione del concetto di uguaglianza.
Naturalmente furono aboliti, poichè alla borghesia stessa
interessava di abolirli, quei privilegi di classe che ancora
sussistevano alla fine del secolo decimottavo, e tutti i cittadini
furono solennemente proclamati uguali davanti alla legge, ma non si
poterono abolire gli effetti delle disuguaglianze naturali e neanche
di quelle per dir così artificiali, che sono una conseguenza
dell'eredità familiare, come sarebbero le differenze di
ricchezza, di educazione e di cultura.
Anzi mentre l'uguaglianza, che dovrebbe portare come conseguenza
necessaria la sparizione delle classi sociali, veniva ufficialmente
proclamata, giammai forse la distanza fra la mentalità, il
modo di sentire e perfino le inclinazioni delle varie classi sociali
è stata più accentuata di quanto lo sia nella
società europea del secolo ventesimo e giammai forse esse si
sono meno scambievolmente comprese. Ciò che non è
esclusivamente dovuto alla disuguaglianza delle ricchezze,
perchè quasi sempre l'intelletto e la psicologia di un
piccolo borghese, che abbia potuto ottenere una laurea od anche un
diploma d'istituto secondario, si accosta più a quella di un
milionario anzichè a quella di un operaio, sebbene
economicamente il piccolo borghese sia senza dubbio più
vicino a quest'ultimo anzichè al milionario. Ma piuttosto
è un effetto del progresso della cultura e di ciò che
dicesi la civiltà, la quale fa sì che coloro che si
dedicano ai lavori intellettuali, e qualche volta anche agli ozi
raffinati, sempre più si debbano necessariamente
differenziare da quegli strati sociali che sono adatti e dedicati
esclusivamente ai lavori manuali.
Come guarentigia e prova tangibile dell'uguaglianza, durante il
secolo decimonono e nei primi decenni del ventesimo, la borghesia
europea ed americana ha concesso a tutti i cittadini, compresi gli
analfabeti, che in alcuni paesi formano ancora una parte notevole
della popolazione, il suffragio universale, ossia il diritto di
partecipare in misura uguale alla elezione dei membri della Camera
elettiva. Come abbiamo già accennato, questa concessione fu
sopratutto una conseguenza delle dottrine politiche prevalenti nelle
classi dirigenti, dottrine che facevano parte dell'eredità
intellettuale che il secolo decimottavo aveva trasmesso al
decimonono ed in base alle quali unico governo legittimo veniva
considerato quello basato sulla sovranità popolare, intesa
come sovranità della maggioranza numerica dei membri del
consorzio sociale. Sicchè la largizione del voto a tutti i
cittadini maggiorenni diventò un atto indispensabile
affinchè la minoranza, che realmente avea in mano la
direzione politica, potesse evitare la taccia d'incoerenza e potesse
mettere in pace la propria coscienza.
Ma, fin dall'epoca di Aristotile, quando ancora la maggioranza dei
lavoratori manuali era esclusa dalla cittadinanza e quindi dal
suffragio, era stata rilevata la difficoltà di conciliare
l'uguaglianza politica, che dava la preponderanza ai poveri sui
ricchi, colla disuguaglianza economica. Non è quindi da
maravigliare che precisamente davanti la stessa difficoltà si
siano trovate, dopo la concessione del suffragio universale, le
classi dirigenti europee ed americane. Se esse prima della grande
guerra poterono con relativa facilità affrontarla e fino ad
un certo punto superarla, ciò fu dovuto in parte alla
impreparazione politica delle classi popolari, che in molti paesi si
sono lasciate in principio agevolmente regimentare entro i quadri
dei partiti borghesi, in parte alla grande forza di resistenza dei
moderni organismi statali e finalmente, in parte forse maggiore
delle altre, alla grande prosperità economica, che fu una
delle caratteristiche più spiccate della seconda metà
del secolo decimonono e che si accentuò fortemente durante
gli ultimi venti o trent'anni anteriori al 1914. Prosperità
la quale rese in molti paesi possibile di fare notevoli concessioni
d'indole economica alle classi più numerose senza impedire
l'aumento dei risparmi privati, senza soverchiamente intaccare
l'inviolabilità della proprietà privata e senza
imporre carichi insopportabili alle grandi ed alle medie fortune503.
Anche più vacua, più priva di contenuto
dell'attuazione della uguaglianza dovea infine riuscire quella della
fratellanza.
La fratellanza, ossia l'amore reciproco fra tutti gli individui
umani, era stata già proclamata e predicata, prima che dai
filosofi dei secoli decimottavo e decimonono, da un certo numero di
pensatori dell'antichità, che però credevano in
generale che essa dovesse essere a preferenza praticata fra i membri
dello stesso popolo o della stessa città. Non mancarono
però, in una delle epoche di maggiore cultura che abbia avuto
la classica antichità, degli scrittori che, come Seneca,
insegnarono che essa doveva essere estesa a tutta l'umanità,
ma in generale restarono poco ascoltati. L'amore reciproco
universale entrò anche nei programmi delle tre grandi
religioni mondiali, ossia del Buddismo, del Cristianesimo e del
Maomettismo; ma in tutte e tre furono poi a preferenza riguardati
come fratelli coloro che seguivano la stessa fede ed anche fra
compagni di fede la fratellanza fu in pratica tutt'altro che
perfetta. Perchè essa possa diventare una realtà
occorrerebbe infatti che nell'uomo, pur non tenendo conto degli
inevitabili conflitti d'interessi e delle gare indispensabili per
arrivare alla preminenza sociale, restasse solo il bisogno di amare
e si estinguesse quello di odiare il proprio simile; sia esso vicino
o lontano, parli o no la stessa lingua e segua o no la stessa
religione o le stesse dottrine politiche. E disgraziatamente il
cennato bisogno finora non sembra prossimo ad estinguersi504.
Date queste condizioni della psiche umana, riesce perfettamente
spiegabile che il senso della fratellanza universale, anche nel
secolo decimonono e negli inizii del ventesimo, sia rimasto e
rimanga molto fiacco. Tanto più che le delusioni sofferte per
la mancata attuazione dell'uguaglianza dovevano e debbono
contribuire ad indebolirlo, acuendo la naturale rivalità fra
i ricchi ed i poveri, i potenti e gli impotenti, i felici e gli
infelici. Mentre il grossolano materialismo prevalente fino a pochi
anni fa, e contro il quale solo da poco tempo e fra le classi
più colte è sorta una certa reazione, rinfocolando le
aspirazioni verso i beni terrestri e togliendo ogni consolazione ai
vinti della vita, necessariamente fomentava sempre più
l'odio, non già l'amore, fra i popoli, fra le classi e fra i
singoli individui.
III. — Ciò nondimeno noi crediamo che, quando i nostri
lontani nepoti potranno giudicare spassionatamente l'opera dei loro
antenati, dovranno riconoscere che l'epoca, che sarà
appellata nella storia col nome del secolo decimonono, è
stata una delle più grandi e magnifiche fra tutte quelle che
l'umanità ha attraversato.
Difatti durante essa il pensiero umano, non più limitato e
costretto entro confini che non poteva violare, sia nel campo delle
scienze naturali che in quello delle scienze storiche e sociali, ha
ottenuto risultati che hanno di molto superato il patrimonio
intellettuale che le civiltà del passato ci avevano
tramandato. Giammai, come negli ultimi cento o centoventi anni,
l'uomo ha avuto a sua disposizione tanti potenti e nuovi strumenti
di osservazione e tanta copia di esatte informazioni sui fenomeni
naturali e su quelli sociali, e giammai quindi ha potuto rendersi e
si è reso un conto così esatto e minuto delle leggi
che governano il mondo in cui vive e di quelle che regolano i suoi
stessi istinti e le sue stesse azioni ed ha potuto meglio conoscere
l'universo di cui fa parte e se stesso.
E gli effetti dell'applicazione delle cognizioni accennate ai
progressi della vita materiale sono troppo noti e troppo sono stati
celebrati perchè sia necessario di ricordarli. Tutti sanno
infatti che oggi, con lo stesso sforzo, il lavoro umano può
raggiungere un risultato che alle volte è decuplo di quello
di cento anni fa, e che il progresso dei mezzi di comunicazione e
della tecnica agraria ed industriale hanno reso possibile lo scambio
di prodotti, di servizi e di cognizioni fra paesi remoti, e che
tutto ciò ha prodotto un'agiatezza, proporzionatamente
diffusa fra tutte le classi sociali, che mai nel passato era stata
raggiunta.
A tutti questi risultati scientifici ed economici deve avere
necessariamente contribuito il regime politico, ma, anche limitando
ad esso la nostra indagine, dobbiamo riconoscere le grandi
benemerenze, che, attraverso le illusioni che lo hanno guidato,
costituiscono e costituiranno il merito imperituro del secolo
decimonono. — Certo che quel governo della maggioranza e quella
uguaglianza politica assoluta, che il secolo avea scritto nella sua
bandiera, non furono attuate perchè non potevano diventare
una realtà, e che lo stesso si può dire della
fratellanza; ma le file delle classi dirigenti sono rimaste aperte,
le barriere che impedivano agli individui delle classi più
umili di entrarvi sono state tolte od almeno abbassate e la
trasformazione dell'antico Stato assoluto nel moderno Stato
rappresentativo ha reso possibile a quasi tutte le forze politiche,
ossia a quasi tutti i valori sociali, di partecipare alla direzione
politica della società.
E bisogna inoltre ricordare che la trasformazione accennata ha
suddiviso la classe politica in due rami distinti: quello
proveniente dalle elezioni popolari e quello burocratico; e che
ciò non ha soltanto permesso di utilizzare meglio tutte le
capacità individuali ma ha reso possibile quella ripartizione
delle funzioni sovrane, ossia dei poteri dello Stato, che, dove le
condizioni della società sono tali da renderla effettiva,
costituiscono il merito principale dei regimi rappresentativi,
quello per il quale essi hanno dato risultati migliori di tutti
quegli altri che hanno potuto finora essere applicati a grandi
organizzazioni politiche505. Rousseau si propose un fine
irraggiungibile quando volle dimostrare che unica forma di governo
legittima è quella fondata sull'espresso consenso della
maggioranza dei consociati; ma Montesquieu invece espose un concetto
molto più pratico e profondo quando sostenne che,
affinchè un popolo sia libero, cioè governato secondo
la legge e non secondo l'arbitrio dei suoi reggitori, bisogna che
abbia una organizzazione politica nella quale il potere arresti e
limiti il potere e non vi sia perciò nessun individuo e
nessuna assemblea che abbiano nello stesso tempo la facoltà
di fare la legge e quella di applicarla. E, per completare questa
dottrina, basta tener presente che l'azione di un organo politico
può essere efficace solo quando esso rappresenta una frazione
della classe politica diversa da quella rappresentata dall'altro
organo che deve esser limitato e controllato.
Se poi facciamo il debito conto delle libertà individuali,
che difendono il cittadino contro la possibile azione arbitraria di
tutti i poteri dello Stato, e sopratutto della libertà della
stampa, che, insieme a quella delle discussioni parlamentari,
può richiamare l'attenzione del pubblico su tutti i possibili
abusi dei governanti, facilmente possiamo renderci ragione della
grande superiorità dei regimi rappresentativi. La quale ha
permesso la costituzione di una forma di Stato fortissima, che ha
potuto incanalare verso fini d'interesse collettivo una somma
immensa di energie individuali e nello stesso tempo non le ha
schiacciate e soppresse; e ha perciò lasciato ad esse una
vitalità sufficiente per conseguire altri grandi risultati,
sopratutto nel campo scientifico e letterario ed in quello
economico. — Si può quindi con quasi sicurezza affermare che,
se durante l'epoca che ora accenna a tramontare, i popoli di
civiltà europea hanno potuto mantenere il loro primato nel
mondo ciò si deve in massima parte ai benefici effetti del
loro regime politico506.
A dir vero, fin dal secolo decimottavo, quando vigeva ancora il
regime assoluto burocratico, si era già affermata la
superiorità militare ed amministrativa degli Stati europei su
quelli di civiltà asiatica. Difatti la Turchia dopo i due
trattati di pace di Carlowitz e di Passarowitz, che furono conchiusi
nel 1699 e nel 1718, non costituiva più una minaccia
permanente per l'Europa e, già nella seconda metà del
secolo decimottavo, la conquista inglese dell'India era condotta a
buon punto; ma forse non fu effetto del caso se essa avvenne per
opera di quello Stato europeo che per il primo avea adottato il
regime rappresentativo. Ed è noto poi che la prevalenza degli
Stati europei su quelli asiatici si è sempre più
affermata ed è rimasta inconcussa per tutto il secolo
decimonono fino al 1904, quando il Giappone, avendo già
adottato l'organizzazione militare ed amministrativa europea,
potè vincere la Russia. E naturale che questa vittoria abbia
fatto nascere la speranza di una prossima riscossa nei popoli di
civiltà asiatica, speranza che si è notevolmente
accresciuta dopo che l'ultima grande guerra ha esaurito tanta parte
dell'Europa ed ha messo in evidenza i lati deboli della sua
organizzazione.
Certamente, già prima del 1914, ad un osservatore sagace non
poteva sfuggire che il centro di gravità della civiltà
europea tendeva a spostarsi verso l'America, dove specialmente gli
Stati Uniti, il Canada, il Brasile e l'Argentina dispongono di
vastissimi territori e di grandi ricchezze naturali, ancora assai
incompletamente sfruttate, e potrebbero nell'avvenire sostentare una
popolazione almeno quadrupla di quella odierna. Ma, fino alla
vigilia della grande guerra europea, questi paesi per sviluppare le
loro ricchezze avevano ancora bisogno di capitali e di lavoratori
che solo l'Europa poteva loro fornire507. Sicchè il pericolo
della loro prevalenza sul vecchio mondo potea ancora essere
considerato come non imminente, anche perchè parecchi Stati
europei avevano già iniziato a loro profitto la
valorizzazione dell'Africa equatoriale ed australe, dove sono pure
grandi territori abitati da popolazioni primitive, e quindi per un
pezzo facilmente governabili, e sono quindi suscettibili col tempo
di fornire quelle materie prime delle quali la sovrapopolata Europa
ha indispensabile bisogno508.
IV — Come tutti i regimi politici, anche il regime rappresentativo
conteneva, durante l'epoca che corrisponde al secolo decimonono, i
germi che ne preparavano la lenta trasformazione o la rapida
dissoluzione. Abbiamo già detto nel capitolo precedente come
solo mediante la lenta e continua trasformazione dei regimi politici
si possono evitare quei periodi di rapida dissoluzione, che sono
accompagnati da crisi violente apportatrici di inaudite sofferenze
alle generazioni che le subiscono, e che quasi sempre le fanno
tornare indietro nel cammino della civiltà.
Il primo di questi germi è stato ed è senza dubbio la
contraddizione evidente fra uno dei fini principali che il secolo si
era proposto ed il risultato che aveva raggiunto. L'Europa, e
sopratutto l'Europa centrale ed occidentale, ha avuto finora una
forma di governo che assicurava abbastanza la libertà
individuale, che faceva sì che l'azione dei governanti fosse
sufficientemente controllata e moderata, che ha reso possibile lo
sviluppo di una grande prosperità materiale, ma che, come
abbiamo visto, non ha attuato l'uguaglianza nè dato alle
maggioranze la direzione effettiva dei vari paesi. Giacchè le
masse popolari tutto al più, al momento delle elezioni, sono
state lusingate con la promessa di qualche vantaggio materiale,
spesso più apparente che reale, e che, quando è stato
realmente concesso, spessissimo ha danneggiato gli interessi della
economia nazionale e quindi anche quelli delle classi più
umili509.
Date queste condizioni psicologiche e materiali della società
europea, non riesce difficile comprendere come in seno alla stessa
borghesia siasi costituito un fortissimo partito politico, in parte
formato d'idealisti ed in parte da ambiziosi, che aspirava ed aspira
a rendere reale l'uguaglianza e la partecipazione delle masse alla
direzione dello Stato, e come a questo partito abbiano aderito
moltissimi fra coloro che, nati nella classe dei lavoratori manuali,
sono riusciti ad acquistare una certa cultura. Ed è naturale
che questo partito sia arrivato subito alla conclusione che, senza
l'abolizione della proprietà privata, non poteano essere
instaurate nel mondo nè una giustizia assoluta nè una
reale uguaglianza.
Piuttosto può sembrare a prima vista meno naturale che la
borghesia europea abbia durante il secolo decimonono, e si
può dire fino al 1914, combattuto in generale assai
mollemente e saltuariamente la diffusione delle dottrine socialiste
e l'organizzazione di quelle forze politiche che queste dottrine
aveano abbracciato. Ma ciò è avvenuto per una serie di
motivi, fra i quali vanno compresi l'omaggio a quei principii
liberali, secondo i quali si dovrebbe affidare al buon senso del
pubblico lo sceverare la verità dall'errore, ciò che
è attuabile dall'inattuabile, e quel senso di vago ottimismo,
che durò quasi inalterato fino agli ultimi decenni del secolo
scorso. Il quale manteneva salda la fiducia nella ragionevolezza e
nella bontà umana, nella futura educazione delle masse
popolari affidata ai maestri di scuola, e facea comunemente
ammettere come sicuro che il mondo fosse incamminato verso un'era di
concordia e di felicità universale. E poi, diciamolo pure, la
mentalità borghese è stata fino a ieri impregnata di
molti dei concetti che formano la base intellettuale del socialismo;
sicchè la borghesia, prigioniera dei propri pregiudizi, lo ha
combattuto fino alla vigilia del 1914 con la mano destra legata e
con la sinistra notevolmente impacciata. Anzi, invece di apertamente
combatterlo, in molti paesi d'Europa è venuta con esso a
patti ed ha accettato transazioni dannose e qualche volta
indecorose.
E le conseguenze di questa debolezza si sono aggravate per il fatto
che, fra tutti i vangeli socialisti, fu dichiarato canonico ed
universalmente adottato quello che, mentre prometteva il trionfo
sicuro della dottrina, più eccitava quel sentimento che
è fra tutti il più atto a minare e distruggere la
compagine di un popolo o di una civiltà: cioè l'odio.
Abbiamo già notato nella prima parte di questo lavoro quanto
fosse efficace e perniciosa la propaganda dissolvitrice di odio fra
le classi sociali contenuta nelle pagine del Capitale di Carlo Marx;
oggi da una recente pubblicazione possiamo apprendere che
l'eccitazione di questo sentimento entrava precisamente nei fini che
l'autore coi suoi scritti si proponeva di raggiungere510. E, se si
obietterà che fra tanti socialisti o comunisti forse uno fra
mille avrà letto e compreso il libro accennato, risponderemo
che dal nuovo Vangelo si è avuto cura di estrarre un breve
catechismo, che tutti hanno potuto facilmente imparare a memoria.
Sicchè oggi non vi è quasi operaio della grande
industria il quale non creda, o per lo meno non abbia sentito
ripetere, che la ricchezza del padrone o degli azionisti, che hanno
fornito il capitale alla fabbrica, è stata costituita
sottraendo ai lavoratori manuali una parte del salario che loro
spettava, e non vi è quasi in moltissimi paesi un contadino
che lavori a giornata al quale una analoga notizia non sia arrivata.
Ma se il socialismo, e la sua frazione più avanzata che oggi
appellasi comunismo, sono pericolosi per lo stato d'animo che creano
e mantengono nelle masse e per la organizzazione dei loro seguaci,
che secondo i vari paesi è più o meno forte, un altro
pericolo incombe sugli Stati moderni che è forse più
grave. Perchè esso non proviene da uno stato mentale, che
può essere modificato, o dall'eccitamento di alcune passioni,
le quali possono a poco a poco essere calmate, ma dalla natura
stessa dell'organizzazione economica che la società moderna
ha adottato e che non può abbandonare senza che rinunzi a
gran parte del suo benessere, alla soddisfazione di molti bisogni
recenti ma che ornai sono entrati nel numero delle cose
indispensabili.
La divisione del lavoro e la specializzazione nella produzione hanno
difatti nella società europea raggiunto tali progressi che
senza le ferrovie, la navigazione a vapore, le poste, il telegrafo e
senza il carbon fossile necessario per fare muovere tutte le
macchine, nessuna grande città potrebbe vivere più di
qualche mese, e qualche grande nazione sarebbe, dopo pochi mesi,
ridotta nella impossibilità di nutrire più della
metà della propria popolazione. Giammai come oggi la vita
materiale di ogni individuo è stata in diretta dipendenza del
perfetto funzionamento di tutti i meccanismi sociali. E, siccome il
funzionamento di ogni meccanismo è affidato ad una
determinata classe di persone, la vita normale dell'intiera
collettività viene a dipendere dal buon volere di ognuna di
queste classi.
Da questa condizione di cose, che riesce assai difficile di
modificare, è nato il pericolo sindacalista,, cioè la
possibilità che una piccola frazione della società
s'imponga a tutta la società. Oggi a rigore non è
necessario che si ripeta fedelmente il famoso apologo di Menenio
Agrippa, cioè che tutte le membra congiurino a danno dello
stomaco, o, come sarebbe più esatto di dire, a danno del
cervello, ma basterebbe che un solo membro, un solo organo
importante, cessasse di prestare il proprio ufficio perchè il
cervello, e tutti i centri nervosi che da esso dipendono, potessero
restare immobilizzati.
È naturale che ogni classe di persone addette ad una speciale
funzione, avendo una certa omogeneità di spirito, di cultura
e sopratutto d'interessi, abbia cercato di organizzarsi in sindacati
professionali sotto proprii capi, e che i sindacati, una volta
organizzati, abbiano subito intuito la loro potenza ed il profitto
che potevano trarne. Quindi ciò che comunemente appellasi
sindacalismo è diventato per gli Stati moderni un pericolo
forse più grave di quello rappresentato negli Stati
medioevali dal feudalismo. Infatti nell'età di mezzo, data
l'organizzazione primitiva della società e quindi dello
Stato, ogni frazione di esso poteva bastare a se stessa,
poichè disponeva di tutti gli organi necessari alla propria
vita, e perciò la contrapposizione della parte rispetto al
tutto avveniva secondo criteri locali, mentre oggi la
contrapposizione della parte al tutto avrebbe una base funzionale.
Allora un potente barone od un grosso Comune, od una lega di baroni
e di Comuni, potevano imporre la propria volontà
all'Imperatore od al Re, oggi un potente sindacato, ed a forziori,
una lega di sindacati, potrebbe imporla allo Stato.
Per scongiurare questo pericolo sarebbe necessario che ad ogni costo
s'impedisse la rinascita di una nuova sovranità intermedia
fra l'individuo e lo Stato, del genere di quella che esisteva nel
Medio Evo, quando il vassallo obbediva direttamente al barone e non
già al Re; ossia in altre parole sarebbe indispensabile che i
capi degli attuali governi fossero sempre più obbediti dei
capi dei sindacati e che la devozione agli interessi della nazione
fosse sempre più forte della devozione agli interessi della
classe. Ma è noto pur troppo che una delle maggiori debolezze
della presente società europea, un altro di quei germi di
dissoluzione dei moderni regimi rappresentativi ai quali abbiamo
accennato, consiste appunto nella rilassatezza di quelle forze di
coesione morale, le quali sono le sole capaci di riunire tutti gli
atomi che compongono un popolo in un comune consenso di sentimenti e
di idee, e costituiscono perciò il cemento senza il quale
ogni edificio politico rimane sempre barcollante e caduco.
Difatti l'antica religione, la cui dottrina fondamentale ha sempre
mirato ad affratellare tutti i cittadini della stessa nazione e
tutte le nazioni cristiane fra di loro, ha perduto, specialmente
negli ultimi due secoli, buona parte del suo prestigio e della sua
efficacia pratica, per una serie di cause che non è qui il
luogo di enumerare. Diremo soltanto che, sopratutto per quel che
riguarda le nazioni latine, fra esse va rilevata l'ostilità
delle classi dirigenti, le quali troppo tardi ora si accorgono che,
emancipando le plebi da quelle che, con soverchia leggerezza,
venivano chiamate viete superstizioni, le gettavano in braccio ad un
gretto e grossolano materialismo ed aprivano la strada a
superstizioni peggiori511. Indebolito il legame religioso, si
è creduto di poterlo sostituire con la fede nei tre principii
già enumerati, cioè nella libertà,
nell'uguaglianza e nella fratellanza, la cui attuazione avrebbe
dovuto inaugurare in questo mondo una nuova êra di pace e di
giustizia universale. Ma la propaganda socialista non ha dovuto
stentare molto a dimostrare che questa fede non si appoggiava sulla
verità, che la democrazia per quanto larga non impediva che
il potere restasse in mano alle classi dirigenti, a quella che i
socialisti chiamano borghesia e che, secondo loro, sarà
sempre divisa da un insanabile contrasto d'interessi dalle classi
più umili della società.
Come principale fattore di coesione morale ed intellettuale nel seno
dei diversi popoli europei è rimasto perciò il
patriottismo. Anche esso combattuto generalmente dai socialisti come
una invenzione delle classi dirigenti, destinata ad impedire
l'unione pronosticata da Marx dei proletari di tutto il mondo contro
la borghesia di tutto il mondo, ma che, avendo oggi radici
più salde nell'anima dei popoli moderni, ha meglio resistito
agli attacchi dei suoi avversari. Il patriottismo infatti ha la sua
base nella comunità d'interessi che lega coloro che abitano
lo stesso paese, e nella comunità di sentimenti e d'idee, che
quasi infallibilmente si stabilisce fra uomini che parlano la stessa
lingua, che hanno lo stesso passato, che hanno avuto comuni le
glorie, le fortune e le sventure, ed esso infine soddisfa quel
bisogno che ha l'animo umano di amare la collettività alla
quale si appartiene a preferenza di tutte le altre.
Sarebbe assai arrischiato, e forse anche non corrispondente a
verità, l'affermare che la borghesia europea abbia avuto una
chiara e precisa coscienza del grande ostacolo morale che il
patriottismo opponeva ai progressi del socialismo; ma è certo
che, a cominciare dai primissimi anni del secolo ventesimo, si
notò nella gioventù colta di quasi tutti i paesi
europei un potente risveglio di sentimenti patriottici.
Disgraziatamente l'amore per la propria nazione ed il desiderio
naturale che essa sempre più si affermi nel mondo spesso si
accoppiano alla diffidenza e qualche volta all'odio verso le nazioni
straniere; sicchè la sovraeccitazione del patriottismo
contribuì a creare quell'ambiente morale ed intellettuale che
rese possibile lo scoppio della guerra mondiale.
V. — Le gravi e profonde conseguenze della lunga guerra, durante la
quale ognuno dei popoli che vi parteciparono tese all'estremo le sue
forze, sono ornai troppo note perchè sia necessario di
minutamente descriverle512. Accenneremo quindi soltanto che alla
fine del 1918 tutti gli Stati belligeranti si erano caricati di un
enorme debito pubblico e, siccome la maggior parte delle somme
procacciate mercè i debiti erano state dedicate a scopi
guerreschi economicamente improduttivi ed un'altra parte avea
trasmigrato presso le nazioni neutrali o che molto tardi entrarono
in guerra, così fra le nazioni che maggiormente sostennero il
peso della guerra anche i capitali privati si trovarono in
quell'epoca notevolmente diminuiti. Era quindi inevitabile che al
periodo di prosperità anteriore al 1914 dovesse susseguire un
periodo di relativa povertà, il quale fra le nazioni
già meno ricche e sopratutto fra quelle vinte, e
perciò peggio trattate, potè inacerbirsi fino a
diventare miseria.
Ed al disastro economico si aggiunse quello morale per la mutata
distribuzione di quel tanto di ricchezza che pure restava. Difatti,
nelle nazioni che avevano preso parte al terribile cimento, ed
anche, sebbene in proporzioni minori, in quelle rimaste neutrali,
mentre una parte notevole della popolazione sensibilmente
impoveriva, una minoranza più o meno numerosa trovava nella
guerra occasione di improvvisi e lauti guadagni. Ora nessuna cosa
demoralizza più gli uomini quanto il vedere la ricchezza
acquistata rapidamente e senza meriti speciali accanto alla
povertà improvvisa e che non è conseguenza di una
colpa. Questo spettacolo ferisce da un lato il sentimento della
giustizia e sovraeccita dall'altro oltremodo l'invidia e la
cupidigia. Molti, che fino al grande cataclisma si erano conservati
onesti, divennero disonesti, perchè vollero ad ogni costo
entrare fra i nuovi ricchi anzichè subire la sorte dei nuovi
poveri.
Ma ciò che sopratutto ha contribuito a diminuire la saldezza
dell'organizzazione politica ed a turbare l'equilibrio fra le classi
sociali, è stato l'impoverimento della classe media, di
quella parte della borghesia che viveva e vive del frutto di piccoli
risparmi, di mediocri proprietà immobiliari e sopratutto di
quello del proprio lavoro intellettuale. Abbiamo già visto
come il sorgere di questa classe sia stato uno dei fattori che hanno
creato le condizioni necessarie per il retto funzionamento del
sistema rappresentativo; è quindi naturale che la sua
decadenza economica, che, se duratura, sarà necessariamente
seguita da quella intellettuale e morale, renderà molto
difficile la continuazione del regime accennato.
Infine, in tutti i paesi che presero parte lungamente alla guerra,
la macchina dello Stato dovette sobbarcarsi a tale ed a tanto
lavoro, dovette comprimere e schiacciare tale una quantità di
passioni, di sentimenti e d'interessi individuali, che non è
da maravigliare se i suoi congegni ad un certo punto accennarono a
guastarsi e ad arrestarne il funzionamento. Anzi, si può dire
che, dove essa era più debole, cioè in Russia, il
guasto fu tale che ne andò senz'altro distrutta; ma anche in
tutti gli altri paesi è evidente che ha più o meno
bisogno di riposo e di riparazioni.
Queste ed altre cause secondarie hanno reso in quasi tutti gli Stati
europei più o meno arduo il funzionamento del regime politico
in vigore prima della guerra. Sicchè è sorta,
sopratutto in qualche paese più travagliato degli altri dai
comuni dolori, l'idea che la crisi presente si possa e debba
risolvere mediante una profonda e radicale trasformazione delle
istituzioni ereditate dal secolo precedente, e che questo debba
essere appunto il compito della nuova generazione, della
gioventù, la quale, dopo aver fatto la guerra, dovrebbe
disfare l'opera politica dei suoi padri per rifarla seguendo un
indirizzo nuovo e migliore.
Or, esaminando le presenti condizioni economiche, intellettuali e
morali della società europea, tenendo conto delle diverse
correnti d'idee, di sentimenti e d'interessi che in essa si agitano,
tre sarebbero le sole soluzioni radicali possibili della presente
crisi politica: quella già adottata in Russia, cioè la
così detta dittatura del proletariato con il relativo
esperimento comunista, il ritorno all'antico assolutismo
burocratico, ed infine il sindacalismo, cioè la sostituzione
nelle assemblee legislative della rappresentanza delle classi a
quella degli individui.
Gli effetti della così detta dittatura del proletariato, dopo
l'esperimento che di essa ha fatto e sta facendo la Russia, sono
omai abbastanza noti e tali che molti antichi e ferventi seguaci del
Marxismo sono oggi più o meno apertamente contrari
all'attuazione immediata del programma del loro maestro513. Difatti,
sebbene coloro che attualmente governano l'antico impero degli Czar
si sforzino oggi di temperare l'attuazione del programma accennato,
sebbene sia inevitabile che in Russia col tempo dalle fila di coloro
stessi che hanno fatto la rivoluzione esca una nuova borghesia e si
ristabilisca, nella sostanza se non nella forma, la proprietà
privata, riuscì colà impossibile di evitare nei primi
momenti l'attuazione di un tentativo di comunismo integrale514. E si
sa come il tentativo accennato abbia rapidamente prodotto la
disorganizzazione completa di ogni genere di produzione e quindi la
carestia e la fame. Nè crediamo che se il comunismo
trionfasse in altre parti d'Europa sarebbe possibile di evitare un
esperimento analogo, che avrebbe infallibilmente effetti identici e
forse anche peggiori; perchè la sovrapopolata Europa
occidentale ha bisogno continuo, anche in tempi normali, di alcune
materie prime che sono indispensabili alla vita quotidiana e che
solo le altre parti del mondo, e segnatamente l'America, possono ora
fornirle.
Oltre a questi risultati d'indole economica la dittatura del
proletariato avrebbe, in qualunque paese, risultati morali
disastrosi, ancora peggiori forse di quelli che abbiamo descritto e
predetto, quasi trenta anni fa, nella prima parte di questo
lavoro515. In nome di quella dittatura infatti in Russia si è
quasi sterminata l'antica classe dirigente e la si è
sostituita con un'altra, certo più avveduta ed energica, e
forse anche più intelligente, ma che è stata ed
è, quasi per necessità, moralmente assai più
bassa. Poichè, per reggersi contro il malcontento generale,
per fronteggiare la disperazione di tutti coloro che di essa non
fanno parte e per supplire ad altre sue deficienze, deve governare
tirannicamente, passando di sopra a tutti gli scrupoli ed imponendo
l'obbedienza col terrore.
Ma diremo di più: cioè che in Russia bene o male
è stato possibile di trovare un'altra classe dirigente che ha
sostituito l'antica; mentre nell'Europa occidentale ciò
riuscirebbe quasi impossibile e quindi il comunismo si risolverebbe
o meglio si dissolverebbe presto in una completa anarchia. In Russia
infatti l'antica borghesia è stata sostituita dalla piccola
borghesia ebraica e da altri elementi più o meno allogeni,
come sarebbero i Lettoni, gli Armeni ed i Tartari maomettani, ed in
ognuno di questi elementi gli individui che lo compongono erano e
sono fra loro legati da un'antica solidarietà di razza, di
lingua e di religione e dalle comuni piccole persecuzioni ed
esclusioni dalle quali erano colpiti sotto il governo degli Czar, e
quindi gli attuali reggitori possono contare sulla loro
fedeltà516. Nell'Europa occidentale queste minoranze diverse
per razza e per religione dal resto della popolazione non esistono,
e, se pure ve n'è qualcuna, essa si trova in condizioni tali
da farle nella sua grande maggioranza temere assai l'avvento del
comunismo. Sicchè la nuova classe dirigente, necessariamente
reclutata fra la frazione più violenta della plebe e la parte
meno sana della vecchia borghesia, riuscirebbe intellettualmente
insufficiente e mancherebbe quasi sicuramente di quel minimo di
moralità che deve regolare i rapporti fra coloro i quali
commettono insieme una grande bricconata, se si vuole che questa
raggiunga un duraturo successo.
Ed accenneremo infine che anche minori probabilità di durata
di una schietta e sincera dittatura del proletariato avrebbe
attualmente nell'Europa occidentale un esperimento di socialismo
sedicente temperato che, lasciando provvisoriamente e nominalmente
sussistere la proprietà privata, la sottomettesse a tali pesi
ed a tali limitazioni da renderne impossibile il funzionamento. Un
simile regime sarebbe sempre esposto ai violenti attacchi dei
comunisti puri, senza avere l'autorità e la forza di
reprimerli, e non disporrebbe oggi di quel margine di ricchezza che
è indispensabile per potersi permettere gli sperperi che sono
inevitabili anche quando si vuole attuare un socialismo temperato.
Perciò esso, a causa dei suoi insuccessi e delle delusioni
che creerebbe, o degenererebbe presto nel comunismo puro o
preparerebbe senz'altro la trasformazione dell'attuale regime
politico ed economico in una dittatura burocratica e militare.
Questa trasformazione, che corrisponderebbe alla seconda delle
soluzioni della crisi presente del regime rappresentativo, potrebbe
forse diventare momentaneamente opportuna in qualche paese d'Europa,
ma presenterebbe anche essa inconvenienti gravissimi se fosse
adottata come soluzione definitiva. Poichè ciò
significherebbe che l'elemento elettivo, il quale, in tutti i paesi
retti con una delle diverse modalità del sistema
rappresentativo, ha avuto fino al 1914 una partecipazione importante
ed efficace nell'esercizio dei poteri sovrani, dovrebbe scomparire
dalla vita pubblica o venire ridotto a contentarsi di funzioni
secondarie o decorative, lasciando alla burocrazia civile e militare
un'autorità effettiva quasi incontrastata517.
Infatti abbiamo già visto quanto sia grande l'importanza che
ha nello Stato moderno la partecipazione dell'elemento elettivo e
come la grande superiorità e la forza precipua dei moderni
regimi politici risiedano nell'accorta contemperanza, che essi
consentono, del principio liberale con quello autocratico, il primo
rappresentato nelle Camere e nei Consigli dei corpi locali, il
secondo costituito dalla burocrazia stabile. Ed abbiamo visto come
questa compartecipazione sia necessaria perchè tutte le forze
e le capacità politiche siano ammesse nella vita pubblica e
si possa ottenere quel controllo e quella limitazione reciproca fra
i poteri sovrani, che è condizione indispensabile della
libertà politica, la quale altrimenti diventa un'espressione
priva di significato pratico. Poichè anche la libertà
della stampa e tutti in genere i diritti individuali, ossia tutte le
guarentigie concesse ai cittadini contro gli arbitri dei pubblici
funzionari, sarebbero insufficientemente tutelate una volta che
l'elemento elettivo venisse a pesare poco o nulla nella bilancia dei
pubblici poteri.
Si ritornerebbe in altre parole a quel regime assoluto,
probabilmente mascherato da una larva di sovranità popolare,
per distruggere il quale i nostri padri strenuamente lottarono, che
la giovine generazione non ha visto e che generalmente non sa
neppure come fosse fatto. Ora le conseguenze di questo regime
sarebbero oggi infinitamente più gravi di quello che potevano
essere un secolo o anche mezzo secolo fa; perchè nel
frattempo le attribuzioni dello Stato, e con esse la quantità
di ricchezza che questo assorbisce e distribuisce, sono oltremodo
aumentate. Sicchè l'assolutismo dei governanti non troverebbe
più come una volta, e come accade ancora nelle organizzazioni
politiche rozze e primitive, un freno ed un limite nella scarsezza
dei mezzi di cui il governo dispone. Oggi, data l'attuale perfezione
ed il grande sviluppo preso dalla macchina statale, una burocrazia
il cui potere non fosse limitato e controllato, facilmente potrebbe
spezzare qualunque resistenza individuale e collettiva, sopprimere
ogni iniziativa di elementi estranei ad essa ed esaurire l'intiero
corpo sociale succhiandone tutte le forze vitali.
E finalmente non impiegheremo molte parole per descrivere i pericoli
della terza soluzione radicale dell'attuale crisi del regime
parlamentare, cioè della soluzione sindacalista;
poichè dopo quanto abbiamo scritto in proposito poche pagine
avanti ci sembra che essi debbano già riuscire evidenti.
Difatti una Camera che disponesse di poteri sovrani, che
partecipasse alla formazione delle leggi e che fosse la
rappresentanza legale dei sindacati di classe fornirebbe la migliore
base possibile per la organizzazione di quella sovranità
intermedia fra gli individui e lo Stato, la quale rappresenta forse
la minaccia più grave che incombe sulla società
nell'attuale momento politico. Poichè, per mezzo dei loro
rappresentanti, i sindacati stessi potrebbero esercitare un'azione
efficacissima entro lo Stato e contro lo Stato e paralizzare ogni
sforzo che questo potrebbe fare per sottrarsi alla loro tutela.
E sarebbe ingenuo supporre che la coesistenza di un'altra Camera, o
anche di altre due Camere, formate coll'antico sistema della
rappresentanza individuale o con altri elementi estranei ai
sindacati, sarebbe sufficiente a controbilanciare l'azione della
terza Camera eletta dai sindacati. Si dovrebbe infatti omai sapere
che l'efficacia di un organo politico, l'importanza che esso assume
nella direzione effettiva dello Stato, non è prevalentemente
in relazione coi poteri legali che gli statuti fondamentali gli
conferiscono, ma piuttosto proviene dal prestigio di cui l'organo
stesso gode nella pubblica opinione e sopratutto dalla
quantità di forze sociali, d'interessi, di idee e di
sentimenti che in esso trovano la loro espressione. Ed è
appunto per questa ragione che fino ad oggi le Camere che
provenivano direttamente dall'elezione popolare hanno in generale
esercitato maggiore influenza di quelle formate con criteri diversi,
sebbene spessissimo queste ultime contassero fra i loro membri un
numero maggiore di capacità tecniche e di valori individuali.
Ora, data l'importanza che l'opera delle singole classi ha
acquistato nella vita economica di ogni paese civile, non è
esagerato supporre che l'azione della Camera sindacale potrebbe
facilmente prevalere su quella delle altre; molto più se si
tiene presente che i sindacati più numerosi potrebbero coi
loro suffragi compatti e disciplinati influire moltissimo sulle
elezioni dei membri della Camera che conservasse la presente base
individuale.
Nè si deve infine credere che in una Camera composta dai
rappresentanti dei sindacati facilmente prevarrebbero gli elementi
più colti, come sarebbero ad esempio i rappresentanti dei
magistrati e dei professori, o quelli degli avvocati e degli
ingegneri. Anzi molto probabilmente la preponderanza sarebbe quasi
immediatamente assunta dai rappresentanti dei ferrovieri, dei
marinai, degli scaricatori dei porti ed, in Inghilterra ed in
Germania, anche da quelli dei minatori; perchè la forza di un
sindacato non sarebbe in ragione della cultura dei suoi aderenti, ma
piuttosto in ragione del loro numero e sopratutto della
indispensabilità della funzione, che ad ogni classe è
affidata, per la vita quotidiana della società. Ed è
certo più indispensabile la funzione dei ferrovieri e dei
panattieri che quella dei professori e degli avvocati. Perciò
se i sindacati più incolti e più numerosi, tutti
più o meno iniziati alle dottrine marxiste e studiosamente
allevati nella credenza della necessità della così
detta lotta di classe, si mettessero d'accordo, essi potrebbero
senz'altro impadronirsi della direzione dello Stato. Se poi, come
è probabile, l'accordo alla lunga riuscisse impossibile,
allora si avrebbe una grande disorganizzazione economica, che
sarebbe completata dall'anarchia politica518.
VI. — Da quanto abbiamo detto risulta evidente che le tre sole
soluzioni radicali possibili della crisi che ora attraversa il
regime rappresentativo condurrebbero le nazioni europee all'adozione
di un regime politico meno perfetto, e si potrebbe anche dire
più rozzo, di quello finora esistente. Esse sarebbero
l'indizio di una decadenza politica, che al solito diventerebbe
nello stesso tempo causa ed effetto di una decadenza generale della
civiltà. Certo che nessuno vorrà affermare che il
regime rappresentativo non possa essere suscettibile di notevoli
perfezionamenti e che esso non possa col tempo essere sostituito da
un altro migliore. Anzi, se l'Europa potrà vincere le
difficoltà del momento presente, è probabile che,
nell'anno duemila e forse anche prima, fra trenta quarant'anni,
spontaneamente, come conseguenza delle nuove idee, dei nuovi
sentimenti e dei nuovi bisogni che saranno maturati, potranno essere
attuati altri ordinamenti politici preferibili a quelli ora
esistenti.
Disgraziatamente i risultati morali ed economici della lunga guerra
hanno reso proprio in questo momento difficile il retto
funzionamento delle istituzioni che erano in vigore fino al 1914; le
quali, come abbiamo visto, richiedevano e richiedono, come
condizione necessaria per mantenere integra la loro vitalità,
la continuazione di quel periodo di pace relativa e di
prosperità generale di cui il mondo ha goduto negli ultimi
decenni del secolo scorso e nel primo di quello corrente. La guerra
non ha creato, ma bensì ha reso più virulenti ed
attivi, i germi di dissoluzione che il regime rappresentativo, come
qualunque altro, conteneva e contiene; e l'azione di questi germi
oggi ne minaccia l'esistenza prima che le forze riparatrici, le
quali agiscono nel seno di ogni società la cui
vitalità non sia esaurita, abbiano potuto elaborare gli
elementi necessari per la creazione di un nuovo tipo di
organizzazione politica più elevato di quello finora in
vigore. In altre parole, la vecchia casa minaccia di crollare prima
che siano pronti i materiali per costruire la nuova; e
perciò, se il crollo avvenisse, bisognerebbe rifugiarsi fra i
ruderi di una casa ancora più vecchia, e che fu da due o tre
generazioni abbandonata, ovvero in una capanna improvvisata.
Ed è per queste ragioni che pur avendo quarant'anni fa
iniziato la nostra carriera di scrittore con un volume giovanile,
che però non rinneghiamo, nel quale abbiamo cercato di
mettere a nudo le menzogne contenute nei presupposti del regime
rappresentativo e le magagne del Parlamentarismo, oggi che
l'età avanzata ha reso più cauti ed oseremmo dire
più ponderati i giudizi e più meditate le conclusioni,
considerando attentamente e spassionatamente le condizioni di molti
popoli europei e sopratutto quello della nostra Italia, ci sentiamo
costretti a raccomandare alla generazione novella la restaurazione e
la conservazione di quel regime politico che essa ha ereditato dai
suoi padri519.
È evidente che l'opera non è facile. Anzitutto
perchè occorre che siano almeno iniziati la restaurazione
economica dell'Europa ed il conseguente miglioramento delle
condizioni della classe media, senza la cooperazione della quale
nessuna forma di regime rappresentativo riesce alla lunga possibile,
ed è noto che alla cennata restaurazione fanno pur troppo
ostacolo gli odî ancora vivi fra le varie classi sociali e
quelli ancora più vivi fra i diversi popoli europei, odii che
la guerra ha terribilmente eccitato e che non si sono fino ad oggi
sopiti. Bisognerebbe perciò che nella mente e nei cuori di
tutte le nazioni europee entrasse finalmente la convinzione che esso
hanno molti comuni e supremi interessi da salvaguardare, e che sono
tra loro legate da tale una fitta rete di rapporti intellettuali,
sentimentali ed economici ed hanno tali affinità psicologiche
e culturali che riesce impossibile che le sofferenze, l'avvilimento,
la decadenza di una di esse non abbiano il loro contraccolpo su
tutte le altre.
La restaurazione del sistema rappresentativo non significa poi che
esso non possa e non debba, sopratutto in qualche paese, subire
alcune modificazioni. Secondo noi una delle più importanti
dovrebbe riguardare la legislazione sulla stampa; nella quale non
dovrebbe poi riuscire impossibile di conservare integra la
libertà dell'indagine scientifica e l'esercizio di una onesta
critica verso gli atti dei governanti, rendendo più difficile
quella corruzione d'intelletti, che sono e saranno eternamente
minorenni, la quale finora è stata, in qualche nazione
europea, liberamente esercitata. E, volendo raggiungere questo fine,
bisognerebbe sopratutto adottare il principio che la
responsabilità dei reati di stampa, come quella di qualunque
altro reato, deve essere attribuita a colui che realmente li ha
commesso, cioè allo scrittore520. Un'altra modificazione
necessaria ed urgente, se non in tutti in parecchi paesi d'Europa,
dovrebbe riguardare i limiti della libertà di associazione,
che alle volte sono così vaghi ed indefiniti da permettere ad
un governo forte ed autoritario di sopprimere con misure di polizia
ogni associazione e da non offrire nello stesso tempo ad un governo
debole e timido alcuna efficace difesa di fronte all'organizzazione
di elementi contrari alla forma attuale dello Stato e che mirano ad
impadronirsi dei suoi stessi organi per sopraffarlo521.
Ma per superare la presente crisi, che minaccia gli ordinamenti
politici e la stessa compagine sociale, più di ogni altra
cosa occorre che la classe dirigente, spogliandosi di molti
pregiudizi e modificando la propria mentalità, acquisti la
coscienza di esser tale ed abbia quindi chiara la nozione dei propri
diritti e dei propri doveri. E questa nozione non potrà avere
se non saprà elevare il livello della propria cultura
politica, fino ad oggi deficiente anche nei paesi più colti
d'Europa ed in qualcuno deficientissima. Perchè allora
soltanto imparerà a giudicare rettamente l'opera dei suoi
capi, potrà riacquistare presso le masse il prestigio, che in
gran parte ha perduto, e saprà guardare un po' al di
là dei suoi interessi immediati, senza sciupare più
quasi tutta la sua energia per il conseguimento di scopi che giovano
solo a determinati individui ed alle piccole consorterie che attorno
ad essi si formano. Bisogna infine una buona volta convincersi che
oggi siamo in condizioni tali che, per fare degnamente parte di
quella scelta minoranza alla quale sono affidate le sorti di ogni
paese, non basta l'avere conseguito una laurea d'avvocato od il
saper dirigere un'azienda commerciale od industriale, e neppure
l'aver saputo nobilmente esporre la propria vita nelle trincee, ma
sono necessari lungo studio e grande amore.
In ogni generazione vi è un certo numero di caratteri,
generosi che sanno amare tutto ciò che è, od appare,
nobile e bello e consacrano una buona parte della loro
attività ad elevare od a salvare dalla decadenza la
società nella quale vivono. Costituiscono essi quella piccola
aristocrazia morale ed intellettuale che impedisce
all'umanità di imputridire nel fango degli egoismi e degli
appetiti materiali, ed a questa aristocrazia principalmente si deve
se molte nazioni sono uscite dalla barbarie e non vi sono mai del
tutto ricadute. Raramente coloro che di quest'aristocrazia fanno
parte arrivano ai posti più eminenti della gerarchia
politica, ma essi fanno opera forse più efficace,
perchè, plasmando la mentalità ed orientando i
sentimenti dei loro contemporanei, riescono per questa via ad
imporre il proprio programma ai reggitori degli Stati.
È impossibile che nella generazione novella vi sia mancanza o
deficienza di questi caratteri generosi. Ma più di una volta,
nel corso ornai lungo della storia, è accaduto che i loro
sforzi ed i loro sacrifizi sono stati impotenti a salvare un popolo
od una civiltà dalla decadenza e dalla rovina.
Senonchè, a guardarci bene, noi crediamo che ciò sia
in gran parte accaduto perchè allora i migliori non hanno
avuto una visione chiara e precisa dei bisogni della loro epoca e
quindi dei metodi e dei mezzi più adatti a conseguire la
salvezza. Terminiamo perciò facendo voti vivissimi che questa
visione non manchi oggi alla parte più nobile della
gioventù o che Dio illumini la sua mente e riscaldi il suo
cuore in modo che essa sappia meditare ed agire durante la pace cosi
fortemente come, durante la guerra, ha saputo combattere.
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
CITATI NEL VOLUME
A
Althusius
Amari Michele
Ammiano Marcellino
Ammon Otto
Antonelli
Apuleio
Aristotile
Averroè
B
Bacone Francesco
Bagehot Guglielmo
Bakunine
Ball John
Bebel
Bellamy
Beloch Giulio
Bertolini Pietro
Bismark
Blanc Luigi
Block
Bluntschli
Boisgilbert Edmund
Boissier Gaston
Bossuet
Botero Giovanni
Brissot de Warville
Brougham
Brugsch
Bryce
Buchanan
Buchez
Buckle
Buffon
Buonarroti
Burke
C
Cabet
Cantarelli Luigi
Capponi Gino
Caussidière
Cedreno
Celso
Cesare
Cherbuliez (Valbert)
Claudiano
Clavel
Cognetti De Martiis
Colajanni Napoleone
Compagni Dino
Comte Augusto
Confucio
Crosa
D
De Gobineau
De Gourmont
De La Hodde Luciano
De La Marck
De La Mazelière
De Mas Sinibaldo
De Pabieu
De Quatrefages
De Sanctis Gaetano
De Solis Antonio
De Unamuno Miguel
De Varigny
De Witt Cornelius
Diehl Carlo
Donnat Léon
Dostoiewsky
Dumas George
Dupont White
E
Ébelot Alfred
Ecclesiaste
Engels Federico
Erodoto
Esiodo
F
Federico 2° di Prussia
Ferrari Giuseppe
Ferraris Galileo
Ferrero Guglielmo
Ferrero Guglielmo e Barbagallo
Ferrero Lombroso Gina
Ferri Enrico
Fischel
Firmin
Fouillée Alfred
Fourier
Fustel de Coulanges
G
Garofalo Raffaele
Gerhart Émile
George Enrico
Glaber Raoul
Grave
Gregorio Rosario
Grote
Guicciardini
Gumplwicz
H
Hammer Pürgstall
Hammurabi (Codice di Hammurabi)
Hartmann
Holtzendorf
Huart
Huc
J
Janet Paolo
Jannet Claudio
K
Karamzine
Keines John Meynard
L
Lamartine
Lapouge
Las Casas
Lassalle Ferdinando
Le Bon Gustavo
Lenin (Ulianof)
Lenormant
Léroux Pietro
Leroy Beaulieu Anatole
Letourneau
Libro dei Giudici
Libro dei Re
Libro di Samuele
Lombroso Cesare
Loria Achille
Luzio Alessandro
M
Macaulay
Mably
Machiavelli
Malaterra Goffredo
Manzoni
Marat
Marco Aurelio
Mablo Carlo (Vinkelblech)
Marsilio di Padova
Marquardt
Marx Carlo
Maspero
Massaja
Mayer Gustavo
Melegari Dora
Memor (Raffaele De Cesare)
Merlino
Messedaglia Angelo
Metchnikof
Michels Roberto
Mickiewicz Adamo
Mirabeau
Mommsen e Marquardt
Mommsen Teodoro
Montesquieu
Morelly
Mosca Bernardo
Mosca Gaetano
Mongeolle
N
Nisco Niccola
Nitti Francesco Saverio
Nobili Vitelleschi
Novikov Giacomo
O
Oberwalder
Odescalchi Baldassare
O' Connell
O' Meara
Omero
Origene
Ostroorski
P
Pacchioni Giovanni
Pantaleoni Diomede
Pareto Vilfredo
Pascal
Platone
Plauchut Edmondo
Polibio
Pollock Federico
Prins Adolfo
Proudhon
Puglia
R
Réclus Élisée
Renan
Rensi Giuseppe
Rituale dei Morti degli antichi Egiziani
Rodbertus
Rodriguez Olindo
Rousseau Gian Giacomo
Rousset Léon
Ruffini Francesco
Rutilio Numaziano
S
Saint-Simon Claudio Enrico
Sallustio
Salviano
Sant'Agostino
San Tommaso
Scababelli Ignazio
Schäffle
Schérer
Schlumberger
Schuré Édouard
Scolari Saverio
Seamen
Sénart Émile
Seneca
Senofonte
Sernicoli
Sheldon Amos
Spencer
Stanley Enrico
T
Tacito
Tarde
Tchernychevski
Thiers Adolfo
Thureau-Dangin
Tocqueville Alessio
Toreno
Tucidide
Turiello
U
Ulpiano
V
Vico Gian Battista
Vigo de Roussillon
Villetard
Voltaire
Von der Goltz
W
Waliszewski
Wellington
Winschell
Worms René
Z
Zakharof
INDICE
PARTE PRIMA
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origini e scopi della scienza politica. — II. Perchè si
è scelta questa denominazione. — III. Il metodo sperimentale
e l'origine delle scienze. — IV. Varie applicazioni di questo metodo
nella scienza politica. — V. Sistema che dà la prevalenza
all'ambiente fisico nello studio della scienza politica. — VI. Della
prevalenza dei popoli del settentrione su quelli del mezzogiorno. —
VII. Continua lo stesso argomento. — VIII. I vari tipi di
organizzazione politica e le diversità di clima. — IX.
Importanza della diversa configurazione del suolo. — X. Sistema che
fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze
umane. — XI. Razze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle
razze. — XIII. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza.
— XIV. Il progresso politico ed il miglioramento fisico delle razze
umane. — XV. Riassunto delle teoriche evoluzioniste. — XVI. Il
metodo storico fondato sulla identità fondamentale delle
tendenze ed attitudini politiche delle grandi razze umane. — XVII.
Nuovi materiali di cui questo metodo dispone. — XVIII. Obiezioni che
ad esso si fanno. — XIX. Condizioni alle quali questo metodo
può essere bene adoperato. — XX. Continuazione dello stesso
argomento e conclusione.
CAPITOLO II.
La classe politica.
I. Predominio di una classe dirigente in tutte le società. —
II. Importanza politica di questo fatto. — III. Prevalenza delle
minoranze organizzate sulle maggioranze. — IV. Forze politiche. Il
valor militare. — V. La ricchezza. — VI. Le credenze religiose e la
cultura scientifica. — VII. Influenza dell'eredità nella
classe politica. — VIII. Periodi di stabilità e di
rinnovamento della classe politica.
CAPITOLO III.
Nozioni preliminari.
I. La formola politica. — II. Il tipo sociale. — III. Rapporti tra
il tipo sociale e le religioni universali. — IV. Efficacia di queste
religioni. — V. La formola politica e le religioni universali. — VI.
Lo Stato feudale e lo Stato burocratico. — VII. Differenze fra
questi due tipi di ordinamento politico. — VIII. Cenno sulle cause
della decadenza degli Stati burocratici.
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. —
II. Coesistenza di diversi tipi sociali in unico organismo politico.
— III. Unità e differenze di tipo sociale tra le varie classi
dello stesso popolo. — IV. Rapporti tra la diversità dei
costumi e la varietà del tipo sociale. — V. Psicologia delle
plebi. — VI. Conseguenze della diversità di tipo sociale tra
la plebe e la classe dirigente.
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
I. Varie opinioni intorno al progresso del senso morale. — II. La
scuola evoluzionista. — III. Dottrina del Buckle - Disciplina del
senso morale. — IV. Influenza delle credenze religiose nella
disciplina del senso morale. — V. Influenza dell'organizzazione
politica. — VI. Il semplicismo politico in rapporto alla difesa
giuridica. — VII. I Governi misti - Completamento della teoria di
Montesquieu sulla divisione dei poteri. — VIII. Influenza della
separazione del prestigio religioso dal potere laico. — IX.
Influenza della distribuzione della ricchezza. — X. Rappresentanza
ed equilibrio di tutte le forze politiche. — XI. L'unità di
tipo nella classe politica.
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime
rappresentativo e la difesa giuridica. — III. Significato della
così detta azione dello Stato. — IV. Questioni intorno ai
limiti di questa azione. — V. La dottrina del Comte sui tre stadi
intellettuali e politici. — VI. Valore pratico del parallelismo
stabilito dal Comte. — VII. Classificazione degli Stati, secondo lo
Spencer, in militari ed industriali. — VIII. Debolezze e lacune di
questa classificazione.
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
I. Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri
coefficienti delle gare religiose e politiche. — III. Qualità
dei fondatori di nuove religioni e dottrine politiche. — IV. Nuclei
dirigenti di ogni nuova religione o dottrina politica. — V.
Condizioni transitorie per l'adattabilità delle dottrine
religiose e politiche ai vari momenti storici. — VI. Condizioni
permanenti per la loro adattabilità alla natura umana. — VII.
Transazioni pratiche di certe dottrine. — VIII. Organizzazione
stabile dei nuclei dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti
generosi e degli interessi materiali. — X. Sistemi per attirare e
dominare le masse. — Efficacia della forza materiale. — XI. Altre
arti adoperate allo stesso scopo. — XII. Conclusione del capitolo.
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni.
I. Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei
Comuni medioevali. — II. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica,
nell'Europa feudale e nei paesi maomettani. — III. Rivoluzioni in
China. — IV. Insurrezioni di carattere nazionale. — V. Insurrezioni
rurali in Europa. — VI. Rivoluzioni tipiche della Francia moderna. —
VII. Condizioni per la riuscita di queste rivoluzioni.
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — II. Lo
Stato burocratico e gli eserciti mercenari e stanziali. — III.
Preponderanza politica abituale dell'elemento militare. — IV.
Ragioni per le quali questa preponderanza è stata limitata e
distrutta nei paesi di civiltà europea. — V. Importanza
pratica delle moderne milizie cittadine. — VI. Diversità di
classe fra la bassa forza e gli ufficiali in molti eserciti
stanziali. — VII. Giudizi e pregiudizi intorno alle speciali
attitudini militari dei vari popoli. — VIII. Gli eserciti stanziali,
la guerra e l'avvenire della civiltà di tipo europeo.
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — II. I tre problemi della vita moderna
— Il problema religioso. — III. L'avvenire del Cristianesimo. — IV.
Il Cristianesimo e la scienza positiva. — V. Il problema politico. —
VI. Esame critico del Parlamentarismo. — VII. Le riforme del
Parlamentarismo. — VIII. Quale sarebbe la riforma fondamentale —
Ostacoli che incontra. — IX. Il problema sociale — Origine della
democrazia sociale. — X. Estensione ed importanza della democrazia
sociale — Varie scuole nelle quali si divide. — XI. Esame critico
del collettivismo. — XII. La giustizia nell'organizzazione sociale.
— XIII. Esame critico dell'anarchia. — XIV. La lotta di classe. —
XV. Effetti pratici della democrazia sociale. — XVI. Cause della
stessa. — XVII. Probabilità di trionfo della democrazia
sociale. — XVIII. Rimedi atti a combatterla. — XIX. Missione della
scienza politica.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da circa un
secolo. — II. Cause estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo.
— III. Cause intrinseche della sua mancata diffusione e cenni sui
modi di eliminarle.
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica.
I. I primi nuclei politici. — II. I grandi imperi orientali. — III.
Formazione dello Stato ellenico. — IV. Originalità e
debolezze dello Stato ellenico.
CAPITOLO III.
Continua il tema del capitolo precedente. — I. Caratteri speciali
della città-Stato romana. — II. Sua graduale trasformazione
in uno Stato burocratico-militare durante l'Impero. — III.
Dissolvimento dello Stato e della civiltà romana. — IV. Cause
che prepararono lo Stato feudale e sue caratteristiche. — V,
Graduale trasformazione dello Stato feudale nello Stato assoluto
burocratico. — VI. Cause intellettuali ed economiche che preparano
la trasformazione dello Stato assoluto burocratico nello Stato
rappresentativo moderno. — VII. La Costituzione inglese del secolo
XVIII fornisce il modello formale allo Stato rappresentativo
moderno. — VIII. Caratteristiche dello Stato rappresentativo moderno
ed elementi dissolvitori che lo minacciano.
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
I. I due principi e le due tendenze che si possono riscontrare nelle
varie classi politiche. — II. Il principio autocratico. — III. I due
strati della classe politica e l'autocrazia burocratica. — IV. Il
principio liberale. — V. Analisi della tendenza democratica. — VI.
Analisi della tendenza aristocratica. — VII. Risultati
dell'equilibrio fra i due principi e le due tendenze.
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
I. Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli
Stati e quello della classe politica. — II. Rapporti fra il valore
intellettuale e morale della classe politica e quello dei governati.
— III. Confutazione del materialismo storico. — IV. Se sia possibile
il governo dei migliori e quali siano politicamente i migliori. — V.
La giustizia assoluta e la giustizia relativa nelle organizzazioni
politiche. — VI. Se i progressi della scienza politica potranno in
avvenire evitare le grandi crisi sociali.
CAPITOLO VI.
Conclusione.
I. Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo
decimonono. — II. Programma politico del detto secolo. — III.
Risultati pratici dell'esecuzione di questo programma. — IV. Germi
di dissoluzione politica che esso conteneva e contiene. — V.
Pericoli e danni che presentano le tre soluzioni radicali possibili
della crisi che ora traversa il regime rappresentativo. — VI.
Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi
più adatti per effettuarla.
Gaetano Mosca
Elementi di scienza politica
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Elementi di scienza politica
AUTORE: Mosca, Gaetano
TRADUTTORE:
CURATORE:
NOTE:
CODICE ISBN E-BOOK:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Elementi di scienza politica / Gaetano Mosca; 2. ed. con
una seconda parte inedita. - Torino : F.lli Bocca, 1923. – IX. 514
p.; 24 cm.
CODICE ISBN FONTE: non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 23 aprile 2012
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
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REVISIONE:
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culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone
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letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono
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Indice generale
PREFAZIONE 8
PARTE PRIMA 11
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
12
CAPITOLO II.
La classe politica. 85
CAPITOLO III
Nozioni preliminari. 114
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo
sociale. 140
CAPITOLO V.
La difesa giuridica. 163
CAPITOLO VI.
Polemiche. 211
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
248
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni. 300
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali. 333
CAPITOLO X.
Conclusione. 363
PARTE SECONDA 488
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione. 489
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica. 504
CAPITOLO III. 536
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
585
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche. 639
CAPITOLO VI.
Conclusione. 691
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
CITATI NEL VOLUME
736
INDICE 746
Gaetano Mosca
PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO COSTITUZIONALE
NELL'UNIVERSITÀ DI TORINO
SENATORE DEL REGNO
ELEMENTI
DI
SCIENZA POLITICA
Seconda edizione con una seconda parte inedita.
Dilexi justitiam, quaesivi veritatem.
TORINO
FRATELLI BOCCA EDITORI
3 - Via Carlo Alberto - 3
1923
ALLA DOLCE E CARA MEMORIA
DI MIA FIGLIA GRAZIELLA
DEDICO QUESTE
PAGINE
ALLE QUALI HO CONSACRATO
LE ORE MIGLIORI DELLA MIA VITA
PREFAZIONE
Il volume che ora viene alla luce consta di due parti: la prima
è la seconda edizione degli Elementi di Scienza politica, che
furono pubblicati alla fine del 1895; la seconda è
completamente nuova e fu pensata e scritta negli ultimi due o tre
anni.
Essendo infatti da un pezzo esaurita la prima edizione del lavoro
sulla Scienza politica, pubblicato quasi trenta anni fa, diventava
necessario farne una nuova; ma intanto erano mutati i tempi, nuovi
avvenimenti erano maturati ed essi mi fornivano nuovi dati dei quali
dovevo tener conto, anche perchè modificavano sensibilmente
alcuni dei modi di vedere ai quali mi ero conformato quando scrivevo
la prima parte del lavoro. Nè devo nascondere al lettore che
a ciò hanno contribuito quelle variazioni che avvengono nel
carattere e nella mentalità di qualunque uomo, finchè
l'uno e l'altra, con l'età molto avanzata, non si
cristallizzano in una forma definitiva.
Date queste mie condizioni intellettuali e morali, o dovevo rifare
la prima parte dell'opera o dovevo scriverne un'altra, che
perfettamente corrispondesse alla mia odierna maniera di pensare. Ho
scelto quest'ultima soluzione, aggiungendo alla prima parte del
lavoro solo le poche note che sono segnate con un asterisco, anche
perchè tenevo a mantenere integra l'interpretazione che molti
anni fa avevo dato ad alcuni importanti problemi politici,
interpretazione che fatti recentissimi hanno oggi confermato.
Ma, tanto nella prima che nella seconda parte del presente lavoro,
mi sono sforzato di mantenermi fedele al metodo che, fin da quando
ancora giovanissimo scrivevo la Teorica dei governi, ho adottato e
che poi ho cercato sempre di praticare apportandovi tutti i
miglioramenti di cui ero capace. Da moltissimi anni sono convinto
che l'unico sistema possibile col quale l'uomo può fino ad un
certo punto dominare le proprie passioni e migliorare le proprie
sorti consiste nello studio della psicologia umana individuale e
collettiva. Fin da un'epoca molto remota la saggezza ellenica avea
giudicato che la maniera più efficace che avea l'uomo per
elevare il proprio carattere e moderare gli effetti di alcuni suoi
istinti consistesse nella conoscenza di se stesso. È quindi
spiegabile se ho creduto e credo fermamente che un simile metodo
possa applicarsi con uguali risultati allo studio della psicologia
collettiva. Esso anzi fu già ad essa applicato più di
ventidue secoli fa, nell'epoca cioè nella quale il grande
Aristotile scriveva la sua Politica, e ben altri risultati potrebbe
dare oggi quando, mercè il progresso degli studi storici,
geografici e statistici, conosciamo tanta parte del passato e del
presente dell'umanità. Aggiungerò che l'esempio
dell'Economia politica la quale, studiando collo stesso sistema i
fenomeni economici, ha potuto sicuramente mettere in evidenza alcune
delle leggi che li regolano, mi ha oltremodo confortato a persistere
nella via che da un pezzo avevo scelto.
Naturalmente non mi nascondo le grandi difficoltà che
presenta l'uso del metodo che ho rapidamente accennato, fra le quali
occupa uno dei primi posti la quantità di cognizioni esatte
che esso richiede su tutto quanto è accaduto ed accade nelle
società che hanno una storia; nè io mi lusingo di
averle tutte superate. Quindi posso soltanto affermare che ho fatto
del mio meglio, fiducioso che, se la civiltà umana
saprà superare la procella che oggi la minaccia, la modesta
opera mia potrà essere da altri continuata e perfezionata e
che potranno essere a poco a poco colmate tutte le grandi lacune che
essa oggi presenta.
Dirò, per ultimo, che mi sono sforzato di comprimere tutte
quelle passioni e quei sentimenti che potevano annebbiare la visione
obiettiva dei fatti sui quali dovevo fondare le mie conclusioni.
Riconosco che la completa riuscita di questo sforzo esigerebbe che
l'uomo non fosse più tale, ma credo di aver fatto tutto
ciò che, mercè la buona fede e la buona
volontà, si poteva in questo senso ottenere. Prossimo a
chiudere la mia carriera scientifica, ho fermamente voluto esporre,
senza odi, senza collera, senza entusiasmi, colla serenità
che solo l'età avanzata può dare, tutto quanto lo
studio degli avvenimenti e del carattere umano aveva potuto
insegnarmi.
Torino, dicembre del 1922.
Gaetano Mosca.
PARTE PRIMA
Dilexi justitiam, quaesivi veritatem.
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origini e scopi della scienza politica. — II. Perchè si
è scelta questa denominazione. — III. Il metodo sperimentale
e l'origine delle scienze. — IV. Varie applicazioni di questo metodo
nella scienza politica. — V. Sistema che dà la prevalenza
all'ambiente fisico nello studio della scienza politica. — VI. Della
prevalenza dei popoli del settentrione su quelli del mezzogiorno. —
VII. Continua lo stesso argomento. — VIII. I vari tipi di
organizzazione politica e le diversità di clima. — IX.
Importanza della diversa configurazione del suolo. — X. Sistema che
fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze
umane. — XI. Razze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle
razze. — XIII. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza.
— XIV. Il progresso politico ed il miglioramento fisico delle razze
umane. — XV. Riassunto delle teoriche evoluzioniste. — XVI. Il
metodo storico fondato sulla identità fondamentale delle
tendenze ed attitudini politiche delle grandi razze umane. — XVII.
Nuovi materiali di cui questo metodo dispone. — XVIII. Obiezioni che
ad esso si fanno. — XIX. Condizioni alle quali questo metodo
può essere bene adoperato. — XX. Continuazione dello stesso
argomento e conclusione.
I. — Da molti secoli si è affacciata alla mente dei pensatori
l'ipotesi che i fenomeni sociali, che davanti ad essi si svolgevano,
non fossero meri accidenti, nè la manifestazione di una
volontà soprannaturale ed onnipotente, ma piuttosto l'effetto
di tendenze psicologiche costanti, che determinano l'azione delle
masse umane. Fin da Aristotele si è cercato di scoprire le
leggi e le modalità che regolano l'azione di queste tendenze
e lo studio, che ha avuto questo obietto, si è chiamato
politica.
Nei secoli decimosesto e decimosettimo molti scrittori, in Italia
specialmente, si occuparono di politica1. Però essi, a
cominciare da Machiavelli, che è fra tutti il più
famoso, non si occuparono tanto di determinare quelle tendenze
costanti in tutte le società umane, che abbiamo già
accennato, quanto d'investigare le arti per le quali un uomo od una
classe di persone potevano arrivare a disporre del supremo potere,
in una data società, ed a difendersi contro gli sforzi di
coloro che li volevano surrogare. Si tratta di due cose, che,
sebbene abbiano qualche punto di contatto tra loro, pure sono
sostanzialmente diverse2. Un esempio, che crediamo molto calzante,
dimostra ciò assai meglio di un lungo ragionamento.
L'Economia politica studia le leggi o le tendenze costanti, che
regolano nelle società umane la produzione e la distribuzione
della ricchezza: ma questo studio non equivale in niun modo all'arte
di arricchirsi e di conservare le dovizie. Un valentissimo
economista può infatti essere assolutamente inetto a
costituirsi un patrimonio, ed un banchiere, un industriale, uno
speculatore, sebbene possano ricavare qualche lume dalla conoscenza
delle leggi economiche, non hanno bisogno di esserne maestri e
riescono del resto a fare abbastanza bene i loro affari anche se
completamente le ignorano.
II. — Ai giorni nostri lo studio iniziato da Aristotele si è
suddiviso e specializzato, sicchè più che la scienza
abbiamo le scienze politiche. Inoltre si è cercato di fare la
sintesi, di coordinare i risultati di queste scienze ed è
nata così la Sociologia. Anche gli scrittori di diritto
pubblico, i quali interpretano e commentano le leggi positive, quasi
sempre sono trascinati all'indagine delle tendenze generali alle
quali queste leggi sono inspirate, e gli storici, che narrano gli
avvenimenti umani, dall'esame di questi hanno spessissimo cercato di
dedurre le leggi che li regolano e li determinano. Così
fecero nell'antichità Polibio e Tacito, nel secolo
decimosesto Guicciardini, nel secolo presente Macaulay e Taine.
Filosofi, teologi, giuristi, quanti hanno avuto per fine diretto od
indiretto dei loro lavori il miglioramento della umana
società, ed hanno perciò esaminato le leggi che ne
regolano l'organizzazione, possono essere considerati, almeno da un
lato, come studiosi di scienze politiche. Sicchè forse una
buona metà dello scibile umano, una somma immensa di sforzi
intellettuali, che l'uomo ha impiegato alla ricerca del suo passato,
a scrutare il suo avvenire, a studiare la propria natura morale e
sociale, si può considerare come ad esse consacrata.
Fra le scienze politiche o sociali una branca ha finora raggiunto
una maturità scientifica tale che, per la sicurezza e
l'abbondanza dei risultati acquisiti, si lascia notevolmente
indietro tutte le altre. Intendiamo alludere all'Economia politica.
Infatti verso la fine del secolo decimottavo alcuni ingegni potenti
hanno isolato i fenomeni riguardanti la produzione e la
distribuzione della ricchezza dagli altri fenomeni sociali, ed,
isolatamente guardandoli, sono riusciti a determinare molte delle
leggi o tendenze psicologiche costanti alle quali ubbidiscono.
L'isolamento dei fenomeni economici dagli altri rami delle scienze
sociali, e specialmente l'uso invalso di considerarli come
indipendenti dagli altri fenomeni, che riguardano l'organizzazione
dei poteri politici, se da una parte spiega i rapidi progressi
dell'Economia politica, dall'altra è forse la causa
principale per la quale alcuni postulati di questa scienza sono
ancora soggetti a discussione. Sicchè forse, coordinando le
proprie osservazioni con altre che riguardano altri lati della
psicologia umana, l'Economia politica potrà fare nuovi e
decisivi passi in avanti3.
È indiscutibile però che non si possono studiare le
tendenze che regolano l'ordinamento dei poteri politici senza tener
conto dei risultati che l'Economia politica, questa scienza sorella
che ha raggiunto più presto la sua maturità, ha di
già ottenuto. Noi lo studio delle tendenze suddette, che
forma oggetto di questo nostro lavoro, chiamiamo Scienza politica.
Ed abbiamo scelta questa denominazione perchè fu la prima
usata nella storia dello scibile umano, perchè ancora non
è caduta in disuso4, ed anche perchè il nome nuovo di
Sociologia, che, dopo Augusto Comte, si è da molti scrittori
adottato, non ha ancora una significazione ben determinata e precisa
e, nell'uso comune, comprende tutte le scienze sociali, fra le quali
anche le economiche e quelle che hanno per obietto lo studio delle
leggi che determinano la delinquenza, anzichè quell'una, che
ha per suo scopo principale l'esame dei fenomeni, che più
propriamente e specialmente si chiamano politici.
III. — Una scienza risulta sempre da un sistema di osservazioni
fatte sopra un dato ordine di fenomeni con speciale cura, con
appropriati metodi e coordinate in modo da giungere alla scoperta di
verità indiscutibili, che all'osservazione volgare e comune
sarebbero rimaste ignote.
Le scienze matematiche forniscono l'esempio più semplice e
più facile per porre in luce come si forma il procedimento
scientifico. L'assioma è il frutto di un'osservazione
accessibile a tutti e la cui verità salta subito agli occhi
anche dei profani; richiamando e coordinando diversi assiomi si
arriva alla dimostrazione dei più facili teoremi, e poi,
coordinando ancora le verità ricavate da questi teoremi con
quelli degli assiomi, si arriva alla dimostrazione di nuovi teoremi
più difficili ancora, e la cui verità non si
può intuire nè provare da chi in quelle scienze non
sia iniziato. Analogamente si procede nella fisica e nelle altre
scienze naturali, ma in esse il metodo comincia a complicarsi con
nuovi elementi: spesso non basta coordinare parecchie osservazioni
semplici per ottenere la dimostrazione di una verità, che
chiameremo composta, ossia non percepibile a prima vista, ma, nella
maggior parte dei casi, ciò che in matematica è
l'assioma si ottiene per mezzo di un esperimento o di lunghe
esperienze. Or sì l'uno che le altre hanno un valore quando
si fanno con metodi speciali ed accurati e da persone che a questi
metodi sono state debitamente iniziate. Nei primordi delle singole
scienze il vero procedimento scientifico è quasi sempre
dovuto ad ipotesi felici, che poi sono state provate dalle
esperienze e dalle osservazioni dei fatti, e che alla loro volta
hanno spiegato moltissime altre esperienze e moltissimi altri fatti.
Quasi sempre un lungo periodo d'empirismo, dei sistemi sbagliati,
che impedivano di coordinare utilmente i dati che si raccoglievano
sui singoli fenomeni, dei metodi di osservazione imperfetti od
errati hanno preceduto il periodo veramente scientifico di una data
disciplina. È così che, per lunghi secoli,
l'astronomia e la chimica si son dibattute negli errori e nei
vaneggiamenti dell'astrologia e dell'alchimia. Solo dopo che i
cervelli umani si sono affaticati per molto tempo sopra un dato
ordine di fenomeni, l'abbondanza dei dati raccolti, il
perfezionamento dei metodi e degli strumenti materiali
dell'osservazione, la intuizione e la lunga pazienza di potenti
ingegni hanno prodotto quelle ipotesi felici, che abbiamo accennato,
ed hanno reso possibile una vera scienza.
Da quanto abbiamo detto si deduce facilmente che non basta per
ottenere dei veri risultati scientifici che, sopra un dato ordine di
fenomeni, si proceda col sistema dell'osservazione e
dell'esperienza. Francesco Bacone si illuse, e forse anche molti
pensatori e scrittori nostri contemporanei si fanno illusioni, sulla
capacità assoluta che il detto sistema ha nello scoprire la
verità scientifica5. In verità perchè
l'osservazione dei fatti e l'esperienza diano buoni risultati sono
necessarie le condizioni che abbiamo testè accennato;
malamente usate e quando il procedimento scientifico è errato
conducono a scoperte fallaci e possono anche dare un colore di
serietà a vere sciocchezze. In fondo l'astrologia e
l'alchimia, che abbiamo già citato, erano fondate sopra vere
o pretese osservazioni di fatti ed esperienze: ma il metodo di
osservazione, o meglio il punto di vista che tutte le informava e
coordinava, era profondamente errato. Il famoso Martino Delrio
quando scriveva il suo libro De disquisitione magicarum, credeva di
fondarsi sull'osservazione dei fatti determinando le differenze fra
il maleficio amatorio, l'ostile ed il sonnifero e rivelando le arti
ed i costumi delle streghe e dei maliardi, ed intendeva appunto che
la sua esperienza dovesse giovare a scoprirli ed a premunirsene.
Credevano di fondarsi pure sull'osservazione dei fatti gli
economisti anteriori ad Adamo Smith, che la ricchezza di una nazione
facevano unicamente consistere nel denaro e nella produzione della
terra; e sui fatti e sulle esperienze quasi universalmente
riconosciute dai suoi contemporanei si basava don Ferrante, tipo
dello scienziato del seicento dipinto cosi efficacemente dal
Manzoni, quando con un ragionamento, nelle apparenze e nella forma
perfettamente logico e positivo, volea provare
l'impossibilità che esistesse il contagio della peste
bubbonica6.
IV. — La scienza politica non crediamo che neanche ora, sia entrata
interamente nel vero periodo scientifico. Sebbene uno studioso possa
in essa vedere molte cose, che sfuggono all'attenzione di un
profano, pure non ci pare che possa fornire un complesso di
verità indiscutibili, riconosciute da tutti coloro che in
questa disciplina sono iniziati, e molto meno che abbia già
acquistato un metodo d'indagini sicuro e da tutti universalmente
accettato. Le cause di questo fatto son varie, ma noi per ora ci
asterremo dallo esporre il nostro pensiero in proposito. Diremo
soltanto che ci pare che esse non siano per nulla attribuibili a
deficienza degli ingegni, che sopra gli argomenti politici hanno
meditato, ma piuttosto alla maggiore complessità dei fenomeni
che ad essi si riferiscono, e sopratutto alla quasi
impossibilità, che ci è stata fino a pochi decennii
fa, di avere larga ed esatta cognizione di quei fatti, dallo studio
dei quali può ricavarsi la nozione di quelle leggi o tendenze
costanti, che regolano l'ordinamento politico delle società
umane.
Per quanto possiamo crederli incompleti o manchevoli, è
intanto nostro dovere di fare un rapido esame dei vari metodi o
sistemi d'idee coi quali si è proceduto finora allo studio
della scienza politica. Parecchi di essi non sono stati e non sono
che una giustificazione più o meno filosofica, teologica o
razionale di certi tipi di organizzazione politica, che hanno avuto
per secoli una parte importante, e talvolta l'hanno ancora, nella
storia dell'umanità. Giacchè, come vedremo più
avanti, una delle tendenze sociali più costanti è
appunto questa di spiegare mediante una teoria razionale od una
credenza soprannaturale la forma di Governo esistente. Abbiamo avuto
perciò una pretesa scienza politica a servizio di quelle
società in cui le credenze soprannaturali predominano ancora
negli animi umani, e nelle quali perciò l'esercizio dei
poteri politici trova la sua spiegazione nella volontà di Dio
o degli Dei, e abbiamo avuto, e abbiamo, un'altra scienza politica
che gli stessi poteri legittima volendone fare una libera e
spontanea espressione della libera volontà del popolo, ossia
della maggioranza degli individui che compongono una data
società. Dobbiamo però a preferenza occuparci di due
fra tutti questi sistemi e metodi di osservazione politica, i quali
hanno un carattere più obiettivo ed universale e tendono a
trovare le leggi con cui si spiega l'esistenza di tutte le varie
forme di regime politico, che esistono nel mondo.
Questi due metodi sono: quello che fa dipendere la differenziazione
politica delle varie società dalla varietà
dell'ambiente fisico, e sopratutto del clima dei paesi in cui esse
abitano, e l'altro che la fa dipendere principalmente dalle
differenze fisiche, ed in conseguenza psicologiche, che vi sono fra
le diverse razze umane. L'uno fa prevalere nelle scienze sociali il
criterio dell'ambiente fisico, l'altro quello etnologico o somatico.
Tutti e due hanno una parte troppo importante nella storia della
scienza, ed anche nella scienza contemporanea, ed un carattere
apparentemente troppo positivo e sperimentale perchè ci sia
possibile il dispensarci d'esaminarne il vero valore scientifico.
V. — A cominciare da Erodoto ed Ippocrate e venendo fino al secolo
presente, grandissimo è il numero degli scrittori, che hanno
parlato dell'influenza del clima sui fenomeni sociali in genere e
specialmente sui fenomeni politici. Molti hanno anche cercato di
provarla ed hanno su di essa fondato intieri sistemi scientifici.
Fra questi primeggia il Montesquieu, il quale forse più
recisamente di ogni altro ha affermato l'influenza preponderante del
clima sul senso morale e sull'ordinamento politico delle nazioni:
“Avvicinandovi ai paesi del Mezzogiorno voi potete credere di
allontanarvi dalla morale stessa” scrisse nello Spirito delle leggi,
ed in altro brano della stessa opera sentenziò che la
libertà è incompatibile con i paesi caldi e che essa
non prospera dove fiorisce l'arancio. Altri scrittori ammettono che
la civiltà sia nata nei paesi caldi, ma sostengono pure che
il suo centro di gravità si sia andato sempre più
spostando verso il nord e che ivi oggi sono posti i paesi
politicamente meglio organizzati7.
Cominciando a trattare quest'argomento ci pare quasi superfluo il
rammentare che il clima di un paese non dipende esclusivamente dalla
sua latitudine ma risente anche l'influenza di altre circostanze,
quali sarebbero l'altezza sul livello del mare, l'esposizione, i
venti dominanti, ecc. Bisogna anche avvertire che non tutto
l'ambiente fisico dipende dal clima, cioè dalle variazioni
termometriche ed idrometriche; concorrono a determinarlo anche altre
circostanze, ad esempio la maggiore o minore popolazione, che una
contrada può avere, e perciò il grado al quale vi
è arrivata la cultura del suolo ed anche il genere di cultura
più comunemente in uso8.
È innegabile poi che l'influenza, che il clima può
esercitare in tutta la vita e sull'ordinamento politico di un
popolo, deve andare continuamente diminuendo col crescere della
civiltà. Il regno vegetale è senza dubbio quello
più sottomesso alle condizioni atmosferiche e telluriche,
perchè le piante, tranne che non siano allevate nelle stufe,
mancano quasi assolutamente dei mezzi di reagire e difendersi contro
le influenze esterne. Gli animali lo sono già di meno,
perchè per essi la difesa e la reazione non è del
tutto impossibile. L'uomo, anche selvaggio, lo è ancora meno,
perchè sempre superiori a quelli degli animali sono i suoi
mezzi di difesa, e meno di tutti lo è l'uomo d'avanzata
civiltà, che dispone di tali risorse da risentire
relativamente ben poco gli effetti dei cambiamenti di clima, e
queste risorse tuttodì va aumentando e perfezionando.
Ciò premesso, ci pare un concetto ovvio ed accettevole
questo: che le prime grandi civiltà siano nate nei siti dove
la natura presentava più facilitazioni o minori resistenze;
sicchè generalmente esse hanno prosperato nelle grandi
vallate di clima piuttosto caldo e bene irrigue, che, con relativa
facilità, permettono la cultura di qualche cereale, cultura
necessaria al sostentamento di grandi masse umane in spazii
relativamente piccoli9.
Questa induzione è confermata dalla storia, che ci mostra le
prime civiltà essere sorte nelle vallate del Nilo,
dell'Eufrate, del Gange e del fiume Giallo, oppure nell'altipiano di
Anahuac, paesi che appunto presentano tutte le condizioni fisiche da
noi accennate. Una volta però che l'uomo è riuscito,
in un sito eccezionalmente favorevole, ad organizzare le sue forze
in modo da domare la natura, può in seguito vincerla in altri
luoghi, nei quali essa si mostra più restia. Ai giorni
nostri, tranne le contrade polari e forse qualche regione
equatoriale e qualche altra, che, per malaria o soverchia
aridità, presenta specialissime condizioni sfavorevoli, tutti
gli altri paesi sono o possono diventare suscettibili di albergare
popoli civili.
VI. — La regola per la quale la civiltà si espande sempre dal
sud verso il nord, o meglio dai paesi caldi ai freddi, ci pare una
di quelle formole sempliciste, che hanno la pretesa di spiegare,
mediante una causa unica, fenomeni molto complessi. Essa non si
fonda che sopra un frammento della storia, su quella di un solo
periodo della civiltà europea, ed anche questo
superficialmente studiato. Esaminando con metodo analogo una carta
geografica, osservando ad es. quella della Germania settentrionale o
della Siberia, si potrebbe trarne la legge che tutti i fiumi
scorrono da sud a nord, perchè ciò avviene in quei
paesi, che hanno le alture a mezzogiorno ed il mare a tramontana. La
regola potrebbe essere invertita se si osservasse la Russia
meridionale, e nell'America meridionale potrebbe trovarsene una
terza : cioè che i fiumi scorrono da ovest ad est. La
verità è che i fiumi, senza alcun riguardo alla
latitudine od alla longitudine, scorrono sempre dall'alto in basso,
dal monte o dagli altipiani verso il mare od i laghi. E diremmo
quasi che, considerando come contrade più basse quelle dove
si trova meno resistenza, analoga è la legge che regola
l'espansione delle varie civiltà. Il movimento incivilitore
procede indifferentemente da sud a nord e da nord a sud, ma va
sempre a preferenza verso quella direzione nella quale incontra
minori ostacoli naturali e sociali; ed intendo per questi ultimi
l'urto di un'altra civiltà originale, che si espande in senso
inverso alla prima.
Difatti la civiltà chinese, nata nelle provincie centrali
dell'impero, a nord è stata fermata dagli sterili e freddi
altipiani dell'Asia centrale, mentre al sud si è potuta
estendere non solo nelle Provincie meridionali della China
propriamente detta, ma anche nell'Indochina. Anche la civiltà
indiana trovando al nord la quasi insuperabile catena dell'Imalaia
si è estesa dal nord al sud, dall'India settentrionale nel
Deccan e poi anche a Ceylan ed a Giava. La civiltà egiziana
si estese a nord finchè trovò nella Siria
settentrionale la potente confederazione dei Khetas, cioè
l'urto di un'altra civiltà; potè al contrario
espandersi maggiormente al sud, risalendo il corso del Nilo da Menfi
a Tebe e da Tebe a Meroe10. La civiltà persiana, erede di
quelle antichissime della Mesopotamia. si estese da oriente ad
occidente, direzione nella quale trovava meno ostacoli naturali,
finchè non urtò nella civiltà greca. Alla sua
volta la civiltà greco-romana, abbracciando tutto il bacino
del Mediterraneo, limitata al sud da deserti insuperabili, all'Est
dalla civiltà orientale, rappresentata dall'impero partico e
poi dal persiano, si estese a nord finchè non incontrò
le paludi e le foreste, allora difficilissime, della Germania
settentrionale e della Scozia.
Anche la civiltà maomettana, limitata al sud dal mare e dal
deserto, dovette avanzarsi verso il nord-ovest. Nel Medio Evo la
civiltà europea, stretta al sud dalla civiltà araba,
che le tolse tutta la parte meridionale del bacino del Mediterraneo,
si allargò verso il nord, acquistando la Scozia, la Germania
settentrionale, la Scandinavia e la Polonia. Al giorno d'oggi la
civiltà europea si estende in tutte le direzioni, dovunque vi
sono terreni scarsi di popolazione e facilmente colonizzabili o
nazioni di civiltà decaduta che aspettano chi le conquisti.
Ed aggiungiamo che anche il centro, il focolare precipuo di una
civiltà si sposta, secondo che essa si estende in un senso o
nell'altro, obbedendo alla legge che abbiamo accennato. I paesi che
stanno alla frontiera di un tipo di coltura umana non sono
ordinariamente quelli che in essa eccellono. Quando la
civiltà europea abbracciava l'intero bacino del Mediterraneo,
la Grecia propriamente detta e l'Italia meridionale stavano al
centro del mondo civile ed erano i paesi più prosperi,
più colti, più ricchi; quando diventarono la
più avanzata avanguardia, che stava di fronte al mondo
maomettano, necessariamente decaddero11.
VII. — Ipotesi pure molto arrischiata ci pare quella che attribuisce
una moralità superiore ai popoli del settentrione di fronte a
quelli del mezzogiorno. La moralità risulta da qualità
così complesse dell'animo e della mente, ed hanno tanta parte
nelle sue affermazioni positive e negative le circostanze esteriori
in cui si svolge la vita umana, che è già un giudizio
abbastanza difficile il determinare se un singolo individuo sia
potenzialmente più morale di un altro; e lo stesso giudizio
diventa difficilissimo quando lo si vuol fare rispetto a due
società, a due masse umane composte di numerosissimi
individui. I dati statistici su questo argomento non possono dir
tutto e spesso non dicono neanche abbastanza, e le impressioni
personali, quasi sempre troppo subiettive12 sono anche più
fallaci delle statistiche.
Il vizio, che più comunemente si attribuisce ai meridionali,
è la lussuria, mentre la ubbriachezza è più
generalmente imputata ai settentrionali. Ma si può invero
osservare che i Negri del Congo si ubbriacano più
vergognosamente dei contadini russi e degli operai svedesi e quanto
alla lussuria pare che le abitudini ed il tipo di organizzazione
sociale, che ogni popolo per una serie di circostanze storiche si
è creato, vi influiscano più del clima. San Vladimiro,
lo czar che santificato diventò il patrono di tutte le
Russie, prima di convertirsi al cristianesimo teneva più
donne nei suoi serragli di quante ne poteva avere il califfo
Harun-al-Raschid ed Ivan il terribile per la crudeltà come
per la lussuria emulò e superò Nerone, Eliogabalo ed i
più feroci sultani dell'oriente. Ai giorni nostri la
prostituzione di Londra, Parigi e Vienna ha forse superato quella
antica di Babilonia e di Delhi. Nell'Europa odierna il massimo dei
reati di libidine lo presenta la Germania, vengono dopo in ordine
decrescente, il Belgio, la Francia, l'Austria-Ungheria; l'Italia
occupa un posto vicino al minimo, il quale è segnato dalla
Spagna13.
Molti fra i sociologi criminalisti generalmente ammettono che nel
Sud prevalgono i reati di sangue, quelli contro le persone, mentre
attribuiscono al nord un maggior numero di reati contro la
proprietà14. Ma il Tarde ed il Colajanni hanno dimostrato
all'evidenza che le relazioni, che si sono volute trovare tra le
varie forme della delinquenza ed il clima sono piuttosto da
attribuirsi alle differenze di condizioni sociali, che talora si
riscontrano tra le varie regioni di uno stesso Stato15. È
vero che negli Stati Uniti d'America, in Francia e anche in Italia
si osserva costantemente una prevalenza dei reati di sangue al sud,
mentre al nord vi è un numero relativamente maggiore di reati
contro la proprietà, ma come fa rilevare benissimo lo stesso
Tarde, in tutti questi paesi le contrade meridionali sono più
prive di comunicazioni, più lontane dai grandi centri
industriali e dai focolari della odierna civiltà delle
contrade settentrionali; or è naturale che la forma violenta
della criminalità prevalga, indipendentemente dal clima, nei
paesi più rozzi, mentre la criminalità astuta diventa
più comune in quelli più colti. E tanto è vero
che questa è la migliore spiegazione del fenomeno, che i
dipartimenti francesi dove la criminalità violenta è
più elevata sono, è vero, nel mezzogiorno della
Francia, ma hanno un clima relativamente freddo perchè
montagnosi16. Ciò si osserva anche in Italia, dove la
Basilicata, contrada che ha dato uno dei più forti
contingenti dei reati di sangue, è un paese montagnoso di
clima relativamente freddo, e son coperti di neve per gran parte
dell'anno i gioghi del Matese, del Gargano e della Sila e quelli
dove stanno alcuni Comuni della Sicilia famosi per imprese
sanguinarie e brigantesche17.
VIII. — Venendo poi alla parte strettamente politica della quistione
diremo che, prima di sentenziare che i meridionali siano incapaci di
libertà, bisogna intendersi sul significato preciso e
scientifico di questa parola. Se ammettiamo che paese più
libero sia quello in cui i diritti dei governati sono meglio difesi
contro l'arbitrio personale e la voglia di prepotere dei governanti,
dobbiamo convenire che istituzioni politiche sotto questo riguardo
ritenute migliori, sono state in vigore tanto in paesi freddi quanto
in altri temperati molto, come, ad esempio, la Grecia e Roma.
Viceversa l'arbitrio dei governanti innalzato a sistema di governo
si può trovare anche in paesi freddissimi come la Russia. Il
sistema costituzionale non ebbe inizi più vigorosi nella
brumosa Inghilterra che nell'Aragona, nella Castiglia ed in
Sicilia18. Ammesso che presentemente le diverse modalità di
governo rappresentativo possano essere riguardate come le forme di
regime politico meno imperfette, noi le troviamo in vigore in
Europa, tanto al nord che al sud, e, fuori d'Europa, funzionano
forse tanto bene nel freddo Canada che al Capo di Buona Speranza,
dove il clima, se non caldo addirittura, è certo
temperatissimo.
La ragione per la quale i meridionali dovrebbero essere meno atti ad
un regime politico libero ed elevato non può essere altra che
questa: che essi hanno minore energia fisica e sopratutto minore
energia morale ed intellettuale. È infatti una opinione molto
comune che i settentrionali siano destinati con la loro superiore
energia, che si esplica nel lavoro, nelle armi, nelle scienze, a
conquistare sempre i fiacchi meridionali. Ma questa opinione
è anche più superficiale e più contradetta dai
fatti di quelle che abbiamo precedentemente confutato. Invero le
civiltà nate e sviluppate in climi caldi o molto temperati ci
hanno lasciato monumenti, che testimoniano di una avanzata cultura e
di una incalcolabile energia di lavoro, che riesce più
maravigliosa quando si rammenta che esse non disponevano di quelle
macchine, che ora centuplicano le forze dell'uomo. La
laboriosità di un popolo più che dal clima pare che
dipenda da abitudini che sono in gran parte determinate dalle sue
vicende storiche. In generale hanno abitudini laboriose i popoli di
antica civiltà, pervenuti da lungo tempo allo stadio agricolo
e che pure da lungo tempo hanno goduto di un regime politico
tollerabile, il quale assicura ai lavoratori una parte almeno del
frutto dei propri sforzi. Al contrario i popoli barbari e
semibarbari, o ricaduti in una parziale barbarie, abituati a vivere
in parte di guerra e di ladroneccio, fuori della guerra e della
caccia sogliono essere pigri ed inerti. Come tali infatti Tacito
descrive i Germani antichi, tali sono adesso le Pelli Rosse
dell'America settentrionale e oltremodo pigri sono pure i Calmucchi,
sebbene i primi abbiano abitato e gli altri abitino ancora in paesi
molto freddi. Al contrario laboriosissimi sono i Chinesi delle
provincie meridionali e con gran tenacia sanno lavorare i Fellah
egiziani. E se la mancanza di grandi industrie nella parte
più meridionale dell'Europa ha fatto nascere ed alimenta il
pregiudizio che i suoi abitanti siano poco laboriosi, chi conosce
bene quelle popolazioni sa benissimo che in generale quest'accusa
è poco meritata19.
Se ammettiamo che la superiorità militare sia una prova di
maggiore energia, in verità è difficile stabilire se i
settentrionali abbiano vinto e conquistato i meridionali più
di frequente di quello che ne siano stati alla lor volta vinti e
conquistati. Eran meridionali gli Egiziani, che nei loro bei momenti
percorsero vittoriosi l'Asia fino alle montagne dell'Armenia, ed
abitavano in un paese di clima temperatissimo quei guerrieri Assiri,
dei quali si può detestare la crudeltà ma bisogna
anche ammirare l'indomabile energia bellicosa. Eran meridionali i
Greci, che seppero conquistare tutta l'Asia occidentale, e con le
armi, le colonie, i commerci, la superiorità del loro genio,
ellenizzarono tutta la parte orientale del bacino del Mediterraneo e
gran parte di quello del Mar Nero. Lo erano anche i Romani, le cui
legioni coprirono i piani della Dacia, penetrarono nelle
inaccessibili foreste della Germania ed inseguirono i Pitti ed i
Caledoni fin nei più remoti ricettacoli delle loro fredde e
selvagge montagne. Erano meridionali gl'Italiani del Medio Evo, che
fecero prodigi d'attività militare, industriale, commerciale;
e meridionali erano gli Spagnuoli del cinquecento, quei famosi
conquistadores, che in meno di mezzo secolo, esploravano,
percorrevano e conquistavano la maggior parte dell'America.
Meridionali erano, rispetto agl'Inglesi, quei Franco-Normanni,
seguaci di Guglielmo il conquistatore, che in pochi anni seppero
spossessare quasi del tutto gli abitatori della parte meridionale
della Gran Brettagna, e che, colla spada alle reni, perseguitarono
gli Angli fino all'antica muraglia romana; e meridionali in senso
assoluto quegli Arabi, che, in meno di un secolo, seppero imporre la
loro conquista, e, colla conquista la lingua, religione e
civiltà loro a tanta parte di mondo quanta ne hanno forse
conquistata e colonizzata gli Anglo-Sassoni in parecchi secoli.
IX. — Le differenze di organizzazione sociale determinate dalla
configurazione del suolo possono essere considerate come appendice
di quelle dovute alla varietà dei climi, sebbene siano forse
più importanti.
Non si può negare infatti che l'essere un paese più o
meno piano o montuoso, il trovarsi sulle grandi vie di comunicazione
o l'esserne appartato, sono elementi che influiscono nella sua
storia molto più di alcuni gradi in più o in meno
nella sua media termometrica; ma neppure la loro importanza deve
essere esagerata al punto da farne una legge fatale. Certe
circostanze topografiche, che, date alcune condizioni storiche, sono
favorevoli, in altre condizioni diventano sfavorevolissime e
viceversa. La Grecia, quando tutta l'Europa era ancora
all'età del bronzo e nei primordi di quella del ferro, si
trovò in condizione maravigliosamente favorevole per
diventare il primo paese civile di questa parte del mondo;
perchè, a preferenza di qualunque altra contrada, potè
ricevere le infiltrazioni della civiltà egiziana e di quelle
asiatiche. Ma nell'epoca moderna, fino a quando si tagliò
l'istmo di Suez, si può dire che lo stesso paese sia stato
fra quelli d'Europa più sfavorevolmente situati,
perchè lontano dal centro della coltura europea e dalle
grandi vie del commercio transatlantico ed indiano. Altra opinione
abbastanza diffusa in questi argomenti è quella che fa i
montanari abitualmente superiori ai pianigiani e destinati quasi
sempre a conquistarli. Certo essa è meno infondata di quella
che attribuisce una grande superiorità ai popoli
settentrionali, perchè, se è discutibile che un clima
freddo sia più salutare di quello temperato o caldo, sembra
accertato che i paesi elevati sono quasi sempre più salubri
di quelli bassi, e miglior salute vuol dire costituzione fisica
più forte e perciò maggiore energia individuale. Ma
non sempre una maggiore energia individuale va unita ad una
più forte organizzazione della compagine sociale, della quale
in fondo dipende l'essere una gente dominatrice o dominata. Ora un
saldo organismo politico, che riunisca e diriga gli sforzi di grandi
masse d'uomini, è più facile che sorga e si mantenga
nelle pianure anzichè nelle montagne. Difatti noi vediamo in
Oriente i montanari Circassi, Curdi ed Albanesi avere
individualmente spesso raggiunta una grande importanza, le loro
bande, che entravano al servizio degli imperi limitrofi, essere
spesso diventate influenti e temute20, ma l'Albania, la Circassia ed
il Curdistan non hanno mai, in tempi storici, formato il nocciolo di
grandi imperi indipendenti, anzi sono stati sempre attratti
nell'orbita dei grandi organismi politici, che hanno toccato i loro
confini. Anche gli Svizzeri hanno avuto grande importanza come
individui e come corpi di soldati mercenari, ma la Svizzera, come
nazione, non ha mai pesato sensibilmente nella bilancia politica
d'Europa.
Nella storia poi, in generale, si vede che se le ardite bande dei
montanari hanno spesso devastato più che conquistato le
pianure, più spesso ancora gli eserciti organizzati dei
pianigiani sono riusciti vincitori degli sforzi sconnessi dei
montanari e li hanno stabilmente domati. Furono i Romani che
conquistarono i Sanniti, mentre questi poterono solo qualche volta
vincere i Romani; e, nella Gran Brettagna, se le bande dei montanari
scozzesi scorsero e devastarono qualche volta il nord
dell'Inghilterra, gl'Inglesi pianigiani vinsero e conquistarono
più di frequente la montuosa Scozia e finirono col domarne
gli umori riottosi e coll'assimilarla completamente. Nè del
resto si può ammettere che i popoli abitanti nelle pianure
debbano essere necessariamente destituiti o anche scarsi di energia:
basta riflettere che gli Olandesi, i Tedeschi settentrionali, i
Russi e gli stessi Inglesi sono in gran parte abitatori di un paese
molto basso per comprendere quanto un'opinione simile sarebbe poco
fondata.
X. — Il metodo che fa dipendere dalla razza alla quale un popolo
appartiene oltre che il grado di progresso civile, che genericamente
ha raggiunto, anche il tipo di ordinamento politico, che ha
adottato, è molto meno antico dell'altro, che arbitro di
tutto fa il clima. Ne poteva essere altrimenti, perchè
l'antropologia e la filologia comparata, sulle quali è
fondata la classificazione scientifica delle razze umane, sono
scienze molto recenti: Broca e Grimm sono vissuti nel secolo
decimonono, mentre una nozione abbastanza approssimativa delle
differenze di clima si è potuta avere fin dal tempo di
Erodoto. Però, per quanto tardi venuta, altrettanto la
tendenza etnologica nelle scienze sociali è stata invadente:
e negli ultimi decenni del secolo decimonono con la differenza e
l'azione delle varie razze si è cercata di spiegare tutta la
storia dell'umanità21.
Si è fatta la distinzione tra razze superiori ed inferiori,
attribuendo alle prime la civiltà, la moralità, la
capacità di costituirsi in grandi agglomerazioni politiche;
riserbando alle altre la sorte dura, ma fatale, di sparire davanti
le razze elevate oppure di esserne conquistate ed incivilite. Alla
meno peggio si ammette che esse possano continuare a vivere restando
indipendenti, ma senza poter mai raggiungere quella cultura e quel
perfetto ordinamento sociale e politico, che sono propri soltanto
dei popoli di stirpe privilegiata.
Rènan scrisse che la poesia dell'anima, la fede, la
libertà, l'onestà, il sacrificio non apparvero nel
mondo che con le due grandi razze, che in certo senso hanno formato
l'umanità: cioè la razza ariana e la semitica22. Per
De Gobineau il punto centrale della storia è sempre là
dove abita il gruppo bianco più puro, più
intelligente, più forte. Il Lapouge porta la stessa dottrina
alle più estreme conseguenze; secondo quest'autore non solo
la razza veramente morale e superiore in tutto è l'ariana, ma
in questa stessa eccellono solo quegli individui, che il tipo ariano
conservano puro ed incontaminato; coloro che sono alti, biondi e
dolicocefali. Anche fra i popoli che passano per indogermanici
questi individui non sarebbero che un'esigua minoranza dispersa fra
una maggioranza di bassi, bruni e brachicefali. I veri ariani
perciò, piuttosto numerosi tra gl'Inglesi ed i
Nord-Americani, comincerebbero a scarseggiare in Germania, dove si
potrebbero trovare solo nelle classi superiori, sarebbero rarissimi
in Francia, e nei paesi dell'Europa meridionale diventerebbero merce
quasi sconosciuta23.
Accanto a questa scuola, che sostiene la superiorità innata e
fatale di alcune razze umane, ve ne è un'altra, che, senza
essere con essa in assoluto contrasto, più direttamente si
rannoda alle teoriche di Darwin, le cui applicazioni alle scienze
sociali nella seconda metà del secolo scorso sono state
larghissime. Lo Spencer è lo scrittore più in fama di
questa seconda scuola, i cui seguaci sono numerosissimi: essi, senza
sostenere la superiorità inevitabile e continua di una razza
sulle altre, credono che ogni progresso sociale sia avvenuto ed
avvenga per via della così detta evoluzione organica e
superorganica. Secondo questa scuola entro ogni società
avverrebbe una lotta continua, quella per l'esistenza; per la quale
gl'individui più forti, migliori, più adatti
all'ambiente, sopravviverebbero ai più deboli e meno adatti e
prolificherebbero a preferenza di questi ultimi, comunicando ai loro
figli come innate quelle qualità per le quali essi avevano
riportato la vittoria e che per loro erano acquisite per via di una
lenta educazione. La stessa lotta avverrebbe tra le società
stesse, per la quale quelle più solidamente costituite, o
composte di individui più forti, vincerebbero le altre meno
vantaggiosamente dotate, che, cacciate nei siti meno adatti
all'umano sviluppo, sarebbero condannate a rimanere in uno stato di
perenne inferiorità.
Non è difficile trovare una differenza sostanziale fra le due
dottrine testè ricordate, perchè, anche ammettendo la
teoria monogenistica, cioè che tutte le razze umane siano
derivate da unico ceppo, è certo che i loro caratteri
differenziali sono antichissimi, e si dovettero fissare in epoche
molto remote, quando l'uomo non avea oltrepassato lo stadio della
vita selvaggia ed era quindi più adatto a sentire l'influenza
degli agenti naturali coi quali era in contatto24. Stando
perciò alla teoria strettamente etnologica, fin dall'inizio
dell'epoca storica le razze elevate avrebbero già avuto quei
caratteri di superiorità, che conservano ancora quasi
inalterati; mentre la teoria propriamente detta evoluzionista,
implicitamente od esplicitamente, ammette che la lotta per
l'esistenza abbia avuto i suoi effetti pratici più
recentemente e ad essa attribuisce il decadere od il prosperare
delle varie nazioni e civiltà durante il periodo storico.
XI – Prima di parlare della superiorità od inferiorità
delle varie razze umane bisogna determinare il valore della parola
razza, alla quale si attacca un significato ora molto lato, ora
assai ristretto. Si dice la razza bianca, la gialla e la nera,
indicando varietà della specie umana distinte non solo dal
linguaggio, ma anche da differenze anatomiche abbastanza importanti
e palpabili, e si dice pure la razza ariana e la semitica per
indicare due suddivisioni della razza bianca, distinte, è
vero, dal linguaggio, ma la cui somiglianza fisica è
notevolissima. Si dice anche la razza latina, la germanica, la
slava, denominando sempre con lo stesso vocabolo tre suddivisioni
del ramo ariano della razza bianca; le quali, sebbene parlino lingue
differenti, pure è dimostrato che filologicamente sono legate
da una origine comune e le cui differenze fisiche sono minime, tanto
che può accadere che un individuo dell'una sia giudicato come
appartenente ad un'altra. Or la confusione delle parole porta in
questo caso, come sempre, quella delle idee: la differenza di razza
si fa valere tanto per spiegare certe diversità, che vi sono
nella civiltà e nell'ordinamento politico dei bianchi e dei
negri, quanto per giustificare quelle tra latini, germani e slavi;
mentre, nel primo caso, può veramente il coefficiente
etnologico avere molta importanza e nel secondo, averne una minima.
Bisogna anche por mente che, nel periodo storico ed in quello
preistorico, gl'incrociamenti e le mescolanze, specialmente fra
popoli di razza molto affine, sono state frequenti. In quest'ultimo
caso, siccome le differenze fisiche fra le razze che si sono
incrociate sono poco importanti e sopratutto non facilmente
percepibili, nel fare le classificazioni più che ai caratteri
anatomici si è data importanza alle affinità
filologiche. Ma questo criterio è tutt'altro che sicuro ed
infallibile. Spesso può avvenire ed avviene che due popoli
strettamente parenti per sangue parlino lingue, che filologicamente
hanno lontani rapporti, mentre popoli di razza diversa possono
servirsi di lingue e di dialetti, le radici e la struttura
grammaticale dei quali sono molto affini. Per quanto la cosa sembri
a prima vista improbabile, pure vi sono molti esempi e circostanze
storiche che la spiegano e la provano; generalmente i popoli
conquistati, se sono meno civili dei conquistatori, ne adottano le
leggi, le arti, la cultura, la religione e spesso finiscono con
l'adottarne la lingua25.
Ciò premesso, ci pare un fatto assodato che le razze
più misere, quelle che gli antropologhi chiamano più
basse, i Fuegiani, gli Australiani, i Boschimani, ecc., siano
fisicamente ed anche intellettualmente inferiori alle altre. Che
questa inferiorità sia innata, che sia sempre esistita, o che
si debba attribuire alla desolazione delle contrade che quei popoli
abitano, alla scarsezza di risorse che esse offrono ed all'estrema
miseria che ne è la conseguenza, è quistione che non
è nè facile nè indispensabile per noi di
risolvere. Del resto queste razze non formano che una frazione
piccolissima dell'umanità, frazione che va rapidamente
diminuendo avanti l'espansione della razza bianca, dietro la quale
si va in molti luoghi infiltrando anche la gialla. Per spirito di
giustizia bisogna riconoscere che il prosperare di queste due razze,
in quelle stesse terre dove gli aborigeni potevano solo
stentatamente vivacchiare, non è tutto dovuto alla
superiorità organica, che esse vantano. Giacchè i
nuovi abitatori portano seco cognizioni e mezzi materiali,
mercè i quali traggono abbondanti sussistenze da quelle
zolle, che spontaneamente avrebbero dato quasi nulla. L'indigeno
australiano si contentò per secoli e secoli d'inseguire i
kanguri, di abbattere uccelli col bomerang o, alla peggio, di
mangiare lucertole; ma bisogna confessare che non aveva alcun mezzo
di procurarsi le sementi dei grani e delle altre piante
commestibili, nè i progenitori delle mandrie di montoni, che
sono stati a disposizione dei coloni inglesi.
Ben più difficile è il sentenziare sopra
l'inferiorità della razza americana aborigena e della razza
nera. Esse sono state da tempo immemorabile in possesso di
vastissime contrade, nelle quali potenti civiltà si sarebbero
potute sviluppare. In America infatti, nel Messico, nel Perù,
in qualche altro sito esistevano od avevano esistito possenti
imperi, dei quali però non possiamo esattamente determinare
il grado di cultura, perchè ebbero il torto di crollare
davanti l'urto di poche centinaia di avventurieri spagnuoli. In
Africa qualche volta la razza nera si è politicamente
organizzata in vasti imperi, come fu per es. quello di Uganda, ma
nessuno ha raggiunto spontaneamente tal grado di cultura da potere
essere paragonato agli Stati più antichi fondati dalla razza
bianca o dalla gialla, agli imperi chinese, babilonese o egizio
antico, nel quale la razza incivilitrice non era la nera. Parrebbe
perciò che tanto per gli Americani indigeni quanto per i
Negri una certa inferiorità si possa anche a prima vista
stabilire.
Ma quando le cose vanno in un modo, non sempre è lecito
asserire che dovevano necessariamente ed immancabilmente andare in
quel modo. È dubbio che l'uomo sia vissuto durante il periodo
terziario, ma è un fatto scientificamente provato che la sua
antichità risale al principio del periodo quaternario, e che
perciò va calcolata non per migliaia d'anni, ma per centinaia
e forse migliaia di secoli. Ora le razze, l'abbiamo già
accennato, dovettero formarsi in epoca remotissima, e, trattandosi
di periodi cosi lunghi, l'essere una razza arrivata, trenta,
quaranta, anche cinquanta secoli prima ad un perfezionamento
ragguardevole di cultura, non è una prova infallibile di
superiorità organica. Delle circostanze esteriori, spesso
anche fortuite, la scoperta e l'uso di un metallo, cosa più o
meno agevole secondo i vari paesi, l'avere o no a portata della mano
piante o animali addomesticabili. possono accelerare o ritardare lo
sviluppo di una civiltà, ovvero mutarne le vicende. È
innegabile che se gli Americani indigeni avessero conosciuto l'uso
del ferro26, o se gli Europei avessero scoperto la polvere da sparo
due secoli dopo, questi non avrebbero così presto e cosi
completamente distrutto le organizzazioni politiche di quelli.
Nè bisogna dimenticare che, quando una razza arrivata ad una
civiltà matura si trova in contatto con un'altra ancora allo
stato barbaro, se da una parte le fornisce una quantità di
strumenti e cognizioni utili, dall'altra ne disturba profondamente,
quando non ne arresta del tutto, lo sviluppo spontaneo ed originale.
I Bianchi infatti non solo hanno quasi dappertutto distrutto od
asservito gli Americani indigeni, ma per secoli hanno anche
abbrutito ed impoverito la razza negra coll'alcool e colla tratta;
sicchè si deve convenire che la civiltà europea finora
non solo ha contrastato, ma quasi ha impedito tutti gli sforzi che
Negri e Pelli Rosse avrebbero potuto spontaneamente fare per
progredire.
A diversi rami della razza americana indigena si fa il rimprovero,
che si estende anche ai Polinesi oltre che agli Australiani e ad
altre razze umane delle più misere, di non saper sopportare
il contatto coll'uomo bianco e di scomparire rapidamente davanti
l'avanzarsi di questo. La verità è che i Bianchi
tolgono alle razze di colore i mezzi di sussistenza, prima che esse
possano abituarsi a far uso dei nuovi mezzi di sostentare la vita,
che sono dagli stessi Bianchi introdotti. Ordinariamente i territori
di caccia delle tribù selvaggie sono invasi e la grossa
selvaggina è distrutta prima che gl'indigeni abbiano potuto
adattarsi all'agricoltura. Inoltre le razze civili comunicano alle
meno civili le loro malattie, senza che quest'ultime possano
ordinariamente giovarsi dei metodi preventivi e curativi, che il
progresso scientifico ed una lunga esperienza hanno a quelle
insegnato. La tisi, la sifilide ed il vaiuolo farebbero
probabilmente tra noi la stessa strage, che fanno presso alcune
tribù selvaggie, se noi queste malattie prevenissimo e
curassimo con i soli mezzi che sono alla portata dei selvaggi, che
consistono nel non averne alcuno.
Sono generalmente le Pelli Rosse ed i Negri inferiori ai Bianchi
come individui? Sebbene i più rispondano subito ed
energicamente di sì, qualcuno dice con eguale prontezza e
risoluzione di no; a noi pare difficile l'affermarlo con sicurezza,
come il negarlo.
Chi rammenta la storia della prima colonizzazione della Virginia
deve convenire che la figlia di Powattan, il Sachem che comandava in
quelle contrade all'arrivo dei Bianchi, la gentile ed affettuosa
Pocahonta, aveva doti di mente e di cuore non inferiori a quelle di
quasi alcuna fanciulla europea dei suoi tempi. Stanley, che i Negri
doveva conoscer bene, non sentenzia mai sulla inferiorità
assoluta della razza africana, anzi cita parecchi esempi di Negri
intelligenti e non privi di qualità morali, specie tra quelli
che sono stati educati tra popoli civili: anche tra quelli
assolutamente barbari trova sviluppate certe qualità, che
sono state a preferenza coltivate; ad esempio, dice che nel Congo
anche un fanciullo riesce superiore al più astuto sensale
europeo nell'abilità di far valere la sua merce, nel saper
vender caro e comprare a buon patto27.Gli Americani indigeni, dove
si sono mescolati coi Bianchi e ne hanno abbracciato la
civiltà, non hanno mancato di dare qualche uomo notevole,
come ad esempio Garcilasso della Vega e Benito Juarez28. I Negri
nelle identiche condizioni possono vantare Toussaint Louverture, il
Morton dotto teologo ed umanista, il Firmin29 e parecchi altri.
Dobbiamo però confessare che, nell'una e nell'altra razza, la
nota delle individualità cospicue è molto scarsa
rispetto alla quantità d'individui, che hanno avuto e hanno
la possibilità di fruire dei vantaggi che offre il vivere
civile. Però ha qualche peso l'osservazione che un dotto
vescovo di razza negra facea al George30: che i fanciulli negri
nelle scuole profittano quanto i bianchi e si mostrano egualmente
svegli ed intelligenti fino all'età di dieci o dodici anni,
ma, appena cominciano a capire che essi appartengono ad una razza
considerata inferiore, e che a loro non è riservata altra
sorte che quella di fare i cuochi ed i facchini, si svogliano dallo
studio e cadono nell'apatia. Non si può infatti negare che in
gran parte dell'America gli uomini di colore siano generalmente
considerati come esseri inferiori, che debbono essere
necessariamente rilegati negli ultimi strati sociali; or, se le
nostre classi diseredate portassero nell'aspetto l'impronta
indelebile della loro inferiorità sociale, è certo che
tra esse ben pochi sarebbero gli individui i quali avrebbero
l'energia di sollevarsi ad una condizione sociale molto superiore a
quella della loro nascita.
Ad ogni modo, se qualche dubbio è lecito di elevare sulla
attitudine dei Negri e degli Americani indigeni ad una
civiltà e ad un ordinamento politico superiore, ogni
perplessità vien meno riguardo non solo agli Arii ed ai
Semiti, ma a tutta la razza così detta mongolica o gialla ed
anche a quella razza bruna, che nell'India vive ora mescolata con la
razza ariana e nella China meridionale, nell'Indochina, forse anche
nel Giappione si è fusa con quella gialla31. Il complesso di
queste razze forma certamente più dei tre quarti e forse i
quattro quinti dell'intera umanità.
I Chinesi hanno saputo fondare una civiltà originalissima,
che maravigliosamente è durata e più maravigliosamente
ancora ha saputo espandersi. Figlia in gran parte della
civiltà chinese è quella del Giappone e quella della
Indochina, e pare che abbia appartenuto alla razza turanica quel
popolo dei Somiri e degli Akkad, che fondò la più
antica civiltà babilonese. La razza bruna pare che fosse
autrice dell'antichissima civiltà dell'Elam o Susiana, ed una
civiltà autoctona pare che esistesse nell'India prima
dell'arrivo degli Ariani. L'Egitto deve la sua civiltà ad una
razza che si dice sub-semitica o berbera, e Ninive, Sidone,
Gerusalemme, Damasco, forse anche Sardi, appartennero ai Semiti.
Alla più recente civiltà degli Arabi maomettani ci
pare superfluo accennare.
XII – Senza ammettere la superiorità o l'inferiorità
assoluta di alcuna razza umana, molti credono che ognuna di esse
abbia speciali qualità intellettuali e morali in
corrispondenza necessaria con certi tipi di organizzazione sociale e
politica, dai quali il suo spirito, o meglio ancora, ciò che
si dice il genio stesso della razza non le permettono di
allontanarsi.
Or fatta la debita parte alle esagerazioni, che facilmente si
ammettono su questo argomento, tenuto sempre presente il gran fondo
umano, che si ritrova in tutti i popoli ed in tutti i tempi,
è innegabile che non diciamo ogni razza, ma ogni nazione,
ogni regione, ogni città ha un certo tipo speciale, non
dappertutto ugualmente determinato e preciso, il quale consiste in
un complesso d'idee, di credenze, di opinioni, di sentimenti, di
consuetudini e di pregiudizi, i quali rappresentano per ogni gruppo
dell'umanità cioè che i lineamenti del viso sono per
ogni individuo.
Ma questa diversità di tipo sarebbe sicuramente una
conseguenza delle diversità fisiche, della varietà
della razza, del sangue diverso che scorre nelle vene di ogni
nazione, se non trovasse la sua spiegazione in un altro fatto, che
è uno dei più sicuri e costanti, che si possono
accertare mercè l'osservazione della natura umana. Intendiamo
alludere al mimetismo, a quella grande forza psicologica per la
quale ogni individuo suole acquistare le idee, le credenze ed i
sentimenti, che sono più comuni nell'ambiente nel quale
è cresciuto. Salvo rare e quasi mai complete eccezioni, si
pensa, si giudica, si crede, come pensa giudica e crede la
società nella quale viviamo; delle cose si osserva quel lato,
che generalmente è più notato dalle persone che ci
circondano, e si sviluppano nell'individuo a preferenza quelle
attitudini morali ed intellettuali, che sono più pregiate e
più comuni in quell'ambiente umano in cui egli si è
formato.
Infatti l'unità di tipo morale ed intellettuale si ritrova
fortissima in collettività di persone, fra le quali non vi
è alcuna speciale comunanza di sangue e di razza. Valga ad
esempio il clero cattolico, il quale, sparso dappertutto, conserva
sempre una singolare uniformità nelle sue credenze, nelle sue
abitudini intellettuali e morali ed anche nei suoi costumi.
Il fenomeno si osserva più spiccato nei vari ordini
religiosi; è notoria la maravigliosa rassomiglianza di un
Gesuita italiano, con un Gesuita francese, tedesco od inglese. Molta
rassomiglianza si trova pure nel tipo militare comune a quasi tutti
i grandi eserciti europei; ed un tipo intellettuale e morale
abbastanza costante può anche esistere perfino nei singoli
reggimenti della milizia, nelle scuole militari ed anche nei collegi
laici, dovunque insomma si è potuto o saputo costituire un
ambiente particolare, una specie di forma psicologica, la quale
plasma alla sua maniera tutti gl'individui che vengono in essa
gettati.
Non indaghiamo per ora come i grandi ambienti nazionali, e meglio
ancora, quelle grandi correnti psicologiche, che abbracciano
talvolta tutta una civiltà od i seguaci di una religione si
siano formate, siano vissute e spesso anche sparite dalla scena del
mondo. L'iniziare questo studio equivarrebbe a richiamare la storia
di tutta la parte civile dell'umanità: questo possiamo con
sicurezza asserire che le circostanze storiche speciali ad ognuno
dei grandi gruppi dell'umanità hanno principalmente formato
gli ambienti speciali, ai quali abbiamo accennato, e nuove
circostanze storiche questi ambienti lentamente modificano o anche
distruggono. La parte che la consanguineità, la razza, ha
nella formazione dei vari ambienti morali ed intellettuali
può almeno in certi casi essere piccola e difficilmente
apprezzabile, anche quando il coefficiente etnico sembra a prima
vista preponderante. Così si cita l'esempio degli Ebrei, che,
sparsi in mezzo ad altri popoli, hanno per secoli e secoli
maravigliosamente conservato il loro tipo nazionale. Ma bisogna
appunto tener presente che i discendenti d'Israele sono sempre
vissuti moralmente appartati dalle popolazioni in mezzo alle quali
abitavano e sono perciò sempre stati in un ambiente
speciale32.
Infatti la prole delle famiglie ebraiche convertite al Cristianesimo
od all'Islamismo di raro conserva lungamente, ossia per molte
generazioni, i caratteri dei suoi antenati, e lo stesso Ebreo non
convertito mantiene meglio il suo tipo speciale là dove vive
più appartato. Un Ebreo della Piccola Russia o di
Costantinopoli è molto più Ebreo di un suo
correligionario nato e cresciuto in Italia o in Francia, paesi dove
i Ghetti non sono più che una memoria. Anche i Chinesi
trasportati in America apprendono molti lati della civiltà
dei Bianchi, sebbene moralmente non trasformino il loro tipo; ma
essi in California ed altrove vivono sempre tra loro in un ambiente
chinese. Nella Turchia europea ed asiatica convivono nelle stesse
città Turchi, Greci, Armeni, Ebrei e Franchi e non si
fondono, nè le razze si modificano, perchè esse,
sebbene materialmente in contatto, moralmente sono divise e ciascuna
ha il suo ambiente speciale. E si potrebbe perfino osservare che la
maggiore tenacia con cui si conserva il tipo nazionale inglese, fra
quelli delle altre nazioni europee, è una conseguenza della
poca sociabilità che gli Inglesi, stabiliti in paese
straniero, hanno verso gl'indigeni, la quale li costringe a stare
fra loro in un embrione di ambiente britannico33.
Il così detto genio delle razze non è quindi qualche
cosa di così fatale e necessario come ad alcuni piace
immaginare. Ammettendo pure che le varie razze superiori,
suscettibili cioè di creare una propria ed originale
civiltà, siano organicamente diverse una dall'altra, non
è la somma delle loro differenze organiche ciò che
esclusivamente od anche principalmente ha determinato la
diversità del tipo sociale, che esse hanno adottato, ma
piuttosto la diversità dei contatti sociali e delle
circostanze storiche, alle quali, non solo ogni razza, ma ogni
nazione ed ogni organismo sociale son destinati a sottostare.
XIII. — La questione della razza sarebbe qui esaurita se da tutti si
ammettesse che i cambiamenti organici e psichici, dai quali una
razza umana può essere modificata durante un periodo storico
anche lungo, per esempio di venti o trenta secoli, sono poco
apprezzabili e quasi trascurabili. Ma, lungi dall'essere una simile
credenza generalmente accettata, prevale ora una scuola, che si
fonda su postulati diversi; giacchè, applicando alle scienze
sociali le dottrine di Darwin sull'evoluzione delle specie, ammette
che ogni gruppo umano possa nel decorso di pochi secoli raggiungere
un notevole miglioramento organico, dal quale fa provenire il
perfezionamento politico e sociale.
Ora, senza discutere o negare le dottrine di Darwin sulla
trasformazione nella specie, ed ammettendo anche la discendenza
dell'uomo da un ipotetico antropopiteco, una cosa ci sembra certa,
indiscutibile e percepibile a prima vista: che la famosa lotta per
l'esistenza e la selezione naturale, che ne è conseguenza,
come è stata descritta nelle piante, negli animali e negli
uomini selvaggi, non esiste nelle società umane pervenute
anche ad un mediocrissimo stadio di civiltà. L'avercela
voluta trovare è effetto naturale della fortuna straordinaria
che ebbe l'ipotesi darwinista nelle scienze naturali, fortuna che
dovea tentare fortemente gli spiriti sistematici ad estenderne
l'applicazione. Ciò è pure effetto di un equivoco,
della confusione di due fatti, che, sostanzialmente diversi, hanno
apparentemente qualche punto di contatto, la quale confusione
è facilmente spiegabile che sia avvenuta nelle menti
fortemente prevenute a favore del sistema evoluzionista. Si
è, per spiegarsi in poche parole, scambiata la lotta per
l'esistenza con quella per la preminenza, la quale è
realmente un fatto costante, che avviene in tutte le società
umane dalle più civili a quelle appena uscite dallo stato
selvaggio.
Infatti nella lotta fra le varie società umane, la vincitrice
ordinariamente, anzi quasi sempre, non distrugge la vinta, ma la
sottomette, l'assimila, le impone il proprio tipo di civiltà.
Oggidì in Europa ed in America la guerra non ha altro
risultato che l'egemonia politica della nazione, che riesce
militarmente superiore, o l'annessione di qualche provincia; ma
anche anticamente, quando lottavano la Grecia con la Persia e Roma
con Cartagine, si distruggeva qualche volta l'organismo politico,
l'esistenza nazionale dei vinti, ma individualmente, anche
nell'ipotesi peggiore, questi erano ridotti preferibilmente in
servitù anzichè passati a fil di spada. I casi come
quelli di Sagunto e di Numanzia, della presa di Tiro per opera di
Alessandro Magno e di quella di Cartagine sono stati sempre
assolutamente eccezionali. Gli Assiri nell'antico Oriente, i Mongoli
nel Medio Evo furono i popoli che più frequentemente
praticarono l'uso orrendo dello sterminio sistematico dei vinti,
eppure anche essi lo usarono piuttosto come mezzo di raggiungere con
il terrore la sottomissione degli altri popoli, anzichè come
fine; ed in verità non si può dire che un solo popolo
sia stato dalle loro orribili stragi materialmente distrutto34.
Se poniamo mente poi al lavorìo interiore, che avviene nel
seno di ogni società, vediamo subito che in esso il carattere
di lotta per la preminenza anzichè per l'esistenza è
anche più spiccato. La gara fra gl'individui di ogni nucleo
sociale è per arrivare ai posti elevati, alla ricchezza, al
comando, per conquistare i mezzi, che dànno la facoltà
di dirigere a proprio piacimento molte attività e molte
volontà umane. I vinti, che in questa lotta sono naturalmente
i più, non vengono già, come sarebbe carattere
sostanziale dello struggle for life, nè divorati, nè
distrutti, nè tampoco impediti di riprodursi; essi soltanto
godono più scarse soddisfazioni materiali e sopratutto hanno
minor libertà ed indipendenza. Si può dire anzi che in
generale nelle società colte le classi inferiori, lungi
dall'essere lentamente eliminate per via della così detta
selezione naturale, sono più prolifiche delle superiori, ed
è certo che, anche in quelle classi, tutti gl'individui
finiscono quasi sempre coll'avere un pane ed una donna; per quanto
il primo possa essere più o meno nero e stentato, la seconda
più o meno leggiadra e desiderabile.
La poligamia delle classi superiori è il solo argomento che
si potrebbe citare a favore del principio della selezione naturale
applicato alle società barbare e civili. Ma anche
quest'argomento è debolissimo, perchè alla poligamia
umana non corrisponde sempre una maggiore fecondità e
perchè sono a preferenza poligame quelle società
umane, le quali hanno realizzato minori progressi sociali;
sicchè la selezione naturale si sarebbe mostrata più
impotente colà dove aveva maggiori mezzi d'azione.
XIV. — Premesse queste osservazioni, che equivalgono quasi ad una
questione pregiudiziale, venendo ad altro ordine d'idee, è
facile rilevare che, se il progresso di una razza e di una nazione
dipendesse principalmente dal miglioramento organico degli individui
che ne fanno parte, le vicende del mondo dovrebbero presentare una
trama ben differente di quella che noi conosciamo. Il progresso
morale, intellettuale e quindi sociale di ogni popolo dovrebbe
essere più lento, ma più continuo. La legge della
selezione naturale combinata con quella dell'eredità dovrebbe
ad ogni generazione far segnare un passo, ma un passo solo, in
avanti di quella che l'ha preceduto; e non dovrebbe accadere,
ciò che nella storia spessissimo vediamo, che un popolo in
due o tre generazioni soltanto dia moltissimi passi avanti e,
qualche volta, moltissimi indietro.
Questi casi di progressi rapidi e di decadenze vertiginose sono
così comuni che quasi non varrebbe la pena di citarli. Da
Pisistrato a Socrate non corrono che circa centovent'anni, ma
durante essi l'arte, il pensiero, la civiltà ellenica
compirono tali incommensurabili progressi da trasformare un popolo
di civiltà mediocre, per quanto antica, in quella Grecia, che
nella storia del progresso umano scrisse le pagine più
splendide, più profonde, più incancellabili. Non
citiamo l'esempio di Roma perchè, a dir vero, nel suo rapido
passaggio dalla barbarie alla civiltà ebbe moltissima parte
l'influenza ellenica; ma l'Italia del rinascimento cronologicamente
non dista che un secolo circa dall'Italia di Dante, eppure in questo
spazio di tempo, l'ideale artistico, morale e scientifico per
lavorìo intimo ed originale della nazione cambia interamente,
e l'uomo del Medio Evo si trasforma e scompare.
Osserviamo un momento la Francia del 1650 e quella del 1750. Nella
prima vive ancora chi può rammentare la notte di S.
Bartolomeo; le guerre religiose, la lega santa, due Re che
consecutivamente cadono sotto il coltello dei fanatici sono fatti,
che non hanno ancora acquistato il mistero dell'antichità,
dei quali i testimoni oculari non devono essere rari; alla presa
della Roccella, ultimo episodio del periodo storico che abbiamo
accennato, hanno potuto assistere tutti coloro, che appena varcarono
la prima gioventù; quasi nessuno osa esprimere i suoi dubbi
sull'esistenza dei folletti e delle streghe, e trentasette anni sono
appena trascorsi dal dì che, come strega, fu bruciata la
moglie del maresciallo d'Ancre. Un secolo dopo Montesquieu è
già vecchio, Voltaire e Rousseau sono adulti, l'Enciclopedia,
se non pubblicata, è già matura nel mondo
intellettuale, la rivoluzione dell'ottantanove nelle idee, nelle
credenze, nei costumi si può dire quasi compiuta. E, senza
andar cercando altri esempi lontani, guardiamo i paesi più
noti dell'Europa presente, l'Inghilterra, la Germania, l'Italia, la
Spagna. Certo la rivoluzione intellettuale e morale, che si svolse
nell'ultimo secolo in queste nazioni, se fosse stata una conseguenza
di modificazioni organiche degli individui che le compongono,
avrebbe richiesto per lo meno qualche dozzina di generazioni35.
D'altra parte anche gli esempi di rapide decadenze di nazioni e di
civiltà intere non sono rari. Si cerca di spiegarle
attribuendole alle invasioni ed alle distruzioni dei barbari, ma si
dimentica che, perchè un paese civile possa diventare preda
dei barbari, deve essere caduto in uno stato di grande esaurimento e
di grande disorganizzazione, che sono conseguenza della dissoluzione
morale e politica; giacchè, nel caso contrario, una maggiore
civiltà presuppone sempre una popolazione maggiore e
cognizioni e mezzi di offesa e di difesa più potenti ed
efficaci. La China è stata conquistata due volte dai Mongoli
o Tartari e l'India parecchie volte dai Turchi, dai Tartari, dagli
Afgani, ma la civiltà chinese ed indiana al momento delle
invasioni erano già entrate in periodi di decadenza.
E questa decadenza spontanea dei popoli civili in alcuni casi si
può quasi matematicamente accertare. Tutti gli orientalisti
sanno che l'antichissima fra tutte le antiche civiltà
egiziane, quella che canalizzò il Nilo, inventò la
scrittura geroglifica, costruì le grandi piramidi, si
ecclissò spontaneamente e scomparve senza che sinora se ne
siano potute conoscere le ragioni. Vi furono guerre civili, ecco
tutto quello che si sa, e poi l'oscurità e la barbarie, dalle
quali, dopo più di quattro secoli, si vede spontaneamente
sorgere una nuova civiltà36.
Babilonia, che per tanti e tanti secoli era stata un focolare di
civiltà, non fu distrutta dai suoi conquistatori, nè
da Ciro, nè da Dario, nè da Alessandro, decadde e
scomparve dalla scena del mondo per lenta consunzione, per
disfacimento spontaneo. L'impero romano d'occidente si dice che sia
stato distrutto dai barbari, ma chi conosce anche mediocremente la
storia sa che i barbari non ammazzarono che un cadavere, sa quanto
grande sia stata la decadenza nell'arte, nella letteratura, nella
ricchezza, nell'amministrazione, in tutti i rami insomma della
romana civiltà da Marco Aurelio a Diocleziano; epoca nella
quale i barbari non fecero che scorrere temporaneamente qualche
provincia, ma non si stabilirono in alcuna parte dell'impero,
nè ebbero modo di farvi danni duraturi37. Senza che fosse
perturbata da alcuna invasione od elemento straniero, la Spagna
della seconda metà del secolo decimosettimo non era
più che l'ombra di quel paese, che, un secolo prima era la
Spagna di Carlo V e che mezzo secolo prima, aveva avuto Cervantes,
Lopez de Vega e Quevedo38.
Tutti questi fatti si spiegano molto male o meglio non si spiegano
affatto con la teoria dell'evoluzione organica e superorganica e
della selezione naturale. Stando ad essa un popolo più civile
dovrebbe essere più epurato e migliorato dalla lotta per
l'esistenza, e per via dell'eredità avrebbe dovuto acquistare
sugli altri un vantaggio, che, nella corsa delle nazioni attraverso
i secoli, non si capisce perchè poi dovrebbe perdere. Al
contrario noi vediamo una nazione, un gruppo di popoli, ora
lanciarsi con impeto irresistibile avanti, ora accasciarsi e
miseramente restare indietro. Si può invero notare un
movimento di progresso, che, nonostante le interruzioni e le lacune,
spinge l'umanità sempre più avanti, e la
civiltà odierna della razza ariana è infatti superiore
a tutte le precedenti, ma bisogna riflettere che ogni nuovo popolo,
il quale ha la fortuna di diventare civile, ha molto meno cammino a
fare e disperde una quantità infinitamente minore di forze,
perchè esso eredita la esperienza e le cognizioni positive di
tutte le civiltà che l'hanno preceduto.
Certo che i Germani di Tacito non sarebbero arrivati in diciotto
secoli a formare centri di cultura come Londra, Berlino, New-York se
avessero dovuto inventare essi la scrittura alfabetica, i primi
elementi delle matematiche e tutto quel tesoro immenso di
cognizioni, che appresero mercè il contatto coi Greci e coi
Romani. Nè la civiltà ellenica e la civiltà
romana avrebbero tanto progredito senza le infiltrazioni delle
antiche civiltà orientali, alle quali appunto esse dovettero
la nozione dell'alfabeto e dei primi rudimenti delle scienze esatte.
Adunque piuttosto che per la via dell'eredità organica la
civiltà umana progredisce per quella della eredità
scientifica; possono restare stazionari, o anche diventar barbari, i
discendenti di un popolo civile e gli studi dei loro padri
feconderanno la civiltà nascente di orde incolte che si
troveranno in condizioni favorevoli per accogliere quei benefici
germi39.
A dir vero si riconosce anche dagli evoluzionisti il fatto che,
prima della razza ariana e segnatamente del ramo germanico di essa,
altre razze sono arrivate alla civiltà; ma si aggiunge che
queste razze sono decadute o rimaste stazionarie perchè
invecchiate, od, in altri termini, perchè hanno esaurito
tutta quella somma di energia intellettuale e morale di cui potevano
disporre. Veramente questa idea della vecchiaia di alcune razze ci
pare l'effetto di un'analogia del tutto apparente fra la vita
dell'individuo e quella della comunità; mentre, stando ai
fatti che noi vediamo, siccome i membri di quest'ultima si
riproducono sempre ed ogni nuova generazione ha tutto il vigore
della gioventù, un'intera società non può
diventare vecchia come accade all'individuo quando le sue forze
cominciano a declinare40. Nè, a nostra conoscenza, è
stata mai accertata alcuna differenza organica fra gl'individui di
una società che progredisce e quelli di un'altra
società che decade.
Le società in decadenza invecchiano perchè cambia il
tipo dell'organizzazione sociale; invecchiano allora, o meglio si
sfatano lentamente, le credenze religiose, i costumi, i pregiudizi e
le tradizioni sulle quali le istituzioni politiche e sociali sono
fondate: ma questi sono tutti elementi sociali il cui variare
dipende dall'intervento di nuovi fattori storici coi quali un popolo
si può trovare in contatto, o anche da una lenta e spontanea
elaborazione intellettuale, morale e sociale, che in seno allo
stesso si può produrre. Sicchè è molto, ma
molto arrischiato l'asserire che i cambiamenti nella costituzione
fisica della razza vi possano entrare per qualche cosa41.
Del resto questa credenza che tutte le civiltà extra-ariane,
l'egiziana, la babilonese, quella chinese antica e moderna siano
state e siano uniformemente immobili ci pare proprio l'effetto di un
errore d'ottica, proveniente dal fatto che noi le vediamo molto da
lontano. E il caso delle montagne, che, da lontano sotto il cielo
limpido e trasparente della Sicilia, sembrano belle muraglie
azzurre, che, perpendicolarmente ed uniformemente, chiudono
l'orizzonte e che, da vicino, poi si vede che sono tutt'altra cosa:
perchè ognuna comprende un piccolo mondo speciale di salite,
di discese, di accidentalità di ogni genere. Non possiamo
raccontare qui, neppure sommariamente, le vicende di Babilonia, di
Tebe, di Menfi, ma lo studio dei monumenti caldei ed egiziani ci ha
informato in modo omai non dubbio, che degli alti e dei bassi, delle
decadenze e delle epoche di risorgimento e di progresso ce ne furono
parecchie, tanto sulle rive del Nilo che su quelle dell'Eufrate e
del Tigri42. E quanto alla China, è vero che la sua
civiltà è durata maravigliosamente e senza
interruzione parecchie migliaia d'anni, ma non è a dire che
sia stata sempre la stessa: quel tanto che sappiamo della storia
chinese basta ad assicurarci che l'organizzazione politica e sociale
del Celeste impero ha subito, nel corso dei secoli, fortissime
modificazioni43.
XV. — Il Letourneau nel suo libro intitolato "Evoluzione della
morale" fa derivare il progresso delle società umane da un
processo organico, per il quale le azioni buone, che sarebbero poi
le azioni utili44, lasciano una traccia nel cervello e nei centri
nervosi dell'individuo che le fa, traccia che, ripetuta diverse
volte, produce una tendenza verso la continuazione dello stesso
atto, la qual tendenza si trasmette poi ai discendenti. Si
può domandare perchè non lasciano la stessa traccia le
azioni cattive od inutili. Ma ascoltiamo l'autore: egli scrive che
"come i corpi suscettibili di fosforescenza si ricordano della luce,
così la cellula nervosa si ricorda dei suoi atti intimi, ma
attenendosi a modi infinitamente più tenaci e svariati. Ogni
atto al quale ha presieduto la cellula nervosa, vi lascia una specie
di residuo funzionale, che nell'avvenire ne faciliterà la
ripetizione e qualche volta la provocherà. In effetto questa
ripetizione diverrà sempre più facile e finirà
anche col compiersi spontaneamente ed automaticamente. La cellula
nervosa avrà allora acquistato un'inclinazione, un'abitudine,
un istinto, un bisogno"45. E più avanti: "Le cellule nervose
sono per eccellenza degli apparecchi d'impregnazione; qualunque
corrente d'attività molecolare le traversi vi lascia
più o meno una traccia, che tende a rivivere. Con una
ripetizione sufficiente degli atti queste traccie s'organizzano, si
fissano, si trasmettono ereditariamente ed a ciascuna di esse
corrisponde una tendenza, un'inclinazione, che si manifesterà
all'occasione e contribuirà a costituire ciò che si
chiama il carattere. Bisogna tener presente questa veduta generale
se si vuole capire l'origine e l'evoluzione della morale". E
più avanti ancora, ribadendo sempre lo stesso concetto,
aggiunge: "Nei suoi tratti essenziali ciò che è etico
è utilitario e progressivo. Pertanto una volta formate,
impiantate nei centri nervosi, le inclinazioni morali o immorali non
si spengono che lentamente come esse si sono formate. Spesso anche
riappariscono per atavismo ed allora si vedono sorgere nel seno di
una società relativamente incivilita dei tipi morali
dell'epoca della pietra, ovvero dei tipi eroici in mezzo ad una
civiltà mercantile". Ci pare che questi brani bastino per
avere un'idea abbastanza precisa e coscienziosa del concetto
fondamentale dello scrittore. Essi sono inoltre sufficienti per
fornire un concetto abbastanza chiaro degli argomenti di tutta
quella scuola, che pone le scienze antropologiche a fondamento della
sociologia.
Le ipotesi però, per quanto belle ed ardite, nella scienza
hanno un valore solo quando sono confermate dall'esperienza, ossia
da dimostrazioni a base di fatti: ad ogni modo noi non vogliamo ora
discutere l'autenticità di tutto quel procedimento organico,
che, nel libro del Letourneau, troviamo così nettamente e
cosi sicuramente esposto. Ma i fatti sono sempre i fatti, essi hanno
lo stesso valore scientifico, sia che siano tratti dallo studio
delle cellule nervose, dal colore dei capelli e dalla misurazione
dei crani delle varie razze e dalla osservazione delle
società animali, oppure dallo studio della storia umana.
L'unica classificazione per ordine d'importanza, che si possa
ammettere tra essi, è quella tra fatti bene accertati, che,
ad esempio, non sono stati trovati ed asseriti da coloro stessi, che
vi hanno sopra fabbricato le loro teorie, e fatti dubbi, male
accertati, che hanno subito l'influenza dei preconcetti
dell'osservatore. Or tutta la storia ampiamente dimostra come il
progresso delle società umane non segua quel corso che
dovrebbe seguire se le teorie della scuola antropologica fossero
esatte: sicchè per accettarle bisogna che esse subiscano
almeno una modificazione. Si deve cioè ammettere che l'uomo
civile o capace di civiltà, il quale non è certo
comparso ieri sulla faccia del mondo, ha subito nelle sue cellule
nervose tante e così varie impressioni morali da rendergli
possibili le tendenze e le abitudini più disparate: tanto
quelle che conducono una società verso il progresso
intellettuale, morale e politico, quanto le altre, che la portano
alla decadenza ed al disfacimento46.
XVI — Ma, così ridotta, la teoria antropologica non ha
più alcun valore pratico, non c'insegna nè ci
può insegnare alcuna cosa, che già non sappiamo, e val
meglio di tentar di raggiungere risultati scientifici per altra via,
per quanto ardua questa possa essere. La verità è che,
come fondandosi sulla varietà dei climi, nessuna legge
generale si è potuta trovare intorno all'organizzazione delle
società umane ed alla varietà dei tipi, che esse
presentano, così non se ne è trovata alcuna che sia
basata sulla diversità delle razze e che è impossibile
attribuire al loro miglioramento od alla decadenza organica il
progresso o la rovina delle nazioni.
Chi ha molto viaggiato ordinariamente viene nell'opinione che gli
uomini, sotto le apparenti differenze di costumi e di abitudini, in
fondo psicologicamente si somigliano moltissimo; chi ha molto letto
la storia acquista una convinzione analoga per quel che riguarda le
varie epoche della umana civiltà: scorrendo i documenti i
quali c'informano come gli uomini di un altro tempo sentirono,
pensarono, vissero, la conclusione alla quale si arriva è
sempre identica: che essi erano molto simili a noi47. Questa
somiglianza psicologica, il fatto che le grandi razze, che formano i
quattro quinti dell'umanità, si sono mostrate capaci di
svariatissime vicende di progresso e di decadenza, ci induce a porre
avanti l'ipotesi, che è anche il risultato di tutte le
indagini negative che abbiamo già fatto, che come l'uomo o
almeno le grandi razze umane, hanno la tendenza costante a
costituirsi in società, così devono avere tendenze
psicologiche ugualmente forti e costanti, che le spingono verso un
grado sempre maggiore di cultura e di progresso sociale, tendenze
che però agiscono con più o meno forza, o possono
essere anche soffocate, a seconda che trovano più o meno
favorevole l'ambiente fisico, quel complesso di circostanze che si
chiama il caso fortuito48 ed anche a seconda che sono più o
meno combattute dall'ambiente sociale, cioè da altre tendenze
psicologiche egualmente generali e costanti49.
In fondo è un processo organico, per quanto più
complicato, simile a quello che avviene in tutta la natura animale e
vegetale. Una pianta ha la tendenza fortissima ad espandersi e
moltiplicarsi, tendenza che può essere agevolata o combattuta
dall'ambiente fisico, dalle condizioni cioè di umidità
e di clima, dal caso fortuito rappresentato dal vento e dagli
uccelli, che ne propagano o disperdono i semi, e da qualità
proprie, cioè dalla maggiore o minore resistenza, che oppone
alle malattie che la colpiscono. Simile pure è il
procedimento che avviene in quel ramo dell'attività sociale,
che è stato a preferenza degli altri studiato, cioè
nella produzione della ricchezza: produzione la quale ha una
tendenza indefinita ad aumentare, che è più o meno
ostacolata dalle difficoltà naturali, fino ad un certo punto
dal caso fortuito ed anche dall'ignoranza, dalla soverchia
ingordigia e dai pregiudizi umani.
L'uomo non crea nè distrugge alcuna delle forze della natura,
però può studiarne il gioco e l'andamento e dirigerlo
a suo profitto. È cosi che agisce nell'agricoltura, nella
navigazione, nella meccanica; è cosi che in questi rami di
attività la scienza moderna ha potuto raggiungere risultati
quasi miracolosi. Il metodo certo non può essere diverso
quando si tratta delle scienze sociali; e infatti è quello
stesso che ha dato finora discreti risultati nell'Economia politica.
Senonchè non è da dissimularsi che nelle scienze
sociali in genere le difficoltà da superare sono immensamente
maggiori: giacchè non solo la più grande
complessità delle leggi psicologiche, o tendenze costanti
comuni alle masse umane, rende più difficile il determinarne
l'azione, ma è indiscutibile che è più agevole
l'osservazione dei fatti che si svolgono attorno a noi,
anzichè quella dei fatti, che sono opera nostra. L'uomo
può studiare molto più agevolmente i fenomeni della
fisica, della chimica, della botanica, anzichè i propri
istinti e le proprie passioni50. E bisogna anche confessare che la
necessaria obiettività per condurre con buon risultato questo
genere di osservazioni sarà sempre privilegio di una
ristretta frazione d'individui dotati di attitudini speciali e di
una particolare educazione intellettuale, e, dato che questi
individui possano raggiungere risultati scientifici, è molto
problematico che riescano a modificare in base ad essi l'azione
politica delle grandi società umane51.
XVII. — Qualunque possa essere nell'avvenire l'efficacia pratica
della scienza politica è indiscutibile che i progressi di
questa disciplina sono tutti fondati sullo studio dei fatti sociali
e che questi fatti non si possono cavare che dalla storia delle
diverse nazioni. In altre parole se la scienza politica deve essere
fondata sullo studio e l'osservazione dei fatti politici è
all'antico metodo storico che bisogna tornare.
Contro questo metodo si elevano diverse obiezioni più o meno
gravi, alle quali brevemente risponderemo.
Si dice prima di tutto che moltissimi autori, a cominciare da
Aristotile continuando con Machiavelli e Montesquieu fino ai giorni
nostri, hanno questo metodo usato, e che, malgrado che molte delle
loro osservazioni parziali siano universalmente riconosciute come
fondate e come verità scientificamente acquisite, pure un
vero sistema scientifico ancora non si è trovato.
Ma del metodo storico in particolare si può dire quello che
abbiamo già detto del metodo positivo in genere, che per dare
buoni risultati deve essere bene applicato. Or per bene applicarlo,
condizione indispensabile è il conoscere la storia largamente
ed esattamente, e ciò non era nella possibilità
nè di Aristotile, nè di Machiavelli o di Montesquieu,
nè di alcun altro scrittore, che fosse vissuto solo
più di mezzo secolo addietro. Le grandi sintesi non possono
essere tentate che dopo che si ha una collezione grandissima di
fatti studiati ed accertati con criterio scientifico; certo anche
nei secoli scorsi delle nozioni storiche non mancavano, ma esse
erano quasi unicamente ristrette a singoli periodi: fino agli inizi
del secolo scorso si conosceva forse in qualche modo la
civiltà greco-romana e la storia delle nazioni moderne
europee, ma sul passato del resto del mondo non si sapevano se non
favole vaghissime ed incerte tradizioni. Ed anche nella ristretta
parte della storia, che abbiamo accennato, le nozioni che si
possedevano non erano perfette; non era ancora sviluppato il senso
critico, mancava quella paziente ricerca dei documenti, quella
minuziosa ed accurata interpretazione delle inscrizioni, che, non
solo ha precisato meglio le linee generali delle azioni dei grandi
personaggi storici, ma ci ha rivelato tutti quei dettagli delle
consuetudini sociali e dell'organizzazione politica ed
amministrativa dei diversi popoli, che sono interessanti per lo
studio della scienza politica assai più delle gesta personali
dei grandi guerrieri e dei sovrani.
La conoscenza esatta della geografia fisica, l'etnologia e la
filologia comparata, che illuminano sulle origini ed i rapporti di
consanguineità delle nazioni, la preistoria, che ha posto in
evidenza l'antichità del genere umano e di alcune
civiltà, la interpretazione degli alfabeti geroglifico,
cuneiforme ed indiano antico, che ci hanno svelato i misteri delle
civiltà orientali ora estinte, sono conquiste del secolo
decimonono. Ugualmente in questo secolo si sono, almeno in parte,
tolti i misteri, che avviluppavano la storia della China, del
Giappone e di altre nazioni dell'estremo oriente, e si sono in parte
scoperti, in parte più accuratamente studiati i ricordi delle
antiche civiltà americane. In questo secolo infine è
invalso l'uso degli studi statistici comparati, che ci rendono
facile la conoscenza delle condizioni di popoli lontanissimi.
Indiscutibilmente se lo studioso di scienze sociali poteva prima
intuire, ora soltanto ci ha i mezzi per osservare in grande, gli
strumenti ed i materiali per provare.
Aristotile non conosceva che imperfettissimamente la storia delle
grandi monarchie asiatiche; le sue cognizioni probabilmente si
limitavano a quanto ne avevano scritto Erodoto e Senofonte, ed a
quanto ne aveva potuto sapere dai seguaci di Alessandro, che poco
capivano i paesi che conquistavano. Sicchè in fondo altro
tipo politico non avea famigliare che lo Stato greco del quarto e
del quinto secolo avanti Cristo e poco o nulla di esatto avea potuto
apprendere sul resto del mondo: in queste condizioni la sua Politica
rappresenta uno sforzo intellettuale maraviglioso e la sua
classificazione dei governi in monarchie, aristocrazie e democrazie,
che ora si potrebbe giudicare incompleta e superficiale, allora
certo era quanto di meglio la mente umana potea escogitare.
Machiavelli ebbe per modello quasi esclusivo dello stato il Comune
italiano della fine del quattrocento, colle sue alternative di
tirannide e di anarchia, nel quale il potere si conquistava e si
perdeva per un giuoco di violenze e furberie, che facea guadagnare
la partita a chi sapea meglio mentire e dava l'ultimo colpo di
pugnale: si comprende che questo modello abbia colpito tanto il suo
spirito da fargli scrivere il Principe. La conoscenza quasi
esclusiva che avea della storia romana, come si poteva apprendere ai
suoi tempi, e di quella delle grandi monarchie moderne, che poco
avanti a lui eransi formate, spiegano i Discorsi sulle Decadi, le
Storie e le sue lettere. — Montesquieu non poteva conoscere la
storia dell'Oriente molto meglio di Aristotile, nè quella
greca e romana assai più profondamente di Machiavelli, e le
maggiori cognizioni che avea sugli istituti e la storia della
Francia, dell'Inghilterra e della Germania, a preferenza di quelli
degli altri paesi, danno la spiegazione della sua teoria secondo la
quale la libertà politica sarebbe solo possibile nei paesi
freddi.
XVIII. — Un'altra obiezione si fa al metodo storico, la quale se non
più fondata è certo più speciosa, e tale che
agli occhi di alcuni può parere molto grave e perfino
insuperabile. Essa si basa sulla poca attendibilità dei
materiali storici. Si dice infatti comunemente che tutti gli sforzi
degli storici spesso non giungono a scoprire la verità, che
frequentemente è difficile accertare precisamente come
realmente siano accaduti fatti che si sono svolti nel corso
dell'anno e nella nostra città, sicchè si può
ritenere come impossibile di ottenere racconti degni di fede quando
si tratta di epoche e paesi lontani. Non si manca di rilevare le
contradizioni che esistono tra i diversi storici e le smentite, che
l'un l'altro si danno, le passioni da cui ordinariamente sono
animati e se ne conclude che nessuna deduzione sicura, nessuna vera
scienza si può trarre da fatti che sono sempre molto dubbi e
imperfettamente conosciuti.
A questi argomenti la risposta non è ardua. E prima di tutto
osserviamo di passaggio che i fatti contemporanei non appuriamo
esattamente solo quando non abbiamo nè l'interesse nè
i mezzi di conoscere la verità, oppure quando vi sono
interessi contrari, che vi si oppongono. Se quest'ostacolo non vi
fosse, ognuno che volesse impiegarvi tempo ed un po' di danaro,
potrebbe sempre, in mezzo alle varie versioni, alle ciarle ed ai si
dice, trovare, per mezzo di un'inchiesta più o meno lunga,
come presso a poco un fatto realmente sia accaduto. Or, pei fatti
storici, quanto più antichi sono tanto più tacciono
gl'interessi, che mirano ad alterarne la esatta nozione, e si deve
supporre che lo storico abbia pazienza e tempo sufficienti per
appurare intorno ad essi la verità.
Di ben altra importanza è una seconda osservazione, che ora
faremo in proposito. I fatti storici sui quali regna e
regnerà sempre la maggiore incertezza sono quelli aneddottici
e biografici che possono interessare la vanità od il
tornaconto di un uomo, di una nazione, di un partito. E su questi
principalmente che la passione dello scrittore può essere
causa anche incosciente di errori; ma fortunatamente, questo genere
di fatti interessano mediocremente lo studioso di scienze politiche,
al quale importerà ben poco se una battaglia sia stata vinta
per merito di un tal capitano o per colpa di un altro, o se un
assassinio politico sia stato più o meno giustificabile. Al
contrario vi sono altri fatti che riguardano il tipo e
l'organizzazione sociale dei vari popoli e delle varie epoche; e su
questi appunto, che son quelli che a preferenza c'interessano, gli
storici, spontaneamente e senza partito preso, ci dicono spesso la
verità e più che gli storici ci illuminano i documenti
ed i monumenti.
Ad es. probabilmente non sapremo mai quando Omero precisamente
visse, in quale città nacque, quali furono i casi della sua
vita, ma ciò ha un certo interesse per il critico ed il
letterato che amerebbero conoscere i più minuti particolari
intorno alla persona dell'autore dell'Iliade e della Odissea, e ne
ha uno ben mediocre per il politico che studia il mondo psicologico
e sociale descritto dal gran poeta, mondo che, per quanto abbellito
dalla fantasia del vate, dovette realmente esistere in epoca poco
anteriore ad Omero. Nessuno conoscerà mai precisamente quali
siano stati i torti ed i meriti di Temistocle, come siano stati
pronunziati i discorsi di Pericle, quale fosse la gamba dalla quale
zoppicava Agesilao, la razza del cane di Alcibiade ed il colore del
cavallo di Alessandro Magno, ma è indiscutibilmente provato
che nell'Ellade, dal sesto al quarto secolo avanti Cristo, vi era un
tipo di organizzazione politica, della quale conosciamo già
bene, e sempre meglio conosceremo, a misura che si studieranno le
iscrizioni ed i monumenti che mano mano si trovano, le diverse
varietà, le specialità ed i particolari della
compagine amministrativa economica e militare.
Nessuno probabilmente conoscerà mai nulla di esatto sulla
vita del Re egiziano Kufro della IV dinastia, malgrado la grande
piramide, che egli si fece costruire per tomba, nessuno avrà
la biografia di Ramses 2° della XVIII dinastia, malgrado che
resti il poema di Pentaur, che ne celebra le vittorie vere o
supposte; ma nessuno porrà in dubbio che, trenta o quaranta
secoli avanti l'èra volgare, eravi già nella valle del
Nilo una società numerosa, organizzata, civile, e che lo
spirito umano dovette fare prodigiosi sforzi di pazienza e di
originalità per cavarla dalla barbarie. Nessuno può
porre in dubbio che questa società, modificandosi sempre nel
volger dei secoli, ebbe credenze religiose, cognizioni scientifiche
e, talvolta, cosi maravigliosa organizzazione amministrativa e
militare, che si potrebbe quasi paragonare a quella degli Stati
più civili dell'era odierna52.
È lecito dubitare che Tiberio e Nerone siano stati
così tristi come Tacito li ha descritti, che siasi esagerata
l'imbecillità di Claudio, la lascivia di Messalina, la
passione di Caligola per il suo cavallo. Ma non si può negare
l'esistenza dell'impero romano e la possibilità negli
imperatori di commettere malvagità e pazzie che, in altri
tempi ed in altri tipi di organizzazione politica, non sarebbero
state tollerate. Nè si può mettere in dubbio che, nei
primi secoli dell'era volgare, una grande civiltà riunita
politicamente in un grande stato abbracciava tutto il bacino del
Mediterraneo: e di questo stato conosciamo già abbastanza, e
sempre meglio conosceremo, la legislazione e la elaborata
organizzazione finanziaria, amministrativa e militare. Si può
perfino supporre che Sakia-Muni sia interamente un mito, che
Gesù Cristo non sia stato mai crocifisso, anzi che neppure
abbia esistito, ma nessuno negherà mai l'esistenza del
Buddismo e del Cristianesimo coi dogmi e precetti morali che li
costituiscono; nessuno negherà mai che queste due religioni,
poichè tanto si son diffuse e da tanto tempo durano, devono
rispondere a sentimenti ed a bisogni psicologici diffusissimi nelle
masse umane.
XIX. — In conclusione dunque, pur ammettendo che l'aneddoto ed il
particolare biografico abbiano potuto influire sulla storia delle
nazioni, ci pare innegabile che essi possono dare ben poco aiuto
nello scoprire le grandi leggi psicologiche, che si manifestano
nella vita delle nazioni stesse. Queste leggi svelano piuttosto la
loro azione nelle istituzioni amministrative e giuridiche, nelle
religioni, in tutte le abitudini morali e politiche dei vari popoli,
ed è quindi in questi ultimi ordini di fatti che dobbiamo
concentrare la nostra attenzione.
Ed intorno a questi fatti crediamo difficile e scarsamente utile
stabilire dei criteri precisi di preferenza. In verità
qualunque notizia, sia storica o contemporanea, che riguardi le
istituzioni di un popolo politicamente organizzato, che sia
cioè riunito in masse piuttosto numerose e che abbia
raggiunto un certo grado di una qualunque civiltà, può
essere molto interessante. Se una raccomandazione si può fare
in proposito è questa: che si sfugga dal ricavare tutte le
osservazioni da un gruppo di organismi politici, che appartengono
allo stesso periodo storico o presentino lo stesso, o poco
dissimile, tipo di civiltà53. Lo Spencer, come abbiamo
già accennato, nei suoi Primi principî di sociologia ha
cercato di premunire gli studiosi di scienze sociali contro quelli
che egli chiama pregiudizi; che consistono in certe abitudini dello
spirito umano, per le quali l'osservatore vede i fatti sociali sotto
un punto di vista subiettivo unilaterale e ristretto, che
necessariamente produce dei risultati erronei. Or, per riparare a
quest'inconveniente, non basta avvertire chi può cadervi che
l'inconveniente esiste, ma bisogna che il suo spirito sia preparato
in maniera da evitarlo. Infatti l'aver la nozione del pregiudizio
politico, del pregiudizio nazionale e di quello religioso o
antireligioso non toglie che una persona, la quale è stata
educata nella credenza che una data forma di governo basti a
rigenerare l'umanità, che la sua nazione è la prima
dell'universo, che la sua religione è la sola verace o che il
progresso umano consista nella distruzione di tutte le religioni,
quando viene all'applicazione pratica delle teoriche spenceriane,
non cada in uno o in parecchi dei pregiudizi enumerati. La vera
salvaguardia contro questa specie di errori sta nel sapere elevare
il proprio criterio al di sopra delle credenze ed opinioni che sono
generali nella propria epoca o in quel tipo sociale o nazionale di
cui facciamo parte; il che, riportandoci ad un concetto già
accennato, corrisponde all'avere studiato molti fatti sociali, a
conoscer bene e molto la storia, non già di un periodo o di
un popolo, ma possibilmente dell'umanità.
XX. — Ai giorni nostri, od almeno fino a poco tempo fa, è
prevalsa negli studi sociali la tendenza a considerare con speciale
cura gli organismi politici più semplici e più
primitivi, cioè quelli delle tribù selvaggie; e tutte
le circostanze, che ad esse si riferiscono, sono state attentamente
notate e registrate54. Le relazioni dei viaggiatori, che fra queste
tribù hanno dimorato, hanno perciò acquistato una
particolare importanza e riempiono i moderni libri di Sociologia.
Or noi non diremo che questi studi siano completamente inutili,
giacchè è difficile trovare un'applicazione qualsiasi
dello spirito umano, che resti completamente infeconda; ma certo non
ci sembrano i più adatti a fornire solidi materiali alle
scienze sociali in genere ed alla scienza politica in ispecie. E,
prima di tutto, facciamo osservare che le relazioni dei viaggiatori
sono ordinariamente più subiettive, più incerte e
contradittorie dei racconti degli storici e sopratutto meno soggette
al controllo dei documenti e dei monumenti. Un individuo, che si
trova in mezzo a uomini di una civiltà molto differente di
quella alla quale è abituato, generalmente li osserva a
preferenza da certi punti di vista speciali, e perciò
può facilmente prendere abbagli ed errori. Erodoto, che fu il
più gran viaggiatore dell'antichità ed osservatore,
come ora si è riscontrato, non superficiale e coscienzioso,
molte cose riferì erroneamente, appunto perchè,
abituato alla civiltà greca, mal sapea spiegarsi certi
fenomeni delle civiltà orientali: e se si potessero
controllare le relazioni dei viaggiatori moderni su documenti
autentici, come si è fatto qualche volta con quelle di
Erodoto, non crediamo che le troveremmo più esatte55.
In secondo luogo poi, e ci par questo argomento decisivo, i fatti
sociali non si possono raccogliere che nelle società umane, e
per società non si deve intendere un'agglomerazione di poche
famiglie, ma ciò che comunemente dicesi una nazione, un
popolo, uno stato. Le forze psicologiche sociali non si possono
sviluppare e non possono avere la loro applicazione che nei grandi
organismi politici, cioè colà dove esistono numerose
riunioni di uomini moralmente e politicamente uniti. Nel gruppo
primitivo, nella tribù di cinquanta o cento individui, il
problema politico quasi non esiste e quindi non si può
studiare.
Ad esempio è molto facile spiegarsi la monarchia in una di
quelle tribù che abbiamo accennato, nelle quali il maschio
più forte e più scaltro facilmente s'impone ai pochi
compagni; ma occorrono ben altri elementi per potere darsi ragione
dello stabilirsi di questa istituzione in società di milioni
di individui, nelle quali un solo non si può materialmente
imporre alla totalità degli altri e, per quanto abile ed
energico, troverà facilmente nella massa centinaia di
individui che, almeno potenzialmente, sono abili ed energici quanto
lui. Si comprende pure facilmente come poche decine ed anche poche
centinaia d'individui, che vivono insieme, restando isolati
moralmente, se non materialmente, dal resto del mondo, presentino
una data singolarità di tipo morale, ed abbiano vivo il
sentimento della tribù e della famiglia. Ma il comprendere
ciò ci aiuta ben poco quando si tratta di spiegarci
perchè una identità di tipo morale, un sentimento
vivissimo nazionale, esista in agglomerazioni umane di decine e
qualche volta, come nel caso della Russia e della China, di
centinaia di milioni di persone, nelle quali gli individui quasi
sempre vivono lontanissimi gli uni dagli altri, sono nella loro
grandissima maggioranza scevri di qualunque reciproco rapporto
personale, e, nei loro vari gruppi, presentano condizioni di vita
materiale molto differente.
Si dice che lo studio degli enti politici minuscoli riesce
utilissimo, perchè in essi si trovano in embrione tutti
quegli organi sociali che poi si vanno mano mano sviluppando nelle
società più vaste e più progredite, e si crede
che riesca molto più facile esaminarne il meccanismo quando i
detti organi sono rudimentali, anzichè quando divengono
complicati. Ma il paragone, ormai così frequente, fra
l'organizzazione delle società umane e quelle degli individui
del regno animale, giammai crediamo che sia stato meno calzante e
meno opportuno come in questo caso. Esso si può ritorcere
facilissimamente contro la tesi a favore della quale fu invocato;
giacchè non crediamo che nessun zoologo vorrebbe trar lume
dallo studio degli animali inferiori per risolvere le quistioni
riguardanti l'anatomia e la fisiologia dei vertebrati a sangue
caldo, e non è certo coll'osservazione delle monère e
dei polipi che si sono scoperte la circolazione del sangue ed
accertate le funzioni del cuore, del cervello e dei polmoni
nell'uomo e negli altri animali superiori.
Ed ora non manca che un argomento ancora, ma è il più
importante di tutti, per provare la bontà del metodo storico
da noi preferito. Questo argomento consiste nella buona applicazione
del detto metodo; nel dimostrare con l'esempio pratico che esso,
usufruendo di tutti i materiali storici, che la scienza di questo
secolo ha messo a nostra disposizione, può dare risultati
veramente scientifici. Ciò tenteremo di fare negli altri
capitoli di questo lavoro.
CAPITOLO II.
La classe politica.
I. Predominio di una classe dirigente in tutte le società. —
II. Importanza politica di questo fatto. — III. Prevalenza delle
minoranze organizzate sulle maggioranze. — IV. Forze politiche. Il
valor militare. — V. La ricchezza. — VI. Le credenze religiose e la
cultura scientifica. — VII. Influenza dell'eredità nella
classe politica. — VIII. Periodi di stabilità e di
rinnovamento della classe politica.
I — Fra le tendenze ed i fatti costanti, che si trovano in tutti gli
organismi politici, uno ve n'è la cui evidenza può
essere facilmente a tutti manifesta: in tutte le società, a
cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono
appena arrivate ai primordi della civiltà, fino alle
più colte e più forti, esistono due classi di persone:
quella dei governanti e l'altra dei governati. La prima, che
è sempre la meno numerosa, adempie a tutte le funzioni
politiche, monopolizza il potere e gode i vantaggi che ad esso sono
uniti; mentre la seconda, più numerosa, è diretta e
regolata dalla prima in modo più o meno legale, ovvero
più o meno arbitrario e violento, e ad essa fornisce, almeno
apparentemente, i mezzi materiali di sussistenza e quelli che alla
vitalità dell'organismo politico sono necessari.
Nella pratica della vita tutti riconosciamo l'esistenza di questa
classe dirigente o classe politica, come altra volta ebbimo a
definirla56. Sappiamo infatti che nel nostro paese alla direzione
della cosa pubblica vi è una minoranza di persone influenti,
di cui la maggioranza subisce, di buon grado o malgrado, la
direzione e che lo stesso avviene nei paesi vicini, e non sapremmo
quasi nella realtà immaginare un mondo organizzato
diversamente, nel quale tutti ugualmente e senza alcuna gerarchia
fossero sottoposti ad un solo o tutti ugualmente dirigessero le cose
politiche. Se in teoria ragioniamo altrimenti ciò è in
parte l'effetto di abitudini inveterate nel nostro pensiero ed in
parte è dovuto alla soverchia importanza che diamo a due
fatti politici, la cui appariscenza è d'assai superiore alla
realtà.
Il primo di essi consiste nella facile constatazione che in ogni
organismo politico vi è sempre una persona che è capo
della gerarchia di tutta la classe politica e dirige ciò che
si chiama il timone dello Stato. Questa persona non sempre è
quella che legalmente avrebbe il supremo potere, alle volte anzi,
accanto al Re od all'Imperatore ereditario vi è un primo
ministro o un maestro di palazzo che ha un potere effettivo maggiore
di quello del Sovrano, od, in luogo del Presidente elettivo, governa
l'uomo politico influente, che l'ha fatto eleggere. Qualche volta,
per circostanze speciali, invece di una persona sola sono due o tre
quelle che adempiono a quest'ufficio della suprema direzione.
Il secondo fatto è anch'esso di facile percezione,
perchè qualunque sia il tipo di organizzazione sociale,
agevolmente si può constatare che la pressione proveniente
dal malcontento dalla massa dei governati, le passioni da cui essa
è agitata possono esercitare una certa influenza
sull'indirizzo dalla classe politica.
Ma l'uomo che è a capo dello Stato non potrebbe certo
governare senza l'appoggio di una classe numerosa, che i suoi ordini
fa eseguire e rispettare, e se egli può far sentire il peso
della sua possanza ad uno od a parecchi dei singoli individui, che a
questa classe appartengono, non può certo urtarla nel suo
complesso e distruggerla. Giacchè, dato che ciò fosse
possibile, dovrebbe subito ricostituirne un'altra, senza di che la
sua azione sarebbe completamente annullata. E d'altra parte, ammesso
anche che il malcontento delle masse riuscisse a detronizzare la
classe dirigente, dovrebbe necessariamente trovarsi, come più
avanti meglio dimostreremo, nel seno delle masse stesse un'altra
minoranza organizzata, che all'ufficio di classe dirigente
adempisse. Altrimenti qualunque organizzazione e qualunque compagine
sociale sarebbe distrutta.
II. — Ciò che poi costituisce la vera superiorità
della classe politica, come base di ricerche scientifiche, è
l'importanza preponderante che la sua varia costituzione ha nel
determinare il tipo politico ed anche il grado di civiltà dei
diversi popoli. Stando infatti a quella maniera di classificare le
forme dei governi, che è ancora in voga, la Turchia e la
Russia erano fino a qualche anno fa tutte e due monarchie assolute,
l'Inghilterra e l'Italia monarchie costituzionali e la Francia e gli
Stati Uniti andrebbero poste nella categoria delle Repubbliche.
Questa classificazione è basata sul fatto che, nei primi due
paesi, il capo dello Stato è ereditario ed era nominalmente
onnipotente, nei secondi, pur essendo ereditario, ha facoltà
ed attribuzioni limitate, negli ultimi infine è elettivo. Ma
la classificazione è evidentemente superficiale.
Giacchè appare subito che ben poco di comune v'è nella
maniera come sono ed erano rette politicamente la Russia e la
Turchia, assai diverso essendo il grado di civiltà di questi
due paesi e l'ordinamento delle loro classi politiche: e, seguendo
lo stesso criterio, troviamo il regime dell'Italia monarchica assai
più analogo a quello della Francia repubblicana che a quello
dell'Inghilterra ugualmente monarchica, ed importantissime
differenze esservi fra l'ordinamento politico degli Stati Uniti e
quello della Francia stessa, sebbene ambidue i paesi siano retti a
repubblica.
Come poco avanti abbiamo accennato, lunghe abitudini di pensiero si
sono opposte e si oppongono su questo punto al progresso
scientifico. La classificazione da noi accennata, che divide i
Governi in monarchie assolute, temperate e repubbliche è
opera di Montesquieu che la sostituì a quella classica, che
già avea fatto Aristotele, il quale li divideva in monarchie,
aristocrazie e democrazie57. Da Polibio a Montesquieu molti autori
aveano perfezionato la classificazione aristotelica sviluppandola
nella teoria dei Governi misti. Poi la corrente democratica moderna,
che ebbe il suo inizio con Rousseau, si fondò sul concetto
che la maggioranza dei cittadini di uno Stato possa, anzi debba
partecipare alla vita politica; e la dottrina della sovranità
popolare, malgrado che la scienza moderna renda sempre più
manifesta la coesistenza in ogni organismo politico del principio
democratico, del monarchico e dell'aristocratico58, s'impone ancora
a moltissime menti. Noi qui non la confuteremo direttamente,
giacchè a questo compito adempiamo in tutto il complesso del
nostro lavoro, e perchè è assai difficile in poche
pagine distruggere in una mente umana tutto un sistema d'idee, che
vi si è radicato; giacchè, come bene scrisse il Las
Casas nella vita di Cristoforo Colombo, il disimparare è in
molti casi più difficile dell'imparare.
III. — Fin da ora però crediamo utile di rispondere ad una
obiezione, la quale ci pare che molto facilmente si possa fare al
nostro modo di vedere. Se è agevole il comprendere che un
solo non possa comandare ad una massa senza che ci sia in essa una
minoranza che lo sostenga, è piuttosto difficile l'ammettere
come un fatto costante e naturale, che le minoranze comandino alle
maggioranze anzichè queste a quelle. Ma è questo uno
dei punti, come tanti se ne danno in tutte le altre scienze, in cui
la prima apparenza delle cose è contraria alla loro
realtà. Nel fatto è fatale la prevalenza di una
minoranza organizzata, che obbedisce ad unico impulso, sulla
maggioranza disorganizzata. La forza di qualsiasi minoranza è
irresistibile di fronte ad ogni individuo della maggioranza, il
quale si trova solo davanti alla totalità della minoranza
organizzata; e nello stesso tempo si può dire che questa
è organizzata appunto perchè è minoranza.
Cento, che agiscano sempre di concerto e d'intesa gli uni cogli
altri, trionferanno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno
alcun accordo fra loro; e nello stesso tempo sarà ai primi
molto più facile l'agire di concerto e l'avere un'intesa,
perchè son cento e non mille.
Da questo fatto si ricava facilmente la conseguenza che, quanto
più è grande una comunità politica, altrettanto
minore può essere la proporzione della minoranza governante
rispetto alla maggioranza governata, e tanto più difficile
riesce a questa l'organizzarsi per reagire contro di quella.
Però, oltre al vantaggio grandissimo che viene
dall'organizzazione, le minoranze governanti ordinariamente sono
costituite in maniera che gl'individui che le compongono, si
distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che
danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale
od anche morale, oppure sono gli eredi di coloro che queste
qualità possedevano: essi in altre parole devono avere
qualche requisito, vero od apparente, che è fortemente
apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale
vivono.
IV. — Nelle Società primitive, che sono ancora nel primo
stadio della loro costituzione, la qualità che più
facilmente apre l'accesso alla classe politica o dirigente, è
il valor militare. La guerra, che nelle società di avanzata
civiltà è uno stato eccezionale, può essere
considerata quasi come normale in quelle che sono all'inizio del
loro sviluppo, ed allora gl'individui che spiegano in essa migliori
attitudini acquistano facilmente la supremazia sugli altri: i
più bravi diventano i capi. Il fatto è costante, ma le
modalità che può assumere, secondo i casi, sono
alquanto diverse.
Ordinariamente il dominio di una classe guerriera sopra una
moltitudine pacifica si suole attribuire alla sovrapposizione delle
razze, alla conquista, che un popolo bellicoso fa di un altro
relativamente imbelle. Qualche volta infatti la cosa avviene
precisamente così: e ne abbiamo degli esempi nell'India dopo
le invasioni degli Arii, nell'impero romano dopo quelle dei popoli
germanici e nel Messico dopo la conquista azteca; ma più
spesso ancora, in certe condizioni sociali, vediamo formarsi una
classe guerriera e dominatrice anche là dove di conquista
straniera non vi è assolutamente traccia. Finchè
un'orda infatti vive esclusivamente di caccia, allora tutti i suoi
individui possono facilmente tramutarsi in guerrieri e vi saranno
dei capi, che avranno naturalmente il predominio nella tribù,
ma non si avrà la formazione di una classe bellicosa, che
sfrutti e tuteli nello stesso tempo un'altra addetta al lavoro
pacifico. Ma, a misura che si va lasciando lo stadio venatorio e si
entra in quello agricolo e pastorale, allora, insieme all'aumento
enorme della popolazione ed alla maggiore stabilità dei mezzi
d'influenza sociale, può nascere la divisione più o
meno netta in due classi: l'una consacrata esclusivamente al lavoro
agricolo, l'altra alla guerra. Se ciò avviene, è
inevitabile che l'ultima acquisti poco a poco tale preponderanza
sulla prima da poterla impunemente opprimere.
La Polonia offre un esempio caratteristico del cambiamento graduale
della classe guerriera in classe assolutamente dominatrice. In
origine i Polacchi aveano quell'ordinamento del comune rurale che
era prevalso fra tutti i popoli slavi, nè eravi fra loro
distinzione alcuna fra guerrieri ed agricoltori, ossia nobili e
contadini. Però, dopo che fissaronsi nelle grandi pianure
dove scorre la Vistola ed il Niemen, cominciando a svilupparsi fra
essi l'agricoltura e nello stesso tempo continuando la
necessità di guerreggiare contro bellicosi vicini, i capi
delle tribù o woiewodi si circondarono di un certo numero di
individui scelti, i quali ebbero come occupazione speciale quella
delle armi. Essi erano divisi nelle varie comunità rurali ed
erano naturalmente esentati dai lavori agricoli, pur ricevendo la
loro porzione dei prodotti della terra, alla quale, come gli altri
comunisti, aveano diritto. Nei primi tempi la loro posizione non era
molto ricercata e vi ebbero esempi di paesani, che rifiutavano
l'esenzione dei lavori agricoli pur di non andare a combattere; ma,
gradatamente, come quest'ordine di cose si fece stabile, come una
classe si abituò al maneggio delle armi ed agli ordinamenti
militari, mentre l'altra vieppiù incallivasi nell'uso
dell'aratro e della vanga, i guerrieri divennero nobili e padroni ed
i contadini, da compagni e fratelli, tramutaronsi in villani e
servi. Poco a poco i bellicosi signori moltiplicarono le loro
esigenze al punto che la parte, che essi prendevano come membri
della comunità, si allargò fino a comprendere tutto il
prodotto della comunità stessa, meno ciò che era
assolutamente necessario alla sussistenza dei coltivatori; e quando
questi tentarono di fuggire, furono con la forza costretti a restar
legati alla terra, assumendo cosi il loro stato i caratteri di una
vera e propria servitù della gleba59.
Evoluzione analoga abbiamo in Russia. Colà i guerrieri che
costituivano la droujina, ossia il seguito degli antichi kniaz o
principi discendenti da Rürick, ottennero anch'essi, per
vivere, una parte del reddito dei mir, o comuni rurali dei
contadini. A poco a poco questa parte crebbe e siccome la terra
abbondava e le braccia mancavano ed i contadini ne profittavano per
emigrare, lo czar Boris Godounof alla fine del decimosesto secolo
diè il diritto ai nobili di ritenere con la forza i contadini
nelle loro terre, dando cosi origine alla servitù della
gleba. Però in Russia giammai la forza armata fu costituita
esclusivamente dai nobili: i moujiks o piccoli uomini seguivano alla
guerra come gregari i membri della droujina e poi, fin dal secolo
sedicesimo, Ivano IV il Terribile costituiva mediante gli strelitzi
un corpo di truppe quasi stanziali, che durò fino a quando
Pietro il Grande lo sostituì con i reggimenti organizzati
secondo il tipo europeo-occidentale, nei quali gli antichi membri
della droujina, uniti a stranieri, formarono il corpo degli
ufficiali, ed i moujiks diedero l'intero contingente dei soldati60.
In generale poi, in tutti i popoli entrati recentemente nello stadio
agricolo e relativamente civile, troviamo costante il fatto che la
classe per eccellenza militare corrisponde a quella politica o
dominatrice; in qualche parte anzi l'uso delle armi resta riservato
esclusivamente a questa classe, come è accaduto nell'India ed
in Polonia; più comunemente avviene che anche i membri della
classe governata possono essere eventualmente arruolati, ma sempre
come gregari e nei corpi meno stimati. Così in Grecia,
all'epoca delle guerre mediche, i cittadini appartenenti alle classi
più ricche ed influenti costituivano i corpi scelti dei
cavalieri e degli opliti, i meno ricchi combattevano come peltasti o
frombolieri e gli schiavi, ossia la massa dei lavoratori, era quasi
completamente esentata dal maneggio delle armi. Ordinamento
perfettamente analogo troviamo nella Roma repubblicana fino
all'epoca delle guerre puniche ed anche fino a Caio Mario, tra i
Galli all'epoca di Giulio Cesare61, nell'Europa latina e germanica
del Medio Evo, nella Russia testè citata ed in molti altri
popoli.
V. — Come in Russia ed in Polonia, come nell'India e nell'Europa del
Medio Evo, dappertutto le classi guerriere e dominatrici si sono
accaparrata la quasi esclusiva proprietà delle terre, che nei
paesi non molto civili sono la fonte principalissima della
produzione e della ricchezza. A misura poi che la civiltà va
progredendo, il reddito di queste terre va aumentando62, ed allora,
se altre circostanze vi concordano, può avvenire una
trasformazione sociale molto importante: la qualità
più caratteristica della classe dominante più che il
valore militare viene ad essere la ricchezza, i governanti sono i
ricchi piuttosto che i forti.
La principale condizione necessaria perchè questa
trasformazione avvenga è la seguente: occorre che
l'organizzazione sociale si perfezioni e si concentri in maniera che
il presidio della forza pubblica diventi molto più efficace
di quello della forza privata. Bisogna, in altre parole, che la
proprietà privata sia sufficientemente tutelata dalla forza
pratica e reale delle leggi in modo da rendere superflua quella del
proprietario stesso. Ciò si ottiene mediante una serie di
graduali mutamenti nell'ordinamento sociale, sui quali più
avanti ci dovremo piuttosto lungamente intrattenere, e che hanno per
effetto di cambiare quel tipo di organizzazione politica, che noi
chiameremo lo Stato feudale, in un altro tipo, essenzialmente
diverso, che da noi sarà denominato Stato burocratico.
Però fin da ora possiamo dire che la evoluzione, alla quale
abbiamo accennato, ordinariamente è molto facilitata dal
progredire dei pacifici costumi e da certe abitudini morali, che le
società contraggono col progredire della civiltà.
Una volta avvenuta la detta trasformazione è certo che, come
il potere politico ha prodotto la ricchezza, così la
ricchezza produce il potere. In una società già
abbastanza matura, nella quale la forza individuale è tenuta
a freno da quella collettiva, se i potenti sono ordinariamente i
ricchi, dall'altra parte basta essere ricchi per diventare potenti.
Ed in verità è inevitabile che, quando è
proibita la lotta a mano armata restando permessa quella a colpi di
scudi, i posti migliori siano conquistati appunto da coloro che di
scudi sono meglio forniti.
Ci sono invero Stati di civiltà avanzatissima, che sono
organizzati in base a principî morali di un'indole tale, che
sembrano escludere questa preponderanza della ricchezza da noi
enunciata. Ma questo è uno dei tanti casi in cui i principi
teorici non hanno che una limitata applicazione nella realtà
delle cose. Negli Stati Uniti d'America, ad esempio, tutti i poteri
escono direttamente od indirettamente dalle elezioni popolari ed il
suffragio è, in quasi tutti gli Stati, universale; e vi
è anche di più: la democrazia colà non è
solo nelle istituzioni, ma anche in certo modo nei costumi, e vi
è una certa ripugnanza nei ricchi a darsi ordinariamente alla
vita pubblica ed una certa ripugnanza nei poveri a scegliere i
ricchi per le cariche elettive63. Ciò non toglie che un ricco
vi sia sempre molto più influente di un povero, perchè
può pagare i politicanti spiantati, che dispongono delle
pubbliche amministrazioni; non toglie che le elezioni si facciano al
suono dei dollari; che intieri parlamenti locali e numerose frazioni
del Congresso non risentano l'influenza delle potenti compagnie
ferroviarie e dei grandi baroni della finanza. E vi è perfino
chi assicura che, in parecchi Stati dell'Unione, chi abbia molto da
spendere possa anche concedersi il lusso di ammazzare un uomo colla
quasi sicurezza dell'impunità64.
Anche nella China fino a qualche anno fa, il Governo, sebbene non
avesse accolto il principio dell'elezione popolare, era fondato
sopra una base essenzialmente egalitaria; si sa che i gradi
accademici aprivano l'accesso alle pubbliche cariche e che questi
gradi si conferivano per esame senza apparente riguardo alla nascita
od alla ricchezza65. Ma benchè la classe doviziosa sia in
China meno numerosa, meno ricca, meno strapotente che negli Stati
Uniti d'America, non è men vero che essa avea saputo
notevolmente intaccare la leale applicazione di questo sistema. Non
solo si comprava spesso a forza di danaro l'indulgenza degli
esaminatori, ma il Governo stesso talora per danaro vendeva i
diversi gradi accademici e permetteva che arrivassero agli impieghi
persone ignoranti, che qualche volta erano venute su dagli ultimi
strati sociali66.
Prima di lasciare quest'argomento dobbiamo poi rammentare che, in
tutti i paesi del mondo, altri mezzi d'influenza sociale, quali
sarebbero la notorietà, la grande cultura, le cognizioni
speciali, i gradi elevati nelle gerarchie ecclesiastiche,
amministrative e militari, si acquistano sempre più
facilmente dai ricchi anzichè dai poveri. I primi per
arrivare devono sempre percorrere una via notevolmente più
breve di quella dei secondi, senza contare che il tratto di strada,
che ai ricchi viene risparmiato, è spessissimo il più
aspro e difficile.
VI. — Nelle società nelle quali le credenze religiose hanno
molta forza ed i ministri del culto formano una classe speciale si
costituisce quasi sempre un'aristocrazia sacerdotale, che ottiene
una parte più o meno grande della ricchezza e del potere
politico. Abbiamo esempi cospicui di questo fatto in certe epoche
dell'antico Egitto, nell'India braminica e nell'Europa del Medio
Evo. Spesso i sacerdoti, oltre che adempire agli uffici religiosi,
hanno avuto anche cognizioni giuridiche e scientifiche e hanno
rappresentato la classe intellettualmente più elevata.
Conscientemente o inconscientemente però, nelle gerarchie
sacerdotali si è manifestata di frequente la tendenza a
monopolizzare le cognizioni accennate e ad ostacolare la diffusione
dei metodi e dei procedimenti, che rendono possibile e facile
l'apprenderle. Si può invero sospettare che a questa tendenza
sia, almeno in parte, dovuta la lentissima diffusione che ebbe
nell'Egitto antico l'alfabeto demotico, infinitamente più
semplice e facile della scrittura geroglifica. In Gallia i Druidi,
sebbene avessero conoscenza dell'alfabeto greco, non permettevano
che la copiosa raccolta della loro letteratura sacra fosse scritta
ed obbligavano i loro allievi a cacciarla con molta fatica a
memoria. Allo stesso scopo può essere attribuito l'uso tenace
e frequente delle lingue morte, che troviamo nell'antica Caldea,
nell'India e nell'Europa del Medio Evo. Qualche volta, infine, come
è appunto accaduto nell'India, si è proibito
formalmente alle classi inferiori di aver conoscenza dei libri
sacri.
Le nozioni speciali e la vera cultura scientifica, spoglie di
qualunque carattere sacro e religioso, diventano una forza politica
importante solo in uno stadio molto avanzato di civiltà; ed
è allora soltanto che esse possono a coloro che le posseggono
aprire l'adito della classe governante. Ma, anche in questo caso,
è da tener presente che ciò che ha un valore politico
non è tanto la scienza in se stessa quanto le applicazioni
pratiche che se ne possono fare a vantaggio del pubblico, ovvero
dello Stato. Qualche volta non si richiede che il possesso dei soli
procedimenti meccanici indispensabili per acquistare una coltura
superiore, forse perchè è più facile constatare
e misurare la perizia, che in essi il candidato ha potuto
acquistare. Così, in certe epoche dell'antico Egitto, la
professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche ed al potere,
forse anche perchè l'apprendere la scrittura geroglifica
richiedeva lunghi e pazienti studi; come pure, nella China moderna,
la conoscenza dei numerosissimi caratteri della scrittura chinese ha
formato la base della cultura dei mandarini67. Nell'Europa presente
ed in America la classe, che applica alla guerra,
all'amministrazione pubblica, alle opere ed alla sanità
pubblica i ritrovati della scienza moderna, occupa una posizione
socialmente e politicamente ragguardevole: e, negli stessi paesi,
come nella Roma antica, privilegiata assolutamente è la
condizione dei giurisperiti, che conoscono la complicata
legislazione comune a tutti i popoli di antica civiltà,
massime se alle nozioni giuridiche accoppiano quel genere di
eloquenza, che più incontra il gusto dei propri
contemporanei. Non mancano esempi nei quali vediamo che, nella
frazione più elevata della classe politica, la lunga pratica
nel dirigere l'organizzazione militare e civile della
comunità fa nascere e sviluppare una vera arte di governo
superiore al gretto empirismo ed a tutto ciò che può
suggerire la sola esperienza individuale. E allora che si
costituiscono quelle aristocrazie di funzionari, come il Senato
romano, il veneto e, fino ad un certo punto la stessa aristocrazia
inglese, che formavano l'ammirazione dello Stuart Mill e che certo
hanno dato alcuni dei Governi, che più si sono distinti per
maturità nei loro disegni e costanza ed avvedutezza nel
metterli in esecuzione. Quest'arte non è certo la Scienza
politica, ma ha precorso senza dubbio l'applicazione di alcuni suoi
postulati; però, se essa si è in qualche modo
affermata in certe classi di persone da lungo tempo in possesso
delle funzioni politiche, crediamo che la sua conoscenza non abbia
servito mai come criterio ordinario per aprirne l'accesso a coloro,
che dalla loro posizione sociale ne restavano esclusi68.
VII. — In certi paesi troviamo le caste ereditarie; la classe
governante è perciò definitivamente ristretta ad un
dato numero di famiglie e la nascita è l'unico criterio, che
determina l'entrata nella detta classe o l'esclusione da essa. Gli
esempi di queste aristocrazie ereditarie sono comunissimi e non vi
è quasi paese di antica civiltà, che, in una data
epoca della sua storia, non ne abbia avuto. Una nobiltà
ereditaria troviamo infatti in certi periodi nella China e
nell'Egitto antico, nell'India, nella Grecia anteriore alle guerre
mediche, in Roma antica, tra gli Slavi, tra i Latini e Germani del
Medio Evo, nel Messico all'epoca della scoverta dell'America e nel
Giappone fino a pochi anni fa.
Su questo proposito dobbiamo premettere due osservazioni: la prima
è che tutte le classi politiche hanno la tendenza a diventare
di fatto, se non di diritto, ereditarie. Infatti tutte le forze
politiche hanno quella qualità, che in fisica si chiama forza
di inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello
stato in cui si trovano. Il valor militare e la ricchezza facilmente
per tradizione morale e per effetto dell'eredità si
mantengono in certe famiglie; e la pratica delle grandi cariche,
l'abitudine e quasi l'attitudine a trattare gli affari di importanza
si acquistano molto più facilmente quando da piccoli si
è avuta con essi una certa famigliarità. Anche quando
i gradi accademici, la coltura scientifica, le attitudini speciali
provate per mezzo di esami e di concorsi aprono l'adito alle cariche
pubbliche, non si distrugge quel vantaggio speciale a favore di
taluni, che i Francesi definiscono il vantaggio delle posizioni
già prese. Ed in realtà, per quanto esami e concorsi
siano teoricamente aperti a tutti, alla maggioranza manca sempre
l'agiatezza necessaria per sopperire alle spese di una lunga
preparazione, ed a molti altri fanno difetto le relazioni e le
parentele, per le quali un individuo è messo subito sulla via
buona e si evitano i tentennamenti e gli sbagli inevitabili quando
si entra in un ambiente sconosciuto, nel quale non si hanno guide ed
appoggi69.
La seconda osservazione consiste in ciò: che, quando vediamo
in un paese stabilita una casta ereditaria che monopolizza il potere
politico, si può esser sicuri che un simile stato di diritto
fu preceduto dallo stato di fatto. Prima di affermare il loro
diritto esclusivo ed ereditario al potere, le famiglie o le caste
potenti dovettero tenere ben saldo nelle loro mani il bastone del
comando, dovettero monopolizzare assolutamente tutte le forze
politiche di quell'epoca e di quel popolo in cui si affermarono;
altrimenti una pretesa di questo genere avrebbe suscitato proteste e
lotte acerbissime.
Dopo ciò diremo come le aristocrazie ereditarie spesso hanno
vantato una origine soprannaturale o almeno diversa e superiore a
quella delle classi governate; tale pretesa si spiega con un fatto
sociale importantissimo, del quale dovremo lungamente parlare nel
seguente capitolo, e che fa sì che ogni classe governante
tende a giustificare il suo potere di fatto appoggiandolo ad un
principio morale d'ordine generale. Recentemente però la
stessa pretesa si è presentata con l'appoggio di un corredo
scientifico. Qualche scrittore, sviluppando ed ampliando le teorie
del Darwin, crede che le classi superiori rappresentino un grado
più elevato dell'evoluzione sociale e che esse quindi siano
per costituzione organica migliori di quelle inferiori; il
Grumplowicz, già citato, va più avanti e sostiene
nettamente il concetto che la divisione dei popoli in classi
professionali è fondata, nei paesi di moderna civiltà,
sopra una eterogeneità etnica70.
Or sono notissime nella storia le qualità come anche i
difetti speciali, le une e gli altri molto accentuati, che hanno
mostrato quelle aristocrazie, che sono rimaste perfettamente chiuse,
oppure che hanno reso molto difficile l'accesso nella loro classe.
L'antico patriziato romano e la moderna nobiltà inglese e
tedesca danno subito l'idea del tipo che accenniamo.
Senonchè, di fronte a questo fatto ed alle teorie che tendono
ad esagerarne la portata, si può fare sempre la stessa
obiezione: che gl'individui appartenenti a queste aristocrazie
debbono le loro qualità speciali non tanto al sangue, che
loro scorre nelle vene, quanto alla particolarissima educazione che
hanno ricevuto, e che ha sviluppato in loro certe tendenze
intellettuali e morali a preferenza di altre71.
Si dice che ciò può esser sufficiente a spiegare le
superiorità nelle attitudini puramente intellettuali, ma non
le differenze di carattere morale, come sarebbero la forza di
volontà, il coraggio, l'orgoglio, l'energia. Ma la
verità è che la posizione sociale, le tradizioni di
famiglia, le abitudini della classe in cui viviamo, contribuiscono
al maggiore o minore sviluppo delle qualità accennate
più di quanto comunemente si crede. Se infatti osserviamo
attentamente gl'individui che cambiano di posizione sociale, o in
meglio o in peggio, e che entrano in conseguenza in un ambiente
diverso da quello al quale erano abituati, possiamo facilmente
accertarci che le loro attitudini intellettuali si modificano molto
meno sensibilmente di quelle morali, Astrazion facendo della
maggiore larghezza di vedute, che lo studio e le cognizioni danno a
chiunque non sia assolutamente uno stupido, ogni individuo, resti
semplice segretario o diventi ministro, arrivi al grado di sergente
od a quello di generale, sia milionario o pezzente, si mantiene
immancabilmente a quel livello intellettuale, che la natura gli ha
dato. Mentre, col cambiare del grado sociale e della ricchezza,
possiamo benissimo vedere l'orgoglioso diventare umile e la
servilità cambiarsi in tracotanza; un carattere franco e
fiero, costretto da necessità, imparare a mentire o quanto
meno a dissimulare; e chi si è piegato lungamente a simulare
e mentire rifarsene poi adottando una sedicente franchezza ed
inflessibilità di carattere. È pure vero che chi
dall'alto viene abbassato spesso acquista forza di rassegnazione, di
sacrificio e d'iniziativa, come pure che chi dal basso viene
innalzato qualche volta guadagna riguardo al sentimento della
giustizia e dell'equità. Insomma, si muti in bene o in male,
deve essere eccezionalmente temprato quell'individuo, che, cambiando
notevolmente di posizione sociale, conserva inalterato il proprio
carattere72.
Il coraggio guerresco, l'energia nell'attacco, la longanimità
nella resistenza sono qualità, che spesso e lungamente sono
state credute monopolio delle classi superiori. Certo grande
può essere la differenza naturale e, diremo cosi, innata che
su queste qualità può correre fra un individuo ed un
altro; a mantenerle però alte o basse, in media, in una
categoria d'uomini numerosa, concorrono sopratutto le tradizioni e
le abitudini dell'ambiente. Generalmente ci familiarizziamo col
pericolo, o meglio ancora con un dato pericolo, quando le persone
con cui siamo usi a vivere ne parlano con indifferenza e rimangono
calme ed imperturbabili davanti ad esso. Infatti, sebbene molti ce
ne siano naturalmente timidi, i montanari affrontano impavidi i
pericoli degli abissi ed i marinari quelli del mare, ed allo stesso
modo le popolazioni e le classi abituate alla guerra mantengono in
sommo grado le virtù militari.
E ciò è tanto vero che, anche popolazioni e classi
sociali ordinariamente disusate dalle armi, acquistano rapidamente
le dette virtù, purchè gl'individui da esse
provenienti vengano incorporati in certi nuclei, dove il coraggio e
l'ardire siano tradizionali; purchè siano, ci si passi la
metafora, gettati in crogiuoli umani fortemente imbevuti di quei
sentimenti, che ad essi si vogliono trasmettere. Con fanciulli
principalmente rubati fra gl'infiacchiti Greci di Bisanzio Maometto
II reclutava i suoi terribili giannizzeri; il tanto disprezzato
fellah egiziano, da lunghi secoli disabituato dalle armi ed avvezzo
a ricevere umile ed imbelle le bastonate di tutti gli oppressori,
mescolato ai Turchi ed Albanesi di Mehemet-Alì diventava un
buon soldato. La nobiltà francese ha goduto sempre gran fama
per il suo brillante valore, ma, fino alla fine del secolo
decimottavo, questa qualità non era ugualmente attribuita
alla borghesia dello stesso paese; le guerre della repubblica e
dell'impero dimostrarono ampiamente che la natura era stata
ugualmente prodiga di coraggio per tutti gli abitanti della Francia,
e che plebe e borghesia potevano fornire non solo buoni soldati, ma
anche, che ciò si credeva privilegio esclusivo dei nobili,
eccellenti ufficiali73.
VIII. — Infine, stando all'idea di coloro che sostengono la forza
esclusiva del principio ereditario nella classe politica, si
verrebbe ad una conseguenza consimile a quella che abbiamo accennato
nella prima parte del nostro lavoro: la storia politica della
umanità dovrebbe essere molto più semplice di quella
che è. Se veramente la classe politica appartenesse ad una
razza differente o se le sue qualità dominatrici si
trasmettessero principalmente per mezzo della eredità
organica, non si capirebbe il perchè, formata una volta
questa classe, essa debba decadere e perdere il potere. È
ammesso comunemente che le qualità proprie di una razza sono
molto tenaci e, stando alla teoria dell'evoluzione, le attitudini
acquisite nei padri sono innate nei figli e col succedersi delle
generazioni si vanno sempre più affinando. Sicchè i
discendenti dei dominatori dovrebbero diventare sempre più
atti a dominare, e le altre classi dovrebbero mano mano vedere
allontanata la possibilità di misurarsi con loro e di
sostituirli. Or la più volgare esperienza basta a farci
sicuri che le cose non vanno precisamente così.
Noi vediamo che, appena si spostano le forze politiche, se si fa
sentire il bisogno che attitudini diverse di quelle antiche si
affermino nella direzione dello Stato e se le antiche quindi non
conservano la loro importanza, o se avvengono dei cambiamenti nella
loro distribuzione, muta anche la maniera come la classe politica
è formata. Se in una società si forma un nuovo cespite
di ricchezza, se cresce l'importanza pratica del sapere, se l'antica
religione decade od una nuova ne nasce, se una nuova corrente di
idee si diffonde, contemporaneamente avvengono forti spostamenti
nella classe dirigente. Si può dire anzi che tutta la storia
dell'umanità civile si riassume nella lotta fra la tendenza,
che hanno gli elementi dominatori a monopolizzare le forze politiche
ed a trasmetterne ereditariamente il possesso ai loro figli, e la
tendenza, che pure esiste, verso lo spostamento di queste forze e
l'affermazione di forze nuove, la quale produce un continuo lavorio
di endosmosi ed esosmosi fra la classe alta e alcune frazioni di
quelle basse. Decadono poi immancabilmente le classi politiche ogni
qualvolta non possono più esercitare le qualità per le
quali arrivarono al potere, o quando non possono rendere più
il servizio sociale che rendevano o le loro qualità ed i
servizi che rendono perdono ogni importanza nell'ambiente sociale in
cui vivono: cosi decadde l'aristocrazia romana quando non
fornì più esclusivamente gli alti ufficiali
dell'esercito, gli amministratori della repubblica, i governatori
delle Provincie; cosi decadde la veneta quando i suoi patrizi non
comandarono più le galere e non passarono più gran
parte della loro vita navigando, commerciando e combattendo.
Nella natura inorganica troviamo l'esempio dell'aria, nella quale la
tendenza all'immobilità, prodotta dalla forza d'inerzia,
è continuamente combattuta dalla tendenza allo spostamento,
conseguenza delle ineguaglianze nella distribuzione del calorico. Le
due tendenze, prevalendo a vicenda nelle diverse parti del nostro
pianeta, vi producono or la calma, or il vento e la tempesta. Senza
voler trovare alcuna analogia sostanziale fra questo esempio ed i
fenomeni sociali, e solo citandolo perchè ci fa comodo come
paragone formale, osserviamo che, nelle società umane,
prevale ora la tendenza che produce la chiusura,
l'immobilità, la cristallizzazione, per dir così,
della classe politica, ora quella che ha per conseguenza il suo
più o meno rapido rinnovamento.
Le società dell'Oriente, che noi giudichiamo immobili, in
realtà non lo sono sempre state, perchè altrimenti,
come abbiamo già accennato, non avrebbero potuto fare quei
progressi di cui ci lasciarono le irrecusabili testimonianze.
È molto più esatto il dire che noi le abbiamo
conosciute quando erano in un periodo di cristallizzazione delle
loro forze e classi politiche. Lo stesso avviene in quelle
società, che comunemente si chiamano invecchiate, nelle quali
le credenze religiose, la cultura scientifica, i modi di produrre e
distribuire la ricchezza non hanno subito da lunghi secoli alcun
radicale cambiamento, e che non sono state turbate nel loro
ordinario andamento da infiltrazioni materiali od intellettuali di
elementi stranieri. In queste società, le forze politiche
essendo sempre le stesse, la classe che le possiede mantiene
indisputato il potere, che si perpetua per ciò in certe
famiglie e l'inclinazione verso la immobilità si generalizza
anche in tutti gli strati sociali.
È così che nell'India vediamo il regime delle caste
stabilirsi rigorosamente dopo che vi fu soffocato il Buddismo.
Così vediamo pure che nell'antico Egitto i Greci trovarono le
caste ereditarie, mentre sappiamo che nei periodi di splendore e
rinnovamento della civiltà egiziana la ereditarietà
degli uffici e delle condizioni sociali non esisteva74. Ma l'esempio
più noto e forse più importante di una società
che tende a cristallizzarsi l'abbiamo in quel periodo della storia
romana che dicesi il basso impero, nel quale, dopo alcuni secoli di
un'immobilità sociale quasi completa, vediamo farsi sempre
più netta la separazione fra due classi: l'una di grandi
proprietari e funzionari importanti, l'altra di servi, di coloni, di
plebe; e cosa anche più notevole, stabilita pria dal costume
che dalla legge, l'eredità degli uffici e delle condizioni
sociali si andò in quell'epoca rapidamente generalizzando75.
Ma può avvenire al contrario, e avviene qualche volta nella
storia delle nazioni, che il commercio con genti estranee, la
necessità di emigrare, le scoperte, le guerre, creino nuova
povertà e ricchezza nuova, diffondano cognizioni fin allora
sconosciute, producano l'infiltrazione di nuove correnti morali,
intellettuali e religiose. Può accadere che, per lenta
elaborazione interna o per effetto di queste infiltrazioni, o per
ambo le cause, sorga una scienza nuova, o tornino in onore i
risultati di quella antica, che era stata obliata, e che le nuove
idee e le nuove credenze scuotano le abitudini intellettuali sulle
quali si fondava l'obbedienza delle masse. La classe politica
può anche essere vinta e distrutta in tutto od in parte da
invasioni straniere e, quando si producono le circostanze dianzi
rammentate, può anche essere sbalzata di seggio da nuovi
strati sociali forti di nuove forze politiche. È naturale che
ci sia allora un periodo di rinnovamento, o, se si vuole definirlo
così, di rivoluzione, durante il quale le energie individuali
hanno buon giuoco ed alcuni fra gl'individui più passionati,
più attivi, più scaltri ed arditi possono dal basso
della scala sociale aprirsi la via fino ai gradi più elevati.
Questo movimento, una volta iniziato, non si può tutto ad un
tratto fermare; l'esempio di contemporanei, che, partiti dal nulla
sono arrivati a posizioni cospicue, stimola nuove ambizioni, nuove
cupidigie, nuove energie, ed il rinnovamento molecolare della classe
politica si mantiene attivo finchè un lungo periodo di
stabilità sociale non lo va di nuovo rallentando76. Allora,
mano mano che dallo stato febbrile una società va passando a
quello di calma, siccome le tendenze psicologiche dell'uomo sono
sempre le stesse, coloro che fanno parte della classe politica vanno
acquistando lo spirito di corpo e di esclusivismo ed imparano l'arte
di monopolizzare a loro vantaggio le qualità e le attitudini
necessarie per arrivare al potere e per mantenerlo: infine, col
tempo, si forma la forza conservatrice per eccellenza, quella
dell'abitudine, per la quale molti si rassegnano a stare in basso,
ed i membri di certe famiglie o classi privilegiate acquistano la
convinzione che per loro è quasi un diritto assoluto lo stare
in alto ed il comandare.
Ad un filantropo verrebbe certo la voglia di indagare se
l'umanità sia più felice o meno tribolata quando si
trova in un periodo di calma e cristallizzazione sociale, in cui
ognuno deve quasi fatalmente restare in quel gradino della gerarchia
sociale nel quale è nato, ovvero quando traversa il periodo
perfettamente opposto di rinnovamento e rivoluzione, che permette a
tutti di aspirare ai gradi più eccelsi ed a qualcheduno di
arrivarvi. Una simile indagine sarebbe difficile, e si dovrebbe
tener conto nella risposta di molte condizioni ed eccezioni e forse
essa sarebbe sempre influenzata dal gusto individuale
dell'osservatore. Perciò noi ci guarderemo bene dal darla;
molto più che, se anche potessimo ottenere un risultato
indiscutibile e sicuro, esso sarebbe sempre di una scarsissima
utilità pratica: attesochè ciò che filosofi e
teologi chiamano il libero arbitrio, cioè la scelta spontanea
degli individui, ha avuto finora, e forse avrà sempre,
pochissima o quasi nessuna influenza nell'affrettare la fine od il
principio di uno dei periodi storici accennati.
CAPITOLO III
Nozioni preliminari.
I. La formola politica. — II. Il tipo sociale. — III. Rapporti tra
il tipo sociale e le religioni universali. — IV. Efficacia di queste
religioni. — V. La formola politica e le religioni universali. — VI.
Lo Stato feudale e lo Stato burocratico. — VII. Differenze fra
questi due tipi di ordinamento politico. — VIII. Cenno sulle cause
della decadenza degli Stati burocratici.
I. — Come abbiamo già accennato nel precedente capitolo,
accade immancabilmente, o almeno è accaduto finora in tutte
le società discretamente numerose ed appena arrivate ad un
certo grado di coltura, che la classe politica non giustifica
esclusivamente il suo potere col solo possesso di fatto, ma cerca di
dare ad esso una base morale ed anche legale, facendolo scaturire
come conseguenza necessaria di dottrine e credenze generalmente
riconosciute ed accettate nella società che essa dirige.
Cosi, ad es., in una società fortemente imbevuta dallo
spirito cristiano, la classe politica governa per volontà del
sovrano, il quale, alla sua volta, regna perchè è
l'unto del Signore. Anche nelle società maomettane
l'autorità politica è esercitata direttamente in nome
dal califfo, ossia vicario del Profeta, o in nome di colui che dal
califfo ha ricevuto una investitura tacita od espressa. I mandarini
chinesi reggevano lo Stato, perchè si supponeva
interpretassero la volontà del figlio del cielo, che dal
cielo avea ricevuto il mandato di governare paternamente, e secondo
le regole della morale di Confucio, il popolo delle cento famiglie.
La complicata gerarchia dei funzionari civili e militari dell'impero
romano si fondava sulla volontà dell'imperatore, il quale,
almeno fino a Diocleziano, per supposizione legale, avea ricevuto
dal popolo il mandato di reggere la cosa pubblica. I poteri di tutti
i legislatori, magistrati ed impiegati negli Stati Uniti d'America
emanano direttamente od indirettamente dal suffragio degli elettori,
ritenuto espressione della sovrana volontà popolare.
Questa base giuridica e morale, sulla quale in ogni società
poggia il potere della classe politica, è quella che in altro
lavoro abbiamo chiamato77, e che d'ora in poi chiameremo formola
politica, e che i filosofi del diritto appellano generalmente
principio di sovranità. — Essa difficilmente è
identica in società diverse, e due o parecchie formole
politiche hanno notevoli punti di contatto, oppure una
rassomiglianza fondamentale, solo quando sono professate da popoli
che hanno lo stesso tipo di civiltà, o, usando già una
espressione che fra poco spiegheremo, appartengono allo stesso tipo
sociale. — Le diverse formole politiche, secondo il diverso grado di
civiltà delle genti fra le quali sono in vigore, possono
essere fondate o su credenze soprannaturali o sopra concetti che, se
non sono positivi, ossia fondati sulla realtà dei fatti,
appaiono almeno razionali. — Non diremo però che, tanto nel
primo che nell'altro caso, rispondano a verità scientifiche;
anzi ci è d'uopo confessare che, se nessuno ha visto mai
l'atto autentico con il quale il Signore ha dato facoltà a
certe persone o famiglie privilegiate di reggere per conto suo i
popoli, un osservatore coscienzioso può anche facilmente
constatare che un'elezione popolare, per quanto il suffragio sia
largo, non è ordinariamente l'espressione della
volontà delle maggioranze78.
Ciò però non vuol dire che le varie formole politiche
siano volgari ciarlatanerie inventate appositamente per scroccare
l'obbedienza delle masse, e sbaglierebbe di molto colui che in
questo modo le considerasse. La verità è dunque che
esse corrispondono ad un vero bisogno della natura sociale
dell'uomo; e questo bisogno, così universalmente sentito, di
governare e sentirsi governare non sulla sola base della forza
materiale ed intellettuale, ma anche su quella di un principio
morale, ha indiscutibilmente la sua pratica e reale importanza.
Ha scritto lo Spencer che il diritto divino dei Re fu la grande
superstizione dei secoli passati e che il diritto divino delle
assemblee elette a suffragio popolare è la grande
superstizione del secolo presente. — Il concetto non si può
dire errato, ma certo non contempla ed esaurisce tutti i lati della
questione. Pare a noi che sia necessario anche di vedere se, senza
qualcuna di queste grandi superstizioni, una società si possa
reggere; se una illusione generale non sia cioè una forza
sociale, che serve potentemente a cementare la unità e la
organizzazione politica di un popolo e di un'intera civiltà.
II — L'umanità si divide in gruppi sociali, ognuno dei quali
è distinto dagli altri da credenze, sentimenti, abitudini ed
interessi, che ad esso sono speciali. Gl'individui, che di uno di
questi gruppi fanno parte, sono uniti fra loro dalla coscienza di
una fratellanza comune, e divisi dagli altri gruppi da passioni e
tendenze più o meno antagonistiche e repulsive. Come abbiamo
già accennato, la formola politica deve essere fondata sulle
speciali credenze e sui sentimenti più forti del gruppo
sociale nel quale è in vigore, o almeno della frazione di
questo gruppo, che ha la preminenza politica.
Questo fenomeno dell'esistenza dei gruppi sociali, ognuno dei quali
ha caratteristiche proprie e spesso presume una superiorità
assoluta sugli altri79, è stato riconosciuto ed esaminato da
molti autori, segnatamente da quelli moderni che trattano del
principio di nazionalità. Recentemente il Gumplowicz ha fatto
molto bene rilevare l'importanza che esso ha nella Scienza politica
o Sociologia che voglia dirsi. Adotteremmo anche il termine usato a
definirlo da questo autore, il quale lo chiama singenismo, se il
vocabolo, conformemente alle idee fondamentali dello scrittore, non
accennasse ad una preponderanza quasi assoluta dell'elemento etnico,
ossia della comunità di sangue e di razza, nella formazione
di ciascun gruppo sociale80. Or noi crediamo che in parecchie
civiltà primitive, non tanto la comunità di sangue
quanto l'opinione che essa esisteva, la credenza di un antenato
comune, spesso nata dopo che il tipo sociale era formato81, abbia
potuto contribuire a cementarne l'unità; ma crediamo pure che
le moderne dottrine antropologiche e filologiche abbiano potuto
suscitare un risveglio di antipatie tra gruppi sociali e frazioni
dello stesso gruppo, le quali hanno per semplice pretesto le
differenze di razza. In verità poi nella formazione del
gruppo o tipo sociale, oltre alla più o meno sicura
affinità della razza, concorrono molti altri elementi, come
sarebbero la comunità di lingua, di religione, di interessi,
ed i frequenti rapporti determinati dalla posizione geografica.
Anzi, non è neppur necessario che tutti questi fattori
coesistano; giacchè la comunità della storia, la vita
vissuta per secoli insieme con vicende identiche o simili,
determinando la somiglianza delle abitudini morali ed intellettuali,
delle passioni e delle ricordanze, diventa spesso l'elemento
precipuo per la creazione di un tipo sociale consciente82.
Una volta questo formato si ha, come già avvertimmo nella
prima parte del nostro lavoro, quasi un crogiuolo, che imprime uno
stampo comune a tutti gli individui che entrano in esso. Si chiami
suggestione, mimetismo o semplicemente educazione, avviene allora
quel fenomeno per il quale l'uomo sente, crede, ama ed odia, secondo
l'ambiente nel quale vive: per il quale si è Cristiani od
Ebrei, Maomettani o Buddisti, Francesi od Italiani, meno rarissime
eccezioni, per la sola ragione che tali erano coloro fra i quali
siamo nati e cresciuti83.
III. — Nei primordi della storia ogni popolo civile era quasi
un'oasi in mezzo ad un deserto di barbarie, le diverse
civiltà aveano perciò fra di loro o scarsissime
comunicazioni o queste mancavano in modo assoluto: tale fu infatti
la condizione dell'antico Egitto durante le prime dinastie e tale
quella della China fino ad un'epoca assai meno remota. Allora
naturalmente ogni tipo sociale avea un'originalità assoluta,
quasi in niun modo temperata da infiltrazioni ed influenze
straniere84. Malgrado però che questo isolamento dovesse
fortemente contribuire a rinforzare la tendenza che ha ogni tipo
sociale a riunirsi in unico organismo politico, pure fin d'allora
vediamo che essa non prevale che a sbalzi. Stando infatti agli
esempi citati, la China all'epoca di Confucio, si divideva in molti
Stati feudali quasi indipendenti l'uno dall'altro, e nell'Egitto
spesso vediamo i diversi hiq o re locali dei singoli nomi acquistare
la piena indipendenza e qualche volta anche il basso e l'alto Egitto
formavano regni distinti. Più tardi, in civiltà
avanzatissime e molto complesse come quella ellenica, vediamo
svolgersi a preferenza una tendenza contraria a quella che abbiamo
accennato, la tendenza cioè che spinge un tipo sociale a
dividersi in organismi politici distinti e quasi sempre rivali.
Infatti l'egemonia, che diversi stati greci tentarono stabilire su
tutti i popoli ellenici, fu sempre un concetto molto lontano dalla
vera unità politica; e del resto gli sforzi di Atene, di
Sparta e poi della Macedonia per stabilire quest'egemonia in modo
duraturo ed efficace non ebbero mai un completo successo.
Ciò che forma il tratto veramente caratteristico di molti
popoli dell'antichità ed in generale delle civiltà che
chiameremmo primitive, perchè poco hanno sentito l'influenza
di elementi stranieri, è la semplicità e
l'unità dell'intero sistema d'idee e di credenze, sulle quali
si basava l'esistenza di un popolo e la sua organizzazione politica.
Vediamo infatti fra i detti popoli la formola politica non solo
essere appoggiata sulla religione, ma completamente immedesimarsi
colla stessa. Il Dio era eminentemente nazionale, rappresentava il
protettore speciale del territorio e del popolo, il fulcro della sua
organizzazione politica; il popolo viveva finchè il suo Dio
aveva forze bastanti per aiutarlo ed, alla sua volta, il Dio durava
finchè viveva il suo popolo.
Gli Ebrei sono l'esempio più noto di un popolo organizzato
secondo il sistema che abbiamo accennato, ma non si deve credere
che, nell'epoca in cui fiorirono, i regni d'Israele e di Giuda
costituissero un'eccezione. Lo stesso ufficio che Javeh esercitava a
Gerusalemme, Kamos lo disimpegnava a Moab85; Marduk a Babilonia,
Assur a Ninive ed Ammon a Tebe.
Come il Dio d'Israele comandava a Saul, a David ed a Salomone di
combattere ad oltranza gli Ammoniti ed i Filistei, così Ammon
imponeva ai Faraoni d'Egitto di percuotere i barbari dell'Oriente e
dell'Occidente ed Assur incitava allo sterminio degli stranieri i
sovrani di Ninive e loro concedeva la vittoria86.
A poco a poco però i rapporti fra popoli relativamente civili
si fecero più frequenti; avvenne la fondazione di grandissimi
imperi e questi non poterono sempre essere basati sull'assimilazione
e distruzione completa dei popoli vinti, ma dovettero spesso
contentarsi della semplice loro dipendenza. Allora il vincitore
frequentemente credè atto politico il riconoscere e l'adorare
il Dio dei vinti: infatti i Re assiri conquistatori di Babilonia
spesso resero omaggio a Marduk e pare che lo stesso abbia fatto
Ciro; Alessandro Magno sacrificò ad Ammon, ed in generale a
tutte le divinità dei conquistati, ed i Romani poi le
ammisero tutte nel loro Pantheon. A questo punto, reso possibile dai
lunghi periodi di pace e dall'assopimento delle rivalità
nazionali, che seguono appunto lo stabilirsi di grandi organismi
politici, vediamo apparire nel mondo un fenomeno relativamente
recente, cioè le grandi religioni umanitarie ed universali;
che, senza distinzione di razza, di lingua, di regime politico,
aspirano ad estendere l'influenza delle loro dottrine
indistintamente su tutta la terra.
IV. — Il Buddismo, il Cristianesimo ed il Maomettismo sono le tre
grandi religioni umanitarie comparse finora nel mondo87. Comprendono
tutte e tre un corpo completo di dottrine a base prevalentemente
filosofica nel Buddismo e dommatica nel Cristianesimo e nel
Maomettismo: ed ognuna di esse ha la pretesa di contenere la
verità assoluta e di offrire una guida sicura ed infallibile,
la cui osservanza procaccia il bene in questa vita e nell'altra.
L'appartenere insieme ad una di queste religioni costituisce un
legame grandissimo fra popoli disparati e differentissimi di razza e
di lingua e dà ad essi una maniera speciale e comune
d'intendere la morale e la vita, ed oltre a ciò costumi ed
abitudini politiche e familiari tali da determinare la formazione di
un vero tipo sociale, le cui caratteristiche sono spesso così
spiccate, così profonde, da riuscire quasi indelebili. Si
può dire anzi che dalla comparsa di queste grandi religioni
data la distinzione precisa tra tipo sociale e tipo nazionale, che
prima quasi non esisteva. Infatti un tempo vi era la civiltà
egiziana, la caldaica, la greca, ma non la civiltà cristiana
e la maomettana; non esisteva cioè un complesso di popoli,
distinti di lingua e di razza e divisi in molteplici organismi
politici, ma uniti da credenze, sentimenti e coltura comune.
Il Maomettismo è fra tutte le religioni quella che forse
scolpisce più fortemente la sua impronta negli individui, che
l'hanno abbracciato, o meglio che sono nati in una società di
cui essa si è impadronita. Il Cristianesimo ed anche
l'Ebraismo sono state e sono finora forme adattissime per modellare,
secondo certi determinati disegni, la molle creta dello spirito
umano. Più blanda è l'azione del Buddismo, ma pur
sempre molto efficace.
È pure da osservare che queste grandi religioni con dottrine
e gerarchia religiosa fortemente organizzate, se da una parte
servono maravigliosamente all'affratellamento ed all'assimilazione
dei correligionari, sono dall'altra parte una forza coibente di una
efficacia grandissima fra popolazioni di credenze diverse. Esse
bastano a scavare un abisso quasi incolmabile fra genti vicine per
razza e per lingua, che abitano in paesi contigui o anche nella
stessa contrada. E la differenza di religione infatti che ha reso
quasi impossibile la fusione fra le popolazioni che abitano la
penisola balcanica e l'India88. È certamente maravigliosa
l'attitudine che mostrarono i Romani ad assimilare i popoli
sottomessi vincendo notevolissime resistenze provenienti dalla
differenza di razza, di lingua, di grado di cultura; ma forse non
sarebbero ugualmente riusciti se avessero incontrato l'ostacolo di
religioni ostili, esclusive e fortemente organizzate. Difatti il
Druidismo nelle Gallie ed in Bretagna, benchè avesse una
organizzazione assai poco elaborata, pure offrì qualche
resistenza, ed i Giudei si fecero sterminare e disperdere, ma non
furono assimilati. Nel Nord dell'Africa Roma riuscì a
latinizzare e conquidere alla sua civiltà, almeno fino ad un
certo punto, i progenitori dei moderni Mori, Arabi e Kabili, ma non
si trovò di fronte alla religione mussulmana, come ora accade
ai Francesi ed agli Italiani. Giugurta e Tacfarina non potevano fare
appello alle passioni religiose come Abd-el-Kader e Bou-Maza. Come
bene scrisse il Karamzine la religione cristiana impedì che
la Moscovia, sotto la lunga dominazione dei Mongoli, diventasse
interamente asiatica; e d'altra parte, sebbene i Russi siano alla
loro volta potenti assimilatori e nella grande Russia il sangue
finnico e mongolo siasi in forti proporzioni mescolato allo slavo89,
pure i nuclei di Tartari maomettani di Kazan, di Astrakan e di
Crimea non si sono fatti assorbire; essi o hanno emigrato o sono
rimasti formando una popolazione a parte, sottomessa ma nettamente
distinta dal resto dei sudditi dello Czar. Anche in China i figli
del Celeste Impero hanno potuto assai bene assimilare gli abitanti
delle provincie meridionali, diversi di razza e di lingua, ma non
già i Roui-Tze, discendenti dalle tribù turche da
circa mille anni residenti nelle provincie del Nord-ovest della
China propriamente detta; perchè, malgrado che questi abbiano
adottato la lingua e le apparenze esteriori dei Chinesi propriamente
detti, coi quali vivono mescolati nelle stesse città, pure
sono stati tenuti in un isolamento morale dal Maomettismo, che i
loro padri avevano adottato prima che passassero la gran muraglia90.
V. — Coll'apparire delle grandi religioni universali la storia
dell'umanità si complica di fattori nuovi. Già abbiamo
visto che, anche prima che esse sorgessero, un tipo sociale,
malgrado la sua tendenza all'unità, si potea dividere in
diversi organismi politici. Con le dette religioni questo fatto
divenne più generale e meno evitabile e potè
cominciare quel fenomeno, che in Europa viene definito la lotta tra
lo Stato e la Chiesa.
La complicazione nasce principalmente da ciò, che la tendenza
all'unità nel tipo sociale resta, ma è ostacolata da
forze molto maggiori. Avviene poi che se da una parte la
organizzazione politica tende sempre a giustificare la propria
esistenza mercè i principî della religione prevalente,
questa, da parte sua, cerca sempre d'impadronirsi del potere
politico e d'identificarsi con esso per farne strumento ai suoi fini
ed alla sua propaganda.
È nei paesi maomettani che religione e politica stanno
più strettamente unite. Il capo di uno Stato maomettano
è stato quasi sempre il pontefice di una delle grandi
sètte in cui si divide l'Islam, oppure dal pontefice ha
ricevuto l'investitura. Vero è che nei secoli scorsi
quest'investitura fu spesso una vana formalità, che il
Califfo, ridotto omai senza forze temporali, non potea negare ai
potenti; ma bisogna tener presente che, nel periodo che corre dalla
decadenza degli Abassidi di Bagdad fino al sorgere del grande impero
ottomano, il fanatismo musulmano era molto minore di quello di
oggi91. Certo è poi che ogni grande rivoluzione o fondazione
di nuovo Stato nei paesi maomettani si accoppia e giustifica quasi
sempre con un nuovo scisma religioso; così fu nel Medio Evo,
quando sorsero i nuovi imperi degli Almoravidi e degli Almohaidi, e
lo stesso è avvenuto nel secolo decimonono coll'insurrezione
dei Wahabiti e con quella capitanata dal Mahdi di Ondurman.
In China il Buddismo vive sottomesso sotto la protezione dello
Stato, il quale mostra di riconoscerne e tutelarne il culto per un
riguardo alle classi basse della popolazione, che ne sono seguaci92.
Nel Giappone questa religione è tollerata, ma il Governo
cerca attualmente di favorire l'antica religione nazionale di Sinto.
In Europa i diversi riti del Cristianesimo si trovano in condizioni
molto differenti.
In Russia lo czar è il capo della religione ortodossa e
l'autorità della Chiesa si confonde quasi con quella dello
Stato, anzi, agli occhi di un vero russo, un buon suddito dello czar
deve essere greco ortodosso93. Anche nei paesi protestanti il rito
dominante ha pure un carattere più o meno ufficiale. Il
Cattolicismo, dalla caduta dell'impero romano, ha avuto, ed ha
ancora, un'indipendenza maggiore. Nel Medio Evo aspirò ad
asservire l'autorità laica in tutti i paesi che erano entrati
nell'orbita cattolica, e ci fu un momento in cui il Papa,
potè sperare vicina la realizzazione del vastissimo progetto
di riunire tutta la Cristianità, cioè tutto un tipo
sociale, sotto la sua influenza più o meno diretta. Ora vive
di compromessi, dando appoggio ai poteri laici e ricevendone, e, qua
e là, in lotta aperta con essi.
Un organismo politico la cui popolazione è seguace di una
delle religioni universali accennate, o anche divisa fra diversi
riti di una di queste religioni, deve avere una base propria
giuridica e morale sulla quale poggi la sua classe politica. Deve
essere perciò fondato sul sentimento nazionale, sulla lunga
tradizione dell'autonomia, sulle rimembranze storiche, sulla
devozione secolare ad una dinastia, su qualche cosa insomma che ad
esso sia speciale. Accanto al culto generale, umanitario, deve
esistere in certo modo il culto, diremmo quasi nazionale, più
o meno bene conciliato e coordinato con quello. I doveri dei due
culti vengono spesso cumulativamente osservati dagli stessi
individui: ed a questo proposito è bene osservare che non
sempre gli uomini sono perfettamente coerenti nello stabilire i
principi ai quali inspirano la loro condotta. Sicchè in
pratica si può essere buoni cattolici e nello stesso tempo
buoni Tedeschi, buoni Italiani, buoni Francesi e servire fedelmente
un sovrano protestante od una Repubblica, che fa professione
ufficiale di anticlericalismo. Qualche volta, come avviene
frequentemente in Italia, si può essere anche buon patriotta
ed ardente socialista, sebbene la democrazia sociale, come il
Cattolicismo, sia nella sua essenza contraria al particolarismo
nazionale. Però queste transazioni avvengono quando le
passioni non sono molto acuite, ed, a rigor di logica, avevano
ragione gl'Inglesi del secolo decimottavo, i quali, considerando che
il Re era il capo della Chiesa anglicana e che al Papa dovea anzi
tutto obbedienza ogni buon cattolico, credevano che egli non potesse
essere nello stesso tempo un buon inglese.
Ciò che è veramente necessario, quando esiste un
antagonismo più o meno larvato fra una dottrina od una
religione che aspira all'universalità ed i sentimenti e le
tradizioni, che sostengono il particolarismo di uno Stato, è
che questi ultimi siano veramente forti, che siano anche collegati
con molti interessi materiali e che una frazione cospicua della
classe dirigente ne sia fortemente imbevuta e li propaghi e li
mantenga nelle masse. Quando questa frazione della classe politica
è inoltre saldamente organizzata può tener testa a
tutte le correnti religiose e dottrinarie, che esercitano la loro
influenza nella società che essa dirige. Ma se i suoi
sentimenti sono fiacchi, le sue forze morali od intellettuali
deficienti, la sua organizzazione difettosa, allora quelle
prevalgono e lo Stato finisce col diventare lo zimbello di qualcuna
delle religioni o dottrine universali, ad esempio del cattolicismo o
della democrazia sociale.
VI. — Prima di procedere innanzi crediamo opportuno, per rendere
più facile l'esposizione di ciò che appresso diremo,
di dare una breve notizia intorno ai due tipi secondo i quali ci
pare che si possano classificare tutti gli organismi politici.
Questi due tipi sarebbero il feudale ed il burocratico.
Cominciamo subito col far rilevare che questa nostra classificazione
non è basata su criteri immutabili ed essenziali; non
crediamo perciò che ci sia alcuna legge psicologica, la quale
sia speciale ad alcuno dei due tipi ed ignota quindi all'altro. Ci
pare anzi che i due tipi non siano che la manifestazione, in momenti
diversi, di una sola tendenza costante, per la quale
l'organizzazione politica delle società umane diventa meno
semplice ossia più complicata, mano mano che ogni
società aumenta in grandezza e si perfeziona in
civiltà. La seconda di queste condizioni è anzi
più indispensabile e di carattere più generale della
prima, perchè, a dir vero, anche Stati molto vasti possono
essere organizzati feudalmente. In fondo uno Stato burocratico non
è perciò che uno Stato feudale la cui organizzazione,
progredendo e sviluppandosi, si è complicata; come pure uno
Stato feudale può provenire da una società già
burocratizzata, che, decaduta di civiltà e spesso ridotta in
frammenti, è stata costretta a ritornare ad un ordinamento
politico più semplice e più primitivo.
Ciò premesso, diremo come per Stato feudale intendiamo quel
tipo di organizzazione politica nella quale tutte le funzioni
direttive di una società, come sarebbero le economiche, le
giuridico-amministrative e le militari, sono esercitate
cumulativamente dagli stessi individui, e nello stesso tempo lo
Stato si compone di piccoli aggregati sociali, ognuno dei quali
possiede tutti gli organi necessari per bastare a se stesso.
L'Europa del Medio Evo ci offre l'esempio più conosciuto di
questa specie di ordinamento, che perciò appunto abbiamo
chiamato feudale, ma, studiando la storia degli altri popoli e
leggendo i racconti dei viaggiatori contemporanei, ci possiamo
facilmente accorgere che esso è molto diffuso. Infatti, come
il barone medioevale era proprietario della terra, comandante degli
armati, giudice ed amministratore del suo feudo, nel quale godeva il
mero e misto imperio, cosi ora il Ras abissino compartisce la
giustizia, comanda i guerrieri e preleva i tributi, ossia toglie al
coltivatore tutto quanto non è strettamente necessario al suo
mantenimento. In certe epoche dell'antico Egitto l'hiq o governatore
locale curava la manutenzione dei canali, dirigeva le culture,
amministrava la giustizia, esigeva i tributi, comandava gli
armati94; anche il curaca del Perù, sotto l'impero degli
Incas, era il capo del suo villaggio ed a questo titolo ne
amministrava la proprietà rurale collettiva, vi esercitava le
funzioni giudiziarie e, alla richiesta del figlio del Sole, ne
comandava il contingente armato95.
Qualche volta anche le funzioni religiose sono state disimpegnate
dallo stesso capo che dirigeva le altre attività sociali,
come appunto avveniva nel Medio Evo europeo quando gli abati ed i
vescovi erano pure feudatari. È pure da tener presente che si
può avere un ordinamento feudale, anche quando la terra,
fonte quasi esclusiva della ricchezza nelle società poco
avanzate, non è giuridicamente proprietà assoluta
della classe governante. Poichè, dato che i coltivatori non
siano legalmente vassalli e schiavi e che siano anche nominalmente
proprietari del campo che coltivano, certo è che il capo
locale ed i suoi satelliti, avendo piena podestà d'imporre
tributi e corvées, lascieranno ai lavoratori dei campi
soltanto quello che è necessario per la loro sussistenza.
Hanno avuto carattere spiccatamente feudale anche piccoli organismi
politici, nei quali la produzione della ricchezza è stata
basata non sulla cultura della terra, ma sul commercio e
sull'industria; giacchè ci è stata la stessa fusione
della direzione politica ed economica nelle stesse persone.
Così i capi politici dei Comuni medioevali erano nello stesso
tempo capi delle corporazioni di arti e mestieri; i negozianti di
Tiro e Sidone, come quelli di Genova e di Venezia, di Brema e di
Amburgo dirigevano i banchi e le fattorie stabilite nei paesi
barbari, comandavano le navi, che a volta servivano al commercio ed
a volta alla guerra, e governavano le loro città. Ciò
accadeva specialmente quando la città viveva di commercio
marittimo, nell'esercizio del quale chi comandava la nave alla
funzione commerciale accoppiava molto facilmente la direzione
politica e militare. Altrove, a Firenze ad esempio, dove gran parte
dei proventi si traevano dall'industria e dalle banche, la classe
dirigente presto perdette le abitudini guerresche e perciò la
direzione militare96. Forse si deve in parte a ciò la vita
agitata, che visse la oligarchia mercantile di Firenze dalla
cacciata del duca di Atene a Cosimo dei Medici.
VII. — Nello stato burocratico non devono necessariamente tutte le
funzioni direttive essere accentrate nella burocrazia e da essa
venire esercitate: possiamo anzi affermare che ciò fino al
momento presente, forse mai è avvenuto. La caratteristica
principale di questo tipo di organizzazione sociale crediamo che
stia in questo fatto: che, laddove esso sussiste, il potere centrale
preleva per via d'imposte una parte notevole della ricchezza
sociale, la quale serve prima di tutto al mantenimento
dell'organizzazione militare, poi a sopperire ad una quantità
più o meno grande di funzioni civili. Sicchè una
società tanto più è burocratica quanto maggiore
è la quantità di funzionari, che disimpegnano uffici
pubblici e vivono ricevendo un salario dal Governo centrale o dai
corpi locali.
In uno Stato burocratico poi la specializzazione delle funzioni
dirigenti è sempre maggiore che negli Stati feudali: la prima
e la più elementare divisione delle attribuzioni è
quella che sottrae all'elemento militare le facoltà
amministrative e le giudiziarie. È anche evidente che negli
Stati burocratici la disciplina in tutti i gradi della gerarchia
politica amministrativa e militare è molto più
assicurata. Il paragone fra un conte del Medio Evo circondato da
armigeri e vassalli da secoli attaccati alla sua famiglia e
mantenuti coi prodotti delle terre del signore ed un prefetto ed un
generale moderni, ai quali un colpo di telegrafo può
sottrarre di botto ogni autorità e perfino lo stipendio,
basta subito a darcene una idea. Nello Stato feudale perciò
si richiede una grande energia, un gran senso politico in colui o
coloro che stanno al sommo vertice della scala sociale per tenere
organizzati, compatti, obbedienti ad un unico impulso i diversi
gruppi sociali, che tenderebbero alla disgregazione ed
all'autonomia, e ciò è tanto vero che, spesso, con la
morte di un capo autorevole finisce la forza di uno Stato. Solo una
grande unità morale, l'appartenere ad un tipo sociale molto
spiccato, può salvare per lungo tempo l'esistenza politica di
un popolo feudalmente organizzato; e certamente ci è voluto
il Cristianesimo per isolare e salvare l'autonomia delle genti
abissine, circondati da pagani e maomettani. Quando però
questa forza coibente agisce in modo fiacco e quando lo Stato
feudale si trova a contatto con popoli più saldamente
organizzati, allora è molto facile che sia assorbito e
sparisca in una delle tante crisi periodiche, alle quali in esso il
potere centrale è fatalmente soggetto97. Al contrario le
qualità personali del capo supremo influiscono relativamente
poco sulla durata di uno Stato burocratico ed una società
burocraticamente organizzata può conservare la sua autonomia
anche quando ripudia una antica formola politica e ne adotta una
nuova , ovvero quando modifica, anche profondamente, il suo tipo
sociale98.
VIII. — L'organizzazione burocratica non deve essere necessariamente
accentratrice, nel senso che comunemente si suol dare a
quest'espressione; spesso la burocratizzazione si può
conciliare con una larga autonomia provinciale, come accade, ad
esempio, nella China; dove le diciotto provincie propriamente
chinesi hanno una larghissima autonomia, in modo che dal capoluogo
di ognuna di esse si provvede a quasi tutti gli affari locali99.
Gli Stati di civiltà europea, anche i più discentrati,
sono tutti più o meno burocratizzati: come abbiamo già
accennato, la caratteristica principale di un organismo burocratico
è questa: che in esso le funzioni militari ed un numero
più o meno grande gli altri servizi pubblici sono esercitati
da impiegati salariati. Che i salari siano tutti pagati dal Governo
centrale o che in parte ricadano sui corpi locali, che più o
meno stanno sotto il controllo di quello, è un dettaglio, che
non ha la grande importanza che ad esso si suole attribuire.
Nella storia non mancano i casi di organismi politici molto piccoli,
i quali, avendo un'organizzazione burocratica appena abbozzata o non
avendone quasi affatto, hanno compito miracoli di energia in ogni
ramo dell'attività umana. Le città elleniche ed i
Comuni italiani del Medio Evo sono esempi che neppure occorre di
citare. Ma quando si tratta di vasti organismi umani, che si
stendono su tratti grandissimi di territorio e comprendono milioni e
milioni d'individui, pare che solo l'organizzazione burocratica
riesca a riunire sotto unico impulso quegli immensi tesori di forza
economica e di energia morale ed intellettuale, coi quali la classe
dirigente può riuscire a modificare profondamente le
condizioni interne di una società100, ed a renderne efficace
e potente l'azione al di là dei proprii confini. Era infatti
burocratizzato l'Egitto nei bei tempi della XVII e XVIII dinastia,
quando la civiltà dei Faraoni ebbe una delle più
splendide rinascenze ed i battaglioni egiziani dal Nilo Azzurro
estesero le loro conquiste fino ai piedi del Caucaso101. Era uno
Stato fortemente burocratico l'impero romano, saldissimo organismo
sociale che seppe estendere la civiltà della Grecia e
dell'Italia e la lingua dell'Italia a tanta parte del mondo,
compiendo uno dei più difficili lavori di assimilazione
sociale. Ed è burocratica la Russia, che, malgrado varie
gravissime debolezze interne, ha ancora una potente vitalità
e spinge sempre più avanti la sua espansione nei vastissimi
territori dell'Asia.
Malgrado questi e parecchi altri esempi, che facilmente si
potrebbero trovare, non bisogna dimenticare un fatto
importantissimo, che abbiamo già accennato; cioè che
nessuna grande società troviamo nella storia, nella quale
tutte le attività umane siano state completamente
burocratizzate. E questo forse uno dei tanti indizii della grande
complessità delle leggi sociali, la quale fa sì che un
tipo di ordinamento politico, che produce buoni risultati quando
è applicato fino ad un certo punto, sistematizzato e
generalizzato, riesce inattuabile e dannoso. Infatti noi vediamo
spesso burocratizzata la giustizia, burocratizzata
l'amministrazione, e quel gran burocratizzatore, che fu Napoleone
primo, condusse a buon punto anche la burocratizzazione
dell'insegnamento e della gerarchia sacerdotale cattolica; vediamo
spesso eseguiti dalla burocrazia strade, canali, ferrovie, tutti i
lavori pubblici, che agevolano la produzione della ricchezza, ma
questa produzione stessa non vediamo mai interamente burocratizzata.
Sembra che la direzione di questo ramo importantissimo
dell'attività sociale mal si pieghi, come tanti altri, alla
regolarità burocratica e che per la classe, che vi è
dedicata, il tornaconto individuale sia uno sprone ben più
efficace di qualunque salario governativo.
Ma vi è di più: abbiamo indizii abbastanza forti che
la burocratizzazione estesa alla produzione ed all'intera
distribuzione della ricchezza sarebbe esiziale. Non vogliamo
accennare ai danni economici del protezionismo, dell'ingerenza del
Governo nelle banche e del soverchio svolgimento dato ai
lavori pubblici, e facciamo soltanto rilevare un fatto bene
accertato. Il regime burocratico, nel quale chi dirige la produzione
economica ed anche il singolo lavoratore sono protetti contro la
confisca arbitraria per parte dei forti e dei prepotenti e che
severamente reprime ogni guerra privata, offre una grande sicurezza
alla vita umana ed anche alla proprietà: con esso mediante
una quota parte fissa, che il produttore paga a profitto
dell'organizzazione sociale, egli ha il tranquillo godimento del
resto della produzione; ciò che permette tale uno svolgimento
della ricchezza pubblica e privata, il quale è ignoto nei
paesi più barbari e più primitivamente organizzati. Ma
può accadere, ed è accaduto, che, o perchè le
pretensioni della classe militare e degli altri burocratici sono
troppo esagerate, o per i soverchi uffici che la burocrazia vuole
disimpegnare, o per le guerre ed i debiti, che ne sono la
conseguenza, la quantità di ricchezza, che la classe che
adempie alle altre funzioni che non siano le economiche assorbisce e
consuma, diventi troppo esagerata. Allora l'imposta prelevata sulle
classi produttrici della ricchezza può aumentare al punto da
far diminuire fortemente il tornaconto individuale alla produzione,
ed in questo caso viene a scemare immancabilmente la produzione
stessa. Colla diminuzione della ricchezza vanno di pari passo
l'emigrazione od una maggiore mortalità nelle classi povere
ed infine l'esaurimento dell'intero corpo sociale. Sono questi
appunto i fenomeni che scorgiamo al declinare degli Stati
burocratici; li vediamo infatti nell'epoca che seguì il
massimo svolgimento burocratico dell'Egitto antico e più
visibilmente ancora durante la decadenza dell'impero romano102.
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. —
II. Coesistenza di diversi tipi sociali in unico organismo politico.
— III. Unità e differenze di tipo sociale tra le varie classi
dello stesso popolo. — IV. Rapporti tra la diversità dei
costumi e la varietà del tipo sociale. — V. Psicologia delle
plebi. — VI. Conseguenze della diversità di tipo sociale tra
la plebe e la classe dirigente.
I. — Abbiamo già visto nel capitolo precedente come ogni tipo
sociale abbia la tendenza a riunirsi in un unico organismo politico;
diremo ora come ogni organismo politico, estendendosi, quasi sempre
miri e spesso riesca all'allargamento del proprio tipo sociale.
Questa aspirazione, che troviamo anche nell'antichità
più remota, aveva allora la sua attuazione mercè
procedimenti barbari, grossolani e violenti, ma certo efficaci. Gli
Assiri, ad es., costumavano di trapiantare le popolazioni
conquistate, le quali, strappate a forza dalla madre patria,
venivano disseminate fra genti di spirito e di nazionalità
assira colle quali finivano col fondersi103; alla loro volta colonie
assire venivano spesso mandate nelle terre conquistate. Gl'Incas del
Perù costumavano parimenti di trapiantare in massa le
tribù selvagge che conquistavano, per poterle più
facilmente addomesticare alla civiltà peruviana ed
assimilarle agli altri sudditi del figlio del sole. Nel Medio Evo
Carlomagno, dopo avere sterminato una buona parte dei Sassoni,
trapiantò nel loro paese delle numerose colonie di
Franchi104. Alcuni secoli dopo i Cavalieri Teutonici estendevano la
lingua germanica e la religione cristiana dalle rive dell'Elba fino
alle foci della Vistola e del Niemen con modi consimili: sterminando
cioè una parte dei naturali e trasportando nei paesi
conquistati numerose colonie tedesche105.
I Romani applicarono alle volte metodi analoghi, ma non ne fecero un
uso esclusivo. Ad es., non li impiegarono mai colle popolazioni
molto civili dell'Oriente, ed anche in Gallia, in Spagna, in
Britannia ed altrove l'impero assimilò i barbari basandosi
principalmente sulla diffusione della lingua e del diritto latino e
su quella della letteratura e della scienza greco-italiana,
diffondendo infine i benefizi di un'amministrazione ammirevolmente
organizzata e di una civiltà superiore106.
Generalmente la propaganda religiosa ed una coltura più
avanzata sono i modi più efficaci per assimilare le
popolazioni sottomesse. Fu infatti con questi modi che il Messico,
il Perù e moltissimi altri paesi dell'America meridionale
ricevettero in pochi secoli l'impronta della civiltà
spagnuola e portoghese, sebbene buona parte, e qualche volta la gran
maggioranza dei loro abitanti, non fossero di origine iberica.
II. — Ma spesso un diverso tipo sociale sopravvive, almeno per
alcuni secoli, malgrado che sul popolo che l'ha adottato pesi
l'egemonia o il dominio di un popolo conquistatore. Nell'antico
impero persiano i Medo-persiani, adoratori del fuoco, erano
dominatori ed il loro sovrano era il Re dei Re, colui che comandava
a tutti i sovrani che facevano parte del vastissimo Stato. Ma le
popolazioni sottomesse, rette dai satrapi, ovvero anche dalle
antiche dinastie dei sovrani indigeni, conservavano intatte le loro
credenze, i loro usi, i loro costumi, ne abbandonavano il loro tipo
sociale per adottare quello dei Medo-Persiani. Anzi per alcune di
queste popolazioni, poste in mezzo all'impero, ma tutelate dalla
difficoltà dei siti e dalle abitudini guerresche, la
soggezione era più apparente che reale107. In questo modo la
Corte di Susa potè reggere per quasi due secoli un vastissimo
impero nel quale, tranne in Egitto, dalla fine del regno di Dario
d'Istaspe fino all'invasione di Alessandro Magno non vi furono
notevoli ribellioni. E da notare però che al primo urto un
po' forte l'impero si sfasciò, perchè i popoli
sottomessi non avevano alcuna vera solidarietà con quello
dominatore, nè le loro forze erano riunite e cementate da
un'organizzazione amministrativa e militare veramente salda108.
In altri Stati troviamo anche tipi sociali distinti, che pur vivono
mescolati insieme. In Turchia, per es., vi sono nelle città i
quartieri dei Turchi, dei Greci, degli Armeni e degli Ebrei, e nelle
campagne i villaggi degli Osmanli spesso confinano con quelli dei
Greci e dei Bulgari. In India convivono pure Bramini, Maomettani,
Parsi ed Europei; anzi l'Oriente pare che abbia questa
specialità di essere quasi un museo, dove si raccolgono quei
frammenti ed avanzi di tipi sociali che altrove vengono assorbiti e
scompaiono109. Quando in uno Stato avviene questa miscela di tipi
sociali la classe politica deve essere fornita quasi esclusivamente
da quello dominatore, e quando questa regola non è osservata,
perchè il tipo dominatore non è sufficiente per numero
o per energia morale ed intellettuale, allora un paese si può
considerare come malato, prossimo cioè a gravi rivolgimenti
politici.
La Turchia infatti trovasi in queste condizioni, perchè,
venuta nel secolo scorso in contatto intimo e conflitto d'interessi
colla civiltà europea, ha dovuto impiegare un gran numero di
Greci, di Armeni ed anche di Franchi. Or, come è stato bene
osservato, se ciò le ha fornito le risorse di una cultura
superiore, le ha tolto in compenso una parte della sua selvaggia
energia e non ha impedito sopratutto che il gran Sultano perdesse
una parte considerevole del suo territorio. Nell'India i
conquistatori britannici sono finora assai superiori di
civiltà; ma, scarsissimi di numero, si fanno coadiuvare,
nell'amministrazione, nella giustizia e nell'esercito da elementi
indigeni. Or, se la parte a questi affidata nelle pubbliche funzioni
diventerà tanto importante da rendere non indispensabile
l'opera degli Europei, è dubbio che il dominio di questi
possa lungamente durare.
Quando in uno Stato vivono mescolati diversi tipi sociali, accade
quasi immancabilmente che anche in quelli sottomessi esista una
classe, se non dominante, certo dirigente. Avviene qualche volta che
questa classe è la prima che si lascia assorbire dal tipo
dominatore. L'aristocrazia gallica infatti fece presto a
romanizzarsi, essa in poche generazioni apprese la cultura classica
e giuridica dei latini e brigò il diritto di cittadinanza
romana, che le fu facilmente concesso. Anche i begs della Bosnia,
per non cascare nel rango dei conculcati raia e non perdere i loro
possedimenti, dopo la battaglia di Kossovo si convertirono
all'Islamismo. Ma, nell'uno e nell'altro caso, si trattava di
aristocrazie che non avevano molta cultura, nè sopratutto
erano eredi delle memorie di un'antica e gloriosa civiltà.
Più spesso infatti le tradizioni della grandezza passata, la
coscienza della propria superiorità, la ripugnanza per il
diverso tipo sociale la vincono sull'interesse personale, ed allora
le classi alte del popolo vinto diventano l'elemento più
inassimilabile. Così le nobili famiglie fanariote di
Costantinopoli non si sono quasi mai convertite all'islamismo; i
Cofti attuali, che esercitano ancora la professione di scribi e
burocratici, pare che siano discendenti dell'antichissima classe
letterata, che formava l'aristocrazia dell'antico Egitto e si
mantengono cristiani, mentre la massa dei coltivatori o fellah
è diventata da parecchi secoli maomettana. Pare che anche
dall'aristocrazia persiana discendano gli attuali Guebri, che ancora
mantengono il culto del fuoco. In India le caste più elevate
hanno date meno conversioni all'islamismo.
III — Ed ora accenneremo ad un fenomeno sociale meno apparente, ma
forse più importante. Il fatto della coesistenza in unico
organismo politico di più di un tipo sociale si può
trovare, in modo più o meno larvato, anche in paesi che
apparentemente presentano una grande unità sociale. Esso
avviene tutte le volte che la formola politica, sulla quale si basa
la classe dirigente di una data società, non è
accessibile alle classi più basse, oppure quando l'insieme di
credenze e di principî morali e filosofici, del quale detta
formola si compone, non è ancora abbastanza penetrato negli
strati più numerosi e meno elevati di una società. Lo
stesso accade quando una notevole differenza di costumi, di cultura
e di abitudini vi è tra la classe dirigente e quella
governata.
Ci spiegheremo meglio con degli esempi: a Roma e nella Grecia antica
lo schiavo era tenuto interamente fuori dalla città,
considerata come corpo politico e comunità morale. Egli non
partecipava all'educazione nazionale, non era cointeressato
nè materialmente nè moralmente al benessere dello
Stato. Il Paria indiano tenuto fuori da ogni casta, che non deve
neppure gli Dei avere comuni coi suoi oppressori, isolato
assolutamente dal resto della popolazione, rappresenta pure una
classe d'individui, che sta fuori moralmente dal tipo sociale entro
il quale vive. Al contrario gli Ebrei ed altri popoli dell'antico
Oriente consideravano anche il manovale e lo schiavo, una volta che
si era per dir così nazionalizzato, come partecipe dei
sentimenti della società alla quale apparteneva. La
coltivazione accurata dei sentimenti, delle idee e delle abitudini
delle classi basse, mercè un'opportuna catechizzazione,
è pure merito grandissimo del Cristianesimo e dell'Islamismo,
i quali sono in ciò più o meno efficacemente imitati
dalle moderne nazioni europee.
Generalmente sono le formole politiche molto antiche, quell'insieme
di credenze e di sentimenti, che hanno la sanzione dei secoli quelle
che riescono a penetrare anche negli strati più bassi delle
società umane. Accade invece che, quando un rapido movimento
d'idee agita le classi più alte o alcuni centri intellettuali
più attivi, che per lo più si trovano nelle grandi
città, molto facilmente le classi più basse e le
contrade più remote di uno Stato rimangono indietro e diversi
tipi sociali accennano a formarsi nella stessa società.
La maggiore o minore unione morale fra tutte le classi sociali
spiega la forza o la debolezza che in certi momenti mostrano alcuni
organismi politici. È noto, ad esempio, quanto la macchina
governativa della Turchia pecchi di venalità, inettitudine e
trascuratezza; flotta, esercito, finanza tutto è andato in
malora nei dominî della Sublime Porta; pure, in certe
determinate occasioni, quando la mezzaluna appare in pericolo, il
popolo turco ha dato talora segni di tale fiera energia da
impensierire anche gli Stati militarmente più forti
dell'Europa. Gli è che il povero nizam stracciato e scalzo,
che si fa intrepidamente ammazzare dietro la trincea, il redif, che
all'appello del Sultano, abbandona il tugurio, sentono davvero la
formola politica che son chiamati a servire, e per essa sono pronti
a dare l'ultimo parà e financo la vita. I contadini turchi
della Romelia e dell'Anatolia credono realmente e fortemente
nell'Islam, nel Profeta, nel Sultano, che ne è il vicario, e
le credenze, in nome delle quali si domandano loro gli estremi
sacrifici, sono le stesse, che ordinariamente riempiono la sua vita
e formano il suo mondo morale ed intellettuale110. Malgrado la
ordinaria mediocrità dei propri ufficiali superiori111 il
soldato russo fu l'avversario più temuto da Napoleone I;
nella famosa campagna di Russia, la disfatta dell'esercito invasore,
più che dal freddo, forse più che dalla fame e dalla
diserzione, fu determinata dall'odio dal quale esso fu circondato e
perseguitato da Vitebsk in poi, appena cioè entrò nei
paesi propriamente russi. Fu quest'odio che inspirò la
sinistra energia di distruggere le provvigioni nel raggio battuto
dall'esercito nemico, di bruciare tutte le città ed i
villaggi, che si trovavano nella strada da Smolensko a Mosca, e che
die' a Rostopckin il coraggio di far bruciare la stessa Mosca.
Poichè anche per il moujik russo, Dio, lo czar, la santa
Russia formavano parte integrante di quelle credenze e di quei
sentimenti dei quali, fin dalla nascita, era stato imbevuto e che
per tradizione domestica aveva imparato a venerare.
E la stessa unità morale ci dà il segreto di altre
resistenze fortunate e quasi miracolose, e, là dove manca,
spiega il segreto di certe debolezze vergognose. Fu forte la Vandea,
perchè nobili, curati e contadini avevano le stesse credenze,
gli stessi affetti, le stesse passioni; fu fortissima la Spagna nel
1808 perchè il grande di Spagna e l'ultimo mandriano
ugualmente sentivano l'odio contro i Francesi invasori, tenuti in
conto di miscredenti, la fedeltà verso il loro sovrano,
l'orgoglio di essere una nazione fiera ed indipendente. E questa
unanimità di sentimenti, malgrado la mediocrità dei
duci, e quella ancora più spiccata degli eserciti regolari,
spiega i miracoli delle difese di Saragozza e di Tarragona e la
vittoria finale che coronò la campagna per la guerra
d'indipendenza112.
Al contrario debolissima si mostrò la stessa Spagna all'epoca
dell'invasione legittimista francese del 1822, perchè allora
solo una parte delle classi superiori comprendevano ed apprezzavano
il principio in nome del quale si combatteva, quello della monarchia
costituzionale, che era incomprensibile per il resto delle classi
superiori e per la massa del popolo. E debole si mostrò il
Napoletano negli anni 1798 e 1799, malgrado i numerosi atti
individuali e collettivi di disperato valore. Perchè, mentre
la massa del popolo e la maggioranza delle classi medie e superiori
odiavano i giacobini francesi, le idee rivoluzionarie, ed erano
fanatici della monarchia legittima e più ancora della fede
cattolica, una minoranza esigua delle classi elevate, scarsa di
numero, ma forte per intelligenza, esaltazione ed audacia,
dispregiava i sentimenti dei suoi compatriotti ed aderiva
completamente a quelli dei Francesi. Fu per questo che il
tradimento, e forse più che il tradimento il sospetto
continuo di esso, disorganizzò ogni resistenza:
disorganizzò l'esercito regolare, già per se stesso
mediocre, e rese meno efficace la resistenza spontanea delle
popolazioni, che forse, senza le intelligenze vere e supposte cogli
invasori, avrebbe trionfato113.
IV. — Finora abbiamo quasi esclusivamente accennato alle differenze
di credenze religiose e politiche nei diversi strati sociali, ora
faremo anche rilevare come il diverso grado di coltura intellettuale
e la diversità di linguaggio, di abitudini e di costumi
famigliari abbiano la loro importanza.
Noi siamo così abituati ad ammettere una distinzione fra la
classe che ha ricevuto un'educazione letteraria e scientifica
più o meno raffinata e quella che non ne ha ricevuto affatto
od è rimasta ai primi rudimenti, fra il ceto civile, che ha
le abitudini e le maniere della buona società, e la numerosa
categoria di persone che di questi requisiti manca, che facilmente
possiamo essere indotti a credere che la stessa distinzione,
ugualmente profonda ed ugualmente netta, esista in tutte le
società umane ed abbia sempre esistito nei nostri paesi. Ora
ciò non è: certo nell'Oriente maomettano la
distinzione accennata o non esiste quasi affatto o è
infinitamente meno spiccata che fra noi114; in Russia la profonda
differenza, che ci è ora fra la classe che colà si
appella l'intelligenza ed i moujicks ed i mercanti dalla lunga
barba, non poteva esistere all'epoca di Pietro il Grande, quando non
v'erano colà Università, ed i boiardi eran quasi
così rozzi ed ignoranti come i contadini. Anche nell'Europa
occidentale solo due secoli fa la differenza della coltura
intellettuale e delle abitudini pubbliche e private fra le diverse
classi sociali era assai meno spiccata di ora; essa si è
andata accentuando sensibilmente solo nei secoli decimottavo e
decimonono. E, per quanto sia strano a prima vista, pure è
esattamente vero che questo movimento nei costumi, notato da
parecchi scrittori di paesi diversi115, coincide col nascere e col
crescere di quella corrente d'idee e di sentimenti, che generalmente
va intesa col nome di democrazia, rendendo più stridente la
contraddizione fra le teorie adesso più in voga e la loro
pratica applicazione.
È nelle società burocratizzate che la differenza di
educazione fra le varie classi sociali può divenire
più accentuata, giacchè in quelle a tipo feudale i
singoli membri della classe dirigente sono generalmente dispersi in
mezzo ai loro seguaci, vivono in continuo contatto con loro, e
devono esserne, in certo modo, i capi naturali. A qualcuno
può far maraviglia che, durante il Medio Evo, quando il
barone stava isolato in mezzo ai suoi vassalli e li trattava
duramente, questi non profittassero della loro superiorità
numerica per liberarsi. Or certo la cosa non sempre era facile,
perchè un gruppo di persone, superiore per energia e pratica
delle armi al resto dei soggetti, era sempre più o meno
legato alla sorte del signore. Ma, indipendentemente da questa
considerazione, bisogna tenerne presente anche un'altra, che ha un
peso grandissimo: il barone conosceva spesso personalmente i suoi
vassalli, aveva il loro modo di pensare e di sentire, le stesse
superstizioni, le stesse abitudini, lo stesso linguaggio; era per
loro un padrone, qualche volta anche duro ed arbitrario, ma era pure
l'uomo, che essi comprendevano perfettamente, alla cui conversazione
potevano pigliar parte, alla cui mensa, sebbene in luogo più
basso, spesso si assidevano, ed insieme al quale qualche volta si
ubbriacavano. Or bisogna mancare di qualunque conoscenza psicologica
delle classi plebee per non comprendere subito quante cose questa
famigliarità vera, proveniente dall'uguaglianza
dell'educazione o, se così si vuole, da un'uguale rozzezza di
abitudini, faccia tollerare e perdonare116.
Difatti le prime rivolte dei contadini scoppiarono non quando la
feudalità era più dura, ma quando i nobili impararono
a stare fra loro e la gaia scienza e le corti d'amore cominciarono a
dirozzarli e ad allontanarli dalle rustiche abitudini dell'isolato
castello. Ed una osservazione importante fa su questo riguardo Adamo
Mickievicz. Secondo quest'autore la nobiltà polacca fu
popolare fra i contadini finchè visse in mezzo a loro; questi
si lasciavano allora togliere volentieri il pane dalla bocca,
perchè il loro signore potesse comprare cavalli ed armi di
lusso per la caccia ed anche per andare a sciabolare i Turchi ed i
Russi. Ma, quando l'educazione francese s'introdusse fra i nobili
polacchi, quando essi impararono a dare le feste di ballo all'uso di
Versailles e passarono le loro giornate danzando il minuetto, allora
contadini e nobiltà cominciarono a fare due popoli a parte,
nè i primi sostennero validamente la seconda nelle lotte, che
alla fine del secolo decimottavo combattè contro gli
stranieri117. Anche l'aristocrazia celtica dell'Irlanda, la vecchia
nobiltà degli 0' e dei Mac era, secondo il Macaulay e tutti
gli altri storici, popolarissima fra i contadini, le cui fatiche
fornivano al capo del clan il lusso della sua rozza ed abbondante
tavola, le cui figlie erano talora prelevate per il suo rustico
harem; ma quei nobili erano considerati quasi come membri della
famiglia, essi coi contadini aveano comune, dicevasi, il sangue e
certo le abitudini e le idee. Invece odiatissimo fu il proprietario
inglese che li surrogò, e che, forse più moderato e
certo più regolato e corretto nelle esigenze, era però
straniero di lingua, di religione, di consuetudini, viveva lontano,
e, anche stando vicino, avea per tradizione acquistato l'abitudine
di stare isolato, senza alcun contatto coi suoi dipendenti, tranne
quello strettamente necessario fra padroni e servi118.
V. — Gli è che vi sono nell'umanità sentimenti
individualmente forse imponderabili, di analisi difficile e di
più difficile definizione, ma il cui insieme è
fortissimo e può contribuire alla preparazione di fatti
sociali importantissimi. Chi scrisse che l'uomo si lascia guidare
dal solo interesse, diede una massima generale di un valore pratico
presso che nullo, la quale riesce a farci apprendere qualche cosa
solo a patto di analisi e distinzioni molto minute. Chi crede che
l'interesse sia quello solo che viene materialmente espresso per
mezzo del danaro, e che si misura a soldi ed a lire, è una
persona di poco cuore e che non ha testa sufficiente per capire gli
altri uomini. In verità per ogni individuo l'interesse
equivale al proprio gusto; ognuno quindi l'intende in una maniera
speciale, e per molti la soddisfazione dell'amor proprio, del
sentimento della dignità personale, di vanità grandi e
piccole, di capricci e rancori individuali, vale più dei
godimenti puramente materiali. Questi concetti bisogna sopratutto
tener presenti quando si vogliono studiare le relazioni fra ricchi e
poveri, fra superiori e subordinati, o meglio fra le diverse classi
sociali. In fondo, purchè i primi bisogni siano abbastanza
soddisfatti, ciò che contribuisce principalmente a far
nascere ed a mantenere la ruggine fra le diverse classi sociali non
è tanto la differenza dei godimenti materiali quanto
l'appartenere a due ambienti diversi: giacchè, ad una parte
almeno delle classi inferiori, ancor più delle privazioni,
può riuscire amara l'esistenza di un mondo superiore dal
quale è esclusa: di un mondo il cui accesso, senza esser
proibito da leggi nè da privilegi ereditari, è
ostacolato da un filo di seta sottilissimo, che difficilmente
però si può scavalcare: la differenza di coltura, di
maniere e di abitudini sociali.
Fin dall'antichità si è scritto che in ogni
città ed in ogni Stato vi sono due popolazioni nemiche, che
stanno sempre alle vedette per nuocersi l'una all'altra: queste due
popolazioni sarebbero i ricchi ed i poveri. Or la massima non ci
pare che possa avere un'applicazione assoluta e sopratutto generale,
e quanto già abbiamo detto può servire a spiegare le
moltissime eccezioni e restrizioni colle quali la si deve
accogliere. Generalmente i poveri seguono i ricchi, o meglio le
classi dirette seguono le dirigenti, ogni volta che sono imbevute
delle stesse opinioni e credenze ed hanno un'educazione
intellettuale e morale non troppo dissimile; le plebi inoltre sono
fide coadiutrici delle classi elevate nelle lotte contro gli
stranieri, quando il nemico appartiene ad un tipo sociale
così differente da inspirare uguale ripugnanza a ricchi ed a
poveri. Infatti in Spagna nel 1808 ed in Vandea contadini e signori
combatterono insieme, nè i primi profittarono mai dei
disordini dell'anarchia per svaligiare le case dei secondi. Non ci
è quasi esempio che le classi povere di un paese cristiano si
siano sollevate per aiutare una invasione maomettana, e molto meno
poi le classi povere di un paese maomettano favorirebbero
l'invasione cristiana.
La democrazia sociale dell'Europa centrale ed occidentale si mostra
indifferente riguardo al concetto di nazionalità e proclama
l'alleanza dei proletari di tutti i paesi contro i capitalisti di
tutto il mondo; or queste teorie potrebbero forse avere una certa
efficacia pratica se avvenisse una lotta fra Tedeschi e Francesi
ovvero fra Italiani ed Inglesi, popoli appartenenti tutti, presso a
poco, allo stesso tipo sociale. Ma se si trattasse di respingere una
seria invasione tartara o chinese, o semplicemente turca o russa,
noi crediamo che la grande maggioranza dei proletari, anche
colà dove sono fortemente imbevuti di collettivismo mondiale,
darebbero volentieri la loro cooperazione alle classi dirigenti119.
Chi ha molto viaggiato avrà notato un fatto, che ha la sua
importanza: spessissimo i poveri di paese diverso, come del resto
fanno anche i ricchi che appartengono a differenti contrade, si
affratellano fra di loro assai più che ricchi e poveri dello
stesso paese120. Però ciò accade finchè si
è tra popoli i costumi dei quali abbiano molta
affinità con quelli di casa propria; perchè se si va
in contrade molto lontane, dove si trovino idee ed abitudini
interamente nuove, allora il ricco ed il povero dello stesso paese,
o anche semplicemente di paesi vicini, si sentiranno fra di loro
assai più legati che cogli stranieri della loro classe121. Il
che vuol dire che, presto o tardi, arriva un punto in cui la
differenza di tipo sociale è assai maggiore con lo straniero
che fra le diverse classi dello stesso paese.
VI. — L' isolamento psicologico ed intellettuale delle plebi, il
distacco troppo marcato fra la coltura, le credenze e la educazione
delle varie classi sociali possono dare origine a parecchi fenomeni
sociali, interessanti certamente per lo studioso di scienze
politiche, ma pericolosi per le società ove accadono.
Ed in primo luogo, in sèguito a quest'isolamento, quasi
necessariamente si forma in mezzo alla plebe un'altra classe
dirigente, spesso in antagonismo con quella, che tiene in mano il
governo legale122. Quando questa classe dirigente plebea è
bene organizzata può dare a chi ufficialmente governa una
data società serii impicci. In molti paesi cattolici, ad
esempio, l'influenza morale sui contadini è ancora quasi
tutta in potere del clero: questi hanno per il curato tutta quella
fiducia che negano al funzionario governativo. In altri, dove il
popolo vede in questo funzionario e nel signore degli uomini, se non
del tutto nemici, certo completamente estranei, gli elementi
più risoluti e maneschi della plebe qualche volta riescono a
formare vastissime e tenacissime associazioni, che esigono tasse,
amministrano una giustizia speciale per proprio conto, hanno la loro
gerarchia, i loro capi, i loro tribunali riconosciuti. Si viene cosi
a costituire un vero Stato entro lo Stato, un Governo occulto spesso
più temuto, più obbedito e, se non più amato,
certo più compreso del Governo legale.
Dappertutto poi dove una frazione della classe politica, o
perchè convertita ad una nuova formola politica, o per altre
ragioni, aspira a rovesciare il Governo legale, essa usa sempre di
appoggiarsi sulle classi inferiori, che facilmente la seguono quando
sono nemiche od indifferenti verso l'ordine di cose costituito. E
per questa alleanza, così spesso conclusa, che noi vediamo la
plebe strumento necessario di quasi tutte le sommosse e rivoluzioni
e così spesso stare a capo dei movimenti popolari uomini di
una condizione sociale superiore. Accade pure talvolta il fenomeno
opposto: cioè che quella parte della classe politica, che ha
in mano il potere e resiste alle correnti innovatrici, si appoggi
sulle classi basse, che restano fedeli alle antiche idee ed
all'antico tipo sociale. Cosi avvenne in Spagna dopo il 1822 e fino
al 1830, così nel Napolitano nel 1799 ed in parte fino al
1860. In questi casi si possono avere periodi di governo goffo,
ignorante e plebeo, del genere di quello che fu definito la
negazione di Dio.
Ma il più pericoloso fra gli effetti, che può produrre
la differenza di tipo sociale fra le varie classi sociali e
l'isolamento reciproco fra esse, che necessariamente l'accompagna,
è la mancanza di energia nelle classi superiori, che
divengono deficienti di caratteri arditi e pugnaci e ricche di
individui molli e passivi. Abbiamo già accennato come nello
Stato a tipo feudale questo fatto riesca quasi impossibile:
giacchè, là dove la società si divide in
frammenti quasi indipendenti l'uno dall'altro, i capi di ogni
singolo gruppo devono essere necessariamente energici, essendo la
loro supremazia in gran parte affidata alla propria forza materiale
e morale, che hanno campo inoltre di continuamente applicare ed
esplicare nelle lotte cogli immediati vicini. Ma, quando
l'organizzazione sociale è progredita, allora la
superiorità della cultura e della ricchezza e sopra tutto la
coesione e l'organizzazione della classe governante, la quale
usufruisce dei vantaggi della macchina burocratica, possono, fino ad
un certo punto, supplire alla mancanza di energia individuale.
Può così accadere che una parte notevole della classe
governante, specialmente quella che dà alla società il
tono e l'indirizzo intellettuale, si disabitui dal trattare cogli
uomini delle classi inferiori e dal direttamente comandarli.
È questa la condizione di cose necessaria perchè la
frivolezza ed una specie di cultura tutta astratta e convenzionale
prendano il posto del senso della realtà e della vera ed
esatta conoscenza della vita umana; perchè gli animi perdano
ogni virilità e comincino a farsi strada le teorie
sentimentali ed esageratamente umanitarie sulla bontà innata
della specie umana, specialmente quando non è guasta dalla
civiltà123, e sulla preferenza assoluta da darsi, nelle arti
di governo, ai mezzi dolci e persuasivi piuttosto che a quelli
rigidi od imperiosi. Si crede allora, come scrisse il Taine, che,
poichè la vita sociale per secoli ha proceduto blanda ed
ordinata, come un fiume delle acque impetuose tra i suoi robusti
argini, gli argini siano diventati superflui e si possano
impunemente abbattere, perchè il fiume è rinsavito.
In questi errori tanto più facilmente una classe politica
è esposta a cadere quanto più essa è, se non
legalmente, effettivamente chiusa agli elementi provenienti dalle
classi inferiori; perchè in queste le necessità della
vita, la gara continua ed aspra per il pane, la mancanza di coltura
letteraria, mantengono sempre svegli gli aviti istinti della lotta e
la rudezza inesauribile della natura umana. Ad ogni modo, si
aggiunga o no all'isolamento intellettuale e morale anche
quest'altro coefficiente dell'isolamento per dir così
familiare, certo è che, quando la classe dirigente è
degenerata nel modo che abbiamo accennato, perde l'attitudine a
provvedere ai casi suoi ed a quelli della società, che ha la
disgrazia di essere da essa guidata. Allora lo Stato rovina al primo
urto un po' forte che venga dal nemico esterno, chi governa non sa
affrontare la minima tempesta, ed i rivolgimenti che una classe
politica forte ed avveduta avrebbe attuato con perdite infinitamente
minori di ricchezza, di sangue umano e di senso morale124 pigliano
l'aspetto di cataclismi sociali.
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
I. Varie opinioni intorno al progresso del senso morale. — II. La
scuola evoluzionista. — III. Dottrina del Buckle - Disciplina del
senso morale. — IV. Influenza delle credenze religiose nella
disciplina del senso morale. — V. Influenza dell'organizzazione
politica. — VI. Il semplicismo politico in rapporto alla difesa
giuridica. — VII. I Governi misti - Completamento della teoria di
Montesquieu sulla divisione dei poteri. — VIII. Influenza della
separazione del prestigio religioso dal potere laico. — IX.
Influenza della distribuzione della ricchezza. — X. Rappresentanza
ed equilibrio di tutte le forze politiche. — XI. L'unità di
tipo nella classe politica.
I. — Non sarebbe indispensabile definire che cosa sia il senso
morale: giacchè si tratta di un concetto, che tutti sentono e
capiscono, senza che sia necessario che venga da una formola
determinato e circoscritto. Ad ogni modo diremo come per esso
generalmente s'intenda quell'insieme di sentimenti, per i quali la
naturale propensione degli individui umani ad esplicare le proprie
facoltà ed attività, a soddisfare i propri appetiti e
le proprie volontà, a comandare ed a godere, viene frenata
dalla naturale compassione per il danno ed il dispiacere, che altri
uomini potrebbero risentirne. Qualche volta questo sentimento arriva
al punto che la soddisfazione morale per aver procurato il piacere e
l'utile altrui vince quella materiale di aver provveduto al proprio.
Quando la limitazione all'appagamento del proprio piacere, di fronte
al sacrifizio altrui, è determinata dai sentimenti affettuosi
verso le persone che ci stanno più vicine e che ci sono
ordinariamente care, allora si dice che essa è basata sulla
simpatia; quando essa è inspirata soltanto dal rispetto che
si deve agli altri uomini, anche estranei, anche nemici, sol
perchè uomini, allora si ha il sentimento più delicato
e molto meno diffuso della giustizia. L'idealizzazione e
l'esagerazione di questi sentimenti sono state concretate nelle note
formole: ama il prossimo tuo come te stesso, non fare agli altri
quello che non vorresti che fosse fatto a te. Esse però hanno
piuttosto il significato di uno sforzo per raggiungere un
perfezionamento morale, che mai potrà essere toccato,
anzichè quello di un consiglio pratico ed applicabile alla
vita reale. Infatti, tranne le eccezioni dovute quasi sempre
all'amor paterno e materno, ogni individuo è quello che a
preferenza di tutti può e sa provvedere meglio ai casi suoi,
e, perchè vi provveda bene, è necessario che ami
sè stesso almeno un po' più degli altri e che li
tratti in modo differente dal proprio io125.
È una quistione molto discussa quella intorno al progresso od
alla stabilità del senso morale. Si sa che un chiarissimo
scrittore del secolo scorso, il Buckle, osservando che i principi
etici più puri ed elevati furono già noti e proclamati
anche in società antichissime, sostenne che il progresso
delle società umane è quasi esclusivamente
intellettuale e scientifico, non già morale126. A conclusioni
essenzialmente diverse viene la moderna e numerosa scuola
evoluzionista: secondo questa, il senso morale può e deve
continuamente progredire in grazia della lotta per l'esistenza, in
base alla quale entro ogni società sopravvivono a preferenza
gli individui più ricchi di sentimenti altruistici, che sono
i più utili agli interessi del corpo sociale, e, nella lotta
tra società diverse, finiscono sempre per vincere quelle dove
gli stessi sentimenti sono in media più forti127. Esamineremo
brevemente le due dottrine, tanto quanto basterà a dimostrare
che nessuna di esse può venire riguardata come base
inconcussa di deduzioni scientifiche, e cominceremo dalla seconda
che fino ad oggi è la più sparsa e diffusa.
II. — Or, anche non tenendo conto di quanto abbiamo creduto di
dimostrare nella prima parte del nostro lavoro, circa la lotta per
l'esistenza, che viceversa fra gl'individui di una società
arrivata ad un grado anche mediocrissimo di cultura, sarebbe
piuttosto lotta per la preminenza, ci pare un vero paradosso il
principio proclamato dai sedicenti positivisti, secondo il quale,
entro ogni gruppo sociale, o ai gradi più elevati, od anche
addirittura alla sopravvivenza dovrebbero arrivare preferibilmente
gl'individui più morali e perciò più dotati di
sentimenti altruistici. Tutto ciò che in questo proposito
possiamo concedere, e concediamo volentieri, è che un
individuo specialmente sprovvisto di senso morale, e che non sappia
abbastanza mascherare le sue tendenze, avrà a superare
difficoltà maggiori degli altri per l'antipatia e ripugnanza
che generalmente inspirerà; ma anche un individuo di senso
morale specialmente squisito si troverà in condizioni
svantaggiosissime. In sostanza, in tutti i negozi grandi e piccoli
della vita, egli dovrà lottare con armi assolutamente impari.
La maggioranza degli uomini userà contro lui quelle arti, che
egli potrà conoscere benissimo, ma che si guarderà
bene dall'adoperare; e da ciò ricaverà un danno certo
maggiore di quello che risentirà dalla malevolenza di cui
è circondato un accorto briccone, che sa misurare bene le sue
bricconate. In verità si può essere eccezionalmente
buoni quasi senza averne conscienza, per naturale semplicità
di animo, od anche conscientemente per magnanimità di cuore,
per insuperabile ripugnanza al male ed inflessibile dirittura di
carattere; ma non già perchè si possa menomamente
credere che con la bontà si ottenga più facilmente il
conseguimento dei proprî fini o ciò che comunemente si
dice la riuscita ed il successo nella vita. L'utilitarismo inteso in
questo senso come base della morale, ci si permetta di dirlo, non
può essere che la furberia di un ipocrita o il sogno di uno
sciocco.
È chiaro quindi che, in tutte le società, la
così detta evoluzione e selezione dei migliori dovrebbe
risolversi in un perpetuarsi e moltiplicarsi dei tipi di
moralità media, che sono veramente i più adatti a
ciò che si dice la lotta per l'esistenza; e la sopravvivenza,
e forse è più esatto dire la preminenza, dovrebbe a
preferenza spettare a quei caratteri, che in ogni ambiente sociale,
rappresentano la più aurea mediocrità morale.
Senonchè ci pare che, neppure così sostanzialmente
modificata, la teoria degli evoluzionisti riesca accettabile;
giacchè essa suppone ad ogni modo che l'elemento morale sia
sempre il fattore principale, che contribuisce a preferenza degli
altri alla riuscita o al mancamento degli scopi, che ogni individuo
si prefigge nella vita. Or praticamente la cosa non va così.
A tacere dell'influenza della fortuna, che è più
grande di quello che generalmente si immagina, la ricchezza o la
deficienza di certe qualità intellettuali, come sarebbero la
prontezza della percezione e la finezza dell'osservazione,
contribuiscono moltissimo a portare un uomo ai più alti
gradini della società o a tenerlo nei più bassi. Ma
sopratutto vi contribuiscono altre qualità, che dipendono
dalla tempra dell'individuo senza che siano, propriamente parlando,
nè intellettuali nè morali. Esse sono la tenacia nei
propositi, la confidenza in sè stesso, e, sopra tutto
l'attività. Anzi, a voler giudicare in qualunque
società se un individuo si farà o no avanti nella vita
non si può certo usare un criterio unico, ma volendo tener
d'occhio il criterio principale, si deve guardare se è attivo
e se sa bene impiegare la sua attività128.
Una parte sola della teorica selezionista possiamo ammettere come
vera; crediamo infatti che si possa accettare che nella lotta fra
due società (caeteris paribus), debba trionfare quella i cui
individui sono in media più provvisti di senso morale, e che
quindi saranno più uniti, più fiduciosi gli uni degli
altri, più capaci di abnegazione. Ma questa eccezione nuoce
anzichè giovare al complesso della tesi evoluzionista;
giacchè, se in una data società una media più
elevata del senso morale non può provenire dalla
sopravvivenza dei migliori, ammesso che il fatto esista, non si
può attribuirlo che ad una migliore organizzazione della
società stessa: a quelle cause cioè d'indole storica,
che sono le peggiori nemiche di coloro, che i fenomeni sociali
vogliono precipuamente spiegare mercè i mutamenti
dell'organismo e della psiche individuale.
III. — Sebbene meno lontane dal nostro modo di vedere, pure non
possiamo accettare le teorie del Buckle senza modificarle o almeno
senza completarle. È verissimo infatti che in società
molto antiche troviamo massime e leggi, che dinotano un senso morale
molto squisito; in papiri, ad esempio, che rimontano alla dodicesima
dinastia egiziana, si leggono precetti che valgono quasi quelli
della morale cristiana e buddistica129. Platonici e Stoici nel mondo
greco-romano, gli Esseni in quello ebraico sono pure i
rappresentanti di una morale superiore, e numerose traccie di essa
si possono agevolmente rintracciare nelle civiltà chinese,
indiana e persiana anteriori all'êra volgare. Ma bisogna
considerare e notare che, benchè la data alla quale rimontano
i precetti accennati sia remota, pure essi sono stati escogitati ed
accolti da popoli la cui civiltà era già antica ed il
cui senso morale avea perciò subìto una lunghissima
elaborazione. Invero, se un paragone è possibile fra la
morale di una tribù primitiva e quella di un popolo
relativamente civile e che per lunghi secoli ha vissuto organizzato
in grandi e numerosi organismi politici, è quello stesso che
si può fare fra la morale di un bambino e quella di un
adulto. La prima rappresenta l'incoscienza, la seconda la coscienza:
nel primo gli istinti buoni e cattivi sono semplicemente abbozzati,
nel secondo li osserviamo completamente sviluppati e maturi. Tanto
il fanciullo che il selvaggio possono fare il male, e grandissimo
male, ma nel loro operato prevarrà sempre il cieco, bestiale
impeto al calcolo ed alla premeditazione, e possono anche fare il
bene senza mai raggiungere in esso la squisita correttezza, il
consciente sacrifizio di sè di cui è capace l'uomo
adulto e civile130.
Ma non è soltanto nella maggiore perfezione degli istinti
morali ed immorali che l'uomo civile differisce dal selvaggio;
giacchè, nelle società di antica cultura e che per
secoli hanno goduto di una salda organizzazione politica, la
compressione degli istinti immorali, ciò che alcuni penalisti
chiamerebbero la contro spinta che li frena, è
indiscutibilmente più forte, ed acquista tutta l'importanza
di una inveterata abitudine. In queste società si vanno per
lunga e lenta elaborazione creando quegli organi, che fanno
sì che, in un certo numero di rapporti pubblici e privati, la
moralità generale tenga a freno la manifestazione della
immoralità individuale. Quasi tutti comprendono, quando non
sono interessati ed appassionati, che un dato atto non risponde a
quei sentimenti di giustizia, che sono comuni nella società
in cui vivono; ma certo potrebbe darsi che la gran maggioranza
commettesse quello stesso atto sotto la spinta della passione o di
un forte interesse.
Or l'opinione pubblica, la religione, la legge e tutta
l'organizzazione sociale che la fa osservare, sono l'espressione
della coscienza della moltitudine, che nei casi generali è
spassionata e disinteressata, contro l'uno o i pochi ai quali la
violenza dei sentimenti egoistici vela, in un dato momento, il retto
intendimento del giusto e dell'onesto; il giudice è lo
strumento del senso morale di tutti, che, caso per caso, tiene a
dovere e frena le passioni e gl'istinti malvagi di ciascuno.
Quindi non solo in una civiltà avanzata gl'istinti morali,
come le passioni egoistiche, si affinano e diventano più
coscienti e perfetti, ma in una società la cui organizzazione
politica è molto progredita, la disciplina morale è
indiscutibilmente maggiore, e sono più numerosi e più
specificati gli atti troppo egoistici, che dal controllo e freno
reciproco degli individui che la compongono sono proibiti ed
ostacolati. In ogni società vi è certamente, un numero
di individui relativamente piccolo, che ha tendenze spiccatamente
refrattarie ad ogni disciplina sociale; ed è pure certo che
vi ha un certo numero di coscienze superiori e di caratteri
saldamente temprati, per i quali ogni freno, che li mantenga nella
rotta via, riesce quasi superfluo. Ma fra questi due estremi vi
è la maggioranza immensa delle coscienze mediocri, per le
quali il timore del danno e della pena, il fatto che delle proprie
azioni si è responsabili davanti ad altri, che non sono
nè complici nè subordinati, sono mezzi efficacissimi
per far superare vittoriosamente le mille tentazioni, che la vita
pratica offre alla trasgressione dei doveri morali.
I meccanismi sociali che regolano questa disciplina del senso morale
formano ciò che noi chiamiamo la difesa giuridica. Diciamo
subito che essi non sono in tutte le società ugualmente
perfetti: può darsi anzi, e si è dato il caso, che una
società scientificamente ed artisticamente più
progredita di un'altra resti, da questo lato, in uno stato di
notevole inferiorità. E può darsi anche che la difesa
giuridica si vada infiacchendo e diventi meno efficace in
società le quali sono in un periodo di progresso scientifico
ed economico131. È innegabile poi che una grave catastrofe,
come sarebbe una lunga guerra od una grande rivoluzione, produce
dovunque un periodo di dissoluzione sociale; la disciplina dei
sentimenti egoistici allora vien meno, le abitudini colle quali essi
sono stati lungamente frenati si scuotono, e gli istinti bestiali,
addormentati ma non spenti da un lungo periodo di pace e di
civiltà, riappaiono vivaci. Giacchè se da una parte la
maggiore cultura è riuscita a dissimularli, dall'altra li ha
resi più temprati ed acuiti.
È così che vediamo talvolta gruppi di avventurieri
appartenenti a popoli civili, in contatto con popoli barbari o di
tipo sociale differentissimo, credersi sciolti dagli ordinari
vincoli morali e perpetrare le azioni per le quali rimasero celebri
i conquistatori spagnuoli nell'America, e Warren Hastings e Clive
nell'India; ed è ricorrendo agli stessi criteri che si
possono spiegare gli eccessi tremendi della guerra dei trent'anni,
della Rivoluzione francese e di altre guerre civili132.
IV. — Se noi guardiamo ai principali popoli, che hanno avuto ed
hanno una storia, vediamo che in essi la disciplina del senso morale
è affidata tanto alle religioni quanto a tutta
l'organizzazione legislativa. In origine anzi presso tutti, ed
ancora adesso presso molti popoli, la legge civile e il precetto
religioso si sono assolutamente confusi e le sanzioni che li
accompagnavano andavano e vanno sempre uniti. Oggi nei paesi di
civiltà europea e chinese l'organizzazione laica o civile e
quella religiosa sono più o meno nettamente separate: e la
seconda riesce tanto più efficace quanto più forte
è la fede che sa inspirare e mantenere; mentre la prima fonda
la sua perfezione nella sua maggiore conformità a certe
tendenze psicologiche, che sarà nostro dovere d'indagare.
Si è lungamente disputato se la sanzione religiosa, quando
è separata da quella politica, riesca più efficace di
questa; se il timore dell'inferno valga in pratica più del
carcere e del gendarme: ci pare che una risposta precisa ed
applicabile a tutti i casi, che la questione può presentare,
difficilmente possa darsi. È ovvio che un paese la cui
organizzazione politica è fiacca e primitiva e nel quale la
fede religiosa è ardente, trovasi in condizioni
essenzialmente diverse di quelle di un altro paese, nel quale gli
entusiasmi religiosi siano intiepiditi ed il regime politico,
amministrativo e giudiziario assai perfezionato. Più avanti
dovremo trattare lungamente dell'efficacia etica delle religioni in
genere; ad ogni modo possiamo fin da ora dire, che, sebbene tanto il
precetto religioso che le leggi civili siano emanazione di quel
senso morale collettivo, che è indispensabile in tutte le
associazioni umane, sebbene sia innegabile che un qualche effetto
pratico tutte le religioni hanno e devono avere, pure è per
lo meno arrischiata l'opinione di coloro, che ne vorrebbero
esagerare l'importanza. Se chi pensa così avesse ragione,
grande, ad esempio, dovrebbe essere la differenza morale fra un
popolo cristiano ed uno idolatra. Or certo, se si paragona un popolo
cristiano civile ad un popolo idolatra barbaro, il distacco morale
è immenso; ma se poniamo accanto due popoli allo stesso grado
di barbarie, dei quali uno abbia abbracciato il Cristianesimo e
l'altro no, allora si trova che, nella pratica, essi si diportano
presso a poco alla stessa maniera, o almeno non vi è un
distacco molto sensibile nella loro condotta: i moderni Abissini
sono un esempio vivente e notorio di quanto affermiamo133. Se poi
paragoniamo la società ancora pagana, ma politicamente
ben'ordinata, dell'epoca di Marco Aurelio con quella cristiana ma
disordinatissima, che ci viene descritta da Gregorio di Tours,
dubitiamo forte che il parallelo non riesca tutto favorevole alla
prima.
Invero è proprio della natura umana che un danno certo e
prossimo, per quanto relativamente piccolo, sia generalmente
più temuto di un danno incerto e remoto per quanto grande.
Per la massa delle coscienze volgari, nel momento che la
cupidità, la libidine o la vendetta le spinge al furto, allo
stupro, all'omicidio, il timore dell'ergastolo e del patibolo sono
mezzi più potenti e sopratutto più sicuri di
prevenzione della possibilità degli eterni tormenti; e se
ciò è vero per i grandi strappi al senso morale, che
si fanno solo nei momenti di passione violenta, è verissimo
per le piccole violazioni ai precetti più ovvii
dell'equità e della giustizia, alle quali possiamo essere
indotti dalla spinta quotidiana dei piccoli interessi e delle
piccole bizze. Infatti quale legge morale o religiosa non riconosce
che il pagare i debiti è, in massima, una cosa giusta e
doverosa? Eppure dobbiamo confessare che moltissimi buoni credenti
si asterrebbero dal farlo, e troverebbero mille cavilli e pretesti
per ingannare la propria coscienza, se non vi fossero costretti
dalla pubblica vergogna e sopratutto dall'usciere. Non ci vuole un
sentimento troppo delicato per capire che il bastonare un altro
è una cosa, per lo meno, scorretta; eppure l'abitudine di
alzare le mani sul prossimo nei momenti d'ira, viene nelle masse
combattuta efficacemente solo dalla sicurezza che chi dà un
pugno si espone a riceverne subito un altro, e che l'affare
può anche terminare col carcere o con la multa.
E noi vediamo, pur troppo, che gli esseri più deboli e
più incapaci di difesa, le donne ed i fanciulli, i quali
appunto per ciò dovrebbero essere maggiormente tutelati dal
sentimento religioso e morale, sono le vittime più frequenti
delle brutalità manesche. E in paesi molto religiosi, ma nei
quali le classi inferiori sono completamente abbandonate
all'arbitrio di quelle superiori, non è cosa straordinaria
che i padroni battano servi e vassalli.
Certo che la fede religiosa, come l'entusiasmo patriottico e le
passioni politiche, possono, in dati momenti di sovraeccitazione
straordinaria, produrre grandi correnti di abnegazione e di
sacrificio e spingere le masse a fatti ed a sforzi che, a chi tien
conto solo della natura ordinaria dell'uomo, sembrano quasi
sovrumani134. I giubilei cattolici e i revivals protestanti ce ne
porgono più di un esempio, e, come fatti caratteristici, si
possono anche citare il gran movimento di carità e d'amore,
che agitò l'Umbria al tempo di S. Francesco d'Assisi, e
qualche fugace giornata della rivoluzione francese e dei moti del
1848 in Italia. Ma la possibilità che hanno certi sentimenti
di eccitare febbri passeggiere non ci deve indurre in errore intorno
alla loro reale efficacia nella vita ordinaria dell'umanità.
Si sono viste città intiere, in momenti di sovraeccitazione
patriottica e religiosa, spogliarsi dei propri beni per donarli allo
Stato od alla Chiesa: ma certo nessuna organizzazione politica
può a lungo sussistere se l'imposta non ha un carattere
coattivo; e la Chiesa stessa, quando ha potuto, ha reso obbligatorie
le decime.
Il sentimento patriottico ed ancor più il religioso, e
più ancora quando sono combinati in unica passione, bastano a
produrre insurrezioni generali e violente, ed in certi momenti hanno
indotto intere popolazioni a pigliare le armi per imprendere
spedizioni lontane ed arrischiatissime, come ad esempio avvenne
nelle prime due o tre crociate. Ma essi non bastano a fornire
eserciti saldi e sicuri, che in tutti i momenti siano pronti laddove
il bisogno lo richieda; tranne che non si tratti di popolazioni
nelle quali la guerra sia un'occupazione ordinaria e fornisca lucri
abituali. Questa specie di eserciti, fra genti che vivono
ordinariamente d'agricoltura, d'industrie e di commercio, sono
invece il prodotto di una salda disciplina sociale, che costringe
inesorabilmente ogni individuo a fare il suo dovere ed a prestare il
suo servizio in dati tempi e in dati modi.
V. — Or è certo che l'organizzazione propriamente detta
politica, quella che stabilisce l'indole dei rapporti tra la classe
governante e quella governata e tra i vari gradi e le diverse
frazioni della prima, è il fattore, che contribuisce
precipuamente a determinare il grado di perfezione, che può
raggiungere la difesa giuridica di un popolo. Un Governo onesto, un
Governo di verità e di giustizia, un Governo veramente
liberale, come l'intendeva il Guicciardini135, è la miglior
garenzia che, anche i diritti che più comunemente s'intendono
per privati, la tutela cioè della proprietà e della
vita, saranno efficacemente custoditi. Un regime corrotto, nel quale
può accadere che chi comanda, in nome di Dio o del popolo
poco importa, libito faccia licito in sua legge, è evidente
che sarà insufficiente anche nell'adempiere a questa
missione; e, sebbene ufficialmente possa riguardo ad essa proclamare
principii accettabili ed anche elevati, pure nella pratica questi
saranno malamente osservati136.
È un'osservazione non solo facile, ma diremo quasi banale
questa: che i rapporti fra governanti e governati e fra le varie
categorie dei primi, sono più o meno inspirati a principii di
moralità e giustizia, secondo la diversità dei paesi e
dei tempi. Infatti non vi è chi non veda subito la
differenza, che corre su questo riguardo fra il governo dei
pascià e dei visir turchi del buon tempo antico, dello stampo
di Maometto Köproli, Mustafà Bairakdar ed Ali Tebelen,
che disponevano alla spiccia delle sostanze, del corpo e della vita
dei raiah ed anche talvolta dei credenti da loro governati, e quello
dei mandarini chinesi, che in conclusione devono far capo alla
corruzione burocratica per potere aggiunger qualche supplemento al
loro stipendio; e per eseguire una sentenza di morte, a meno che una
provincia non sia sottoposta a leggi eccezionali, devono spedire il
processo a Pekino per esservi riveduto ed all'occorrenza corretto.
Salta subito agli occhi che la Russia sotto Ivano IV il terribile,
quando le confische e gli sterminii in massa d'intere città
erano cose ordinarie, era retta in modo alquanto diverso di come
è governata oggi; ne è meno evidente che la Russia
d'oggi, è governata in modo diverso dall'Inghilterra, dove
ogni arresto personale deve essere subito e seriamente legalizzato.
E neppure è dubbio che le grandi nazioni dell'Europa centrale
ed occidentale siano rette in modo alquanto diverso delle
Repubbliche dell'America meridionale, dove la fucilazione, che il
partito vincitore infligge ai capi del partito vinto, non è
ancora andata in disuso, ed in qualcuna delle quali, in epoca non
remota, coloro che ressero per qualche anno il potere ebbero modo di
rubare non dei milioni ma dei miliardi137.
Tutte queste sensibilissime variazioni nel grado di bontà del
regime politico sono da alcuni molto facilmente spiegate colle
differenze di razza. Abbiamo già nella prima parte del nostro
lavoro ampiamente trattato quest'argomento; ci limiteremo ora a
rammentare che il vizio della razza difficilmente si può
invocare quando si tratta di popoli, che hanno saputo creare
civiltà molto avanzate e che in altri tempi aveano
organizzazioni politiche nelle quali la difesa giuridica era
relativamente eccellente rispetto a quella delle nazioni, che ora da
questo lato li sopravanzano, e che finalmente, nei loro rapporti
privati, non mostrano quella inferiorità organica del senso
morale, che solo nelle pubbliche faccende verrebbe a
manifestarsi138. Altri la spiegano colla differenza del grado di
civiltà: e questi hanno senza dubbio una parte di ragione;
perchè, come più avanti dovremo dimostrare, è
assai difficile, per non dire impossibile, che una società
vasta e numerosa come una nazione moderna abbia molto perfezionato
la sua difesa giuridica, se non ha raggiunto uno sviluppo
intellettuale ed economico abbastanza notevole. Ma la parte è
cosa differente dal tutto: giacchè molti sono i popoli che
hanno avuto periodi di splendore materiale ed anche intellettuale e
che, quasi costretti da una specie di forza fatale, non hanno mai
potuto disfarsi da certi tipi di organizzazione politica, i quali
sembrano del tutto impropri ad assicurare un vero progresso nella
morale delle classi governanti139: quindi, ciò che
comunemente appellasi civiltà è, evidentemente, una
condizione necessaria, ma non sufficiente per il vero progresso
politico.
Si può invero affermare che le abitudini contribuiscono
grandemente nel determinare il grado massimo di perfezione o
d'imperfezione nella difesa giuridica, che un popolo è capace
di stabilmente godere o sistematicamente tollerare. Infatti si
può senza stento ammettere che sarebbe impossibile che, in
una od anche in poche generazioni, i moderni Persiani, ad esempio,
possano diventare adatti al regime che ora vige in Inghilterra, o
che i nostri contemporanei Inglesi possano ridursi a tale da essere
governati come lo sono i sudditi dello Scià. Abbiamo
già accennato al fatto che le abitudini morali si modificano
assai più lentamente di quelle intellettuali, però
esse, per quanto lentamente, pur si modificano; e possono andar
cambiando in senso buono come in senso cattivo. Se è vero
quindi che gl'Inglesi moderni non tollererebbero più un re
come Riccardo 3°, un lord cancelliere come Francesco Bacone, un
giudice come Jeffreys, un generale comandante le truppe nella Scozia
come Graham di Claverhouse e probabilmente neppure un lord
protettore come Cromwell, se si può ragionevolmente sperare
che Bernabò Visconti e Cesare Borgia sarebbero impossibili
fra gl'Italiani d'oggidì, non è men vero che, a
qualche secolo d'intervallo, i Romani, dei quali Polibio avea
ammirato l'organizzazione politica che era forse la migliore di
tutta l'antichità classica, si adattarono a sopportare la
tirannide di Tiberio, di Caligola e di Nerone, e che i discendenti
dei Greci contemporanei di Aristide, di Pericle e di Epaminonda
stettero per lunghi secoli sotto il governo degli imperatori
bizantini. Inoltre è innegabile che vi devono essere delle
cause, che determinano il formarsi di alcune abitudini a preferenza
di altre; sicchè, ammesso anche che la varietà di
regime politico sia dovuta principalmente alla differenza di
abitudini politiche, resta integro il problema intorno alla ricerca
delle cause per le quali le dette abitudini si sono variamente
stabilite.
In conclusione noi crediamo di trovarci davanti ad una grande legge
psicologica, la quale può sola spiegare perchè
gl'istinti morali di un popolo più o meno si affermano e si
sviluppano nella sua organizzazione politica; legge che in fondo non
è che una delle tante esplicazioni dell'altra legge
più generale, che abbiamo esposto in principio di questo
capitolo, la quale spiega la maggiore o minore forza dei freni
morali in tutte le manifestazioni della vita sociale.
VI. — La preponderanza assoluta di una sola forza politica, il
predominio di un concetto semplicista nell'organizzazione dello
Stato, l'applicazione severamente logica d'un solo principio
ispiratore di tutto il diritto pubblico, sono gli elementi necessari
per qualunque genere di dispotismo; tanto per quello fondato sul
diritto divino, che per l'altro che presume di avere la sua base
nella sovranità popolare; per il fatto che essi permettono a
chi ha in mano il potere di sfruttare maggiormente, a beneficio
delle proprie passioni, i vantaggi di una posizione superiore.
Giacchè, quando coloro che stanno alla testa della classe
governante sono gli interpreti esclusivi della volontà di Dio
o del popolo, ed esercitano la sovranità in nome di questi
enti, in società profondamente imbevute di credenze religiose
o di fanatismo democratico, e quando altre forze sociali organizzate
non esistono all'infuori di quelle, che rappresentano il principio
sul quale si basa la sovranità della nazione, allora nessuna
resistenza, nessun controllo efficace sono possibili, che valgano a
temperare la naturale tendenza, che hanno coloro che stanno a capo
della gerarchia sociale ad abusare dei loro poteri.
Una classe governante, che tutto si può permettere in nome di
un sovrano, che tutto può fare, subisce una vera
degenerazione morale; quella degenerazione che è comune a
tutti gli uomini, i cui atti sono esenti dal freno e dal controllo,
che ad essi ordinariamente impone l'opinione e la coscienza dei loro
simili. Le responsabilità dei subordinati, che finiscono col
risolversi nell'irresponsabilità e nell'onnipotenza
dell'uomo, o del piccolo gruppo di uomini che stanno a capo della
gerarchia di tutti i funzionari, si chiamino Czar, Sultano o
Comitato di salute pubblica, comunicano a tutta la macchina politica
i vizi che l'assolutismo genera nei capi. Giacchè tutto si
può osare quando s'interpreta la volontà, vera o
supposta, di chi crede avere il diritto che tutto pieghi ad un suo
cenno, senza che abbia la possibilità di tutto vedere e senza
che altre coscienze libere e disinteressate possano controllare le
sue passioni ed i suoi errori.
E gli effetti di un simile sistema sono pronti e tristissimi.
Crediamo che nessuno come il russo Dostoiewsky, che visse lungamente
nel paese dell'autocrazia e passò dieci anni nelle miniere
della Siberia, abbia fra i moderni descritto con più
verità e sentimento la degenerazione del carattere, che il
potere assoluto produce negli uomini, sicchè non rinunciamo a
trascrivere le sue parole. Egli dice: “Chi possiede la potenza
illimitata sulla carne ed il sangue del suo simile, chi ha la
facoltà di avvilire coll'avvilimento supremo un altro essere,
è incapace di resistere al desiderio di fare il male. La
tirannia è un' abitudine, che diventa alla lunga una
malattia. Il miglior uomo del mondo può abbrutirsi
così da non distinguersi da una fiera. Il sangue inebria, lo
spirito diviene accessibile ai fenomeni più anormali, che
possono sembrare delle vere gioie. La possibilità di una tale
licenza diviene alle volte contagiosa a tutto un popolo; eppure la
società, che disprezza il carnefice ufficiale, non disprezza
codesti carnefici potenti...” Or è appunto questa specie di
ubbriachezza morale, rilevata pure da parecchi moderni psichiatri,
quella che spiega gli eccessi degli onnipotenti, che ci dà la
chiave delle follie criminose di parecchi imperatori romani, di
Ivano IV e Pietro il Grande, di tanti sultani dell'Oriente, di
Robespierre, di Barrere, di Carrier e di Lébon140.
Si può obbiettare che vi sono stati sovrani assoluti buoni,
come ve ne sono stati di cattivi, e che nell'Europa continentale,
prima della recente adozione dei Governi costituzionali e
parlamentari, l'assolutismo non produsse risultati cosi disastrosi
da giustificare quanto noi abbiamo sostenuto. Rispondiamo facilmente
che l'assolutismo europeo posteriore al Medio Evo fu tutt'altro che
completo; perchè anche l'autorità di un Luigi XIV avea
freni possenti nella tradizione di un tempo in cui il Re non era che
il primo dei baroni, nei privilegi secolari della nobiltà e
delle Provincie, e sopratutto nella separazione più o meno
completa della Chiesa dallo Stato. Ad ogni modo, tanta è la
ricchezza e la varietà della natura umana, che ammettiamo,
ciò che del resto è provato dalla storia, che alcuni
individui abbiano saputo interamente dominare le proprie passioni e
conservarsi puri ed onesti, anche dopo essere stati lungamente
investiti di un'autorità assoluta. Ma l'influenza benefica di
questi fortunati accidenti è meno grande di quello che
comunemente si crede: giacchè, in un paese abituato
stabilmente ad un regime dispotico, la massa della classe politica
usa ad essere adulatrice e vile coi superiori, necessariamente deve
diventare superba, dispotica, soverchiatrice cogli inferiori; gli
uomini sciaguratamente essendo cosi fatti che, quanto più
sono soggetti al capriccio ed all'arbitrio di chi sta in alto, tanto
più, in generale, tendono a far pesare il loro capriccio ed
il loro arbitrio su chi sta in basso e resta in loro balia141.
VII. — Nell'antichità Aristotile, Polibio e qualche altro
scrittore, dando la preferenza ai governi misti di monarchia,
aristocrazia e democrazia, intuirono chiaramente la legge, che
abbiamo enunciato. In verità, nello Stato greco, l'antica
monarchia appoggiata al carattere sacro ed alla tradizione,
l'aristocrazia che rappresentava pure la tradizione ed
ordinariamente la proprietà territoriale, la democrazia
basata sulla ricchezza mobiliare, sul numero, sulle passioni della
folla, erano altrettante forze politiche, la cui contemperanza,
finchè una non prevalse esclusivamente sulle altre, potea
dare, e diede, un tipo di organizzazione politica, nel quale la
difesa giuridica era, nei tempi ordinari, sufficientemente
garentita. Anche in Roma, all'epoca nella quale la sua costituzione
fu tanto ammirata da Polibio, troviamo contemperate le influenze
della grande proprietà patrizia e della piccola
proprietà plebea con quella della proprietà mobiliare
dei cavalieri; troviamo le tradizioni delle grandi famiglie di
ottimati, discendenti dai Numi, mantenere la loro possanza di fronte
alle passioni popolari ed ai servizi ed alle ricchezze recenti delle
grandi famiglie plebee, e troviamo queste forze politiche diverse
estrinsecarsi nelle varie autorità politiche, militari,
amministrative e giudiziarie, alleandosi e temperandosi in modo da
dar luogo allo Stato giuridicamente più perfetto di tutta
l'antichità.
Nel secolo scorso Montesquieu dallo studio della Costituzione
inglese ricavò la dottrina la quale insegna che,
perchè un paese sia libero, è necessario che il potere
vi freni il potere e che l'esercizio dei tre poteri fondamentali,
che egli trovava in qualunque Stato, sia affidato ad organi politici
diversi. Omai i trattatisti di diritto costituzionale hanno
dimostrato che una separazione assoluta dei tre poteri trovati dal
Montesquieu non esiste e che non è necessario che essi siano
precisamente tre. Ma non è questo forse il difetto principale
della dottrina del Montesquieu, difetto del resto piuttosto
imputabile ai numerosi scrittori, che ad essa attinsero, che al suo
primo autore. Costoro infatti, tenendo gli occhi rivolti alla teoria
del maestro, hanno dato importanza piuttosto al suo lato formale, e,
diremmo quasi curialesco, anzichè a quello sostanziale e
politico. Si è dimenticato troppo che un organo politico, per
essere efficace a frenare l'azione di un altro, deve rappresentare
una forza politica, deve essere l'organizzazione di
un'autorità e di un'influenza sociale, che nel seno della
società valga qualche cosa, di fronte all'altra, che
s'incarna nell'organo politico, che si deve controllare.
È per questa ragione, che, malgrado la lettera degli Statuti
e delle Carte fondamentali, noi vediamo in parecchie monarchie
parlamentari, il Capo dello Stato non sostenuto nè da vecchie
tradizioni, nè dal prestigio quasi scomparso del diritto
divino, nè dall'influenza delle classi economicamente
elevate, della burocrazia e dell'esercito, diventare insufficiente a
controbilanciare l'azione della Camera elettiva; la quale viene
sostenuta dalla credenza che essa rappresenti l'universalità
dei cittadini e riunisce in sè un cumulo notevole di
attitudini, di interessi, di ambizioni e di energie. E perciò
che vediamo, negli stessi paesi, la magistratura proclamata a parole
uno dei poteri fondamentali dello Stato, ma ridotta di fatto ad
essere un ramo della burocrazia dipendente dal Gabinetto ligio alla
maggioranza della Camera elettiva, mancare di prestigio e
d'indipendenza e non attirare a sè energie morali e
intellettuali bastevoli a rilevarne l'importanza. È sempre
per la stessa ragione che vediamo qualche Camera alta, composta di
funzionari in riposo, di deputati che rinunziano alla vita politica
militante e di qualche ricco del quale il Ministero ha trovato
conveniente di soddisfare la vanità, e che non offre
perciò un sufficiente pascolo nè agli spiriti pugnaci,
nè a quelli ambiziosi, essere rigettata facilmente in seconda
linea dalla Camera bassa, che le siede accanto.
VIII. — Il primo elemento, e diremo anzi il più essenziale,
perchè un organismo politico possa progredire nel senso di
ottenere una difesa giuridica sempre migliore, è la
separazione del potere laico dall'ecclesiastico; o, per dir meglio,
bisogna che il principio a nome del quale si esercita
l'autorità temporale non abbia nulla di sacro e di
immutabile. Quando il potere si appoggia ad un ordine d'idee e di
credenze, al di fuori del quale non è riputato potervi essere
nè verità, nè giustizia, è quasi
impossibile che esso nella pratica sia discusso e temperato e che il
progresso sociale possa arrivare al punto che le diverse
potestà si armonizzino e frenino fra di loro, in maniera che
sia evitato l'arbitrio di chi sta in alto nella gerarchia sociale.
L'immobilità relativa di certi tipi sociali si deve appunto
attribuire alla ragione che abbiamo accennato. Il carattere sacro
delle caste ha ad esempio impedito da molti secoli qualunque
progresso sociale nella civiltà indiana. E bisogna tener
presente che essa in origine dovette avere un brillantissimo
sviluppo, altrimenti non si potrebbero spiegare i grandi progressi
materiali ed artistici, che raggiunse; il che fa supporre,
ciò che del resto pare confermato da recenti studi, che la
divisione e l'isolamento delle varie caste non siano stati sempre
così rigorosi come ora li troviamo142.
Anche le società maomettane sono colpite dalla stessa
debolezza. Questo fatto, parzialmente osservato da molti, è
stato con grande esattezza rilevato dal Leroy-Beaulieu. Parlando
questo autore dei Tartari maomettani, che ancora abitano la Russia
nei governi di Kazan, Astrakan e Crimea, li descrive come agiati,
puliti e dediti al commercio, ma aggiunge: “il vero vizio
dell'Islam, la sua vera causa d'inferiorità politica non
è nel suo domma, nè nella sua morale, ma nella
confusione dello spirituale col temporale, della legge religiosa
colla civile. Il Corano essendo insieme Bibbia e codice, le parole
del Profeta tenendo il posto del diritto, le leggi ed i costumi sono
per sempre resi sacri dalla religione e da questo solo fatto deriva
che la civiltà maomettana è necessariamente
stazionaria”143. Per completare quest'analisi, così fine e
così giusta, potea aggiungere che, nei paesi dove le
popolazioni maomettane sono indipendenti, il sovrano è quasi
sempre Califfo o vicario del Profeta, o almeno dal Califfo fa
derivare nominalmente o realmente la sua autorità; ed a
questo titolo nessuno dei credenti può rifiutargli obbedienza
assoluta, a meno che non impugni come illegittima l'autorità
del califfato e non si faccia iniziatore di una riforma
religiosa144.
I popoli cristiani hanno potuto superare il pericolo della
confusione accennata dal Leroy-Beaulieu ed hanno potuto creare lo
Stato laico per un complesso di circostanze favorevoli. In primo
luogo il Vangelo contiene fortunatamente poche massime che siano
applicabili direttamente alla vita politica; in secondo luogo non
bisogna dimenticare che la Chiesa cattolica, malgrado che abbia
sempre aspirato ad avere una parte preponderante nel potere
politico, non ha potuto giammai monopolizzarlo interamente per due
principalissime ragioni, inerenti alla sua costituzione. La prima
è che, generalmente, è stato prescritto il celibato
dei preti e, sempre, quello dei monaci; sicchè non si sono
potute stabilire vere dinastie di abati e di vescovi sovrani; e da
questo lato anzi dobbiamo essere molto grati a Gregorio VII. La
seconda consiste nel fatto che la missione ecclesiastica, malgrado i
numerosi esempi contrarii che troviamo nel bellicoso Medio-Evo,
è stata sempre per sua natura poco conciliabile
coll'esercizio delle armi. Il precetto il quale vuol che la Chiesa
aborrisca dal sangue non si è potuto mai interamente obliare,
e in tempi relativamente ordinati e pacifici, ha finito col
prevalere: sicchè anche nei secoli che vanno dal decimoprimo
al decimoquarto, gli scrittori guelfi accanto alla supremazia papale
hanno dovuto ammettere l'esistenza di un imperatore, di un sovrano
laico, che di questa fosse lo strumento ed il braccio secolare. Non
bisogna poi dimenticare che il dispotismo più completo, al
quale siano stati sottoposti dei popoli cristiani, lo troviamo a
Bisanzio ed in Russia, dove i sovrani laici riuscirono più
completamente a ridurre sotto la loro diretta influenza
l'autorità ecclesiastica, e che le libertà inglesi
molto debito di gratitudine hanno verso i Puritani e gli altri non
conformisti.
IX. — Dopo la separazione dell'autorità laica da quella
ecclesiastica, i coefficienti più potenti di una difesa
giuridica più o meno progredita si trovano nel modo come
è distribuita in una società la ricchezza e nel modo
come è organizzata la sua forza militare. E qui occorre
anzitutto fare una distinzione fra i popoli che sono ancora nel
periodo feudale e quelli che già hanno un'organizzazione
burocratica.
Nello Stato feudale il monopolio della ricchezza, che, in uno stadio
ancor rozzo di civiltà, consiste nel possesso della terra, e
la supremazia militare si trovano ordinariamente concentrati nella
classe dominatrice; ma questo stato di cose, pur presentando
moltissimi inconvenienti, non produce mai gli effetti, che avrebbe
in una organizzazione sociale più perfezionata. Il capo di
uno Stato feudale infatti potrà fare un torto a qualcuno dei
suoi baroni, ma non potrà mai essere il padrone assoluto di
tutti i suoi feudatari, perchè questi disponendo di una
parte, diciamo così, della pubblica forza, potranno sempre
esercitare di fatto quel diritto di resistenza, che negli Stati
burocratici, quando è sancito, resta scritto nelle
costituzioni e nei libri di diritto pubblico. Ed anche i singoli
baroni hanno un limite alla tirannia, che possono esercitare contro
la massa dei loro soggetti, nella disperazione degli stessi, che si
può cambiare facilmente in ribellione. Quindi in tutti i
paesi veramente feudali, il dominio dei capi, a scatti violento ed
arbitrario, è ordinariamente assai limitato dalle
consuetudini; e si sa ad esempio che gli Abissini e sopratutto gli
Afgani non prestano che un'obbedienza molto condizionale ai loro Ras
ed ai loro Emiri. Abbiamo già visto come le tradizioni e gli
avanzi di un regime feudale valgano a temperare l'autorità di
un capo dello Stato, tanto che, neppure all'epoca di Luigi XIV e di
Federico il Grande di Prussia, la monarchia europea può
essere paragonata ai regimi politici, a capo dei quali stavano o
stanno gli imperatori di Bisanzio o gli Scià di Persia145. Ma
quando al contrario la classe, che ha il monopolio della ricchezza e
delle armi estrinseca il suo potere per mezzo di una burocrazia
accentratrice e di un esercito stanziale onnipotente, allora si
può avere il dispotismo nelle sue peggiori manifestazioni: si
ha cioè una forma di governo barbara e primitiva, la quale
tiene a sua disposizione gli strumenti di una civiltà
avanzata, un giogo di ferro, che può essere applicato da mani
rozze e inconscienti e che difficilmente si può spezzare,
perchè è temprato da artefici provetti.
Che l'onnipotenza di un esercito stanziale sia una delle forme
peggiori di regime politico è cosa cosi ovvia e conosciuta,
che non ci affaticheremo ad insistervi ancora146. Si sa pure che il
soverchio accentramento della ricchezza in una frazione della classe
governante ha prodotto la decadenza di organismi politici
relativamente molto perfetti come ad esempio la repubblica romana.
È impossibile infatti che leggi ed istituzioni, che
garentiscano la giustizia ed i diritti dei deboli, siano efficaci,
quando la ricchezza è così distribuita, che di fronte
ad un piccolo numero di persone, che possiedono le terre ed i
capitali, vi è una moltitudine di proletari, che non hanno
altra risorsa che le proprie braccia ed hanno bisogno dei ricchi per
non morir di fame dall'oggi al domani. In questa condizione di cose
la massima che la legge è uguale per tutti, la proclamazione
dei diritti dell'uomo ed il suffragio universale non sono che
ironie; ed è pure un'ironia il dire che ogni plebeo porta nel
suo sacco il bastone di maresciallo, cioè che può
diventare alla sua volta capitalista. Giacchè, anche ammesso
che qualcuno lo diventerà, egli non sarà il migliore
di animo e di costumi, ma il più infaticabile, il più
fortunato e forse anche il più briccone, mentre la massa
resterà sempre ugualmente sottomessa a coloro che stanno in
alto147.
Non ci è poi da farsi illusioni sulle conseguenze pratiche di
un regime, in cui la direzione della produzione economica, la
distribuzione di essa ed il potere politico fossero
indissolubilmente legati ed attribuiti alle stesse persone. Noi
vediamo che, a misura che lo Stato assorbe e distribuisce una parte
maggiore della pubblica ricchezza, i capi della classe politica
hanno maggiori mezzi d'influenza e di arbitrio sui loro subordinati
e più agevolmente si sottraggono al controllo di chicchessia.
Non ci è invero chi non sappia come una delle cause
più importanti della decadenza del Parlamentarismo sia la
grande quantità di impieghi, di appalti, di lavori pubblici e
di altri favori d'indole economica, che i governanti possono
distribuire o ad individui o a collettività di persone; e
gl'inconvenienti di questo regime sono maggiori colà appunto
dove relativamente più grande è la quantità di
ricchezza che il Governo ed i corpi elettivi locali assorbono e
distribuiscono; e dove quindi è più difficile
procacciarsi una posizione indipendente ed un onesto guadagno senza
aver che fare con le pubbliche amministrazioni. Se poi tutti gli
strumenti della produzione fossero in mano del Governo, i
funzionari, che la produzione dovrebbero dirigere e distribuire,
sarebbero gli arbitri della fortuna e del benvivere di tutti; e
giammai oligarchia più possente, camorra più
universale si sarebbe avuta in una società di coltura
avanzata. Quando tutti i vantaggi morali e materiali dipendessero da
coloro che hanno in mano il potere, non ci è viltà che
non si farebbe per contentarli; come non ci è violenza o
frode alla quale non si ricorrerebbe per arrivare al potere, ossia
per appartenere al numero di coloro che distribuiscono la torta,
anzichè restare fra i molti altri che si devono contentare
della porzione loro attribuita.
Una società si trova nelle condizioni migliori per applicarvi
una organizzazione politica relativamente perfetta, quando in essa
esiste una classe numerosa, in posizione economica presso che
indipendente da coloro che hanno nelle mani il supremo potere, la
quale ha quel tanto di benessere, che è necessario per
dedicare una parte del suo tempo a perfezionare la sua cultura e ad
acquistare quell'interesse al pubblico bene, quello spirito diremmo
quasi aristocratico, che solo possono indurre gli uomini a servire
il proprio paese senza altre soddisfazioni che quelle che procura
l'amor proprio. In tutti i paesi, che sono stati e sono
all'avanguardia della difesa giuridica, o come comunemente dicesi
della libertà, una classe simile si è sempre trovata.
Esisteva a Roma, quando vi era quella numerosa plebe composta di
piccoli proprietari, che, per la frugalità dei tempi, poteva
bastare a se stessa e che seppe, passo passo, con una tenacia
maravigliosa, conquistare il diritto di piena cittadinanza. Esisteva
nell'Inghilterra del secolo decimosettimo ed esiste in quella
presente; giacchè nell'una e nell'altra si è trovata e
si trova una numerosa gentry, formata prima a preferenza di medii
proprietari, ora a preferenza di medii capitalisti, che ha fornito e
fornisce il miglior contingente alla classe politica. Esisteva ed
esiste negli Stati Uniti d'America, dove la classe dei farmers
agiati ha fornito e fornisce gli elementi politici migliori; ed
esiste più o meno in tutti gli Stati d'Europa centrale ed
occidentale. Colà dove, per cultura, per educazione, per
troppo scarsa agiatezza, questa classe è insufficiente alla
sua missione, il governo parlamentare, come farebbe qualunque altro
regime politico, dà i frutti peggiori.
X. — È indiscutibile poi che col crescere della
civiltà aumenta il numero di quelle influenze morali e
materiali, che sono suscettibili di diventare forze politiche.
Accanto alla ricchezza immobiliare si crea ad esempio quella
mobiliare, frutto delle industrie e dei commerci; gli studi
progrediscono, le occupazioni che hanno per base una cultura
scientifica acquistano importanza, e si forma una nuova classe
sociale, la quale può, fino ad un certo punto, bilanciare il
prestigio materiale dei ricchi e quello morale dei sacerdoti.
Inoltre la tolleranza reciproca, che può essere effetto di
una cultura avanzata, permette la coesistenza di diverse correnti
religiose e politiche, che naturalmente si bilanciano e controllano
a vicenda, e nello stesso tempo rende possibile la discussione
pubblica degli atti dei governanti148. La specializzazione stessa
delle funzioni pubbliche fa sì che influenze diverse possano
estrinsecarsi e partecipare al reggimento dello Stato.
Senonchè è da osservare che ogni forza politica,
perchè si faccia valere proporzionatamente alla sua reale
importanza, è necessario che sia organizzata, e che,
perchè sia bene organizzata, sono indispensabili diversi
coefficienti, fra i quali principalissimi il tempo e la tradizione.
E perciò che spesso vediamo un vero disquilibrio prodursi, in
diverse epoche ed in paesi diversi, fra l'importanza che una classe
aveva nella società e la sua diretta influenza nel governo
del paese149. Oltreciò vi è quasi sempre qualche forza
politica, che ha la tendenza invincibile a soverchiare, ad assorbire
le altre, ed a distruggere quindi l'equilibrio giuridico legalmente
stabilito. Ciò è vero tanto per le forze politiche che
hanno un carattere materiale, come sarebbero la ricchezza e la
preponderanza militare, quanto per quelle che hanno un carattere
morale, come sono le grandi correnti religiose e dottrinali. Ognuna
di queste correnti pretende di avere il monopolio della
verità e della giustizia, ed ogni specie di esclusivismo e di
bacchettoneria, siano essi cristiani o maomettani, abbiano il
carattere sacro o quello razionalista, s'inspirino
all'infallibilità del papa o a quella della democrazia, sono
da questo lato ugualmente perniciosi. Ogni paese, ogni epoca,
può avere la sua speciale corrente d'idee e di credenze che,
essendo la più forte, preme sul meccanismo politico e tende a
sconvolgerlo. Avviene anzi generalmente che si apprezzino benissimo
i danni prodotti dalle correnti già indebolite e passate di
moda, che si stigmatizzino con orrore le lesioni gravissime che esse
hanno fatto al sentimento della giustizia; mentre non si scorgono o
si scusano o si condannano debolmente i danni analoghi, che la
corrente in voga ha fatto o minaccia di fare. Si grida e si proclama
che la libertà è raggiunta, che la bufera è
passata, mentre in verità essa non ha che cambiato di
direzione e, ci si passi la metafora, di forma e di colore.
Al giorno d'oggi in Europa due sono le forze morali, che aspirano a
rompere l'equilibrio giuridico: la Chiesa cattolica e la democrazia
sociale. La prima, malgrado la sua mirabile organizzazione,
può essere per il momento riguardata come meno violenta e
pericolosa e continuerà ad esserlo fino a quando le minaccie
della seconda non avranno spinto di nuovo le classi alte in grembo a
quelle credenze, che esse hanno ora abbandonato o professano molto
tiepidamente. Fra le forze materiali, quella che più
facilmente si può imporre a tutti i poteri dello Stato e
riesce più facilmente a violare, non diciamo le norme della
giustizia e dell'equità, ma qualche volta anche il testo
preciso della legge, è la ricchezza mobiliare; o almeno
quella parte di essa che è potentemente organizzata. Il
grande sviluppo del credito e del sistema bancario, le grandi
compagnie per azioni, che spesso dispongono dei mezzi di
comunicazione di estesissime contrade e d'interi Stati, l'estensione
grandissima che hanno preso i debiti pubblici, hanno creato, negli
ultimi cento anni, nuove compagini, nuovi elementi d'importanza
politica, la cui azione invadente e prepotente parecchi dei maggiori
Stati del nuovo e del vecchio mondo hanno avuto già occasione
di sperimentare.
La relativa facilità di organizzazione della ricchezza
mobiliare, la possibilità di accentrare la direzione di una
parte ragguardevole di essa in mano di pochi individui contribuisce
a spiegare la sua preponderanza. Abbiamo qui uno dei tanti esempi di
minoranze organizzate che prevalgono sulle maggioranze
disorganizzate. Un piccolissimo numero d'individui possono dirigere
tutte le Banche d'emissione di uno Stato, oppure tutte le compagnie
che esercitano la grande industria dei trasporti ferroviari o
marittimi, oppure anche possono essere arbitri delle grandi
compagnie per azioni, che esercitano industrie indispensabili alla
difesa del paese, come quelle metallurgiche, o compiono opere
pubbliche per le quali neppure le finanze dei Governi più
ricchi sarebbero sufficienti. Questi individui, che hanno il
maneggio di centinaia di milioni, possiedono mezzi svariatissimi per
allarmare o lusingare interessi molto estesi, per intimidire e
corrompere funzionari, ministri, deputati e giornalismo; senza che
quella parte del capitale nazionale, che è senza dubbio la
parte maggiore, la quale si trova impegnata in moltissime industrie
mediocri o piccole, ovvero dispersa in una moltitudine di mani,
sotto forma di risparmi più o meno grandi, possa menomamente
reagire contro di essi. E si noti che anche la parte principale del
capitale delle Banche e delle Compagnie industriali per azioni,
appartiene ordinariamente ai piccoli e mediocri azionisti, i quali
non solo restano completamente passivi, ma spesso sono le prime
vittime dei loro duci, che sulle loro perdite riescono a fondare la
loro fortuna e la loro influenza150.
XI. — È da notare infine che qualunque ordinamento politico
semplicista, basato sopra un principio assoluto, il quale fa
sì che tutta la classe politica sia organizzata sopra unico
tipo, rende malagevole la partecipazione alla vita pubblica di tutte
le influenze sociali e più malagevole il controllo, che le
une possono sulle altre esercitare. Ciò è vero tanto
quando il potere è esclusivamente affidato ad impiegati, che
si suppongono nominati dal principe, che quando esso è in
mano a funzionari elettivi, la cui scelta si dice che appartenga al
popolo. Dappoichè i freni che la burocrazia come la
democrazia possono imporre a loro stesse, e che si esplicano per
mezzo di altri burocratici o di molteplici funzionari elettivi,
riescon sempre insufficienti e nella pratica non raggiungono mai
interamente il loro scopo.
La storia amministrativa dell'impero romano ci fornisce infatti un
esempio opportuno della incapacità d'una burocrazia
accentratrice a frenare efficamente sè stessa. Si sa che in
origine, tanto nella capitale che nei municipi, nelle colonie e
nelle città di provincia, vi era, sotto la supremazia di Roma
repubblicana o imperiale, quello che gl'Inglesi chiamano un
self-government; le cariche pubbliche erano cioè
gratuitamente esercitate da una numerosa classe agiata. Ma fin dal
principio dell'impero le funzioni, che in Roma fino allora erano
state attribuite agli edili ed ai censori, furono date a funzionari
speciali stipendiati, aiutati nel loro servizio da un personale
numeroso d'impiegati pure retribuiti. Così la cura
dell'alimentazione della città fu affidata al praefectus
annonae, i lavori pubblici ai curatores viarum, aquarum, operum
pubblicorum, riparum et alvei Tiberis, la sorveglianza
dell'illuminazione e sugli incendi al praefectus vigilum e la
polizia al praefectus urbis. Ben presto il sistema della capitale si
andò estendendo ai municipî, che andarono perdendo la
loro autonomia amministrativa. Infatti, fin dalla fine del primo
secolo dell'impero, vediamo diminuire sensibilmente
l'autorità dei duumviri juris dicundo e degli aediles, ai
quali era affidata l'amministrazione municipale delle singole
città, che vennero poco a poco sostituiti da impiegati
imperiali: juridici, correctores, curatores rerum publicarum. Per
quanto l'evoluzione fosse lenta151, a partire da Nerva e Traiano
interpolatamente l'autorità dei funzionari elettivi veniva
sospesa e le loro attribuzioni erano affidate per un dato tempo ad
un curatore simile al nostro regio commissario, e nello stesso tempo
si andava lentamente accrescendo l'autorità ispettiva e
l'ingerenza del corrector provinciae, equivalente nel caso al nostro
prefetto. Finchè, alla fine del secondo secolo, vediamo quasi
universalmente spente le autonomie municipali ed una vastissima ed
assorbente rete burocratica stendersi per tutto l'impero152.
Contemporaneamente decadeva l'agiata borghesia municipale, che
componeva l'ordo decurionum, la quale partecipava al reggimento
delle città e dal cui seno uscivano appunto coloro, che
coprivano le cariche di duumviro e di edile153. Or, quando
l'accentramento burocratico ed il fiscalismo ebbero creata la
società romana del Basso Impero, composta di una classe
ristrettissima di grandi proprietari e di alti funzionari e di
un'altra numerosissima di persone assolutamente povere, prive di
ogni importanza sociale, e che, sebbene libere di nascita,
decadevano facilmente fino a ridursi alla condizione di coloni, noi
vediamo comparire un'istituzione originalissima, un nuovo organo
burocratico, che avea appunto la missione di difendere e tutelare le
classi disagiate e gli avanzi dei piccoli proprietari contro gli
abusi della burocrazia. Il defensor civitatis creato da Valentiniano
I°, nel 364, era appunto un impiegato, creato apposta per
proteggere la plebe urbana contro le soverchierie degli alti
funzionari e dei ricchi, che con quelli facevano causa comune; egli
dovea specialmente curare che i reclami dei poveri fossero accolti
come di diritto e potessero arrivare ai piedi del trono. Ma questo
sforzo, che fece l'assolutismo burocratico per correggere e
controllare sè stesso, malgrado le rettissime intenzioni del
legislatore, non dovette avere una sensibile efficacia;
giacchè i mali antichi non disparvero e le cause, che
conducevano l'impero alla dissoluzione, continuarono colla stessa
forza ad agire154.
In Russia l'assolutismo burocratico trova le sue antichissime radici
nell'influenza bizantina, che fin dall'epoca di Wladimiro il Grande
e dei suoi successori si fece sentire a Kief, e fu certo rafforzato
dalla terribile dominazione mongolica, che sopravvenne nel secolo
tredicesimo e fece sentire il suo peso fin nel decimosesto. Ed anche
quivi la famosa cancelleria segreta organizzata dallo czar Alessio,
verso la metà del secolo decimosettimo, non era che una
polizia speciale, che facea capo direttamente al sovrano ed era
incaricata di scrutare gli abusi ed anche i tentativi di rivolta
degli alti impiegati e dei boiari, i quali formavano in fondo una
unica classe. Or l'attuale terza sezione, tanto tristamente famosa,
discende in linea diretta e legittima da questa cancelleria segreta,
più volte nominalmente abolita, ma sempre di fatto
conservata155; e pare che, più che a correggere la
venalità e la corruttela della burocrazia russa, essa sia
stata efficace nell'aumentare l'oppressione, che questa fa subire a
tutto il resto del paese.
Negli Stati Uniti d'America vediamo al contrario l'impotenza della
democrazia a controllare e limitare se stessa. Non si può
negare che i redattori della Costituzione del 1787 abbiano avuto
gran cura di attuare il contrappeso e l'equilibrio perfetto dei
diversi poteri e dei diversi organi politici. Data la base
assolutamente democratica del Governo, la mancanza assoluta di un
potere, che direttamente non provenga dalle elezioni popolari,
difficilmente crediamo che si sarebbe potuto immaginare di meglio.
Difatti, anche non tenendo conto, che colà il Senato, munito
di poteri più efficaci delle Camere alte europee156 e fondato
sul sentimento ancor vivace delle autonomie dei singoli Stati,
è certamente molto autorevole, il Presidente, che usa
liberamente del diritto di veto, che non può essere buttato
giù da un voto della Camera bassa e che riassume nella
propria persona la responsabilità del Governo per un intero
lustro, come organo della difesa giuridica è superiore ai
Gabinetti dei paesi parlamentari: corpi collettivi meno autorevoli,
che hanno più bisogno di cattivarsi la simpatia dei deputati
e dei politicanti, ed i di cui membri sentono meno il peso della
responsabilità personale. Certo si deve anzi a questa
larghezza di poteri ed al sentimento della responsabilità
personale, che spesso si sviluppa stando in una carica elevatissima,
se, nell'ultimo mezzo secolo, abbiamo visto alcuni Presidenti, come
il Johnson, l'Hayes ed il Cleveland, opporsi con tenacia e coraggio
ai peggiori eccessi dei partiti, che li avevano eletti157.
Ma questa perfezione che chiameremo formale, del meccanismo del
Governo federale ed anche dei Governi dei singoli Stati non ha
potuto riparare che fino ad un certo punto al vizio fondamentale di
tutto il regime politico ed amministrativo dell'Unione americana.
Vizio, che è stato molto aggravato dalla tendenza, che fra il
1820 ed il 1850 cominciò a prevalere e che ora è
diventata quasi generale, per la quale il suffragio è quasi
in tutti gli Stati divenuto universale; sicchè un'unica
categoria di elettori dà i suffragi in tutte le elezioni e si
son rese direttamente elettive e temporanee le nomine dei giudici
dei vari Stati, che prima erano a vita e generalmente attribuite ai
rispettivi governatori158. In questo modo la stessa cricca
elettorale elegge infallibilmente le autorità federali e
quelle locali; governatori, giudici e Parlamento sono in fondo gli
istrumenti delle stesse influenze, le quali diventano le padrone
assolute ed irresponsabili di tutto uno Stato. Tanto più che
i politicanti americani, che fanno un mestiere delle elezioni, sono
abilissimi nell'arte di stabilire il Ring (letteralmente tradotto
l'anello, il circolo), cioè il sistema mediante il quale
tutti i poteri, che dovrebbero controllarsi e completarsi a vicenda,
diventano l'emanazione di un solo caucus o comitato elettorale.
Ma si potrebbe obiettare che, col sistema del suffragio universale,
tutte le forze e tutte le influenze politiche possono essere
rappresentate nella classe governante proporzionatamente alla loro
importanza numerica, e che riesce perciò impossibile ad una
minoranza di monopolizzare il potere a proprio vantaggio e farne
così uno strumento alle proprie vedute ed alle proprie
passioni. A quest'obiezione, che riflette un sistema d'idee ancora
molto in voga, ma che noi non abbiamo accettato ed abbiamo fin qui
indirettamente combattuto, risponderemo direttamente nel capitolo
venturo.
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime
rappresentativo e la difesa giuridica. — III. Significato della
così detta azione dello Stato. — IV. Questioni intorno ai
limiti di questa azione. — V. La dottrina del Comte sui tre stadi
intellettuali e politici. — VI. Valore pratico del parallelismo
stabilito dal Comte. — VII. Classificazione degli Stati, secondo lo
Spencer, in militari ed industriali. — VIII. Debolezze e lacune di
questa classificazione.
I. — Nei precedenti capitoli abbiamo esposto quali siano, secondo il
nostro modo di vedere, alcune delle leggi e tendenze costanti che
regolano le società umane. Ora possiamo più
agevolmente fare la critica di alcune opinioni e teorie politiche,
ancora o almeno fino a poco tempo fa, molto in voga, le quali
vengono, secondo noi, dalle leggi che abbiamo ricordato più o
meno sfatate.
Molte fra le dottrine sulla libertà e sull'uguaglianza, come
ancora sono comunemente intese, dottrine che il secolo decimottavo
ha escogitato, che il diciannovesimo ha maturato e tentato di
applicare e che il ventesimo probabilmente liquiderà o
modificherà sostanzialmente, si riassumono e si concretano
nel concetto che vuole a base di ogni Governo il suffragio
universale. Si crede infatti molto comunemente che Governo libero,
egalitario, legittimo, sia esclusivamente quello basato sulla
volontà della maggioranza, la quale coi suoi suffragi
trasmette per un dato tempo i suoi poteri ai propri mandatari. Fino
a qualche generazione addietro, e per parecchi scrittori ed uomini
politici anche oggi, tutte le imperfezioni dei Governi a base
rappresentativa sono state attribuite alla incompleta o falsata
applicazione di questi principii159.
Una scuola così vasta, credenze cotanto diffuse, non si
sfatano con qualche pagina, quindi noi ora non faremo una
confutazione in regola delle teorie sulle quali si fonda il
suffragio universale. Del resto, indipendentemente da quanto abbiamo
già detto su questo argomento nel presente lavoro, di esso ci
siamo occupati anche in altri scritti160; sicchè ora
accenneremo semplicemente a qualcuno degli argomenti fondamentali
che meglio possono minare le basi dell'edificio intellettuale, sul
quale il suffragio universale è poggiato. Ci basterà
quindi di dimostrare che la supposizione per la quale l'eletto
è ritenuto l'organo della maggioranza dei suoi elettori
ordinariamente non è conforme alla verità. E,
fondandoci sull'esperienza dei fatti e ricordando alcune
osservazioni pratiche, che tutti hanno presenti e che riguardano il
modo come si svolge il fenomeno elettorale, facilmente proveremo il
nostro assunto.
Quel che avviene colle altre forme di Governo, che cioè la
minoranza organizzata domina la maggioranza disorganizzata, avviene
pure, e perfettamente, malgrado le apparenze contrarie, col sistema
rappresentativo. Quando si dice che gli elettori scelgono il loro
deputato, si usa una locuzione molto impropria; la verità
è che il deputato si fa scegliere dagli elettori, e, se
questa frase sembrasse in qualche caso troppo rigida e severa,
potremmo temperarla dicendo che i suoi amici lo fanno scegliere.
Accade nelle elezioni, come in tutte le altre manifestazioni della
vita sociale, che gl'individui, che hanno la voglia e sopratutto i
mezzi morali, intellettuali e materiali per imporsi agli altri,
primeggiano su questi altri e li comandano.
Il mandato politico è stato quasi assimilato a quello civile
già noto nel diritto privato. Ma, nei rapporti privati, la
delegazione di poteri e di facoltà presuppone sempre nel
mandante la più ampia libertà nella scelta del
mandatario. Or appunto questa libertà di scelta, ritenuta
amplissima in teoria, diventa necessariamente quasi nulla ed
irrisoria nella pratica delle elezioni politiche. Infatti se ogni
elettore dasse il suo voto al candidato del suo cuore, sicuramente
non ne risulterebbe altro, nella quasi totalità dei casi, che
una grande dispersione di voti; poichè è quasi
impossibile che molte volontà, non coordinate e non
organizzate, s'incontrino nella scelta spontanea di un individuo, la
quale può essere determinata da criteri diversissimi e quasi
tutti subiettivi. Per dare al suo voto qualche efficacia ogni
singolo elettore è perciò costretto a limitare la
scelta in un campo ristrettissimo, cioè fra le due o tre
persone che hanno qualche probabilità di riuscita161; e
questa probabilità hanno ordinariamente solo coloro che sono
sostenuti da un gruppo, da un comitato, da una minoranza
organizzata, che ne propugna la candidatura.
Abbiamo altrove ragionato lungamente dei modi come si formano queste
minoranze organizzate attorno ai candidati singoli od ai gruppi di
candidati162. Ci basterà ora ricordare che esse sono
ordinariamente fondate sull'influenza del censo, sopra
cointeressamenti materiali o sui legami di famiglia, di classe, di
setta di partito politico. Buona o cattiva che sia la loro
composizione, è innegabile che i comitati ed i deputati, che
alle volte sono i loro strumenti, alle volte i loro duci e padroni,
rappresentano l'organizzazione di un numero rilevante di valori e di
forze sociali. La vera conseguenza pratica del regime
rappresentativo è perciò non già il governo
della maggioranza, ma la partecipazione di un certo numero di valori
sociali al reggimento dello Stato, la influenza e l'organizzazione
di molte forze politiche, che in uno Stato assoluto, cioè
retto dalla sola burocrazia, sarebbero rimaste inerti ed escluse.
II. — Esaminando i rapporti che il regime rappresentativo ha con la
difesa giuridica si possono fare le seguenti distinzioni ed
osservazioni.
Se è verissimo che la gran maggioranza degli elettori
è passiva, nel senso che non ha libertà di scegliere
il suo rappresentante, ma solo un limitatissimo diritto di opzione
fra i diversi candidati, pure questa facoltà, per quanto sia
limitata, fa sì che i pretendenti alla deputazione, cerchino
di attirare a sè quella forza che può dare il tracollo
alla bilancia in prò dell'uno o dell'altro; e perciò
fanno ogni sforzo per adulare, carezzare ed attirarsi le simpatie
delle masse. In questo modo certi sentimenti e certe passioni della
folla devono necessariamente avere influenza sull'animo dei
deputati, e l'eco di un'opinione molto sparsa, di un malcontento
molto forte si fa facilmente sentire fin nelle più alte sfere
dei governanti.
Si può obiettare che quest'influenza della maggioranza degli
elettori necessariamente è ristretta alle grandi linee
dell'indirizzo politico; che essa si fa sentire solo in pochissimi
argomenti di carattere generale e che, entro questi limiti, anche
nei Governi assoluti, le classi dirigenti sono obbligate a tener
conto dei sentimenti delle masse. È certo infatti che il
Governo più dispotico deve procedere molto cautamente quando
si tratta di urtare i sentimenti, le convinzioni, i pregiudizi della
maggioranza dei governati, o quando deve imporre ad essa sacrifici
pecuniari ai quali non è abituata; ma la cautela
nell'offenderla sarà anche maggiore quando ogni singolo
deputato, il cui voto può essere tanto utile e necessario al
potere esecutivo, sa che il malcontento delle turbe può, a
breve scadenza, procacciare il trionfo di un aborrito rivale163.
Il regime rappresentativo ha poi effetti molto diversi a seconda che
varia la composizione molecolare del corpo elettorale. Se tutti gli
elettori, che hanno qualche influenza per coltura e posizione
sociale, sono entro i Comitati, e se al di fuori di questi non resta
che una massa di poveri e di ignoranti, è impossibile che
essa possa esercitare con qualche serietà ed efficacia il suo
diritto di controllo ed opzione, ed in questo caso fra le diverse
minoranze organizzate, che si disputano il campo, vince
infallibilmente quella che più spende e più inganna.
Lo stesso avviene se entro il corpo elettorale le persone che hanno
capacità ed indipendenza economica, rappresentano una
minoranza sparuta, la quale non ha modo d'influire direttamente sul
voto delle maggioranze; perchè, come ordinariamente accade
nelle grandi città, queste si sottraggono alla loro azione
morale e materiale. Mentre quando le capacità politiche
dispongono esse direttamente dei voti della maggioranza e riescono a
sottrarla alla azione dei Comitati e dei galoppini, può
avvenire che il controllo sull'opera di costoro sia efficace.
Sicchè il paragone fra i meriti e le dottrine dei diversi
candidati sarà relativamente serio e spassionato solo quando
le forze elettorali non sono interamente in potere di coloro che
delle elezioni fanno un'occupazione abituale od un mestiere.
Ma la vera garanzia giuridica nei Governi rappresentativi sta nella
discussione pubblica, che ha luogo in seno alle assemblee. Dentro
queste possono penetrare forze ed elementi politici disparatissimi e
basta una piccola minoranza indipendente per controllare l'operato
di una grande maggioranza e sopratutto per limitare l'onnipotenza
della organizzazione burocratica. Ma quando le assemblee, oltre ad
essere organi di discussione e di pubblicità, diventano, come
accade nei Governi parlamentari, il corpo politico che riassume in
sè tutto il prestigio e tutto il potere dell'autorità
legittima, allora, malgrado il freno delle pubbliche discussioni, su
tutta la macchina amministrativa e giudiziaria può pesare la
tirannia irresponsabile ed anonima degli elementi che prevalgono
nelle elezioni e parlano a nome del popolo: si può avere
cioè uno dei peggiori tipi di organizzazione politica che la
maggioranza reale di una società moderna possa tollerare164.
Il referendum nei Governi a base quasi esclusivamente
rappresentativa può essere un modo abbastanza efficace col
quale quel complesso di odii ed amori, entusiasmi e disgusti, che,
quando sono veramente sparsi e generali, formano ciò che
più verisimilmente si appella la pubblica opinione,
può reagire contro l'operato e l'iniziativa della minoranza
governante. Difatti, trattandosi non di fare una scelta od
un'elezione, ma di dire un sì od un no sopra una determinata
questione, ogni singolo voto non può andare disperso, ed ha
la sua pratica importanza indipendentemente da ogni organizzazione e
coordinazione di setta, di partito, di comitati. È certo
però che col referendum non si avvera neppure l'ideale
democratico del Governo della maggioranza, poichè il
governare, più che nel consentire o proibire le modificazioni
della Costituzione od anche della legislazione, consiste nel
dirigere tutta la macchina militare, finanziaria, giudiziaria ed
amministrativa, o nell'influire su chi la dirige. Inoltre il
referendum se da una parte limita il potere della classe governante,
dall'altra non è men vero che può seriamente
ostacolare tutti i miglioramenti dell'organismo politico; i quali
saranno sempre più facilmente apprezzati dalla classe
governante, per quanto possa essere interessata e corrotta, che
dalla maggioranza dei governati165.
III. — Una quistione, che si agita molto tra gli scrittori di
scienze sociali, è quella relativa alla maggiore o minore
ingerenza che spetta allo Stato. Noi cercheremo di dimostrare che
essa non è una questione sola, ma un complesso di questioni,
ed, applicando le teorie che nei capitoli precedenti abbiamo
esposte, forse contribuiremo a dissipare alcuni equivoci e
malintesi, che finora ne hanno ostacolato il retto e preciso
intendimento, ed hanno perciò impedito che si venisse, almeno
in qualcuna di esse, a conclusioni precise.
È molto sparso ancora quel modo di vedere, che fa della
società e dello Stato due enti perfettamente separati e
distinti e spesso li considera anche come antagonisti. Or, prima di
tutto noi crediamo che occorra determinare chiaramente che cosa si
intende per Società e che cosa s'intende per Stato. Stando
alle regole dei Codici ed alle concezioni del diritto
amministrativo, lo Stato è certamente un ente distinto,
capace di vita giuridica, il quale rappresenta gli interessi della
collettività ed amministra il demanio pubblico; e che, come
tale, può venire in conflitto d'interessi con i privati e con
gli altri enti giuridici. Politicamente parlando però lo
Stato non è che l'organizzazione di tutte le forze sociali,
che hanno valore politico. Esso, in altre parole, rappresenta il
complesso di tutti quegli elementi, che in una società sono
atti alla funzione politica e sanno e vogliono ad essa partecipare;
è quindi il risultato della loro coordinazione e della loro
disciplina.
Questo è il vero punto di vista da cui lo Stato va
considerato dai cultori delle scienze sociali; giacche è
brutto e pericoloso errore, che dura ancora nel nostro secolo ed
impedisce il retto apprezzamento dei problemi politici, la tendenza
curialesca a riguardarli dal lato, non diciamo giuridico, ma
prettamente ed esclusivamente giudiziario. Sicchè, secondo il
nostro modo di vedere, antagonismo fra Stato e Società non
può esistere, potendosi riguardare lo Stato come quella parte
della Società, che disimpegna la funzione politica, e tutte
le questioni riguardanti la ingerenza o non ingerenza dello Stato
vengono ad assumere un nuovo aspetto, per il quale, piuttosto che
studiare quali debbano essere i limiti dell'azione dello Stato, si
deve cercare quale sia il miglior tipo di organizzazione politica;
quello cioè che consente a tutti gli elementi, che hanno
valore politico in una data Società, di essere meglio
utilizzati e specializzati, meglio sottoposti al reciproco controllo
ed al principio della responsabilità individuale per gli atti
che compiono nelle loro rispettive mansioni.
Comprendiamo che quando si hanno certe abitudini intellettuali non
è facile il mutarle rapidamente ed adattarsi a nuovi metodi
di osservazione e ad una nuova maniera di considerare un dato
argomento. Però confidiamo che basterà un semplice
accenno alle pratiche applicazioni che può avere il sistema
da noi esposto, perchè il lettore si familiarizzi con esso e
ne scorga anche i vantaggi.
Ad esempio, quando si contrappone l'azione dello Stato
all'iniziativa privata spesso non si fa che un paragone fra l'opera
della burocrazia e quella che possono esercitare altri elementi
direttivi della Società, che, in qualche caso, possono anche,
senza essere impiegati stipendiati, rivestire un carattere
ufficiale. Nelle nostre società di tipo europeo, per quanto
burocratizzate, la burocrazia non è lo Stato, ma soltanto una
parte di esso. Sicchè quando si dice comunemente che in
Italia ed in Francia, in Germania ed in Russia, lo Stato fa tutto ed
assorbe tutto, bisogna interpretare la massima nel senso che la
burocrazia francese, italiana, tedesca e russa hanno molte
più attribuzioni di quelle di altri paesi, ad esempio, di
quella inglese e dell'americana. Come, quando si parla del famoso
Self government inglese, del popolo dell'Inghilterra che si governa
da se stesso, non bisogna supporre, come se ne potrebbe avere la
tentazione stando alla dizione usata, che nei paesi del continente
europeo, i Francesi, gl'Italiani, i Tedeschi ed i Russi non si
governino da loro stessi e che essi affidino a stranieri la
direzione delle rispettive funzioni politiche ed amministrative; ma
bisogna intendere semplicemente che certi uffici, che in Inghilterra
sono affidati a persone nominate dagli elettori o anche nominate dal
Governo, ma scelte fra i notabili dei diversi luoghi e non
retribuite nè traslocabili a volontà, sono negli altri
paesi d'Europa disimpegnati da burocratici.
IV. — Abbiamo già accennato166 come, sebbene la burocrazia e
le assemblee che dispongono del supremo potere politico, abbiano
avuto ed abbiano ingerenza in certi rami della produzione economica,
quali sarebbero, ad esempio, la manutenzione e costruzione delle
opere pubbliche e le banche di emissione, pure sembra accertato che
la direzione di questo ramo dell'attività sociale non sia
stata mai, in nessuna società pervenuta ad un certo grado di
coltura e prosperità, completamente burocratizzata. Questa
direzione è stata ed è in massima sempre affidata ad
elementi, che certo fanno parte delle forze direttrici della
società e quindi sono vere forze politiche, ma non entrano
nei quadri della pubblica amministrazione. Si potrebbe anche
ricordare quanto sia stata in generale dannosa l'ingerenza degli
elementi che hanno la direzione propriamente politica, cioè
legislativa, amministrativa e giudiziaria, della società,
nelle faccende economiche, e quanta parte del depauperamento, che
affligge qualche nazione moderna, si debba a quest'ingerenza
attribuire167.
Generalmente coloro che vogliono restringere le funzioni dello Stato
dovrebbero inspirarsi a questo pratico e semplicissimo concetto:
che, in tutti i rami dell'attività sociale, nell'istruzione
pubblica, nel culto, nella beneficenza, nell'amministrazione della
giustizia, nell'organizzazione militare, ecc. la funzione direttiva
è sempre necessaria e che deve essere affidata ad una classe
speciale, che abbia le attitudini necessarie a disimpegnarla.
Or quando si vuole togliere, in tutto od in parte, una di queste
attribuzioni alla burocrazia od ai corpi elettivi bisogna tener
presente che è necessario che esista in seno alla
società una categoria di persone, che possieda le attitudini,
ossia abbia la necessaria preparazione morale ed intellettuale ed
anche la posizione economica sufficiente per adempire al nuovo
ufficio che le viene affidato. Spesso anche non basta che in una
società vi siano gli elementi adatti a ciò, ma bisogna
che siano bene scelti e bene coordinati, altrimenti l'esperimento
può fallire e produrre risultati dannosi. Noi crediamo, ad
esempio, che questa sia stata la vera ragione per la quale
l'istituzione dei giurati non ha fatto buona prova in molti paesi
del continente europeo.
I cosi detti giudici popolari infatti rappresentano l'intervento di
elementi sociali estranei alla magistratura regolare
nell'amministrazione della giustizia penale; ma sono troppo numerosi
per poter essere tutti intellettualmente e moralmente preparati al
loro ufficio, e perchè il farne parte dia tale una
soddisfazione di amor proprio da fare loro acquistare quello spirito
di corpo, quel sentimento, diremmo quasi aristocratico, che è
necessario per rialzare il carattere medio di uomini ai quali
così delicate mansioni sono affidate168.
Dall'altra parte coloro che invocano un maggiore intervento dello
Stato dovrebbero pensare al significato pratico e positivo di questa
parola, spogliandola di tutto ciò che essa ha di vago, di
indeterminato, diremmo quasi di magico e di soprannaturale nell'uso
comune. Spesso ai giorni nostri contro tutti i danni della
concorrenza privata, come rimedio a tutte le cupidigie, alla
libidine del prepotere, a tutti gli eccessi dell'individualismo, o
meglio dell'egoismo, s'invoca l'intervento dello Stato. Il quale,
organo del diritto e del progresso morale, dovrebbe sollevare gli
umili e debellare i superbi; e, puro di tutte le volgari
preoccupazioni degli interessi personali, dovrebbe reprimere tutte
le iniquità, provvedere a tutti i bisogni materiali e morali,
avviare l'umanità sui floridi sentieri della giustizia, della
pace, dell'armonia universale169. Quanto scemerebbe questa fiducia
se, invece di pensare allo Stato ente astratto, posto quasi al di
fuori della società, si tenesse presente ciò che esso
è in fatti, vale a dire l'organizzazione concreta di una gran
parte degli elementi dominatori di una società. Se si
pensasse che, nella nostra società europea, quando si parla
di azione dello Stato, la frase si riferisce all'azione che possono
esercitare ministri, deputati ed impiegati; tutta bravissima gente,
che, per quanto possa essere migliorata o frenata dal sentimento
della responsabilità, dalla disciplina e dallo spirito di
corpo, ha tutte le facoltà e tutte le debolezze umane.
Eccellenti persone, che però, come tutti gli uomini, hanno
gli occhi, che si possono all'occorrenza aprire o chiudere, e la
bocca, che può, secondo i casi, parlare, tacere ed anche
mangiare; e le quali possono peccare anch'esse di orgoglio, di
accidia, di cupidigia e di vanità, ed avere le loro simpatie
ed antipatie, le loro amicizie ed avversioni, le loro passioni ed i
loro interessi; e fra questi anche quello di restare al proprio
posto, ed all'occorrenza di conseguirne uno migliore.
V. — Sarebbe opera impossibile, od almeno assai difficile, il
rispondere a tutte le teorie e le dottrine, che si allontanano dal
nostro modo di vedere intorno alle tendenze costanti ossia le leggi,
che regolano l'organizzazione delle società umane. Fra queste
dottrine due però ve ne sono, strettamente connesse e legate,
che, per la loro odierna diffusione, hanno tale importanza, che di
esse non possiamo assolutamente tacere. Intendiamo alludere alle
teorie del Comte ed a quelle dello Spencer. Il primo, come si sa, ha
messo in rilievo i tre stadi dell'intendimento umano: il teologico,
il metafisico ed il positivo, ai quali fa corrispondere tre tipi
diversi di ordinamento sociale: il militare, il feudale e
l'industriale. Il secondo classifica invece semplicemente le
società umane in Stati militari, fondati sulla coercizione,
ed in Stati industriali, basati sul contratto e sul libero consenso
di coloro che li compongono. Sulle orme di questi illustri
sociologhi, ora gran parte di coloro che, specialmente in Italia, si
occupano di scienze sociali e politiche, fanno di questi concetti la
pietra angolare dei loro ragionamenti e dei loro sistemi.
In linea generale sulla classificazione dei tre stadi intellettuali
fatta dal Comte ci pare che ci sia poco da obiettare. L'uomo infatti
può spiegarsi tutti i fenomeni, tanto dell'universo
inorganico che di quello organico, compresi quelli sociali,
attribuendoli ad enti soprannaturali, all'intervento cioè di
Dio o degli Dei, di genî, benefici o malefici, che sono autori
della vittoria e della sconfitta, dell'abbondanza e della carestia,
della salute e della pestilenza, ed allora si ha il periodo detto
teologico. Li può anche spiegare attribuendoli a cause prime,
frutto della sua imaginazione oppure di un'osservazione superficiale
e sconnessa dei fatti, come quando credeva dipendesse dal moto e
dalla congiunzione dei pianeti la sorte degli individui e delle
nazioni, dalle combinazioni degli umori la sanità del corpo
umano, e dalla quantità di metalli preziosi posseduti la
ricchezza dei popoli, ed allora è nello stadio aprioristico o
metafisico. Può infine, rinunciando a conoscere le cause
prime di questi fenomeni, studiarne, con rigoroso sistema
d'osservazione, le leggi naturali che li regolano e farne suo
prò, ed allora è nel periodo scientifico o positivo.
Dove cominciano le obiezioni e le critiche al sistema del Comte
è quando si vuole fare una distinzione cronologica netta e
precisa fra le varie società umane, assegnandole ad uno dei
tre periodi accennati. Poichè è impossibile negare che
tutti e tre i periodi intellettuali coesistano in tutte le
società umane, dalle più mature a quelle che sono
ancora, per dir così, nello stadio selvaggio. Infatti la
Grecia antica ci diede Ippocrate ed Aristotile, Roma Lucrezio, la
moderna civiltà europea ci ha dato la fisica, la chimica,
l'economia politica, ha inventato il telescopio ed il microscopio,
si è impadronita della elettricità ed ha scoperto i
microbi, che cagionano le pestilenze e le malattie; eppure non si
può non riconoscere che ad Atene come a Roma antica, a Parigi
come a Berlino, a Londra come a New-York, la maggioranza degli
individui erano e sono in pieno periodo teologico, o almeno in
quello metafisico. Come non ci fu epoca alcuna della classica
antichità nella quale non si consultassero auguri ed oracoli,
non si facessero sacrifici e non si credesse ai presagi, così
vediamo ancora le religioni rivelate avere una parte importantissima
nella vita dei nostri contemporanei e, dove esse s'indeboliscono,
vediamo svilupparsi le superstizioni spiritistiche e gli assurdi
metafisici della democrazia sociale. E d'altra parte il selvaggio
che nella pianta e nel sasso vede un feticcio, che crede che lo
stregone della tribù possa produrre la pioggia e scongiurare
il fulmine, non potrebbe vivere se non possedesse alcune vere
nozioni positive. Quando egli studia le abitudini della selvaggina,
quando impara a distinguerne le orme e tien conto della direzione
del vento per sorprenderla ed impadronirsene, fa suo prò di
osservazioni accumulate e coordinate da lui e dai suoi maggiori,
agisce perciò secondo i dettami di una vera scienza170.
Ma vi ha di più: come si può già intuire dagli
esempi accennati, non solo nella stessa epoca e nello stesso popolo
possono coesistere i tre periodi intellettuali del Comte, ma anche
nello stesso individuo. Diremo anzi che questa è la regola
generale, della quale gli esempi a centinaia saltano agli occhi di
tutti, e che il contrario è l'eccezione. A chi infatti non
è accaduto di conoscere qualche capitano di nave buon
credente, che presta fede anche ai miracoli della Madonna di Lourdes
o della Madonna di Pompei, che in politica o nelle scienze
economiche si trova in completo stadio metafisico e che, quando si
tratta di dirigere la rotta e comandare la manovra della sua nave,
fa uso di criteri rigorosamente scientifici? Tutti o quasi tutti i
medici, fino a due secoli fa, erano credenti nelle loro religioni, e
perciò non negavano l'efficacia delle preghiere e dei voti
nella guarigione delle malattie; inoltre sul funzionamento dei
diversi organi del corpo umano e sulle virtù di certi
semplici avevano svariate credenze assolutamente metafisiche, dovute
in gran parte all'influenza di Galeno e dei medici arabi, ma nello
stesso tempo non mancavano certo di cognizioni positive, che
rimontano ad Ippocrate, e che, lentamente elaborate dall'esperienza
di tanti secoli, permettevano in certi casi una cura razionale.
Similmente le preghiere per invocare la vittoria dell'Altissimo ed i
Te Deum per ringraziarlo furono in uso in Europa, assai tempo dopo
che Gustavo Adolfo, Turenne e Montecuccoli aveano cominciato a
condurre le guerre con norme scientifiche.
Senofonte, per citare un caso concreto, quando credeva che un sogno
fosse un avvertimento degli Dei era in pieno periodo teologico;
sulla forma della terra e sulla composizione dei corpi aveva
certamente delle idee, che i geografi ed i chimici dei giorni nostri
avrebbero giustamente caratterizzato per metafisiche; ma, nel
condurre la famosa ritirata dei diecimila, quando, ad esempio, per
riparare la colonna principale, che marciava coi bagagli, dai
continui assalti della cavalleria persiana la faceva coprire da due
linee di fiancheggiatori armati alla leggiera, si regolava secondo
criteri, che, dato il sistema d'armamento allora in uso, anche uno
stratega moderno avrebbe trovato scientifici e positivi. Lo stesso
autore se nella Ciropedia si mostra prevalentemente teologico e
metafisico, diventa di nuovo positivo nel suo trattato sull'arte di
cavalcare, perchè su quest'argomento, come farebbe un
moderno, trae i suoi precetti dallo studio della natura del cavallo.
VI. — La verità è che in questo, come in tanti altri
casi, il semplicismo non si adatta bene alle scienze che riguardano
la psicologia dell'uomo, animale molto complesso, pieno di
contraddizioni, e che non sempre si cura di esser logico e coerente;
e che perciò anche quando crede e spera che Dio possa
intervenire in sostegno della sua causa, ha cura contemporaneamente
di tenere asciutte le polveri, di valersi cioè del sussidio
dell'intelletto e dell'esperienza propria e degli altri. Il solo
argomento veramente valido, che si potrebbe addurre a favore della
classificazione del Comte, è questo: che, sebbene i tre stadi
intellettuali coesistano in tutte le società umane e si
possano rintracciare nella maggioranza degli individui che le
compongono, pure possono essere, secondo i casi, assai inegualmente
distribuiti; sicchè un popolo può avere un corredo di
cognizioni scientifiche indiscutibilmente superiore a quelle di un
altro, e, secondo le varie epoche della sua storia, può su
questo riguardo grandemente progredire o decadere; come pure
è innegabile che le dottrine metafisiche e le credenze
soprannaturali hanno generalmente maggiore presa ed influenza sulle
nazioni e sugli individui maggiormente sprovvisti di cultura
scientifica. Ma, cosi ridotta, la teoria del Comte rassomiglia molto
a quest'altra, per verità alquanto banale: che quanto
più una società è scientificamente progredita,
meno campo resta alle dottrine aprioristiche, e di altrettanto
diminuisce in essa l'influenza del soprannaturale171.
Dove poi i concetti del padre della moderna sociologia ci sembrano
anche più lontani dalla verità è nella parte
che si riferisce al parallelismo fra i tre stadi intellettuali ed i
tre tipi di organizzazione politica che egli stabilisce: il
militare, cioè, il feudale e l'industriale, — corrispondenti
il primo alla infanzia, il secondo all'adolescenza, il terzo alla
maturità delle società umane.
La funzione militare, l'organizzazione cioè di una forza
armata per la difesa interna ed esterna di un popolo, e se si vuole,
secondo portano gl'interessi, i pregiudizi e le passioni umane,
anche per l'offesa, fino ad oggi è stata ed è una
necessità di tutte le società umane. La preponderanza
politica maggiore o minore dell'elemento militare dipende, in parte,
da cause che abbiamo già studiato, dall'essere cioè o
no questo elemento una forza politica più o meno
indispensabile ed assorbente, più o meno da altre forze
politiche bilanciata, ed in parte da altre cagioni, che quando
sarà il momento opportuno non mancheremo di esporre. Intanto
possiamo fin d'ora con sicurezza affermare che non vediamo la
necessità del connubio indissolubile che, secondo il Comte,
vi dovrebbe essere fra la prevalenza politica del militarismo e la
prevalenza, nel mondo intellettuale e morale, del periodo teologico.
Diremo anzi di più: che non ci pare cioè in niun modo
provato, che il tipo di organizzazione, che il citato autore chiama
militare, debba esclusivamente prevalere solo in quelle
società, che si trovano al primo stadio del loro sviluppo, e,
per parlare il linguaggio dei moderni positivisti, nello stato
d'infanzia.
La società ellenica, ad esempio, dopo Alessandro Magno si
trovava evidentemente organizzata secondo un tipo, che qualunque
sociologo avrebbe caratterizzato per quello militare. Le leghe
repubblicane della Grecia propriamente detta, posteriormente alla
conquista macedone, non ebbero che una importanza politica molto
limitata; esse, fino alla conquista romana, furono sempre nella
clientela o nel vassallaggio dei grandi regni ellenizzati d'Egitto,
di Siria e sopratutto di Macedonia, i quali erano vere monarchie
militari assolute e fondate sulla forza degli eserciti. Eppure,
proprio in quell'epoca, la società greca era tutt'altro che
in uno stato d'infanzia o in un periodo teologico, perchè
poco prima di allora si erano formate ed allora fiorivano quelle
scuole filosofiche, che rappresentano il massimo sforzo del pensiero
ellenico verso la scienza positiva. Lo stesso si può
osservare nella società romana, quando, dopo Cesare, si
affermò l'assolutismo imperiale sorretto dai pretoriani e
dalle legioni.
La prevalenza delle credenze religiose, la fede ardente che in esse
un popolo può avere, producono poi immancabilmente la
preponderanza politica delle classi sacerdotali. Ora queste non
sempre sono fuse interamente colle classi militari, nè sempre
hanno con esse completa comunanza di sentimenti e d'interessi. La
stessa unione fra il trono e l'altare, che ebbe luogo in Europa al
principio di questo secolo dopo la Santa Alleanza, fu dovuta alla
peculiare circostanza che entrambi erano direttamente minacciati
dalla corrente razionalista e rivoluzionaria. Ma questo fatto, lungi
dal formare una regola generale, che possa esser presa come legge
universale, è da riguardarsi piuttosto come uno dei tanti
fenomeni transitori che nella storia si producono. Non mancano certo
gli esempi in contrario; e sono facili a portarsi quelli dell'India,
dove ci fu un'epoca, nella quale la casta dei Bramini si
trovò in lotta con quella dei guerrieri, e l'altro delle
lotte avvenute in Europa fra il Papato e l'Impero.
Ci pare poi impossibile trovare una giustificazione qualsiasi,
fondata sui fatti, di quella parte della dottrina del Comte, che,
alla prevalenza della metafisica nel pensiero umano, fa
corrispondere la prevalenza del sistema feudale nell'ordinamento
politico172. Abbiamo già visto come, ciò che
comunemente si chiama l'organizzazione feudale, sia un tipo politico
relativamente semplice, che si riscontra spessissimo nell'inizio
delle grandi società umane e si riproduce quando un grande
Stato burocratico viene a dissolversi. Quantunque il progresso
politico e quello scientifico non procedano sempre di pari passo,
come è provato dalla storia d'Italia nel Rinascimento, pure
si può ammettere con molte riserve che, in generale, ad uno
stadio politico primitivo o ad un periodo di decadenza e
dissoluzione politica, corrisponda uno stato d'ignoranza quasi
generale od un periodo di accasciamento intellettuale. Ma non si sa
proprio vedere il perchè questo debba essere caratterizzato
dal prevalere dei concetti metafisici anzichè di quelli
teologici; come pure non si può ammettere che, durante il
fiorire di un ordinamento feudale, l'attività scientifica
debba essere necessariamente spenta. Confucio, che visse in un'epoca
nella quale la China era ordinata feudalmente, non fu certo un
metafisico; e dall'altro lato la scienza del trivio e del quadrivio,
come del resto qualunque altra specie di cultura che non sia affatto
superficiale, è ignota agli Afgani ed agli Abissini moderni.
Il Comte si fonda sull'esempio del Medio Evo europeo : quest'epoca
ebbe senza dubbio i suoi grandi scrittori metafisici, come ne ebbe
pure la classica antichità; però il voler fare del
pensiero medioevale quasi un ponte di passaggio fra
l'antichità teologica ed il moderno pensiero scientifico
è un concetto falso, come è falsa la credenza che il
feudalismo sia stato la forma politica organicamente intermedia fra
gli antichi imperi ieratici e lo Stato moderno.
Ma basta leggere gli scrittori medioevali, specialmente quelli delle
epoche che si allontanano un poco dalla caduta dell'Impero
d'occidente e non sono troppo vicine al Rinascimento, per capire
subito quanto il pensiero medioevale fosse assai più
profondamente, assai più costituzionalmente teologico di
quello antico. Quegli scrittori ed i loro contemporanei sono
immensamente più lontani, più diversi da noi, di
quanto lo siano stati i contemporanei di Aristotile e di Cicerone. E
l'ordinamento feudale si formava e fioriva proprio in quei secoli
nei quali la paura continua delle carestie e della peste, le
frequenti apparizioni di Enti celesti ed infernali, turbavano,
imbecillivano completamente i cervelli umani; quando il terrore del
demonio era lo stato permanente di quelle povere anime, in cui, per
mancanza di qualunque cultura, la ragione deperiva ed il
maraviglioso, il soprannaturale diventavano un elemento familiare
come l'aria respirabile173.
VII. — Resterebbe a dimostrare come il terzo rapporto necessario,
che pone il Comte fra il regime industriale e la scienza positiva,
sia anch'esso fallace. Ce ne dispensiamo, perchè, in
quest'ultima parte, i concetti dell'autore del sistema di politica
positiva non hanno avuta molta eco, essendo essi troppo diversi da
quelli che finora sono più in voga fra i nostri
contemporanei, e non offrendo sufficiente appiglio a giustificare,
con una parvenza di metodo scientifico, passioni ed interessi che
finora hanno molta forza. Infatti si sa che l'industrialismo secondo
il Comte è un tipo di organizzazione sociale di là da
venire, nel quale la funzione direttiva della società
dovrebbe essere affidata ad un sacerdozio scientifico positivista e
ad un patriziato bancario ed industriale, fra i quali non dovrebbe
essere facile ai membri della classe inferiore di penetrare.
Perchè l'autore, prevedendo il caso, non dimenticò di
scrivere che "il sacerdozio disporrà i proletari a
disprezzare qualunque tendenza ad uscire dalla propria classe, come
contraria alla dignità dell'ufficio popolare e funesta alle
giuste aspirazioni del popolo, che sempre è stato tradito dai
suoi disertori"174. Altra idea fondamentale dell'A, è che
tutto il movimento intellettuale e politico della fine del secolo
decimottavo e della prima metà del decimonono sia stato un
movimento rivoluzionario, che ha avuto per risultato l'anarchia
morale e politica proveniente dalla distruzione del regime
monoteista feudale al quale nulla si è saputo sostituire.
Coerentemente a questo modo di vedere, il regime parlamentare
è severamente condannato dal Comte, come un effetto del
periodo anarchico nel quale siamo; la stessa funzione
rappresentativa, per la quale gl'inferiori scelgono i superiori,
è definita da quest'autore come una operazione
rivoluzionaria175.
Piuttosto ci converrà fermarci sulla seconda teoria, che
abbiamo già accennato; sulla modificazione cioè che lo
Spencer, e dopo lui moltissimi moderni sociologhi, hanno apportato
alle dottrine del loro maestro, classificando le società
umane in due tipi, rappresentati dallo Stato militare e dallo Stato
industriale176.
Qualunque classificazione deve essere fondata sopra caratteri
distintivi netti e precisi e lo Spencer infatti non manca di
avvertirci che, sebbene "durante l'evoluzione sociale si vedano i
caratteri dei due tipi mescolarsi, pure, nella teoria come nei fatti
è possibile di seguire con tutta la chiarezza desiderabile i
caratteri opposti, che distinguono ciascuna delle due organizzazioni
nel loro completo sviluppo"177. Or, trattandosi di un autore
così reputato, anzi addirittura così celebre, si
può ammettere che egli sia il migliore giudice dell'opera
propria; ma tuttavia avremmo desiderato una chiarezza e certo una
precisione maggiore in quei due capitoli dei principii di sociologia
nei quali l'illustre scrittore tratta ex professo di questo
argomento; e non esitiamo a confessare che, certo per colpa nostra,
non ci siamo formato un concetto del tutto determinato delle idee
che egli espone in proposito178.
Il criterio fondamentale della classificazione dello Spencer, quello
che non solo è esposto nei due capitoli accennati, ma al
quale continuamente si allude in tutte le sue opere ed in quelle dei
suoi numerosi seguaci, è questo: che la società
militare è fondata sul regime degli statuti, sulla
coercizione che i governanti esercitano sui governati, mentre quella
industriale è basata sul contratto, sul libero consenso di
coloro che ne fanno parte, nè più nè meno come
una società letteraria, industriale e commerciale, la quale
non è possibile senza il libero assentimento dei soci. Ora,
ci perdonino tutti coloro che hanno abbracciato questo concetto, ma
a noi sembra, e non possiamo fare a meno di confessarlo, che esso si
fondi sopra presupposti eminentemente aprioristici e che non reggono
alla prova dei fatti. Qualunque organizzazione politica crediamo
invece che sia contemporaneamente spontanea e coercitiva; spontanea
poichè essa proviene dalla natura dell'uomo, come è
stato osservato fin da Aristotile, e nello stesso tempo coercitiva,
perchè è un fatto necessario, l'uomo non potendo
vivere altrimenti. È naturale quindi, ed è spontaneo,
e nello stesso tempo è indispensabile, che, dove ci sono
uomini, ci sia una società, e che, dove vi è una
società, ci sia anche uno Stato; cioè una minoranza
dirigente ed una maggioranza che da essa è diretta.
Si potrebbe obiettare che noi spostiamo la quistione in modo
artificiosamente a noi vantaggioso, e che, sebbene l'esistenza di
un'organizzazione sociale sia un fatto naturale e necessario
là dove ci sono gruppi o moltitudini umane, pure ci possono
essere alcuni Stati i cui ordinamenti riscuotono l'assentimento, o
almeno l'acquiescenza completa, della gran maggioranza degli
individui che ne fanno parte, mentre altri questa condizione non
raggiungono. Non neghiamo che la cosa sia precisamente così,
ma non vediamo però perchè i primi si debbano chiamare
Stati industriali ed i secondi Stati militari. Infatti il consenso
della maggioranza di un popolo in una data forma di regime politico,
dipende unicamente dal fatto che questo regime è fondato
sopra credenze religiose o filosofiche universalmente accettate; o,
per parlare il linguaggio nostro, dipende dalla diffusione e
dall'ardore della fede, che la classe governata ha nella formola
politica con la quale la classe governante giustifica il suo potere.
Ora questa fede, in generale, è certo maggiore in quegli
Stati, che lo Spencer classificherebbe fra gli Stati militari e che
presentano tutti i caratteri che egli ad essi suole attribuire;
cioè negli Stati dove un Governo assoluto ed arbitrario si
fonda sul diritto divino.
Infatti nelle monarchie orientali spesso si congiura contro la
persona del sovrano, ma fino a pochi anni fa è stata rara
l'aspirazione ad una forma diversa di Governo; e fra i popoli della
moderna Europa noi vediamo che i Turchi ed i Russi, ad eccezione di
una piccola minoranza istruita, sono stati quelli fra i quali il
regime che esisteva fino a pochi anni fa era più in armonia
coll'ideale politico della gran maggioranza della nazione. Del resto
in tutti i paesi barbari la popolazione può essere
malcontenta del capo dei capi, ma ordinariamente non concepisce e
non desidera un regime politico migliore.
Senza che sia mai tassativamente detto, da alcuni esempi citati
dallo Spencer179 e dal capitolo che segue i due già
rammentati, e che tratta del passato e dell'avvenire delle
istituzioni politiche, si potrebbe arguire che per lui gli Stati
industriali sono quelli nei quali il Governo ha una base
rappresentativa, o nei quali vi è almeno la tendenza a non
riconoscere altra autorità legittima se non quella che emana
dai popolari comizi.
Però malgrado gl'indizi che abbiamo accennato, non possiamo
ammettere che sia precisamente questo il concetto del chiarissimo
autore. Perchè altrimenti tutti i suoi volumi di Sociologia
non servirebbero che a rinforzare quella corrente d'idee già
tanto diffusa, che comunemente appellasi radicale, e che dallo
stesso Spencer e da molti dei suoi seguaci è stata più
o meno direttamente combattuta. Inoltre egli non può ignorare
quanto il sistema elettivo sia stato diffuso nelle repubbliche
dell'antica Grecia, a Roma e persino fra gli antichi Germani, che
tumultuariamente sceglievano i loro capi innalzandoli sugli scudi, e
tutti questi popoli, stando ai suoi criteri, andrebbero classificati
fra quelli che avevano un tipo accentuatamente militare. Nè
infine si può ammettere che alla sua alta mente siano
sfuggite totalmente le considerazioni già più o meno
accennate in altri libri e da altri autori, e che noi abbiamo
sommariamente svolte nel principio di questo capitolo. Or dalle
considerazioni ricordate risulta che la partecipazione del popolo ai
comizi elettorali non significa che esso diriga il Governo e che la
classe dei governati scelga quella dei governanti, ma piuttosto che
la funzione elettorale, quando si svolge in buone condizioni
sociali, equivale ad un mezzo col quale alcune forze politiche
controllano e limitano l'azione delle altre.
VIII. — Lo Spencer stabilisce altri caratteri distintivi fra i due
tipi militare ed industriale, che ci sembrano ugualmente vaghi ed
indeterminati. Scrive egli, ad esempio, che colla decrescenza del
militarismo e l'accrescimento relativo dell'industrialismo, si va da
un ordinamento sociale nel quale gl'individui esistono a profitto
dello Stato ad un altro ordinamento nel quale lo Stato esiste a
profitto degl'individui180. Distinzione sottile, che ci rammenta
quella che si farebbe qualora si disputasse se nell'uomo il cervello
esista a profitto del resto del corpo o il resto del corpo esista a
vantaggio del cervello. Altrove asserisce che l'azione dello Stato
militare è regolatrice positiva, nel senso che impone una
quantità di atti da compire, mentre quella dello Stato
industriale è regolatrice negativa181, limitandosi essa a
prescrivere gli atti che non si possono commettere; non avendo
presente che non esiste organizzazione sociale nella quale l'azione
dirigente non sia nello stesso tempo positiva e negativa, e che,
siccome l'attività umana è limitata, moltiplicando la
regolamentazione negativa, si ottiene, riguardo all'inceppamento
dell'iniziativa individuale, quasi lo stesso risultato di quello che
produce una soverchia regolamentazione positiva.
Alcuni caratteri poi dello Stato militare che lo Spencer enumera si
riferiscono alle società soverchiamente burocratizzate, come
sarebbero quelle che l'autore ritrova nell'antico Perù, dove
gli ufficiali pubblici dirigevano le colture e distribuivano l'acqua
(probabilmente a scopo d'irrigazione oppure in paesi ed in tempi di
estrema siccità); mentre altri al contrario si riscontrano
nei popoli, dove l'autorità sociale è ancora, od
è stata recentemente, debole, e che si trovano in quel
periodo di organizzazione rozza e primitiva, che noi abbiamo
definito l'ordinamento feudale o ne sono usciti da poco. Fra
quest'ultimi va messa l'usanza della vendetta privata, che il
chiarissimo autore, il quale crede opportuno citare in proposito
l'autorità di Brantôme, trova ancora diffusa in Francia
alla fine del Medio Evo perfino fra gli ecclesiastici.
Inoltre, dove vige quest'usanza, e quindi presso tutti i popoli
barbari, o la cui organizzazione sociale è molto indebolita,
è naturale che il valore personale sia qualità molto
pregiata e cosi va spiegata quest'altra caratteristica che lo
Spencer attribuisce alle società militari. Aggiungiamo che lo
stesso accade in quelle società che, per svariate ragioni,
hanno dovuto sostenere molte guerre offensive e difensive, e che
è naturale che la bravura sia l'unico attributo che
conferisce prestigio ed influenza, là dove la rozzezza non
permette alle attitudini scientifiche, od a quelle che mirano a
produrre la ricchezza, di svilupparsi.
Finalmente non possiamo tacere che la tendenza, che lo Spencer
attribuisce alle società militari, di vivere delle proprie
risorse economiche ricorrendo il meno possibile agli scambi
internazionali, è più che altro una conseguenza della
rozzezza e dell'isolamento di molti popoli e, presso altri
già più civili, dei pregiudizi delle masse sfruttati
dagli interessi dei pochi, che sanno raggiungere il loro tornaconto
a danno dei molti. È molto probabile infatti che ben poco
abbiano profittato degli scambi cogli altri popoli quelle
tribù che lo Spencer cita così spesso come tipi di
società industriali primitive; ed al giorno d'oggi le
correnti protezioniste pur troppo non si sono fatte sentire meno
forti nell'industriale America del Nord che nella militare Germania.
Nè vuolsi per ultimo dimenticare che mal si apporrebbero
coloro i quali volessero distinguere le società industriali
dal grado di sviluppo economico che hanno raggiunto, o quelle
militari dall'energia e dalla prevalenza guerresca che hanno saputo
ottenere. Giacchè lo stesso Spencer direttamente od
indirettamente ci avverte che questo criterio, forse superficiale ma
certo molto semplice e facilmente percepibile, è da scartare.
Difatti, riguardo alla prima ipotesi, l'egregio l'autore non manca
di far rilevare che "non bisogna confondere una società
industriale con una società industriosa" e che "le relazioni
sociali che caratterizzano il tipo industriale possono coesistere
con un'attività produttrice molto limitata"182; e riguardo
alla seconda lo Spencer non vorrà ammettere che la Repubblica
romana abbia avuto una organizzazione più militare e meno
industriale, nel senso che egli dà a quest'espressione, degli
Imperi Orientali che furono da essa conquistati, o che i
conquistatori inglesi siano stati meno inoltrati nel tipo
industriale dei conquistati indiani.
Malgrado queste e malgrado altre obiezioni, che si potrebbero
muovere alla classificazione dello Spencer, non possiamo però
negare, che, diremo così, nascosta ed ottenebrata da un
equivoco, con essa una grande verità non sia stata
intravista. E certo che, oltre ai criteri di classificazione che
abbiamo già accennato e che ci siamo sforzati di confutare,
molti altri se ne possono desumere da tutte le affermazioni sue,
dall'insieme delle sue opere e sopratutto dallo spirito che le
anima. Dal complesso di quanto questo autore ha scritto non si
può infatti fare a meno di ricavare che egli per Stato
militare intende quello in cui la difesa giuridica è meno
progredita, e per Stato industriale un altro tipo di società,
in cui la giustizia e la morale sociale sono maggiormente tutelate.
L'equivoco, di cui testè abbiamo parlato e che ha impedito
allo Spencer di procedere oltre nello scoprire una grande
verità scientifica, consiste in ciò: che egli,
preoccupato dal fatto che la violenza materiale è stata ed
è uno dei maggiori ostacoli al progredire della difesa
giuridica, ha creduto nello stesso tempo che la guerra e la
necessità di un'organizzazione militare sia di ogni violenza
l'origine.
Così concependo il problema, si è confusa la causa con
uno dei suoi effetti. Si è creduto che la guerra sia
l'esclusiva origine della tendenza, che ha la natura umana a
prepotere sui propri simili, mentre non è che una delle sue
tante manifestazioni. Ora questa tendenza, che, nei rapporti esterni
fra popolo e popolo, non può essere frenata che dalla
prevalenza sempre maggiore degli interessi materiali ben intesi183,
nei rapporti interni fra gl'individui dello stesso popolo, abbiamo
già visto che viene, fino ad un certo punto, neutralizzata
solo dalla moltiplicità delle forze politiche che in una
società si possono affermare e dal controllo che le une sulle
altre possono esercitare.
Su quanto abbiamo scritto già sopra quest'importante
argomento nulla abbiamo da togliere, ma certo molto ci resta da
aggiungere. È infatti nostro compito l'esaminare come mai fra
le classi dirigenti, fra le forze politiche, quella frazione che
rappresenta appunto la forza materiale, che tiene in mano le armi,
non rompa l'equilibrio giuridico a suo vantaggio e non s'imponga
sistematicamente alle altre. Certo la possibilità che questo
fatto avvenga è un pericolo continuo, al quale tutte le
società sono esposte e che suole minacciare specialmente
quelle che si trovano in un periodo di rapido rinnovamento di forze
e di formole politiche. Senonchè l'esame dei rapporti fra gli
ordinamenti militari e la difesa giuridica, la ricerca dei metodi
migliori affinchè il detto pericolo sia scongiurato, è
tema così arduo che a trattarlo consacreremo un apposito
capitolo del nostro lavoro.
Per ora solo dobbiamo far rilevare che le idee dello Spencer su
questo argomento, delle quali abbiamo cercato di porre in luce i
lati deboli per quel che riguarda la generalità sistematica,
non sono neppure tali da potersi approvare rispetto a quelle
applicazioni pratiche, che, più o meno direttamente, l'autore
suggerisce. Egli infatti fra gli ordinamenti militari mostra di
prediligere quelli nei quali "il soldato, volontariamente arruolato
a certe condizioni determinate, partecipa in qualche maniera delle
condizioni di un libero operaio" e crede che un tale ordinamento
convenga ad una società "in cui il tipo industriale si
è già affermato184". In altri termini ciò
significa che quella frazione della società, che ha
più gusto per il mestiere delle armi, dovrebbe assumere
volontariamente, mediante compenso, che, per questo come per gli
altri mestieri sarebbe determinato dalle condizioni del mercato,
l'incarico della difesa militare sì interna che esterna. Ora
pare a noi, e molto prima di noi era parso a Machiavelli ed a tanti
altri scrittori, che a meno di circostanze speciali ed eccezionali,
sia appunto questo il sistema, che, nei popoli di cultura avanzata,
dà peggiori risultati; che più facilmente sviluppa
nella classe militare la tendenza ad opprimere le altre e toglie a
queste la possibilità di ogni rimedio efficace e di ogni
riparo.
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
I. Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri
coefficienti delle gare religiose e politiche. — III. Qualità
dei fondatori di nuove religioni e dottrine politiche. — IV. Nuclei
dirigenti di ogni nuova religione o dottrina politica. — V.
Condizioni transitorie per l'adattabilità delle dottrine
religiose e politiche ai vari momenti storici. — VI. Condizioni
permanenti per la loro adattabilità alla natura umana. — VII.
Transazioni pratiche di certe dottrine. — VIII. Organizzazione
stabile dei nuclei dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti
generosi e degli interessi materiali. — X. Sistemi per attirare e
dominare le masse. — Efficacia della forza materiale. — XI. Altre
arti adoperate allo stesso scopo. — XII. Conclusione del capitolo.
I. — Narra Buffon che, racchiudendo un certo numero di daini in un
parco, avviene immancabilmente che dividonsi in due truppe sempre in
guerra fra loro. Pare che un istinto molto simile a questo faccia
sentire la sua influenza sugli uomini. Essi hanno infatti la
naturale inclinazione alla lotta, ma questa solo sporadicamente
assume il carattere individuale, di un solo cioè in guerra
contro un solo; perchè, anche lottando, l'uomo resta un
animale eminentemente sociale. Vediamo perciò abitualmente
gli uomini formarsi in nuclei, fra i quali vi sono capi e gregari; e
gl'individui, che ogni nucleo compongono, sono fra di loro
specialmente affratellati e concordi e sfogano gli istinti pugnaci
contro coloro che fanno parte degli altri nuclei.
Questo istinto di attrupparsi e di combattere contro gli altri
attruppamenti è la prima base ed il fondamento più
primitivo tanto delle lotte esterne, che accadono fra società
diverse, che delle fazioni, delle sette, dei partiti, ed in certo
modo anche dello varie chiese e di tutte le divisioni e suddivisioni
che sorgono in seno ad una stessa società e vi occasionano
lotte morali e qualche volta materiali. Esso, nelle società
molto piccole e primitive, nelle quali vi è molta
unità morale ed intellettuale ed ogni individuo ha gli stessi
costumi, le stesse credenze e le stesse superstizioni, può
bastare da solo a mantenere le abitudini discordi e bellicose. Gli
Arabi e i Kabili della Barberia, ad esempio, hanno tutti le stesse
credenze religiose, lo stesso grado e lo stesso tipo di cultura
intellettuale e morale, eppure, quando non combattevano contro
l'infedele in Algeria ed a Tunisi, contro i Turchi a Tripoli, e
contro il Sultano nel Marocco, erano sempre in lotta fra loro185.
Ogni confederazione di tribù era in rivalità od in
lotta aperta contro la confederazione vicina; nel seno della stessa
confederazione vi erano discordie e spesso si faceva parlare la
polvere fra le tribù che la componevano; dentro la
tribù vi erano inimicizie fra i vari douars, e spesso il
douar era diviso dalle contese fra le singole famiglie.
Altre volte, quando gli ambienti sociali sono piccoli, anche tra
minuscole frazioni di popoli abbastanza civili le lotte interne
possono nascere senza che siano giustificate da differenze morali ed
intellettuali delle parti nemiche, o, se pure queste differenze si
accampano, non sono che un puro pretesto. Cosi i nomi di Guelfi e
Ghibellini fornirono piuttosto la giustificazione e l'occasione
anzichè la causa alle lotte intestine dei nostri Comuni
medioevali; e lo stesso si può dire generalmente dei nomi di
liberale, clericale, radicale e socialista, che assumono oggi le
fazioni, che si contendono il potere amministrativo nei piccoli
Comuni dell'Italia meridionale. In momenti poi di eccezionale apatia
intellettuale, pretesti, anche frivolissimi, possono dare occasione
a lotte abbastanza importanti in seno a società molto grandi
e progredite. A Bisanzio, ad esempio, durante e dopo l'impero di
Giustiniano, i due partiti dei Verdi e dei Turchini o dei Prasini e
dei Veneti, che spesso insanguinarono con lotte molto cruenti le vie
della città, ebbero origine dal parteggiare che facevano gli
spettatori del circo per i cocchieri di differente colore186. Un
pallido ricordo di queste lotte si ebbe, prima del 1848, in qualche
città italiana, dove una parte della gioventù si
accalorava per la preminenza di qualche prima donna o prima
ballerina.
II. — Prima di procedere oltre apriamo una brevissima parentesi e
facciamo osservare che, tanto nelle società piccole che nelle
grandi, quando il bisogno di lottare trova il suo sfogo nelle gare e
nelle guerre esteriori, esso è in certo modo appagato ed
è men facile che si esplichi nelle discordie e nei certami
civili od interni. Ciò premesso, diremo come, guardando
attentamente alla natura dei partiti, delle sette, delle fazioni
politiche, filosofiche e religiose, che si manifestano in generale
in seno ai popoli civili, facilmente ci possiamo accorgere che in
esse all'istinto pugnace di attrupparsi e combattere, che è
il più primitivo e, se ci fosse lecita la parola, diremmo il
più animalesco, si mescolano altri coefficienti intellettuali
e psicologici più complessi e più umani. Nelle
società grandi e civili tenute insieme, oltre che dalla
affinità morale ed intellettuale anche da una forte e
complicata organizzazione politica, vi è la
possibilità di una libertà speculativa ed affettiva
molto maggiore che in quelle piccole e rozze. Perciò in un
gran popolo le lotte politiche e religiose sono anche determinate
dalla moltiplicità delle correnti d'idee, di credenze e di
affetti, che riescono ad affermarsi; dalla formazione di crogiuoli
intellettuali e morali diversi, entro i quali le convinzioni ed i
sentimenti dei singoli individui sono variamente elaborati.
Così noi vediamo il Buddismo svilupparsi in seno alla
società bramanica, il Profetismo e posteriormente le varie
scuole dei Saducei e degli Esseni e la setta degli Zelanti tenere
agitata la vita d'Israele, lo Stoicismo, il Manicheismo, il
Cristianesimo ed il culto mitriaco contendersi la supremazia del
mondo romano-ellenico, il Mazdeismo187 propagarsi nella Persia dei
Sassanidi, il Maomettismo nascere in Arabia e diffondersi
rapidamente in Asia, Africa ed Europa. Fenomeni perfettamente
analoghi, sebbene adattati all'indole più razionalista della
moderna civiltà europea, sono il liberalismo ed il
radicalismo del secolo decimonono, e meglio ancora la democrazia
sociale, che, nata quasi contemporaneamente al liberalismo, ha
mantenuto più a lungo la sua forza di propaganda e come
è stata uno dei fattori storici più importanti della
fine del secolo decimonono, continuerà ad esserlo nei primi
decenni del ventesimo. Accanto a queste che abbiamo nominato, nella
storia dei popoli civili sarebbe facile rintracciare moltissime
altre correnti minori, le quali, con più o meno fortunata
diffusione, hanno tutte raggiunto una certa importanza, ed hanno
tutte contribuito a dar pascolo agli istinti della disputa, della
lotta, del sacrificio e della persecuzione, che sono così
radicati nei cuori degli uomini.
Il modo come nascono tutte queste dottrine o correnti di idee, di
sentimenti, di convinzioni, ha sempre qualche cosa di costante, che
dà all'esordio di ognuna di esse alcuni caratteri comuni.
L'uomo, essere debole assai davanti le sue passioni ed anche davanti
quelle degli altri, egoista spesso più che necessità
il comporti, ordinariamente vano, invidioso, meschino, conserva
nella quasi totalità degli individui due grandi aspirazioni,
due sentimenti che lo nobilitano, lo elevano, lo purificano: cerca
la verità, ama la giustizia; e qualche volta è capace
di sacrificare a questi due sentimenti anche una parte più o
meno grande dell'appagamento delle sue passioni e dei suoi interessi
materiali. L'uomo civile, essere assai più complesso e
delicato del selvaggio e del barbaro, può, in qualche caso,
elevarsi fino ad una concezione assai raffinata dei sentimenti
accennati.
In certi momenti storici, in una data società un individuo
può sorgere, che acquisti la convinzione che egli ha qualche
cosa di nuovo a dire riguardo alla ricerca della verità, una
dottrina più elevata da insegnare per la migliore attuazione
della giustizia; quest'individuo è il piccolo seme, che
può, date alcune doti di carattere, il favore dell'ambiente e
molteplici circostanze accidentali, produrre la pianta che
stenderà i suoi rami in gran parte del mondo.
III. — La storia non sempre ci ha conservato i particolari
biografici di questi fondatori di religioni e di scuole
politico-sociali, che in fondo sono pur esse quasi religioni spoglie
dell'elemento teologico. Di alcuni però sappiamo abbastanza;
e ad esempio Maometto, Lutero, Calvino e sopratutto Rousseau,
possono essere con una relativa facilità analizzati.
La qualità fondamentale, che tutti debbono avere, è
una profonda convinzione della propria importanza o meglio
dell'efficacia dell'opera loro. Se credono in Dio si stimeranno
sempre destinati dall'Onnipotente a riformare la religione e la
umanità intiera. Indiscutibilmente poi non è in essi
che si potrà ricercare il perfetto equilibrio di tutte le
facoltà intellettuali e morali, ma neppure possono essere
considerati come pazzi; giacchè la follia è un male
che presuppone nell'individuo che ne è colpito uno stato
anteriore e normale di sanità. Vanno piuttosto classificati
fra coloro che ordinariamente sono chiamati originali o esaltati;
nel senso che attribuiscono a certi lati della vita o
dell'attività umana una importanza esagerata, e che tutto il
loro essere, tutto lo sforzo di cui sono capaci, giuocano sopra una
carta, cercando di raggiungere l'ideale della loro esistenza per una
via inusitata che dai più sarebbe ritenuta assurda. Ma
evidentemente chi ha il perfetto equilibrio di tutte le sue
facoltà, chi fa il conto esatto dei risultati da raggiungere
di fronte agli sforzi ed ai sacrifici che sono necessari per
ottenerli, chi giudica modestamente e sensatamente dell'importanza
del proprio individuo e dell'efficacia reale e duratura che la sua
azione, dato il corso ordinario degli eventi umani, può
esercitare nel mondo, chi calcola esattamente e freddamente le
probabilità prò e contro la riuscita, non
intraprenderà mai un'iniziativa originale e ardita e non
farà mai grandi cose. Se tutti gli uomini fossero normali ed
equilibrati, la storia del mondo sarebbe molto diversa, e, conviene
anche confessarlo, sarebbe molto monotona.
Qualità fondamentale del capo partito, del fondatore d'una
setta di una religione ed in generale, si può dire, di
qualunque pastore di popoli, che voglia far sentire la propria
personalità ed indirizzare una società secondo le sue
vedute, è il sapere infondere in altri le proprie convinzioni
e sopratutto i propri sentimenti, il riuscire a far sì che
molti vivano della sua vita intellettuale e morale e compiano dei
sacrifici per gli ideali, che egli ha concepito.
Questa facoltà comunicatrice dei sentimenti e delle passioni
proprie non è comune a tutti i riformatori; quelli che ne
mancano, anche che abbiano una forte originalità di pensiero
e di sentimento, riescono inefficaci nella vita pratica e spesso
finiscono coll'entrare nella categoria dei novatori senza seguito,
dei geni incompresi, i quali difficilmente possono evitare il
ridicolo.
Al contrario coloro che la posseggono non solo sanno inspirare agli
apostoli ed alle turbe i loro entusiasmi e persino suscitarne il
delirio, ma finiscono anche col far nascere una specie di
venerazione per la loro persona e col diventare l'oggetto di un vero
culto, per il quale ogni loro minimo atto acquista importanza, ogni
loro parola è senza discussione creduta, ogni loro cenno
ciecamente obbedito. Attorno ad essi si forma un ambiente di
esaltazione, che è sommamente contagioso e che è padre
di atti arditi e sacrifici, che certamente non sarebbero possibili
se gli uomini che ne sono gli autori fossero nel loro stato normale.
È così che si spiega il successo enorme di certe
predicazioni ed insegnamenti e la fortuna straordinaria che, ad
esempio, ebbero nel Medio Evo due tipi, così diversi in tante
altre cose ma così simili nell'arte di interessare gli
uomini, come furono San Francesco d'Assisi ed Abelardo. Così
si spiega come Maometto fosse tenuto in tale venerazione dai suoi
discepoli ed adepti, che conservavano quali reliquie i peli della
sua barba e (bisogna far la parte alla rozzezza dei tempi)
raccoglievano con venerazione i suoi sputi, e come bastasse una sua
insinuazione perchè i suoi più pericolosi avversari
fossero assassinati188. E così si spiega pure come, ad un
cenno di Mazzini, non siano mancate quasi mai persone disposte ad
assumere le imprese più arrischiate e perigliose, e come in
tutti i tentativi di comunismo pratico, che si sono fatti nel secolo
decimonono da Owen e da Fourier fino a David Lazzaretti, siansi
trovate sempre un certo numero di persone disposte a sacrificare la
loro sostanza.
Quando qualcheduno di questi fondatori o capi di scuole politiche o
religiose è anche uomo di guerra, come fu Giovanni Ziska,
riesce ad infondere nei suoi seguaci una sicurezza di vincere e
quindi un coraggio poco comuni.
Non si deve poi cercare in tutti i caratteri originali, che si fanno
iniziatori di un movimento d'idee e di sentimenti, un senso morale
assolutamente squisito che presieda uniformemente a tutti gli atti
della loro vita, perchè non sempre lo si troverebbe.
Preoccupati quasi esclusivamente di raggiungere il loro ideale, per
il conseguimento di questo scopo sono quasi sempre pronti a soffrire
essi ed a far soffrire anche gli altri. Generalmente anzi hanno un
alto disprezzo o almeno una gran trascuranza per tutto ciò
che si riferisce ai bisogni quotidiani ed agli interessi materiali
ed immediati della vita, e, anche che non lo dicano espressamente,
biasimano sempre in cuor loro la gente dedita a seminare, mietere e
conservare il raccolto, perchè pensano che, una volta
stabilito quello che essi credono il regno di Dio o della
verità e della giustizia, i bisogni degli uomini saranno cosi
facili ad essere appagati come quelli degli uccelli dell'aria o dei
pesci delle acque. Quando vivono in tempi razionalisti, ed
apparentemente più positivi, non tengono conto
dell'esaurimento della pubblica ricchezza che il solo tentativo di
attuare i loro ideali potrebbe produrre.
Su questo riguardo, del resto, conviene distinguere tre periodi
attraverso i quali la vita di ogni grande riformatore può
passare.
Il primo è quello durante il quale egli concepisce la sua
dottrina e questa si va elaborando nell'intimo della sua coscienza,
e, durante questo stadio, egli può conservarsi in perfetta
buona fede e potrà essere accusato di fanatismo, ma non
già di doppiezza e ciarlataneria; il secondo comincia quando
inizia la sua predicazione, ed allora la necessità di
impressionare gli altri lo spinge fatalmente a caricare alcune tinte
e quindi alla posa; il terzo periodo si ha quando è
così fortunato da poter tentare l'attuazione pratica dei suoi
insegnamenti.
Arrivato a quest'ultimo stadio e trovandosi necessariamente in
contatto diretto con tutte le imperfezioni e le debolezze della
natura umana, deve, se vuole riuscire, moralmente decadere.
Allora tutti i riformatori convengono nell'interno della loro
coscienza che il fine giustifica i mezzi, che non si possono guidare
gli uomini senza alcun poco ingannarli, e, di transazione in
transazione, si arriva al punto che riesce malagevole anche al
più acuto psicologo il distinguere dove finisca in essi la
sincera convinzione e dove cominci la messa in scena e la
furfanteria189. Certo è che svariatissimi elementi morali
possono coesistere nello stesso individuo, come ad esempio in
Enfantin, il secondo sommo pontefice del Sansimonismo190, ed in
Maometto, nel quale non si può negare l'aspirazione sincera
ed onesta verso una religione meno rozza e materiale di quella che
gli Arabi praticavano prima di lui, mentre è pure certo che
qualche volta i versetti del Corano, che l'Arcangelo Gabriele mano
mano gli comunicava, giungevano opportuni per liberarlo da impegni
presi e perfino per esentarlo dall'osservanza di certi freni morali,
che in versetti precedenti erano stati stabiliti191.
IV. — Accanto all'individuo, che primo concepisce una nuova
dottrina, vi è sempre un gruppo più o meno numeroso,
che riceve direttamente la parola dal maestro e che dei suoi
sentimenti è profondamente imbevuto192. Ogni Messia deve
avere i suoi apostoli, dappoichè l'uomo ha in quasi tutte le
manifestazioni della sua attività morale e materiale bisogno
della società; non c'è entusiasmo che non si spenga,
non ci è fede che non si scuota se restano in un prolungato
isolamento. La scuola, la chiesa, l'agape, la loggia, il convegno
abituale, comunque si chiami, di un gruppo di persone, che sentono e
pensano nello stesso modo, che hanno gli stessi entusiasmi, gli
stessi odi, gli stessi amori e comprendono ugualmente la vita,
fortifica, esalta e sviluppa i loro sentimenti e produce tale
un'assimilazione di questi nel carattere di ogni singolo individuo
da renderne la traccia indelebile.
È in questo gruppo dirigente che d'ordinario la inspirazione
primitiva del maestro viene sviluppata, raffinata, completata tanto
da diventare un vero sistema politico, religioso o filosofico scevro
da incongruenze e contraddizioni troppo apparenti. È dentro
di esso che si mantiene il fuoco sacro della propaganda anche dopo
che il primo autore della dottrina è scomparso; ed è a
questo nucleo, che si recluta da sè per coaptazione, che
l'avvenire della nuova dottrina è affidato. Giacchè
per quanto l'originalità di vedute, la forza dei sentimenti,
l'attitudine alla propaganda di un maestro siano grandi, tutte
queste qualità riescono inefficaci se, prima di materialmente
o moralmente morire, egli non ha fondato la scuola; mentre, al
contrario, quando il soffio che anima questa è energico e
potente, tutti i difetti e le imperfezioni, che posteriormente si
possono scorgere nell'opera del primo autore della dottrina, possono
essere mano mano corretti o dimenticati e la propaganda può
continuare attiva ed efficace.
Al di fuori del nucleo dirigente resta la folla dei proseliti, ma
questa, mentre numericamente forma l'elemento maggiore e dà e
fornisce alla Chiesa od al partito la forza materiale ed anche
economica, intellettualmente e moralmente è il fattore
più trascurabile di qualunque dottrina politica e religiosa.
Le masse, difficili ad essere conquistate da una dottrina nuova, non
l'abbandonano poi che con difficoltà193; e, quando ciò
avviene, la colpa è quasi sempre del nucleo dirigente;
giacche è quasi sempre in mezzo ad esso che prima s'insinuano
l'indifferentismo e lo scetticismo. La miglior maniera di far
credere è quella di essere profondamente convinto, l'arte di
appassionare consiste nell'essere fortemente appassionato. Quando il
sacerdote non sente la sua fede il popolo diventerà
indifferente ed abbraccerà un'altra dottrina che avrà
ministri più zelanti; se l'ufficiale non è imbevuto di
spirito militare, se non sarà pronto a dar la vita per il
decoro della propria bandiera, il soldato non si batterà; se
il settario non sarà infanatichito non potrà
trascinare le turbe alla ribellione.
Se si tratta di dottrine o credenze antiche, da un pezzo formate,
che si sono già tradizionalmente imposte, ed il cui campo
d'azione è omai fissato e circoscritto, è generalmente
la nascita che ascrive un individuo nelle file dei loro seguaci. In
Germania o negli Stati Uniti, ad esempio, quasi sempre si è
cattolici, protestanti od israeliti a seconda che si nasca in una
famiglia che professi una di queste religioni; in Spagna ed in
Italia chi ha ancora una religione è quasi sempre cattolico.
Se però in un paese vi sono diverse dottrine, ancora nello
stadio di formazione e di propaganda attiva, che si fanno
vicendevolmente la concorrenza, allora la scelta individuale, nelle
persone di media levatura, dipende da un cumulo di circostanze, in
parte accidentali, in parte frutto dell'abilità con cui la
propaganda di una data dottrina vien fatta. In Francia ed anche in
Italia il giovinetto può diventare conservatore o radicale
socialista a seconda delle idee del padre, del professore o del
compagno, che esercita più influenza sopra di lui nel momento
che i suoi principii cominciano a formarsi; un libro che capita
nelle sue mani, un giornale che si legge quotidianamente, in
un'età in cui i concetti generali non sono ancora precisati e
si ha principalmente bisogno di entusiasmarsi, amando ed odiando
qualche cosa e qualche uomo, possono determinare l'intiero indirizzo
di una vita. Giacchè, siccome le convinzioni politiche,
religiose o filosofiche sono in fondo per molti uomini una cosa
molto secondaria, specialmente dopo che è trascorsa la prima
gioventù ed è venuta l'età delle occupazioni
pratiche e degli affari, così un po' per indolenza, un po'
per abitudine, un po' per malinteso amor proprio e per la
così detta coerenza di carattere, si finisce spessissimo,
quando l'interesse fortemente nol contrasta, col conservare per
tutta la vita quelle dottrine, che si sono abbracciate in un momento
d'impeto fanciullesco, consacrando ad esse quel po' di energia e di
attività, che anche gli uomini comunemente detti positivi
sogliono riserbare per ciò che si reputa l'ideale.
Dal fatto però che la scelta individuale di una credenza o di
un colore politico può essere determinata dal caso non si
deve indurre che questo sia la causa principale che contribuisce
alla riuscita delle varie scuole o chiese. Vi sono invece dottrine
molto adatte al proselitismo, ed altre ve ne sono assai meno adatte.
Tre infatti sono i fattori dai quali quasi esclusivamente dipende la
larga diffusione di un insegnamento politico o religioso. Il primo
consiste nella sua adattabilità ad un dato momento storico.
Il secondo corrisponde alla sua attitudine a soddisfare un maggior
numero di passioni, di sentimenti e d'inclinazioni umane, di quelle
specialmente che sono più diffuse e radicate nelle masse. Il
terzo finalmente è costituito dalla buona organizzazione del
nucleo dirigente, formato di tutti gl'individui specialmente dediti
al mantenimento ed alla diffusione dello spirito, che informa una
data dottrina.
V. — Perchè una dottrina sia adatta ad un dato momento
storico di una data società, bisogna anzitutto che
corrisponda allo stato di maturità che lo spirito umano ha
raggiunto in quel momento ed in quella società. Una religione
monoteista trionferà facilmente quando gli intelletti saranno
abbastanza progrediti per comprendere come tutti i fenomeni naturali
si possano attribuire ad unica causa ed unica sia la forza che regge
l'universo. Il razionalismo potrà essere il fondamento di
altre dottrine, quando il libero esame ed i risultati delle scienze
naturali e storiche avranno infirmato il contenuto delle religioni
rivelate, e la concezione di un Dio, fatto ad immagine e somiglianza
dell'uomo, che interviene arbitrariamente negli eventi umani,
apparirà assurda alle classi dirigenti.
Nei secoli durante i quali il Cristianesimo si diffuse nell'impero
romano, ancora quasi tutti, pagani e cristiani, credevano nel
soprannaturale e nel miracolo; ma il soprannaturale pagano era
già divenuto troppo grossolano ed incoerente, mentre quello
cristiano, che, oltre a rispondere meglio ai bisogni dell'animo
umano, era più sistematico e meno fanciullesco, doveva
trionfare. Luciano, perfettamente scettico, che ride di tutti,
pagani e cristiani, nel secondo secolo dell'era volgare è
un'eccezione. Il pubblico colto di allora nella sua media
intelligenza era meglio rappresentato da Celso, che, deista e
credente nel soprannaturale e nei miracoli, pure attaccava col
ridicolo il Vecchio ed il Nuovo Testamento194. Ma, giacchè si
era posto in questa via tanto conveniente ad un razionalista, e che,
sedici secoli dopo, in circostanze diverse, dovea riuscire cosi bene
a Voltaire, avrebbe dovuto facilmente accorgersi come fosse molto
più facile provocare il ridicolo ed anche il disgusto sulle
turpi azioni e le puerili baruffe di cui davano spettacolo gli Dei
dell'Olimpo. Ed in verità riesce evidente che da parecchio
tempo il paganesimo classico non potea bastare più nè
al sentimento, nè all'intelletto degli uomini e, come bene
osserva il Renan195, il mondo romano ed ellenico se non fosse
divenuto cristiano si sarebbe convertito al culto di Mitra, o a
qualche altra religione asiatica più mistica del Paganesimo
classico e meno incoerente.
Similmente Rousseau apparve ed ebbe fortuna quando, prima
l'Umanesimo e la Riforma, poi i progressi delle scienze esatte e
naturali, infine Voltaire e l'Enciclopedia aveano sfatato tutto il
mondo cristiano e medioevale, sicchè poteva riuscire accetta
una nuova spiegazione razionale, se non ragionevole, delle
istituzioni politiche. Se noi esaminiamo la vita di Lutero e di
Maometto facilmente possiamo vedere che la Germania e l'Arabia
erano, quando essi apparvero, preparate ad accogliere le loro
dottrine.
Se teniamo presente che l'uomo, quando ha una certa cultura, e
soprattutto quando non è sotto la pressione assorbente dei
bisogni materiali, ha generalmente la tendenza ad interessarsi a
qualche cosa di superiore, che riguardi gl'interessi della
società alla quale appartiene e si elevi al di sopra delle
cure ordinarie della vita, facilmente ci possiamo accorgere che
è assai più facile che una nuova dottrina possa
attecchire colà dove questa tendenza non trova il suo pascolo
nell'organizzazione politica già esistente; dove
perciò gli entusiasmi, le ambizioni, il desiderio di lottare
e primeggiare più difficilmente riescono ad avere uno sfogo.
Certo, ad esempio, il Cristianesimo non si sarebbe rapidamente
diffuso quando Roma repubblicana potea offrire ai suoi cittadini le
emozioni delle lotte elettorali o quando essa faceva il suo
terribile duello con Cartagine; sicchè fu la pace dell'impero
che, attutendo le guerre fra le nazioni, riserbando tutte le
pubbliche funzioni ai soli impiegati, preparando un lungo periodo di
sicurezza e di ozio politico, rese alla nuova religione il miglior
servizio possibile. Similmente la consolidazione dello stato
burocratico, che avvenne nel secolo passato, la fine delle guerre
religiose, la formazione di una classe colta ed agiata che era
esclusa dalle funzioni politiche, fornirono il sostrato che rese
possibile prima il movimento liberale e poi quello radicale
socialista.
Conviene anche ammettere che una nazione si può trovare,
diremo così, psicologicamente esaurita o riposata. E lo
stesso concetto che, forse con meno proprietà di parola, si
esprime quando si dice che un popolo è vecchio o giovane.
Quando una società da parecchi secoli non ha subito
rivoluzioni o gravi rivolgimenti politici e si prepara ad uscire da
questo suo lungo torpore, riesce più facile di convincerla
che il trionfo di una nuova dottrina, l'inizio di una nuova forma di
governo debbano segnare il principio di un'era nuova,
dell'età dell'oro o del regno della cuccagna, coll'avvento
del quale tutti gli uomini debbono diventare buoni e felici196.
Al contrario è naturale che, dopo una serie di rivolgimenti,
l'entusiasmo e la fede che inspirano i novatori e le novità
politiche, diminuiscano di molto e che un certo senso di scetticismo
e di stanchezza si diffonda nelle masse. Però questo
esaurimento della facoltà di credere e di entusiasmarsi si
produce assai più difficilmente di quanto a prima vista possa
sembrare. Non solo infatti sfuggono in gran parte alla influenza
deleteria della disillusione tutte le dottrine religiose, che si
fondano sul soprannaturale, sulla soluzione del problema che
riguarda la causa prima dell'universo e che rimandano ad un'altra
vita l'attuazione di un ideale di felicità e di giustizia; ma
anche quelle apparentemente più positive, che dovrebbero dare
i loro frutti in questa vita, resistono assai bene alle smentite che
dà loro l'esperienza quotidiana dei fatti. In fondo le
illusioni durano perchè, per la quasi totalità degli
uomini, l'illudersi è un bisogno meno materiale, ma non meno
sentito di tanti altri; perciò un sistema di illusioni non si
sfata facilmente finchè non lo si sostituisca con un sistema
nuovo. Alle volte, quando ciò non è possibile, neppure
una serie di sofferenze, delle prove terribili, frutto di più
terribili esperienze, bastano a far ricredere un popolo; o meglio
l'accasciamento, più che la delusione, dura finchè
vive la generazione, che è stata personalmente desolata e
decimata; ma poi, appena le energie sociali si rinfrancano alquanto,
se l'indirizzo delle idee e l'educazione dei sentimenti non mutano,
le stesse illusioni produrranno nuove lotte e nuove sventure197.
VI. — L'attitudine di una dottrina a soddisfare i bisogni dell'anima
umana, oltrechè dalle necessità di tempo e di luogo
alle quali abbiamo già accennato, dipende anche da condizioni
permanenti, da vere leggi psicologiche, che è necessario
siano da essa osservate. Anzi è questo il secondo ed
importantissimo fattore del successo delle nuove dottrine politiche
e religiose del quale veniamo ora a parlare.
Come regola generale un sistema d'idee, di credenze, di affetti per
essere accolto da grandi masse umane, deve rispondere da una parte
ai sentimenti più elevati dell'animo, deve perciò
promettere il regno della giustizia e dell'uguaglianza in questo
mondo o nell'altro, e proclamare che i buoni saranno premiati, i
malvagi puniti. Ma nello stesso tempo non sarà male se
darà un po' di soddisfazione all'invidia ed a quel rancore,
che generalmente si ha contro i forti ed i fortunati, e sarà
molto opportuna l'affermazione che, in questa vita o nell'altra,
verrà un momento in cui gli ultimi saranno i primi ed i primi
saranno gli ultimi. Gioverà molto se qualche lato della
dottrina che si vuole propagare potrà offrire un rifugio agli
animi dolci e buoni, che dalle lotte e dalle delusioni della vita
cercano un conforto nel raccoglimento e nella rassegnazione;
sarà pure utile ed anzi indispensabile che essa abbia modo di
usufruire e di indirizzare lo spirito di abnegazione e di
sacrificio, che in alcuni individui è preponderante, ma la
dottrina stessa deve lasciare anche una qualche base all'orgoglio ed
alla vanità.
Sicchè i credenti devono essere sempre il popolo o la classe
degli eletti o almeno devono rappresentare l'avanguardia del vero
progresso. Il Cristiano quindi deve poter pensare con soddisfazione
che, al di fuori della propria fede, tutti saranno dannati; il
Bramino deve poter rallegrarsi che egli solo discende dalla testa di
Brama ed ha l'altissimo onore di leggere i libri sacri; il Buddista
deve apprezzare altamente il privilegio di raggiungere più
presto il Nirvana, il Maomettano deve con soddisfazione rammentare
che egli solo è il vero credente e che tutti gli altri sono
cani infedeli in questa vita e dannati nell'altra, il radicale
socialista infine deve esser convinto che sono putridi ed egoisti
borghesi o pecoroni ignoranti e servili coloro che non pensano come
lui. Così si provvede al bisogno di stimare se stesso ed il
proprio culto o le proprie convinzioni e nello stesso tempo a quello
di disprezzare ed odiare gli altri.
Dall'odio alla lotta non vi è che un passo, e difatti non vi
è setta politica o credenza religiosa che non l'ammetta,
cruenta od incruenta secondo i casi, contro coloro che non accettano
i suoi dogmi. Se la scansa assolutamente e predica in tutti i casi
mansuetudine e sottomissione è segno che si sente del tutto
debole e che troppo rischierebbe ad intraprenderla. Nella lotta poi
trovano pascolo tutti gli appetiti meno nobili ma non meno diffusi
del cuore umano: l'amore del lusso, la libidine di sangue e di
donne, l'ambizione di comandare e prepotere.
Certo non si può fare una ricetta con i quantitativi che
esige la soddisfazione di ogni sentimento umano per la fondazione di
una duratura setta politica o dottrina religiosa, ma si può
affermare con sicurezza che a raggiungere questo scopo è
necessaria l'alleanza di una certa quantità di sentimenti
elevati e di passioni basse, di metallo prezioso e di metallo vile;
altrimenti la lega non riesce resistente. Ogni dottrina che non
tiene abbastanza conto delle qualità diverse e
contraddittorie delle masse umane, ha poca forza di propaganda e, se
si vuole diffondere, deve essere nella pratica modificata. Anzi la
mescolanza del bene e del male è così ingenita nella
natura umana, che un po' di metallo fino deve esistere anche nella
lega di cui sono impastate le associazioni di malfattori e le sette
misteriose ed assassine, ed un po' di metallo basso deve entrare
anche in quel complesso di sentimenti, che inspira le
comunità degli asceti, che fanno completo sacrificio di se
stessi, ed i gruppi degli eroi. La soverchia scarsezza dei due
elementi ha sempre però lo stesso risultato di impedire la
larga diffusione della dottrina o della disciplina speciale, che un
dato instituto impone ai suoi membri.
Infatti è accaduto ed accade che si formi una setta
brigantesca, che predichi il furto, l'omicidio e la distruzione; ma,
anche in questo caso, noi vediamo che la perpetrazione di questi
fatti è colorita con qualche speciosa dottrina politica o
religiosa, che serve ad attirare nel sodalizio qualche illuso non
del tutto spregevole, il quale col suo briciolo di
rispettabilità rende più tollerabile agli altri la
loro turpitudine e introduce nel sodalizio quel tanto di senso
morale, che è indispensabile perchè le bricconate
riescano198. Esempio di società di questo genere abbiamo
negli Assassini, che nel Medio Evo funestarono la Siria e
l'Irak-Arabi, nei Thugs o strangolatori dell'India, negli anarchici
militanti d'Europa e d'America e forse anche in qualche
società secreta della China199.
Vediamo pure d'altra parte, che associazioni di uomini si sono
costituite nelle quali si è stabilito di rinunciare ad ogni
vanità e ad ogni godimento di questo mondo e si è
accettato il sacrificio completo della propria personalità in
prò del sodalizio o della umanità intera. I conventi
dei bonzi e gli ordini religiosi del cattolicesimo sono esempi
abbastanza noti di istituti di questa specie. E nondimeno, sebbene
essi siano in generale reclutati fra gl'individui i quali, o per
circostanze speciali della vita o per naturale vocazione al
sacrificio ed alla rassegnazione, sono più adatti al loro
speciale ufficio, pure non si può dire che siano del tutto
esenti dalle passioni mondane; giacchè il desiderio di
riscuotere l'ammirazione dei devoti, la voglia che hanno molti
individui di primeggiare nell'ordine e quella, forse ancora
più forte, che l'ordine primeggi sopra i sodalizi rivali,
sono molle potentissime, che contribuiscono alla durata di simili
associazioni ed alla loro prosperità.
Ma nell'uno e nell'altro caso, oltre che un briciolo di bene si
è trovato sempre mescolato al male e che un briciolo di male
ha sempre intossicato il bene, siamo di fronte costantemente a
sodalizi non troppo grandi, e che sopratutto non hanno mai compreso
tutti i membri di una grande società umana. Malgrado tutte le
speciose giustificazioni del delitto, che si sono escogitate, le
sette assassine e ladre non sono state finora che delle vere
malattie sociali, che sono riuscite per qualche tempo a terrorizzare
ed anche ad influenzare vaste contrade, ma non hanno mai convertito
un gran popolo ai loro principii. Anche il convento è stato
sempre un'eccezione e, dove la vita monacale si è estesa ed
è diventata un mestiere abituale di una parte notevole della
popolazione, essa ha rapidamente tralignato. Le Chiese ebionite, che
nei primi tempi del Cristianesimo esigevano che ogni fedele mettesse
in comune i propri guadagni e volevano estendere il tipo monacale
all'intera società cristiana, vissero sempre vita stentata e
presto dovettero scomparire. Giacchè se tesori di abnegazione
si possono ottenere da un piccolo numero d'individui scelti ed
educati con acconcia disciplina, lo stesso non è possibile
quando si abbia da fare con un'intiera massa umana, nella quale
necessariamente il bene è mescolato al male ed i bisogni e le
passioni di ogni genere si fanno sentire. È perciò che
qualunque esperimento di palingenesi sociale per provare qualche
cosa dovrebbe essere applicato ad un popolo intero; dato che se ne
trovi uno che si presti ad un simile studio.
VII. — È per queste ragioni che una religione la cui morale
è troppo elevata produce tutto al più quei buoni
risultati, certo non disprezzabili, che spesso si ottengono quando
gli uomini si sforzano di raggiungere un ideale di bene, che
è al di sopra delle loro forze l'attuare, ma nella pratica
deve finire sempre coll'essere poco scrupolosamente osservata.
L'urto continuo fra la credenza religiosa e le necessità
umane, fra ciò che si riconosce santo e conforme alla legge
divina e ciò che si fa, costituisce la eterna contradizione,
la inevitabile ipocrisia della vita di molti popoli e non soltanto
dei popoli cristiani. Poco prima che il Cristianesimo diventasse,
mercè Costantino, la religione ufficiale dell'impero romano,
il buon Lattanzio esclamava: "Se il vero Dio soltanto fosse onorato
(cioè se tutti si fossero convertiti al Cristianesimo), non
vi sarebbero più dissensioni nè guerre. Gli uomini
sarebbero tutti uniti con i legami di una carità
indissolubile, perchè essi si riguarderebbero tutti come
fratelli. Nessuno macchinerebbe più agguati per disfarsi del
suo vicino, ciascuno si contenterebbe di poco e non vi sarebbero
più frodi e latrocinii. Come diventerebbe fortunata la
condizione degli uomini, che età dell'oro comincierebbe per
il mondo!"200. Doveva essere questa infatti l'opinione di un
cristiano, convinto che ogni credente dovesse porre interamente in
pratica i precetti e lo spirito della sua religione e che reputava
possibile che questi fossero osservati da un'intiera società,
come lo erano da quelle anime elette che, col sacrificio della loro
vita, non rinnegavano la fede davanti le persecuzioni di
Diocleziano. Se Lattanzio fosse vissuto solo cinquant'anni
più tardi, forse si sarebbe accorto come nessuna religione
basti ad elevare sensibilmente e rapidamente il livello morale di
tutto un popolo; se fosse rinato nel Medio Evo avrebbe potuto
accertarsi come, adattandosi sempre più alle mutevoli
condizioni storiche ed alle esigenze perenni dell'animo umano, la
stessa religione, che aveva dato il martire e che dava il
missionario, era buona a produrre pure il crociato e l'inquisitore.
I Maomettani, in generale, osservano il Corano assai più
scrupolosamente di come i Cristiani obbediscono al Vangelo. Ma
ciò non proviene soltanto dalla loro fede più cieca,
che è un effetto della loro maggiore ignoranza scientifica,
ma anche dal fatto che le prescrizioni di Maometto sono moralmente
meno elevate, e quindi umanamente più realizzabili di quelle
di Cristo. Coloro che praticano l'Islam si astengono, in generale,
molto severamente dal vino e dalla carne di maiale, ma un individuo,
che non ne abbia mai gustato, non risente un disagio apprezzabile se
è privo di questi alimenti201. L'adulterio è anche fra
i seguaci dell'Islam assai più raro che fra i Cristiani, ma
il divorzio è fra i primi molto più facile e Maometto
permette di prendere diverse mogli, nè proibisce di praticare
le schiave. È raccomandato assai ai credenti nell'Islam di
fare l'elemosina ai compagni di fede e di essere con essi larghi di
ogni sorta di aiuti, ma è anche loro inculcato di far la
guerra agli infedeli, ed è anzi riputata opera meritoria lo
sterminarli in guerra ed il sottoporli a tributo in pace. In fondo
nel Corano si trovano perciò prescrizioni per tutti i gusti
e, restando fedeli alla sua lettera ed al suo spirito, si può
andare in paradiso per parecchie strade maestre. Non è da
dimenticare che qualche credenza islamitica, la quale urta uno degli
istinti più forti e radicati nella natura umana, è
quella appunto che meno facilmente riesce ad influenzare la condotta
dei Musulmani. Maometto infatti promette il paradiso a tutti coloro
che soccombono nella guerra santa. Ora se ogni credente conformasse
la sua condotta a quanto assicura il Corano, ogni volta che un
esercito maomettano si trova di fronte ai miscredenti dovrebbe
vincere o perire fino all'ultimo uomo. Non si può negare che
un certo numero di individui si comporti conforme al detto del
Profeta, ma la maggioranza preferisce per ordinario la sconfitta
alla morte, benchè accompagnata dall'eterna beatitudine.
I Buddisti sono, in generale, osservantissimi dei precetti esteriori
della loro religione, però nel metterne in pratica lo spirito
e le prescrizioni sanno, come i Cristiani, togliersi di imbarazzo
facendo col cielo opportuni accomodamenti. Penultimo re di Birmania
fu il saggio ed accorto Meudoume-Men: oltre a governare bene i suoi
sudditi, egli era molto appassionato per le discussioni religiose e
filosofiche, nè mancava mai di far venire alla sua presenza
tutti gli Inglesi e gli altri Europei di distinzione, che passavano
per Mandalay capitale dei suoi Stati. Discorrendo con costoro si
sforzava sempre di sostenere la superiorità della morale
buddista su quella delle altre religioni, e non mancava mai di
richiamare l'attenzione dei suoi interlocutori sul fatto che la
condotta dei Cristiani non rispondeva ordinariamente ai precetti
della loro religione; e certamente non dovea stentare molto a
dimostrare che la maniera come gl'Inglesi avevano tolto al suo
predecessore una parte dei suoi Stati non era in nulla conforme al
Vangelo. Egli dal canto suo, essendo stato educato in un monastero
di bonzi, era rigido osservatore delle prescrizioni buddistiche;
alla sua corte non era affatto permesso di macellare alcun animale,
e gli Europei che lungamente vi soggiornavano, ai quali la dieta
esclusivamente vegetale riusciva ostica, erano costretti a cercarvi
di nascosto un supplemento nei boschi, dove andavano in traccia
d'uova d'uccelli. Non avrebbe poi dato giammai, e per nessuna
ragione al mondo, l'ordine di una esecuzione capitale. Infatti,
quando la presenza di qualcuno lo incomodava troppo, l'arguto
monarca si limitava a domandare replicatamente al suo primo
ministro: il tale è ancora in questo mondo? E, quando il
primo ministro rispondeva finalmente di no, Meudoume-Men sorrideva
placidamente. Egli non aveva offeso i precetti della sua religione,
ma non per questo aveva ottenuto meno il suo scopo, cioè, che
un'anima umana avesse anticipato il cominciamento di quella serie di
trasmigrazioni, che la devono condurre alla fusione nell'anima
universale preconizzata dalle credenze buddistiche202.
Una dottrina essenzialmente virile che ben poco, anzi quasi nulla,
concedeva alle passioni, alle debolezze ed anche ai sentimenti umani
fu quella stoica203. Ma appunto per questo lo stoicismo
limitò la sua influenza ad una frazione della classe colta, e
le masse restarono completamente estranee alla sua propaganda. La
scuola stoica potè quindi in una data epoca contribuire alla
formazione del carattere di una parte della classe dirigente
dell'impero romano e ad essa senza dubbio si deve una serie di buoni
imperatori; ma dal momento che i suoi adepti non sedettero
più sui gradini di un trono restò completamente
inefficace. Impotente a trasformarsi, perchè la parte
intellettuale e strettamente filosofica aveva in essa quasi
totalmente assorbito quella dommatica ed affettiva, non potè
contendere l'impero del mondo romano al Cristianesimo, come non
sarebbe riuscita a contenderlo al Mosaismo, all'Islam ed al
Buddismo.
Certo non si può affermare che sia indifferente per un popolo
l'abbracciare una qualsiasi religione o dottrina politica. Anzi
difficilmente si potrà sostenere che gli effetti pratici del
Cristianesimo siano uguali a quelli del Maomettismo o della
democrazia sociale. È quindi indiscutibile che una credenza
alla lunga può determinare una certa piega nei sentimenti
umani le cui conseguenze possono essere grandissime. Ma ciò
che ci pare ugualmente indiscutibile è che nessuna credenza
riuscirà a render l'uomo sostanzialmente diverso da quello
che è; e, per parlare un linguaggio compreso da chiunque,
oltre che dagli adepti delle scienze sociali, nessuna lo
renderà del tutto buono o del tutto cattivo, completamente
altruista od assolutamente egoista. Un adattamento a quella
mediocrità morale ed affettiva, che risponde alla media
dell'umanità, è in tutte indispensabile. Coloro che
questa verità non vogliono riconoscere ci pare che agevolino
il compito a quegli altri che, dalla inefficacia relativa dei
sentimenti religiosi e delle dottrine politiche, traggono argomento
per proclamarne l'inefficacia assoluta204.
VIII. — Resta a parlare dell'organizzazione del nucleo dirigente e
dei mezzi che esso usa per convertire le masse, o mantenerle fedeli
ad una data credenza o dottrina. Come il lettore rammenterà,
è questo il terzo dei fattori dai quali dipende la riuscita e
la durata di qualunque sistema religioso o politico.
Come abbiamo già visto, la prima formazione del nucleo
dirigente di una nuova dottrina politica o religiosa avviene per
coaptazione spontanea; in seguito la sua organizzazione è
basata principalmente su quel fenomeno dello spirito umano, al quale
abbiamo pure accennato, che chiameremo mimetismo e consiste nella
tendenza che hanno le passioni, i sentimenti e le credenze di un
individuo a svilupparsi secondo la corrente, che prevale
nell'ambiente in cui egli moralmente si forma e viene educato.
È un fatto perfettamente naturale che, in un popolo
arrivato ad un certo grado di cultura, un certo numero di giovani
abbia la facoltà di entusiasmarsi per ciò che crede
vero e morale, per quelle idee, in apparenza almeno, generose ed
elevate, che riguardano il destino della nazione e
dell'umanità. Questi sentimenti e lo spirito di abnegazione e
di sacrificio, che ne è la conseguenza, possono restare allo
stato puramente potenziale ed atrofizzarsi od avere uno splendido
sviluppo a seconda che siano o no coltivati; e possono dare frutti
diversissimi secondo la maniera diversa come sono coltivati.
Nel figlio di un mercante a minuto, che non ha altro contatto che
cogli avventori ed i commessi della bottega paterna, è
probabile che non abbiano mai occasione di affermarsi o
manifestarsi; a meno che non si tratti di uno di quegli individui
superiori e rarissimi, che riescono a formarsi da sè; mentre
un giovane allevato fin dai primi anni religiosamente ed educato in
seguito in un seminario cattolico potrà diventare un
missionario, che tutta la sua vita consacrerà al trionfo
della fede. Un altro, nato in una famiglia blasonata, educato in un
collegio militare, e che poi entrerà come sottotenente in un
reggimento, dove troverà compagni e superiori imbevuti delle
stesse convinzioni, crederà suo dovere primo ed esclusivo
d'obbedire per tutta la vita agli ordini del Sovrano ed
all'occorrenza farsi ammazzare per lui. Un altro infine, venuto su
fra antichi congiuratori e rivoluzionari, che da bambino avrà
provato entusiasmi e fremiti al racconto di persecuzioni politiche e
di episodi delle barricate, la cui cultura intellettuale si
sarà formata sugli scritti di Rousseau, di Mazzini o di Marx,
crederà santo il lottare sempre contro l'oppressione dei
Governi costituiti e per la rivoluzione affronterà il carcere
ed il patibolo. Tutto ciò accade perchè, una volta
formato l'ambiente cattolico-ecclesiastico, il burocratico-militare,
il rivoluzionario, un individuo, un giovane specialmente, che non
sia assolutamente d'intelletto superiore o di animo del tutto
volgare, presto entro quell'ambiente darà alle sue
facoltà affettive quella direzione che da esso gli viene
indicata; sicchè, a seconda dei casi, si svilupperanno
nell'alunno certi sentimenti anzichè altri, lo spirito di
ribellione e di lotta, ad esempio, a preferenza di quello di
obbedienza passiva e di sacrificio. L'educazione (i Francesi
direbbero il dressage) riesce, l'abbiamo già accennato, sui
giovani a preferenza che sugli adulti, sui caratteri entusiasti e
passionati, anzichè su quelli freddi, ponderati e
calcolatori, sui docili anzichè sui ribelli; tranne nel caso
che la dottrina si trovi in un periodo, o sia per la sua essenza
tale, che riesca utile di coltivare e sviluppare l'istinto della
ribellione.
Una condizione sopra tutte è opportuna e quasi indispensabile
perchè si raggiunga lo scopo, che abbiamo accennato,
dell'assimilazione cioè degli individui all'ambiente: che
quest'ambiente sia chiuso a tutte le influenze esteriori, che nessun
sentimento e sopratutto nessuna idea al di fuori di quelle che
portano la marca della fabbrica vi penetri. Nel seminario non deve
entrare nessun libro posto all'indice, la filosofia si deve
riassumere in S. Tommaso d'Aquino, la cultura deve esservi
essenzialmente teologica e patristica, i racconti che desteranno
l'interesse e serviranno di pascolo alla curiosità dei
giovani saranno tolti dalla storia dei martiri e confessori. Nel
collegio militare si narreranno le gesta dei grandi capitani, le
glorie del proprio esercito e della propria dinastia, l'educazione e
l'istruzione saranno quelle strettamente necessarie per far
conoscere il mestiere delle armi ed apprezzare altamente l'onore di
essere ufficiale, gentiluomo e servire fedelmente il Re e la patria.
Nella conventicola rivoluzionaria non si parlerà che delle
vittorie e delle glorie del popolo impeccabile, delle nefandezze dei
tiranni e dei loro satelliti, della cupidità e viltà
dei borghesi e sarà proscritto qualunque libro che non sia
redatto secondo lo spirito e le vedute dei maestri. Ogni barlume di
equanimità, ogni raggio che porti la luce di altri mondi
morali ed intellettuali, il quale penetri in uno di questi ambienti
chiusi, vi produce dubbi, titubanze, diserzioni. La storia vera,
sincera, obiettiva dei fatti, quella che insegna a conoscere ed a
valutare gli uomini indipendentemente dalla loro casta, religione o
partito politico, che solo tien conto delle loro debolezze e delle
loro virtù, che educa e forma il senso dell'osservazione e
del reale, deve esservi assolutamente interdetta.
In fondo non si tratta dunque che di un vero squilibrio dello
spirito, che ogni ambiente procaccia alla recluta che entro il suo
seno viene attirata, alla quale si offre della vita un'immagine
parziale, accuratamente riveduta, circoscritta e corretta, che il
neofita prende per quella intiera e reale. Si esagerano certi
sentimenti, si comprimono certi altri, si dà del giusto,
dell'onesto, del dovere una idea, se non fondamentalmente errata,
certo del tutto incompleta205. Però bisogna anche riconoscere
che le persone perfettamente equilibrate, che conoscono ed
apprezzano tutti i doveri e ad ognuno di essi annettono la giusta
importanza, è difficile assai che consacrino tutta la loro
vita e la loro energia ad uno scopo particolare e determinato. E la
forza di una esagerazione e, se così si vuole, di una
illusione collettiva quella che produce i grandi fatti storici e fa
muovere il mondo. Se un Cristiano ammettesse che anche senza
battesimo si può essere ugualmente onesto e che fosse
possibile salvarsi l'anima rinnegando la propria fede, si sarebbe
spento l'ardore dei missionari e dei martiri ed il Cristianesimo non
sarebbe divenuto uno dei grandi fattori della storia umana. Se molti
tra i fautori di una rivoluzione fossero ben persuasi che l'indomani
della vittoria lo stato della società non potrebbe essere
gran fatto migliorato, e se dubitassero che vi è anche il
rischio di peggiorarlo, sarebbe difficilissimo trascinarli sulle
barricate. Le nazioni infatti in cui lo spirito critico abbonda e
che sono (in fondo giustamente) scettiche sugli effetti pratici che
possono avere dottrine nuove, non si fanno mai iniziatrici di grandi
movimenti sociali e finiscono coll'essere trascinate a rimorchio
dalle altre più facilmente entusiasmabili; ed, a guardar
bene, lo stesso accade fra gl'individui di uno stesso popolo, entro
il quale i più riflessivi finiscono spessissimo coll'esser
trascinati dai più impulsivi. Dappoichè non sempre
accade che i pazzi siano trattenuti dai savi, spesso anzi i primi
costringono gli altri a tener loro compagnia.
IX. — Ma una volta passato il periodo eroico di ogni istituzione,
quello della prima propaganda, allora la riflessione e gl'interessi
presto reclamano i loro diritti. L'entusiasmo, lo spirito di
sacrificio, la unilateralità di vedute, bastano a fondare
religioni e partiti politici, ma non sono sufficienti a diffonderli
molto ed a durevolmente conservarli. Allora il reclutamento del
nucleo dirigente si modifica o meglio si completa; poichè
accade sempre che fra gl'individui che lo compongono si entri per
considerazioni puramente idealiste, ma l'età nella quale
l'idealismo è tutto passa presto nella gran maggioranza degli
individui umani, e bisogna trovare anche qualche cosa che soddisfi
l'ambizione, la vanità, la sete di godimenti materiali. In
una parola, insieme ad un centro d'idee e di sentimenti, bisogna
creare un centro d'interessi.
E qui riappare e ritroviamo di nuovo la teoria della lega del
metallo puro col metallo vile, che abbiamo precedentemente
enunciata. In un nucleo dirigente veramente bene organizzato tutti i
caratteri devono trovare il loro posto: chi vuol sacrificarsi agli
altri e chi vuole sfruttare il prossimo a favor suo, chi vuol
sembrare potente e chi vuole esserlo effettivamente senza curarsi
delle apparenze, chi ama soffrire le privazioni e chi vuol godere i
piaceri della vita. Tutti questi elementi fusi e disciplinati sotto
un regime forte ed autoritario, entro il quale ogni individuo sa
che, finchè resterà fedele allo scopo ed all'indirizzo
dell'istituzione, le sue tendenze saranno appagate, e, se ad essa si
ribella, potrà essere moralmente ed anche materialmente
distrutto, formano quegli organismi sociali, che sfidano le
più svariate vicende storiche e durano per decine di secoli.
E la mente ricorre spontanea alla Chiesa cattolica, che di tutti
questi organismi è stato ed è il più saldo ed
il più tipico, e non si può non restare ammirati di
fronte alla complessità ed alla sapienza del suo ordinamento.
Il seminarista, il novizio, la sorella di carità, il
missionario, il predicatore, il frate mendicante, l'opulento abate
ed il convento aristocratico, il curato di campagna, il ricco
arcivescovo, qualche volta anche principe sovrano, il cardinale che
prende il passo sui primi ministri, il Papa, fino a qualche secolo
fa uno dei più potenti sovrani temporali, tutti in essa hanno
il loro posto e la loro ragione d'essere. Il Macaulay ha fatto
rilevare un grande vantaggio, che ha il Cattolicesimo sul
Protestantesimo e che sarebbe il seguente: quando in seno al secondo
nasce uno spirito entusiasta e squilibrato finisce sempre col
trovare una nuova spiegazione della Bibbia e col fondare quindi
un'altra delle tante sette in cui si divide la Riforma; mentre lo
stesso individuo dal Cattolicesimo sarebbe stato perfettamente
utilizzato e sarebbe divenuto un elemento di forza anzichè di
disgregazione. Avrebbe infatti vestito un saio di frate, sarebbe
divenuto un famoso predicatore e, nel caso che fosse stato un
carattere veramente originale, un cuore davvero caldo, e che i tempi
avessero aiutato, se ne sarebbe potuto fare anche un San Francesco
d'Assisi od un Sant'Ignazio di Loyola. Ora questo esempio, pur
così calzante, ci svela solo uno dei tanti modi con cui la
gerarchia cattolica sa mettere a profitto tutte le attitudini umane.
Si dice che il celibato degli ecclesiastici sia contro natura, e
veramente per un certo numero di uomini è sacrificio
grandissimo il restar privi di una famiglia legale; ma d'altra parte
bisogna riflettere che a questo prezzo soltanto si può avere
una milizia scevra di affetti privati ed isolata dal resto della
società; e per i caratteri che ad esso sono proclivi, il
celibato stesso non esclude certe soddisfazioni materiali. Credono
anche molti che la Chiesa sia tralignata e che abbia perduto forza
ed influenza perchè si è allontanata dalle sue origini
e non è stata più unicamente l'ancella dei poveri. Ma
anche questo è un modo di vedere superficiale e quindi
erroneo.
Forse alla fine del secolo decimonono o al principiare del
ventesimo, quando tutti parlano e s'interessano, o mostrano
d'interessarsi, delle classi diseredate, può convenire anche
al Sommo Pontefice di rammentarsi un poco di più che Egli
è il servo dei servi di Dio. Ma, tolte certe epoche
transitorie, la Chiesa cattolica non sarebbe divenuta quella che
è stata, nè sarebbe durata tanto tempo in auge, se si
fosse conservata sempre una istituzione a puro beneficio dei miseri
e popolare soltanto fra gli straccioni. Essa al contrario
accortamente ha trovato il modo di farsi apprezzare tanto dal povero
che dal ricco: al primo ha offerto elemosine e consolazioni, il
secondo ha conquistato colla magnificenza e colle soddisfazioni, che
ha saputo procacciare alla sua vanità ed al suo amor proprio.
E tanto quest'indirizzo è stato bene scelto, che tutti i
nemici della Chiesa, mentre da una parte le hanno rimproverato il
suo lusso e la sua mondanità, d'altra parte, se sono stati
accorti, hanno avuto sempre cura di toglierle, per quanto è
stato possibile, influenza e ricchezze; ed un'altra istituzione, che
ora in parecchi paesi a combatter la Chiesa cattolica si è
tutta consacrata, dal canto suo non manca di procacciare, per quanto
può, soddisfazioni personali e vantaggi materiali ai suoi
aderenti.
X. — Organizzato il nucleo dirigente, i sistemi da esso adoperati
per conquistare le masse e mantenerle fedeli alla dottrina possono
essere vari. Quando non s'incontrano forti ostacoli esteriori o
nella natura stessa di un sistema politico o religioso, possono dare
buoni risultati tanto i metodi di propaganda fondati sulla
persuasione e l'educazione graduale delle turbe, quanto gli altri
che ricorrono alla violenza. La violenza è anzi forse il modo
più spiccio di far prevalere convinzioni ed idee, ma
naturalmente per usarla è ovvio che bisogna essere i
più forti.
Nel secolo decimonono si è molto diffusa la persuasione che
la forza e la persecuzione non valgano a combattere le dottrine
fondate sulla verità, alle quali è riserbato
l'avvenire, e che sono del pari inutili contro quelle sbagliate,
delle quali la ragione popolare fa giustizia da sè. Or, ci si
conceda di esser sinceri, è difficile trovare un concetto
più erroneo, perchè fondato sopra una maggiore
superficialità di osservazioni e sopra una maggiore
inesperienza dei fatti storici, di questo che abbiamo ora esposto:
esso ci pare uno di quelli che faranno più ridere i posteri
alle nostre spalle. Che un simile modo di vedere sia predicato da
tutti i partiti e da tutte le sette, che non hanno ancora nelle mani
il potere, lo si comprende benissimo; perchè l'istinto del
proprio interesse le deve indurre a professare questa opinione; ma
la stoltezza incomincia quando essa è accettata dagli altri.
Quid est veritas? diceva Pilato, e noi cominciamo col domandare che
cosa sia una dottrina vera e una dottrina falsa? Scientificamente
parlando, tutte le dottrine religiose, anche quelle più
diffuse, sono false, e certo non si sosterrà che il
Maomettismo, ad esempio, che ha conquistato tanta parte del mondo,
sia fondato sulla verità scientifica. È quindi molto
più esatto il dire che vi sono dottrine le quali soddisfano i
sentimenti più sparsi e radicati nei cuori umani e che quindi
hanno una gran forza di diffusione, e dottrine le quali posseggono
in minor grado la qualità accennata, e che quindi,
benchè dal lato intellettuale possano essere più
accettabili, si diffonderanno meno. E, se si vuole, si possono anche
distinguere le dottrine la cui diffusione è giovevole agli
interessi della civiltà e della giustizia e produce una
maggior somma di pace, di moralità, di benessere, dalle
dottrine colle quali si può ottenere un effetto contrario; le
quali pur troppo non sono quelle che sempre presentano meno i
caratteri della diffusibilità. Noi, ad esempio, crediamo che
la democrazia sociale minacci l'avvenire della civiltà
moderna, eppure bisogna riconoscere che essa si fonda sul sentimento
della giustizia, sulla invidia e sulla sete dei godimenti;
qualità così diffuse negli uomini, specialmente in
quelli presenti, che sarebbe errore grandissimo negare alle dottrine
socialiste una gran forza di propaganda.
Si rammenta sempre l'esempio del Cristianesimo che trionfò
malgrado le persecuzioni, e del liberalismo moderno che vinse i
tiranni che lo comprimevano. Ciò dimostra soltanto che una
persecuzione condotta male non può bastare a tutto, e che vi
sono forse dei casi in cui la forza stessa non basta ad arrestare
una corrente d'idee; ma l'eccezione non può servire di
fondamento ad un principio generale. La verità è che
quasi sempre se le persecuzioni mal fatte, tardivamente intraprese,
condotte con mollezza ed oscitanza, possono anche giovare al trionfo
di una dottrina, la persecuzione spietata, energica, che colpisce la
dottrina avversaria appena essa si manifesta, è il modo
più adatto per combatterla.
Il Cristianesimo non sempre nell'impero romano fu perseguitato
energicamente, ebbe lunghi periodi di tolleranza, e le persecuzioni
stesse furono di frequente parziali, limitate cioè in qualche
provincia; infine non trionfò definitivamente se non quando
un imperatore, che aveva in mano la forza costituita,
cominciò a favorirlo. Similmente la propaganda liberale non
solo non fu ostacolata, ma fu quasi aiutata dai governi dalla
metà del secolo decimottavo fino alla Rivoluzione francese.
Combattuta in seguito con intermittenza e non mai contemporaneamente
in tutto il mondo europeo, trionfò quando i Governi stessi si
convertirono o furono colla forza, interna od esterna, abbattuti.
Di fronte a questi due esempi dubbi quanti altri ve ne sono
decisamente contrari. Lo stesso Cristianesimo nei suoi inizi
difficilmente si diffuse fuori dei confini dell'impero romano; in
Persia, ad es., non fu accolto, non solo perchè trovò
ostacolo nella religione nazionale, ma anche perchè vi fu
energicamente perseguitato. Colla spada e col fuoco Carlo Magno,
durante lo spazio di una generazione, lo impiantò fra i
Sassoni. L'evangelizzazione dell'impero romano avea richiesto
secoli; pochi anni bastarono a quella di molti paesi barbari,
perchè una volta convertiti i Re ed i grandi, il popolo in
massa chinava la cervice al battesimo. In questo modo molto spiccio
la croce fu impiantata nei diversi regni anglo-sassoni, in Polonia,
in Russia, nei paesi scandinavi ed in Lituania. Nel secolo
decimosettimo la religione cristiana fu quasi spenta nel Giappone
mediante una persecuzione spietata e quindi efficace. Colla
persecuzione il Buddismo fu sradicato dall'India sua patria, il
Mazdeismo dalla Persia dei Sassanidi ed il Babismo dalla Persia
moderna, la nuova religione del Taeping dalla China. Mercè la
persecuzione sparirono gli Albigesi dalla Francia meridionale ed il
Maomettismo ed il Mosaismo furono sbarbicati dalla Spagna e dalla
Sicilia. La Riforma religiosa in fondo non trionfò che in
quei paesi in cui fu appoggiata dai Governi ed in qualche caso da
una rivoluzione vittoriosa. La stessa rapida diffusione del
Cristianesimo, che si attribuisce a miracolo, è nulla di
fronte a quella ben più rapida del Maomettismo. Il primo in
tre secoli si estese per tutto il territorio dell'impero romano; il
secondo in soli ottanta anni allargò i suoi confini da
Samarcanda ai Pirenei. Ma il primo agiva unicamente colla
predicazione e la persuasione, il secondo impiegava a preferenza la
scimitarra.
Del resto il fatto che tutti i partiti politici e tutte le credenze
religiose tendono ad esercitare un'influenza su chi comanda, e,
quando possono, a monopolizzare il comando, è la miglior
prova che essi, anche se non lo confessano apertamente, hanno
l'intima convinzione che il disporre di tutte le forze più
efficaci di un organismo sociale, e specialmente di uno Stato
burocratico, sia il modo migliore per diffondere e sostenere le loro
dottrine.
XI. — Indipendentemente dall'uso della forza materiale, sugli altri
modi che usano le varie religioni ed i partiti politici per attirare
le turbe, per conservare sopra di esse il predominio e sfruttarne la
credulità, ci sono da fare osservazioni analoghe a quelle che
abbiamo già fatte, relativamente alla necessità che
hanno i fondatori di dottrine e le dottrine stesse di adattarsi ad
una certa mediocrità morale. I seguaci di ogni sistema
politico o religioso usano su questo riguardo rilevare accuratamente
le pecche degli avversari, avendo la pretensione di esserne mondi,
ma in fatti tutti sono, con molte gradazioni è vero,
più o meno intinti della stessa pece. In verità, come
abbiamo già accennato, si può essere perfettamente
morali finchè non si viene in contatto cogli altri uomini e
sopratutto finchè non si ha la pretensione di guidarli, ma
quando si vuole dirigere la loro condotta, allora è
necessario far giuocare tutte le loro molle sensibili, sfruttare
tutte le loro debolezze, e chi volesse soltanto fare appello ai loro
sentimenti generosi sarebbe assai facilmente vinto da altri meno
scrupoloso. Gli Stati non si governano coi paternostri, diceva
Cosimo dei Medici (il padre della patria): ed invero è
difficile assai il condurre le moltitudini secondo certe vedute,
quando non si sa all'occorrenza lusingare le passioni, soddisfare
fantasie ed appetiti ed incutere paura206.
A guardarci bene si vede che le arti usate per adescare le turbe, in
tutti i tempi ed in tutti i luoghi, hanno avuto ed hanno una grande
analogia, perchè è occorso sempre di mettere a
profitto le stesse debolezze umane. Tutte le religioni, anche quelle
che rinnegano il soprannaturale, hanno il loro speciale stile
declamatorio, con cui si fanno le prediche, i discorsi od i sermoni;
tutte hanno per colpire la fantasia il loro rituale a le loro pompe
esteriori; le processioni alcune le fanno coi ceri e salmodiando
litanie, altre dietro le bandiere rosse al suono della marsigliese o
cantando l'inno dei lavoratori.
Religioni e partiti politici mettono ugualmente a profitto i
vanitosi e creano per loro gradi, uffici e distinzioni, ed
ugualmente sfruttano i semplici e gli ingenui e gli avidi di
sacrificio o di notorietà per creare il martire, e, una volta
ottenuto il martire, hanno cura di mantenerne vivo il culto, che
serve tanto a rafforzare la fede. Altra volta nei conventi si soleva
scegliere il più baccellone dei frati e lo si accreditava
come santo, attribuendogli anche miracoli, e ciò allo scopo
di aumentare la celebrità e quindi la ricchezza e l'influenza
del sodalizio, le quali erano sapute ben adoperare da coloro che
aveano diretto la commedia. Ai giorni nostri sette e partiti
politici sono abilissimi nel creare l'uomo superiore, l'eroe
leggendario, il carattere che non si discute, il quale serve anche
esso a mantenere il lustro della congrega e procaccia ricchezze e
potere ai furbi che ne fanno parte. Quando il conte zio rammentava
al padre provinciale dei cappuccini le marachelle che il padre
Cristoforo avea commesse in gioventù: è la gloria
dell'abito, rispondeva di botto il padre provinciale, che uno, che
al secolo ha potuto far dire di sè, con quest'abito indosso
diventa tutt'altro207. Questa è senza dubbio risposta
prettamente fratesca, ma agiscono peggio dei frati partiti e sette
politiche, che, purchè i loro adepti siano fedeli alla
bandiera, ne coprono e ne scusano le peggiori ribalderie. Per essi
chiunque porta l'abito indosso diventa di botto tutt'altro.
Quel complesso di dissimulazioni, artifici e furberie, che va
comunemente inteso col nome di gesuitismo, non è proprio
soltanto dei seguaci di Loyola; forse questi ebbero l'onore di
dargli il nome perchè lo coordinarono, lo perfezionarono e
quasi lo costituirono a sistema; ma in fondo lo spirito gesuitico
non è che una esagerazione dello spirito settario portato
alle ultime conseguenze. Tutte le religioni e tutti i partiti, che,
con più o meno sincerità iniziale d'entusiasmo, si
sono prefissi di condurre gli uomini secondo un dato scopo, hanno,
con maggiore o minor temperanza, usato modi analoghi a quelli dei
Gesuiti e qualche volta forse anche peggiori. Il principio che il
fine giustifica i mezzi si è adottato per il trionfo di tutte
le cause e di tutti i sistemi sociali e politici; per tutti i
partiti, come in tutti i culti, vige l'usanza di giudicare uomini
grandi solo quelli che militano nelle loro file, gli altri tutti
essendo bricconi o cretini; e, quando peggio non si può fare,
si mantiene un ostinato silenzio sui meriti degli individui, che
stanno fuori della chiesa o della chiesuola. Tutti i settari
praticano l'arte di mantenere formalmente e letteralmente la parola
data violandola nella sostanza; tutti conoscono il modo di torcere
la narrazione dei fatti a loro profitto; tutti sanno trovare i
caratteri semplici e timorati e conoscono le vie di cattivarsene la
fiducia ed averne aiuti e sussidi per l'idea e per le persone che la
rappresentano e ne sono gli apostoli. Pur troppo perciò anche
se i Gesuiti sparissero il gesuitismo resterebbe; e basta guardarsi
un poco attorno per essere convinti di questa verità208.
XI. — È difficile assai che venga un giorno in cui le lotte e
le gare fra religioni e partiti diversi debbano finire; ciò
sarebbe possibile quando tutto il mondo civile appartenesse ad unico
tipo sociale, ad unica religione, e non vi fossero più
dispareri sul modo di raggiungere un miglioramento sociale. Or,
senza accogliere le teorie di qualche autore tedesco che ammette la
necessità dei partiti politici, perchè rispondono alle
varie tendenze, che si manifestano nelle diverse età
dell'uomo, noi possiamo facilmente constatare che qualunque nuova
religione, qualunque nuovo indirizzo politico, che arrivano a
raggiungere un certo successo, si suddividono ordinariamente in
altre sette; nelle quali gli istinti della disputa e della lotta
trovano il loro sfogo, e che combattono fra loro collo stesso zelo e
lo stesso accanimento, che prima adoperavano contro le religioni ed
i partiti avversari. I numerosi scismi e le eresie continuamente
ripullulanti del Cristianesimo, del Maomettismo e di tante altre
religioni, le divisioni che già nascono in seno alla
democrazia sociale, ancor lontana dal suo trionfo, che forse non
raggiungerà mai, provano la difficoltà straordinaria
di attuare quell'universalità di un solo mondo morale ed
intellettuale, alla quale abbiamo accennato.
Del resto, ammesso anche che essa si possa facilmente conseguire,
non ci pare desiderabile: finora la libertà di pensare,
osservare e giudicare serenamente e spassionatamente uomini e cose
è stata possibile, sempre, s'intende, per pochi individui,
solo in quelle società il dominio delle quali è stato
conteso da diverse correnti religiose e politiche. Questa stessa
condizione, abbiamo già visto al capitolo quinto, essere
indispensabile quasi per ottenere quella maggior giustizia nei
rapporti fra governanti e governati, che è compatibile
coll'imperfetta natura umana, il che sarebbe ciò che
comunemente viene inteso per libertà politica. Nelle
società infatti nelle quali la scelta fra più correnti
religiose e politiche non è più possibile,
perchè una sola è riuscita ad imporsi esclusivamente,
il pensatore isolato ed originale deve tacere, e, al monopolio
morale ed intellettuale, si unisce infallibilmente quello politico a
prò di una casta o di una sola forza sociale.
Base delle moderne dottrine massoniche è la credenza che
l'uomo tende a divenire fisicamente, intellettualmente e moralmente
sempre più sano ed elevato, e che solo l'ignoranza e la
superstizione, che hanno generato le religioni dommatiche, lo hanno
allontanato e lo allontanano dal seguire questa via, che sarebbe per
lui la più naturale, e lo hanno spinto alle persecuzioni,
alle stragi, alle lotte fratricide209. Un simile modo di vedere non
ci pare accettabile. Quelle che ora molti chiamano superstizioni,
tutte le religioni rivelate, non sono state certo insegnate all'uomo
da un Ente extra-umano, ma furono create dagli uomini stessi e nella
natura umana hanno trovato il loro alimento e la loro ragion
d'essere. Esse non sono che solo in parte, e qualche volta minima,
responsabili delle lotte, delle stragi e delle persecuzioni, dovute
spesso più alle passioni degli uomini che ai dommi che le
religioni insegnano. Anzi crediamo che la scusa dei tempi e dei
fanatismi religiosi e politici non valga a togliere, innanzi la
storia imparziale, che una piccola frazione della
responsabilità individuale per gli eccessi di ogni genere;
perchè in ogni tempo, in ogni religione, in ogni dottrina,
ciascuno può e sa trovare quella tendenza, che alla sua
indole è più confacente. E tanto ciò è
vero che il Maomettismo non impedì a Saladino di essere umano
e generoso anche cogli infedeli, come il Cristianesimo non
mitigò la ferocia di Riccardo cuor di leone210; che la stessa
religione, che diede Simone di Monfort e Torquemada, diede pure S.
Francesco d'Assisi e Santa Teresa, che nello stesso anno 1793, in
cui vissero ed operarono Marat, Robespierre e quel convenzionale
Carrier, che a Nantes faceva annegare a migliaia i bambini dei
Vandeisti, il capo vandeista Bonchamps, ferito, al letto di morte
implorava ed otteneva la vita e la libertà di quattromila
prigionieri repubblicani, che i suoi commilitoni volevano
moschettare. Del resto lotte vivissime si sono avute, e persecuzioni
e stragi, nell'ultimo secolo, si sono perpetrate in nome di altre
dottrine, che non hanno alcun fondamento nel soprannaturale e
proclamano la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza di
tutti gli uomini.
In verità il sentimento, che nasce spontaneo da una rapida e
spregiudicata sintesi della storia dei popoli, è la
compassione per le qualità contradittorie della povera razza
umana: così ricca di abnegazione, così pronta alle
volte al sacrificio individuale e nella quale, nello stesso tempo,
ogni tentativo più o meno indovinato, e qualche volta non
indovinato affatto, per raggiungere un miglioramento morale e quindi
materiale, va unito allo sfrenarsi di odii, di rancori, delle
passioni peggiori. Tragico destino quello degli uomini: i quali, pur
aspirando sempre a conseguire ed attuare il bene, trovarono nello
stesso tempo il modo di scannarsi e perseguitarsi a vicenda, fino a
ieri, per l'interpretazione di un dogma o di un passo della Bibbia;
hanno continuato a scannarsi ed a perseguitarsi oggi per inaugurare
il regno della libertà, dell'uguaglianza e della fratellanza;
e forse si scanneranno, si perseguiteranno, si martirizzeranno
atrocemente domani, quando, in nome della democrazia sociale, si
vorrà fare sparire dal mondo ogni traccia di violenza e
d'ingiustizia.
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni.
I. Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei
Comuni medioevali. — II. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica,
nell'Europa feudale e nei paesi maomettani. — III. Rivoluzioni in
China. — IV. Insurrezioni di carattere nazionale. — V. Insurrezioni
rurali in Europa. — VI. Rivoluzioni tipiche della Francia moderna. —
VII. Condizioni per la riuscita di queste rivoluzioni.
I. — Abbiamo esaminato i modi come si formano e si affermano le
correnti d'idee, di sentimenti e di passioni, che ordinariamente
influiscono a mutare l'indirizzo delle società umane. Resta a
vedere in qual maniera queste correnti riescano talora materialmente
ad imporsi mediante l'uso della forza, cambiando anche gli individui
che stanno al potere e facendo sì che essi rappresentino i
loro principii. Simili mutamenti, nelle società che hanno
raggiunto un certo sviluppo nella loro organizzazione, possono
avvenire o per iniziativa o almeno col consenso di quella frazione
della società, alla quale suole essere affidata la tutela di
tutto il corpo politico e che, nei casi ordinari, ha il monopolio
delle armi, oppure per opera di altri elementi e forze sociali, che
quella frazione riescono a vincere. Allora ha luogo quel fenomeno,
abbastanza frequente nella storia contemporanea, che comunemente
chiamasi rivoluzione e che sarà ora nostro compito di
brevemente analizzare.
I rivolgimenti dei piccoli Stati, nei quali l'organizzazione
burocratica non esiste o è assolutamente embrionale, non
hanno che un'analogia del tutto apparente con quelli dei grandi e
sopratutto colle rivoluzioni moderne. Nell'antichità
classica, ad esempio, quando un tiranno diveniva padrone di una
città, oppure un'oligarchia si sostituiva alla democrazia, e
spesso anche quando il tiranno o l'oligarchia venivano rovesciati,
in fondo si trattava sempre di una cricca, più o meno
numerosa, che, nella direzione della cosa pubblica, ne sostituiva
un'altra. Quando lo Stato greco funzionava regolarmente, tutta la
classe governante, cioè tutti coloro che non erano nè
schiavi, nè stranieri domiciliati, nè operai manovali
partecipavano alle funzioni politiche. Quando si stabiliva il regime
tirannico, ovvero oligarchico, o anche quella degenerazione della
democrazia che dicevasi oclocrazia, allora una frazione di questa
classe usurpava per sè tutto il potere a detrimento
dell'altra, che veniva in parte uccisa, in parte spogliata dei beni
ed esiliata. Alla loro volta i vincitori dovevano temere le
rappresaglie dei vinti, i quali se riuscivano a superarli li
trattavano alla stessa maniera.
La lotta era quindi condotta a base di forza e di furberia, cogli
assassinii e le sorprese, e le parti in lizza spesso ricorrevano
all'appoggio degli stranieri o di qualche pugno di mercenari e, una
volta vittoriose, usavano occupare la rocca e togliere le armi a
tutti coloro che non erano fra i loro accoliti, e queste, essendo
allora abbastanza costose, non si potevano facilmente rimpiazzare.
Raro avveniva, come nel caso delle imprese condotte da Pelopida ed
Epaminonda a Tebe e da Timoleone a Siracusa, che si profittasse
della vittoria per stabilire un regime meno sanguinario e violento,
ed in questo caso la benefica innovazione durava solo quanto
l'influenza personale o la vita di colui, che ne era stato autore.
Qualche altra volta invece la fazione usurpatrice riusciva a
mantenersi al potere per più di una generazione, come avvenne
per i Pisistraditi e per i due Dionigi. Agatocle, uno dei peggiori
tiranni del mondo greco, morì vecchio ed era arrivato al
potere da giovane, e pare che solo il veleno sia riuscito ad
abbreviare la sua vita ed il suo governo.
Nei Comuni italiani, la cui organizzazione politica somigliava a
quella della classica Grecia, rivissero le abitudini dell'antico
Stato ellenico: una fazione con a capo un signore sbandiva gli
avversari o li assassinava, e in tutti e due i casi s'impadroniva
dei loro beni; spesso bisognava sopraffare per non essere
sopraffatti. Ordinariamente le due famiglie più ricche e
potenti del Comune se ne contendevano armata mano la supremazia;
anche esse, come gli antichi capi-parte greci, appoggiandosi, quando
potevano, agli aiuti stranieri ed ai mercenari. Così Torriani
e Visconti si disputarono il possesso di Milano e la scena, con
poche varianti, si ripetè nei Comuni minori. Paci, tregue,
intenerimenti religiosi, provocati da frati e da cittadini dabbene,
come quello che racconta il buon Dino Compagni211, non ottenevano
che un effetto momentaneo e, peggio ancora, spesso non erano che
arti colle quali i più ribaldi sopraffacevano i meno malvagi
assalendoli quando erano impreparati e indifesi.
Col Rinascimento i costumi si fecero meno armigeri, la lotta in
campo aperto più rara, ma la perfidia ed il tradimento
diventarono ancor più sottili e con il lungo uso furono quasi
innalzati all'altezza di scienza. In qualche città prevalsero
i così detti modi civili: in Firenze i potenti, ad esempio,
si strinsero fra loro con parentadi, mantennero un certo equilibrio
e conservarono la preponderanza riempiendo le borse (ora sarebbero
le liste elettorali) con i loro clienti. Questa fu la politica che
seguì l'oligarchia mercantile con a capo gli Albizzi
finchè fu vivo Niccolò d'Uzzano e quella che
seguì Cosimo dei Medici coi suoi consorti, sebbene,
all'occorrenza, sapesse usare altri mezzi212. Altrove, nelle Romagne
e nell'Umbria, le lotte si prolungarono fin dopo il 1500, come tra
veri masnadieri. A Perugia gli Oddi, cacciati dai Baglioni, li
sorpresero di notte; ma i Baglioni combatterono perfino in camicia e
non si fecero sopraffare; vittoriosi poi si sterminarono fra di
loro. Oliverotto da Fermo ottenne la signoria della sua città
trucidando, a capo della sua compagnia di ventura, suo zio ed i
maggiorenti del luogo, che l'avevano invitato ad amichevole
banchetto.
Tanto nelle lotte civili delle città greche, quanto in quelle
dei Comuni italiani, la temperanza e l'umanità poco potevano
giovare, la prevalenza dovea ordinariamente restare ai più
pronti ed ai più furbi, a coloro che meglio sapevano fingere
e meno pativano di scrupoli. Anche il caso fortuito avea una gran
parte nella buona riuscita di un'impresa e si raccontano in
proposito molti episodi romanzeschi. Un cane che latrava,
un'ubbriacatura presa qualche ora prima o dopo, una lettera letta a
tempo o rimandata chiusa per l'indomani, decidevano del successo di
un colpo di mano; come avvenne quando Epaminonda e Pelopida
s'impadronirono di Tebe ed Arato di Sicione. È da notare poi
che, tanto le lotte civili che tormentarono gli Stati greci, quanto
quelle che dilaniarono i Comuni italiani non contribuirono
sensibilmente a maturare alcun vero cambiamento sociale. Mutavano i
governanti, ma la società, chiunque trionfasse, rimaneva
quasi sempre organizzata alla stessa maniera. I grandi fattori
storici, la scienza e l'arte ellenica, l'emancipazione dei servi
della gleba, il rinascimento artistico e letterario, si svolsero
indipendentemente dalle gare sanguinose, che turbarono la Grecia e
l'Italia. Tutto al più le guerre civili non poterono influire
che a ritardarne lo sviluppo, simili in ciò alle guerre
esteriori, alle fami, alle pestilenze, che impoverendo od abbattendo
un paese ne ostacolano sempre i progressi economici ed
intellettuali.
Qualunque scienza politica, basata poi esclusivamente
sull'osservazione dei periodi storici ai quali abbiamo accennato,
non potea riuscire che incompleta e superficiale. E tale è
appunto quella che si rivela nella famosa opera di Machiavelli
intitolata il Principe, troppo vituperata, troppo lodata, ed alla
quale in ogni caso si è attribuita soverchia importanza. Al
giorno d'oggi un osservatore, che tenesse mente al modo come nelle
Borse, nelle Società anonime, e nelle Banche si fanno e si
disfanno le fortune private, potrebbe facilmente scrivere un libro
sull'arte di arricchirsi, nel quale dovrebbe probabilmente dare
consigli tali sui modi di parere onesto e di non esserlo e di rubare
scansando la Corte d'assise, da far diventare facezie innocenti i
precetti che si trovano nel libro del segretario fiorentino. Ma,
l'abbiamo già accennato213, un simile lavoro non farebbe
parte della scienza economica, come l'arte di arrivare al potere e
restarci, in date condizioni sociali, non è la scienza
politica. E che non si tratti di scienza, cioè di grandi
leggi psicologiche che si ritrovano in tutte le grandi
società umane, è provato dal fatto che i suggerimenti
del Machiavelli potevano giovare forse a Ludovico il Moro od a
Cesare Borgia, come probabilmente avrebbero servito a Dionigi, ad
Agatocle ed a Giasone di Fere, ai dey di Algeri, ad Alì
Tebelen ed anche a Mehemet Alì, quando questi esclamava che
l'Egitto era all'asta e sarebbe rimasto a colui che avrebbe speso
l'ultima somma e dato l'ultimo colpo di sciabola; ma agli uomini
politici dell'Europa moderna od a quelli della Repubblica romana
avrebbero apportato un sussidio molto scarso. Sebbene, a scanso di
equivoci, convenga confessare che la rettitudine, l'abnegazione e la
buona fede forse in nessun luogo ed in nessun tempo siano state e
siano le qualità più adatte per conseguire il potere e
conservarlo214.
Dopo quanto abbiamo già esposto non occorre neppure di far
rilevare che negli Stati moderni, di organizzazione molto
complicata, assai più vasti degli antichi e poggiati sulla
burocrazia e gli eserciti stanziali, è impossibile compire le
rivoluzioni mediante uno o più colpi di pugnale od
organizzando bene una sorpresa od un'imboscata: perciò i
rivoluzionari moderni inspirandosi a quelli classici commettono un
grossolano anacronismo. Ciò non vuol dire però che le
reminiscenze classiche siano affatto inutili, perchè esse
sono sempre molto adatte a riscaldare i cervelli dei giovani ed a
mantenere l'ambiente rivoluzionario, e, fin dall'epoca del
Rinascimento, furono in questo senso abilmente sfruttate215. Se il
regicidio infatti ora non basta a rovesciare un Governo,
l'assassinio politico può sempre servire a spargere la
titubanza ed il terrore nei capi della classe governante ed a
renderne meno energica l'azione; inoltre, siccome quasi tutti gli
assassini politici soccombono nell'esecuzione delle loro imprese,
così diventano martiri di un'idea, ed il culto che loro si
viene a tributare è uno dei mezzi meno onesti, ma non meno
efficaci, per mantenere una propaganda rivoluzionaria.
II. — Roma repubblicana fu in complesso lo Stato antico in cui la
difesa giuridica fu meglio assicurata e le lotte civili
perciò meno sanguinose e più rare. Durante i lunghi
contrasti fra patrizi e plebei, nel foro non mancarono i tumulti e
qualche volta si trascorse anche fino alle pugnalate, qualche altra
volta accadde che una mano di facinorosi occupasse di sorpresa il
Campidoglio, ma, per secoli interi, non ci furono fazioni che
usurpassero violentemente il potere trucidando ed esiliando gli
avversari. Quando furono uccisi i Gracchi per ben due volte lo
svolgersi legale delle votazioni fu impedito col sangue, e quando
poi fu violentemente rivocata la deliberazione dei comizi, che
affidava il comando della guerra d'Asia a Silla, avvenne che questi,
con esempio nuovo, entrasse in città a capo di un esercito.
Giacchè le legioni, militando lungamente fuori d'Italia,
aveano acquistato il carattere di eserciti stanziali ed erano
divenuti tali da potere essere strumenti ciechi in mano dei loro
capi. Sicchè fra eserciti regolari si combatterono poi le
guerre civili, ed il capo dell'ultimo esercito che in queste guerre
fu vittorioso, Ottaviano Augusto, mutò stabilmente la forma
di governo e diè principio alla monarchia burocratica e
militare. D'allora in poi le soldatesche regolari si arrogarono il
diritto di mutare non già la forma, ma il Capo del Governo.
Nell'Europa feudale, ed in generale in tutti i popoli feudalmente
organizzati, le lotte civili e le rivoluzioni assunsero ed assumono
sempre il carattere di guerre fra le fazioni in cui si dividevano o
si dividono i baroni o capi locali. Cosi avveniva che in Germania
all'elezione di un nuovo imperatore spesso si formassero fra i
baroni e le città libere due partiti, che si combattevano a
vicenda, ognuno seguendo il sovrano di sua scelta che proclamava
legittimo. Altrove, come in Sicilia all'epoca delle lotte fra la
nobiltà latina e la catalana, le parti contendenti si
disputavano il possesso della persona del Re o del principe o
principessa ereditaria, giacchè questo possesso dava il modo
ad una fazione di mettersi sotto lo scudo della legittimità e
di proclamare ribelli e felloni gli avversari. Per analoghe ragioni
in Francia Borgognoni ed Armagnacchi si contendevano il possesso
della persona del Re o del Delfino. Altre volte i baroni si
schieravano sotto gli stendardi di due dinastie rivali, come avvenne
in Inghilterra durante la guerra delle due Rose. Quando poi tutta o
quasi tutta la nobiltà si sollevava unanime contro un
sovrano, allora la rivoluzione era presto compiuta ed il Re veniva
agevolmente sbalzato e ridotto all'impotenza; quest'ultimo caso, non
raro in tutti i regimi feudali, accadde con una certa frequenza
nella Scozia.
Come nelle lotte civili degli Stati greci e dei Comuni italiani,
così pure in quelle intestine fra i baroni dello stesso
regno, la parte vincitrice soleva, quando ciò era possibile,
spossessare i vinti dei loro feudi, che distribuiva fra i suoi
accoliti. Se gli assassinii e sopratutto gli avvelenamenti erano
più rari, ai vinti, quando non perivano sul campo di
battaglia, sovrastava spesso la scure del carnefice. Tutta la nobile
famiglia Chiaramonti perì a Palermo sul palco fatale; sul
palco e sui campi di battaglia fu sterminata quasi tutta la vecchia
nobiltà inglese durante le successive vittorie e sconfitte
delle due case di Yorck e di Lancaster. In Francia parecchi capi
Armagnacchi furono assassinati, altri uccisi a furor di popolo dalla
plebe di Parigi, ed assassinato alla sua volta moriva Giovanni senza
paura duca di Borgogna.
Nei paesi maomettani, non tenendo conto degli intrighi di serraglio,
che producono la deposizione e la morte di un sultano e ne elevano
un altro, le rivoluzioni propriamente dette, mentre da un lato hanno
molta analogia con le lotte che si combattevano nell'Europa feudale,
dall'altro racchiudono spesso i germi di un movimento, che ora
chiameremmo socialista, nascosto e dissimulato da una riforma
religiosa. Difatti, malgrado che gli sforzi di molti sovrani
orientali ed africani per circondarsi di truppe regolarmente
assoldate siano alle volte abbastanza riusciti, pure, nella
maggioranza delle popolazioni musulmane, specialmente in quelle che
abitano la campagna e che menano una vita più pastorale che
agricola, l'antichissima organizzazione delle tribù si
è conservata, e l'insurrezione dei capi di esse, come quella
dei baroni europei, per sostenere un pretendente al trono od i
diritti di una nuova dinastia è rimasta sempre un fatto
possibile. Fra le tribù stesse poi può sempre sorgere
un novatore, il quale pretenda di ricondurre l'Islam alla primitiva
purezza e predichi una riforma religiosa, ed allora, se la sua
propaganda è seguita dal successo, si ha la rivoluzione
religiosa e sociale.
Giacchè nei paesi orientali ed anche nel nord dell'Africa, se
non vi è la lotta di classe fra capitalisti e proletari, che
si vorrebbe inaugurare nell'Europa moderna, si è mantenuto
per diecine di secoli e dura sempre il sordo antagonismo fra le
tribù povere e brigantesche del deserto e della montagna e
quelle più ricche, che abitano i fertili piani, e più
ancora fra le prime e le imbelli e doviziose popolazioni delle
città. Nè si può dire che l'Islam non offra
appiglio al risorgere del vecchio spirito egalitario dispregiatore
delle ricchezze e dei godimenti, che già troviamo in alcuni
profeti ebraici, in Isaia ed in Amos il mandriano di Tecoa. Se
Maometto non disse che era più facile che un camello passasse
attraverso la cruna di un ago anzichè un ricco andasse in
Paradiso, era però assai amante della semplicità dei
costumi, e delle gioie di questo mondo non pregiava che le donne ed
i profumi. Una volta che si presentarono a lui come ambasciadori
ottanta cavalieri dei Beni-Kende, tribù recentemente
convertita all'Islamismo, in magnifico arnese con abiti di seta,
egli fece subito loro osservare che la nuova religione non
permetteva il lusso, e quelli stracciarono subito le ricche
vestimenta216. Il secondo califfo Omar, che conquistò tante
terre e tanti tesori, desinava frugalmente per terra, e, quando
morì, lasciò per eredità personale un solo
abito e tre dramme.
Così si spiega facilmente come nella Barberia, durante
l'undecimo e dodicesimo secolo, le vecchie dinastie arabe venissero
vinte e spossessate dalla riforma religiosa degli Almoravidi, che
alla loro volta furono rovesciati da una nuova riforma religiosa,
detta degli Almohaidi. In tutti e due i casi le tribù del
deserto o della montagna caldeggiarono le dottrine riformatrici e si
sovrapposero alle popolazioni più colte e più ricche
del Tell o zona marittima. Elementi consimili si possono facilmente
trovare nella setta dei Wahabiti dell'Arabia e nelle più
recenti fortune del Mahadismo dell'alto Nilo. Va da sè che
come i prischi Saraceni, una volta padroni delle ricche contrade
della Siria, della Persia e dell'Egitto, dimenticarono la
frugalità dei Sarabehoni, ossia degli uomini che avevano
conosciuto il Profeta, qualcuno dei quali nella sua vecchiaia ebbe
campo di scandalizzarsi per il fasto spiegato dai califfi Ommiadi di
Damasco, che fu poi superato dai califfi Abbassidi di Bagdad;
così anche nel caso degli Almoravidi ed Almohaidi, la natura
umana presto trionfò dell'ardore settario. Anche questi
infatti, una volta in possesso delle reggie di Fez e di Cordova,
obliarono la vita semplice che avevano praticato e predicato negli
altipiani al di là dell'Atlante, ed adottarono tutte le
raffinatezze del lusso orientale. Se risultati perfettamente
identici non hanno dato i Wahabiti, i Mahdisti ed altre sette
maomettane, ciò è avvenuto per la minor fortuna che
finora esse hanno avuto.
III. – In China le rivoluzioni ed i rivolgimenti violenti non sono
stati rari, ci riesce però ancora difficile di apprezzare le
cause sociali di quelli molto antichi. Sappiamo che l'Impero Celeste
è passato attraverso regimi economici e politici diversi, che
da Stato feudale, che era prima, è diventato uno Stato
burocratico; a seconda di questi cambiamenti hanno dovuto, certo
cambiare i motivi e le forme delle ribellioni.
Ci è noto questo: che, quando l'educazione di una dinastia
era molto decaduta, quando principi fiacchi facevano governare le
donne e gli eunuchi o perdevano il tempo a cercare la bevanda
dell'immortalità, e gli abusi dei funzionari oltrepassavano
certi limiti, allora qualche governatore ribelle o qualche ardito
avventuriero, posti a capo di bande d'insorti, battevano qualche
volta le truppe del Governo, aiutati dall'universale malcontento,
spossessavano la vecchia e fondavano una nuova dinastia. La quale
conservava una maggiore energia per qualche generazione,
finchè anch'essa s'infiacchiva e di nuovo si accentuavano gli
antichi abusi.
Le invasioni dei barbari del settentrione e dei Tibetani
occasionarono ed agevolarono spesso questi cambiamenti. Quando poi
il paese intiero cadde sotto la dominazione dei Mongoli, col tempo
maturò una di quelle potentissime reazioni dello spirito
nazionale, che spesso si accentuano fra i popoli di antica
civiltà, come avvenne nell'antico Egitto colla cacciata degli
Hiqsos, e come in questo secolo è accaduto in Grecia ed in
Italia. Alla fine del secolo decimoquarto un gruppo di uomini
entusiasti ed energici, con a capo il bonzo Rong-ou217,
sollevò lo stendardo della rivolta contro i Mongoli ed,
aiutati dall'esplosione del sentimento nazionale, che avvenne in
tutta la China, riuscirono a ricacciare i barbari al di là
della grande muraglia. Rong-ou fu il fondatore della dinastia dei
Ming, che governò il paese fino allo scorcio del secolo
decimosettimo.
Durante il secolo decimonono la China, diventata uno Stato quasi
completamente burocratizzato, ebbe un'altra rivoluzione che, sebbene
non sia riuscita, pure merita di essere ricordata, ed è
importante sopratutto per l'analogia che offre con quella che aveva
messo sul trono il bonzo Rong-ou. In seguito al disordine che la
guerra cogli Inglesi, terminata cogli svantaggiosi trattati del 1842
e 1844, produsse in tutto l'impero, una rivolta contro la dinastia
straniera dei Tartari Manschù scoppiò nelle vicinanze
di Nankin, l'antica capitale dei Ming, il cuore del nazionalismo
chinese. La cacciata dello straniero e la fondazione di una nuova
religione, nella quale i dommi del Cristianesimo erano curiosamente
mescolati ed adattati alle idee filosofiche ed alle superstizioni
popolari dei Chinesi, fornirono la base morale della rivoluzione. Un
maestro di scuola, letterato d'infima classe, una specie di
spostato, che rispondeva al nome di Rong-Sieou-Tsien, ne fu il capo
supremo: attorno a lui un gruppo di uomini energici, intelligenti,
ambiziosi ne secondarono i primi movimenti e lo aiutarono tanto
nell'escogitare il sistema religioso e filosofico accennato, quanto
nel dirigere le prime imprese dell'insurrezione.
La macchina burocratica chinese era allora profondamente scossa per
le sconfitte toccate e la inferiorità manifestata di fronte
agli Europei, i popoli erano malcontenti, sicchè i primi
successi dei ribelli furono rapidissimi. Entrati in Nankin nel 1853,
essi vi proclamarono il Taè-ping, cioè l'êra
della pace universale218, e nello stesso tempo Rong-Sieou-Tsien, che
certo non era un uomo volgare, fu assunto al grado di Imperatore
Celeste e capo-stipite della nuova dinastia nazionale. Siccome
però, anche in China, la forza bruta necessaria alla riuscita
delle rivoluzioni si trova a preferenza nella feccia della
società, i gregari dell'esercito che dovea inaugurare la pace
universale si reclutarono a preferenza fra i soldati disertori, i
delinquenti sfuggiti alla giustizia, e, in generale, fra tutti i
vagabondi e gli spostati, che abbondano nelle grandi città
tanto chinesi che europee. Ben tosto i capi furono impotenti a
frenare gli eccessi dei loro seguaci, e le bande del Taè-ping
portarono dappertutto il saccheggio, la desolazione, la strage. Le
mosse stesse della insurrezione non furono più dirette da un
pensiero politico, ma dalla libidine del furto e del sangue, ed i
paesi che essa dominava subirono tutti gli orrori di una vera
anarchia.
La nuova guerra coll'Inghilterra e colla Francia scoppiata il 1860 e
la insurrezione dei Maomettani del nord-ovest prolungarono per
parecchi anni questo stato di cose, ma appena il Governo chinese,
liberatosi in parte dai suoi imbarazzi, potè spedire forze
considerevoli contro i ribelli, questi, che omai aveano perduto
interamente la simpatia delle popolazioni, si trovarono ridotti a
mal partito. Nankin fu accerchiata, quasi tutti i primi compagni di
Rong-Sieou-Tsien, i soli capaci di vedute politiche e larghi
concetti, erano periti, e questi, attorniato da una massa
raunaticcia pronta a saccheggiare come a tradirlo, disperando di
resistere ancora, si avvelenò nel suo palazzo il 30 giugno
1864. Venti giorni dopo le truppe imperiali, padrone di Nankin,
decapitavano il giovane figlio del defunto capo dei ribelli, e
soffocavano atrocemente nel sangue una rivolta che tra il sangue si
era mantenuta219.
Adunque, anche nel Celeste Impero, come nei paesi maomettani e come
in gran parte è accaduto in Europa, l'idealità della
concezione politica, in nome della quale nacque la rivoluzione, si
turbò e si perdette quasi interamente appena si entrò
nel periodo della sua attuazione.
Ed un altro punto di contatto possiamo trovare fra la insurrezione
del Taè-ping e quelle europee nel fatto che anche in China il
movimento rivoluzionario fu preceduto e preparato dalle
società secrete. Infatti, fin dal secolo decimottavo, si
è avvertita colà l'opera di associazioni occulte, che
mantengono vivo il malcontento del popolo l'odio contro la dinastia
straniera220. Esse del resto sono sopravvissute alla rivolta, che
avevano contribuito a suscitare. Pare anzi che all'opera loro si
debbano gli assassinii di parecchi europei, diretti a suscitare al
Governo di Pechino imbarazzi colle Potenze occidentali, e che a
queste società siano affiliati, proprio come accade in paesi
molto più noti della China, patrioti ardenti e
disinteressati, malfattori che del legame settario si valgono per
procacciarsi l'impunità, e perfino funzionari che ne
approfittano alle volte per far carriera.
IV. — Fra le rivoluzioni europee hanno un carattere speciale quelle
che rappresentano la reazione di un popolo sottomesso verso il
popolo oppressore. Tali furono l'insurrezione della Svezia contro la
Danimarca sotto Gustavo Wasa, quella dell'Olanda contro la Spagna,
della Spagna stessa contro la Francia nel 1808, della Grecia contro
la Turchia, dell'Italia contro l'Austria, della Polonia contro la
Russia. Queste insurrezioni somigliano più alle guerre
esteriori fra due popoli anzichè alle lotte civili, e sono
quelle che più facilmente riescono. Oggi però coi
grossi eserciti stanziali che abbiamo, il popolo che insorge, per
avere forti probabilità di vittoria, deve già godere
di una semi-indipendenza, in maniera che una parte di esso sia
militarmente bene organizzata.
Nella Spagna nel 1808, oltre alle famose guerrillas, anche gli
eserciti regolari presero parte attivissima a favore
dell'insurrezione; in Italia al 1848 l'esercito piemontese ebbe la
parte principale nella lotta contro lo straniero, e le truppe
regolari del Piemonte insieme agli alleati francesi diedero nel 1859
i colpi che decisero della sorte della penisola. Anche la Polonia,
nel 1830 e 31, potè lottare quasi un anno contro il colosso
russo, perchè esisteva fino allora un esercito polacco, che
sposò la causa nazionale. L'insurrezione del 1863 e 1864
condotta da sole bande irregolari ebbe infatti risultati assai meno
importanti e fu repressa mercè sforzi assai minori.
Nella stessa classe di rivoluzioni va messa quella degli Stati Uniti
contro l'Inghilterra. Si sa che le colonie anglo-americane godevano,
anche prima del 1776, una larghissima autonomia; sicchè
quando si strinsero in confederazione e proclamarono l'indipendenza,
poterono facilmente, un po' colle antiche milizie dei vari Stati, un
po' coi volontari, organizzare una forza armata colla quale tennero
in bilico le truppe mandate dalla madre patria a soggiogarli,
finchè, soccorsi dalla Francia, riuscirono ad emanciparsi
interamente.
Quando scoppiò la rivoluzione inglese del 1643 l'Inghilterra
non era ancora uno Stato burocratico, ed il Re Carlo I non poteva
disporre che di uno scarsissimo esercito stanziale. Sicchè
dalla parte del Parlamento combatterono in principio le milizie dei
Comuni, dalla parte del Re sostennero principalmente il peso della
lotta i nobili di campagna, ossia i Cavalieri.
Questi erano assai più esercitati nelle armi e furono sulle
prime facilmente vittoriosi, ma quando Cromwell seppe formare pria
un reggimento e poi un esercito di truppe stanziali e disciplinate,
allora la lotta non fu più possibile; ed alla testa di
quell'esercito il lord protettore non solo vinse i Cavalieri, ma
sottomise la Scozia e l'Irlanda, tenne a posto i Livellatori,
mandò a casa poco garbatamente il lungo Parlamento e divenne
il padrone assoluto delle isole britanniche. Certo la memoria di
questi fatti per lungo tempo rese diffidenti gl'Inglesi, amanti
delle costituzionali franchigie, verso le truppe stanziali; essa
fece sì che si lasciassero mancare a Carlo II e Giacomo II i
mezzi per mantenere un grosso esercito stanziale, che si cercassero
tutti i modi di tenere esercitate le milizie delle contee, e che si
costringesse lo stesso Guglielmo d'Orange a rinviare nel continente,
con suo grande rammarico, quei vecchi reggimenti olandesi alla testa
dei quali aveva rovesciato l'ultimo degli Stuardi.
V. — Altro fenomeno sociale importante troviamo nelle insurrezioni
contadinesche piuttosto frequenti in diverse contrade di Europa
nella seconda metà del secolo decimottavo e nella prima
metà di quello decimonono. Tali furono, a tacere di quelle
che scoppiarono in Russia al principio dell'impero di Caterina II,
sotto colore di rimettere sul trono diverse persone che si
spacciavano per lo Czar Pietro III morto assassinato, e di quella
spagnuola del 1808 alla quale prese parte tutta la nazione, la
grande insurrezione della Vandea nel 1793, quella del Napoletano nel
1799 contro la repubblica partenopea, l'altra dei calabresi contro
Giuseppe Bonaparte del 1808, quella del Tirolo nel 1809 e le diverse
insurrezioni carliste della Biscaglia e della Navarra.
Il Macaulay, parlando della insurrezione rurale che fu capitanata da
Moumouth all'epoca di Giacomo II, osserva che essa fu possibile,
perchè allora in Inghilterra i contadini erano tutti un po'
militari. E veramente una seria insurrezione delle plebi agricole
è solo possibile dove esse hanno una certa abitudine alle
armi; o almeno dove la caccia, o il brigantaggio, o le lotte di
famiglia e di campanile mantengono la famigliarità coi colpi
di fucile.
Nella Russia i moti che abbiamo già accennati, dei quali il
più importante venne capitanato da Pugatcheff, furono una
conseguenza dell'odio che i contadini, i cosacchi, e tutti gli
scorridori abituati alla libertà della steppa, nutrivano per
l'accentramento burocratico, che allora si andava accentuando e
contro gli impiegati tedeschi, che di questo accentramento erano
ritenuti principali autori. Però gl'insorti mantennero sempre
un carattere, che ora si direbbe lealista, perchè sostenevano
che il vero Czar si trovava nel loro campo, e che la Czarina, che
risiedeva a Pietroburgo ed a Mosca, era una usurpatrice. Sentimenti,
da un lato conservatori e dall'altro lato avversi alla soverchia
ingerenza dello Stato, troviamo anche in tutte le insurrezioni
contadinesche, generalmente avvenute quando i partiti novatori
trionfanti, in nome della civiltà e del progresso, hanno
voluto imporre sacrifici nuovi. I Vandeisti, infatti, per quanto
malcontenti della Repubblica che perseguitava i loro curati,
benchè irritatissimi per il supplizio di Luigi XVI, si
sollevarono in massa soltanto nel marzo 1793 quando la Convenzione
decretò una leva generale. I contadini del Napoletano nel
1799, oltrechè lesi dai novatori nelle loro abitudini e nelle
loro credenze, furono dalle truppe francesi taglieggiati e
saccheggiati in malo modo. Nella Spagna nel 1808, oltre al
sentimento cattolico e nazionale altamente offeso, dicevasi e
credevasi che gl'invasori francesi venissero provveduti di gran
numero di manette, che dovevano servire a condurre fuori del paese
tutta la gioventù destinata ad essere arruolata negli
eserciti napoleonici221. Nella Biscaglia e nella Navarra spagnuola
le diverse insurrezioni carliste sono state in gran parte causate
dalla gelosia colla quale queste provincie hanno tutelato il
mantenimento degli antichi fueros, che loro assicuravano molte
immunità rispetto ai pubblici pesi ed un'amministrazione
locale quasi indipendente.
I primi capi delle insurrezioni rurali sogliono essere per cultura e
condizione sociale di poco superiori ai contadini. Il famoso
cabecilla spagnuolo Mina era un mulattiere; nel Napoletano al 1799
il solo Rodio era un leguleio di provincia, ma Pronio, Mammone e
Nunziante facevano prima i mugnai o i sotto-ufficiali. Andrea
Hoffer, il capo della insurrezione tirolese del 1809, era un agiato
oste: i moti iniziali dell'insurrezione vandeista furono diretti dal
barbiere Gaston, dal vetturale Cathelinau e dal guardacaccia
Stofflet. Se però le classi superiori aderiscono
all'insurrezione, dando ad essa forza e consistenza, presto sorgono
altri capitani di una condizione sociale superiore. Fu così
che in Vandea i contadini andarono ai castelli dei signori,
naturalmente esitanti perchè capivano meglio le
difficoltà dell'impresa, e li persuasero o li costrinsero
quasi a mettersi alla loro testa. Così furono trascinati
nell'azione i gentiluomini Lescure, Bonchamps, Larochejacquelin e
Charette. Quest'ultimo, freddo, astuto, di un'attività e di
un'energia indomabili, spiegò subito tutte le doti di un
perfetto capoparte; sicchè, invece di frenare gli eccessi dei
suoi seguaci, fece loro commettere tutte le vendette che vollero, al
fine di comprometterli e legarli irrevocabilmente alla causa della
ribellione. Fra i capi delle rivolte rurali e conservatrici il solo
che possa essere paragonato a lui è il biscaglino
Zumalacarreguy, capo supremo della prima insurrezione carlista, che
anch'egli era un piccolo gentiluomo campagnuolo.
Un carattere comune alle insurrezioni conservatrici dei contadini,
come a quelle che in nome della libertà e del progresso si
fanno nelle grandi città, è il seguente: per poco che
esse durino presto si forma una classe di persone che vi prende
gusto ed ha interesse a continuarle. Il primo movimento può
avere un carattere di universalità, ma ben tosto nella massa
si distinguono coloro che, una volta lasciate le abituali
occupazioni, non vogliono tornarvi, perchè sentono
svilupparsi l'istinto della lotta e delle avventure. Vi sono infatti
uomini, che non hanno attitudine per farsi molto avanti nei momenti
ordinari della vita sociale, ma al contrario sanno farsi valere nei
momenti eccezionali, come sono le guerre civili; costoro hanno
naturalmente la tendenza a che l'eccezione diventi regola generale.
Cosi vediamo che, dopo la prima fase, la più grandiosa
dell'insurrezione vandeista, che si chiuse colla terribile rotta di
Savenay, la guerra si prolungò ancora per anni,
perchè, attorno ai capi, si erano formati nuclei di uomini
risoluti, che altro mestiere non volevano esercitare che quello del
partigiano. Più si accentua questa tendenza quando la
rivoluzione è un mezzo di far rapida fortuna, come avvenne a
Rodio ed a Pronio, che diventarono di botto generali, ed a Nunziante
e Mammone, che furono riconosciuti colonnelli. Nella Spagna il
lievito rivoluzionario lasciato dai sei anni della guerra
d'indipendenza fermentò nelle successive guerre civili, nelle
quali il nocciolo delle insurrezioni fu sempre formato da
avventurieri che speravano fortune ed avanzamenti; poichè
molti gradi furono colà guadagnati servendo ed abbandonando
in tempo le diverse parti combattenti222.
VI. — Le rivoluzioni che rappresentano fatti sociali apparentemente
più strani, perchè dovuti a condizioni politiche
più speciali, sono senza dubbio quelle scoppiate in Francia
durante il secolo decimonono. Esse sono state infatti rese possibili
solo da una eccessiva burocratizzazione e da altre circostanze
peculiari alle quali brevemente accenneremo.
Non mettiamo nel novero la grande rivoluzione del 1789, che fu una
vera dissoluzione delle classi e delle forze politiche che fin
allora avevano diretto la Francia. Si sa che allora
l'amministrazione e l'esercito, disorganizzati completamente
dall'inesperienza dell'Assemblea nazionale, dall'emigrazione e dalla
propaganda dei clubs, non furono per parecchio tempo più al
caso di far rispettare le decisioni di qualunque governo223.
Sicchè il potere caduto dalle mani del Re non fu raccolto da
un ministero che aveva la fiducia dell'Assemblea costituente, ed
appartenne volta per volta alla setta od all'uomo che, in un dato
giorno, sapea farsi seguire a Parigi da un nucleo di forza armata;
fosse questi La Fayette a capo della guardia nazionale o Danton
colla plebe dei sobborghi armata di picche.
Però fin d'allora comincia a manifestarsi una tendenza che si
andrà vieppiù accentuando nella prima metà del
secolo decimonono. Coloro che dirigevano le insurrezioni cercavano
sempre di impadronirsi della persona o delle persone, che
rappresentavano il simbolo o l'istituzione alla quale la Francia, o
per antica tradizione o per fede nei principii nuovi, obbediva; ed,
una volta riusciti nel loro intento, erano realmente padroni del
Paese.
Così fecero gli insorti al 6 ottobre 1789, quando, obbedendo
evidentemente ad una parola d'ordine, andarono a Versailles e
s'impadronirono del Re. Abolita la monarchia, fu contro la
Convenzione nazionale che si diressero i colpi di mano, come quello
del 31 maggio 1793 che fece l'Assemblea la quale rappresentava la
Francia, schiava di un pugno di marmaglia parigina. La provincia
tentò allora di reagire, ma invano, perchè l'esercito
restò obbediente ai comandi che venivano dalla capitale in
nome della Convenzione, per quanto fosse notorio che questa era
coartata.
La stessa generale acquiescenza per tutto ciò che avveniva
nella sede del Governo contribuì molto al felice risultato
dei diversi colpi di stato, che avvennero sotto il Direttorio e fino
allo stabilirsi dell'impero napoleonico.
Ma forse ancora più caratteristico è quello che
avvenne nel 1830, nel 1848 e nel 1870. Dopo un combattimento
più o meno lungo, qualche volta relativamente
insignificante224, con quella frazione di truppe, che difendeva
nella capitale i fabbricati dove stavano i rappresentanti del
supremo potere fin allora riconosciuto legittimo, la folla armata e
disarmata fece fuggire sovrani e ministri, sciolse le assemblee e
tumultuariamente formò un Governo, composto di uomini
più o meno noti al paese, i quali s'insediarono nei luoghi
dove gli antichi capi del Governo erano soliti a governare, e di
là, coadiuvati quasi sempre dai soliti funzionari,
telegrafarono alla Francia che, grazie al popolo vittorioso, essi
erano diventati i padroni del Paese; e Paese, amministrazione ed
esercito prontamente li obbedirono. Pare la storia della lanterna
maravigliosa di Aladino, la quale quando, per caso od astuzia,
capitava in mano ad uno, fosse egli anche un semplice ed ignorante
fanciullo, subito i genii lo servivano ciecamente e rendevano il
possessore più ricco e potente dei sultani dell'Oriente,
senza che nessuno gli domandasse come e perchè il prezioso
talismano fosse pervenuto nelle sue mani.
Si può obiettare che nel 1830 il Governo era diventato cieco
strumento del partito legittimista, che era uscito dalla
legalità, che una gran parte della Francia era decisamente
contraria all'indirizzo politico che esso seguiva e che una parte
stessa delle truppe agì mollemente o non agì del tutto
nel momento decisivo. La catastrofe del 1870 contribuisce pure a
spiegarci il cambiamento di Governo, che allora in Francia ebbe
luogo. Ma nessun elemento di questo genere abbiamo per renderci
ragione della subitanea rivoluzione del 1848: nè le Camere,
ne la burocrazia, nè l'esercito avevano allora simpatie per
il Governo repubblicano, la maggior parte dei dipartimenti vi era
contraria225; a Parigi stessa la guardia nazionale, in febbraio
oscillante, perchè desiderava la caduta del Ministero Guizot,
nel marzo e nell'aprile successivi fece manifestazioni reazionarie.
Eppure bastarono poche ore di titubanza perchè Luigi Filippo,
la sua famiglia ed i suoi ministri dovessero fuggire non da Parigi,
ma dalla Francia, le Camere fossero annullate ed un Governo
provvisorio, i cui membri furono, in mezzo ad una folla tumultuante,
proclamati al Palazzo Borbone, assumesse, di punto in bianco, la
direzione politica della Francia.
Il cittadino Caussidière, fino al giorno avanti perseguitato
dalla polizia, alla testa di un gruppo d'insorti e con le mani
ancora sporche di polvere, andò nel pomeriggio del 24
febbraio 1848 alla Prefettura di polizia e, fin dalla stessa sera,
ne divenne il capo ed il direttore. L'indomani tutti i capi servizio
gli promisero la loro fedele cooperazione e, volenti o nolenti,
mantennero la promessa226.
Il Blanc, nella prefazione dell'opera testè citata, dice che
Luigi Filippo cadde principalmente perchè i suoi fautori lo
sostenevano per interesse non già per devozione personale.
Secondo quest'autore, aveva il Re borghese pochi nemici, molti
cointeressati, ma al momento del pericolo non si trovò un
amico. Questa ragione crediamo che abbia un valore molto limitato;
giacchè non ci pare che tutti coloro che sostengono una forma
di governo debbano avere affezione personale od amicizia
disinteressata per l'individuo, che di questa forma sta a capo. Anzi
questi sentimenti non possono essere sinceramente sentiti che dalle
poche persone o poche famiglie, che stanno nella sua
intimità. La devozione politica per un sovrano o anche per il
capo di una repubblica è tutt'altra cosa. Piuttosto, come
abbiamo già accennato, ci pare invece che la causa principale
dei subitanei rivolgimenti della Francia sia il soverchio
accentramento burocratico, peggiorato dal regime parlamentare, il
quale fa sì che gli impiegati siano già abituati ai
cambiamenti di padrone e d'indirizzo e sappiano per esperienza che a
contentare chi sta in alto ci si guadagna molto e che a scontentarlo
ci si perde assai.
Con un simile regime ciò che abbisogna alla gran maggioranza
dell'esercito, della burocrazia ed anche a quella parte della
popolazione che per interesse od istinto ama l'ordine, è un
governo, non un dato governo; sicchè coloro che di fatto
stanno a capo della macchina dello Stato trovano sempre le forze
conservatrici pronte a sostenerli e l'intiero organismo politico si
muove quasi ugualmente, qualunque sia la mano che lo faccia agire.
Certo con questo sistema si può ottenere piuttosto un
cambiamento nelle persone che hanno in mano il supremo potere,
anzichè nel vero indirizzo politico di una società; e
ciò appunto è accaduto in Francia dopo il 1830, il
1848 ed il 1870: giacchè, se si vuole tentare un mutamento
più radicale, gli stessi governanti usciti dalla Rivoluzione
sono trascinati ad impedirlo, come avvenne nel giugno 1848 e nel
1871, dagli elementi conservatori che sono i loro strumenti e nello
stesso tempo i loro padroni.
È pure indiscutibile che un forte sentimento della
legalità e della legittimità del Governo preesistente
ostacolerebbe l'obbedienza passiva ad un nuovo regime sorto dalle
barricate, ma un sentimento di questo genere per nascere ed
affermarsi ha bisogno del tempo e della tradizione, ed in Francia
troppo rapidi furono i cambiamenti avvenuti fino al 1870
perchè la tradizione vi potesse attecchire. Bisogna
finalmente tener presente che, durante il secolo decimonono, in
Francia ed in gran parte d'Europa le minoranze rivoluzionarie hanno
potuto fare assegnamento non solo sulla simpatia delle masse povere
ed incolte, ma anche, e principalmente forse, su quelle delle
classi, che pure hanno una certa cultura. A torto od a ragione, si
è, per tre quarti di secolo, insegnato alla gioventù
che molte fra le più importanti conquiste della vita moderna
si sono ottenute in seguito alla grande rivoluzione o colle
rivoluzioni. Data una simile educazione, non è da
maravigliare se i tentativi e le vittorie dei rivoluzionari non
siano vedute con ripugnanza dalla generalità, fino a tanto
almeno che non ne minacciano o danneggiano seriamente gli interessi
materiali227. Naturalmente i sentimenti ai quali abbiamo accennato
devono essere per un pezzo più forti e diffusi in quei paesi
nei quali gli stessi Governi di fatto o legali sono usciti da una
rivoluzione; in modo che, pur condannando le ribellioni in genere,
devono pur celebrare quella buona, quella santa insurrezione dalla
quale ripetono la loro origine.
VII. — Uno dei modi principali mercè i quali la tradizione e
le passioni rivoluzionarie si sono mantenute in molti paesi d'Europa
sono le società politiche, specialmente quelle segrete. E nel
loro seno infatti che si educano i gruppi dirigenti, che sanno poi
fomentare le passioni delle masse e condurle verso un dato fine.
Quando si potrà scrivere imparzialmente la storia del secolo
decimonono essa si dovrà molto occupare dell'efficacia colla
quale qualche società segreta molto diffusa ha saputo
spargere le idee liberali e democratiche, modificando profondamente
e rapidamente l'indirizzo intellettuale di una gran parte della
società europea. Giacchè, se non si tenesse conto di
una propaganda attiva, organizzata e ben diretta, difficilmente si
potrebbe spiegare come certi modi di vedere, che sulla fine del
secolo decimottavo erano patrimonio dei salotti eleganti e di una
società ristrettissima, ora si sentono ripetere in fondo ai
più remoti villaggi da persone ed in ambienti, che certo non
si sono modificati in forza di una cultura propria.
Se però nella preparazione intellettuale e morale delle
rivoluzioni le associazioni, sia palesi che segrete, ordinariamente
eccellono, lo stesso non si può dire quando si tratta di
spingere le masse all'azione immediata, di suscitare un movimento a
mano armata in un dato punto ed in un giorno stabilito;
perchè allora società e congiure, per una volta che
riescono, dieci volte almeno falliscono. La ragione è
evidente: per lanciare una rivoluzione non bastano gli spostati
pronti ad ogni rischio, che si trovano in tutte le grandi
città europee, ma bisogna anche la cooperazione di una parte
notevole delle masse. Or queste non si commuovono senza che vi sia
un gran fermento negli spiriti causato da avvenimenti, che i Governi
spesso non sanno o non possono evitare, ma che nello stesso tempo le
società rivoluzionarie non possono creare, e dei quali
perciò possono soltanto trarre abilmente profitto. Una grande
speranza delusa, un rapido peggioramento delle condizioni
economiche, una sconfitta toccata all'esercito nazionale o una
rivolta vittoriosa di un paese vicino sono tutti fatti molto adatti
a sovracccitare una moltitudine già preparata dall'educazione
rivoluzionaria. Allora il nucleo dei ribelli stabilmente
organizzato, se sa profittare del momento, può sperare un
successo; ma se al contrario si lancia solo nell'azione, senza alcun
sussidio di circostanze eccezionali, viene infallibilmente e con
facilità sopraffatto, come accadde in Francia in occasione
dei moti del 1832, 1834, e 1840. Perciò le Polizie, che
d'ordinario si preoccupano poco della propaganda dei principii e
stanno solo attente a prevenire e sventare i colpi di mano dei
gruppi rivoluzionari, dei quali riescono abbastanza facilmente a
conoscere i progetti e le intenzioni immediate mercè qualche
spia che insinuano nel loro seno228, danno prova di quella
meschinità di vedute, che pare una qualità comune e
quasi fatale in tutte le presenti istituzioni conservatrici.
In Francia, in Spagna ed anche in Italia si trova qualche
città, nella quale è più facile trascinare le
masse sulle barricate. È questo uno dei tanti effetti
dell'abitudine e della tradizione, per le quali una popolazione, che
una volta ha fatto alle fucilate ed ha rovesciato il Governo
costituito, crederà, per una generazione almeno, possibile di
rinnovare con buon esito il tentativo, a meno che ripetuti e
sanguinosi insuccessi non la disingannino. Aggiungiamo che
gl'individui, che hanno parecchie volte affrontato il fuoco,
acquistano una specie d'educazione guerresca e diventano capaci di
battersi meglio229. Malgrado però tutti i vantaggi di tempo,
di luogo, di circostanze, dei quali un movimento rivoluzionario
può fruire, certo ai giorni nostri, coi grossi eserciti
stanziali che abbiamo e mercè i mezzi pecuniari e gli
strumenti bellici, che solo i poteri costituiti sono al caso di
procurarsi, nessun Governo può essere colla forza rovesciato
se gli uomini stessi che lo dirigono non sono per i primi scossi ed
esitanti, o se almeno non sono trattenuti da una forte paura di
assumere la responsabilità di una repressione sanguinosa. Le
concessioni all'ultima ora, gli ordini e contrordini, le titubanze
di coloro che hanno in mano la forza legale e che la debbono
adoperare, sono i veri e più efficaci fattori della riuscita
di una rivoluzione e la storia delle giornate di febbraio 1848
è su questo riguardo molto istruttiva230. Ed è dannosa
illusione il credere che, mentre nei posti più elevati si
tentenna e si ha paura di compromettersi, si possano trovare
ufficiali subalterni che assumano la responsabilità di una
energica iniziativa o anche di una energica esecuzione di ordini
perplessi e contradittori.
Resta ora ad esaminare in che modo si siano costituiti gli eserciti
stanziali e quali siano le condizioni perchè non degenerino
questi organismi complessi e delicati, che, senza turbare
ordinariamente l'equilibrio giuridico delle altre forze sociali,
sono, se saputi ben adoperare, strumenti così efficaci in
mano dei Governi legali. Di ciò tratteremo nel seguente
capitolo.
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — II. Lo
Stato burocratico e gli eserciti mercenari e stanziali. — III.
Preponderanza politica abituale dell'elemento militare. — IV.
Ragioni per le quali questa preponderanza è stata limitata e
distrutta nei paesi di civiltà europea. — V. Importanza
pratica delle moderne milizie cittadine. — VI. Diversità di
classe fra la bassa forza e gli ufficiali in molti eserciti
stanziali. — VII. Giudizi e pregiudizi intorno alle speciali
attitudini militari dei vari popoli. — VIII. Gli eserciti stanziali,
la guerra e l'avvenire della civiltà di tipo europeo.
I. — Nei paesi selvaggi o molto barbari, nei quali la produzione
economica è rudimentale, nel caso abbastanza frequente che si
venga alla guerra, tutti gl'individui maschi ed adulti sono soldati.
Giacchè nelle società primitive, dato che esista la
pastorizia nomade o che vi sia anche un embrione di agricoltura e
d'industria, queste non sono mai così sviluppate da assorbire
interamente l'attività umana; sicchè restano sempre
tempo ed energia sufficienti per darsi alle scorrerie avventurose,
le quali forniscono un'occupazione non solo piacevole ma quasi
sempre lucrosa. Nelle popolazioni dunque alle quali accenniamo, le
arti pacifiche sono lasciate volentieri alle donne o tutto al
più agli schiavi e gli uomini si danno a preferenza alla
caccia ed alla guerra.
Così è accaduto ed accade fra tutte le razze ed in
tutti i climi, quando si trovino le condizioni che abbiamo rilevate:
cosi vivevano gli antichi Germani e fino a pochi anni fa gli avanzi
delle odierne Pelli Rosse, gli Sciti dell'antichità classica
ed i Turcomanni dell'êra moderna, e così vivono fino ad
oggi una parte dei Negri dell'interno dell'Africa e le tribù
ariane, semitiche o mongole, che, nelle regioni più
inaccessibili dell'Asia, hanno potuto conservare un'indipendenza di
fatto.
Un coefficiente favorevole alla durata di questo stato di cose
è la esistenza di organismi politici minimi, l'autonomia di
fatto di ogni piccola tribù o minuscolo villaggio, che
può rendere diuturna la guerra e continui il ladroneggio e le
rappresaglie fra vicini. Difatti anche le tribù barbare
sottomesse ad un Governo regolare che impedisce le guerre intestine,
alla lunga diventano pacifiche; come, ad esempio, è accaduto
in gran parte alle popolazioni nomadi dell'Asia da lungo tempo
sottoposte al Governo chinese ed a quelle fra il Volga e gli
Urali, che pure da un pezzo subiscono il giogo della Russia. Al
contrario, nel Medio Evo, vediamo in Germania ed anche in Italia
popolazioni relativamente colte mantenere costumi molto guerreschi,
perchè divise in feudi e Comuni fra i quali di fatto durava
il diritto del pugno.
Appena però grandi organismi politici, anche rudimentali ed
imperfetti, si vanno costituendo, e sopratutto appena lo sviluppo
economico è più avanzato e la guerra non fornisce
più l'occupazione maggiormente lucrosa, allora vediamo
consacrarsi al mestiere delle armi una classe speciale, la quale
ritrae il proprio sostentamento non tanto dalle prede, che fa sugli
avversari, quanto dai tributi, che, sotto diverse forme, preleva sui
lavoratori pacifici del paese che essa tutela e difende.
Generalmente, siccome in un periodo di mediocre civiltà e
cultura la produzione è quasi esclusivamente agricola, i
guerrieri o sono proprietari delle terre, che fanno da altri
coltivare, o dai lavoratori della terra ritraggono pesanti ed
onerose contribuzioni. Così accadde durante quel periodo
primitivo della classica antichità nel quale la parte
dominatrice e militare della città era costituita unicamente
dai proprietari di terre231, e lo stesso fenomeno si ha più
spiccatamente in tutti i paesi feudalmente organizzati. Lo troviamo
perciò tra i Latini ed i Germani del Medio Evo come anche fra
gli Slavi, presso i quali si determinò più tardi,
perchè più tardi abbandonarono la vita nomade ed
entrarono nel periodo stabilmente agricolo; e lo troviamo pure, in
certe epoche, in China, nel Giappone e nell'India, nella quale era
rientrato in pieno vigore durante quell'epoca di decadenza e di
anarchia, che seguì la dissoluzione dell'impero del Gran
Mogol. Organizzazioni analoghe si possono rintracciare in Turchia,
nell'Abissinia, in Afganistan e nei periodi di decadenza, che si
frappongono fra le diverse fasi dell'antichissima civiltà
egiziana; in tutte quelle società, insomma, che non hanno
ancora abbandonato quel primo e più rozzo periodo di cultura,
che possiamo in una grande nazione trovare, ovvero che, dopo avere
raggiunto una civiltà molto più avanzata, per ragioni
interne ed esterne decadono, si decompongono, e, come tipo sociale,
si trasformano e periscono, come fu il caso dell'Impero romano232.
II. — Quando però la civiltà degli Stati feudali va
aumentando, non tarda a manifestarsi in essi la tendenza verso la
centralizzazione e perciò verso l'ordinamento burocratico.
Dappoichè il potere centrale cerca costantemente di
emanciparsi dalla necessità di ricorrere alla buona
volontà dei piccoli organismi politici, che formano lo Stato;
buona volontà che non è sempre pronta e
disinteressata. Quindi, anche per tenerli ubbidienti e disciplinati,
cerca di fornirsi direttamente dei mezzi coi quali efficacemente si
impone la propria volontà agli altri uomini: il denaro,
cioè, ed i soldati. È così che si vanno creando
i corpi mercenari, che sono a servizio diretto del capo dello Stato,
e questo fatto è cosi naturale e costante, che, in embrione
almeno, lo troviamo in tutti i paesi feudalmente organizzati.
Al giorno d'oggi infatti il Negus d'Abissinia, oltre il contingente
che gli forniscono i vari Ras, ha un primo nucleo di armati formato
dalle guardie addette alla sua persona, che egli mantiene
direttamente colle requisizioni che affluiscono a Corte, ed anche
dai servitori della sua casa, beccai, palafrenieri e panattieri, che
seguono l'Imperatore dappertutto ed all'occorrenza diventano
soldati233.
Anche nella Bibbia troviamo che il primo nucleo dell'esercito di
David e dei suoi successori era composto dai guerrieri che
mangiavano alla mensa del Re e dai mercenari Cretesi e Filistei;
tutta gente molto provetta nelle armi, la quale represse la rivolta
capitanata da Assalonne sebbene fosse secondata dalla maggioranza
del popolo234. Il Renan crede anzi che questo fatto di un nucleo di
sbirri stranieri presi al servizio del Governo centrale sia proprio
soltanto dei popoli semitici, presso i quali lo spirito di
tribù e di famiglia è così forte, che gli
elementi indigeni non riescono adatti a far rispettare i diritti
dello Stato, che vengono sempre posposti agli interessi della
propria fazione. Ma in verità pare a noi che ciò
accada dappertutto dove l'aggregato sociale si componga di piccoli
nuclei provvisti di tutti gli organi necessari ad una vita
indipendente e che quindi possono facilmente ribellarsi al potere
centrale. Sicchè il Re d'Inghilterra, che nel Medio Evo
procurava di assoldare Fiamminghi e Brabanzoni, il Re di Francia che
si circondava di Svizzeri, il signore italiano che stipendiava i
Tedeschi, in fondo obbedivano alle stesse necessità politiche
che spingevano i Re di Giuda ad assoldare Filistei e Cretesi, e
spinsero più tardi i Califfi di Bagdad ad assoldare la
guardia turca.
A nostra conoscenza solo il genio organizzatore di Roma portò
a tale perfezione l'ordinamento degli eserciti cittadini reclutati
nella classe dominatrice ed agiata e composti d'individui che
pigliavano le armi solo in caso di bisogno, da renderne possibile,
senza scosse e quasi insensibilmente, la trasformazione in un vero e
proprio esercito stanziale formato di soldati di mestiere235.
Generalmente però l'inizio degli eserciti stanziali si deve
trovare nei nuclei di mercenari indigeni o stranieri che il potere
centrale assolda per avere un punto di appoggio di fronte alle altre
forze militari feudalmente organizzate. La nazionalità dei
mercenari stessi può qualche volta essere stata determinata
da ragioni politiche e forse anche da abitudini ed attitudini
tradizionali, ma il criterio che più comunemente ha prevalso
è senza dubbio quello economico del minimo mezzo col massimo
risultato: cioè di avere il maggior numero possibile di
soldati colla minima spesa.
Perciò sono stati sempre i paesi relativamente poveri di
capitali e ricchi di popolazione, nei quali il tempo e la vita degli
uomini si possono avere a più buon patto, quelli che hanno
fornito, come regola generale, i contingenti più importanti
alle truppe assoldate236.
III. — Stranieri o indigeni i mercenari stabilmente organizzati, una
volta diventati la forza preponderante di un paese, hanno sempre
cercato d'imporsi al resto della società. Come la classe
feudale, essi, una volta conseguito il monopolio delle armi, ne
hanno profittato per ottenere privilegi, per vivere quanto
più grassamente è stato possibile alle spalle dei
lavoratori, e sopratutto per ridurre alla loro dipendenza il supremo
potere politico; e la loro influenza è stata tanto più
esclusiva quanto più perfetta era la loro organizzazione e
quanto più completa la disorganizzazione militare del resto
della nazione.
Alcuni esempi in proposito sono a tutti familiari e, senza
rammentare i pretoriani e le legioni che disponevano dell'Impero
romano, diremo che quasi ogni volta che i Governi, per reagire
contro l'anarchia feudale o per altre ragioni, hanno creato corpi di
truppe stanziali, si sono poi trovati quasi sempre in balia di
questi. Ivano IV di Russia, per non dipendere interamente dai
contingenti forniti dai boiardi e poter governare più
assoluto, formò il corpo degli strelitzi stabilmente
assoldato, e che dipendeva direttamente dal Sovrano; e ben tosto gli
strelitzi fecero e disfecero gli czar, diventarono quasi i padroni
della Russia, e Pietro il Grande non se ne potè liberare
altrimenti che mitragliandoli e decapitandoli a migliaia. A
Costantinopoli i Sultani vollero anch'essi avere una milizia
completamente fida, che all'occorrenza marciasse senza scrupoli, non
solo contro gl'infedeli, ma anche contro gli scheiks degli Arabi e
dei Kurdi, i begs albanesi e bosniaci ed i kan dei Turcomanni e dei
Tartari, perchè formata da gente senza patria e senza
famiglia, educata esclusivamente nella devozione all'Islam ed al
Padischiàh; e crearono i giannizzeri reclutati con fanciulli
circassi, greci e di altre nazioni cristiane, comprati o rapiti
giovanissimi alle loro famiglie. E ben tosto i giannizzeri crearono
e deposero i Sultani, furono i veri padroni dell'Impero degli
Osmanli, strangolarono l'infelice Selim III, che primo volle frenare
la loro onnipotenza, ed il sultano Mahmud dovette sterminarli per
vincerli.
Ed i sultani di Costantinopoli avrebbero potuto far tesoro
dell'esperienza degli Abbassidi di Bagdad, loro predecessori nel
califfato. Costoro fin dagli inizi del nono secolo, e forse anche
prima, per avere una milizia fida, che non avesse la tentazione
d'innalzare lo stendardo dei Fatimiti o dogli Ommeiadi, come non di
rado facevano le truppe arabe, avevano formato la guardia turca. A
partire dal califfo Motasem (833-842), questa guardia divenne
onnipotente ed i mercenari turchi commisero in Bagdad ogni sorta di
eccessi. Il successore di Motasem, di nome Vatek, fu dai Turchi
deposto e surrogato col fratello Al-Motavakel e poi in quattro anni
(806-870) essi fecero e disfecero tre altri califfi; finchè
il califfo Motamed, dopo la morte di Musa loro capo, potè
alquanto imbrigliarli e, sparpagliatili sulle frontiere del Khorasan
e della Dsungaria, riguardava come proprie vittorie le sconfitte che
essi toccavano.
In conclusione la storia c'insegna che ordinariamente la classe che
ha portato la lancia od il fucile si è imposta all'altra, che
ha maneggiato la vanga o la spola. Appena una società
è tanto progredita che la produzione economica debba
assorbire un gran numero di braccia e d'intelligenze, fra popoli
civili dati abitualmente alle occupazioni pacifiche, il dichiarare
in principio che tutti sono soldati, quando non vi è una
salda organizzazione militare ed un nucleo di capi e di ufficiali
particolarmente consacrati al mestiere delle armi, equivale in
pratica a non avere nel momento del pericolo alcun soldato e ad
esporre un paese popolatissimo a restare in balia di un piccolo
esercito, nazionale o straniero, purchè sia ben esercitato ed
organizzato. Dall'altro lato l'affidare il mestiere delle armi
esclusivamente a quella frazione della società, che
spontaneamente vi è più adatta e volontariamente lo
assume, sistema che pare il più naturale ed ovvio, e che
molti popoli nel passato hanno adottato, presenta pure gravissimi e
vari inconvenienti. In una società disorganizzata, in ogni
villaggio si formerà una banda di uomini composta da coloro,
che avranno più ripugnanza al lavoro metodico e più
inclinazione alle avventure ed alla violenza, e questa banda ed il
suo capo tiranneggeranno i pacifici lavoratori senza regola
nè legge. In una società semi-organizzata, l'insieme
di queste bande costituirà la classe dominatrice, che
sarà signora e padrona di tutta la ricchezza e l'influenza
politica, come fu il caso della feudalità medioevale
nell'occidente di Europa e della nobiltà polacca fino a poco
più di un secolo fa. In uno stato burocratico, che
rappresenta il tipo di organizzazione sociale più complicato,
l'esercito stanziale, che comprenderà tutti gli elementi
più belligeri e saprà facilmente e prontamente
obbedire ad unico impulso, facilmente s'imporrà al resto
della società.
Il gran fatto moderno, quasi generale nelle nazioni di
civiltà europea, di grossi eserciti stanziali rigidi custodi
della legge, ossequenti agli ordini dell'autorità civile, e
la cui importanza politica è scarsa ed indirettamente
esercitata, se non è assolutamente senza esempio nella storia
umana, rappresenta quindi una fortunata eccezione. Solo l'abitudine
di poche generazioni e la dimenticanza del passato fanno sì
che esso sembri normale a noi, che abbiamo vissuto sulla fine del
secolo decimonono e sul principio del ventesimo e che troviamo
strano quando questo stato di cose subisce qualche eccezione237. Ma
in verità un simile risultato si è potuto ottenere
solo in grazia ad un grande e sapiente sviluppo di quei sentimenti
sui quali è basata la difesa giuridica, e sopratutto
mercè una serie di circostanze storiche eccezionalmente
favorevoli, che sarà nostra cura di brevemente rammentare.
Accenniamo fin da ora che non è impossibile che altre
circostanze storiche, che si vanno elaborando, riescano ad
indebolire ed a sfasciare il complicato, delicato e sapiente
meccanismo degli eserciti moderni; ciò che ci ricondurrebbe
ad un tipo di organizzazione militare, forse più naturale e
più semplice, ma certo anche più barbaro e meno adatto
ad una difesa giuridica perfezionata.
IV. — La lenta elaborazione storica per la quale si è
arrivati alla costituzione dei moderni eserciti stanziali rimonta
alla fine del Medio Evo. Fu durante il secolo decimoquinto che, in
Francia dapprima, e poi nelle altre regioni d'Europa la monarchia
accentratrice, madre dello Stato burocratico moderno, andò
sostituendo le truppe stanziali alle milizie feudali. Se fin
d'allora l'Europa ebbe relativamente poco a soffrire dalle
insurrezioni e dalle sovrapposizioni militari, ciò si deve al
fatto che la sostituzione avvenne lentamente, gradatamente e che,
anche sulla fine del Medio Evo, la costituzione degli eserciti
europei fu complicata in guisa che diversi e disparati elementi
sociali vi erano rappresentati e si bilanciavano a vicenda. La
cavalleria infatti, al principiare del periodo storico al quale
abbiamo accennato, era in generale formata dagli uomini d'arme,
gentiluomini di nascita, profondamente imbevuti di spirito
aristocratico e feudale, che stavano però al soldo del Re;
mentre la fanteria era una raccolta di avventurieri di vari paesi.
Poco a poco prevalse il sistema di affidare anche il comando dei
reggimenti e poi delle compagnie di fanteria a gentiluomini, per
nascita ed indole diversi dai loro soldati. Inoltre, fino a Luigi
XIV ed anche dopo, si prolungò l'antico uso che un signore
raccoglieva per conto suo uno squadrone, un reggimento, una
compagnia fra gli uomini delle sue terre, e con il corpo già
formato si metteva al soldo di un sovrano. In caso di bisogno poi si
supponeva sempre che il Re potesse convocare sotto le armi tutta la
nobiltà del Reame238.
Malgrado però che la mescolanza dei vari elementi sociali e
delle varie nazionalità avesse impedito agli eserciti del
cinquecento e della prima metà del seicento di diventare
padroni degli Stati che servivano, pure non era cosa facile il
mantenere una tollerabile disciplina fra truppe formate dagli
avventurieri di ogni paese ed in gran parte dalla zavorra della
società. Se restarono proverbiali gli eccessi dei
lanzichinecchi tedeschi e dei micheletti spagnuoli, non è a
credere che i reggimenti francesi, svizzeri od italiani, croati o
walloni, si diportassero molto meglio. Bisogna leggere la
corrispondenza di don Giovanni d'Austria per vedere con quanti
stenti, con quanta destrezza ed energia del capitano e degli
ufficiali fosse mantenuta una disciplina molto relativa fra le
truppe che repressero la rivolta dei Mori negli Alpuxarres, che
s'imbarcarono nelle galee che vinsero a Lepanto e che servirono
nella guerra di Fiandra. Già nei primi anni del secolo
decimosesto il cardinale Ximenes all'udire che un esercito
spagnuolo, sbarcato per conquistare Algeri, era stato sconfitto e
quasi distrutto, dicesi che abbia esclamato: "Dio sia lodato; ecco
finalmente liberata la Spagna da tanti mali arnesi!". Ed alla fine
dello stesso secolo, fra le cose impossibili che Cervantes faceva
desiderare al curato ed al farmacista del villaggio dove nacque il
cavaliere della Mancia, ci era anche questa: che i soldati, che
dall'interno del paese si avviavano ai porti per imbarcarsi per
l'estero, non saccheggiassero per la via i contadini loro
connazionali. Sono note poi le gesta delle milizie di tutti i paesi,
che combatterono nella famosa guerra dei trent'anni. In Inghilterra
una delle cause principalissime per le quali si mantenne a lungo
l'avversione agli eserciti stanziali fu la paura della vita
licenziosa che menavano i soldati di mestiere. Sotto Giacomo II fu
famoso per stupri e rapine un reggimento inglese tornato in patria
dopo avere servito alcuni anni in Tangeri sotto il colonnello Kirke.
Siccome questo reggimento portava nella bandiera per insegna un
agnello, i soldati che di esso facevano parte furono, con umorismo
britannico, soprannominati gli agnelli di Kirke239.
Una disciplina migliore non si ebbe che nella fine del secolo
decimosettimo e sopratutto nel secolo decimottavo, durante il quale
vediamo sparire quasi generalmente le milizie feudali e cittadine e
cominciare l'êra dei veri e propri eserciti stanziali alla
moderna.
Allora la necessità di tenere molti uomini in arme e la
difficoltà di pagarli tanto quanto bastava per averli
volontarii, fecero sì che si cominciasse ad introdurre la
coscrizione nella maggior parte dei paesi del continente europeo.
Inoltre poi i soldati non vennero più raccolti fra gli
avventurieri e la feccia della società, ma furono piuttosto
scelti fra i contadini ed operai, che, anzichè dedicarsi per
tutta la vita al mestiere delle armi, tornarono dopo pochi anni alle
loro ordinarie occupazioni e gli ufficiali continuarono ad
appartenere ad una classe totalmente distinta. Essi infatti
divennero sempre più dei gentiluomini burocratizzati, che,
all'ordine ed alla puntualità dell'impiegato, accoppiarono lo
spirito cavalleresco ed il sentimento dell'onore tradizionale nella
nobiltà240.
Solo nell'Inghilterra e negli Stati Uniti d'America durò e
dura l'antico sistema di reclutare i soldati volontariamente ed a
preferenze tra gli spostati delle classi più povere della
società241. In questi due paesi, e specialmente negli Stati
Uniti, le truppe stanziali si sono mantenute relativamente scarse;
perchè, per la loro posizione geografica, la loro difesa
esteriore può in gran parte essere affidata alla marina da
guerra, mentre l'ordine interno è in parte mantenuto da
milizie cittadine e sopratutto dalla numerosa e bene organizzata
polizia. Inoltre vi si conserva negli eserciti regolari più
rigorosamente che negli eserciti del continente europeo la
distinzione di classe fra gli ufficiali e la bassa forza;
distinzione la quale fa sì che i primi per attinenze di
famiglia e per educazione siano strettamente legati a quella
minoranza, che, per nascita, cultura e ricchezza, sta al vertice
della piramide sociale242.
V. — Il valore pratico della milizia cittadina americana finora si
è dimostrato molto mediocre. Già lo stesso Washington
diceva che, se fosse stato invitato a rispondere con giuramento a
questa domanda: se le milizie erano utili od inutili, non avrebbe
esitato a rispondere che erano inutili243. Le guerre esterne infatti
ed anche quelle di secessione si sono combattute quasi
esclusivamente dall'esercito federale aumentato da arruolamenti
volontari e, nei disordini interni, è dubbio almeno se la
milizia sia più efficace a sedarli che ad accrescerli. Essa
non ha saputo impedire i frequenti linciaggi, e davanti gli
scioperanti si è dispersa o è venuta a patti, come
accadde nel 1887 ed in altri scioperi più recenti, nei quali
l'ordine è stato ristabilito dall'esercito federale244. Ad
ogni modo la milizia americana diede il modello e fu in certo modo
la madre della guardia nazionale europea, alla quale fino a quaranta
o cinquant'anni addietro si attribuiva una grande importanza,
principalmente per lo scopo politico che credevasi dovesse
disimpegnare: si voleva infatti costituire con essa un corpo armato,
il quale, emancipato dalla cieca disciplina militare, custodisse le
istituzioni parlamentari contro gli attentati del potere esecutivo
sostenuto dalle truppe stanziali.
Già fin dalla grande rivoluzione francese Mirabeau avea
rivelato molto bene gl'inconvenienti della formazione di un simile
corpo, il quale favoriva o reprimeva la rivolta secondo gli umori
del momento e si costituiva in certo modo arbitro armato fra le
autorità costituite ed i rivoluzionari245. Malgrado
ciò nel 1830, quando si fece la revisione della Carta, non si
trascurò di sancire con un articolo speciale che "la Carta e
tutti i diritti che essa consacrava restavano affidati al
patriottismo ed al coraggio delle guardie nazionali", e, quando
Garibaldi entrò in Napoli, per salvare dalla distruzione il
Castel S. Elmo, da dove fino allora le truppe regie avevano tenuto
la città sotto il loro cannone, dovette promettere che esso
sarebbe stato sempre custodito dalla guardia nazionale napoletana.
In Francia, a dir vero, non sempre l'opera delle guardie nazionali
riusci inefficace: nel 1832 e 1834 e nelle giornate di giugno 1848
la paura del socialismo produsse scatti di coraggio nei pacifici
borghesi parigini, e la guardia nazionale coadiuvò l'esercito
nella repressione delle rivolte; ma nel febbraio 1848, scontenta del
Ministero Guizot, e non comprendendo che si faceva una rivoluzione,
fu dapprincipio ostile alle truppe, poi dubbiosa ed inerte, e la sua
condotta fu causa principalissima della caduta della monarchia di
luglio246. Non seppe poi ostacolare il colpo di Stato del 2 dicembre
1851, e nel 1870-71, essendo stati ammessi a servire nelle sue file
anche gli operai socialisti, gli elementi di disordine ebbero,
com'è naturale, il disopra sopra quelli d'ordine, e la
milizia cittadina di Parigi fornì i pretoriani alla Comune.
Ai giorni nostri, in parte perchè la poca efficacia e
solidità dell'istituzione sono diventate coll'esperienza
troppo evidenti, in parte perchè ogni professionista o
bottegaio, avendo servito qualche tempo nell'esercito permanente, ha
perduto l'entusiasmo per le parate e per l'uniforme, la guardia
nazionale è stata abolita in tutti i grandi paesi
d'Europa247.
VI. — Prima di concludere sull'argomento dell'organizzazione
militare della moderna Europa e sui suoi rapporti colla difesa
giuridica dobbiamo ancora fare due osservazioni.
La prima riguarda la divisione della forza armata in due classi,
delle quali l'una comprende gli ufficiali, reclutati quasi sempre
nella classe politicamente dirigente e che hanno una educazione ed
istruzione speciale e cominciano il loro servizio con un grado
abbastanza elevato, mentre l'altra viene composta dai gregari e dai
graduati inferiori i quali difficilmente hanno aperto l'adito ai
gradi maggiori. Or questa distinzione, che parrebbe a prima vista
oltremodo convenzionale ed arbitraria, si ritrova più o meno
precisa in tutti quei grossi eserciti stanziali, di epoche e paesi
differentissimi, che sono stati meglio organizzati. Essa era
già applicata in certe epoche dell'antico Egitto,
giacchè i papiri che rimontano a quelle dinastie, durante le
quali le armi egiziane più si distinsero, ci parlano di
ufficiali dei carri di guerra e di ufficiali di fanteria educati in
speciali collegi militari, dove erano iniziati a tutte le durezze
della vita delle armi, e per entrare nei quali si doveva pagare
abbastanza, non già in danaro, che allora non esisteva, ma in
schiavi ed in cavalli248. È stata applicata in certo modo
nella China moderna, dove il mandarinato militare ha avuto qualche
analogia colla nostra ufficialità; giacchè il
mandarino militare doveva superare un esame davanti alle
autorità militari della provincia ed entrava poi con un grado
abbastanza elevato nelle milizie di una delle diciotto provincie
chinesi249. Ma era sopratutto in vigore nelle legioni romane degli
ultimi secoli della repubblica e dei primi secoli dell'impero, nelle
quali si mantenne lungamente la distinzione fra la milizia comune e
quella detta equestris, che si iniziava servendo come contubernalis
(oggi si direbbe aiutante di campo) del console o del comandante la
legione, il quale poi apriva l'adito al grado di tribuno militare ed
agli altri gradi superiori; mentre, chi iniziava la sua carriera da
semplice soldato nella milizia comune, potè per lunghissimi
secoli solo arrivare a centurione primipilare, ufficio che
costituiva quasi il bastone di maresciallo della bassa forza.
Organizzazione questa che assicurava il possesso dei gradi elevati
nell'esercito alla stessa classe sociale che occupava le alte
magistrature civili e che, avendo la ricchezza ed il potere
politico, formava l'aristocrazia dell'antica Roma250.
VII. — L'altra osservazione riguarda uno dei giudizi e pregiudizi
più sparsi nel mondo : che le qualità militari siano
cioè assai inegualmente distribuite fra i popoli, dei quali
alcuni sarebbero naturalmente timidi e poltroni ed altri arditi e
valorosi. Certo non si potrà mai dimostrare che qualche cosa
di vero non vi sia in questi pregiudizi. Ma d'altra parte ci pare
indiscutibile che sono principalmente le abitudini più o meno
guerresche di un popolo, la solidità ed il tipo
dell'ordinamento militare che ha adottato, gli elementi che
più contribuiscono ad accrescere la sua fama bellicosa.
La verità è che la guerra, come tutti i mestieri
pericolosi, richiede una certa abitudine per essere affrontata con
calma e sangue freddo; quando quest'abitudine manca, non può
essere supplita che o da quei momenti d'orgasmo, che si producono in
rarissimi periodi della vita dei popoli, o da quel sentimento del
dovere e dell'onore che, in una classe molto ristretta ed eletta,
può essere suscitato e mantenuto vivo da una educazione
speciale. Or nelle nazioni civili, nelle quali la gran maggioranza
non può stabilmente dedicarsi alle lotte cruente,
l'organizzazione militare deve tendere allo scopo di distribuire fra
le masse una piccola minoranza che a queste lotte è abituata
o che è preparata dall'educazione speciale, che abbiamo
accennato, in modo che possa padroneggiare i gregari, esercitare
sopra di essi un'influenza decisiva ed indurli ad affrontare un
pericolo, che altrimenti avrebbero evitato251.
Siccome l'organizzazione, alla quale abbiamo accennato, può
essere più o meno perfetta e può anche completamente
mancare, siccome la classe dirigente può essere familiare col
mestiere delle armi e può anche esserne, per circostanze
diverse, completamente schiva, noi vediamo, percorrendo la storia
dei popoli civili, che quasi tutti hanno avuto i loro momenti di
gloria militare, e quasi tutti hanno avuto i loro periodi di
debolezza materiale. Gl'Indiani, tante volte saccheggiati e
conquistati da Turchi, Mongoli, Afgani e Persiani e che nel secolo
decimottavo si fecero sottomettere da poche migliaia d'Inglesi,
furono il popolo asiatico che resistette più valorosamente ai
Macedoni. Gli indigeni dell'Egitto per lunghi secoli hanno avuto
fama di soldati poco valorosi, eppure si reclutavano fra gli
abitatori della bassa valle del Nilo le truppe degli Ahmes e dei
Touthmes, che ai loro tempi erano i primi eserciti del mondo. Da
Leonida ad Alessandro Magno i Greci furono considerati soldati
valorosissimi, ed all'epoca di Senofonte parlavano col massimo
disprezzo dei Siri e degli abitanti della Mesopotamia, ma quando
sorse l'Islam, le popolazioni semitiche dell'Asia ripresero il
sopravvento e fecero scempio delle pacifiche popolazioni che
ubbidivano all'impero di Bisanzio252. Gl'Italiani del Rinascimento
erano cattivi soldati, perchè disabituati della vera guerra,
ma fra i loro padri si erano reclutati i legionari di Roma, valore
sufficiente aveano mostrato all'epoca dei Comuni e, solo qualche
secolo dopo Machiavelli, i reggimenti italiani emularono per la
solidità quelli spagnuoli nella famosa giornata di Rocroy. I
Napoletani, nel passato specialmente imputati di codardia, dovettero
questa loro fama piuttosto alla mancanza di coesione ed unità
morale, che hanno mostrato in diverse occasioni, che a deficienza di
valore personale, ed in Spagna ed in Russia sotto Napoleone I ed in
altre occasioni le truppe napolitane si sono assai bene
comportate253.
VIII. — Ai giorni nostri ci è una reazione contro i grossi
eserciti stanziali e si adducono a carico di essi le braccia, che
tolgono agli opifici ed all'agricoltura, i vizi che inspirano alla
gioventù e sopratutto l'intollerabile spesa di cui sono
cagione. Vero è che questi lagni sono a preferenza mossi da
quegli elementi sociali che in ogni tempo hanno avuto più la
tendenza a farsi valere ed imporsi colla forza al resto della
società, da quelli che avrebbero naturalmente e
spontaneamente più gusto per il mestiere delle armi e che
trovano ostacolo all'esplicazione dei loro istinti, forse
incoscienti, nella presente organizzazione militare delle masse
pacifiche e lavoratrici254; ma è pur vero che le
necessità, che hanno condotte le diverse nazioni europee alla
organizzazione degli eserciti moderni, hanno ora l'effetto di
allargare sempre più l'applicazione di quei principii sui
quali essi sono fondati in maniera da snaturarne la compagine.
Le guerre napoleoniche prima e poi sopratutto quella del 1870 avendo
dato la vittoria a quelle nazioni, che hanno armato e mobilizzato
eserciti più numerosi, hanno condotto a tale esagerazione, in
quasi tutti i paesi del continente europeo, il sistema del servizio
militare obbligatorio, che ora si è arrivati al punto da aver
la pretesa di raccogliere, in caso di bisogno, nei quadri
dell'esercito tutta la popolazione valida di uno Stato di trenta,
quaranta o più milioni di abitanti. Ma per rendere possibile
l'attuazione di una simile pretesa si è dovuto da una parte
accorciare tanto la durata del servizio da rendere dubbio che i
coscritti abbiano il tempo di acquistare quelle abitudini, quello
speciale spirito di corpo, che devono distinguere il soldato dal
resto della società, e che, per ragioni tecniche e sopratutto
politiche, è necessario che non siano soverchiamente
indebolite. E, d'altra parte, si è dovuto aumentare tanto la
spesa per gli uomini, per i quadri e per gli armamenti, che sono in
continuo rinnovamento, da renderne sempre più difficile la
continuazione e da produrre quel mostruoso accumulo del debito
pubblico, che è una delle principalissime piaghe di molti
paesi moderni e sotto il quale qualcuno di quelli economicamente
meno forti rischia di soccombere.
Nè ciò è tutto: la macchina militare, a forza
di essere ingrandita, è diventata sempre più
complicata e delicata ed il dirigerne il funzionamento in tempo di
mobilitazione e di guerra è divenuta opera irta di sempre
maggiori difficoltà255. Ed è lecito anche domandarsi
se la guerra stessa sarà un fatto possibile, quando ogni
giorno di ostilità, fra i danni economici del paese e le
spese dell'erario, costerà ad ogni nazione parecchie decine
di milioni; quando, il giorno in cui sarà dichiarata, saranno
turbati gl'interessi e gli affetti di tutte le famiglie di un popolo
civile. — Or, se gli interessi economici e le ripugnanze morali, che
si oppongono ad uno scoppio bellicoso fra nazioni civili, riescono
ad evitarlo solo per sessanta o settanta anni di seguito, è
dubbio se fra le nuove generazioni potrà durare ancora quello
spirito militare e patriottico sul quale sono fondati gli eserciti
moderni e che solo rende possibili gli enormi sacrifici materiali,
che essi costano.
Quando il decadere dei sentimenti accennati e la lunghissima pace
avranno di fatto abolito o reso parvenza vana e senza subbietto gli
eserciti stanziali, rinascerà il pericolo che la prevalenza
militare ritorni ad altre razze, ad altre civiltà, che hanno
avuto ed avranno svolgimento diverso da quella europea e se ne
saranno appropriati i mezzi ed i metodi di distruzione. — E se anche
questo pericolo parrà ad alcuni troppo lontano e chimerico,
nessuno potrà negare che, nel seno stesso delle popolazioni
europee, vi saranno sempre i caratteri violenti e quelli timidi, le
discrepanze d'interessi e la voglia d'imporsi con la forza
materiale. — Sicchè, sciolta una volta od indebolita la
grande organizzazione per la quale il monopolio della funzione
militare è stato tolto a quella categoria di persone che
naturalmente vi ha più gusto ed attitudine256, chi
impedirà alle piccole organizzazioni dei forti, degli arditi
e dei violenti di ricostituirsi per opprimere i deboli ed i
pacifici? E la guerra, morta all'ingrande, non rinascerà a
minuto nelle contese tra le famiglie, le classi ed i villaggi?
In verità dai dubbi, che abbiamo espresso, si può
trarre una conclusione, che noi non osiamo quasi nettamente
formulare: che la guerra stessa cioè, nella sua forma
presente causa ancora di tanti mali e madre di tante barbarie, sia
un fatto che di tanto in tanto si rende necessario, affinchè
non decada ciò che ci ha di meglio nel funzionamento delle
odierne società europee ed esse non ritornino ad un tipo di
difesa giuridica meno elevato. Grave e terribile conclusione, che
non sarebbe del resto che un'altra di quelle conseguenze della
natura umana, così complicata e contradittoria, alle quali
abbiamo già accennato alla fine del capitolo settimo; di
quella natura umana per la quale il bene, nello svolgimento della
storia dei popoli, è sempre fatalmente connesso col male, ed
il miglioramento giuridico e morale di una società va unito
con lo sfogo delle passioni più basse ed egoistiche e degli
istinti più brutali257.
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — II. I tre problemi della vita moderna
— Il problema religioso. — III. L'avvenire del Cristianesimo. — IV.
Il Cristianesimo e la scienza positiva. — V. Il problema politico. —
VI. Esame critico del Parlamentarismo. — VII. Le riforme del
Parlamentarismo. — VIII. Quale sarebbe la riforma fondamentale —
Ostacoli che incontra. — IX. Il problema sociale — Origine della
democrazia sociale. — X. Estensione ed importanza della democrazia
sociale — Varie scuole nelle quali si divide. — XI. Esame critico
del collettivismo. — XII. La giustizia nell'organizzazione sociale.
— XIII. Esame critico dell'anarchia. — XIV. La lotta di classe. —
XV. Effetti pratici della democrazia sociale. — XVI. Cause della
stessa. — XVII. Probabilità di trionfo della democrazia
sociale. — XVIII. Rimedi atti a combatterla. — XIX. Missione della
scienza politica.
I. — Il chiudere questo nostro lavoro sarebbe cosa assai breve e
facile se ci potessimo limitare ad una semplice e sommaria
enumerazione degli argomenti che abbiamo finora trattati. Basterebbe
infatti rammentare che nel primo capitolo abbiamo esposto le ragioni
per le quali crediamo che solamente mercè lo studio dei fatti
storici si possano scoprire le tendenze costanti, ossia le leggi,
che regolano l'ordinamento delle società umane, e che nei
seguenti capitoli ci siamo appunto occupati di determinare la natura
e l'azione di alcune delle dette leggi. Abbiamo voluto infatti
dimostrare che, in qualunque aggregato umano che abbia raggiunto un
certo grado di cultura, esiste una minoranza dirigente, la quale si
recluta in modi diversi, ma sempre fondati sul possesso delle
molteplici e variabili forze sociali; cioè di quelle
qualità, che, secondo i tempi ed i luoghi, danno agli
individui che le posseggono prestigio morale e preminenza
intellettuale ed economica, e forniscono i modi di dirigere le
volontà altrui. Abbiamo anche cercato di porre in chiaro che
ogni società si fonda sopra un complesso di credenze e
principii religiosi e filosofici, che ad essa sono speciali, e in
base ai quali spiega e giustifica il suo ordinamento. Ciò ci
ha dato occasione di occuparci della diversità dei tipi
sociali, dovuta principalmente alla fondamentale diversità di
alcuni di questi sistemi filosofici e religiosi o formole politiche,
che si dividono l'impero di quella parte massima
dell'umanità, che ha raggiunto un certo grado di cultura.
Due poi sono i punti di questa parte del nostro lavoro, che ci
sembrano più specialmente suscettibili di applicazioni
scientifiche e pratiche di qualche importanza. Quello nel quale ci
siamo sforzati di provare che la migliore difesa giuridica, il
maggior rispetto del senso morale da parte dei governanti si
può ottenere solo mediante la partecipazione al Governo ed il
controllo reciproco di molteplici forze politiche. E l'altro che
consiste nella dimostrazione, che ci sembra di aver sufficientemente
dato, della incapacità che ha qualunque dottrina filosofica o
religiosa a cambiare radicalmente e durevolmente la natura umana;
specialmente quando, invece di limitare la propria propaganda ad un
piccolo numero di individui scelti, di anime elette, la estende a
tutta intera una grande società e pretende governarla
informandola ai suoi principii; senza con ciò negare la
notevole efficacia pratica che può avere la prevalenza di un
dato indirizzo dottrinario o religioso.
Infine i capitoli ottavo e nono riguardano l'applicazione delle
teorie precedentemente esposte ad un fenomeno così comune nei
tempi moderni come è stata la rivoluzione violenta e ad un
altro fenomeno in contraddizione col primo, che è
l'ordinamento dei moderni eserciti stanziali, il quale impedisce a
quella frazione della società, che potrebbe naturalmente
assumere il monopolio militare, di imporsi colla violenza alle altre
forze sociali.
Però noi crediamo che in quest'ultimo capitolo un compito un
po' più delicato e difficile ci resti ancora da esaurire.
Crediamo che sia nostro dovere l'esaminare al lume dei principii,
che abbiamo già esposto, i problemi più importanti che
agitano ora le nazioni di civiltà europea. Forse con
ciò da un lato determineremo meglio la natura di questi
problemi e potremo anche indagare più agevolmente quali siano
le soluzioni più probabili, che essi avranno; e dall'altro
lato potremo meglio scientificamente precisare i nostri concetti e
porre in luce ancora più le conseguenze pratiche, che se ne
possono trarre. Aggiungiamo che all'indagine predetta siamo pure
spinti da quello stimolo, tanto naturale ed umano, che certamente
agisce tanto sul lettore che sullo scrittore, e che fa sì che
siamo indotti ad interessarci sommamente a quei fatti ed a quelle
quistioni, che si svolgono intorno a noi, nel paese e fra la
generazione fra i quali viviamo.
II. — Diciamo subito che i problemi di cui ci occuperemo sono tre.
In primo luogo esamineremo se le presenti religioni a base dommatica
o, per precisare meglio il nostro concetto, se le diverse forme del
Cristianesimo riusciranno a sopravvivere alla presente corrente
rivoluzionaria ed a resistere al movimento razionalista, che tende a
distruggerle. In secondo luogo vedremo se la prevalenza delle
autorità politiche elettive, e sopratutto quel sistema di
governo che è comunemente chiamato Parlamentarismo, siano
suscettibili di una lunga durata, e, nel caso che si debbano
necessariamente modificare, esamineremo in che senso le
modificazioni potranno o dovranno avvenire. In terzo luogo
finalmente getteremo lo sguardo sull'avvenire della nostra
civiltà di fronte alla democrazia sociale, di questa
grandiosa corrente di sentimenti e d'idee, che invade tanti paesi
d'Europa e d'America, e che, mentre da un lato è una vera
conseguenza della loro storia più recente, dall'altro
è un fattore attissimo a modificare il loro avvenire.
Il primo di questi problemi può a prima vista sembrare il
più facile dei tre, ma certo non lo è: infatti
contiene forse una parte maggiore d'imprevedibile e d'imponderabile
che il secondo ed il terzo, che sembrano, giustamente, così
complicati e coi quali del resto è intimamente connesso.
Diciamo perciò fin da ora che, specialmente su questo primo
problema, una risposta precisa, netta e sicura non la daremo, e che
ci limiteremo piuttosto ad ipotesi ed a previsioni cautamente
generiche e pensatamente incerte.
Molti con sicurezza affermano che la scienza ammazzerà il
dogma. Questa opinione, superficialmente considerata, è senza
dubbio per diversi lati accettabile. Non si può negare
infatti che le scienze fisiche e chimiche, la geologia, la
preistoria, la critica degli stessi documenti storici, battano in
breccia tutto il soprannaturale del Vecchio e del nuovo Testamento e
l'inspirazione dei santi Padri. Diciamo anzi di più; che,
anche se la scienza non intaccasse direttamente le credenze
religiose, una mente educata alle sue severe indagini ed ai suoi
metodi rigorosi dove sentire, se è spassionata, una
invincibile ripugnanza ad accettare dottrine ed asserzioni
dommatiche, che deve considerare come gratuitamente affermate258.
Però d'altra parte è da tener presente che le credenze
religiose non hanno mai risposto ad un bisogno del nostro
raziocinio, ma piuttosto ad altre necessità della psicologia
e sopratutto del sentimento umano. Se da un certo punto di vista
possono essere considerate come illusioni, bisogna pure riconoscere
che esse son mantenute non tanto dalla loro apparenza di
verità, quanto dal bisogno che hanno gli uomini d'illudersi.
E questo bisogno è così generale, così forte,
specialmente in certi momenti della vita, che noi vediamo spesso
individui d'intelletto robusto, abituato al senso della
realtà, corredato di studi positivi, e talvolta anche di
carattere calmo ed equilibrato, pagare ad esso un largo tributo.
Nè in proposito dobbiamo attribuire troppa importanza ad un
fenomeno al quale ora assistiamo, segnatamente nei paesi cattolici,
e che può condurre ad apprezzamenti erronei. Le pratiche del
Cristianesimo nelle grandi città della Francia, in parecchie
della Spagna e dell'alta Italia, forse anche in taluna della
Germania e dell'America settentrionale, vanno scomparendo, e
scompaiono ivi a preferenza nelle plebi anzichè nelle classi
che hanno una certa agiatezza e cultura. Or non deve da ciò
dedursi che l'educazione razionalista e positiva abbia fatto fra
quelle plebi grandi progressi. Si può non solo dubitare della
verità delle dottrine religiose, ma esser convinti che esse
sono tutte fenomeni storici prodotti però da bisogni innati e
profondi dello spirito umano, perchè una educazione positiva
della mente, nutrita di larghi studi, l'ha a poco a poco abituato a
non ritenere per vero se non ciò che sia scientificamente
provato. In questo caso l'individuo, perdendo un sistema di
illusioni, resta cosi bene equilibrato che non è certo
disposto ad abbracciarne un altro, e sopratutto il primo che capita.
Ma la totalità dei miscredenti plebei ed anche, bisogna
dirlo, la gran maggioranza dei miscredenti di qualche cultura, che
abbiamo ora nelle nazioni di civiltà europea, non arriva al
razionalismo per questa strada: non crede, e schernisce,
semplicemente perchè è cresciuta in un ambiente nel
quale le hanno insegnato a non credere ed a schernire. Ed, in queste
condizioni, la mente, che respinge il Cristianesimo perchè
è una credenza basata sul soprannaturale, è sempre
disposta ad accoglierne altre certo più grossolane e volgari.
L'operaio di Parigi, di Barcellona o di Milano, il bracciante delle
Romagne o il piccolo commerciante di Berlino in fondo non sono
emancipati dall'ipse dixit, più di quanto lo sarebbero se
andassero a messa o frequentassero la predica del pastore
protestante o la Sinagoga. Invece di credere ciecamente al prete
credono con uguale cecità all'agitatore rivoluzionario. Si
stimano all'avanguardia della civiltà ed hanno lo spirito
accessibile a tutte le ubbie ed a tutti i sofismi. Lo stadio morale
ed intellettuale che hanno raggiunto, lungi dall'essere un
illuminato positivismo, non è che un volgare, sensuale e
degradante materialismo, o indifferentismo religioso che voglia
dirsi. Prima di ridere del lazzarone, che ha fede nella liquefazione
del sangue di San Gennaro, dovrebbero rendersi capaci di non
ammettere per vere cose ugualmente assurde e certo più
dannose.
III. — Ora, così stando le cose, prevalendo in parte delle
masse non già un positivismo od agnosticismo per dir
così, organico, ma un volgare ateismo d'imitazione, il
terreno che le credenze religiose hanno con rapidità perduto,
può essere, almeno per un certo spazio di tempo, prima
cioè che l'indifferenza religiosa diventi tradizionale, con
una relativa rapidità riguadagnato. Può darsi
benissimo che le dottrine socialiste e gli istinti rivoluzionari
abbiano fra qualche generazione manifestamente dichiarato la loro
bancarotta, può anche darsi che a questo risultato si arrivi
dopo lotte civili, dopo sofferenze morali ed economiche grandissime;
paragonabili, non già a quelle che si ebbero a patire dopo le
piccole rivoluzioni passeggiere del secolo decimonono, ma alle
altre, che provarono così duramente la generazione che
assistè alla grande rivoluzione francese. È risaputo
intanto che il Cristianesimo è a preferenza la religione dei
tempi difficili anzichè di quelli prosperi; di Esso si
può fare facilmente a meno quando la vita è facile ed
agiata, quando l'avvenire si presenta ridente, quando i godimenti
materiali non fanno difetto; ma si sente al contrario urgente il
bisogno delle sue speranze e dei suoi conforti quando si è
colpiti da disillusioni amare e da catastrofi, quando le privazioni
ed i dolori rendono amaro l'oggi e più amara la prospettiva
dell'indomani. Bisogna rammentare che già una volta
trionfò definitivamente quando le classi alte e medie del
mondo antico subirono quella tremenda catastrofe, quelle
inenarrabili sofferenze, che furono la conseguenza delle vittorie
definitive dei barbari e della caduta dell'impero romano
d'occidente259. Se, sulla fine del secolo decimono od all'alba di
quello venturo, molte vite fossero sacrificate, ed una buona parte
del capitale europeo fosse sciupato in lotte ed in vani tentativi di
riforme sociali, non è improbabile che al fasto ed allo
sperpero, che sono stati una delle caratteristiche degli ultimi
decenni del secolo decimonono260, non debba succedere un'era di
abbattimento e di relativa miseria, durante la quale le dottrine
cristiane troverebbero propizio il terreno per riguadagnare il cuore
delle masse261.
Finora, nei paesi cattolici, essendo appunto la Chiesa cattolica
quella che gode di una maggiore autonomia e che pretende una
più grande ingerenza nelle cose dello Stato, la propaganda
anti-religiosa è stata direttamente od indirettamente
favorita dalle autorità laiche con le quali il Papato si
è trovato in violenti conflitti d'interessi. Ciò
è avvenuto specialmente in Francia, nei primi anni della
monarchia di luglio e durante un certo periodo della terza
repubblica, ed in Italia, durante e dopo la caduta del potere
temporale dei Papi. Ma è erroneo scambiare queste lotte, che
sono episodii che di quando in quando si sono rinnovati nella vita
dei popoli cattolici, con l'essenza stessa della loro storia, dando
ad esse il carattere di guerre a morte non interrotte nè da
paci nè da tregue. Come è accaduto spessissimo nei
secoli scorsi, dopo essersi accanitamente disputata una posizione,
bisogna che quella delle due parti in contesa che l'ha perduta si
abitui alla nuova condizione delle cose e si rassegni, almeno
tacitamente, ad accettarla. Di queste ore di tacita rassegnazione la
Chiesa cattolica ne conta parecchie nella sua lunga storia.
Non è possibile poi che tanto la Chiesa che lo Stato non
finiscano coll'accorgersi che nelle loro lotte presenti, il vero
tertius gaudens, come ebbe a scrivere lo Schäffle262 e come
vede da sè chiunque sia spassionato ed. abbia appena appena
un zinzino di senno politico, è la democrazia sociale. Non
è possibile che questi due Enti non vedano alla lunga il gran
bene, che, camminando con un certo accordo, si possono
scambievolmente fare. Ormai in Francia pare che un movimento nel
senso da noi indicato si vada sempre più eccentuando263. Ed
anche in Italia il tempo è e sarà il miglior maestro,
e molta gente va vedendo, e vedrà sempre più
chiaramente, che, se da un lato il Cattolicesimo dura e facilmente
non si distrugge, dall'altro neppure è possibile distruggere
la storia; annullare cioè quei fatti ai quali un lungo
volgere di anni ha apposto il suo incancellabile suggello ed ha dato
l'autorità di cosa giudicata. Corre ormai il ventiseiesimo
anno dal dì nel quale le ultime traccie del potere temporale
dei papi furono distrutte, ed era già un pezzo che gli ultimi
suoi avanzi non si potevano più reggere per forza
propria264. Chiunque vive nel mondo europeo, e specialmente in
quello italiano, e non vuole affettare vani timori nè
pascersi d'inconsulte speranze, deve scorgere chiaramente
l'impossibilità materiale della sua restaurazione; e tutto fa
prevedere che la quistione, che ad essa si riferisce, va posta tra
quelle che il secolo ventesimo dimenticherà, incalzato, come
sarà, da tante altre questioni più nuove, più
calde, più urgenti265.
IV. — Meno conciliabile è, a dir vero, il dissidio fra il
metodo scientifico positivo e quella base soprannaturale e dogmatica
che si trova in tutte le religioni, quella cristiana compresa, e che
il Cattolicesimo segnatamente ha di recente esagerato. Ma bisogna
tener presente che la fede è cosa vecchia e la scienza
relativamente nuova. Essa avea già mostrato qualche barlume
di sè nell'antico Egitto, in Babilonia, nell'India braminica,
in China; barlumi però non coordinati, avvolti quasi sempre
nel mistero ed interrotti da lunghi secoli di oscurità.
Più forte fu la luce che sviluppò la civiltà
greco-romana; ma anch'essa si spense quasi al declinare del mondo
antico; altri sprazzi ne vediamo apparire durante l'epoca più
splendida della civiltà araba, che fecondò germi
preparati dalla Grecia e dalla Persia dei Sassanidi; ma anch'essi
furono soffocati dall'imbarbarimento progressivo del mondo
maomettano266. Come base integrante di una civiltà, come vero
portato di un periodo storico, la scienza positiva comincia nel
secolo decimosesto e non si affermò che nel decimottavo in
questa Europa, che ereditò e fecondò dottrine e
nozioni elaborate da tanti popoli e da tante civiltà. Ora, la
guerra fra questa nuova forza sociale, che si volea affermare, e la
religione che si voleva difendere, e che per prima cosa cercò
di soffocare nelle fasce il nuovo concorrente, fu naturale e
spiegabile. E la religione prima cercò di negare, e poi
colpì d'anatema i risultati della scienza, e d'altra parte la
scienza assunse con particolare impegno la missione di sbugiardare
agli occhi delle masse i dogmi della religione.
Tante istituzioni però e tante persone sembrano
incompatibili, le quali, dalla impossibilità di eliminarsi a
vicenda e dalla necessità, che ne viene in conseguenza, di
far vita insieme, sono costrette a compatirsi. Se la scienza poi
attacca direttamente od indirettamente il dogma, almeno essa si
svolge in un campo differente da quello delle religioni; il pensiero
scientifico infatti spiega la sua azione sul raziocinio umano,
mentre la fede ha la sua base nel sentimento. Il primo
necessariamente è accessibile solo a quel piccolo numero di
individui, che hanno la capacità e la possibilità di
menare una vita fortemente intellettiva, mentre l'altra estende la
sua azione sulle masse. Certo più incompatibili assai che la
scienza ed una religione sono due religioni diverse, che
necessariamente si devono sbugiardare a vicenda e si fanno la
concorrenza sullo stesso terreno. Eppure noi vediamo che, parecchie
volte, dopo lunghe ed atroci lotte, due religioni, una volta
convinte della impossibilità di distruggersi, finiscono col
tollerarsi a vicenda. Così è avvenuto ed avviene
dovunque cattolici e protestanti, cristiani e maomettani, maomettani
ed idolatri hanno convissuto e convivono pacificamente nello stesso
paese.
Ma forse la China ci offre su questo argomento un esempio, che fa
più al caso nostro. Colà le classi colte e governanti
seguono un vago Deismo, che in fondo è un vero e proprio
positivismo razionale267, mentre il popolo è buddista,
seguace della religione di Lao-Tze, o maomettano. Il Buddismo
è anche in certo modo legalmente riconosciuto e
l'autorità partecipa ufficialmente alle sue feste. Or
potrebbe avvenire qualche cosa di molto analogo in Europa. Quivi ci
pare assai improbabile che in un prossimo avvenire religioni nuove
possano, non diciamo nascere, ma diffondersi; sicchè le varie
forme del Cristianesimo manterranno la loro preponderanza in quei
paesi dove attualmente la hanno268. Alla lunga una reciproca
tolleranza potrebbe stabilirsi fra il positivismo o meglio
l'agnosticismo scientifico degli individui più colti e le
credenze seguite, non solo dalle masse povere ed incolte, ma anche
da tutta quella gran parte della classe agiata, che per sesso, per
abitudine, per l'educazione ricevuta o per temperamento, è
più ossequente agli impulsi del sentimento.
I primi dovrebbero comprendere che non si ottiene alcun vantaggio
sociale facendo la propaganda della miscredenza fra coloro che
sentono il bisogno delle credenze religiose, o che son troppo
ignoranti per arrivare a formarsi una concezione originale e propria
intorno a certi problemi naturali e sociali. E d'altra parte, coloro
che dirigono il movimento cristiano, e specialmente quello
cattolico, dovrebbero pure persuadersi, e questa persuasione a dir
vero è alquanto difficile che acquistino, che ormai la
scienza è diventata tanta parte della vita dei popoli civili,
che non può riuscire facile, e diremmo quasi che non
può riuscire possibile, di soffocarla e distruggerla.
Però le soluzioni, alle quali abbiamo ora accennato, dei
problemi moderni riguardanti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa e
fra la scienza e le religioni dommatiche, sono soltanto da ritenersi
come possibili; il che non vuol dire che siano facili e sopratutto
che sian le più probabili.
Perchè fossero adottate, dovrebbero avere molto senno
politico le parti che attualmente sono in conflitto, e purtroppo, a
preferenza del senno, le passioni, i rancori ed i fanatismi dirigono
gli avvenimenti umani. Non bisogna poi dimenticare che attualmente
la corrente democratica socialista rappresenta quasi un'altra
religione, che fa una terribile concorrenza a quella cristiana, ed
è con essa quasi assolutamente incompatibile.
Or, è pure possibile che, nell'urto fra queste due correnti,
non resti più la libertà, la tolleranza sufficiente
perchè continui a prosperare ed a vivere quel piccolissimo
strato sociale capace di conservare l'indipendenza del pensiero
davanti i grandi problemi sociali e politici. Pur troppo le epoche
nelle quali è stato permesso di liberamente esprimere il
proprio pensiero, di non esser servo di alcun fanatismo, di alcuna
superstizione, sono epoche privilegiate e piuttosto eccezionali
nella storia dei popoli, ed esse non hanno durato ordinariamente
molto a lungo. Spesso le società umane si sono adagiate per
secoli in un sistema di credenze, e ad esso hanno sacrificato la
libertà di discutere e di pensare, oppure si sono dilaniate
aspramente perchè due diverse correnti di dottrine e di
credenze hanno conteso in tutti i modi per la preponderanza sociale.
I momenti di pace, di tolleranza relativa, nei quali le passioni
sono state alquanto imbrigliate e l'intelletto ha potuto con calma
osservare e ragionare, sono stati in fondo fortunate parentesi,
divise fra loro da lunghi periodi di cieco ed esclusivo fanatismo o
di selvaggie lotte e persecuzioni.
E, che ognuna di queste parentesi possa essere chiusa, è
provato dai tipi di civiltà che troviamo ora decaduti od
immobilizzati, e che dovettero avere anch'essi dei momenti in cui il
pensiero umano fu relativamente libero, altrimenti non si potrebbe
spiegare il grado di progresso intellettuale, che pure un giorno
raggiunsero. E, anche restando nell'Europa, si può rammentare
che da Aristotile si andò indietro fino al bizantinismo,
dalla civiltà splendida e positiva dei primi secoli
dell'impero romano, che solo nei secoli decimottavo e decimonono le
più colte nazioni hanno sorpassato, si andò, con una
decadenza ora lenta ora rapida, alla barbarie, che troviamo
descritta da Gregorio di Tours e Paolo Diacono ed a quella, forse
ancora più supina e degradante, che troviamo documentata
nella cronaca di Raul Glaber269. E ripensando a queste grandi
eclissi dell'intelletto umano che, senza fare pronostici la cui
difficoltà è evidente, sorge nell'animo il triste
sospetto che all'epoca presente potrà succederne un'altra in
cui non sarà libero per ogni individuo il professare o il non
professare pubblicamente la religione cristiana, ed in cui la
spontanea e sincera espressione del pensiero umano, la piena
indipendenza dell'indagine scientifica potrà essere limitata
dalla necessità di conservare intatto quel tipo sociale, che,
dopo lunghe ed accanite lotte, sarà riuscito vittorioso.
V. — Legato al problema religioso e sopratutto al terzo problema,
cioè all'avvenire della nostra civiltà di fronte allo
svolgimento della democrazia sociale, è il secondo problema
che ora imprendiamo a trattare, che riguarda la crisi che traversano
i Governi rappresentativi e sopratutto quelli parlamentari; crisi
che, ristretta oggi nel campo delle idee e delle opinioni,
può allargarsi domani in quello dei fatti e determinare
mutamenti graduali o repentini nelle istituzioni che reggono tanta
parte d'Europa.
Cominciamo coll'osservare infatti che, non tenendo conto delle nuove
forze sociali, che si affermarono durante il secolo decimottavo,
forze basate sopra la produzione di nuove ricchezze e sulla diversa
distribuzione delle ricchezze stesse e sul sorgere di una classe
media colta ed agiata, due furono le correnti intellettuali che
produssero i movimenti politici, i quali hanno condotto alla loro
volta quasi tutti i popoli di civiltà europea ai governi
rappresentativi e spesso anche ai governi parlamentari. La prima
è quella basata sulle dottrine del Montesquieu, e che
chiameremo la corrente liberale, la quale, mercè la divisione
dei poteri, ha voluto fare un argine all'assolutismo burocratico, ed
abbiamo già visto come, benchè incompleto, il sistema
d'idee al quale ora accenniamo non si possa dire fondamentalmente
errato. La seconda è la corrente democratica, il cui padre
intellettuale è indiscutibilmente il Rousseau, la quale pone
come base legale di ogni potere politico la sovranità
popolare, il mandato che i governanti ricevono dalla maggioranza dei
cittadini, e fa dipendere dalla sincera attuazione di questo
presupposto non solo la legittimità dei governi, ma anche la
loro bontà, ossia la loro attitudine a soddisfare gli
interessi e gli ideali delle masse ed a condurle verso il
miglioramento economico, intellettuale e morale270. Or, come
più avanti cercheremo di dimostrare, questa seconda corrente
d'idee, venendo alle sue ultime esplicazioni e conseguenze, ha
prodotto anche la moderna democrazia sociale.
Le numerose obiezioni che ora si muovono ai governi rappresentativi,
e sopratutto a quelli nei quali, per la larga base data al suffragio
popolare, e più ancora per la preponderanza che ha
politicamente l'organo elettivo detto comunemente camera bassa,
l'ideale democratico si potrebbe dire a preferenza attuato, sono di
tre ordini: Una prima categoria di attacchi e di critiche infatti si
riferisce ai pettegolezzi, alle lungaggini, alle futilità di
cui spesso si occupano le assemblee parlamentari. Un'altra, che fin
d'ora crediamo di potere affermare che è meglio fondata,
viene a preferenza formulata dai socialisti avanzati e dagli
anarchici, e si può riassumere nell'accusa che, dato il
presente sistema d'ineguale distribuzione della ricchezza, i
parlamenti non rappresentano gli interessi e le aspirazioni della
maggioranza, ma piuttosto quelle delle classi ricche e dirigenti. La
terza finalmente, certo più fondata di tutte, riguarda la
soverchia ingerenza, non tanto della Camera come corpo politico,
quanto dei singoli deputati, nella giustizia, nell'amministrazione,
nella distribuzione di tutta quella parte grandissima di ricchezza
sociale, che è, sotto forma di imposte e di tasse, assorbita
dallo Stato e da esso impiegata nei diversi servizi pubblici e di
quell'altra parte, pure grande, concentrata nelle banche e nelle
grandi speculazioni industriali, nelle Opere Pie, la quale non
sfugge ordinariamente alla influenza e sorveglianza dei governi
moderni.
Non ci è infatti chi non veda a prima vista quanto sia
dannosa la continua ingerenza, la faccenderia dei deputati in un
regime fortemente burocratizzato quale è il nostro; ad essa
si è dato un nome speciale, recente e pure già odioso:
si chiama infatti comunemente il Parlamentarismo.
VI. — Or gl'inconvenienti insiti a qualunque regime di discussione,
la lungaggine delle assemblee, la vacuità di molti discorsi
nei quali è facile scorgere che lo sfogo di piccole ambizioni
e del piccolo amor proprio individuale ha una parte maggiore che la
devozione al pubblico interesse, la leggerezza con cui spesso si
compilano nuove leggi, l'ostruzionismo che qualche volta ritarda
provvedimenti necessari, le stesse violenze di linguaggio non sempre
giustificate, sono tutti senza dubbio difetti gravi; ma possono
sembrare gravissimi e di capitale importanza solo a chi ha la
persuasione che il regime politico di un popolo possa andare esente
dalle debolezze inerenti alla natura umana. La capacità che
ha l'uomo di concepire il bene, la giustizia assoluta, il modo
migliore di adempiere al proprio dovere, e la difficoltà
grandissima che poi prova nel regolare le proprie azioni
conformandosi scrupolosamente a questi suoi concepimenti, producono
la conseguenza inevitabile che non vi è uomo di Stato e forma
di Governo che non possano essere oggetto di censure numerose ed,
astrattamente considerate, anche giuste. L'unico criterio pratico
per giudicare tanto gli uomini che i regimi politici è dunque
quello di paragonarli con gli altri, e sopratutto con quelli che li
hanno preceduti e, quando si può, con quelli che li hanno
seguito. Or, valutati a questa stregua, i vizi delle Assemblee, le
cattive conseguenze che il loro controllo e la loro partecipazione
al potere può produrre in tutti i regimi rappresentativi,
compresi quelli costituzionali271, sono ben poca cosa di fronte ai
danni innegabili che si avrebbero dal loro annullamento o dalla loro
completa esautorazione.
Infatti, nelle presenti condizioni della società, alla
soppressione della assemblee rappresentative seguirebbe
immancabilmente quel regime, che si chiama comunemente assoluto, e
che noi crediamo che si potrebbe meglio battezzare come
esclusivamente burocratico, perchè ha come caratteristica
principale l'allontanamento dalla vita pubblica di tutte le forze
politiche, di tutti i valori sociali, che non fanno parte della
burocrazia e, se non altro, la loro subordinazione assoluta
all'elemento burocratico. Certo non escludiamo interamente che il
disgusto sempre crescente del parlamentarismo e sopratutto la paura
della democrazia sociale, là dove essa assume un carattere
minacciosamente rivoluzionario, possano spingere parecchi popoli
della moderna Europa verso un tale regime; ma non possiamo ammettere
che ciò sarà un bene; e non occorre una lunga
dimostrazione per questa nostra tesi, dopo quanto abbiamo esposto,
nel capitolo quinto, sui pericoli e gli inconvenienti della
preponderanza assoluta, non soggetta a limitazione ed a discussione
alcuna, di una sola forza politica. E che non si tratti di
un'obiezione puramente teorica e dottrinale, ma di un valore pratico
grandissimo, è facilmente provato dall'esempio di qualche
paese di civiltà europea, dove il regime rappresentativo
ancora molto imperfettamente funziona, come ad esempio sarebbe la
Russia, e forse meglio ancora dalle ricordanze dell'antico regime
francese e da quelle più recenti che gl'Italiani,
specialmente quelli del Mezzogiorno, possono facilmente
rievocare272. Solo l'abitudine ai vantaggi di un regime di
discussione pubblica di tutti gli atti dei Governi può non
fare scorgere a prima vista agli osservatori superficiali della
giovane generazione quale sarebbe la rovina morale che verrebbe
dalla sua caduta; rovina che si esplicherebbe in una serie di
attentati alla difesa giuridica, alla giustizia, a tutto ciò
che comunemente dicesi la libertà, assai più
perniciosi di tutti quelli che possono essere addebitati, non
diciamo ai governi rappresentativi in genere, ma anche ai meno
corretti fra i Governi parlamentari273.
Le obiezioni che i socialisti molto avanzati e gli anarchici fanno
comunemente al sistema rappresentativo hanno fondamento in una
osservazione già da noi esposta nel capitolo VI del presente
lavoro ed altrove, che molti altri scrittori hanno pure formulato e
che è da maravigliare soltanto che non sia più diffusa
ed accreditata. Alludiamo al fatto evidente che i membri di una
Camera elettiva non sono quasi mai scelti liberamente e
spontaneamente dalla maggioranza dei loro elettori, perchè
questi non hanno che una limitatissima libertà di opzione tra
i pochissimi candidati, la riuscita dei quali presenta una certa
probabilità. Certo questa contraddizione flagrante tra il
fatto ed il diritto, fra la base giuridica del mandato politico e la
sua pratica esplicazione, è una debolezza grandissima di
qualunque sistema rappresentativo. Però essa può
fornire un argomento di capitale importanza contro al detto sistema
solo a coloro, e sono ancora moltissimi, che accettano la teoria
della sovranità popolare secondo la interpretazione ristretta
e precisamente circoscritta, che ne hanno dato Rousseau ed i suoi
seguaci della scuola democratica, pei quali significa che il Governo
di ogni società debba emanare dalla maggioranza numerica dei
cittadini. Ma se, come noi crediamo, la sola cosa importante e
possibile in un regime politico è che vi prendano parte tutti
i valori sociali, che in esso trovino un posto tutti coloro che
hanno qualcuna delle qualità, che, in un dato tempo e in un
dato popolo, determinano il prestigio e l'influenza delle classi e
degli individui, allora si può ammettere che, come non va
combattuta una religione per la scarsa veridicità dei suoi
dogmi quando moralmente produce buoni risultati, così le
applicazioni di una dottrina politica si possono accettare
finchè hanno per conseguenza un miglioramento della difesa
giuridica, benchè la dottrina stessa offra facilmente il
fianco ad una critica inspirata a criteri positivi. Or è
innegabile che il sistema rappresentativo dà a molteplici
forze sociali il modo di partecipare al regime politico,
controllando e limitando l'azione di altre forze sociali,
cioè, della burocrazia. E certamente, se queste sole fossero
le conseguenze e le applicazioni possibili della dottrina della
sovranità popolare, converrebbe accettarle, pur riconoscendo
la scarsa base scientifica della corrente d'idee e di sentimenti che
le ha prodotte.
Nè si dica che il fatto che le maggioranze vere e reali hanno
un'influenza molto limitata nella scelta dei rappresentanti dipenda
esclusivamente dalle presenti disuguaglianze sociali.
Indiscutibilmente, quando queste esistono, è naturale che la
scelta degli elettori cada a preferenza su coloro che nella
disuguaglianza rappresentano i punti più elevati della scala
sociale; ma, anche se per un'ipotesi, che crediamo impossibile, la
scala fosse livellata in modo da diventare un piano, resterebbe
sempre la prevalenza inevitabile delle minoranze organizzate e
facili ad organizzare, di fronte alle maggioranze disorganizzate. La
moltitudine degli elettori sarebbe perciò sempre costretta a
scegliere i suoi rappresentanti fra i candidati sostenuti dai gruppi
di persone per gusto ed interesse più attivamente dedite alla
vita politica.
Adunque, ciò che vi è di più fondato nelle
critiche, che ormai da più di un ventennio si fanno contro i
Governi rappresentativi, sta tutto nella soverchia ed esclusiva
prevalenza degli elementi elettivi, che si verifica in molti di essi
e specialmente quando degenerano nel Parlamentarismo. Il fatto che,
dove questo è in vigore, esce dal seno della Camera elettiva
il Ministero, che dirige tutta la vasta ed assorbente macchina
burocratica, e quello più grave ancora che Presidenti del
Consiglio e Ministri restano in carica finchè piaccia alla
maggioranza della detta Camera il conservarli, sono le prime e vere
radici dei mali così comunemente lamentati. E per essi che
nelle Camere la discussione degli atti del Governo ed il controllo,
che sopra l'azione governativa i deputati dovrebbero esercitare,
sono quasi sempre traviati da ambizioni personali ed interessi di
parte. È per essi che il desiderio naturale nei governanti di
fare il bene viene efficacemente e costantemente combattuto dal
desiderio, non meno naturale, di fare il proprio interesse, che il
sentimento del dovere professionale è nei ministri e nei
deputati sempre bilanciato da tutte le ambizioni e da tutti gli amor
propri giustificati ed ingiustificati. È per essi che la
macchina amministrativa e giudiziaria viene mutata in grande agenzia
elettorale col relativo sperpero di pubblico danaro e di senso
morale, che le pretese di qualunque grande elettore, attraverso il
deputato che ha bisogno di lui, e del ministro che ha bisogno del
deputato, bastano talvolta a far rinnegare qualunque rispetto
all'equità ed alla legge. È infine per questa
costante, procurata, flagrante contraddizione fra il dovere e
l'interesse di chi governa e di chi deve limitare e giudicare
l'azione del Governo, che la burocrazia e l'elemento elettivo, che
dovrebbero controllarsi a vicenda, finiscono col corrompersi e con
lo snaturarsi a vicenda274.
VII. — Prima di studiare i rimedi proposti e da proporre ad un
simile stato di cose conviene fermarsi un momento per esaminare cosa
accadrebbe se esso durasse immutato per un certo spazio di tempo,
se, ad esempio, per mezzo secolo ancora nulla di sostanziale fosse
mutato nelle istituzioni che reggono tanta parte della
società europea e non avvenissero in essa nuovi rivolgimenti
talmente violenti da spostare le influenze e le fortune personali.
Or, dato che questa ipotesi, cosa che ci pare difficile, possa
avverarsi, respingiamo formalmente quell'opinione, un tempo
abbracciata da molti ed ora seguita da pochi, secondo la quale le
istituzioni parlamentari avrebbero in sè stesse una
virtù riparatrice dei mali che producono negli inizi della
loro applicazione275. Possiamo però ammettere che questi mali
cambierebbero un po' di natura per quel fenomeno della
stabilità o cristallizzazione delle influenze politiche, che
avviene in tutti i paesi il cui regime politico non è per un
lungo tempo cambiato da infiltrazioni straniere o da un
lavorìo interiore d'idee e di passioni. I figli delle
notorietà presenti del Parlamento, della Banca e della
burocrazia arriverebbero infatti sempre più facilmente ai
posti già occupati dai padri, e si formerebbe un piccolo
mondo, una consorteria di famiglie influenti, entro la quale sarebbe
difficile agli uomini nuovi di penetrare. Accadrebbe ciò che
è accaduto in Roma repubblicana, dove le diverse generazioni
delle famiglie più cospicue si succedevano nelle cariche
più elevate e nell'Inghilterra del secolo decimottavo e dei
primi decenni del decimonono fino alla riforma del 1832, quando le
antiche famiglie parlamentari erano alternativamente alla testa
dell'Opposizione o del Gabinetto, e si accentuerebbe ciò che
già accade in Francia ed in Italia, paesi dove il sistema
rappresentativo è ancora recente, nei quali spesso vediamo i
figli, i fratelli ed i generi degli uomini politici ereditare i
collegi dei loro parenti. Mercè questa maggiore
stabilità della classe che avrebbe l'alta direzione politica
si renderebbe più difficile il farsi avanti agli uomini di
merito e di nascita oscura, ma crescerebbe la difficoltà
anche per coloro che escono dalla folla e salgono i primi gradini
della notorietà e dell'influenza politica lusingando ed
acuendo le più basse o le più insensate aspirazioni
della folla. Il tempo farebbe pure dimenticare la prima origine
impura di molte fortune e molte influenze, ai figli nati in elevata
fortuna sarebbero risparmiate le bassezze e le contraddizioni che,
per arrivarvi, furono necessarie ai padri, ma diventerebbe sempre
più flagrante la contraddizione fra lo spirito delle
istituzioni e coloro, che sarebbero chiamati a rappresentarle, e
l'oligarchia, che governerebbe a nome del popolo, e che non potrebbe
mai ripudiare interamente le arti e le ipocrisie necessarie in
qualunque regime parlamentare, starebbe sempre più lontana ed
appartata dai sentimenti e dalle passioni del popolo. E per popolo
non intendiamo solo le masse dei contadini e degli operai, ma anche
quelle numerose classi medie, fra le quali si svolge tanta parte
dell'attività economica ed intellettuale del paese.
Prescindendo quindi dagli effetti naturali, che eserciterebbe
l'azione del tempo, la quale, come abbiamo visto, sarebbe di dubbia
utilità, non è difficile escogitare quelle
modificazioni degli istituti presenti, che attenuerebbero i danni
del Parlamentarismo.
Non ci è infatti chi non veda quanto riuscirebbe utile
l'aumentare le guarentigie d'indipendenza della magistratura,
assicurando ai magistrati in tutti i paesi quella vera e reale
inamovibilità di grado e di luogo, che ora è praticata
soltanto in alcuni, ed elevando, a fatti non a parole, la loro
posizione sociale ed il loro prestigio. Non ci è chi non veda
quanto gioverebbe in Francia ed in Italia ed altrove l'introdurre il
sistema della responsabilità di tutti gli impiegati dello
Stato al modo tedesco, in guisa che tutti i pubblici funzionari di
grado elevato rispondessero dell'opera loro davanti tribunali
amministrativi realmente indipendenti, e sottraendo nello stesso
tempo i detti funzionari agli arbitrii dei Ministri e quindi dei
deputati.
Si potrebbe anche organizzare meglio il controllo finanziario,
aumentando l'indipendenza della Corte dei Conti. Disgraziatamente
tutti questi rimedi, che attenuerebbero la gravità di alcuni
sintomi del male senza toglierne la radice, sono pure di difficile
attuazione per la resistenza che gli elementi dominatori che hanno
il battesimo del suffragio popolare, e che vengono comunemente
appellati democratici, oppongono tacitamente od apertamente, in nome
degli intangibili principii della sovranità nazionale, ogni
qual volta si tratta di aumentare il prestigio e le attribuzioni di
quegli istituti, che limitano la loro onnipotenza276.
Più radicale ed efficace rimedio sarebbe senza alcun dubbio
quello, che è stato vagheggiato da molti, e che consiste in
un ritorno al sistema costituzionale del quale il Governo
parlamentare non è che una trasformazione e, secondo alcuni,
una degenerazione. Non bisogna nascondere che un movimento politico
che cercasse di arrivare a questo resultato, avrebbe una certa
facilità di pratica attuazione, perchè realmente,
stando alla lettera degli Statuti e delle Carte fondamentali sulle
quali posa l'edificio giuridico dei Governi moderni, non si
può scorgere alcuna differenza fra il regime parlamentare e
quello costituzionale, anzi tutti i testi ammettono esclusivamente
l'esistenza di un regime costituzionale non già di quello
parlamentare277. Questa forma di Governo non si è
perciò stabilita se non in base ad una serie di concessioni
tacitamente richieste dalla pubblica opinione e tacitamente
consentite dai Capi degli Stati; sicchè basterebbe un
cambiamento nell'opinione pubblica per tornare ad una
interpretazione più autentica dei principii codificati nelle
Costituzioni. Aggiungiamo non essere esatto ciò che alcuni
credono, che il Governo parlamentare cioè abbia avuto in
Inghilterra la sanzione di una durata parecchie volte secolare;
perchè realmente esso cominciò colà a
delinearsi soltanto poco prima della metà del secolo
decimottavo e non ha funzionato secondo le norme, che i trattatisti
credono corrette, se non durante il secolo decimonono e specialmente
durante il lungo regno della regina Vittoria e durante quelli dei
suoi successori278.
Malgrado ciò confessiamo che una evoluzione politica nel
senso indicato ci parrebbe ora di una opportunità molto
dubbia. In Francia, in Italia e negli altri paesi parlamentari del
continente europeo il funzionamento di tutti gli istituti politici
è ormai legato al presupposto che debba vigere in fatto il
regime parlamentare. È discutibile se sia stato giovevole il
passaggio diretto dal regime burocratico assoluto a quello
parlamentare, senza fermarsi prima, almeno per un certo tempo, nel
periodo semplicemente costituzionale; ma, poichè gli eventi
hanno cosi proceduto, bisogna subirne le conseguenze. Or
principalissima conseguenza delle teorie e delle consuetudini
politiche, che hanno finora prevalso in tanta parte d'Europa,
è stata questa: che la Camera elettiva, sicura che il
Gabinetto potea essere sempre rovesciato da un suo voto contrario,
non ha curato abbastanza la necessità di limitarne i poteri e
le attribuzioni. Sicchè essa è stata larghissima
nell'aumentare le risorse, le funzioni, le inframmettenze dello
Stato, ed è stata forse poco gelosa della
intangibilità di alcuni dei suoi poteri279; perchè ha
pensato che coloro che dello Stato sono a capo sarebbero sempre gli
strumenti della sua maggioranza.
Così stando le cose, è evidente che il passaggio
rapido dal regime parlamentare al costituzionale, nei paesi che sono
al primo abituati, condurrebbe ad un sistema di Governo molto
più autoritario e ristretto di quello che vediamo in vigore
in quelle nazioni nelle quali il costituzionalismo puro non si
è mai trasformato e le funzioni di tutti i poteri sono
rimaste sempre conformi alla lettera degli Statuti fondamentali.
Senza farsi illusioni, si può con quasi sicurezza affermare
che una simile evoluzione, decapitando la Camera dei rappresentanti,
togliendole cioè la principale delle sue attribuzioni e nello
stesso tempo conservando intatta tutta quell'assorbente
organizzazione burocratica, tutti quei mezzi e quelle abitudini di
corruzione coi quali ora i Governi parlamentari sanno modificare i
responsi delle urne, toglierebbe almeno per molto tempo ogni
spontaneità di azione, ogni importanza politica ai Parlamenti
e ci condurrebbe ad un regime molto simile a quell'assolutismo
burocratico, del quale abbiamo poco sopra accennato i vizi e
gl'inconvenienti. Ed è anche da tener presente che questi
sarebbero più sentiti, più amari, più gravi se
il Gabinetto, che inaugurerebbe il nuovo sistema, fosse uscito, come
è molto probabile, dal Parlamentarismo e fosse quindi
inquinato da tutte le corruttele e le ipocrisie inerenti alla sua
origine.
VIII. — Il rimedio più efficace e più sicuro ai mali
del Parlamentarismo starebbe in un discentramento largo ed organico,
il quale non dovrebbe solo consistere in un passaggio di
attribuzioni dalla burocrazia centrale a quella provinciale, e dalle
Camere del Parlamento nazionale ai corpi elettivi locali, ma
nell'affidare gran parte delle mansioni, che ora sono esercitate
dalla burocrazia e dai corpi elettivi, a quella classe di persone,
che per cultura ed agiatezza ha capacità, indipendenza,
prestigio sociale assai superiore a quello delle masse; la quale non
si dà ai pubblici impieghi e che ora, quando non riesce o non
vuole farsi eleggere alla deputazione, non entra a far parte dei
Consigli provinciali o di quelli dei grandi Comuni, resta
completamente lontana dalla vita pubblica. È in questo modo
soltanto che si possono lenire i mali del Parlamentarismo o rendere
meno pericoloso per le pubbliche libertà il passaggio da esso
al regime costituzionale.
Se non fosse noto altrimenti, si potrebbe rilevare da quanto noi
abbiamo già scritto che le magagne dei Governi parlamentari
hanno quasi tutte origine dall'indebita ingerenza che la burocrazia,
per mezzo principalmente dei Prefetti, esercita nella formazione
degli elementi elettivi centrali e locali e da quella, ugualmente
indebita, che gli elementi elettivi centrali, ossia i deputati,
esercitano alla loro volta sulla burocrazia.
Da ciò proviene un indecente ed ipocrita mercimonio di
tolleranze reciproche e di scambievoli favori, che è la vera
cancrena di parecchie nazioni europee. Or questo cerchio non si
rompe aumentando i poteri della burocrazia o allargando le
attribuzioni dei corpi elettivi, ma si spezzerà soltanto
chiamando nuovi elementi politici, nuove forze sociali al servizio
della cosa pubblica, perfezionando la difesa giuridica mediante la
partecipazione ai pubblici uffici di tutte le persone, che hanno
attitudine a ciò e che non sono impiegati salariati
promovibili e traslocabili a beneplacito di un Ministro, nè
devono attendere la riconferma della loro carica dalla
sollecitazione dei voti, dal beneplacito di un comitato o di un
faccendiere elettorale.
In Francia, in Italia ed altrove, in ogni provincia o dipartimento
si potrebbe applicare il concetto testè esposto, facendo la
lista di tutti coloro che hanno una laurea universitaria280 e pagano
un dato censo, e formandone una categoria speciale di funzionari
gratuiti, la quale, sebbene aperta a tutti coloro che arrivassero a
conquistare i titoli enunciati, pure per l'omogeneità della
condizione sociale e per la naturale tendenza che ha l'uomo per le
distinzioni sociali, acquisterebbe presto solidità e spirito
di corpo, e dedicherebbe volentieri una parte del suo tempo ai
pubblici negozi.
Fra gl'individui appartenenti a questa categoria si dovrebbero
scegliere a sorte o nominare a vita, secondo i casi, i giudici
conciliatori, gli ufficiali incaricati di redigere le liste degli
elettori politici e comunali e alcuni nuovi funzionari, che
dovrebbero essere incaricati di certe mansioni di polizia
giudiziaria. Nella stessa classe dovrebbero essere scelti i
componenti dei tribunali amministrativi di primo grado, che
dovrebbero surrogare, là dove esistono, le presenti Giunte
amministrative e che potrebbero essere anche presieduti da un
magistrato di carriera. Lo stesso elemento potrebbe, anzi dovrebbe,
essere rappresentato nei Consigli di prefettura.
Certo non possiamo qui esporre minutamente tutto un sistema di
riforme delle istituzioni politiche ed amministrative della
società europea e diamo quindi soltanto l'idea fondamentale,
che del resto non è esclusivamente nostra281, alla quale le
riforme dovrebbero essere inspirate, tracciamo la via che ci pare
opportuno e necessario di seguire. Non ci dissimuliamo neppure le
obiezioni, che alla immediata applicazione dei nostri concetti si
potrebbero opporre. Anzi, sebbene non abbiano tutte la stessa
gravità, è nostro dovere farne un sommario esame.
Si può dire infatti che la presente istituzione della giuria
è organizzata secondo il metodo da noi propugnato e che pure
essa fa cattiva prova e si va di giorno in giorno sempre più
discreditando. Ma, in primo luogo, osserviamo che le accuse contro
la giuria sono forse esagerate nel senso che gl'inconvenienti, che
ad essa esclusivamente si attribuiscono, sono forse a preferenza il
frutto di una tendenza generale del secolo verso una soverchia
mitezza nella repressione dei reati comuni; tendenza contro la
quale, presto o tardi, dovrà affermarsi una forte reazione.
In secondo luogo poi gli elementi che entrano nella giurìa
non sono esclusivamente quelli da noi indicati, perchè,
essendosi allargata molto, anzi troppo, la base di questo istituto,
ne fa parte una maggioranza di persone, che non ha la preparazione
intellettuale e morale sufficiente al delicato ufficio che deve
esercitare.
Or gli organismi sociali spesso funzionano male, non già
perchè il principio al quale devono la loro origine sia
sostanzialmente falso, ma perchè è male applicato.
Certo, ad esempio, è giusto il principio propugnato dal
Machiavelli, che la forza armata a tutela dell'ordine e
dell'indipendenza di uno Stato debba essere composta di cittadini,
che a turno prestino il loro servizio, anzichè di stranieri e
di mercenari, che della milizia fanno un mestiere. Ma, mentre una
sapiente ed accorta applicazione di questo principio ha prodotto i
moderni eserciti stanziali, un'applicazione inorganica e leggiera
dello stesso avrebbe risultati identici a quelli che diedero
l'ordinanza fiorentina creata secondo i suggerimenti del segretario
fiorentino e la guardia nazionale che funzionò in Italia fino
a quarant'anni fa.
Si può anche obiettare che la formazione di una classe di
funzionari come quella da noi accennata avrebbe qualche cosa di
artificiale e di arbitrario. Non neghiamo che ad un osservatore
superficiale la critica possa sembrare giusta, perchè nessun
istituto umano, nessuna legge, si sottrae alla necessità di
stabilire limiti che hanno qualche cosa di artificioso e
convenzionale282; ma, nel caso nostro, se guardiamo alla sostanza
delle cose, ci pare che sia perfettamente il contrario. Nei nostri
costumi e nelle nostre abitudini private facciamo infatti sempre una
notevole distinzione tra colui che ha un'elevata cultura e per la
sua posizione economica fa parte della buona società, e
l'uomo povero ed ignorante; e, se politicamente sono ambidue
considerati alla stessa stregua, ciò dipende appunto dal
fatto che nel nostro ordinamento politico prevalgono criteri
arbitrari e convenzionali. Se una cosa ci deve perciò far
maraviglia è la nullità politica come classe di coloro
che hanno i requisiti accennati. E diciamo pensatamente come classe,
perchè poi, individualmente, escono ora quasi tutti dagli
strati sociali che hanno una certa agiatezza ed una certa cultura
coloro che coprono le cariche elettive di qualche importanza,
cioè i deputati, i consiglieri provinciali o dipartimentali
ed i sindaci ed i consiglieri comunali delle grandi città. Il
male è che ne escono dopo esser passati, meno rare eccezioni,
attraverso un sistema di selezione alla rovescia, che esclude dai
posti di maggiore importanza quanti non vogliono o non possono
comprare i voti degli elettori, oppure coloro che hanno carattere
troppo elevato per sacrificare all'ambizione la dignità, e
troppa lealtà e correttezza per profondere promesse che sanno
di non poter mantenere, o che si mantengono soltanto col sacrificio
dell'utile pubblico a quello privato.
Più grave, più reale è l'ostacolo che
all'attuazione pratica dei nostri concetti verrebbe dalle presenti
condizioni economiche di molti paesi d'Europa. Nel secolo scorso e
nella prima metà di quello presente, la gentry inglese ha
esercitato quasi tutti gli uffici equivalenti a quelli che noi
vorremmo affidati alla classe, che ad essa corrisponde nella
società del continente europeo; e li ha esercitato in base ad
un sistema analogo a quello che vorremmo introdurre nei nostri
paesi, sistema che purtroppo, è bene che lo dichiariamo fin
da ora, per l'influenza delle moderne idee democratiche, ha perduto
negli ultimi decenni molto terreno anche al di là della
Manica.
Ma l'Inghilterra è stata negli ultimi secoli un paese
relativamente ricco e, fino a cinquant'anni fa, la scienza non avea
una così larga applicazione nei varii rami
dell'attività sociale: perciò a stabilire il prestigio
di un individuo bastava una certa agiatezza ed una certa educazione
morale e non era, come oggi, quasi indispensabile che a questi
fattori si aggiungesse una cultura superiore. Ora le
necessità dei tempi e sopratutto il bisogno di mantenere la
propria influenza possono indurre la classe più ricca, quella
che possiede le grandi fortune, a scuotere la tradizionale ignavia,
della quale ha dato in molti paesi spettacolo, ed a seguire i corsi
universitari; ma questa classe è e sarà sempre molto
ristretta, e non potrà bastare a tutti gli uffici che abbiamo
enumerato, se non è unita a quell'altra, che possiedo solo
una onesta e mediocre agiatezza.
Intanto questo strato sociale è appunto quello, che
più stenta a mantenere il proprio rango, colpito come
è, forse a preferenza degli altri, dai pesantissimi e
depauperanti sistemi tributari moderni. Sicchè esso
difficilmente in molti paesi conserva quel margine di benessere
economico, che è indispensabile per adire la cultura
superiore quasi esclusivamente a scopo di decoro individuale, di
lusso di famiglia, di utilità sociale; ma a preferenza la
consegue con uno scopo professionale, costretta come è ad
avere quei diplomi, che sono necessari per l'esercizio delle
carriere dette liberali. E fin qui il danno sociale sarebbe forse
tollerabile, ma il peggio è che l'ingombro di queste carriere
spinge sempre più questa classe verso la ricerca affannosa
dei pubblici impieghi, i quali per le pressioni degli aspiranti si
moltiplicano non solo nelle amministrazioni centrali, ma anche in
quelle locali, occasionando nuove spese e nuove ingerenze
burocratiche. Sicchè si stabilisce un cerchio fatale di cause
ed effetti reciproci, per il quale la rovina della media
proprietà e dei capitalisti mediocri, dovuta al soverchio
peso delle imposte, rende quasi necessario di aumentare ancora le
imposte: e vengono così trasformati in funzionari di carriera
quegli stessi elementi sociali, che, in un paese più
prospero, resterebbero liberi cittadini e costituirebbero il
più efficace controllo all'azione della burocrazia.
Ma anche le difficoltà economiche si potrebbero gradatamente
superare, se, alla formazione di una nuova aristocrazia a basi
larghe, di una classe numerosa, che racchiuderebbe quasi tutte le
energie morali e le forze intellettuali delle nazioni e che sarebbe
lo strumento più atto a contrappesare le oligarchie
burocratiche, bancarie ed elettorali, non fosse più forte e
meno vincibile ostacolo quella corrente democratica, ancora tanto in
voga, la quale nessuna legittimità di azione politica,
nessuna prerogativa ammette, che non emani direttamente od
indirettamente dal suffragio popolare. Questa corrente, che, come
abbiamo già accennato, ha contribuito potentemente a
diminuire, negli ultimi decenni, le attribuzioni della gentry
inglese e le ha affidate in cambio all'elemento elettivo od alla
burocrazia, spiegherebbe tutta la forza di cui è ancora
capace per impedire che una evoluzione in senso inverso si compisse
nel continente europeo. In fondo perciò la maggiore
difficoltà nei rimedi da applicare ai mali del
parlamentarismo sta tutta nelle condizioni intellettuali delle
società, che sono rette a sistema parlamentare, nelle
dottrine cioè e nelle opinioni che in esse sono più
diffuse; e, nella ricerca di questi rimedi, finiamo col trovarci di
fronte a quello stesso ordine d'idee e di passioni al quale deve la
sua origine la democrazia sociale283.
IX. — Cominciando l'esame di quest'ultimo ed importantissimo degli
argomenti, che ci eravamo prefissi di trattare, sarà
opportuno premettere un po' di storia. In parecchi movimenti
religiosi e sociali, che poi hanno assunto grandi proporzioni,
può riuscire difficile il rintracciare esattamente e
determinare la parte precisa che il primo fondatore ed i suoi
prischi collaboratori hanno avuto nella maniera come i detti
movimenti praticamente si sono svolti; diciamo di più che non
è agevole l'accertare la fede di nascita dei primi maestri ed
i caratteri che, fin dalla nascita, erano loro speciali. La
personalità di Sakya Muni resta confusa infatti tra il vago e
l'incerto delle leggende buddistiche e forse non si potrà mai
determinare la parte che Manete, primo fondatore del Manicheismo,
ebbe in quelle credenze che poi produssero in Persia sulla fine del
secolo quinto una specie di tentativo di rivoluzione sociale. Ma,
quando spuntò l'alba del socialismo odierno, eravamo
già in un periodo intellettualmente assai più maturo,
nel quale le dottrine nuove ed i ricordi personali venivano subito
raccolti e fissati in libri pubblicati a migliaia di copie, che non
saranno mai forse interamente distrutti e perduti. I primordi
perciò delle attuali dottrine riformatrici sono noti e
possono essere seguiti passo per passo; ed, arrivando alle loro non
lontane origini, facilmente constatiamo che Voltaire e i suoi
seguaci ebbero una parte importantissima nel distruggere il mondo
antico, ma non accennarono quasi mai a sistemi sociali nuovi che a
quello allora vigente si potessero sostituire. Sicchè il vero
padre di quei sentimenti, di quelle passioni, di quel modo di
comprendere e giudicare la vita sociale, che hanno avuto per
conseguenza pratica la nascita e lo sviluppo della democrazia
sociale, è indiscutibilmente, per come molti hanno già
osservato prima di noi, Giangiacomo Rousseau284.
Certo è facile trovare nella China, nell'India, perfino
nell'antico Egitto, in qualche scrittore greco e romano, nella
Persia dei Sassanidi, fra i Profeti d'Israele e fra i Santi Padri
della Chiesa cattolica, negli eresiarchi cristiani del Medio Evo e
del principio dell'era moderna e fra i rèformatori della
religione maomettana, idee, sentimenti, giudizi staccati e talvolta
anche sistemi completi di credenze, che si avvicinano mirabilmente a
quelli dei moderni socialisti285. Ciò è molto naturale
perchè i sentimenti sui quali poggiano tanto le scuole
socialiste propriamente dette, quanto quelle anarchiche, non sono
certo esclusivi delle odierne generazioni europee ed americane.
Inoltre l'applicazione dello spirito critico all'analisi delle
istituzioni sociali contemporanee, collo scopo di fornire una base
razionale e sistematica, almeno apparente, alla esplicazione dei
sentimenti accennati, è pure un fatto antico ed abbastanza
ovvio, che può accadere in tutte le società umane
arrivate ad un certo periodo della loro maturità.
Però ciò non significa che il socialismo odierno
discenda per filiazione morale ed intellettuale diretta e non
interrotta da alcuna delle dottrine che hanno con esso qualche
analogia, e che fiorirono nelle diverse parti del mondo in secoli
più o meno remoti, e perirono dopo aver lasciato nella storia
traccie più o meno profonde della loro propaganda. Le odierne
scuole riformatrici, tanto socialiste che anarchiche, che non si
riattaccano ad alcun principio religioso ed hanno una base puramente
razionale, sono invece un parto spontaneo delle condizioni
intellettuali e morali del secolo decimottavo e del secolo
decimonono. Il loro germe è tutto in quella dottrina che
proclama l'uomo naturalmente buono, e sostiene che la società
lo rende cattivo, dimenticando che la struttura di una
società non è che un risultato delle transazioni e
degli equilibri fra gli svariati e complicatissimi istinti umani.
Or il primo che formulò nettamente questa dottrina, colui che
ne fu il propugnatore più illustre, è senza dubbio il
filosofo ginevrino, nelle cui opere, del resto, non solo appare
esplicitamente il concetto che pone la giustizia assoluta a
fondamento di tutte le istituzioni politiche e condanna
perciò ogni disuguaglianza politica ed economica, ma anche
agevolmente si riconoscono quei sentimenti di rancore verso i
prediletti della fortuna, i ricchi, i potenti, che entrano per tanta
parte nel bagaglio polemico dei socialisti delle generazioni passate
e della presente286.
Il lavoro sull'origine della ineguaglianza fra gli uomini, nel quale
il Rousseau poneva quei germi che, fecondati maravigliosamente
dall'ambiente, doveano tanto svilupparsi, fu pubblicato nel 1754 e
già l'anno dopo, nel 1755, dai principii posti si traevano le
naturali conseguenze in un libro lungamente oscuro, attribuito per
un pezzo al Diderot, ma il cui vero autore è certo Morelly, e
nel quale già sono grossolanamente ma chiaramente tracciate
le linee fondamentali di una riforma sociale in senso
collettivista287; ed ugualmente per l'abolizione della
proprietà privata conchiudeva nel 1776 uno scrittore, ai suoi
tempi abbastanza celebre e conosciuto, cioè l'abate Mably, e
la famosa frase di Proudhon che la proprietà è un
furto la troviamo già in un opuscolo pubblicato nel 1778 da
quel Brissot di Warville, che divenne poi uno dei capi più
noti del partito girondino288.
Si è molto disputato e si disputa ancora se gli uomini che
diressero il gran movimento rivoluzionario francese alla fine del
secolo XVIII fossero stati o no intinti di dottrine socialiste.
Anteriormnente al 1848 il Blanc lo ha affermato ed il Quinet,
fondandosi principalmente sulle memorie del convenzionale Baudot, lo
ha negato. A noi pare evidente che il socialismo debba essere una
conseguenza necessaria della democrazia pura, se almeno per
democrazia devesi intendere la negazione di ogni superiorità
sociale che non sia basata sul libero consenso della maggioranza; e
su questo punto non esitiamo a dar perfettamente ragione allo Stahl
e torto al Tocqueville e ad altri, che hanno sostenuto il contrario.
Però una conseguenza necessaria non vuol dire che debba
essere immediata, ed è naturale anzi che corra un certo tempo
fra il tentativo di attuare l'uguaglianza assoluta nel campo
politico e l'altro col quale si cerca di applicarla anche nel campo
economico, giacchè ordinariamente solo l'esperienza insegna
che la prima è del tutto apparente se non è completata
dalla seconda. Sicchè, durante il periodo che corre dal 1789
al 1793, un po' perchè l'esperienza mancava, un po'
perchè le dottrine socialiste erano ancora nella loro
infanzia e non erano state ancora bene elaborate e concretate in
sistemi che avessero almeno l'apparenza scientifica, sopratutto poi
perchè i capi dei rivoluzionari d'azione, se erano soldati,
si contentavano di arrivare in un par d'anni da sergenti a generali,
se avvocati, si limitavano a diventare (quando non morivano sulla
ghigliottina) legislatori, proconsoli, membri dei Comitati di salute
pubblica, o alla peggio altissimi funzionari, e perchè tutti
costoro, insieme ai contadini, trovavano assai comodo acquistare
dallo Stato le proprietà private degli emigrati mercè
un pugno di assegnati senza valore, le teorie che ufficialmente
prevalsero nelle varie Assemblee legislative e costituenti furon
quelle che i socialisti odierni chiamano individualiste e borghesi.
Vero è che se tali furono le dottrine prevalenti, ben altra
intonazione ebbero gli istinti e le passioni che allora si
scatenarono, e che, se non si fece ufficialmente la guerra alla
ricchezza ed alla proprietà privata in genere, la si fece, in
generale con molta efficacia, ai proprietari ed ai ricchi. Quindi di
fatti e discorsi dei rivoluzionari d'allora, perfettamente
all'unisono colle aspirazioni dei socialisti rivoluzionari di mezzo
secolo fa e d'oggi, se ne possono citare a dovizia289.
Nondimeno, quando il movimento rivoluzionario era già al suo
declinare, troviamo un tentativo per attuare l'uguaglianza assoluta
e porre termine alle oppressioni ed ai privilegi, mediante
l'abolizione della proprietà privata e la concentrazione di
tutta la ricchezza nelle mani dello Stato. Questo infatti era il
fine, che, come è notorio, si proponeva di raggiungere il
famoso Cajo Gracco Babœuf. La cospirazione degli Eguali, della quale
costui era a capo, comprendeva tutta quella parte dei sopravvissuti
giacobini, che nelle idee socialiste, come abbiamo visto non ignote
alla fine del secolo scorso, volevano attingere la forza
ravvivatrice della rivoluzione, che accennava a spegnersi
nell'anarchia o nel cesarismo. Compagno del Babœuf, che, sventata la
sua congiura, fu ghigliottinato come si sa nel 1797, era l'italiano
Buonarroti, anello di congiunzione fra i socialisti del secolo
scorso e quelli della prima metà del presente. Egli infatti
espose chiaramente le dottrine del suo maestro in un libro che
comparve nel 1828, che contiene tutta la parte essenziale delle
dottrine secondo le quali lo Stato deve diventare unico proprietario
delle terre e dei capitali290.
Questo libro ebbe una grandissima influenza nell'educazione
intellettuale di tutte le conventicole rivoluzionarie che si
formarono in Francia poco prima e sopratutto dopo della rivoluzione
del 1830, quando le passioni e gl'intelletti cominciarono ad
agitarsi nel senso di una radicale riforma della società e si
costituì il primo grande ambiente socialista. Pochi anni
prima del Buonarroti aveano cominciato le loro pubblicazioni il
Fourier ed il Saint-Simon291, e nei dieci o quindici anni che
seguirono il 1830 il socialismo veniva fecondato dalle pubblicazioni
di Pietro Leroux292, di Luigi Blanc293 e di Proudhon294, per tacere
degli astri minori. E, a stare bene attenti, nella feconda fioritura
d'idee riformatrici che ebbe luogo in Francia dal 1820 al 1848,
troviamo già accennate tutte le varietà e le
gradazioni del socialismo presente. Abbiamo infatti già il
socialismo legalitario di Fourier e quello rivoluzionario di Blanc,
ci sono già in Proudhon i germi delle dottrine anarchiche e
nel Buchez è già abbozzato il socialismo cristiano295;
e, se guardiamo ai metodi coi quali si faceva la propaganda,
constatiamo anche allora la pubblicazione del romanzo collettivista
che mena grande rumore296.
X. — Se una lettura attenta degli scrittori socialisti anteriori al
1848, che sono quasi tutti Francesi, ci può facilmente
convincere che essi poco o nulla lasciarono da inventare ai Tedeschi
che vennero dopo, se si può agevolmente scorgere che Marx non
ha fatto che sviluppare sistematicamente, in una forma più
strettamente logica e valendosi di una conoscenza più ampia
dell'economia politica classica ed anche della filosofia hegeliana,
quegli stessi principii, che già avevano posato il
Buonarroti, il Leroux, il Blanc e sopratutto il Proudhon, non
è men vero che il socialismo contemporaneo è un
fenomeno sociale assai più grave di quello di sessanta anni
fa. La sua diffusione, infatti, è senza paragone maggiore,
perchè, invece di essere ristretto quasi unicamente alle
grandi città della Francia e sopratutto a Parigi, abbraccia
quasi tutta l'Europa oltre agli Stati Uniti d'America ed
all'Australia, sicchè si può dire che sia un bene od
un male comune a tutti i popoli di civiltà europea. Nè
in profondità ha guadagnato meno che in estensione;
giacchè gl'istinti rivoluzionari ed i propositi generosi, che
prima trovavano un obbiettivo ed uno sfogo nel movimento
semplicemente democratico o in quello per la ricostituzione di
alcune nazionalità, ora che i governi rappresentativi a larga
base sono stati introdotti quasi dappertutto ed hanno avuto spesso
per risultato le delusioni del Parlamentarismo, ora che
l'unità italiana e quella tedesca sono da un pezzo quasi
compiute e che la quistione polacca può sembrare tristamente
giudicata, si sono tutti concentrati nell'aspirazione di riforme
sostanziali del presente ordinamento sociale297.
È venuto un momento in cui sono molti al mondo che hanno sete
di giustizia e nutrono la speranza di poterla presto soddisfare.
Ormai non è più un pensatore, un uomo di cuore isolato
“che ha veduto tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole, ha
veduto le lagrime degli oppressi, i quali non hanno alcun
consolatore, nè forza da potere scampare dalle mani dei loro
oppressori”298 e, colla constatazione generale del danno, va unita
la fiducia nella possibilità di un sollecito rimedio.
La credenza che i primi Cristiani avevano nel prossimo avvento del
regno di Dio, che dovea fare sparire il male, premiare i giusti,
punire i malvagi, trova il suo riscontro nella persuasione, diffusa
in tutti gli strati sociali, che la parte maggiore delle
iniquità, che si trovano nel mondo, sia imputabile alla
maniera come è ora organizzata la società, e che esse
potrebbero essere evitate se coloro che hanno nelle mani il potere
sociale non fossero lo strumento dei ricchi e dei forti ed
intervenissero efficacemente a favore dei deboli. Questa
persuasione, che ornai ha conquistato tante menti e riscalda tanti
cuori, la convinzione omai tanto sparsa che vi sia una quistione
sociale, che fra poco siano inevitabili importanti riforme del
diritto di proprietà, della famiglia, di tutta la presente
organizzazione industriale e capitalistica, i tentativi e le
promesse, che gli stessi governanti ed i Sovrani non mancano
talvolta di fare su questo argomento, contribuiscono a formare
quell'ambiente intellettuale e morale in cui il socialismo militante
vive, prospera, si diffonde.
Col favore infatti di quest'ambiente, attorno ai più reputati
maestri ed organizzatori, si sono formate due numerosissime
organizzazioni politiclie, ognuna delle quali ha le sue aspirazioni,
i suoi programmi, le sue dottrine abbastanza circoscritte e
determinate, quasi due vere Chiese: esse sono costituite dai seguaci
del collettivismo e da quelli dell'anarchia. Ambedue hanno, a
somiglianza delle comunità religiose, una certa tendenza
all'universalità e, se non spediscono missionari a convertire
i barbari, esercitano però la loro propaganda in quasi tutti
i popoli di civiltà europea; in una di esse più
specialmente, cioè in quella collettivista, vediamo che,
malgrado i numerosi eresiarchi ed i frequenti scismi, fenomeno
comune a tutti gli organismi giovani e pieni di vita, i capi,
gl'ispiratori, si riuniscono in frequenti concilii nazionali ed
universali, e discutono intorno ai dogmi, alla disciplina, alla
linea di condotta che il partito deve tenere, e fissano norme e
metodi, che poi sono dalla moltitudine dei credenti universalmente
accettati.
XI. — L'esporre succintamente i postulati del collettivismo è
cosa abbastanza facile, essendo essi già abbastanza noti a
tutte le persone di qualche cultura dopo che, da non pochi anni a
questa parte, i suoi seguaci son diventati cosi numerosi da essere
rappresentati nei Parlamenti dell'Italia, della Francia e sopratutto
della Germania, dove essi assumono il titolo, che noi crediamo il
più scientificamente adatto a designarli, di democrazia
sociale. Secondo dunque la dottrina universalmente riconosciuta per
ortodossa, lo Stato rappresentante della collettività dei
cittadini dovrebbe essere l'unico proprietario di tutti gli
strumenti di produzione, siano essi capitali propriamente detti,
macchine o terreni, e dovrebbe essere l'unico direttore e l'unico
distributore della produzione economica.
Non essendovi più nè proprietari d'immobili, nè
capitalisti privati, tutti lavorerebbero per conto dell'intera
società, e l'organismo sociale provvederebbe a tutti o in
ragione del bisogno di ogni individuo, come avrebbe voluto una
formola più semplice e più antica, o in ragione del
lavoro compiuto, come vorrebbe la formola più nuova ed ora
più generalmente accettata299.
Tutta la macchina cosi organizzata sarà poi amministrata e
diretta da capi scelti dal popolo a suffragio universale, che
avranno cura di attribuire ad ognuno quella qualità di lavoro
di cui è più capace, faranno in modo che i prodotti
del lavoro e dei capitali sociali non siano sciupati nè
indebitamente sottratti o goduti, e nello stesso tempo ne
distribuiranno ad ogni individuo, con perfetta equità e
giustizia, quella quota esatta, che gli spetta o come prodotto del
proprio lavoro onestamente ed infallibilmente calcolato, o per i
propri bisogni, dei quali con eguale imparzialità i
governanti si saranno formato un esatto criterio.
Or noi non vogliamo tener conto delle lotte civili, delle violenze,
che molti giustamente ritengono indispensabili per l'attuazione di
questo programma e che certo non farebbero che esasperare gli odi e
rancori e le cupidigie e, dividendo la popolazione in vincitori e
vinti e mettendo i secondi in balia dei primi, darebbero agio di
sfrenarsi ai più malvagi tra gl'istinti umani. Ammettiamo
anzi che le riforme accennate siansi potute compiere pacificamente e
di comune accordo, o che i secoli col loro volgere abbiano
già spento l'ultima eco delle guerre fratricide, con le quali
il nuovo tipo di organizzazione sociale si era inaugurato.
Ammettiamo anche di più, che la produzione e la ricchezza
totale della società non sia, come vogliono gli economisti, e
come ci pare che essi abbiano indiscutibilmente provato, col nuovo
sistema notevolmente diminuita. Anzi siamo prontissimi a riconoscere
che il lato etico del problema sociale debba avere un'assoluta
prevalenza su quello esclusivamente economico e che giustamente per
molte menti e molte coscienze il poco, ben diviso, sia preferibile
al molto, diviso male. Ma, dopo aver tanto conceduto, abbiamo il
diritto ed il dovere di proporre un'altra quistione, che chiameremo
politica, perchè è la più larga, la più
comprensiva che si possa immaginare; perchè è un
prodotto spontaneo dell'esame sintetico di ogni ordine di rapporti
sociali; perchè la sua soluzione deve interessare non meno
gli economisti ortodossi che i socialisti, non meno i capitalisti
che gli operai, i ricchi che i poveri; perchè essa è
la prima, la più importante per tutti i cuori nobili, per
tutti gl'intelletti spregiudicati, che, al disopra di qualunque
formola e di qualunque partito, pongono la ricerca spassionata di un
assestamento sociale che rappresenti il massimo del bene che sia
lecito alla nostra povera umanità di raggiungere. Abbiamo
dunque il diritto ed il dovere di chiedere se, con l'attuazione del
sistema comunista o di quello collettivista, la giustizia, la
verità, l'amore ed il compatimento reciproco fra gli uomini
avranno nel mondo un posto maggiore di quello che ora vi occupano:
se i forti, che staranno sempre in alto, saranno meno soverchiatori;
se i deboli, che rimarranno sempre in basso, saranno meno
soverchiati. A questa domanda rispondiamo fin d'ora recisamente, ma
osiamo dirlo ponderatamente, con un no.
Un uomo di mente ci disse una volta che era impossibile allo
studioso di scienze storiche e politiche di prevedere esattamente
ciò che avverrà in un futuro prossimo o remoto nelle
società umane, perchè vi è sempre negli eventi
umani una parte dovuta a ciò che comunemente si chiama il
caso fortuito, la quale non potrà mai essere in anticipazione
calcolata; aggiungeva però che si può al contrario
prevedere molto bene ciò che non avverrà mai,
l'indagine negativa avendo una base sicura nella conoscenza della
natura umana, la quale mai permetterà che si attui realmente
ciò che ad essa fondamentalmente ripugna300. La seconda di
queste massime ci pare molto applicabile al caso che ora stiamo
studiando, e la sua applicazione deve riuscire tanto più
facile che in gran parte non si tratta già di prevedere
ciò che potrà o no accadere, ma di constatare
semplicemente ciò che è accaduto e tutti i giorni
accade; sicchè il moltissimo già per esperienza noto
ci rende agevolissimo lo stabilire ciò che sarà il
poco, che alcuni credono ancora un ignoto.
Infatti le società comuniste e collettiviste sarebbero senza
dubbio rette da magistrati eletti esclusivamente a suffragio
universale301, e noi sappiamo già come funzionino i poteri
politici dove essi sono in mano quasi esclusivamente ai così
detti mandatari del popolo. Sappiamo già come le maggioranze
non abbiano che un semplice diritto di opzione fra i pochi candidati
possibili e come non possano perciò esercitare sopra di essi
che un controllo saltuario, limitato e spesso inefficace; sappiamo
come l'indicazione dei candidati stessi sia quasi sempre l'opera di
minoranze organizzate per gusto o per mestiere dedite alla politica
elettorale, di caucus e di comitati i cui interessi sono spessissimo
in contradizione con quelli delle maggioranze. Conosciamo già
quali siano le astuzie usate dai peggiori per falsare a loro
profitto i verdetti delle urne, quali siano le bugie che si dicono,
le promesse fallaci e le violenze che si fanno, per carpire i voti
degli elettori.
Ma, possono obiettare i comunisti e collettivisti, tutto ciò
avviene perchè esiste la presente organizzazione
capitalistica, perchè ora i latifondisti ed i proprietari
delle grandi fortune mobiliari hanno mille modi diretti ed indiretti
di coartare e comprare i voti dei poveri, dei quali si giovano per
rendere il suffragio universale una menzogna ed assicurarsi la
preponderanza politica; ed è appunto per evitare
gl'inconvenienti testè enumerati che bisognerebbe, quando non
ci fossero altre ragioni, cambiare radicalmente l'ordinamento
sociale. Coloro che ragionano in questo modo dimenticano però
un particolare della questione, che a noi non pare trascurabile;
dimenticano cioè che, anche nelle società organizzate
come essi vorrebbero, vi sarebbero sempre coloro che
amministrerebbero la pubblica ricchezza e vi sarebbe la grande massa
degli amministrati, che si dovrebbero contentare della parte che
loro verrebbe attribuita. Or gli amministratori della repubblica
sociale, che sarebbero nello stesso tempo i capi politici,
diverrebbero indubbiamente molto più potenti dei ministri e
dei milionari d'oggidì.
Poichè l'uomo, che avrà la facoltà di
costringere gli altri ad un dato lavoro e di fissare la porzione di
godimenti e di soddisfazioni morali e materiali, che dovrà
essere il correspettivo di questo lavoro, per quanto possa essere
frenato da leggi e regolamenti, sarà sempre il despota dei
suoi fratelli e potrà sempre far piegare a suo vantaggio la
loro coscienza e la loro volontà302.
E tutte le menzogne, tutte le viltà, tutte le violenze e le
baratterie, che ora non servono soltanto per brigare i suffragi del
popolo ma si adoperano anche per farsi avanti nei pubblici impieghi
semplicemente per far quattrini presto e con modi poco scrupolosi,
in un regime collettivista sarebbero tutte consacrate allo scopo di
diventare amministratori dell'azienda sociale. Unica sarebbe la
mèta degli avidi, dei furbi e dei violenti, unica la tendenza
delle cabale e delle combriccole, che non mancherebbero di formarsi
a scapito dei caratteri più miti, più giusti,
più leali. E la differenza sarebbe tutta a vantaggio della
società presente; poichè la distruzione della
pluralità delle forze politiche, della diversità dei
modi e delle vie con cui ora si acquista l'importanza sociale,
toglierebbe ogni indipendenza ed ogni possibilità di
controllo reciproco. Ora almeno l'impiegato può ridersi del
milionario; un buon operaio, che sappia bene guadagnarsi la vita
colle proprie braccia, nulla ha da temere dal capo-divisione, dal
deputato o dal ministro; chiunque abbia una posizione discreta come
proprietario, industriale o professionista può portare la
fronte alta dinanzi a tutti i poteri dello Stato ed a tutti i
latifondisti ed alti baroni della finanza che stanno nel mondo. Col
collettivismo nessuno potrà fare a meno di essere sottomesso
agli uomini che saranno al governo, essi soli potranno dispensare i
favori, il pane, la gioia ed il dolore della vita. Una tirannide
unica, assorbente e schiacciante graverà su tutti; i grandi
della terra saranno i padroni assoluti di tutto, e la parola
indipendente di chi da loro nulla teme e nulla spera non
verrà più a frenarne gli eccessi.
Cita il George frequentemente, nel suo libro intitolato Progresso e
Povertà, un passo dei Vedas nel quale è detto che gli
elefanti folli d'orgoglio ed i parasoli ricamati d'oro sono il
frutto della proprietà privata della terra. Al giorno d'oggi,
che la civiltà è più raffinata e la vita
più multiforme, la ricchezza può procacciare ben altro
che elefanti e parasoli; ma in fondo i privilegi che essa conferisce
a chi la possiede consistono nel render più facile il
conseguimento dei piaceri intellettuali, nel più abbondante
godimento di quelli materiali, in soddisfazioni di vanità e
d'amor proprio e sopratutto nel poter disporre delle volontà
altrui, conservando indipendente la propria. Or i capi di una
repubblica comunista o collettivista disporrebbero più che
mai tirannicamente delle volontà degli altri e, potendo
distribuire privazioni o favori, avrebbero mezzo di godere, forse
più gesuiticamente ma con eguale abbondanza, di quei piaceri
materiali e di quei trionfi della vanità, che ora sono
patrimonio dei potenti e dei milionari; come questi, e meglio di
questi, potrebbero avvilire la dignità degli altri uomini e
potrebbero corrompere la virtù delle donne303.
XII. — Più che nella parte positiva, la forza delle dottrine
socialiste e di quelle anarchiche sta nella parte negativa,
cioè nella critica acuta, minuziosa, spietata, che fanno
degli ordinamenti presenti.
Or che la distribuzione della ricchezza, così come si
è fatta per il passato e come avviene ai nostri tempi,
considerata dal punto di vista della giustizia assoluta, offra
margine a molti e gravissimi appunti, perchè consacra grandi
e flagranti ingiustizie, è cosa tanto evidente che
l'affermarla ci pare quasi una vera e propria banalità. In
verità non ci volevano il sottilissimo ingegno del Proudhon,
non le lunghe ed algebriche deduzioni del Marx, nè la potente
e sanguinosa ironia del Lassalle, per provare ciò che salta
tanto agevolmente agli occhi di tutti, anche dell'osservatore
più superficiale e profano: che il godimento individuale dei
beni della vita non è proporzionato, non diciamo allo stento,
ma neppure al merito del lavoro, che è stato impiegato a
produrli. Accade nella vita economica ciò che osserviamo
tutti i giorni nella vita politica, in quella scientifica, in tutti
i rami, insomma, dell'attività sociale: che il successo,
cioè, quasi mai è proporzionato al merito; che fra il
servizio reso da un individuo alla società ed il guiderdone
che ne ricava vi è quasi sempre un grande e spesso stridente
squilibrio.
Il combattere il socialismo volendo negare o semplicemente attenuare
la verità del fatto testè da noi accennato, equivale a
porsi sopra un terreno nel quale si è sicuri di avere la
peggio. Gli economisti ortodossi, che qualche volta l'hanno tentato
ed hanno cercato dimostrare che la proprietà privata delle
terre e dei capitali non solo è indispensabile o utile per la
convivenza sociale, ma risponde anche ai dettami assoluti della
morale e della giustizia, ci pare che abbiano prestato il fianco a
poderosissimi attacchi; e la loro tesi, che in ogni tempo potrebbe
essere giudicata difficile, anzi quasi disperata, raggiunge
l'evidenza dell'assurdità nei tempi che corrono, quando tutti
sappiamo con quali modi si costituiscano di frequente le grandi
fortune.
Tutto ciò che si può e si deve obiettare alla critica
demolitrice dei socialisti si riassume in una verità, che
può sembrare crudele ed alla quale abbiamo già
accennato, ma che è utile e morale che sia altamente e
ripetutamente proclamata. Questa verità consiste nella
constatazione che non vi può essere organizzazione sociale
che sia basata esclusivamente sul sentimento della giustizia e che
da questo lato quindi non lasci molto a desiderare. Ed è
naturale che sia così, perchè ogni individuo non
è mai nella sua condotta privata e pubblica guidato
esclusivamente dal senso del giusto, ma anche dalle sue passioni e
dai suoi bisogni. Solo chi si isola dal mondo, chi rinuncia ad ogni
ambizione di ricchezza o di potere, ad ogni vanità mondana,
ad esplicare in qualsiasi modo la propria personalità,
può lusingarsi che i suoi atti siano inspirati dal sentimento
assoluto della giustizia; ma l'uomo d'azione, che sta nella vita
politica o in quella degli affari, sia egli commerciante o
proprietario, professionista o manuale, sacerdote di una religione
od apostolo del socialismo, mira sempre a raggiungere il successo, e
perciò la sua condotta sarà sempre il risultato di una
transazione, consciente od inconsciente, fra il sentimento della
giustizia ed i suoi interessi304. Il volere, con sentimenti
così fatti, costituire un tipo di organizzazione sociale
corrispondente in tutto a quell'ideale di giustizia che l'uomo
può concepire ma non sa attuare, è un'utopia che in
certe circostanze può diventare pericolosa; quando essa
cioè riesce a far convergere una quantità di forze
intellettuali e morali verso il conseguimento di uno scopo che non
sarà mai una verità e che il giorno che si
tenterà di realizzare non potrà produrre che il
trionfo dei peggiori e lo sconforto e la delusione dei buoni305.
I dottori del socialismo affermano che tutte o almeno gran parte
delle imperfezioni umane, delle ingiustizie che ora si commettono
sotto il sole, non sono un effetto delle naturali condizioni etiche
della nostra specie, ma piuttosto di quelle che ad essa vengono
imposte dalla presente organizzazione borghese. Uno di questi
dottori in un suo recente lavoro ha detto esplicitamente che
"cambiando le condizioni sociali, secondo gl'intenti che si propone
il socialismo, avremo una profonda trasformazione della natura
umana"306.
Or noi non faremo il torto ai riformatori odierni di supporre che
essi vogliano riprodurre sotto una forma nuova il vecchio aforisma
di Rousseau: che l'uomo nasce buono e la società lo rende
cattivo. Poichè, per accettare incondizionatamente questo
giudizio, bisogna anche ammettere che la società non sia il
risultato della naturale e spontanea attività degli uomini,
ma siasi costituita per influenza di un ente sovrumano od
extraumano, che si è divertito a darci leggi, istituti e
consuetudini, che hanno attossiccato e sconvolto la bontà, la
generosità, la magnanimità innate della stirpe di
Adamo. Non crediamo neppure che i socialisti moderni pensino che la
presente organizzazione sociale risponda solo agli istinti di altre
razze, di altre generazioni umane, il cui senso morale dovea essere
molto più basso di quello della generazione contemporanea, la
quale, nobile ed elevata come è, sentirebbe urgente il
bisogno di liberarsi, come da una tunica di Nesso, degli istituti
ereditati dai suoi poco scrupolosi maggiori. Dappoichè,
ammesso questo modo di applicare le teorie evoluzioniste alle
società umane, ammesso che la selezione abbia da qualche
secolo ad ora sensibilmente rialzato il livello medio della
moralità, bisogna anche ammettere che il progresso morale
già ottenuto avrebbe dovuto sensibilmente diminuire,
anzichè aumentare, gl' inconvenienti della organizzazione
borghese.
Or ciò non è evidentemente accaduto: gli uomini non
sono diventati, stando anche a quello che dicono i socialisti, meno
egoisti e duri di cuore. Giacchè, se il contrario fosse vero,
se un atomo dell'utile proprio non avesse spesso per loro ugual peso
di una gran somma d'interessi e di dignità altrui, se tutta
una società fosse nella sua gran maggioranza composta di
persone giuste e compassionevoli, di gente retta ed intera, come
piaceva al Signore d'Israele e come certo sarebbe piaciuta ai
signori Marx e Lassalle, verrebbero ridotti ai minimi termini tutti
quei funesti risultati del rapace capitalismo e della disperata
concorrenza, i quali dagli autori ora citati sono stati con
sì rara maestria rilevati307.
Sicchè l'interpretazione più positiva, che si possa
ora dare all'antica dottrina di Rousseau, è quella che viene
appunto seguita da moltissimi fra coloro che militano nelle file del
partito collettivista o anche fra gli anarchici. Essi credono
infatti che il lavorìo naturale della selezione sia
profondamente disturbato e pervertito nelle presenti società
borghesi e che esso potrà liberamente agire ed avere i suoi
benefici effetti solo quando saranno attuati quei programmi, che
variano secondo le diverse scuole riformatrici. Ragionando in questo
modo è evidente che si sconta una speranza, che non si
potrà mai provare anticipatamente se sarà realizzata,
che si calcola sopra un progresso morale che si asserisce che si
raggiungerà, per attuare un tipo di organizzazione sociale,
che lo suppone di già raggiunto e che potrebbe forse
funzionare soltanto quando fosse raggiunto. Non si farebbe infine
che rinnovare, in grande e con effetti più disastrosi,
l'errore al quale dobbiamo principalmente i danni presenti del
Parlamentarismo.
Ma in verità, se lo studio spassionato della storia ci
può dire qualche cosa, esso c'insegna, come crediamo di avere
dimostrato al capitolo VII di questo lavoro, che è assai
difficile il modificare sensibilmente il livello morale medio di
tutto un popolo che abbia già raggiunto da un pezzo un grado
elevato di civiltà, e che l'influenza, che i diversi tipi di
organizzazione sociale e politica possono avere in queste
modificazioni, è certo minore di quanto immaginano i novatori
d'oggidì. C'insegna inoltre che tutte le volte che, nel corso
dei secoli, quest'influenza si è esplicata in modo benefico,
questo si è ottenuto perchè l'arbitrio individuale e
collettivo di coloro che avevano in mano un potere è stato
frenato e controllato da altri uomini posti in condizioni di
assoluta indipendenza e di nessuna comunanza d'interessi con coloro
che dovevano controllare. È stato necessario ed
indispensabile perciò che siasi potuta avere la
moltiplicità delle forze politiche, che parecchie fossero le
vie colle quali si arrivava ad acquistare l'importanza sociale e che
le diverse forze politiche fossero rappresentate nel reggimento
dello Stato. Il collettivismo ed il comunismo, come tutte le
dottrine basate sulle passioni e la fede cieca delle masse, tendono
a distruggere l'accennata moltiplicità delle forze politiche
e, riducendo ogni potere in mano ai soli eletti del popolo, abolendo
per giunta la ricchezza individuale, che in tutte le società
mature ha fornito spesso il mezzo d'acquistare indipendenza e
prestigio senza il concorso dei reggitori dello Stato, non possono
condurre che alla menomazione della difesa giuridica, a ciò
che in linguaggio povero si chiama la tirannia dei governanti sui
governati. Quella tirannia, ch'è stata sempre il risultato
pratico di tutte le dottrine politiche sempliciste, che, non
osservando quanto vi sia di complicato e difficile nella natura
umana, hanno voluto adattare l'organizzazione sociale ad un solo
concetto unilaterale ed assoluto ed hanno voluto stabilirla sopra un
principio esclusivo, sia stato esso quello della volontà di
Dio, interpretata dai suoi ministri e dai suoi vicari terrestri, o
quello della volontà del popolo, esercitata per mezzo dei
suoi rappresentanti.
Certo, per quanto una sana dottrina politica possa suggerire rimedi
legislativi ed indicare quell'indirizzo atto a diminuire alquanto le
ingiustizie sociali; per quanto i congegni della difesa giuridica
possano esser migliorati in modo da moderare l'oltracotanza degli
uomini investiti dei pubblici poteri; i benefici che da tutte le
riforme inspirate a questi criteri si potrebbero avere sono sempre
ben poca cosa di fronte a quell'era di felicità, di
uguaglianza, di giustizia universale, che le varie scuole socialiste
implicitamente od esplicitamente promettono ai loro seguaci. I detti
benefici corrispondono ai pochi e dubbi anni di discreta
sanità fisica che un coscienzioso medico può, con le
debite riserve, garantire ai suoi clienti; premio, invero, molto
scarso di una diuturna osservanza di tutte le norme igieniche,
specialmente se vien paragonato alla pronta e sicura guarigione di
tutti i malanni ed alla vita quasi secolare che viene promessa
dall'elisir del ciarlatano.
Chiediamo sinceramente venia di un ravvicinamento, che certo dal
lato morale non è applicabile ad uomini che in buona fede
sostengono le loro idee; ma osserviamo che potrebbe darsi benissimo
che il medico dimostrasse la fallacia dell'elisir e che il
ciarlatano lo sfidasse di rimando ad inventarne un altro, che avesse
realmente quella virtù che dovea esser contenuta nel suo.
Siamo certi che il medico risponderebbe che, appunto perchè
egli conosce quale sia la moltiplicità dei germi patogenici e
quanto siano varie e numerose le cause che possono deteriorare il
delicato organismo del corpo umano, non pretenderà mai di
trovare il rimedio universale e sicuro di tutte le malattie,
poichè, se semplicemente lo tentasse, scenderebbe subito al
livello del ciarlatano.
XIII. — Gli anarchici, come abbiamo già notato, fondano la
loro critica demolitrice delle istituzioni vigenti sulle stesse
passioni, sullo stesso ordine di osservazioni e d'idee, che
costituiscono la base della propaganda collettivista; con questa
differenza soltanto, che essi sono ordinariamente più
violenti, e qualche volta addirittura feroci, non solo negli atti,
ma anche nelle parole308. Negli ideali che si propongono di attuare,
si distinguono però profondamente da tutte le scuole
socialiste. Mentre queste, infatti, per abolire od attenuare
notevolmente le ingiustizie e le disuguaglianze che si lamentano nel
mondo, vorrebbero modificare, sia pure radicalmente,
l'organizzazione presente della società, gli anarchici,
saggiamente argomentando che, con qualunque tipo di organizzazione
sociale, vi sarebbero sempre le disparità di condizione fra
gli uomini, e continuerebbero a coesistere i dominatori ed i
dominati, o, come essi dicono, gli sfruttatori e gli sfruttati,
propugnano la distruzione di ogni società organizzata. Fanno
come colui che, avendo scoperto che nessun morigerato tenore di vita
può assicurare una salute perfetta, ricorre, come rimedio
sicuro contro ogni possibilità di malattia, al suicidio.
Seguaci più logici e più rigorosi del padre di tutti i
novatori moderni, ossia di Giangiacomo Rousseau, i partigiani
dell'anarchia ritengono dunque che, essendo la società
organizzata l'origine di tutti gli abusi, questi non possano venir
altrimenti eliminati che con una disorganizzazione completa del
consorzio umano, ossia con un ritorno allo stato di natura. Ma con
ciò non fanno che ripetere, forse inconsciamente, un errore
del loro maestro; poichè la verità è che lo
stato naturale dell'uomo, come del resto quello di molti altri
animali, non è il disgregamento individuale, ma la
società, che può esser soltanto più o meno
vasta, più o meno organizzata. Il supporre quindi che un
fatto cosi universale, come è quello tanto facilmente
constatabile che tutti gli uomini vivono socialmente, sia dovuto
all'interesse ed alla furberia di pochi, è un concetto che,
certo non noi per i primi, ci permettiamo di definire come assurdo
ed infantile. Aristotile, che visse ventuno secoli prima del
filosofo e romanziere ginevrino, ebbe una percezione infinitamente
più chiara e precisa della vera natura dell'uomo quando
scrisse che questi è un animale politico. Ma le
facoltà intellettuali del peripatetico greco probabilmente
non furono mai turbate nè da un puntiglioso amor proprio,
nè dalla vanità letteraria; e si può anche
supporre che la protezione dei sovrani di Macedonia, o il saper
bastare ai propri bisogni, lo abbiano sottratto alla
necessità di inasprirsi il carattere e guastarsi il fegato
stando vicino a persone spesso frivole, qualche volta pettegole,
quasi sempre di condizione sociale superiore309.
Nel fatto, ammesso che l'ipotesi anarchica si avverasse, che fosse
distrutto perciò il tipo odierno di organizzazione sociale,
che non ci fossero più nazioni nè Governi, che fossero
spazzati via gli eserciti stanziali, la burocrazia, le Camere, e
sopratutto i poliziotti e le carceri, resterebbe sempre la
necessità di vivere, e perciò di usare delle terre e
degli altri strumenti di produzione e resterebbero sempre le armi ed
i caratteri intraprendenti ed arditi disposti ad usarne per
asservire altri. Dati questi elementi, si costituirebbero subito
piccoli nuclei sociali, in cui molti lavorerebbero e pochi armati ed
organizzati li spoglierebbero o tutelerebbero, vivendo in ogni modo
alle loro spalle; si tornerebbe cioè a quel tipo di
organizzazione semplice e primitivo, nel quale ogni gruppo di armati
è padrone assoluto di un cantuccio di terra e dei suoi
coltivatori, dato che lo sappia conquistare e difendere con le
proprie armi; tipo che noi abbiamo chiamato feudale. Accadrebbe,
infine, ciò che accadde in Europa, quando la dissoluzione
dell'impero di Carlo Magno finì di disgregare quel tanto di
organizzazione sociale che era sopravvissuto alla caduta dell'Impero
romano, ciò che accadde nell'India quando i successori del
Gran Mogol furono ridotti all'impotenza, ciò che
accadrà in ogni società di cultura avanzata che, per
cagioni interiori od esteriori, si disgrega e discioglie.
Certo coloro che si sentono baldi e forti e non hanno nulla da
perdere si avvantaggerebbero di un simile rivolgimento, che darebbe
la preponderanza come forza politica solo alla violenza ed al valor
personale; ma ne sarebbe danneggiata l'immensa maggioranza dei
pacifici, forse il novanta per cento degli uomini, che al regno del
pugno preferisce anche una imperfettissima giustizia sociale, un po'
di tranquillità e la sicurezza di godere almeno una parte dei
frutti del proprio lavoro310.
Per non far nascere fallaci speranze dobbiamo intanto osservare che
i risultati, che il trionfo dell'anarchia ci farebbe raggiungere,
non si possono ottenere in pochi anni, o anche in qualche
generazione. Giacchè, se occorsero molti secoli per arrivare
dalla barbarie al grado presente di civiltà, ne deve passare
pure qualcuno perchè una società vada perdendo le
abitudini civili e ritorni in uno stato di relativa barbarie. Che se
poi si volesse addirittura tornare alla barbarie assoluta, allo
stato delle tribù, che vivono di caccia, di pesca, di
agricoltura nomade, allora ci vorrà un tempo anche maggiore;
quello cioè che occorre perchè la vecchia e
popolatissima Europa si riduca ad una popolazione che sia appena un
ventesimo di quella presente. A meno che, per far presto, i fautori
dell'anarchia, oltre a sterminare i borghesi e, come essi dicono, i
loro satelliti e sicofanti, non vorranno pure distruggere
violentemente la grandissima maggioranza di quegli sfruttati, sulla
sorte dei quali ora spargono tante lagrime311.
XIV. — Una dottrina comune a tutti i partiti novatori, siano essi
anarchici o semplicemente socialisti, è quella della
così detta lotta di classe. Questa dottrina, svolta
abbastanza largamente per la prima volta dal Marx, è uno dei
migliori cavalli di battaglia di tutti coloro che attaccano
l'ordinamento presente della società; occorre perciò
dirne qualche cosa.
E prima di tutto facciamo rilevare che essa è fondata sopra
un esame incompleto, unilaterale e tendenzioso della storia, col
quale si vorrebbe provare che tutta l'attività delle
società civili siasi finora esplicata negli sforzi che hanno
fatto le classi dominatrici per mantenersi al potere e sfruttarlo a
loro vantaggio e in quelli delle classi basse tendenti a scuotere
questo giogo. Or ritroviamo nel passato di tutti i popoli
importantissimi fatti sociali, che non possono essere contenuti in
verun modo nella vernice angusta di questo quadro. Ad esempio, la
lotta della Grecia contro la Persia, quella di Roma contro
Cartagine, l'immensa diffusione del Cristianesimo e del Maomettismo,
le Crociate e lo stesso risorgimento della nazionalità
italiana, che, come diceva un arguto e coltissimo economista,
piuttosto che a fattori economici, fu dovuto alla influenza
esercitata dai poeti e dai romanzieri312.
Venendo poi alle gare civili, che dovrebbero a preferenza essere
determinate dalla lotta di classe, osserviamo che anche in questo
punto il fenomeno sociale è posto in luce dai socialisti in
modo parziale e quindi errato. Troviamo di quando in quando nella
storia esempi di insurrezioni violente delle classi più
povere o di frazioni di queste, come furono, ad esempio, le
ribellioni degli Iloti a Sparta e quelle degli schiavi a Roma, le
Jacqueries della Francia ed altri moti contadineschi e dei minatori,
che sono scoppiati nei secoli scorsi in Germania, in Inghilterra ed
anche in Russia. Essi sono stati occasionati o da oppressioni
inusitate e veramente intollerabili o, più di frequente, da
disordini degli Stati all'origine dei quali gli insorti erano
rimasti estranei, ma che avevano loro offerto il destro di avere
delle armi e un principio di organizzazione. Ad ogni modo
però è certo che tutti i movimenti ai quali hanno
preso parte esclusivamente le sole classi che vivono di lavoro
manuale, sono stati sempre con una relativa facilità, e
talvolta con crudeltà, repressi, e che quasi mai hanno
contribuito a migliorare stabilmente le condizioni di queste classi.
Le sole lotte, cruenti od incruenti, che hanno avuto il risultato
pratico di modificare l'ordinamento delle società e
sopratutto la composizione delle classi dirigenti, sono state quelle
che nuovi elementi d'influenza e nuove forze politiche, sorte nel
seno della classe governata ma che rappresentavano numericamente una
frazione minima di essa, hanno impegnato per ottenere quella
partecipazione al governo dello Stato, che esse credevano, e forse
era, loro ingiustamente ostacolata.
Fu così che le famiglie più ricche della plebe romana,
escluse dal consolato e da altre cariche cospicue, ingaggiarono nel
quinto e quarto secolo avanti l'êra volgare quella lotta con
l'antico patriziato, che ebbe per effetto la costituzione di una
classe dirigente più larga, fondata sul criterio del censo
anzichè su quello esclusivo della nascita, classe che
formò la nobiltà degli ultimi secoli della Repubblica.
Fu pure così che quella parte del terzo stato francese, che,
durante il secolo scorso, aveva acquistato ricchezze quasi uguali e
cultura ed attitudine di governo anche superiore a quelle della
nobiltà ebbe, dopo la Rivoluzione, aperto l'accesso a tutte
le cariche pubbliche. E, se è vero che, tanto nell'uno che
nell'altro caso, la massa dei governanti ebbe a godere i vantaggi di
una maggiore difesa giuridica, ciò avvenne perchè i
suoi interessi si trovarono concordi con quelli delle nuove forze
politiche, che richiedevano l'ammissione nella classe governante;
avvenne perchè queste nuove forze, per ottenere il loro
intento, dovettero propugnare principii di utilità sociale e
di giustizia, l'applicazione dei quali, se giovava più
direttamente a loro, giovava pure ai membri più umili del
civile consorzio. Certo anzi non si può disconoscere che
questo che abbiamo accennato sia uno dei tanti modi coi quali il
sorgere di nuovi elementi d'influenza sociale può migliorare
e rendere più equi i rapporti fra governanti e governati; ma
ciò non vuol dire che qualche volta sia avvenuto, o possa
avvenire, che l'intiera massa dei governati, di fatto non di
diritto, si sostituisca o venga messa a pari alla minoranza
governante, che finisca perciò la distinzione fra quella che
i socialisti chiamano classe sfruttatrice e la classe che essi
dicono sfruttata.
Resta a vedere poi se sia esatta questa divisione della
società, di cui tanto scrivono e che tanto vanno predicando,
in una classe parassita, che nulla contribuisce alla produzione ed
al benessere sociale e ne gode la parte migliore, ed una classe, che
tutto fa, tutto produce e che viene rimunerata appena col necessario
alla vita e qualche volta neppure con questo. Ora, neppure isolando
completamente, come fanno spesso gli economisti ed i loro avversari
socialisti, i fenomeni riguardanti la produzione e la distribuzione
della ricchezza da tutti gli altri fatti sociali, questo modo di
vedere risulta perfettamente conforme alla verità.
Giacchè se è vero che è il capitale, non il
capitalista, quello che fornisce agli operai i mezzi e la
possibilità di un lavoro proficuo, se è pur vero che
è la terra, non il proprietario di essa, ciò che
è necessaria al contadino, non si può negare che
l'individuo, che sa riunire nelle sue mani una forte quantità
di capitale e sa impiegarlo proficuamente a scopo industriale, ed il
proprietario che sa dirigere bene la cultura dei suoi fondi, non
rendano un vero servizio sociale aumentando la produzione e la
ricchezza; servizio del quale è perfettamente giusto che
abbiano una rimunerazione. Che se poi guardiamo l'insieme dei
fenomeni sociali, se teniamo presente che la produzione della
ricchezza è strettamente legata al grado di coltura che un
paese ha raggiunto, alla bontà del suo ordinamento politico
ed amministrativo, allora l'accusa di parassitismo leggermente
lanciata all'intiera classe dirigente composta di proprietari, di
capitalisti, d'industriali, d'impiegati, di professionisti, di tutti
coloro, insomma, che non vivono di lavoro manuale, ci parrà
supremamente ingiusta e tale che soltanto dalla più cieca
passione può essere accolta313.
Ora infatti che la grande industria e l'agricoltura hanno bisogno
ogni giorno di più delle applicazioni della scienza, ora che
la produzione economica è basata quasi tutta sugli scambi fra
paesi lontanissimi, che non sono possibili se gli uomini non sono
riuniti in grandi nazioni e sotto governi sapientemente organizzati,
è assurdo l'asserire che tutto è prodotto dai
lavoratori manovali e tutto debba loro legittimamente appartenere;
è iniquo dimenticare i servizi che rende quella classe che
mantiene la pace e l'ordine, dirige tutto il movimento politico ed
economico, conserva e fa progredire l'alta cultura scientifica e
rende possibile che grandi masse umane vivano e collaborino insieme.
In piena giustizia non si può negare a questa classe che una
parte non disprezzabile della produzione economica sia consacrata a
sostentarla con tutta quell'agiatezza, che è necessaria
affinchè conservi e sviluppi la propria superiorità
intellettuale e morale. Giacchè se è certo, che senza
la cooperazione dei lavoratori manovali, essa sarebbe condannata a
decadere e forse anche a perire, è pure certo che, senza gli
elementi dirigenti, i lavoratori manovali cadrebbero subito in uno
stato di barbarie, che farebbe immensamente diminuire la produzione
economica e deteriorerebbe quindi in modo grandissimo il loro stato
morale e materiale. Su questo argomento la più antica lezione
di sociologia, l'apologo delle membra e dello stomaco, che Menenio
Agrippa recitava, circa ventiquattro secoli fa, avanti la plebe
romana adunata sul Monte Sacro, resta sempre quella che meglio
risponde alla verità delle cose314.
Ciò che tutti debbono riconoscere, e che nessuno potrà
negare, è che nelle classi elevate vi è buon numero di
parassiti o sfruttatori, che molto godono e molto consumano senza
rendere alcun vero servizio sociale, nè di direzione,
nè di esecuzione; e che vi sono in esse anche elementi che
profittano della loro posizione per trarre una rimunerazione dei
loro servizi infinitamente superiore ai loro meriti reali. A questi
elementi abbiamo già accennato fin dal capitolo V del
presente lavoro, quando abbiamo parlato di quelle tali forze
sociali, che tendono sempre con la loro soverchia preponderanza a
rompere l'equilibrio giuridico a loro vantaggio; e se mal non ci
apponiamo, abbiamo nominato come particolarmente pericolosi a questo
riguardo i banchieri, alcuni grossi industriali e speculatori e
generalmente coloro che riuniscono in unica mano grosse frazioni di
capitale mobiliare. Però, osservando questi sfruttamenti, che
avvengono in molti paesi mediante le famose tariffe protezioniste,
ed in alcuni altri anche mediante i privilegi bancari, dobbiamo
convenire che essi sono esercitati tanto a danno delle classi
lavoratrici che a pregiudizio delle frazioni più grosse della
classe dirigente; sicchè anche questa, nella sua grande
maggioranza, paga largamente il fio della sua debolezza ed
ignoranza, sopportando sacrifici che vanno a prò di un numero
piccolissimo d'individui315.
Del resto parassiti e sfruttatori esistono in tutti gli strati
sociali, come pure in tutti i gradini della scala economica e
gerarchica vi sono gli sfruttati. E uno sfruttatore colui che sciupa
in lusso, giuochi e bagordi una fortuna, e disfà in questo
modo il capitale ereditato, ed è uno sfruttato quegli che
laboriosamente ed onestamente l'ha accumulato, faticando molto,
consumando poco e forse godendo niente. È sfruttatore l'uomo
politico, che arriva ai primi posti profittando della
facilità che hanno i popoli a lasciarsi ingannare, lusingando
le borie e le vanità delle masse, comprando le coscienze,
usando ed abusando di tutte le cattive qualità e le debolezze
dei suoi simili, ed è uno sfruttato l'uomo di Stato che,
più che all'effetto ed all'applauso, mira al vantaggio reale
dei governati ed è sempre pronto a lasciare il potere quando
questo vantaggio crede di non poter più raggiungere. È
sfruttatore l'impiegato che ha conquistato il suo posto ingannando
gli esaminatori o rendendo servizi loschi ai politicanti e lo
conserva e fa carriera e lavora il meno possibile, adulando i suoi
superiori o tradendo il suo dovere d'ufficio, ed è uno
sfruttato il suo collega che fa... precisamente tutto il contrario.
È uno sfruttatore il soldato, che si eclissa nel momento del
pericolo ma si fa vivo quando si tratta di avere la medaglia o la
ricompensa, ed è uno sfruttato il suo commilitone, che
affronta la morte e le ferite senza pensare a farsene un titolo per
posare ad eroe e chiedere posti di favore e sussidi per tutta la
vita. Sono sfruttatori quei contadini e sopratutto quegli operai
pigri, viziosi, e disonesti, che cominciano coll'essere i parassiti
dei loro parenti più laboriosi, continuano coll'essere i
parassiti dei loro compagni, ai quali scroccano aiuti dando in
cambio chiacchiere e cattivi consigli, e dei padroni ai quali
scroccano il salario dando in cambio un lavoro mal fatto ed
incompleto, e finiscono spesso coll'essere parassiti della
società intera nel carcere; e sono sfruttati tutti quei
lavoratori manovali, che coscienziosamente e tacitamente adempiono
al loro dovere, che mai si sottraggono al disagio ed alla fatica, e
vivono stentatamente senza poter migliorare la propria posizione o
mettere qualche cosa da parte per la vecchiaia. È uno
sfruttatore colui che, restando pensatamente celibe, insidia
all'onore delle donne altrui, ed è uno sfruttato chi, dopo
essersi sobbarcato ai pesi ed alla responsabilità di una
famiglia regolarmente costituita, diventa bersaglio alle insidie del
primo. Finalmente è uno sfruttatore lo scienziato che
consegue la cattedra scrivendo il libro che piace a coloro che
devono essere i suoi giudici, o consegue la celebrità o la
popolarità pubblicando l'opera che piace alle turbe,
perchè lusinga la passione del giorno; ed è uno
sfruttato quegli che all'amore della verità sacrifica buona
parte del suo successo e si rassegna perciò a rimanere in un
rango inferiore a quello in cui, se meno onesto, il suo ingegno ed i
suoi studi l'avrebbero chiamato.
Un tempo gli sfruttati si chiamavano i buoni, gli onesti, i
galantuomini, i bravi, i laboriosi ed i morigerati, e gli
sfruttatori venivano definiti come viziosi, scioperati, poltroni,
intriganti, farabutti e delinquenti. — Si chiamino pure come si
vogliono, e forse non è male che ci siano due espressioni
sole, che sintetizzino le molteplici categorie delle quali sono
formate le due classi di cui ci siamo occupati, che ci sono sempre
state e purtroppo sempre ci saranno nel mondo. — L'importante
è che si tenga presente che, se più miseri e
più da compiangere sono gli sfruttati delle classi più
basse, un buon numero pure ne deve esistere nelle classi medie ed
alte; altrimenti verrebbe meno quel tanto di abnegazione e di
sentimento del dovere che è indispensabile nella minoranza
dirigente affinchè il consorzio civile possa durare316.
XV. — Resta a vedere se tutta questa gran corrente di idee e di
passioni, che complessivamente va designata col nome di socialismo,
pur non essendo fondata sopra un'osservazione esatta delle leggi che
regolano la vita sociale, pur mirando ad un ideale, che non si
potrà raggiungere se non quando sarà radicalmente
mutata la natura umana, abbia almeno l'effetto pratico di migliorare
le condizioni morali e quindi materiali della maggioranza. — La sua
azione in questo caso sarebbe benefica e potrebbe paragonarsi a
quella di altre grandi illusioni collettive, che, rendendo gli
uomini più buoni, più scambievolmente tolleranti, meno
impazienti di fronte alle ingiustizie del mondo, fanno, nei limiti
del possibile, meno dura l'esistenza per tutti coloro che restano
negli ultimi gradini della scala economica e contribuiscono con
ciò a fortificare la compagine della società. — Fin da
ora dichiariamo che l'indagine sommaria, che faremo su questo
importante argomento, ci darà un risultato tutt'altro che
positivo.
Si sa che tutti i libri, oltre ad avere una influenza intellettuale,
che si esplica mercè le dottrine in essi contenute ed a
seconda del modo come certi problemi della vita umana vengono
studiati e presentati al lettore, hanno pure un'influenza che
chiameremo morale, la quale dipende dalle passioni e dai sentimenti
che gli autori consciamente ed inconsciamente sovraeccitano od
attutiscono. Or, se cominciamo ad esaminare sotto quest'ultimo punto
di vista le opere dei maggiori dottori del socialismo e specialmente
di quelli della seconda metà del secolo decimonono, che sono
più noti, certamente troviamo che un soffio di pace, d'amore
di concordia sociale spira da quelle di Rodbertus, di Carlo Marlo317
e sopratutto di Enrico George, nel quale più che l'odio
contro i forti si sente una nobile e tenera compassione per i
deboli318; ma in altri più numerosi, ed a tacere di
Bakounine, in qualcheduno degli autori più divulgati e
più ortodossi, in Marx, ad esempio, nello stesso Lassalle, il
sentimento che predomina, attraverso la facilità polemica ed
il brio o l'aridità e la pesantezza con cui è condotto
il ragionamento scientifico, è l'avversione contro il ricco
ed il potente, che si esplica di continuo coll'ironia, col sarcasmo,
coll'invettiva. Nei loro scritti il capitalista viene sempre
considerato e dipinto quasi come un uomo di altra razza, di altro
sangue, che il povero non deve riguardare come un suo simile, il
quale ha fondamentalmente le sue stesse debolezze e le sue
virtù, che si manifestano in modo un po' diverso, solo
perchè diverso è per lui l'ambiente, diverse sono le
tentazioni e le necessità della vita, ma come un rivale ed un
nemico, come un essere infesto, oppressore, degradato e degradante,
la cui rovina soltanto può rendere possibile la propria
redenzione e la propria salvezza319.
Indiscutibilmente un movimento così vasto e complesso come la
democrazia sociale non si può fondare unicamente sui buoni
istinti della natura umana; sicchè riconosciamo come naturale
e necessario che, accanto al sentimento della giustizia ed
all'aspirazione verso una società migliore, anche le passioni
basse, antisociali e selvaggie vi trovino il loro pascolo. Il male
è che precisamente a quest'ultime le dottrine socialiste
offrono un campo troppo fertile e vasto dove possono oltremodo
moltiplicarsi e lussureggiare. Si è insegnato al povero che
il ricco gavazza col frutto dei suoi sudori, che gli viene rapito
mediante una artificiosa organizzazione della società basata
sulla violenza e la frode. Questa credenza in tutte le coscienze,
che non siano assolutamente nobili e pure, serve mirabilmente a
giustificare lo spirito di ribellione, la sete dei godimenti
materiali, la bestemmia, l'odio, la maledizione; essa feconda il
sentimento della vendetta e l'invidia istintiva verso quelle
superiorità naturali e sociali, che solo una lunga abitudine
e la convinzione che sono fatti necessari ed inevitabili possono
rendere universalmente indiscusse ed accettate.
Debolezza innegabile di tutto il movimento socialista è poi
la soverchia materializzazione del concetto della felicità
umana e quindi della giustizia sociale. — I socialisti, dopo aver
idealizzato troppo l'uomo, credendolo migliore di quello che
è, giacchè attribuiscono all'ordinamento sociale gran
parte dei vizi e delle debolezze che sono inerenti alla natura
umana, mostrano poi un concetto troppo basso dei loro simili quando
credono, o mostrano di credere, che la ricchezza sia compagna
inseparabile del godimento e la povertà vada fatalmente unita
alla sofferenza. Leggendo i loro scritti ed ascoltando i loro
sermoni parrebbe che la felicità individuale sia esattamente
proporzionata alla quantità di danari che ognuno possiede. —
Or, per quanto un simile sistema sia polemicamente comodo per tutti
i novatori, facendo apparire maggiore assai di quella che realmente
sia l'ingiustizia della società odierna, esso non corrisponde
alla verità, perchè, fortunatamente, le cose non vanno
così. Infatti, sebbene il poter mantenere quel tenore di vita
al quale siamo abituati e sopratutto la sicurezza del domani, siano
condizioni indispensabili di un certo benessere, pure non è
men vero che alla felicità individuale contribuiscono molti
altri elementi obiettivi e subiettivi. — In fondo chi è buono
ed ha l'animo ben temprato può essere molto più
soddisfatto di un altro che gli è assai superiore in
ricchezza ed anche di posizione sociale, ed il riconoscere che fa
generalmente il mondo che il primo è stato mal rimeritato
può, insieme all'intima soddisfazione della sua coscienza,
essere uno degli elementi della sua maggiore felicità320.
Altre dottrine, altre credenze si sono trovate davanti al grave e
tormentoso problema della vita, nella quale spesso il giusto ed il
buono soccombe, l'iniquo ed il malvagio trionfa, ma l'hanno risoluto
in modo diverso di come pretende risolverlo il socialismo. Gli
stoici, ad esempio, non potendo fare sparire dal mondo il dolore,
educavano i loro adepti a sopportarlo fortemente; non potendo
promettere a tutti il godimento dei beni materiali, ne inculcavano
il disprezzo anche a coloro che erano nella possibilità di
largamente fruirne. Lo stesso disprezzo delle gioie della carne, del
piacere materiale troviamo negli inizi ed in tutti i momenti di
fervore del Cristianesimo. E se è vero che l'esagerazione di
questo indirizzo può produrre quel misticismo, che aliena dal
mondo e dalla vita i caratteri più nobili e più
proclivi al sacrifìcio di sè, non è men vero
che un insegnamento così fatto è non solo moralmente
più elevato, ma anche più pratico di quello
diametralmente opposto che tengono in generale i socialisti; il
quale può avere per conseguenza il momentaneo decadimento di
alcuni dei sentimenti più elevati della natura umana.
L' uguaglianza fra tutti gli uomini e l'aspirazione verso la
giustizia assoluta non è la prima volta che sono predicate
per il mondo. Ma esse possono essere bandite poggiandosi sull'amore,
sulla tolleranza, sul compatimento reciproco, e possono anche essere
proclamate facendo appello all'odio ed alla violenza. Si può
intimare al ricco ed al potente di considerare il povero ed il
misero come suo fratello e si può anche far credere al povero
ed al misero che il ricco ed il potente sia il suo nemico. La prima
maniera è quella seguita da Gesù, dagli apostoli, da
S. Francesco d'Assisi, che dicevano ai ricchi: date. La seconda
è quella usata dalla maggioranza dei socialisti presenti,
che, descrivendo i godimenti dei ricchi come il prodotto dei sudori
furati ai poveri, implicitamente od esplicitamente dicono a questi:
prendete. Non è chi non veda come tale differenza sostanziale
di metodo debba avere in pratica conseguenze incalcolabili.
XVI. — Dopo quanto abbiamo scritto non occorrerà lungamente
soffermarsi per esporre quali siano le cause della corrente
socialista. Il lettore avrà già compreso che la causa
delle cause è quella che abbiamo combattuto in tutto il
presente lavoro, cioè l'indirizzo intellettuale del secolo
nelle dottrine che riguardano la organizzazione della
società, i modi di vedere che finora prevalgono, nelle
persone di mezzana e qualche volta di elevata cultura, circa le
leggi che regolano i rapporti politici. Naturalmente poi questa
causa prima si presenta in mille forme e genera quelle molteplici
cause secondarie e dirette, che sono state da parecchi scrittori
più o meno completamente rilevate. Noi ne accenneremo
soltanto alcune, alle quali forse non si è data finora
l'importanza che meritano; notando che spesso esse assumono
l'apparenza, e anche la realtà di malattie del senso morale
anzichè di errori di discernimento e del giudizio.
Giacchè per la strettissima connessione che vi è in
tutto ciò che riguarda l'ordinamento sociale fra il mondo
morale e quello intellettuale, di frequente avviene che il falso
indirizzo nel campo speculativo, l'apprezzamento sbagliato sulla
natura e le tendenze sociali degli uomini, si traducano in pratica
nel mettere questi in una posizione moralmente falsa; e quindi nel
renderli più facili alle transazioni ed alle colpe,
diminuendo l'efficacia degli istinti più nobili e avendo per
necessaria conseguenza un abbassamento del livello medio del
carattere e della coscienza.
Ad esempio, una delle cause prossime ed immediate, un coefficiente
importante del progresso della propaganda socialista è
l'allargamento del suffragio politico, e meglio ancora il suffragio
universale, che, in omaggio ai principii della scuola radicale ed
alla logica democratica, si è venuto adottando in tanta parte
di Europa. Ora il suffragio a larga base può riuscire
pericoloso, non tanto perchè, come molti sperano o temono,
dando ai proletari il diritto di deporre la scheda nell'urna, i loro
rappresentanti genuini possano formare la maggioranza delle
assemblee politiche; giacchè in fondo, con qualunque sistema
elettorale, la preponderanza resterà sempre alle classi
più influenti anzichè a quelle più numerose; ma
piuttosto per l'omaggio che la maggior parte dei candidati, per
superare più facilmente i rivali, si affretta a rendere ai
sentimenti ed ai pregiudizi popolari. Omaggio che porta facilmente a
fare professioni di fede e promesse fondate sui postulati del
socialismo. Naturalmente il sistema fa sì che i caratteri
più schietti ed energici vengano a preferenza allontanati
dalla vita pubblica, che le transazioni e le restrizioni morali
diventino sempre più comuni, e, come risultato ultimo, fa
imbecillire sempre più, moralmente ed intellettualmente, le
schiere dei così detti conservatori.
Altro elemento importantissimo nella elaborazione dei partiti
socialisti è la tradizione rivoluzionaria ancora vivissima
nei paesi latini, nei quali le classi dirigenti hanno fatto di tutto
per tenerla viva e perpetuarla. Come ha osservato il Villetard321 e
come già abbiamo accennato nel capitolo VIII, in Francia,
almeno fino a pochi anni addietro, ad eccezione forse dei
clericali-legittimisti, solo gl'interessi sono stati conservatori,
ma le idee ed i sentimenti inspirati non solo dall'istruzione e
dall'educazione privata, ma sopratutto da quella ufficiale, sono
stati eminentemente rivoluzionari. E lo stesso si può dire
dell'Italia negli ultimi cinquanta anni.
Si sa quanto sia naturale nella gioventù il bisogno di
entusiasmarsi e di avere davanti un tipo, un modello, che
rappresenti l'ideale della virtù e della perfezione, che
ognuno cerca, per quanto può, di imitare. Or il modello che
si è posto davanti ai giovani moderni, tanto da noi che oltre
Alpe, non è, e non può essere, il cavaliere che si fa
uccidere per la sua bella, la sua fede ed il suo Re, ma molto meno
è stato il funzionario, il magistrato, il militare rigido
custode della legge e della consegna; esso è puramente e
semplicemente il rivoluzionario d'azione: l'uomo che, in nome della
libertà e dell'eguaglianza, ha combattuto i tiranni, si
è ribellato al potere costituito, e che, vinto, ne ha
subìto intrepido le persecuzioni, vincitore lo ha rovesciato
e spesso lo ha sostituito.
Dopo che si è così studiosamente coltivata la simpatia
per i ribelli, dopo che si è insegnato che tutto quanto essi
hanno fatto è stato nobile e generoso, è naturale che
la corrente dei sentimenti e delle idee della nuova generazione
siasi spinta verso quella dottrina, che può giustificare e
render necessaria la ribellione. Dappoichè, non essendoci
più una Bastiglia da espugnare, non potendosi più
cacciare dal Louvre gli Svizzeri di Carlo X, compita presso a poco
l'unità d'Italia, diventato quel Governo, che fu definito
come la negazione di Dio, una memoria talmente remota che lo si
comincia a giudicare con imparzialità, lo spirito di
ribellione non si può applicare che contro le istituzioni,
che dalle antiche rivoluzioni sono venute fuori, e contro gli uomini
che di queste istituzioni stanno a capo e che sono stati spesso gli
antichi rivoluzionari.
E ciò parrà anche più naturale e ovvio se si
pon mente che, in parte per le imperfezioni inseparabili da
qualunque regime politico, in parte per la loro debolezza
intrinseca, le nuove istituzioni non hanno potuto appagare tutte
quelle speranze di rigenerazione sociale che in esse si erano
riposte, e che gli antichi congiuratori e rivoluzionari diventati
uomini di Stato e reggitori di popoli certo non sono stati immuni da
onori e peccati. Così stando le cose, chi si potrà
maravigliare se quegli elementi giovani che credono possibile una
più radicale riforma della società, se coloro che
sperano con essa di acquistare importanza politica, se buona parte
di quanto vi è di nobile, di attivo, di generoso ed ambizioso
nella generazione che si prepara a raccogliere l'eredità dei
vecchi, abbia abbracciato le dottrine socialiste?322.
Ha acquistato una certa popolarità fra le persone di qualche
cultura una massima del Machiavelli, il quale scrisse che per
salvare o rinvigorire le istituzioni antiche bisognava richiamarle
ai loro principii. Leggendo la storia dei principi mongoli
discendenti da Gengiskan ne abbiamo trovata un'altra, che può
avere un significato diametralmente opposto a quella del segretario
fiorentino e che ci pare più vera, perchè applicabile
ad un numero maggiore di casi pratici. Secondo gli storici dunque,
Yeliui-Cutsai, primo ministro di Octai figlio di Gengiskan, avrebbe
di frequente detto al suo padrone e signore: il vostro impero fu
conquistato a cavallo, ma non lo potete governare restando a
cavallo. Nessuno vorrà negare l'intuito politico del ministro
mongolo; perchè veramente, e lo potremmo con facilità
dimostrare, i modi con cui si conservano gli Stati, le religioni ed
i partiti politici, i sentimenti e le passioni che bisogna a
quest'uopo coltivare, sono di frequente essenzialmente diversi di
quelli che hanno servito a fondarli.
Tornando al caso nostro, facilmente riconosciamo che uno Stato
nuovo, un nuovo regime politico possono esser fondati mediante la
rivoluzione, ammettiamo anzi che qualche volta ciò possa
essere necessario; ma è certo però che nessuno Stato
si consolida, nessun regime dura se continua lo spirito
rivoluzionario, e peggio ancora se coloro che hanno nelle mani il
potere proseguono a fomentarlo, invece di coltivare quei sentimenti,
quelle passioni, quei modi di vedere, che ad esso sono
diametralmente opposti.
Prima di terminare questo argomento rammenteremo di volo altre
cause, che contribuiscono indubbiamente ai progressi del socialismo
e che sono state già da altri autori ampiamente svolte. Tali
sarebbero le improvvisate ricchezze di tanti speculatori, quasi
sempre disonestamente guadagnate e più malamente spese
nell'acquisto di immeritata ed ingiustificata influenza politica,
oppure in un lusso volgare ed appariscente, che offende le
mediocrità degli onesti ed insulta quasi alla inopia dei
più miseri. Tutto l'andazzo del secolo, del resto, congiura
ad aumentare questo danno, perchè, mentre si predica
uguaglianza, democrazia e che tutti gli uomini hanno gli stessi
diritti, mai forse ci è stato tanto pubblico squilibrio nei
godimenti materiali, mai la ricchezza, comunque raggiunta, ha
servito meglio ad aprire tutte le porte, mai essa è stata
più stupidamente ostentata323.
Altri fattori del socialismo sarebbero la guerra inconsulta che si
è fatta al sentimento religioso, la povertà pubblica
prodotta dalle imposte eccessive e sovratutto dai soverchi debiti e
dalle troppe spese improduttive, le immoralità notorie dei
governanti, le ingiustizie e le ipocrisie del Parlamentarismo, le
fabbriche di spostati, che si sono istituite mediante l'ordinamento
presente dell'insegnamento secondario e superiore. Finalmente occupa
un posto distinto in questa enumerazione l'uso invalso di servirsi
dell'influenza che si ha sull'opinione pubblica e sui governi per
ottenere concessioni di monopolii o dazi così detti
protettori dell'industria e dell'agricoltura nazionale.
Giacchè in questa maniera si giustifica qualunque altra forma
di socialismo, avendone già adottato una veramente pessima
che fa servire l'autorità dello Stato ad avvantaggiare alcuni
pochi, per lo più doviziosi, a danno di tutti gli altri
poveri e ricchi.
Si sa che la trascuranza delle norme igieniche, la penuria di buoni
viveri, buona acqua e sane abitazioni, se non hanno l'effetto di
generare il bacillo del cholera, indebolendo però gli
organismi umani ed ostacolando le difese contro il morbo, ne
agevolano la diffusione colà dove esso è entrato, e
producono lo sviluppo della epidemia. Analogamente tutti i
coefficienti che abbiamo enumerato, tutti gli atti di mal governo,
se non sono direttamente responsabili di aver dato origine a
quell'infezione intellettuale che è il socialismo, certo,
aumentando il malcontento e diminuendo quindi la resistenza organica
della società, ne agevolano il progresso. Sarebbe
perciò molto opportuno il consigliare alle classi dirigenti
una più stretta igiene sociale, il che vuol dire l'abbandono
dei vecchi errori. Disgraziatamente il consiglio facile a dare
è piuttosto difficile ad eseguire; perchè sia accolto
e messo in pratica, le dette classi dovrebbero avere maggiore
moralità e sopratutto preveggenza e capacità maggiori
di quelle di cui finora hanno dato, in molti paesi, spettacolo.
XVII. — Forse ben pochi fra coloro che oggi seguono con un certo
interesse lo svolgimento della vita pubblica in Europa ed in
America, non si sono fatta la domanda se la democrazia sociale sia o
no destinata a trionfare in un avvenire più o meno prossimo.
Dobbiamo sinceramente confessare che molti, i quali certo non hanno
simpatia per le dottrine socialiste e che non hanno alcun interesse
a favorirle, sono però inclinati a rispondere
affermativamente alla domanda accennata, e questo è uno dei
frutti di quell'educazione intellettuale per la quale la gran
maggioranza delle persone di qualche coltura è abituata a
considerare la storia dell'umanità come un cammino continuo
verso la realizzazione di quelle idee, che ora diconsi comunemente
avanzate. La credenza cieca poi nel trionfo fatale, inevitabile e
più o meno prossimo del loro programma è comunissima
nei seguaci del collettivismo e dell'anarchia, ed è per essi
un grandissimo elemento di forza, rendendo loro lo stesso servizio
che ai Cristiani primitivi rese la fede nel prossimo avvento del
Regno di Dio o nella vita futura. Come questi, infatti, fondati
sulla fiducia che avevano nella rivelazione divina, affrontavano
intrepidi il martirio, cosi i novatori odierni sopportano volentieri
le noie, i disagi, le persecuzioni, quando per caso debbono qualcuna
patirne, pregustando anticipatamente la gioia della sicura, e molti
credono, della vicina vittoria324.
Dopo quanto abbiamo già scritto nessuno si
meraviglierà se noi affermiamo recisamente che, anche
nell'ipotesi che collettivisti ed anarchici fossero vittoriosi in
parecchi Stati e s'impadronissero dell'autorità politica,
sarebbe sempre impossibile la realizzazione del loro programma;
poichè i postulati del collettivismo, del comunismo e
dell'anarchia non potranno mai avere una pratica attuazione325.
Resta però a vedere quanta probabilità di divenire una
realtà abbia la ipotesi che abbiamo accennata. Giacchè
il semplice tentativo, continuato per qualche anno, di porre in
vigore, ad esempio, le teorie collettiviste, se non altererà
le leggi costanti, che regolano la organizzazione delle
società umane, leggi che finiranno sempre coll'imporsi e col
trionfare, graverà terribilmente sulla sorte della
generazione sulla quale l'esperimento sarà fatto. Essa,
sbattuta fra la rivoluzione e la inevitabile reazione, sarà
ad ogni modo costretta a ritornare verso un tipo di governo assai
più rozzo ed assoluto di quello al quale siamo omai abituati
e dovrà subire necessariamente una decadenza nella difesa
giuridica e un vero disastro morale e materiale, i quali fra qualche
secolo potranno essere studiati con interesse e forse anche con
diletto, come un bel caso di patologia sociale, ma intanto
procacceranno sofferenze inenarrabili a coloro, che ne saranno stati
gli spettatori e le vittime.
Ma, anche posta in questi termini, la questione non è di
quelle che si possono risolvere con sicurezza, perchè molti
sono gli argomenti che si possono addurre prò e contro il
trionfo temporaneo di una rivoluzione sociale, e gli elementi del
giudizio variano abbastanza da uno Stato all'altro di Europa, e
variano ancora di più se si tien conto delle colonie inglesi
e degli Stati Uniti d'America.
Certo è assai meno facile l'attuazione di un semplice
tentativo di collettivismo che l'abbattere la più salda delle
dinastie regnanti. Non bisogna infatti dimenticare che, nel presente
ordinamento sociale, le due redini di cui si serve qualunque Governo
per condurre una nazione, sono la burocrazia e l'esercito stanziale.
Or, come abbiamo già accennato nel capitolo VIII, nelle
rivoluzioni precedenti, fatta eccezione della grande rivoluzione
francese, si è cambiato il cavaliere, ma le redini non si
sono spezzate, esse anzi hanno continuato a funzionare.
Or se trionfasse una grande rivoluzione sociale, è assai
dubbio se il presente corpo d'impiegati ed ufficiali potrebbe
continuare nelle sue funzioni, e sopratutto è oltremodo
dubbio se nelle fila dei vincitori si troverebbe il personale adatto
a surrogarli. Non agendo più i consueti organi del Governo,
si avrebbe un periodo d'anarchia dal quale non si sa che cosa
potrebbe uscire, ma che intanto renderebbe impossibile persino la
continuazione momentanea di un saggio qualunque di collettivismo.
L'ordinamento presente della società fornisce poi forze di
resistenza immense e di cui ancora non si è esperimentato il
valore. Incalcolabile è il numero di uomini e d'interessi la
cui sorte è legata alla continuazione del regime che oggi
prevale. Banchieri, commercianti, industriali, impiegati pubblici e
privati, possessori di titoli di credito pubblico, depositari di
risparmi anche piccoli, proprietari grandi e piccini, formano un
esercito numerosissimo, i cui gregari se possono anche simpatizzare
colle idee di uguaglianza sociale, quando si tratta di progetti
vaghi ed a lunga scadenza, certo penserebbero altrimenti se ne
vedessero immediata l'esecuzione ed imminente fosse la lesione dei
loro interessi.
Bisogna anche calcolare che un Governo può in certi momenti
avere il monopolio di mezzi d'azione efficacissimi, quali sarebbero
la posta, il telegrafo e le ferrovie326, che esso può
disporre dei milioni che si trovano nelle pubbliche casse, senza
pregiudizio di quelli che in un momento grave possono fornigli le
Banche ed il corso forzoso, e che esso infine ha a sua disposizione
la polizia e l'esercito stanziale, che, se non è stato
già disorganizzato dalle concessioni fatte allo spirito
democratico327, quando è saldo e risolutamente adoperato
può, anche ridotto ad un numero relativamente scarso,
comprimere sempre qualunque tentativo d'insurrezione armata.
D'altra parte si deve tener conto della propaganda continua che, in
tutti gli strati sociali, anche in quelli che dovrebbero essere
più inclinati alla difesa dell'ordine presente, fa la
democrazia sociale. Propaganda, che se raramente ottiene delle
conversioni piene ed intere fra gli uomini di una certa età e
di una certa posizione sociale, rende dubbiosi della giustizia della
propria causa molti di coloro, che, per interesse o per ufficio,
dovrebbero combattere la nuova corrente rivoluzionaria, e che nel
momento del pericolo può far diventare oscillanti buona parte
di quelle forze, che hanno la missione di arrestarla. E questa
titubanza può diventare un grave fattore di sconfitta se
è complicata colla lenta azione dissolvente, che in tutti gli
organi dello Stato esercita il regime parlamentare. Come si
può esigere infatti fermezza nel pericolo, ed un servizio
scrupoloso e leale senza debolezze ed esitazioni, da una macchina
burocratica abituata al mutevole arbitrio dei successivi Ministeri;
da Prefetti ed ufficiali di polizia cambiati periodicamente in
agenti elettorali? Quale affidamento potranno dare uomini, che, per
obbligo quasi di ufficio, non devono avere fedeltà e
devozione sincera per alcun principio, per alcuna persona, che
devono combattere oggi colui al quale ubbidirono fino a ieri, e il
cui studio principale deve esser quello di non incorrere nella
collera del padrone presente, senza farsi troppo nemico il padrone
futuro? In questo modo si potranno formare buoni equilibristi,
adatti tutto al più per i momenti ordinari della vita
amministrativa, ma che non avranno nè l'abitudine alla cieca
obbedienza, nè il coraggio di ardite iniziative e di assumere
gravi responsabilità, e che sopratutto mancheranno della
fermezza di mente e di cuore, così rara negli uomini abituati
a transazioni ed a ripieghi, e che pure è la qualità
più indispensabile per gli alti funzionari di un Governo nei
momenti straordinari in cui avvengono le rivoluzioni.
Ciò che sopratutto poi rende difficile qualunque presagio
è il fatto che il giorno in cui lo scoppio rivoluzionario
avverrà (e non è secondo noi sicuro che debba
avvenire), non sarà determinato nè dai capi della
democrazia sociale, nè dagli uomini che staranno al governo
dei vari Stati. Esso sarà la conseguenza o di errori
involontari dei governanti, o di avvenimenti inconsciamente
provocati, che nessuno avrà avuto la forza d'impedire e che
produrranno in una data società una scossa ed una agitazione
grandiosa328. Or non sappiamo, nè possiamo sapere, se
l'occasione che si presenterà e nella quale il partito
rivoluzionario sarà in certo modo forzato ad agire,
potrà essere per questo la migliore possibile; se allora
cioè le sue forze saranno del tutto organizzate e quelle dei
suoi avversarii abbastanza disorganizzate. D'altra parte bisogna
tener presente che se il momento favorevole di iniziare la
rivoluzione dovesse ancora per molto tempo tardare, ciò
sarebbe dannoso ai rivoluzionari stessi. Perchè è
difficilissimo mantenere a lungo fra le masse una agitazione
qualsiasi, quando non si fa alcuno sforzo concreto affinchè
queste possano sperare che vedranno l'attuazione di quegli ideali,
che l'agitazione stessa si propone di raggiungere; e perchè
in Francia ed in qualche altro paese, dove si conservano le
abitudini e le tradizioni della lotta a mano armata, esse andrebbero
interamente perdute, e mancherebbero del tutto quei capi, che,
coll'autorità e l'esperienza acquistate nei precedenti
cimenti, potrebbero meglio dirigere l'andamento delle future
rivoluzioni.
Infine il valore personale degli uomini, che reggeranno il potere
supremo nei grandi Stati d'Europa e d'America nel momento che si
giocherà la partita decisiva, se pure questa sarà
giocata, costituirà un fattore non indifferente di vittoria o
di sconfitta per la democrazia sociale rivoluzionaria.
XVIII. — Ad ogni modo è certo che, anche che sia evitato un
movimento violento, ammesso pure che tra le file dei novatori il
partito detto evoluzionista abbia a conservare sempre tale
preponderanza da poter impedire, per ora e per qualche generazione
ancora, una lotta a mano armata, non per questo la democrazia
sociale cesserà di essere un violento agente dissolvitore
della società moderna. Sicchè se la nuova dottrina non
sarà debellata, l'ordine di cose ora prevalente
rimarrà sempre in uno stato di equilibrio instabile, e non
sarà in gran parte custodito che dalla forza materiale. Or
questa può bastare ad impedire, giorno per giorno, lo scoppio
di una catastrofe violenta, ma non può ridare al consorzio
civile quell'unità morale senza la quale esso non può
godere di uno stabile assetto329. Ci pare perciò
indiscutibile che la civiltà europea, se sarà
costretta a stare lungamente e diuturnamente sulle difese contro le
tendenze delle scuole socialiste, sarà, per questo solo,
costretta a decadere. E la decadenza si manifesterà tanto se
vorrà con esse transigere, far concessioni e quasi venire a
patti, come fra poco meglio vedremo, quanto se adotterà un
sistema di coazione e di resistenza assoluta, per mantenere il quale
dovrà abbandonare buona parte delle sue idealità,
diminuire la libertà del pensiero ed adottare nuovi tipi di
governo, che segneranno una vera diminuzione nella tutela della
giustizia e nella difesa giuridica.
Rimedi se ne sono suggeriti molti e certo buona parte di essi non
è da respingere; ma, anche i migliori, se accrescono, come
già abbiamo visto, la forza di resistenza del malato, non
tolgono la vera causa della malattia. Di questa specie di farmachi
abbiamo testè parlato e non crediamo opportuno di ritornarci
sopra. Se si migliora l'economia nazionale, se si diminuiscono le
imposte, se si rende più equa ed efficace la giustizia, se si
tolgono tutti gli abusi che si possono fare scomparire, sarà
certo per la società un bene non disprezzabile; ma la
democrazia sociale, che aspira alla giustizia assoluta ed
all'uguaglianza assoluta, le quali mai si potranno ottenere, non
disarmerà certo per questo e non perdonerà alla
società borghese solo perchè essa confesserà in
parte le sue colpe e farà penitenza; giacchè,
diversamente del Dio dei cristiani, il vero socialista di fronte
all'ordinamento economico presente vuole la morte del peccatore, non
già che si converta e viva.
Un secondo ordine di rimedi nel quale molto hanno sperato uomini di
Stato e qualche sovrano moderno, consiste nell'applicare
l'intervento dello Stato a sanare o diminuire molte delle
ingiustizie, delle sofferenze, che sono il prodotto
dell'individualismo economico, della concorrenza spietata che si
fanno proprietari e grandi industriali, e che hanno per effetto la
miseria e l'incertezza del domani per i proletari salariati. Anche
su questo punto noi ci siamo già abbastanza spiegati nel
capitolo VI del presente lavoro. Abbiamo infatti già detto
che non vi è una quistione sociale, ma vi sono molte
quistioni sociali, e che, caso per caso, l'intervento dello Stato,
ossia della burocrazia e delle altre classi dirigenti organizzate,
può essere giustificato o respinto. Certo vi sono esempi in
cui quest'intervento, moderatamente usato, può essere
accolto, come avviene per la limitazione di certi lavori per le
donne ed i fanciulli. Non negheremo anche che per quel che riguarda
la carità, l'assistenza pubblica o la mutua assistenza,
l'organizzazione moderna sia affatto insufficiente; poichè
fra lo Stato ed il grosso Comune, strumento dello Stato, enti troppo
grandi, entro i quali l'individuo sparisce ed è dimenticato,
e la famiglia moderna ridotta omai alla massima semplicità,
alla minima espressione possibile, nella quale neppure i fratelli
sentono spesso il dovere di aiutare i loro consanguinei, non vi sono
organismi intermedia Tali erano fra noi nell'antichità, nel
Medio Evo e fino a qualche secolo fa, le corporazioni e le
fratellanze d'arte e di professione, e organismi consimili si
trovano anche ora in tutte le altre civiltà330. Essi
impongono certi obblighi a coloro che ne fanno parte; ma riconoscono
pure in essi certi diritti e sopratutto impediscono che l'individuo
o la famiglia, colpiti da un momentaneo disastro, siano lasciati
nell'abbandono e ridotti alla disperazione. Indiscutibilmente
(quindi da questo lato qualche cosa vi è da rifare, e forse
basterebbe che i Governi lasciassero fare perchè
spontaneamente si andassero ricostituendo quelle solidarietà
naturali, che per formarsi hanno principalmente bisogno di un lungo
periodo di stabilità nelle popolazioni e negli interessi
economici331.
Ben altro però è ciò che ordinariamente si
pretende dall'intervento dello Stato; perchè si vorrebbe da
molti che questo direttamente influisse sulla distribuzione della
ricchezza, togliendo, mediante le imposte, ai ricchi il superfluo
per darlo ai poveri. Or questo concetto, che raccoglie molte
simpatie anche tra i conservatori, come quello che tende a
contentare tutti i numerosissimi socialistoidi, cioè quella
turba grandissima, che, senza essere ascritta al partito
collettivista od all'anarchico, forma quell'ambiente di simpatia nel
quale i detti partiti possono prosperare e propagarsi, è
veramente pericoloso. Non bisogna infatti dissimularsi che una sua
applicazione alquanto larga, colpendo troppo gravemente il capitale,
o pretendendo, ad esempio, d'imporre un dato tipo di cultura delle
terre, ucciderebbe ciò che i Francesi chiamano la vacca da
latte; cioè farebbe diminuire grandemente la produzione della
ricchezza e quindi aumenterebbe la miseria ed il malcontento in
tutti gli strati sociali. Inaugurando un simile sistema, non si
avrebbe il collettivismo, non sparirebbero le disuguaglianze
sociali, e quindi resterebbe sempre ai novatori qualche cosa di
sostanziale da chiedere, ma si turberebbe oltremodo tutta l'economia
della società detta borghese e se ne disorganizzerebbe del
tutto il funzionamento. Che i seguaci del Marx caldeggino
transitoriamente l'applicazione del sistema accennato è
naturale ed è logico; perchè è il solo che
possa ridurre la società al punto da rendere desiderabile un
esperimento di collettivismo; ma ci pare molto strano che quelli,
che le loro teorie non accettano, sperino di neutralizzarle e
combatterle agendo in modo da peggiorare le condizioni economiche di
tutti e riducendo quasi tutti nella condizione di attendere un
miglioramento dal collettivismo332.
Il socialismo cristiano, e più specialmente quello cattolico,
è infine ritenuto da molti mezzo adattissimo a neutralizzare
quello ateo, materialista e rivoluzionario, e sforzi lodevolissimi,
e non del tutto inefficaci, si sono fatti e si fanno in questo
senso. Non bisogna però avere una fiducia illimitata in
questa diversione. Come abbiamo già accennato, il
Cristianesimo ed il socialismo, sebbene ambidue profittino di quella
sete di giustizia e d'ideale, che è così comune negli
uomini, pur costretti a vivere in un mondo dove esistono tante
nequizie delle quali essi stessi sono gli autori, si appoggiano poi
ad altri sentimenti, che nelle due dottrine sono tutt'altro che
identici. I loro metodi di propaganda, le loro aspirazioni sono
anche essenzialmente diverse, e diversissimo è l'ambiente
intellettuale, che è loro necessario per prosperare.
Giacchè la base del Cristianesimo è la fede nel
soprannaturale, in un Dio che vede le lacrime dei miseri e li
consola in questa vita e li premia nell'altra; mentre il socialismo,
nato dalla filosofia razionalista del secolo passato, si fonda sulle
dottrine materialiste, che insegnano tutta la felicità
consistere nell'appagamento degli istinti e delle passioni terrene.
Sono perciò due piante di natura differentissima, che possono
benissimo contrastarsi gli umori del suolo, ma delle quali è
impossibile tentare lo scambievole innesto. È vana
perciò la speranza che il ramoscello cristiano inserito nel
tronco socialista ne possa modificare i frutti, togliendo loro ogni
sapore aspro, ogni virtù nociva, e rendendoli dolci e
salubri; ed il socialismo cristiano invero altro non è e non
può essere che un nome nuovo applicato ad una cosa vecchia,
cioè alla carità cristiana. La quale può senza
dubbio rendere ancora grandissimi servigi alla società
europea, ma potrebbe interamente distruggere il socialismo ateo e
rivoluzionario solo quando il mondo divenisse di nuovo talmente
imbevuto di spirito cristiano, come lo fu nei secoli meno colti del
Medio Evo.
XIX. — Nelle condizioni presenti della civiltà europea, il
rimedio che può colpire il male alla radice, quello che,
facendo sparire i succhi vitali dei quali l'albero si nutre,
può solo farlo disseccare, è ben altro. La democrazia
sociale, come crediamo di aver già dimostrato, è
principalmente una malattia intellettuale del secolo nostro. E,
sebbene essa abbia trovato propizio anche l'ambiente morale,
preparato da tutti i rancori, le ambizioni e le cupidigie, che sono
la necessaria conseguenza di un lungo periodo rivoluzionario e dagli
spostamenti di fortuna che a questo vanno uniti, sebbene le sia
stata sommamente giovevole la disillusione prodotta dalla democrazia
parlamentare, che dovea inaugurare nel mondo il regno della
giustizia e dell'uguaglianza ed ha così male adempiuto ai
suoi impegni, pure l'origine della nuova dottrina è dovuta ad
un dato sistema d'idee, che in fondo è la conseguenza logica
di quello al quale l'antica democrazia pura si era inspirata.
La credenza nella possibilità che il Governo emani dalla
maggioranza, la fede nella incorruttibilità di questa
maggioranza, la fiducia assoluta che gli uomini emancipati da ogni
principio d'autorità, che non abbia la sua base nel consenso
universale, da ogni superstizione aristocratica, monarchica e
religiosa, potranno inaugurare quel regime politico, che più
risponde agli interessi generali ed a quelli della giustizia, hanno
formato quel complesso di idee e di sentimenti, che ha combattuto e
combatte le credenze cristiane nel popolo ed è il principale
ostacolo a qualunque compromesso con la Chiesa. Lo stesso ordine
d'idee e di sentimenti ha prodotto la democrazia parlamentare e,
come abbiamo visto, impedisce ora che si applichino al
parlamentarismo rimedi radicali; e lo stesso infine è quello
che ci porta inesorabilmente verso il socialismo ed in ultimo verso
l'anarchia.
Poichè, dopo che l'esperienza ha dimostrato che la semplice
uguaglianza politica, estrinsecata col suffragio universale, non
produce l'uguaglianza di fatto e mantiene la preminenza di una data
classe e di certe influenze sociali, è naturale ed è
logico che si escogiti un sistema, che distrugga le disparità
delle fortune private e ponga in condizioni uguali coloro che,
aspirando a reggere la società, domandano il suffragio del
popolo. E, dopo che un'esperienza un po' più matura
avrà accertato, o semplicemente fatto intuire, che neanche in
questo modo si avrà un Governo che sia la sincera emanazione
della volontà della maggioranza, e che molto meno si
avrà la giustizia assoluta, sorgerà, come ultimo
portato di un concetto metafisico che invano ha corso verso la sua
realizzazione, la dottrina che caldeggia la fine di qualunque tipo
di organismo sociale, e perciò l'anarchia.
La verità è quindi che la dottrina democratica, che
pure ha reso innegabili servigi alla civiltà, e che,
incarnandosi nel sistema rappresentativo del quale ha trovato il
modello in Inghilterra, ha contribuito alla realizzazione di
importantissimi miglioramenti nella difesa giuridica, ottenuti
mercè un regime di libera discussione che si è
applicato in tante parti d'Europa, ora che si è arrivati alle
sue ultime deduzioni logiche, e che i principii sui quali è
fondata si vogliono attuare fino alle loro ultime conseguenze,
produce la disorganizzazione ed il decadimento dei paesi nei quali
prevale333. Ed è necessario che sia così;
perchè la detta dottrina, sotto apparenze
pseudo-scientifiche, è in fondo perfettamente apriorista.
Infatti le sue premesse non sono in nulla giustificate dai fatti,
giacchè, nelle società umane, l'uguaglianza assoluta
non è mai esistita, ed il potere politico non è stato
o non sarà mai fondato sul consenso esplicito della
maggioranza; perchè esso è stato e sarà sempre
esercitato da quella minoranza organizzata che ha avuto od
avrà i mezzi, variabili secondo i tempi, di imporre la sua
supremazia alla moltitudine. Abbiamo già visto che solo
un'organizzazione sapiente ed un numero veramente grande di
circostanze storiche favorevoli hanno potuto rendere questa
preponderanza della classe dirigente meno pesante ed abusiva.
Scrisse Rénan che l'Impero romano avrebbe potuto arrestare il
propagarsi del Cristianesimo ad una sola condizione: diffondendo
cioè quell'insegnamento positivo delle scienze naturali che
solo può sviluppare il senso del reale e che, col porre in
chiaro che nei fatti naturali il nostro mondo ubbidisce a leggi
immutabili, riesce a sradicare dallo spirito umano la credenza nei
miracoli e nell'intervento continuo del soprannaturale334. Ma allora
le scienze naturali erano appena in uno stato embrionale, ed il
Cristianesimo trionfò. Ora, nel mondo in cui viviamo, il
socialismo sarà solo arrestato se la scienza politica
positiva arriverà nelle discipline sociali a schiacciare del
tutto gli attuali metodi aprioristici ed ottimisti, se cioè
la scoperta e la dimostrazione delle grandi leggi costanti, che si
manifestano in tutte le società umane, metterà a nudo
l'impossibile attuazione della concezione democratica. A questo
patto, ma a questo patto soltanto, le classi intellettuali saranno
interamente sottratte all'influenza della democrazia sociale e
formeranno un ostacolo invincibile al suo trionfo.
Finora questo o quell'altro postulato dei socialisti è stato
dagli studiosi di scienze sociali, e sopratutto dagli economisti,
studiato in modo da farne rilevare l'evidente fallacia. Ma
ciò non basta, perchè equivale a dimostrare falsi uno
o parecchi miracoli senza distruggere la fede nella
possibilità dei miracoli. Ad un intero sistema metafisico si
deve opporre un intero sistema positivo. Scrisse pure recentemente
un altro egregio autore che ''nell'insegnamento superiore, agli
errori del marxismo bisogna contrapporre le teorie dell'Economia
politica e della sociologia positiva, perchè gl'intelletti
giovanili non restino in balia di chimere ad essi presentate come
gli ultimi risultati della scienza"335. Saggie e giuste parole, ma
che finora contengono più l'espressione di un lodevole
desiderio che l'indicazione di un rimedio di pronta e sicura
efficacia. Eccellente cosa è invero lo studio dell'Economia
politica, ma non basta da solo a bandire dalla mente le chimere alle
quali si accenna. Perchè questa disciplina, che ha acutamente
indagato le leggi che regolano la produzione e la distribuzione
della ricchezza, non si è consacrata eziandio a studiare i
rapporti che hanno con le altre leggi che spiegano la loro azione
sull'organizzazione politica delle società umane;
perchè gli economisti non si sono dedicati ad osservare
quelle credenze, quelle illusioni collettive, che possono diventare,
in una data società, generali e formano tanta parte della
storia del mondo; essendochè è risaputo che l'uomo non
vive di solo pane. E in quanto poi alla sociologia positiva,
l'egregio autore che abbiamo citato ci permetta di credere che
finora non siasi manifestata, almeno nella maggioranza delle sue
dottrine, come scienza matura ed indiscutibile. Ci pare infatti che,
nella seconda metà del secolo decimonono, la concorrenza alla
metafisica democratico-socialista sia stata fatta solo da altri
sistemi sedicenti positivi, ma ugualmente metafisici, che hanno
anche meno riscontro nella vita reale dei popoli e sono anche meno
suscettibili di pratiche applicazioni. Fra le diverse metafisiche
è naturale che la prevalenza sia rimasta a quella che meglio
sa lusingare le passioni più vive e più generali.
Arduo quindi è il compito che resta alla scienza politica. E
lo sarà tanto più, perchè le verità, che
è sua missione di rivelare, non saranno generalmente gradite
ed urteranno molte passioni e molti interessi. È quindi molto
probabile che, malgrado l'abitudine alla libera discussione che
distingue i nostri tempi, la diffusione dei nuovi risultati
scientifici incontrerà ancora una volta quegli ostacoli, che
hanno ritardato i progressi degli altri rami dello scibile.
Nè è da credere che le nuovissime dottrine potranno
trovare un appoggio nei Governi, in quelle classi dirigenti, che
dovrebbero pure sostenerle. Perchè gli interessi, di
qualunque natura siano, amano la polemica, non la discussione
spassionata, e sostengono solo la teoria che serve ad un fine
particolare ed immediato, che giustifica un uomo, sostiene un dato
Governo od un partito; non già quella che potrà
portare pratiche conseguenze solo in momenti relativamente lontani e
nell'interesse generale della società. Se la scienza quindi
finirà col trionfare, la sua vittoria sarà, ora come
sempre, dovuta alla coscienza degli studiosi onesti, per i quali,
sopra ogni altra considerazione, sta il dovere di ricercare ed
esporre la verità.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da circa un
secolo. — II. Cause estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo.
— III. Cause intrinseche della sua mancata diffusione e cenni sui
modi di eliminarle.
I. — La dottrina la quale afferma che, in tutte le società
umane arrivate ad un certo grado di sviluppo e di cultura, la
direzione politica nel senso più largo dell'espressione, che
comprende quindi quella amministrativa, militare, religiosa,
economica e morale, viene costantemente esercitata da una classe
speciale, ossia da una minoranza organizzata, è più
antica di quanto comunemente si crede anche da parecchi di coloro
che la propugnano.
Perchè, pur non tenendo conto che i fatti, sui quali si
fondano i suoi principi fondamentali, sono così evidenti e
comuni che non poterono mai intieramente sfuggire alla osservazione
volgare, sopratutto se sgombra da preconcetti teorici, e che vaghi
accenni e più o meno chiare intuizioni di essa si possono qua
e là rinvenire perfino in qualche scrittore politico di
secoli abbastanza lontani dal nostro, come sarebbe il
Machiavelli336, certo è che le linee fondamentali della
dottrina accennata furono tracciate in modo abbastanza preciso ed
evidente circa cento anni fa negli scritti del Saint-Simon.
Difatti fin d'allora questo autore, del quale ancora non è
abbastanza nota ed apprezzata la profonda originalità,
esaminando le condizioni morali e politiche della società
medioevale e paragonandole a quelle della società agli inizi
del secolo decimonono, affermava che nella prima prevaleva
l'elemento militare e teologico, e perciò all'apice della
piramide politica stavano i sacerdoti ed i capi militari, mentre
nella seconda le funzioni principali ed essenziali per la vita
sociale erano quella scientifica e quella industriale, e quindi la
direzione politica doveva essere affidata a coloro che avevano la
capacità di far progredire la scienza e di dirigere la
produzione economica. E con ciò non solo veniva a stabilire
implicitamente la immanente necessità di una classe
dirigente, ma chiaramente proclamava che essa doveva possedere i
requisiti e le attitudini che, in una data epoca ed in un dato tipo
di civiltà, sono alla direzione sociale più
necessari337.
Figliuolo intellettuale di Saint-Simon fu il suo allievo Augusto
Comte338, il quale nel suo Sistema di politica positiva ossia di
sociologia, pubblicato verso la metà del secolo decimonono,
sviluppò, modificandole, alcune delle idee fondamentali del
suo antico maestro, sostenendo che la direzione della società
doveva in avvenire spettare ad un'aristocrazia scientifica, che egli
appellava sacerdozio scientifico, ed affermando che questo regime
sarebbe stato una conseguenza necessaria del periodo positivo al
quale era pervenuta la mentalità umana nel secolo scorso, in
contrapposto allo stadio teologico prevalente nell'antichità
classica ed a quello metafisico prevalente nel Medio Evo339. Circa
venti anni dopo, poco dopo il 1870, Enrico Taine spiegava
magistralmente le cause prime della grande rivoluzione francese
colla necessità di sostituire una nuova classe dirigente alla
vecchia, che le antiche attitudini al comando avea perduto e quelle
che i nuovi tempi richiedevano non aveva saputo acquistare; e poco
prima, il Marx e l'Engels aveano formulato la teoria per la quale lo
Stato sarebbe stato sempre nel passato, e sarebbe ancora oggi nella
società borghese, il rappresentante della classe padrona
degli strumenti di produzione economica. Dottrina che rimanda quindi
alla fine di un'evoluzione, che dovrebbe fatalmente condurre al
collettivismo, l'inizio di una forma di regime politico ed economico
nel quale la collettività intiera, impadronitasi alla sua
volta degli strumenti accennati, non sarà più
sfruttata a beneficio di una minoranza.
Perciò più di sessanta anni erano trascorsi dopo le
pubblicazioni di Saint-Simon, e la prima unica fonte si era
già suddivisa in diverse correnti, assai divergenti l'una
dall'altra, quando, sullo scorcio del secolo scorso e nei primi anni
di quello presente, la nuova visione del mondo politico veniva
proclamata e propalata da un certo numero di scrittori di vari
paesi, che ad essa spesso erano arrivati per vie diverse ed avendo
scarsa od imperfetta conoscenza gli uni degli altri e dei loro primi
predecessori. Ciò che, se qualche volta aggiungeva alla loro
percezione qualche cosa di spontaneo ed originale, qualche altra
volta la guidava per vie senza uscita o l'arricchiva di dettagli
facilmente confutabili. Quando si farà la storia della nuova
dottrina della classe politica non sarà difficile
l'attribuire ad ogni scrittore la parte di merito che avrà
avuto nell'apportare il suo contributo di materiale buono, mediocre
o cattivo nella costruzione dell'edificio, e distinguere anche quale
materiale era perfettamente nuovo e quale già usato. Per ora
basterà ricordare a titolo di cronaca che nel 1881 veniva
alla luce la Lotta delle razze di Gumplowicz340, che riconosceva in
ogni organismo politico l'esistenza di due classi dirigenti, delle
quali l'una si riservava la direzione amministrativa e militare e
l'altra quella industriale, commerciale e bancaria, e fondava sopra
la diversità delle origini etniche la differenziazione fra
queste due classi ed il loro predominio su quella diretta, e nel
1883 veniva pubblicata la nostra Teorica dei governi, nella quale,
esaminando l'intimo funzionamento dei regimi democratici, si
dimostrava come anche in essi perduri la necessità di una
minoranza organizzata che, a dispetto delle apparenze e dei
principî sui quali legalmente poggia lo Stato, conserva la
direzione reale ed effettiva di esso. Negli anni successivi venivano
pubblicate la prima edizione degli Elementi di scienza politica ed a
tacere di altri, le opere dell'Ammon, del Novikof, del Rensi, del
Pareto e del Michels341.
Sicchè, in parte per opera degli scrittori menzionati, ed in
parte forse anche maggiore per quella spontanea maturità
dell'esperienza collettiva per la quale il pensiero di una
generazione, quando non si cristallizza nell'adorazione cieca degli
insegnamenti degli antenati, arriva a profondità un poco
più grandi di quelle raggiunte dalle generazioni precedenti,
si può affermare che oggi il concetto dell'esistenza
necessaria di una classe dirigente è entrato, in modo
più o meno preciso, nella coscienza di tutti coloro che, nei
paesi più colti d'Europa, pensano, meditano o parlano sui
fenomeni storici e politici. Difatti vediamo comunemente attribuire,
più che all'ignoranza delle masse o all'arbitrio dei
reggitori supremi, alla incapacità ed insufficienza delle
classi dirigenti gli insuccessi delle varie nazioni e le catastrofi
che le minacciano. Ciò che, per conseguenza logica,
porterebbe ad attribuire all'azione illuminata delle stesse classi i
successi, quando questi si conseguiscono. E bisogna aggiungere che
alla divulgazione dell'idea accennata ha proceduto parallela la
lenta erosione di quella concezione ottimistica della natura umana
che, nata nel secolo decimottavo, occupò un posto
preponderante nella mentalità europea durante quasi tutto il
secolo decimonono. Concezione per la quale si credeva che, distrutte
le ineguaglianze legali, fosse possibile una elevazione morale ed
intellettuale indefinita in tutti gli strati sociali, in modo da
renderli tutti ugualmente capaci di reggere la cosa pubblica. Il
quale modo di vedere evidentemente è il solo che possa
fornire una base morale ed intellettuale a ciò che
comunemente s'intende per democrazia, cioè al governo dello
Stato per opera della maggioranza numerica dei consociati.
II. — Dopo quanto abbiamo detto, può destare ragionevole
maraviglia la scarsa efficacia pratica che la nuova dottrina ha
esercitato ed esercita non solo nello svolgersi delle istituzioni
politiche, ma anche nella scienza ufficiale e non ufficiale.
Giacchè anche coloro che ammettono l'esistenza della classe
politica, ed il non ammetterla equivarrebbe alle volte a negare
l'evidenza, molto spesso non ragionano come se il fatto fosse
inevitabile, non ne traggono le conseguenze necessarie, e quindi non
si servono della nozione accennata come di un filo conduttore che
deve guidarci nell'indagine delle cause che preparano e producono
gli effetti, i quali alle volte spingono le società umane
verso la prosperità e la potenza, alle volte le inabissano
nel disfacimento e nell'anarchia. A nulla giova infatti l'attribuire
il merito del successo, o la responsabilità dell'insuccesso,
alla classe dirigente se non se ne scrutano i congegni, nell'azione
dei quali si può ritrovare la spiegazione della sua forza o
della sua debolezza. E con ciò si è già
accennato ad una delle cause della sterilità pratica della
nuova dottrina; cause che però vanno piuttosto largamente
esaminate e che, per facilitarne l'esame, divideremo in due
categorie: in estrinseche, cioè estranee all'essenza ed allo
svolgimento della dottrina stessa, ed intrinseche, ossia dovute a
difetti o manchevolezze di essa.
La prima delle cause estrinseche, e si potrebbe dir anche la
principale, consiste nel fatto che finora tutte le istituzioni
vigenti in Europa sono basate sopra altre dottrine, delle quali
qualcuna è diversa e quasi estranea a quella della quale ci
occupiamo e qualche altra con essa in antitesi perfetta. Difatti i
Governi rappresentativi, ora quasi da per tutto prevalenti nei paesi
di civiltà europea, in parte sono modellati secondo i
precetti del Montesquieu, che nella triplice partizione dei poteri
sovrani fa consistere l'essenza e la guarentigia della
libertà politica, ed in parte sempre maggiore sopra quelli di
Rousseau, a tenore dei quali soli poteri legittimi sono quelli che
rappresentano la volontà della maggioranza numerica dei
cittadini ed il diritto al suffragio viene considerato come un
diritto innato, dal quale nessun individuo può essere
ragionevolmente ed onestamente escluso.
Or il regime democratico ha per sè, a preferenza di altri,
una grande forza conservatrice, la quale consiste nella
necessità che hanno i suoi naturali avversari di accettarlo
ufficialmente se vogliono eluderne, in parte maggiore o minore, le
conseguenze. Tutti coloro infatti che per ricchezza, cultura,
intelligenza o furberia hanno le attitudini e la possibilità
di guidare la comune degli uomini, in altre parole tutte le frazioni
della classe dirigente, una volta che il suffragio universale
è istituito, devono inchinarsi davanti ad esso; ed anche,
occorrendo, adularlo, se vogliono partecipare alla direzione dello
Stato ed arrivare a quei posti dai quali i loro particolari
interessi di classe possono essere meglio difesi. Questo omaggio
ufficiale, che gli stessi naturali avversari della democrazia devono
tributarle, impedisce ad essi di professarsi pubblicamente come
seguaci di teorie le quali esplicitamente negano la
possibilità di un regime democratico, come viene comunemente
concepito, e fa sì che difficilmente possa formarsi quella
coalizione di sentimenti e d'interessi, che è necessaria
affinchè una dottrina diventi una forza attiva capace di
trasformare le istituzioni, perchè essa conquisti e penetri
gli intelletti in modo da modificare sensibilmente l'indirizzo di
una società342.
Si aggiunga che una concezione nuova, in politica od in religione,
non può acquistare molta efficacia pratica finchè
quella che nella mentalità umana l'ha preceduto non ha
esaurito tutta la sua forza di espansione, o, meglio ancora,
finchè non ha compito il programma storico per il quale era
nata e si era più o meno rapidamente diffusa. Ora la moderna
concezione democratica è nata poco più di un secolo e
mezzo fa, ebbe rapidissima diffusione perchè prima in
Francia, e poi immediatamente dopo nell'Europa occidentale, la nuova
classe dirigente l'adoperò subito per abbattere i privilegi
della nobiltà e del clero e sostituirsi in gran parte ad
essi; ma, per quanto i progressi della cennata dottrina siano stati
rapidi, alla fine del secolo decimonono la sua missione non era
certamente compiuta e, nei paesi dell'Europa orientale, l'efficacia
della sua azione è stata relativamente molto recente.
Perciò quando Saint-Simon, circa cento anni fa, credeva
esaurito il compito delle dottrine democratiche ed in una lettera
aperta a Luigi XVIII gli suggeriva "di non preoccuparsi del preteso
dogma della sovranità popolare, il quale non era che
un'antitesi opposta dai legisti e dai metafisici al dogma del
diritto divino, un'astrazione provocata da un'altra astrazione, e
che i due dogmi rappresentavano i residui di una lotta omai
terminata”343, evidentemente egli commetteva un grossolano
anacronismo e dimenticava, o non sapeva, con quanta disperante
lentezza si svolga ordinariamente la storia in rapporto alla
brevità della vita umana.
Invece il diritto divino, che Saint-Simon credeva morto e sepolto
precisamente un secolo fa, tentava ancora di resistere in Francia
nel 1830, quando Saint-Simon era già morto, con Carlo X e con
Polignac, ed in Germania ed in Russia resisteva ancora alla corrente
dei tempi fino a qualche anno fa; mentre l'altro dogma metafisico
della sovranità popolare non si affermò interamente
che col suffragio universale, che la Francia adottò per la
prima in Europa solo nel 1848. Sebbene sia pure vero che, in tutti i
paesi che più o meno recentemente l'hanno adottato, si
è mantenuto finora, sotto l'egida di esso, quel predominio
delle classi colte ed agiate, più o meno temperato dalle
influenze della piccola borghesia e da quelle dei rappresentanti
degli interessi di alcune categorie del proletariato, il quale ha in
fondo molta analogia con quel governo degli industriali, dei dotti e
degli artisti auspicato dal nostro autore e che egli voleva che
Luigi XVIII iniziasse di sua autorità. E si potrebbe
aggiungere che le istituzioni democratiche potranno forse ancora
durare se, mediante esse, si riuscirà a mantenere un certo
equilibrio fra le varie frazioni della classe dirigente e se
l'apparente democrazia, fatalmente trascinata dalla logica, che
è la sua peggiore nemica, e dagli appetiti delle classi
inferiori e di coloro che le capeggiano, non vorrà fare il
tentativo di diventare realtà, integrando l'uguaglianza
politica con quella economica e culturale.
III. — Alla principale causa intrinseca della scarsa fortuna che ha
avuto finora la dottrina della immanenza necessaria della classe
dirigente abbiamo già sommariamente accennato.
Una dottrina è un filo dal quale, non dico i profani, ma
coloro che sono iniziati nello studio di un dato ordine di fatti,
vogliono essere guidati nel laberinto che questi a prima vista
presentano, e, tanto più riesce praticamente utile, quanto
più agevola e semplifica la loro comprensione e la loro
analisi; ed in questa cosa, come in tante altre, l'apparenza basta
spesso a soddisfare gli uomini quanto la sostanza. Or certamente le
antiche classificazioni delle varie forme di regime politico, quella
di Aristotile, che le divideva in monarchie, aristocrazie e
democrazie, e quella di Montesquieu, che le tripartiva in governi
dispotici, monarchici e repubblicani, adempivano abbastanza bene al
fine indicato. Ognuno, seguendo lo Stagirita o l'autore dello
Spirito delle leggi, poteva facilmente orizzontarsi nello stabilire
la categoria alla quale apparteneva il regime politico del proprio
paese o dei paesi vicini o anche lontani e, bene stabilito questo
punto, poteva credersi facilmente autorizzato, applicando i precetti
del maestro che aveva scelto e dei suoi continuatori, a rilevarne i
pregi, i difetti ed i pericoli ed a rispondere alle obbiezioni che
gli venivano fatte.
Invece, la semplice affermazione che in tutte le forme di governo il
potere vero e reale risiede in una minoranza dirigente, esautora le
antiche guide senza fornirne una nuova; è la constatazione di
una verità generica, che non aiuta ad addentrarsi nell'esame
degli avvenimenti politici presenti e passati, che per sè
sola non spiega perchè certi organismi politici siano saldi
ed altri deboli, ne indica i modi e le vie per evitarne la decadenza
e riparare i loro possibili difetti. E l'imputare tutto il merito
della prosperità, la responsabilità della dissoluzione
politica di una società, alla sua classe dirigente serve a
poco quando non si conoscono i vari tipi secondo i quali le classi
politiche si formano e si organizzano, perchè è
appunto in questa varietà che bisogna ricercare il segreto
della loro forza o della loro debolezza.
Perciò all'affermazione sintetica e generica è
necessario aggiungere lo studio analitico, ricercando pazientemente
i caratteri costanti delle varie classi dirigenti e quelli
variabili, ai quali si riattaccano le cause remote, quasi sempre
inavvertite dai contemporanei, della loro coesione o della loro
dissoluzione. Si tratta in fondo di adoperare il procedimento tanto
usato nelle scienze naturali, nelle quali una quantità di
cognizioni, diventate ora patrimonio intangibile del sapere umano,
sono dovute ad intuizioni felici, in parte confermate, in parte
modificate, ma sempre sviluppate, dagli esperimenti e dalle
esperienze successive. E se si obbiettasse la difficoltà, e
si potrebbe aggiungere la quasi impossibilità, di fare
esperimenti quando si tratta di fatti sociali, si potrebbe
rispondere che la storia, la statistica e l'economia politica hanno
omai raccolto tale un tesoro di esperienze che esso è
sufficiente per iniziare l'indagine accennata.
Finora gli storici, seguendo in ciò l'opinione prevalente nel
pubblico, hanno messo sopratutto in evidenza le gesta dei capi
supremi degli Stati, di coloro che stanno al vertice della piramide
politica ed, occasionalmente, anche i meriti degli strati più
bassi della piramide, delle masse che coi loro sudori, e spesso col
loro sangue, hanno fornito ai capi supremi i mezzi materiali
necessari a raggiungere i loro fini. Se la nuova visione relativa
all'importanza della classe dirigente si vuole affermare occorre
che, senza negare la valida cooperazione tanto del vertice che della
base della piramide, sia dimostrato che, senza l'opera degli strati
intermedi, quasi nulla di importante e duraturo l'uno e l'altra
avrebbero potuto fare; poichè dalla maniera come questi
strati intermedi sono formati e funzionano dipende principalmente il
tipo al quale un organismo politico appartiene e l'efficacia della
sua azione. E, quando questa dimostrazione verrà fatta,
sarà reso evidente che l'opera dei capi supremi degli Stati
ha potuto lasciare di sè traccia duratura, in generale, solo
quando essa ha saputo prendere l'iniziativa di una opportuna riforma
delle classi dirigenti, e che il merito precipuo delle classi
popolari ha consistito sempre nella capacità congenita di
trarre dalle loro viscere nuovi elementi idonei a bene guidarle.
È per le ragioni esposte che intendiamo ora di continuare e
sviluppare lo studio analitico della classe politica. Naturalmente
non mancheremo di valerci in proposito delle osservazioni fatte
nella prima parte di questo ed in altri nostri lavori, coordinandole
e completandole con osservazioni nuove, nè trascureremo di
trarre il massimo profitto che ci sarà possibile di quanto
altri autori hanno scritto sull'argomento.
Sarebbe puerile la speranza di esaurire il tema, poichè si
tratta di lavoro per il quale può non riuscire sufficiente
l'opera di tutta una generazione di pensatori. È come se ci
trovassimo davanti un'ardua catena di montagne nella quale
l'umanità, se vorrà acquistare una certa conoscenza
delle leggi che finora, quasi a sua insaputa, hanno guidato la sua
azione politica, deve aprire un'arditissima strada, che dovrà
inerpicarsi per cime difficili e scavalcare abissi profondi. Non
aspiriamo neppure a completarne il primo tronco, e saremo assai
soddisfatti se arriveremo a costruire alcuni dei sentieri, che
permetteranno agli ingegneri di studiare bene il tracciato che la
strada dovrà seguire e di preparare alcuni dei progetti di
quelle opere d'arte, che, per la sua costruzione, saranno
indispensabili.
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica.
I. I primi nuclei politici. — II. I grandi imperi orientali. — III.
Formazione dello Stato ellenico. — IV. Originalità e
debolezze dello Stato ellenico.
I. — Volendo studiare i diversi tipi di formazione ed organizzazione
della classe politica, è molto utile, per non dire
indispensabile, di gettare prima uno sguardo sui varî metodi
secondo i quali le società umane, che hanno raggiunto un
certo sviluppo ed hanno acquistato un posto nella storia del mondo,
si sono costituite ed hanno funzionato. Questa indagine preliminare
fornisce forse la maniera più adatta e più pratica di
porre in evidenza la importanza che alla classe politica spetta in
ogni organizzazione sociale; perchè, studiando i diversi
metodi seguiti nella formazione dei varî Stati, sarà
facile accertare che le differenze, per dir così anatomiche,
che in essi riscontreremo, ed i tipi, secondo i quali queste
differenze si possono raggruppare, corrispondono appunto alla
diversa formazione ed al diverso funzionamento delle loro classi
dirigenti.
Uno studio, che aveva qualche analogia con quello che ora vogliamo
iniziare, fu già intrapreso, più di mezzo secolo fa,
quando lo Spencer e poi i suoi seguaci, volendo costruire la nuova
scienza che essi, sull'esempio del Comte, appellavano Sociologia,
credettero opportuno dividere tutte le organizzazioni politiche in
due grandi tipi fondamentali: quello militare, basato sulla
costrizione con la quale i dominatori s'imponevano ai dominati, e
quello industriale, basato sopra patti o contratti liberamente
accettati da tutti coloro che partecipavano al consorzio sociale.
Abbiamo già nella prima parte di questo lavoro accennato alla
imperfezione di questa classificazione, ed abbiamo già messo
in rilievo come il germe di verità che conteneva sia rimasto
infecondamente sperduto in una visione unilaterale ed incompleta dei
fatti che, colla guida di esso, si volevano analizzare344.
Aggiungeremo ora che a questa infecondità della
classificazione accennata, ed in generale di tutte le dottrine dello
Spencer e dei suoi seguaci, ha senza dubbio efficacemente
contribuito l'indirizzo seguito nelle loro ricerche ed i materiali
da loro usati per costruire l'edificio della nuova scienza che
volevano creare.
Essi partivano infatti dal concetto che è negli organismi
sociali più semplici e primitivi, e perciò nelle
piccole orde dei selvaggi o semi-selvaggi, che bisogna rintracciare
i germi dai quali poi si sono sviluppati i diversi tipi di
ordinamento politico, che si possono riscontrare nei popoli arrivati
ad un certo grado di civiltà ed ordinati in nuclei politici
di qualche importanza; e le loro conclusioni perciò si
fondavano principalmente sulle relazioni dei viaggiatori, che con le
popolazioni più primitive avevano avuto maggiori contatti.
Mentre, a tacere di tanti altri appunti che al detto metodo si
potrebbero fare, sembra a noi evidente che, come avviene nelle
piante e negli animali, nei quali i tipi primitivi necessariamente
si rassomigliano, perchè una semplice cellula sarà
sempre simile ad un'altra cellula, anche negli organismi sociali la
differenziazione debba farsi maggiore a misura che essi si
sviluppano e si complicano.
Ed in verità non ci vuole molto a convincersi che una piccola
orda di selvaggi, del genere di quelle che ancora vagano
nell'interno dell'Australia, potrà essere pacifica o
guerriera, a seconda della maggiore abbondanza o deficienza dei suoi
mezzi di sussistenza o della natura delle popolazioni, con le quali
si troverà in contatto; ma che, se vogliamo rintracciare in
essa un regime politico, questo non potrà consistere che nel
predominio del maschio, più forte, intelligente ed astuto, e,
generalmente, del migliore cacciatore o del migliore guerriero.
Potrà anche darsi che l'esperienza di qualche vecchio o di
qualche vecchia sia tenuta in qualche considerazione, ma è
impossibile che in un organismo sociale così primitivo ci sia
già una distinzione di classi, che non può essere
fondata che sulla differenziazione stabile delle occupazioni.
Ed, anche quando lo stadio primitivo è decisamente
oltrepassato, quando la sussistenza è già basata sulla
pastorizia ed anche sopra una incipiente agricoltura, e l'orda
è diventata una tribù, che comprende, secondo i casi,
diversi raggruppamenti di tende od anche un borgo o parecchi
villaggi, e comincia a delinearsi una certa specializzazione nelle
funzioni e quindi una certa gerarchia sociale, il tipo politico che
riscontriamo in tutti questi organismi, che non hanno superato la
prima fase del loro sviluppo, presenta, in tutte le razze ed in
tutte le latitudini, una notevole somiglianza. Poichè la
tribù, sia essa ancora nomade o semi-nomade, o abbia
già stabile dimora, avrà sempre un capo, che è
giudice supremo, sacerdote, quando essa ha ancora i suoi speciali
Dei protettori, e duce militare. Ma egli, in tutte le quistioni di
qualche importanza, deve sempre consultare il consiglio dei
maggiorenti e nulla decide senza il loro consenso, ed in quelle di
massima importanza, le sue decisioni e quelle dei maggiorenti devono
essere approvate dall'assemblea di tutti i membri della
tribù, cioè di tutti gli adulti, che non sono schiavi,
e neppure individui estranei, ai quali la tribù ha accordato
la sua protezione, ma che non ha ancora aggregato a sè per
via dell'adozione o di qualche altra finzione legale.
È questo l'ordinamento che troviamo descritto in Omero345, e
quasi identico è quello che Tacito riscontrava nei Germani
suoi contemporanei346, e che ora riscontrasi nelle tribù
arabe dell'Asia in quelle arabo-berbere dell'Africa settentrionale,
nelle quali però il capo, dato il prevalente islamismo, ha
quasi perduto ogni carattere religioso. Nè altro ordinamento
sarebbe, date le condizioni sociali, possibile. Perchè il
capo, sebbene appartenga ordinariamente alla famiglia più
ricca ed influente della tribù, non potrebbe farsi obbedire
senza che siasi prima concertato con gli altri membri autorevoli per
ricchezze ed aderenze, od anche per particolare fama di saggezza. La
massa poi degli uomini liberi, quando è riunita in assemblea,
ordinariamente non prende parte attiva alla discussione e si limita
ad approvare coi suoi applausi od a disapprovare coi suoi mormorii
le proposte dei maggiorenti, che quasi sempre hanno preso la
precauzione di mettersi prima d'accordo e che, già consumati
nell'arte di condurre le folle, qualche volta si sono prima divise
le parti che devono recitare347.
In questi organismi politici al primo stadio del loro sviluppo, come
si è già accennato, comincia ordinariamente a
delinearsi una certa differenziazione di classi basata
sull'eredità della situazione economica e politica. Anzi il
capo supremo è molto spesso ereditario, ma, come oggi accade
nelle tribù arabo-berbere, difficilmente al padre succede il
figlio se questi per intelligenza, tatto ed energia si mostra
incapace a reggere la suprema carica e se non è affiancato da
numerosi parenti e clienti e sorretto da una fortuna personale
relativamente cospicua. E lo stesso avviene per i maggiorenti, nei
quali il lustro degli antenati è quasi sempre pregiato, ma
non è sufficiente da solo alla conservazione del rango
politico. In certe tribù non vi è un vero capo,
perchè gli altri maggiorenti gelosi non lo tollererebbero, ma
in fondo vi è quasi sempre qualcuno fra loro che riesce ad
avere di fatto un predominio sugli altri348. Spesso il primo posto
è disputato fra due famiglie influenti e rivali ed è
questa alle volte l'origine dei cof o partiti, che agitano
così spesso le tribù arabo-berbere349. Naturalmente
poi, quando la tribù si sviluppa in modo che essa si avvia a
diventare un piccolo popolo di parecchie decine di migliaia di
persone, la sua organizzazione politica accenna a modificarsi; e si
modifica in generale nel senso di una maggiore differenziazione
delle classi sociali e di una maggiore influenza dei maggiorenti,
che tendono a rafforzare ed a rendere più stabile la loro
azione sulle masse350.
II — Ma dovette venire un momento, che forse non sarà mai
precisato, nel quale una tribù si potè sviluppare
tanto, assorbendo o sottomettendo altre tribù limitrofe, che
essa potè diventare un popolo, creare una civiltà, e
costituire un grande organismo politico, così saldo da
riunire e coordinare un numero rilevante di sforzi e di energie
individuali indirizzandoli al raggiungimento di scopi comuni, sia di
guerra che di pace; riuscendo perciò ad organizzare ed a
tenere in campo eserciti numerosi e relativamente disciplinati, o
costruendo edifici maravigliosi, o meglio ancora, rendendo
più feconda la terra per via di un complesso e studiato
sistema di canalizzazione delle acque.
Certo anche questa volta la natura non dovette fare dei salti, e
perciò il sorgere dei primi grandi stati dovette essere
preceduto da un lungo periodo di elaborazione, durante il quale il
borgo primitivo, che era capoluogo della tribù, dovette
avviarsi a diventare una città, i progressi dell'agricoltura
dovettero esser tali da permettere ad un numero relativamente grande
di uomini di vivere addensati in un territorio relativamente
piccolo, e l'organizzazione politica potè divenire più
salda e meno rudimentale di quella testè descritta. Anzi,
molto probabilmente, durante questo periodo preparatorio alcune arti
avevano già preso un qualche sviluppo ed un primo accumulo di
capitale sotto la forma di scorte di viveri e di strumenti di guerra
e di pace era già avvenuto. E già fin d'allora la
scrittura, per quanto ancora imperfetta, cominciava a fissare i
ricordi del passato ed a facilitare la trasmissione delle nozioni e
dell'esperienza di una generazione alle generazioni successive.
Pare che il primo grande impero del quale è possibile,
mercè documenti storici, di stabilire presso a poco la data
della nascita, sia stato quello fondato da Sargon, detto l'antico,
re di Agadé nella Caldea, circa tremila ottocento anni prima
dell'era volgare; esso si estendeva sicuramente dal golfo Persico
fino al Mediterraneo ed alla penisola del Sinai. E, se realmente fu
questo il più antico grande organismo politico, esso segna
senza dubbio un passo decisivo nella storia della civiltà
umana. Sembra del resto che abbia durato meno di un secolo,
essendosi spezzato in parecchi regni rivali e nemici fra di loro,
dopo la morte di Saramsin figlio e successore di Sargon. Ma
l'esempio dato dovea trovare imitatori, ed altri grandi imperi, in
epoca sempre remota, doveano sorgere prima nella bassa Mesopotamia e
più tardi in quella alta. Babilonia, posta in una posizione
quasi intermedia fra l'alta e la bassa vallata dell'Eufrate e del
Tigri, fu, almeno per sedici secoli, quanti ne corrono da Hammurabi
a Nabu-kudur-ussur, quasi sicuramente il più grande centro di
popolazione, di ricchezza e di cultura che abbia avuto allora il
mondo.
Intanto, forse qualche tempo prima di Sargon, certo non molto tempo
dopo, Menes, il fondatore della prima dinastia egiziana, aveva
riunito in un solo tutti i piccoli stati nei quali si suddividevano
prima l'alto e basso Egitto, dando origine ad un impero e ad un
centro di civiltà rivale di quelli mesopotamici e che dovea,
interrotto da qualche lunga eclissi, quanto questi durare.
Tutto ciò che sappiamo dell'organizzazione politica degli
antichissimi imperi della Mesopotamia e dell'Egitto ci fornisce la
prova che al vertice della piramide sociale stava un sovrano che
aveva un carattere sacro, perchè offriva a nome di tutto il
popolo i sacrifizi al nume nazionale, al quale era affidata la
tutela dell'impero, nume che a Tebe egizia era Ammon, a Babilonia
Marduk ed a Ninive Asshur. A nome del sovrano tutti i poteri civili
e militari erano esercitati da una numerosa gerarchia di funzionari,
scelti ordinariamente fra i maggiorenti della popolazione che aveva
fondato l'impero. Spesso le popolazioni sottomesse conservavano i
loro capi ereditari locali ed una certa autonomia, ma qualche volta
venivano interamente assorbite da quella vincitrice, si fondevano
con essa, ed in questo caso i funzionari locali venivano
direttamente nominati e revocati dal Re, o meglio dalla Corte e
nella Corte. In Egitto si è potuto notare che i due sistemi,
durante il lunghissimo periodo nel quale durò la
nazionalità egizia, hanno parecchie volte prevalso l'uno
sull'altro, a seconda che l'impero rafforzandosi si centralizzava o,
indebolendosi, tendeva a scompaginarsi. La classe dirigente
dividevasi ordinariamente in capi dei guerrieri e sacerdoti, ma i
sacerdoti egizii e caldei erano i depositari della scienza d'allora
e ad essi era ordinariamente devoluta la conoscenza e l'applicazione
delle leggi. Non manca qualche esempio di sommi sacerdoti che
riuscivano anche a sostituire il potere laico e ad esercitare
l'autorità regia351.
Quanto al sistema di reclutamento dei funzionari civili e militari
si è potuto pure constatare, sopratutto nell'antico Egitto,
una grande differenza di metodi durante i tremila anni circa che
dura la sua storia. Come abbiamo detto nella prima parte di questo
lavoro, ci furono epoche nelle quali la conoscenza esatta della
scrittura geroglifica era la chiave che apriva l'adito alle carriere
superiori, sia civili che militari, e si vedevano persone del popolo
arrivare ai gradi elevati352. Ma generalmente, se non vi erano delle
vere caste chiuse, la gerarchia sociale aveva una grande
stabilità e si era piuttosto figli dei propri padri
anzichè delle proprie opere. In Babilonia sappiamo intanto
che gli schiavi erano numerosissimi e quasi tutti i documenti ed i
monumenti egiziani ci fanno testimonianza del fasto che, sia durante
la vita che nella tomba, spiegava sempre la classe elevata, mentre
un lavoro manuale intenso, e spesso forzato, era la sorte ordinaria
di quelle più umili.
Le notizie che gli scrittori greci incidentalmente ci danno sulle
condizioni sociali e politiche dell'ultimo grande impero orientale
anteriore all'era volgare, su quello cioè dei Persiani, col
quale la Grecia ebbe frequentissimi contatti, dimostrano
concordemente la grande importanza che la nascita aveva nella
formazione della gerarchia politica. Secondo Erodoto, dopo
l'uccisione del falso Smerdi, che aveva potuto diventare re
facendosi credere figlio di Ciro, sette signori persiani disposero
del trono; secondo Senofonte quando, morto a Cunassa Ciro il
giovane, i mercenari greci offrirono la corona ad Arieo, che
comandava le truppe persiane che avevano combattuto insieme a Ciro,
Arieo si rifiutò dicendo che egli non era abbastanza nobile e
che perciò i grandi di Persia non l'avrebbero mai accettato
per re. Gli stessi Greci ci informano che l'impero di Persia era in
fondo una confederazione più o meno spontanea di popoli, di
civiltà più o meno antica e diversa, sotto l'egemonia
della Persia. Alcuni popoli, come l'Armenia, la Cilicia e la
città di Tiro, conservavano le loro autonomie ed i loro
sovrani nazionali, mentre altri, come la Lidia e la Babilonia, erano
governati da satrapi scelti fra i grandi signori persiani della
Corte di Susa e che la Corte faceva strettamente sorvegliare. Ad
essa quasi tutte le nazioni sottomesse pagavano un tributo annuo,
proporzionato alla loro ricchezza, e fornivano all'occorrenza
milizie ausiliarie. Nel mezzo poi delle Provincie sottomesse alcune
popolazioni di montanari conservavano di fatto una selvaggia
indipendenza, come era il caso dei Carduchi, che corrispondevano su
per giù agli odierni Curdi353.
Nel Medio Evo in gran parte sul tipo dello Stato orientale si
costituì lo Stato maomettano, il quale senza dubbio alcuni
elementi della sua organizzazione amministrativa e politica
potè riceverli da Bisanzio, ma in parte assai maggiore si
modellò sugli esempi e le tradizioni del nuovo impero
persiano dei Sassanidi354. Si sa però che lo Stato
maomettano, malgrado il cemento religioso che costituiva la forza
della sua classe dominante, malgrado che anch'esso in certe epoche
abbia permesso lo sviluppo di una grande cultura, avea delle
debolezze innate, che fatalmente produssero la più o meno
rapida disgregazione dei grandi organismi politici che lo slancio
conquistatore delle prime generazioni islamiche avea creato. Anche
non tenendo conto del fatto risaputo che quasi tutti i rapporti
sociali e politici vengono nel mondo musulmano regolati dal codice
religioso, ossia del Corano, ciò che alla lunga dovea
necessariamente arrestarne lo sviluppo, pare accertato che una delle
cause più frequenti delle rapide disgregazioni degli imperi
musulmani derivasse dall'uso di concedere ai capi preposti alle
singole provincie la facoltà di levare i soldati e di
riscuotere direttamente le imposte, con le quali li pagavano.
Concentramento di poteri che facea sì che essi facilmente
riuscissero a formare tale uno spirito nelle truppe da potersi
proclamare indipendenti, o diventare di fatto tali, conservando
verso il Califfo un ossequio solo formale355.
Anche la Cina, fino a pochi anni fa, era politicamente organizzata
sul tipo dello Stato orientale, che però essa da parecchi
secoli aveva portato ad un grado di perfezionamento forse mai
raggiunto, per la morale laica e positiva che formava la base della
sua civiltà, per la grande unità della cultura, che
fra il suo popolo si era diffusa in tanti secoli di storia comune, e
finalmente per il sistema democratico di reclutamento dei suoi
funzionari, ammessi e promossi sempre in seguito a concorsi.
Malgrado ciò lo Stato cinese ebbe quasi sempre una forza
inadeguata alla sua vastità, ed esso mostrò subito la
inferiorità della sua macchina politica appena venne in
contatto con gli Stati europei. E si sa infine che il Giappone, se
ha voluto conservare la sua indipendenza e la sua antica anima
nazionale, ha dovuto rapidamente rinnovare la sua organizzazione
politica, amministrativa e militare secondo i modelli forniti dagli
Stati di civiltà europea.
Certo è dunque che l'organizzazione degli imperi di tipo
orientale è rimasta sempre assai inferiore a quella dei
moderni Stati di civiltà europea ed anche a quella
dell'antico impero romano. E si potrebbe anche aggiungere che essa
per molti lati era imperfetta, se la paragoniamo a quella del
piccolo stato ellenico dell'epoca classica, di cui fra poco dovremo
occuparci. Senonchè sarebbe ingiusto dimenticare che fu in
quegli antichi imperi, le cui vicende apprendiamo a misura che si
vanno decifrando le vecchie iscrizioni geroglifiche e cuneiformi,
che l'umanità potè accumulare le prime esperienze ed i
primi capitali, che resero possibili gli ulteriori progressi
intellettuali ed economici. Fu sulle rive del Tigri, dell'Eufrate e
del Nilo che per la prima volta i gruppi di maggiorenti, che prima
reggevano le singole tribù, si fusero ed organizzarono in
vere classi politiche, le quali ebbero campo di concepire e
sviluppare l'idea che vi erano grandi interessi comuni a milioni di
individui umani. E fu in queste classi che, per la prima volta,
potè avvenire una selezione per la quale un certo numero
d'individui, liberi dalle cure materiali della vita, difesi
dall'organizzazione, della quale facevano parte, contro le cupidigie
e le violenze di coloro che, in ogni tempo ed in ogni
società, aspirano ad occupare i posti migliori, poterono
dedicarsi all'osservazione dell'uomo e del mondo in cui esso vive ed
elaborare i primi rudimenti della morale famigliare e sociale. Quei
rudimenti, che troviamo espressi circa 4.000 anni fa nel Codice di
Hammurabi, dove sono già sancite molte delle norme che
l'individuo deve osservare affinchè il consorzio sociale
possa sussistere, e nel vecchio rituale dei morti dell'antico
Egitto, in parte più antico del codice di Hammurabi, nel
quale troviamo per la prima volta alcuni di quei precetti morali, di
quelle norme di carità, che poi formeranno la base morale di
tutte le grandi religioni mondiali356. Fu infine colà che
fece le sue prime prove la difficile arte della pubblica
amministrazione, la quale consiste sopratutto nel fare in modo che
in una grande società, col minimo di costrizione possibile,
l'attività che ogni individuo spiega spontaneamente a proprio
vantaggio dia anche risultati proficui per la collettività.
III. — Se la civiltà europea ha potuto creare un tipo di
organizzazione politica, che profondamente si distingue da quella
dell'impero orientale, ciò si deve in grandissima parte
all'eredità intellettuale della Grecia e di Roma. Senza
dubbio grandissima è la differenza che corre fra un grande
Stato moderno europeo od americano e ciò che era lo Stato
ateniese o spartano o anche quello romano all'epoca repubblicana, ma
possiamo ritenere come sicuro che, senza l'eredità
intellettuale degli scrittori politici dell'epoca classica, i quali
formarono il loro pensiero sulle istituzioni politiche che sotto i
loro occhi si svolgevano, l'Europa moderna ed i paesi d'oltremare
colonizzati da Europei non avrebbero adottato quegli ordinamenti
politici, che tanto li distinguono dagli imperi asiatici.
Certo molti elementi della sua civiltà la Grecia li prese dai
più vicini imperi asiatici e dall'Egitto, e le prime
infiltrazioni dovettero avvenire nel periodo preistorico, quando
fiorì quella civiltà preellenica, che ebbe il suo
centro a Creta e scomparve non lasciando che vaghi ricordi e
l'iniziazione all'agricoltura e ad altri progressi materiali che,
una volta entrati nelle abitudini di un paese, possono decadere ma
non scompaiono mai interamente, anche se sono distrutti il popolo o
la civiltà che per i primi li hanno inventati od adottati.
Altre infiltrazioni orientali ed egiziane avvennero pure nell'epoca
nella quale la cultura, che fu propriamente ellenica,
cominciò a ridestarsi, cioè a partire dal nono secolo
avanti l'êra volgare, quando intermediari fra la Grecia, gli
imperi orientali e l'Egitto furono principalmente i Fenici. E questa
volta i nuovi semi trapiantati nel suolo dell'Ellade diedero frutti
abbastanza diversi, e per molti rispetti migliori, di quelli della
pianta dalla quale provenivano, specialmente per quel che riguarda
l'arte, la scienza e l'organizzazione politica.
Abbiamo già visto come il regno omerico, che troviamo agli
inizi del risveglio della civiltà greca, non si
differenziasse molto dal tipo di organizzazione politica
semi-primitivo, che troviamo in tutte le popolazioni che hanno
salito solo i primi gradini della scala la quale conduce alle grandi
organizzazioni politiche. Il Re omerico era infatti assai analogo al
capo della tribù araba o germanica, perchè egli
esercitava la sua autorità, che era principalmente morale ed
aveva anche un certo fondamento religioso, coll'assistenza di un
Consiglio di maggiorenti e, nei casi più gravi, chiamava a
parlamento tutti i guerrieri, ossia gli uomini liberi che facevano
parte della tribù. Senonchè in uno spazio di tempo,
che non può essere superiore ai tre secoli, vediamo questo
tipo di organizzazione politica, che ben poco aveva di speciale,
trasformarsi nell'originalissima città greca dell'epoca
classica357.
Se studiamo le cause di questa trasformazione, si può
anzitutto notare che il suolo greco, accidentato in modo che ogni
cantone, ogni borgo col suo territorio, era diviso da ostacoli
naturali abbastanza importanti dai cantoni vicini, ostacolava la
formazione di grandi imperi come quelli che poterono sorgere nelle
grandi e pianeggianti vallate del Tigri, dell'Eufrate, del Nilo e
del fiume Giallo. Inoltre la stabilità delle sedi, già
abbastanza assicurata, e la proprietà privata della terra,
già entrata nelle consuetudini fin dai tempi di Omero,
permisero tale uno sviluppo della produzione agricola da rendere
possibile che, in un territorio relativamente piccolo, potesse
vivere una popolazione relativamente grande, sicchè il
villaggio od il borgo primitivo potè diventare una
città di trenta o quarantamila abitanti ed in casi speciali
anche più popolosa358. Forse anche al diverso sviluppo
politico contribuì la salda organizzazione gentilizia, per la
quale ogni gruppo di famiglie che reputavasi discendere da un
antenato comune conservava in origine una certa autonomia politica e
religiosa, in maniera che la città era una specie di
confederazione di genti. Ma, accanto a questi coefficienti, ne
dovettero agire altri di natura intellettuale e morale, che, a tanta
distanza di tempo ed in tanta povertà di documenti, non
possiamo esattamente scernere ed analizzare e che perciò
indichiamo con una espressione generica ed imperfetta, definendoli
come un prodotto del genio particolare della stirpe ellenica e poi
di quella italica.
Checchè ne sia, certo è che nell'Ellade, forse meno di
un secolo dopo Omero359, la regalità cominciò a
perdere terreno ed a cadere in dissuetudine e che nel Consiglio dei
maggiorenti il re o disparve o perdette quasi intieramente la sua
importanza. La città fu perciò governata dai capi
delle genti, ossia dei gruppi di famiglie più antiche ed
influenti, che possedevano le terre migliori e le facevano coltivare
dagli schiavi, o da quella turba di spostati e di profughi, che ogni
città soleva accogliere quando qualche cittadino influente
concedeva loro la sua protezione. L'organo politico prevalente fu
quindi l'antico senato o Consiglio dei maggiorenti, dove le famiglie
principali erano rappresentate. Quasi sicuramente l'antica assemblea
di tutti i cittadini continuò a sussistere accanto al
Consiglio dei maggiorenti, ma, dato l'accentramento della
proprietà e date le numerose clientele di cui i gruppi di
famiglie principali disponevano, quest'ultimo conservò per un
certo tempo la preponderanza che aveva all'epoca della
regalità.
In un'epoca, che deve corrispondere su per giù al settimo
secolo avanti l'êra volgare, i progressi dell'agricoltura ed
un incipiente commercio dovettero fornire a molti dei discendenti
degli antichi stranieri domiciliati i mezzi per formarsi una
posizione economica presso a poco indipendente, e nacque quindi in
essi il desiderio di essere ammessi nella cittadinanza, ciò
che era l'unico modo di partecipare ai pubblici poteri e di
sottrarsi alla onerosa tutela dei maggiorenti. Il movimento dovette
essere secondato dalle famiglie più povere ed oscure degli
antichi cittadini, che anche essi avevano interesse a combattere il
regime oligarchico che le famiglie più ricche ed illustri
avevano instaurato360. Dopo un periodo di lotte civili, nelle quali
spesso la parte soccombente doveva emigrare, periodo del quale le
traccie si ritrovano nei poeti dell'epoca e segnatamente nei versi
di Teognide da Megara, e che fu alle volte interrotto dalla
dittatura di qualche capo popolo che appellavasi tiranno, si venne
generalmente ad un compromesso del genere di quello che Solone
attuò in Atene nei primi decenni del sesto secolo avanti
Cristo, e da questi compromessi nacque quella costituzione delle
città greche nell'epoca classica che, nella storia politica
del mondo, doveva avere così grande importanza.
Le basi precipue dei compromessi furono generalmente due: anzitutto
l'entrata nella città di un certo numero di discendenti di
antichi stranieri domiciliati o di schiavi emancipati, senza
però che il principio fosse applicato ai casi posteriori alla
riforma della costituzione, perchè i nuovi stranieri
domiciliati rimasero in generale rigorosamente esclusi dalla
cittadinanza, tanto che perfino la democratica Atene non ammetteva
fra i suoi cittadini i figli di un cittadino e di una straniera361;
ed in secondo luogo il riconoscimento esplicito che il potere
sovrano risiedeva nell'assemblea di tutti i cittadini. La quale
perciò assorbì a poco a poco quasi tutte le antiche
giurisdizioni gentilizie, che prima i capi delle famiglie
aristocratiche esercitavano sui loro consanguinei, ed
esautorò più o meno l'antico Consiglio dei
maggiorenti, che si trasformò ordinariamente in un senato,
che era molto spesso un'emanazione diretta dell'assemblea che ne
nominava i membri.
Si sa che l'antichità classica non conobbe quella netta
divisione dei tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario che,
almeno teoricamente, è una delle principali caratteristiche
delle costituzioni moderne362, tanto che il pretore romano
potè esercitare funzioni che ora si direbbero legislative; ma
è certo che, nell'Ellade classica, ciò che ora
corrisponderebbe al potere sovrano per eccellenza, cioè al
potere legislativo, veniva quasi esclusivamente affidato
all'assemblea dei cittadini, mentre ciò che noi chiamiamo
funzioni esecutive e giudiziarie venivano delegate a Corpi o ad
individui, che erano quasi sempre eletti da tutti i cittadini, o
designati dalla sorte fra tutti o fra determinate categorie di
cittadini363.
Caratteristiche comuni di quasi tutte le costituzioni delle
città elleniche erano la temporaneità delle cariche, i
cui titolari venivano quasi sempre rinnovati almeno tutti gli anni,
e la moltiplicità delle persone che esercitavano una data
pubblica funzione; moltiplicità che mirava a far sì
che il potere di un individuo potesse esser sempre controllato e
limitato da quello di uno o di parecchi altri individui rivestiti di
uguale potere, come appunto avveniva dei consoli a Roma. Ed il
principio veniva cosi rigorosamente applicato che, in molte
città greche, il comando dell'esercito o del naviglio in
guerra veniva affidato a diversi polemarchi o navarchi, che
l'esercitavano a turno. Altra caratteristica dell'ordinamento
politico ed amministrativo della città greca era la quasi
completa mancanza di ciò che ora si direbbe una burocrazia
professionale e di un esercito stanziale364, e si deve inoltre
notare che anche alcune funzioni giudiziarie ed esecutive ritenute
di grande importanza venivano ordinariamente riservate all'assemblea
del popolo. La quale perciò conservava quasi sempre il
diritto di dichiarare la guerra e concludere la pace e si riservava
spessissimo quello di applicare le pene più gravi, quali
erano la morte e l'esilio, o quanto meno veniva in questi casi
ammesso l'appello all'assemblea del popolo.
IV. — A cominciare da Erodoto, tutti gli scrittori greci dell'epoca
classica ammettono l'esistenza di tre forme di governo: la
monarchia, l'aristocrazia e la democrazia365. Si comprende
agevolmente come il ricordo della monarchia omerica, il recente
esempio delle tirannie, frequenti sopratutto nelle colonie elleniche
della Magna Grecia e della Sicilia, la sopravvivenza stessa della
antica monarchia patriarcale in qualche remoto cantone dell'Epiro,
le traccie di essa che tenacemente si mantenevano a Sparta e
finalmente il contatto frequente coi popoli barbari, che quasi
sempre avevano un re, dovevano far sì che i pensatori
dell'Ellade enumerassero fra le possibili forme di governo anche il
regime monarchico. Ma in verità lo Stato ellenico dell'epoca
classica oscillava quasi sempre fra l'aristocrazia e la democrazia,
le quali rappresentavano le due tendenze costanti che in esso erano
in perenne contrasto. E difatti all'analisi di questo inevitabile
contrasto consacra Aristotile buona parte della sua immortale opera
sulla Politica366.
Or sarà bene anzitutto ricordare che presso i Greci
dell'epoca classica, non si potrebbe dire precisamente lo stesso dei
Romani; il concetto di aristocrazia non si accoppiava in modo quasi
inscindibile a quello della ereditarietà del potere e delle
cariche pubbliche nelle stesse famiglie, ma voleva dire
semplicemente che le cariche venivano affidate, esclusivamente od a
preferenza, a coloro che, per ricchezza o per meriti eccezionali,
spiccavano fra gli altri cittadini, discendessero o no da antenati
illustri. Tanto vero che Aristotile distingue l'aristocrazia
dall'eugenismo, che significava appunto l'appartenere ad una
famiglia già da lunga data illustre367. Anzi non raramente
accadeva che qualche eugenico capitanasse il popolo contro la parte
aristocratica composta in maggioranza di nuovi arricchiti, come
appunto fu il caso di Pericle.
Venendo ora all'esame del contrasto accennato, in poche parole si
può affermare che nello Stato greco si aveva il regime
aristocratico quando fra i cittadini la ricchezza riusciva a
prevalere sul numero, mentre quello democratico significava la
prevalenza del numero sulla ricchezza. Perciò nel regime
aristocratico le cariche pubbliche, o almeno le più
importanti, quando non venivano per legge riservate alle categorie
dei maggiori censiti, erano gratuite, in maniera che diventavano
accessibili solo a coloro che non dovevano personalmente e
diuturnamente lavorare per vivere, e nessuna indennità vi era
per la partecipazione alle assemblee dei cittadini, che venivano
così disertate dai poveri e frequentate assiduamente dai
ricchi e dai loro clienti; mentre in quello democratico le cariche
pubbliche venivano retribuite e la partecipazione all'assemblea dava
diritto ad un gettone di presenza.
Nel primo le cariche pubbliche erano quasi sempre elettive,
perchè nelle votazioni i ricchi, stretti in associazioni
più o meno secrete, che si dicevano eterie, e con l'appoggio
dei loro clienti riuscivano facilmente a concentrare i loro suffragi
sui propri candidati ed a prevalere su quelli dei poveri, che
più difficilmente riuscivano ad organizzarsi; nel secondo le
cariche pubbliche erano generalmente distribuite a sorte fra i
cittadini. Sistema a giusta ragione ritenuto assurdo anche da molti
pensatori della Grecia antica, ma che in sostanza era il solo
mediante il quale l'influenza della notorietà, delle
relazioni personali e dei comitati elettorali poteva venire
eliminata.
Come si è già accennato, poichè i poveri erano
sempre più numerosi dei ricchi, i governi aristocratici molto
si poggiavano sulle clientele, mantenute mercè il patrocinio
che ogni ricco esercitava a pro di un certo numero di poveri e sulla
larghezza colla quale coloro che aspiravano alla carriera politica
esercitavano l'ospitalità a favore dei cittadini meno
facoltosi. Aristotile nota espressamente che Pericle non potendo,
perchè meno ricco, lottare su questo terreno con Cimone,
figlio di Milziade, capo della parte aristocratica, guadagnò
a sè i poveri facendo retribuire dal pubblico erario molte
cariche prima gratuite368; sistema che, coi dovuti adattamenti, non
è ignoto neppure oggi nei paesi retti a democrazia, dove
all'influenza della ricchezza privata spesso si contrappone lo
sperpero del danaro pubblico.
Gli abusi del regime aristocratico nello Stato greco quasi sempre
consistevano nella esagerazione del sistema prevalente, la quale
faceva sì che molto spesso l'aristocrazia si trasformava in
oligarchia, cioè in una consorteria chiusa, che gelosamente
escludeva dalle cariche pubbliche tutti gli elementi estranei,
qualunque fosse la loro ricchezza ed il loro merito personale. Altri
abusi frequenti si avevano quando il monopolio delle cariche
pubbliche veniva usato per la conservazione e l'accrescimento delle
ricchezze private dei governanti e dei loro consorti e clienti,
ciò che ottenevasi sopratutto facendo in modo che i giudizi
nelle cause civili e penali fossero sempre affidati a persone
affiliate o ligie alla fazione che reggeva lo Stato.
Viceversa, dove i poveri si contavano e riuscivano in maggioranza a
sottrarsi alla clientela dei ricchi, facilmente si avevano gli abusi
della democrazia. Molte ed importanti erano allora le cariche
pubbliche che venivano date ai designati dalla sorte, la quale
naturalmente non aveva nessun riguardo alla capacità ed alle
attitudini necessarie a disimpegnarle; e le indennità
attribuite per l'esercizio di ogni pubblica funzione aggravavano
talmente l'erario che, per fare fronte all'ingente spesa, si
dovevano colpire con gravissime imposte i ricchi e gli agiati, fino
ad arrivare ad una larvata confisca delle fortune private e quindi
al disastro dell'economia pubblica. Aristotile calcola che all'epoca
di Pericle in Atene circa ventimila cittadini venissero sussidiati
dall'erario pubblico, sicchè quasi tutta la cittadinanza
erasi trasformata in una classe di stipendiati dallo Stato369.
Ciò che fu per un certo tempo possibile non solo per il
reddito che la città traeva dalle miniere d'argento del
Laurion, ma anche, e principalmente, perchè si stornavano i
contributi che gli alleati pagavano ad Atene per il proseguimento
della guerra contro la Persia. Causa questa non ultima della lunga e
nefanda guerra scoppiata poi fra gli Elleni, che prese il nome di
guerra del Peloponneso. Nei casi più gravi un caporione del
popolo uccideva o mandava in esilio i ricchi e ne confiscava i beni,
che divideva poi fra i suoi partigiani o fra i mercenari stranieri
che lo sostenevano. Si aveva allora quella sospensione del normale
funzionamento della costituzione e quella dittatura di un capo,
sostenuto dalla sua fazione, che appellavasi tirannide, che tutti
gli scrittori greci concordemente descrivono come la peggiore delle
forme di governo370.
Dopo quanto abbiamo detto, appare evidente che il normale
funzionamento dello Stato ellenico richiedeva un grado di
prosperità economica e di elevazione intellettuale e morale
nella parte maggiore della cittadinanza, che non era agevole che
fosse sempre raggiunto. Difatti la piena efficienza di questa forma
di organizzazione politica durò meno di due secoli,
cioè dal principio del quinto al declinare del quarto secolo
avanti Cristo, periodo che coincide con quello del massimo sviluppo
della civiltà ellenica. La mancanza di una burocrazia
regolare e di un corpo di polizia permanente incaricati
dell'esecuzione delle leggi rendeva necessario che, nella
maggioranza dei cittadini, fossero molto forti il senso della
legalità e lo spirito di sacrificio degli interessi
individuali a quello pubblico, le quali virtù perciò
venivano coll'educazione in tutti i modi inculcate e celebrate371.
Inoltre era indispensabile che fosse conservata una certa
proporzione numerica fra i cittadini e gli schiavi. Perchè se
i primi erano molto pochi, gli altri facilmente si ribellavano, come
spesso facevano gli Iloti a Sparta, e, se i cittadini invece erano
troppo numerosi, allora fatalmente una buona parte di essi era molto
povera e non si sentiva cointeressata al mantenimento delle
istituzioni. Per superare queste difficoltà Platone nella sua
Repubblica propose l'abolizione della proprietà privata, e
conseguentemente della famiglia, almeno nella classe dominante, ed
Aristotele invece, con criterio più pratico,
raccomandò la diffusione della media proprietà,
facendo giustamente osservare che la porta era aperta a tutti i
rivolgimenti, dove pochi cittadini molto ricchi si trovavano di
fronte a numerosi poveri, che, mentre disponevano delle armi e dei
voti, non avevano alcun interesse a difendere l'ordine di cose
esistente372.
E poi lo Stato greco era dalla sua stessa costituzione organica
destinato fatalmente a restare sempre piccolo ed a non oltrepassare
i limiti di una città di mediocre grandezza col suo
territorio. Infatti se gli antichi Greci adoperarono lo stesso
vocabolo, πόλις, per indicare lo Stato e la città, ciò
avvenne perchè essi non concepivano uno Stato ellenicamente
organizzato che fosse più vasto di una città e della
contrada che ad essa forniva i mezzi di sussistenza. Certo che,
quando la civiltà greca ebbe con Alessandro Magno conquistato
l'impero di Persia, essa si estese a Stati di grande mole, quali
erano i regni di Siria, di Egitto e di Macedonia, ma questi erano
grandi monarchie militari, la cui organizzazione nulla aveva a che
fare colla forma politica della quale trattano Platone ed
Aristotile, ed in esse l'ellenizzazione era limitata solo ad un
piccolo strato dirigente. La Grecia propriamente detta non conobbe i
grandi Stati, perchè la città greca tale non poteva
divenire. La base della sua costituzione era infatti l'assemblea dei
cittadini e, per intervenirvi assiduamente, occorreva abitare in
città o nei suoi immediati dintorni, e l'assemblea stessa non
poteva essere troppo numerosa, perchè altrimenti la maggior
parte dei presenti non poteva udire le argomentazioni degli oratori.
Ed è appunto per questa ragione che Platone nella sua
Repubblica ed Ippodamo da Mileto nel suo progetto di costituzione
ideale, limitano il numero dei cittadini il primo a cinque mila ed
il secondo a diecimila373 e che lo stesso Aristotile, senza
precisarne il numero, dice che essi devono esser tanti da potere
ascoltare una voce umana che non sia quella di Stentore374. Atene, a
dir vero, nei suoi più bei tempi, forse oltrepassò i
trentamila cittadini, ma costituì un'eccezione; Siracusa ne
ebbe forse anche più, ma in essa, a cominciare dal quarto
secolo avanti Cristo, la costituzione normale della città
greca non potè più funzionare; Sparta all'epoca di
Aristotile era ridotta a due o tre mila cittadini375.
Per rimediare alla impossibilità di formare un grande Stato
conservando integra l'organizzazione della città ellenica, la
Grecia antica tentò l'attuazione della così detta
egemonia, cioè della supremazia di una città
più grande su molte più piccole, ma il rimedio si
rivelò inadatto ed insufficiente, perchè le
città sottomesse riacquistavano la loro indipendenza appena
la loro dominatrice subiva un grave rovescio di fortuna376. Le
stesse colonie di poco aumentavano la potenza della madre patria,
perchè generalmente formavano tante città e quindi
tanti Stati a sè, conservando appena qualche legame affettivo
e religioso con quella dalla quale traevano origine.
Perciò può destare ragionevole ammirazione il fatto
che in organismi politici così piccoli siansi elaborate, e
per la prima volta attuate, alcune di quelle idee fondamentali, che
poi hanno servito di base alle costituzioni dei grandi Stati moderni
di tipo europeo. A dir vero, il concetto di libertà politica
non fu completamente estraneo ai popoli dell'antico Oriente ed
all'Egitto, ma esso significava semplicemente che un popolo non era
sottomesso ad un altro, di razza, religione e civiltà
differente, che coloro che reggevano una gente erano uomini della
stessa gente e non già stranieri, ma non veniva mai
interpretato nel senso che potesse essere riguardato come
servitù un regime nazionale, per quanto assoluto ed
arbitrario377. Fu invece nella Grecia antica che, per la prima
volta, in una popolazione non più primitiva e che aveva
raggiunto un alto grado di civiltà, si riguardò come
politicamente libera solo quella gente che era sottomessa alle
leggi, che la maggioranza dei consociati avea approvato, ed a quei
magistrati ai quali la maggioranza stessa avea delegato, per un
determinato tempo, determinati poteri; fu in Grecia che, per la
prima volta, l'autorità non venne trasmessa dall'alto in
basso, da chi stava all'apice della gerarchia politica a coloro che
erano a lui subordinati, ma dal basso in alto, cioè da coloro
sui quali l'autorità si esercitava a coloro che la dovevano
esercitare.
In altre parole, fu la civiltà ellenica la prima ad
affermare, di fronte al diritto divino dei Re, il diritto umano del
popolo a governare se stesso, fu essa che per la prima non
considerò più la legge come una emanazione della
volontà divina, o di coloro che agivano in nome della
volontà divina, ma bensì come una interpretazione
umana e variabile della volontà popolare. E, se grande fu
l'autorità che lo Stato greco esercitava sul cittadino, fino
al punto da regolare i dettagli della vita familiare,
quest'autorità dovea sempre essere esercitata in base alle
norme che la maggioranza aveva accettato.
E, come abbiamo già ricordato, questi stessi concetti
fondamentali, adattati per quanto era possibile alle società
europee del secolo decimottavo e decimonono, efficacemente
contribuirono a modificarne gli ordinamenti politici, fecero sentire
la loro influenza dovunque vi sono popoli di origine europea, ed
oggi, trasmessi mercè il contatto intellettuale con l'Europa
e l'America, hanno la loro ripercussione persino nel Giappone, nella
China ed in altre popolazioni di civiltà asiatica.
CAPITOLO III.
Continua il tema del capitolo precedente. — I. Caratteri speciali
della città-Stato romana. — II. Sua graduale trasformazione
in uno Stato burocratico-militare durante l'Impero. — III.
Dissolvimento dello Stato e della civiltà romana. — IV. Cause
che prepararono lo Stato feudale e sue caratteristiche. — V,
Graduale trasformazione dello Stato feudale nello Stato assoluto
burocratico. — VI. Cause intellettuali ed economiche che preparano
la trasformazione dello Stato assoluto burocratico nello Stato
rappresentativo moderno. — VII. La Costituzione inglese del secolo
XVIII fornisce il modello formale allo Stato rappresentativo
moderno. — VIII. Caratteristiche dello Stato rappresentativo moderno
ed elementi dissolvitori che lo minacciano.
I. — Sia per l'affinità della stirpe italica con la stirpe
ellenica, sia perchè la civiltà greca, attraverso le
colonie della Sicilia e della Magna Grecia, fece sentire la sua
influenza sui popoli italici in epoca più remota di quella
nella quale avvenne la conquista delle accennate colonie per opera
dei Romani, certo è che la costituzione politica delle
città italiche presenta molte analogie con quella della
città greca.
In origine infatti abbiamo anche nella città italica
primitiva un re, un Consiglio di maggiorenti ed una assemblea del
popolo, ed in seguito, quando incomincia l'epoca veramente storica,
cioè quando sulla fine del quarto e nei primi decenni del
terzo secolo avanti l'êra volgare, tutte le popolazioni
italiche sono costrette a riconoscere la supremazia di Roma, non
troviamo in esse quasi più traccia della regalità
ereditaria, mentre non vi erano rare le rivalità fra gli
ottimati e la plebe378. Tanto vero che Roma generalmente
favorì i primi, giustamente ritenendo che, come più
inclinati al conservatorismo ed alla tranquillità sociale, la
sua supremazia potesse sopra di essi più facilmente
appoggiarsi, e, per raggiungere meglio lo scopo, concesse con
abbastanza larghezza il diritto di cittadinanza romana agli ottimati
delle città federate.
Di Roma sappiamo che in epoca remota ebbe i suoi re, il suo Senato
composto dai capi delle diverse genti patrizie, la cui
confederazione formò la città primitiva, ed anche
l'assemblea del popolo, ossia i comizi. Abolita come in Grecia la
regalità ereditaria e sostituita ad essa il Consolato e le
altre magistrature temporanee ed elettive, e quasi sempre multiple
in modo che la stessa funzione veniva contemporaneamente affidata a
diverse persone, sorse presto anche a Roma la lotta fra l'antica
cittadinanza patrizia, costituita da coloro che facevan parte delle
antiche genti, e la nuova cittadinanza plebea, composta a preferenza
dai discendenti degli stranieri domiciliati e dei servi liberati. E
per un certo tempo pare che due città coesistano nel recinto
dell'urbe con magistrature speciali all'una ed all'altra,
finchè si fondono quasi intieramente entro una costituzione
che ricorda molto il tipo ellenico testè esposto, che anche
essa è fatta certamente per essere applicata ad una
città-Stato, ma che si distingue per alcune
particolarità profondamente originali.
La prima di esse e la più ricca di conseguenze pratiche fu
l'estensione data al diritto di cittadinanza, le cui prerogative
vennero suddivise in modo che, accanto al cittadino perfetto, vi era
quello imperfetto, che ne godeva una parte sola ed a poco a poco
subiva l'assimilazione necessaria per diventare giuridicamente
uguale agli altri membri della città romana379. Ciò
permise tale un'estensione del diritto di cittadinanza da far
sì che di esso godessero molte persone le quali abitavano
così lontano da Roma che difficilmente, anche avendone il
diritto, poteano intervenire ai comizi. In altre parole, Roma seppe
rompere il cerchio fatale, che impediva alla città greca di
allargarsi, concedendo la cittadinanza a coloro che abitavano tanto
lontano dal centro da non potere diuturnamente fare atto di presenza
alle assemblee e praticò, per dir così, dei gradini
nell'abisso che nella Grecia divideva il cittadino da chi non era
tale. In questa maniera essa potè avere inscritti nei suoi
ruoli nel duecentosessantacinque avanti Cristo, cioè
nell'anno precedente alla prima guerra punica,
duecentonovantaduemila cittadini, e dopo le perdite in essa subite,
ne aveva ancora duecentoquarantamila nel duecentoquarantasette,
ossia tra la prima e la seconda guerra punica; ciò che rese
possibile il reclutamento delle numerose legioni mediante le quali
potè superare la terribile prova che subì durante
l'invasione di Annibale in Italia380. E fu continuando in questo
sistema che potè a poco a poco assimilare tanta parte del
mondo facendone, come cantava durante l'agonia dell'impero un poeta
nativo della Gallia romanizzata, una città sola381.
La seconda nota originale della costituzione repubblicana di Roma
antica consistette nel carattere spiccatamente più
aristocratico che essa mantenne rispetto a quelle greche. Il Senato
romano infatti col tempo non fu più la riunione dei padri di
famiglia delle antiche genti, ma i suoi membri furono sempre scelti
dal censore fra coloro che avevano già esercitato cariche
elevate, e, solo in un'epoca relativamente recente, i comizi
centuriati furono riformati in maniera da togliere in essi la
preponderanza alle classi altamente censite ed, accanto ai comizi
centuriati, furono ammessi quei tributi nei quali prevaleva
decisamente il numero sul censo382. Ma la legge non poteva essere
dai comizi approvata se non quale i magistrati l'avevano proposto e
l'autorità del Senato l'avea confermato. Ed in quanto alle
cariche elettive il costume più che la legge impedì
fino agli ultimi tempi della repubblica che fossero conferite a veri
popolani. Infatti il tribunato militare, che era il primo gradino
che dovevano salire coloro che aspiravano alla carriera politica,
fino alle guerre puniche, non fu praticamente accessibile che ai
membri dell'ordine equestre383, ed il Ferrero fa giustamente
rilevare come, anche durante il periodo delle guerre civili, ad
eccezione di Caio Mario, che del resto pare fosse di famiglia
equestre, gli eserciti furono sempre comandati da membri delle
grandi famiglie romane384.
Inoltre il fatto che molti cittadini abitavano così lontano
da Roma che fra la data della convocazione dei comizi e quella della
loro riunione doveva intercedere un intervallo di diciassette, o,
come altri vogliono, di ventiquattro giorni385, contribuì ad
aumentare le attribuzioni e l'autorità del Senato, che si
poteva radunare assai più rapidamente, e che ebbe
perciò fino alla fine della repubblica la direzione quasi
esclusiva della politica finanziaria e di quella estera.
II. — Nell'ultimo secolo della repubblica, dopo i Gracchi, questa
costituzione aristocratica fu modificata o per dir meglio essa non
potè più regolarmente funzionare. Poichè si
rese manifesta l'impossibilità che uno Stato città
organizzato sul tipo ellenico, per quanto modificato ed allargato,
potesse diventare un corpo politico mondiale. I comizi, che
rappresentavano l'adunanza legale di tutto il popolo sovrano nel
foro di Roma, potevano già sembrare una finzione legale
quando, nell'ottantotto avanti Cristo, la cittadinanza fu estesa a
tutti i popoli italici, ma divennero un'irrisione quando buona
parte, se non la maggioranza dei cittadini, risiedeva fuori
dell'Italia sparsa per tutto il bacino del Mediterraneo386.
Nè l'annuale avvicendamento delle cariche pubbliche fu
più praticabile una volta che i loro titolari, investiti di
potere quasi assoluto, dovevano stare per anni lontani dall'Italia
in Provincie remote e che, per la stessa ragione, gli eserciti
perdettero il carattere di milizie cittadine, reclutate anno per
anno, ed acquistarono gradualmente quello di soldati professionali,
legati più al capitano, che per molti anni consecutivi li
comandava, che alla repubblica. Sicchè era fatale che
l'antica civitas romana si dovesse trasformare in un organismo
politico tenuto insieme e governato mercè una burocrazia
professionale ed un esercito stanziale.
Questa trasformazione ebbe luogo quando, per usare il linguaggio ora
comunemente accettato, alla Repubblica fu sostituito l'impero; si
può disputare, e certo si disputerà ancora, sulle
intenzioni che ebbero Augusto ed i suoi collaboratori quando
inaugurarono il nuovo regime, ed è indiscutibile che essi non
vollero sostituire a quello vecchio nè la monarchia assoluta
nè la monarchia temperata, come oggi l'intendiamo; ma
è pure certo che coi nuovi ordinamenti fu fatto un passo
decisivo verso la trasformazione dell'antico Stato città in
una nuova forma di organizzazione politica, la quale rendeva assai
più agevole di tenere uniti, governare ed assimilare
lentamente i vasti domini che Roma aveva saputo conquistare.
È legge forse costante che, nella trasformazione degli
organismi politici, quelli susseguenti conservino larghe traccie di
quelli immediatamente precedenti, perchè più o meno il
nuovo edificio viene costruito sulle rovine del vecchio ed, almeno
in parte, coi materiali da esso forniti. Questa legge noi la vediamo
chiaramente affermarsi nella riforma augustea, la quale, se non
tolse di un tratto la potestà legislativa ai comizi, tanto
che essi continuarono ad essere qualche volta convocati ed a
funzionare, sia pure in modo intermittente, fino a più di un
secolo dopo la battaglia d'Azio, fece in modo che la facoltà
di legiferare fosse, poco a poco, intieramente usucapita dal Senato
e dal Principe387.
Quanto a ciò che ora corrisponderebbe al potere esecutivo ed
al giudiziario, esso fu diviso quasi intieramente fra il Senato e
l'imperatore. Poichè questi fu considerato come un magistrato
cittadino, che concentrava in sè molti poteri, ma molti altri
ne lasciava al Senato, a Roma, in Italia e nelle provincie
senatorie, ma assunse subito le funzioni di sovrano assoluto nelle
provincie imperiali, considerate soggette ad un'occupazione
militare, e che egli governava a suo talento, per mezzo di una
burocrazia i cui dirigenti erano scelti qualche volta fra i senatori
ma a preferenza fra i semplici cavalieri388.
Naturalmente, come sempre accade nei contatti e nelle competizioni
inevitabili fra gli avanzi di un regime vecchio ed un regime nuovo
più conforme alle necessità dei tempi, i funzionari
scelti dal Senato andarono perdendo sempre più terreno,
finchè finirono col lasciare poche traccie di sè.
Difatti, fin dai primi imperatori della casa Giulia, nella stessa
Roma, alla competenza di molti degli antichi magistrati onorari si
sostituì quella di nuovi funzionari scelti dall'imperatore, e
gradatamente la burocrazia regolare, composta di cavalieri ed anche
di liberti del principe, fece sentire sempre più la sua
azione in tutto l'impero. Praticamente, dopo i primi imperatori, la
competenza del Senato, reclutato sempre fra l'alta burocrazia e fra
le grandi famiglie d'Italia e poi del mondo intero, fu ristretta nei
limiti che agli imperatori ed ai suoi strumenti piaceva di
tracciare389. Sicchè, dopo la grave crisi che l'impero ebbe a
subire e che potè superare nella seconda metà del
terzo secolo, non fu difficile a Diocleziano ed a Costantino di
sopprimere quasi tutti i ricordi e le sopravvivenze dell'antica
costituzione cittadina, od a ridurle a nomi vani, senza alcun
contenuto positivo. I soli concetti provenienti dall'antica
costituzione che si salvarono dal naufragio furono quello che
l'imperatore riceveva la sua autorità dal popolo, concetto
che, in grazia ai giureconsulti, sopravvisse fino a Giustiniano390,
e l'altro che ogni magistrato aveva una sfera di competenza
nettamente delimitata e doveva, almeno teoricamente, esercitare la
sua autorità conformemente alla legge. Forse a ciò in
parte si deve il fatto che l'azione della burocrazia romana fu certo
più regolare, e quindi più efficace, di quella degli
antichi imperi orientali, e basterebbe a provarlo il modo
maraviglioso con il quale riuscì a diffondere la lingua, le
leggi ed i costumi di Roma e ad unificare moralmente quasi tutto il
mondo civile di allora.
III. — Le cause prime della decadenza della civiltà antica e
del disgregamento dell'impero romano d'occidente costituiscono forse
il problema più intricato ed oscuro della storia; e,
benchè molta luce sopra di esse abbiano apportato gli studi
dell'ultimo mezzo secolo, non tutte le tenebre sono ancora
scomparse391. Ed il punto più oscuro del grande fenomeno
storico resta sempre l'inizio di esso: cioè quella
povertà di uomini superiori, quella decadenza artistica e
letteraria, che già sono manifeste nel terzo secolo
dell'êra volgare, quando gli antichi ideali pagani erano
già esauriti ed il nuovo ideale cristiano non era ancora,
nelle classi còlte, diffuso.
Certo che, nella società romana del basso impero, vi erano
molte gravi piaghe: il sistema delle imposte era pesante ed assurdo,
esauriva le fonti della ricchezza e colpiva sopratutto le classi
medie, ossia la borghesia provinciale che formava il decurionato
delle città392, e la decadenza delle classi medie lasciava di
fronte un'aristocrazia di grandi proprietari, fra i quali a
preferenza si reclutava l'alta burocrazia, ed una numerosa
poveraglia, che tumultuava e viveva in parte a spese dello Stato, e
poi della Chiesa, nella capitale e nelle grandi città, o che
era ridotta nella semiservitù del colonato nelle campagne. La
sicurezza pubblica era molto relativa, il brigantaggio fioriva, i
ricchi si difendevano tenendo ai loro servizi delle guardie private,
specie di bravi che si chiamavano buccellari, le medie e piccole
fortune non avevano modo di difendersi e soccombevano393. L'igiene
pubblica non era così perfezionata che l'incremento ordinario
della popolazione potesse facilmente colmare i vuoti lasciati dalle
carestie, dalle pestilenze, dalle incursioni dei barbari o da
qualsiasi mortalità straordinaria, e del resto, come accade
in tutte le civiltà molto stagionate e non rattenute da freni
religiosi, pare che la natalità fosse scarsa394.
Dopo Diocleziano lo Stato, per porre riparo alla grave crisi, che
alla metà circa del terzo secolo aveva colpito l'impero,
assunse poteri ed esercitò ingerenze straordinarie ed ebbe la
pretesa di disciplinare tutta la vita economica, fissando i salari
ed i prezzi delle derrate e, per assicurare la continuità di
ciò che ora sarebbero i servizi pubblici, ne proibì
l'abbandono a coloro che vi erano addetti e costrinse i loro figli a
seguire il mestiere del padre. Infine l'amministrazione era
fortemente inquinata dal vizio, che è la maledizione e la
fonte di ogni debolezza dei regimi burocratici, cioè dalla
venalità. Il funzionario romano del basso impero generalmente
badava più al suo interesse privato che all'interesse
pubblico che era incaricato di tutelare, e per molte notizie
è noto che talora, anche nei gradini più elevati della
scala burocratica, nulla era possibile di ottenere senza ricchi
presenti395.
Ma d'altra parte non bisogna dimenticare che non vi è
società umana che non abbia le sue piaghe e che, accanto ad
esse, vi è quasi sempre una forza naturale riparatrice, la
quale tende ad attenuarne gli effetti. L'impero romano d'oriente,
che soffriva delle stesse piaghe di quello d'occidente, non solo
potè sopravvivere, ma, nel sesto secolo, sotto Giustiniano, e
poi nell'ottavo e nono secolo, sotto gli imperatori iconoclasti e la
dinastia macedone, ebbe notevoli risvegli di energia e potè
allora in gran parte salvare il suo territorio e la sua
civiltà assalita dai barbari del settentrione e poi anche
dagli Arabi.
Un individuo muore quando, essendo logorati i suoi organi per la
vecchiaia, essi non possono più normalmente funzionare,
ovvero quando, indebolito per questa o per altre cause, non
può resistere ad una infezione che lo assale. A prima vista
parrebbe che la vecchiaia non dovesse mai manifestarsi in un popolo,
in una civiltà, perchè in essi le generazioni umane
sempre si rinnovano ed ogni generazione nuova ha tutto il vigore
della giovinezza. Invece ciò che può equivalere alla
vecchiaia o alla debolezza organica, si manifesta in un popolo
quando vengono meno i legami morali, come sarebbero la religione ed
il patriottismo, che formavano la base della sua coesione sociale, e
non agisce più quella forza naturale riparatrice, alla quale
testè accennavamo, perchè i migliori elementi
rimangono paralizzati, avendo rivolta la loro attività ed
energia verso fini diversi da quelli che sarebbero necessari per la
salvezza dello Stato. E la debolezza interna deve essere tanto
maggiore quanto minore è la forza dell'urto esterno che
produce la catastrofe, ciò che avviene quando essa ha luogo
per l'assalto di popoli inferiori per mezzi offensivi, sapere e
disciplina.
Or, come abbiamo già accennato in un precedente lavoro,
l'impero romano d'occidente subì la grande irruzione dei
popoli germanici, determinata alla fine del quarto secolo dall'urto
degli Unni, in un momento critico, quando erano venute meno le
concezioni ed i sentimenti, che formavano la base morale della
vecchia civiltà classica ed una ondata di misticismo toglieva
allo Stato tutti gli elementi migliori, quasi tutti gli individui
che si distinguevano per altezza di carattere e d'ingegno, per darli
alla Chiesa396. Sopravvisse la parte orientale del mondo romano
perchè, forse in grazia della sua posizione geografica, ebbe
il tempo di superare il momento critico e di restaurare le sue
forze, mentre questo tempo mancò alla parte occidentale,
già quasi tutta in potere dei barbari alla metà del
quinto secolo.
IV. — Dopo che i barbari si furono insediati in tutte le antiche
provincie dell'impero d'Occidente, il processo di disgregazione
politica e civile, già iniziato nel terzo secolo
dell'êra volgare, procedette rapidamente. In principio
parecchi dei primi governanti barbari, e segnatamente l'ostrogoto
Teodorico, pare che si siano sforzati di conservare per quanto era
possibile i quadri dell'antica amministrazione civile romana,
riservando agli invasori la difesa militare del paese, ma i nuovi
regimi difficilmente potevano adattarsi alla complicata macchina
burocratica romana, che presupponeva una esperienza amministrativa
ed una cultura giuridica che mancavano ai conquistatori. Inoltre la
necessità in cui si trovarono i re barbari, di compensare i
loro seguaci colla concessione di buona parte delle terre dei vinti,
dovette necessariamente sconvolgere la società d'allora,
nella quale le classi alte di origine romana o si adattarono alla
vita ed ai costumi dei barbari o scomparvero confondendosi nella
plebe, e dovette preparare la trasformazione del grande proprietario
terriero in sovrano ereditario locale. Se a ciò si aggiunge
che ai primi invasori, già un poco assuefatti alla
civiltà ed alle istituzioni romane, spesso si sostituirono,
come fu il caso dei Longobardi, altri completamente ignari, si
comprende agevolmente come, dopo qualche secolo, quasi nulla dovesse
sopravvivere dell'antica macchina statale romana, e come la nuova,
modellata sulle istituzioni ed i sentimenti con i quali si soleano
reggere le tribù germaniche nella loro patria d'origine,
cioè sull'obbligo personale di reciproca fedeltà, che
legava il capo supremo della banda guerriera ai suoi sottocapi,
siasi alla lunga dimostrata assolutamente insufficiente a mantenere
salda sotto unica direzione la compagine di un grande Stato.
Perciò lo sfacelo della grande monarchia barbarica, arrestato
durante due o tre generazioni per opera della energica dinastia
franca degli Heristal, e sopratutto di Carlo Magno, dopo la morte di
questo geniale sovrano, che tentò di far rivivere le
tradizioni unitarie ed accentratrici di Roma, si accentuò
sempre più, aiutato dalle nuove scorrerie degli Ungheri, dei
Normanni e dei Saraceni, tanto che al decimo secolo la indipendenza
dei capi locali di fronte al potere centrale era già quasi
completa e di fatto era già istituito quel regime che poi si
disse feudale.
Il feudalesimo non fu, nè potea essere, un ritorno puro e
semplice alle condizioni di tribù o piccole popolazioni
nemiche l'una dell'altra, che Roma avea trovato nel mondo
occidentale prima che l'avesse conquistato. Poichè certi
progressi intellettuali, come l'adozione di un linguaggio comune, e
sopratutto quelli materiali, una volta acquisiti, non si perdono
più intieramente, anche quando l'organizzazione politica che
li ha reso possibili intieramente si dissolve.
Difatti un popolo abituato alla stabilità delle sedi, ad una
agricoltura basata sulla proprietà privata, ad una certa
differenziazione fra le classi sociali, non perde intieramente
queste abitudini caratteristiche anche dopo un lungo periodo di
anarchia. Si potrebbe anche aggiungere che alcuni dei materiali con
i quali si costruì l'edificio feudale non furono che lo
sviluppo e la continuazione di istituti del basso impero.
Così ad esempio la servitù della gleba, ossia il
vincolo che legava alla terra la numerosa classe addetta al lavoro
agricolo, è noto che rimonta già al basso impero,
sicchè nelle campagne il nuovo regime non fece che
trasformare nel castello fortificato del barone la villa dell'antico
grande proprietario romano.
Invece come novità introdotta dal feudalesimo si può
riguardare la supremazia politica di una classe esclusivamente
guerriera, che abbandonò al clero la cura di mantenere vivi
quei bricioli di cultura, che sopravvissero alla catastrofe del
mondo antico. Un'altra caratteristica del sistema feudale
consistette nell'accentramento di tutte le funzioni direttive e di
tutta l'influenza sociale nei capi militari locali, che nello stesso
tempo furono i padroni della terra, ossia del quasi unico strumento
di produzione che allora vi fosse. E finalmente non bisogna
dimenticare che il feudalesimo instituì una sovranità
intermedia fra l'organo centrale e coordinatore dello Stato e
l'individuo.
Difatti i capi locali più importanti, diventati ereditari,
legarono a sè con subconcessioni di terre i capi minori, i
quali, stretti dall'omaggio feudale e dall'obbligo di fedeltà
verso il concedente, non avevano alcun rapporto diretto col capo di
tutta la confederazione feudale, cioè col Re, e si credevano
obbligati a combatterlo se il capo al quale erano direttamente
legati lo combatteva. E certamente fu questa la causa principale
della lunghissima resistenza opposta dal regime feudale all'azione
diuturna del potere centrale che mirava a distruggerlo.
V. — Scrisse il Bryce che le due grandi idee che l'antichità
morente trasmise all'età che la seguì furono quelle di
una monarchia universale e di una religione universale397. Difatti
fino al secolo decimoquarto si mantenne nelle classi intellettuali,
rappresentate dal clero e dai giuristi, vivace il ricordo
dell'antica unità di tutte le genti civili e cristiane
guidate nelle cose religiose dal pontefice romano, che a poco a poco
fu riconosciuto come supremo gerarca della Chiesa cattolica, ed in
quelle temporali dal successore dell'antico imperatore romano. Senza
la vivacità di queste reminiscenze non si spiegherebbe il
tentativo di restaurazione dell'impero, che ebbe luogo per opera di
Carlo Magno e di Papa Leone III nell'anno ottocento, nè
quello, alquanto più duraturo, di Ottone I di Sassonia nel
962.
Ma un nome ed un'idea, per quanto possano esercitare una grande
influenza morale, non bastano alla restaurazione di un sistema
politico accentrato e coordinato, quando esso è già
disfatto, senza il sussidio di un'organizzazione materiale che si
metta al loro servizio, e, per avere questa, occorrono i mezzi
necessari a costituirla. E di questi appunto difettavano i
successori di Carlo Magno e gli imperatori germanici, che non
disponevano nè di una finanza solida, nè di una
burocrazia regolare, nè infine di un esercito stanziale
adatti a fare rispettare le loro pretese.
Sotto Carlo Magno l'antico bando germanico forniva ancora agli
eserciti franchi milizie abbastanza disciplinate ed i signori locali
non erano ancora onnipotenti; per la stessa ragione gli imperatori
della casa di Sassonia ed i primi due della casa di Franconia
poterono contare sulla cooperazione della classe militare tedesca,
non ancora saldamente raggruppata attorno a pochi capi398; ma,
appena il sistema feudale ebbe poste salde radici anche in Germania,
questa base divenne pure tentennante. Se poi si tiene conto che la
lotta sopravvenuta fra l'Impero e la Chiesa fornì alle
sovranità locali, in urto con l'autorità imperiale, il
sussidio di una grande forza morale, non desterà maraviglia
che il tentativo di ristabilire l'unità politica universale
dei popoli cristiani, iniziato da Carlo Magno e ripreso da Ottone I
di Sassonia, si possa considerare, dopo la morte di Federico II di
Hohenstauffen, come completamente e definitivamente fallito.
Ma, siccome nell'Europa centrale ed occidentale non dovea eternarsi
quello stato di semibarbarie che fu la caratteristica dell'epoca
più oscura del Medio Evo, siccome in essa la civiltà
dovea risorgere, era fatale che il lavorìo di riassorbimento
dei poteri locali nell'organo centrale dello Stato dovesse essere
ripreso sotto altra forma, e che ciò che era riuscito
impossibile al rappresentante dell'antico impero romano dovesse
diventare il compito delle diverse monarchie nazionali.
Intanto dopo il mille avea cominciato a sorgere accanto al feudo
un'altra forma di sovranità locale, ossia il Comune,
costituito dalla confederazione delle ghilde, delle fratellanze
vicinali, delle corporazioni di mestiere, di tutte quelle leghe di
uomini non nobili e non soggetti a vassallaggio, che, nei periodi
più brutti dell'anarchia feudale, si erano formate,
affinchè gli individui ad esse appartenenti godessero,
mercè la mutua difesa, di una certa sicurezza personale. Ora
i Comuni, i quali diventati potentissimi prima nell'Italia
settentrionale e poi in Germania ed in Fiandra, furono colà
uno degli ostacoli maggiori all'affermarsi del potere del sacro
imperatore romano, viceversa, avendo forze più modeste in
Francia, in Inghilterra, nei regni iberici e nell'Italia
meridionale, appoggiarono in questi paesi il Re contro la
feudalità.
In generale le monarchie nazionali si riattaccavano storicamente
alle antiche monarchie barbariche, che i Germani invasori aveano
formato sulle rovine dell'antico impero romano. Senonchè
esse, dopo il periodo di dissoluzione politica che ebbe luogo sotto
i primi successori di Carlo Magno, si andarono ricostituendo
adattandosi più ai criteri geografici e linguistici
anzichè a quelli puramente storici. Sicchè ad esempio
la Francia di San Luigi non corrispondeva all'antico paese dei
Franchi, ma da una parte abbracciava l'antica Settimania, già
dominata dai Visigoti, e dall'altra avea dovuto rinunziare alle
Fiandre, alla Franconia, ed alle rive del Reno, paesi germanici e
perciò attratti nell'orbita del sacro romano impero.
Certamente poi, per quanto il suo titolo derivasse ufficialmente da
quello di cui si erano fregiati gli antichi re barbarici, il re
nazionale non fu in origine che il capo, qualche volta nominale, di
una confederazione di grandi baroni, primo fra essi, ma primo fra i
pari. Come tali furono considerati in Francia Ugo Capeto e Filippo
Augusto, come tale appare Giovanni senza terra nel testo della Magna
Charta, e tali appaiono i re d'Aragona nella formola del giuramento
che essi dovevano prestare davanti le Cortes399.
Ci vollero più di sei secoli di lotte e di lavorìo,
lento ma costante, perchè il Re feudale si trasformasse in Re
assoluto, la gerarchia feudale in burocrazia regolare e l'esercito,
formato dalla nobiltà in armi e dai suoi vassalli, diventasse
un esercito regolare e stanziale; sei secoli durante i quali vi
furono anche dei periodi in cui la feudalità, giovandosi dei
momenti critici che il paese e la Corona traversavano, potè
alle volte riguadagnare qualche parte del terreno perduto. Ma alla
fine la vittoria rimase alla monarchia accentratrice, che seppe a
poco a poco riunire nelle sue mani una quantità di forze
materiali, maggiore di quelle che la nobiltà feudale potea
contrapporle, e che contro di essa abilmente si giovò
dell'appoggio dei Comuni e di potenti e costanti forze morali, quali
furono l'opinione diffusa della missione divina delle dinastie
regnanti e la dottrina dei giureconsulti, i quali nei Re ravvisavano
il potere sovrano che, a somiglianza dell'antico imperatore romano,
creava colla sua volontà la legge e la facea osservare400.
È importante di rilevare come le cause economiche abbiano
esercitato un'azione poco sensibile nella trasformazione dello stato
feudale in quello burocratico, trasformazione che è certo uno
degli avvenimenti che maggiormente modificarono la storia del mondo;
perchè dal secolo decimoquarto al decimosettimo i sistemi di
produzione economica non subirono cambiamenti radicali, sopratutto
se li paragoniamo a quelli che ebbero luogo dopo che fu costituito
lo Stato burocratico assoluto. Viceversa dalla fine del quattrocento
alla seconda metà del seicento, nell'epoca cioè in cui
il sistema feudale perdeva ogni giorno terreno ed era
definitivamente domato, ebbe luogo un gravissimo rivolgimento
nell'arte e nell'organizzazione militare, prodotta dal
perfezionamento e dal generalizzarsi delle armi da fuoco. Difatti il
castello baronale potè essere facilmente e rapidamente
espugnato appena si rese comune l'uso del cannone e la cavalleria
pesante formata dalla nobiltà, che sola poteva sottoporsi
alla lunga esercitazione ed all'ingente spesa che richiedevano
l'armamento equestre, non fu più l'arma che decise dell'esito
delle battaglie, dopo che l'archibuso fu perfezionato e le fanterie
lo ebbero generalmente adottato401.
VI. — Lo Stato assoluto burocratico si può considerare come
definitivamente stabilito e sviluppato in Francia all'inizio del
Regno di Luigi XIV, cioè nel 1660; contemporaneamente, o poco
dopo, il rafforzamento dell'autorità centrale e
l'assorbimento delle sovranità locali si generalizzò,
più o meno completamente, in quasi tutta l'Europa; i pochi
Stati che, come la Polonia e Venezia, non seppero o non poterono
marciare con i tempi e trasformare il loro organismo, perdettero
ogni forza ed ogni coesione e scomparvero prima che terminasse il
secolo decimottavo.
Ora, data l'origine relativamente recente di quella forma di regime
politico che appellavasi ed appellasi monarchia assoluta, uno dei
fenomeni storici più interessanti è senza dubbio la
rapidità con la quale, nel suo seno ed alla sua ombra, si
formarono quelle nuove forze dirigenti e quelle nuove condizioni
intellettuali, morali ed economiche, le quali, in un periodo che non
è più lungo di circa un secolo e mezzo, resero
inevitabile la sua trasformazione nello stato rappresentativo
moderno.
Il più importante coefficiente di questa trasformazione fu la
rapida creazione di una classe sociale nuova, la quale sorse e si
affermò fra il popolo minuto ed i discendenti dell'antica
aristocrazia feudale. Fu infatti durante il secolo decimottavo che
nacque la borghesia nel senso lato della parola, cioè quella
classe numerosa addetta alle professioni liberali, ai commerci, alle
industrie, che ad una discreta agiatezza accoppia una cultura
tecnica e spesso scientifica assai superiore a quella delle altre
classi sociali. Certo che, anche prima di allora, le file della
nobiltà non erano impenetrabili; anzi qualche grande
giureconsulto aveva potuto esservi ammesso, ed, in alcune grandi
città commerciali, alcune grandi famiglie di industriali e di
banchieri avevano finito col confondersi con l'antica nobiltà
feudale o col sostituirla addirittura. Ma, fino agli inizi del
secolo decimottavo, una vera classe media non esisteva,
perchè come tale non poteva riguardarsi il modesto
artigianato, le cui condizioni economiche ed intellettuali assai
poco differivano da quelle del popolo minuto.
Fu il regime assoluto che, assicurando l'ordine ed una pace
relativa, ed allontanando la nobiltà dalle sue
proprietà terriere402, rese possibile che dalle classi
inferiori della popolazione si staccassero gli elementi più
adatti a formare un nuovo strato sociale, quello strato, che,
assorbendo anche gli elementi meno doviziosi e più attivi
dell'antica nobiltà, formò quella classe, la quale,
con vocabolo molto espressivo, in Russia ed in Germania appellasi
l'intelligenza. Classe che da un lato, per la sua educazione
scientifica e letteraria, per le sue maniere e per le sue abitudini,
distinguesi nettamente dai lavoratori manuali, mentre dall'altro,
per le sue condizioni economiche, alle volte si confonde con i ceti
più agiati, alle volte molto se ne distacca. Come si è
già accennato, essa in qualche paese cominciò a
formarsi negli ultimi decenni del secolo decimosettimo, ma si
sviluppò ed affermò in tutta l'Europa centrale ed
occidentale durante il secolo decimottavo ed anche nella prima
metà del decimonono. Il suo sviluppo è in certo modo
parallelo al diffondersi dell'istruzione secondaria classica e
tecnica e dell'insegnamento universitario.
Questa classe, appena ebbe acquistato le sue qualità
caratteristiche e la coscienza della propria forza ed importanza,
dovette accorgersi che essa era vittima di una grande ingiustizia;
la quale consisteva nei privilegi che la nobiltà aveva,
più o meno in tutti gli Stati assoluti, ma sopratutto in
Francia, conservato. Abbiamo già accennato ad una legge quasi
costante della storia, per la quale ogni nuovo edificio politico
deve più o meno utilizzare i ruderi di quello che l'ha
preceduto. Obbedendo per necessità a questa legge, il regime
assoluto, quando si era costituito, aveva tratto quasi tutti gli
elementi della nuova burocrazia civile e militare, che reggeva lo
Stato, dalla nobiltà e dal clero, ai quali aveva tolto le
antiche sovranità territoriali, e sovratutto ai membri della
nobiltà aveva riservato tutte le posizioni più elevate
e le cariche più lucrose. Tutto ciò parve una cosa
naturale finchè al di sotto della nobiltà non vi era
che plebe e l'abitudine tradizionale al comando costituiva il
migliore e quasi unico requisito per comandare, ma degenerò
in parassitismo odioso e dannoso alla società quando la
cultura e la preparazione tecnica, nelle quali i ceti privilegiati
si lasciarono generalmente sopravvanzare dalla nuova classe media,
divennero i requisiti più richiesti per l'esercizio degli
uffici pubblici elevati.
Ma la borghesia avrebbe potuto forse prima intaccare e poi
distruggere, o ridurre a vana parvenza, i privilegi nobiliari, senza
che fosse necessario un cambiamento radicale dell'organizzazione
dello Stato, se, nel secolo decimottavo, non si fosse pure formata
una mentalità politica profondamente diversa da quella
precedente; e se, in un paese europeo nel quale per la sua posizione
insulare l'organizzazione politica aveva avuto uno svolgimento assai
diverso di quello del continente, non si fosse nel secolo
decimottavo stabilita una forma di governo che offriva, almeno
apparentemente, un modello pratico adatto all'attuazione di quelle
aspirazioni che erano il frutto della nuova mentalità alla
quale abbiamo accennato.
Indebolito fortemente il sentimento religioso, che solo poteva
fornire una base morale al così detto diritto divino dei
principi403, cadute in completo discredito, come reliquie di
un'epoca barbara, tutte le reminiscenze e le sopravvivenze
dell'antico regime feudale, distrutta ogni sovranità
intermedia fra lo Stato e l'individuo, nel secolo decimottavo gli
intelletti si nutrirono più che mai delle classiche dottrine
politiche della Grecia e di Roma, e più che mai tornarono in
onore gli antichi concetti di libertà, di uguaglianza, di
sovranità popolare, che gli scrittori classici, avendo sotto
gli occhi il modello dell'antica città greca e romana,
avevano formulato. Quel rinnovamento della forma mentale, che era
avvenuto durante il Rinascimento nel campo letterario ed artistico
mercè lo studio dei modelli classici, avvenne sugli stessi
modelli, quasi tre secoli dopo, in quello politico; prima che lo
sviluppo del senso storico permettesse di scorgere chiaramente
quanto fosse diversa l'organizzazione di quegli Stati sui quali le
concezioni politiche dell'antichità greca e romana si erano
formate.
Senza questa nuova mentalità, senza questa nuova visione
della vita politica, così profondamente penetrata nella
coscienza delle classi intellettuali di allora, non si spiegherebbe
il rapido successo del Contratto sociale di Gian Giacomo Rousseau.
In quest'opera infatti lo scrittore ginevrino, partendo dall'ipotesi
di uno stato di natura, che gli uomini avrebbero abbandonato in
sèguito ad un patto nel quale erano fissate le basi morali e
giuridiche del consorzio politico, ipotesi entrata anche essa nel
bagaglio intellettuale del secolo decimottavo, arrivava alla
conchiusione che solo patto o contratto legittimo fosse quello che
faceva sì che la legge fosse l'espressione della
volontà della maggioranza numerica dei consociati e che
affidava l'esecuzione della legge a coloro che dalla stessa
maggioranza, per un tempo determinato, ne avevano ricevuto il
mandato. Concetto, come si vede, perfettamente corrispondente a
quello della democrazia classica, colla semplice differenza che gli
antichi non ammisero mai nello Stato la massima parte dei lavoratori
manuali, cioè gli schiavi, i quali furono sempre esclusi dal
voto e dalle cariche pubbliche e tenuti lontani dalle armi.
Senonchè l'assolutismo burocratico del secolo decimottavo
aveva in un punto solo preparato il terreno all'applicazione delle
nuove teorie democratiche; distruggendo cioè, o riducendo a
vana parvenza, ogni sovranità intermedia fra il potere
supremo ed i singoli cittadini, facendo sì che fosse
possibile concepire la sovranità popolare, come la
sovranità della pura e semplice maggioranza numerica di
coloro che facevano parte di uno Stato, e non già alla
maniera medioevale, che si prolungò del resto fino a tutto il
secolo decimosesto ed ai primi decenni del decimosettimo, come
l'espressione della volontà dei capi ereditari e naturali del
popolo, ossia dei baroni, e dei rappresentanti dei Comuni e delle
corporazioni404. Ma in tutto il resto il Governo assoluto con la sua
complessa ed accentrata organizzazione burocratica, col suo esercito
stanziale, con le sue abitudini autoritarie, mal si adattava a
trasformarsi in modo da rendere possibile la pratica applicazione di
quei principi, che erano stati escogitati avendo avanti il modello
della città stato greca e latina. E si può dubitare se
l'adattamento sarebbe stato possibile, e se la storia politica
dell'Europa continentale non sarebbe stata, nei secoli decimottavo e
decimonono, diversa di quella alla quale le generazioni precedenti
alla nostra hanno assistito, se l'Inghilterra nel secolo decimottavo
non avesse già adottato un regime politico il quale offriva
un modello pratico, che rendeva possibile la trasformazione dello
Stato assoluto in un altro tipo di organizzazione politica
abbastanza conciliabile colle idee ereditate dalla classica
antichità e sopratutto, ed era ciò che più
importava, col bisogno che aveva la borghesia di partecipare
largamente ai poteri sovrani.
VII. — In Inghilterra infatti, a cominciare sopratutto dagli inizi
del secolo decimosettimo, le istituzioni politiche avevano avuto uno
svolgimento originale e sostanzialmente diverso da quello del vicino
continente. Il regime feudale era stato colà trapiantato
dalla conquista normanna, ma esso fin dal principio ebbe al di
là della Manica alcune caratteristiche speciali, per il fatto
che la razza conquistatrice, stando nei primi tempi come accampata
in paese nemico, aveva dovuto mantenersi più unita e
più disciplinata attorno al Re di quello che fosse la classe
dominatrice nel continente. Avvenuta poi, dopo circa un secolo e
mezzo, la fusione fra vinti e vincitori, la grande nobiltà
aveva strappato colla forza al Re la Magna Charta, vero patto
bilaterale fra il Re ed i baroni, nel quale si stabilivano i diritti
ed i doveri reciproci dell'uno e degli altri405. Si ebbe
perciò una delle solite costituzioni feudali che, mano mano
sviluppandosi, restrinse sempre più i poteri della Corona di
fronte a quelli del Parlamento, dove, accanto alla Camera alta,
ossia dei Pari e quasi un'appendice di questa, presto sorse la
Camera bassa, dove sedettero i rappresentanti dei piccoli nobili
delle Contee e quelli dei Comuni, che colà furono piuttosto
gli alleati e gli strumenti dei Pari e dell'alta nobiltà
anzichè dei Re.
Mentre nella seconda metà del secolo decimoquinto i monarchi
del continente dovevano ancora lottare strenuamente contro i grandi
feudatari, in Inghilterra la lunga guerra civile detta delle due
rose faceva sì che essi si dividessero in due parti
acerbamente nemiche l'una dell'altra, che si sterminarono a vicenda.
Sicchè, quando nel 1485, con l'avvento della dinastia dei
Tudor, si riebbe la pace interna, la Corona si trovò davanti
una Camera alta composta quasi esclusivamente di uomini nuovi, da
essa stessa di recente innalzati alla dignità di Pari, che
non avevano nè le forze materiali, nè il prestigio e
l'autorità degli antichi baroni; mentre nello stesso tempo,
non essendo sorta ancora in Inghilterra una borghesia campagnuola e
cittadina, docile e poco autorevole rimaneva la Camera dei Comuni.
Fu per queste ragioni che il secolo decimosesto può
riguardarsi come quello nel quale massima fu la potenza della Corona
inglese. Tanto che un autorevolissimo ed acuto testimonio
contemporaneo, ossia Giovanni Botero, nelle sue Relazioni
universali, pubblicate verso la fine del cinquecento, a ragione
poteva osservare che, sebbene i Re d'Inghilterra continuassero a
convocare regolarmente il Parlamento, pure di fatto non avevano
poteri meno estesi di quelli dei Re di Francia, dove le convocazioni
degli Stati generali si facevano sempre più rare ed andavano
in disuso406.
Ma forse fu appunto questa facilità che ebbero i Tudor, ed i
loro cortigiani e funzionari, di dirigere quasi senza opposizione la
vita politica del loro paese la causa principale per la quale la
Corona inglese trascurò allora la creazione dei due strumenti
più sicuri dell'assolutismo monarchico: cioè
dell'esercito stanziale e della burocrazia stabile e regolare.
Infatti, un po' per economia, un po' perchè la posizione
insulare dell'Inghilterra l'assicurava contro le invasioni
straniere, come forza armata i Re di quella dinastia stimarono
sufficiente una milizia reclutata in ogni Contea fra i nativi del
luogo e che era composta d'individui i quali, dopo alcuni giorni di
esercitazioni periodiche, ritornavano alle loro ordinarie
occupazioni, ed anche probabilmente per economia prevalse pure l'uso
di affidare nelle provincie le cariche civili di lord luogotenente,
di scerifo, di coroner, ecc., ai notabili del luogo; i quali
volentieri servivano senza stipendio, perchè la carica dava
lustro alla famiglia ed autorità alla persona che ne era
investita, ma la cui fedeltà poteva diventare dubbia o
condizionata una volta che l'opinione pubblica si fosse fortemente
dichiarata contro il Re e la Corte407.
Sicchè, quando all'inizio del secolo decimosettimo, la
dinastia degli Stuard volle stabilire il regime assoluto, di fronte
al ridestarsi dell'opposizione della Camera dei Comuni, dove era
rappresentata la borghesia rurale e cittadina, che, per le peculiari
condizioni del paese, non depauperato da guerre esterne e civili e
meno gravato d'imposte, aveva potuto di là della Manica
formarsi qualche generazione prima che nel continente, e che in
parte anche per ragioni religiose era avversa all'autorità
della Corona, i sovrani inglesi si trovarono privi di quei mezzi
materiali che nel continente avevano dato la vittoria alla
regalità contro la feudalità408. E, dopo più di
mezzo secolo di lotte, e dopo che un Re ebbe lasciata la testa sul
patibolo, l'influenza delle forze politiche rappresentate nel
Parlamento soverchiò definitivamente quella dei sostenitori
della regalità.
La consacrazione legale di questa vittoria si ebbe con una serie di
atti del Parlamento, debitamente sanzionati dalla Corona, i quali, o
miravano come l'Habeas corpus ad assicurare le libertà
individuali di tutti gli Inglesi, impedendo efficacemente l'arbitrio
dei regi funzionari, oppure, come il secondo atto dei diritti del
1688 e l'atto di stabilimento del 1700, accoppiavano a disposizioni
di questo genere altre, in forza delle quali la Corona era
indirettamente costretta a governare secondo le leggi approvate dal
Parlamento. E valga per tutte ricordare quella appunto compresa nel
secondo degli atti citati, per la quale ogni atto di governo aveva
valore solo se controfirmato da un membro del Consiglio privato, che
era così personalmente responsabile della sua
legalità409. Coll'avvento poi della dinastia di Hannover,
cioè dal 1715 in poi, si accentuò vieppiù la
preponderanza politica della Camera elettiva, perchè la
Corona prese l'abitudine di scegliere i membri del Gabinetto, ossia
del ristretto Consiglio al quale affidava l'esercizio del potere
esecutivo, fra le personalità più spiccate della
maggioranza della Camera bassa.
In questo modo, se si tiene anche conto della indipendenza della
magistratura assicurata dalla sua inamovibilità, delle
guarentigie concesse ad ogni inglese contro gli arresti e le
condanne arbitrarie e del fatto che la libertà di stampa
cominciò in Inghilterra ad affermarsi fin dal secolo
decimottavo, si può dire che si ebbe allora colà un
regime che, nelle sue linee principali e nei suoi caratteri
più appariscenti, rassomigliava ai regimi rappresentativi
moderni410. E si può anzi osservare che la grande
originalità della storia politica inglese consistette nella
trasformazione lenta e graduale del regime feudale sancito dalla
Magna Charta in un regime rappresentativo moderno, trasformazione
che fu poi compiuta nel secolo decimonono, senza che quel paese
abbia attraversato quel periodo di assolutismo burocratico e
militare, che, più o meno, si ebbe in tutti gli Stati
dell'Europa continentale.
Ma non sarà inutile ricordare che la rassomiglianza fra la
costituzione inglese, quale era nel secolo XVIII, e le moderne
costituzioni rappresentative a base democratica si può
constatare più nelle forme che nella sostanza; poichè
questa rassomiglianza era grande se guardiamo il funzionamento degli
organi principali dello Stato, ma era ben piccola, per non dire
inesistente, se teniamo conto della maniera come i detti organi
venivano formati, ossia delle forze politiche che essi
rappresentavano. Difatti la Camera elettiva inglese era già
fin d'allora il potere preponderante dello Stato, ma il diritto
elettorale era concesso solo ad una piccola minoranza di cittadini,
i quali ne godevano o perchè erano proprietari di immobili
rurali nelle Contee, o in virtù di diritti e consuetudini,
che spesso rimontavano al Medio Evo, nei borghi, tra i quali erano
comprese anche cospicue città. E tutto ciò faceva si
che l'elezione di buona parte dei deputati dipendesse da qualche
centinaio di grandi proprietari, che spessissimo sedevano inoltre
per diritto ereditario nella Camera dei Pari.
Poco più di venti anni prima che Rousseau nel suo Contratto
sociale avesse dimostrato, con apparente rigore logico e quasi
matematico, che la sola autorità legittima era quella che si
basava sul consenso della maggioranza numerica dei consociati,
Montesquieu nello Spirito delle leggi, scrutando e direi quasi
anatomizzando la Costituzione inglese di allora, era arrivato alla
conclusione che la sua superiorità consistesse nella
divisione e nella reciproca indipendenza dei tre poteri fondamentali
dello Stato; che, secondo lui erano il legislativo, l'esecutivo ed
il giudiziario. Un esame sommario dei regimi rappresentativi del
secolo decimonono basta a convincerci che essi sono il risultato
della fusione dei concetti del filosofo ginevrino, che erano poi
molto analoghi a quelli che la classica antichità aveva
elaborato, con le idee dell'acuto magistrato francese. E' bastato
infatti fare della Camera elettiva l'organo delle forze politiche
preponderanti, e farla eleggere mercè un suffragio largo od
anche universale, perchè si potesse credere di avere
trasformato l'antico stato burocratico ed assoluto in un regime che
aveva per base la sovranità popolare, come l'intendevano gli
antichi, o, meglio ancora, come l'intendevano Rousseau ed i suoi
seguaci. Si ebbero quindi, ci sia lecito il paragone, dei regimi
politici paragonabili ad abiti tagliati sul modello della
Costituzione inglese dell'epoca degli Hannover, ma confezionati con
stoffe che potevano anche essere intessute coi principi della
più pura democrazia.
VIII. — Le generazioni, che vissero durante il secolo decimonono,
hanno potuto considerare come il massimo dei cataclismi sociali
quello che, alla fine del secolo decimottavo, diede un fortissimo
crollo all'antico regime assoluto e che, dopo la parentesi
napoleonica, inaugurò gradatamente il regime rappresentativo,
prima in Francia e poi negli altri paesi del centro e dell'occidente
d'Europa. Questa maniera di vedere presenta molta analogia col
solito errore di ottica, per il quale gli oggetti vicini ci sembrano
più grandi di quelli lontani; ma in verità il
cataclisma al quale assistettero i nostri bisnonni, e che fu seguito
da altri molto minori, dei quali furono attori e spettatori i padri
dei nostri padri, può sembrare relativamente piccolo se lo
paragoniamo a quella grande catastrofe della civiltà umana,
che precedette e seguì la caduta dell'impero romano
d'occidente, o alle terribili invasioni dei Mongoli, che nel secolo
decimoterzo misero a durissima prova tanta parte del mondo,
poichè dalla China si estesero fino all'Ungheria. E, se fosse
possibile prevedere esattamente l'avvenire, si potrebbe forse
affermare che le convulsioni occasionate dall'avvento e dal
diffondersi delle istituzioni liberali e del regime rappresentativo
saranno probabilmente considerate come lievi a paragone di quelle
altre, che potranno essere nello stesso tempo causa ed effetto della
loro sparizione.
Come si sa, fra le scosse che accompagnarono l'istituzione del
regime rappresentativo, la prima, che fu la più violenta,
avvenne in Francia nell'ultimo decennio del secolo decimottavo; e
quivi allora si ebbe quel grande e subitaneo spostamento della
ricchezza a danno di una classe ed a favore di altre, che suole
accompagnare tutti i gravi e profondi rivolgimenti politici.
Senonchè in Francia il moto, per la grandissima maggioranza
dei contemporanei, giunse improvviso e quasi inaspettato, non
trovò, per l'impreparazione politica delle vecchie classi
privilegiate e di quelle che aspiravano a surrogarle, uomini adatti
a dirigerlo ed a moderarlo, e l'ondata rivoluzionaria disciolse
quindi l'antica organizzazione statale senza avere pronta l'altra
che la doveva sostituire. Sicchè Napoleone dovette poi
ricostruirla quasi di sana pianta, adoperando all'uopo gli elementi
più adatti, che non mancavano nè nelle antiche classi
privilegiate nè sopratutto in quella borghesia che aveva
fatto la rivoluzione. Ma nella grande maggioranza degli altri paesi
d'Europa, quando s'iniziò il regime rappresentativo, esso era
già così aspettato e socialmente così maturo,
che potè essere inaugurato senza gravi perturbamenti; se come
tali non si vogliono riguardare quelli che nel 1848 e 49 ebbero
luogo nella quasi totalità degli Stati europei.
E si ebbe così, poco prima o poco dopo, verso la metà
del secolo decimonono, il nuovo tipo di organizzazione politica, che
si può definire come lo Stato rappresentativo moderno411.
Esso, come già si è accennato, è il risultato
di nozioni ed idee ereditate dalla classica antichità ed
adattate ai bisogni della società del secolo decimonono,
così diversa da quella che aveva creato la Città Stato
della Grecia e di Roma, ed adattate entro un modello che, quasi
empiricamente e per effetto delle circostanze specialissime della
sua storia, era stato nei due secoli precedenti tracciato in
Inghilterra. Pure i nuovi ordinamenti rispondevano cosi bene alla
mentalità ed alle necessità sociali dell'epoca che li
adottò che, sussidiati dalle maravigliose scoperte le quali
resero possibile un progresso economico mai prima sognato,
potettero, durante tutto il secolo decimonono, conservare indiscussa
nel mondo la supremazia dei popoli di civiltà europea,
già affermatasi nel secolo precedente, e, nel regime interno
di questi popoli, hanno potuto mantenere un ordine relativo ed una
prosperità materiale, dei quali difficilmente si troverebbero
esempi analoghi nella storia di altri tempi e di altre
civiltà umane412.
Certo che fra i presupposti teorici del nuovo regime politico ed il
suo pratico funzionamento ci è stata, e non poteva non
esserci, una profonda ed insanabile disarmonia. Poichè
naturalmente, malgrado l'adozione graduale del suffragio universale,
il potere effettivo è rimasto sempre per una parte in mano
alle classi più doviziose e per una parte maggiore,
specialmente nei paesi così detti democratici, in mano alle
classi medie; le quali hanno sempre avuto la prevalenza nelle
organizzazioni direttive dei partiti politici e nei comitati
elettorali ed hanno in grandissima maggioranza fornito i redattori
alla stampa quotidiana, il personale alla burocrazia e
l'ufficialità all'esercito413.
Ma nello stesso tempo, appunto in grazia della combinazione insita
nel regime fra l'elemento burocratico e quello elettivo, si è
potuta avere una utilizzazione quasi completa nel campo politico ed
amministrativo di tutti i valori umani e si è dato il modo a
quasi tutti gli elementi più adatti delle classi dirette di
entrare in quelle dirigenti.
La specializzazione poi delle diverse funzioni politiche e la
cooperazione ed il controllo reciproco fra l'elemento burocratico e
quello elettivo, che sono due delle principali caratteristiche dello
Stato rappresentativo moderno, hanno fatto sì che esso possa
essere riguardato come il tipo di organizzazione politica più
complesso, e quindi più delicato, fra tutti quelli che sono
ricordati nella storia del mondo. Da questo e da altri lati si
può anzi affermare che vi è una quasi perfetta armonia
fra il presente ordinamento politico e le condizioni della
civiltà del secolo che l'ha visto nascere e vivere.
Civiltà che se, nella squisita perfezione delle forme
artistiche e letterarie, nella profondità del pensiero
filosofico e del sentimento religioso, nel valutare l'importanza di
alcuni grandi problemi morali, si è forse rivelata inferiore
a qualcuna di quelle che l'hanno preceduto, è stata ed
è di molto superiore a tutte le altre nella sapiente
organizzazione della produzione economica e di quella scientifica,
come anche nell'esatta cognizione e nell'accorto sfruttamento delle
forze della natura. Ora indiscutibilmente la vittoria, che quel
complesso d'istituzioni, di strumenti, di cognizioni e di attitudini
acquisite, le quali formano la cultura e la forza di una
generazione, ha ottenuto sulle forze naturali, l'organizzazione
politica finora vigente l'ha ottenuto sulle spontanee energie e
sulle volontà dei singoli individui umani414.
Certo che, anche ieri ed oggi, è stato ed è possibile
ad interessi particolari di piccole minoranze organizzate di
prevalere sull'interesse collettivo, paralizzando l'azione di coloro
che dovrebbero tutelarlo. Ma dobbiamo pure riconoscere che la
macchina statale è così potente e perfezionata che
giammai, come oggi, in Europa e nel mondo si è vista una
somma uguale di mezzi economici e di attività individuali
convergere per il raggiungimento di un fine collettivo; e l'ultima
grande guerra mondiale ce ne ha dato una terribile ma irrecusabile
prova. E, se si obietterà che qualche città antica ed
anche qualche comune medioevale, proporzionatamente alla loro
grandezza, non hanno fatto talora sforzi minori, si può
facilmente rispondere che, quanto più piccolo è un
organismo tanto più facile riesce di coordinare l'azione
delle cellule che lo compongono, e che Atene, Sparta ed anche
qualche grosso Comune medioevale avevano un territorio ed una
popolazione cento volte minore di quella di uno Stato moderno di
media grandezza. Solo Roma, nell'epoca delle due prime guerre
puniche, e più ancora quando seppe nei primi due secoli
dell'Impero espandere la sua lingua e la sua civiltà in tutta
l'Europa occidentale, ottenne risultati paragonabili per
l'entità, e forse anche da certi lati superiori, a quelli
delle organizzazioni politiche presenti.
Senonchè, come tutti gli organismi, siano essi individuali o
sociali, anche lo Stato rappresentativo moderno porta con sè
i germi che, sviluppandosi, possono produrne la decadenza e la
dissoluzione. Accenneremo per ora soltanto ad alcuni dei principali
fra essi, a quelli cioè la cui azione già si
può chiaramente percepire.
E prima di tutto faremo presente che in molti paesi d'Europa si nota
in questo momento una notevole decadenza economica di quella classe
media che, col suo sorgere e col suo prosperare, rese possibile
l'avvento del regime rappresentativo. E, se questa decadenza dovesse
prolungarsi per la durata di una generazione, essa sarebbe
immancabilmente seguita da quella intellettuale. Ora, come la
diffusione della media proprietà era, secondo Aristotile, una
condizione indispensabile per il retto funzionamento della
città greca, così l'esistenza di una media borghesia
riesce necessaria per la vita normale del regime rappresentativo
moderno. Tanto vero che in quei paesi ed in quelle regioni nelle
quali questa classe è poco sviluppata, o non ha i requisiti
richiesti per mantenere il suo prestigio e la sua influenza, questo
regime ha dato i risultati peggiori415. Perciò, se la
decadenza accennata dovesse accentuarsi e durare, si potrebbero
forse per qualche tempo ancora osservare le forme degli ordinamenti
presenti, ma di fatto si avrebbe o una dittatura plutocratica o una
dittatura burocratica e militare, oppure una dittatura demagogica di
pochi caporioni, che saprebbero lusingare le masse ed appagarne, fin
dove sarebbe possibile, e con danno sicuro dell'interesse generale,
l'invidia e gli istinti spogliatori416. Ovvero, peggio ancora, si
potrebbe avere una combinazione di due e magari di tutte e tre le
dittature citate.
Ed il pericolo sembra tanto più grande in quanto esso si
riconnette ad un altro, il quale è una conseguenza necessaria
del sistema d'idee che ha fornito la base morale ed intellettuale al
sistema rappresentativo. Intendiamo alludere a quella forma mentale,
finora prevalente, che ha reso quasi ineluttabile l'introduzione del
suffragio universale.
A dir vero, nei primi decenni del regime rappresentativo la
borghesia, transigendo col dogma della sovranità popolare sul
quale quel regime era fondato, aveva adottato quasi dappertutto
forme di suffragio ristretto; ma in sèguito, vinta più
dalla forza della logica che dalla spinta che veniva dagli strati
più umili della società, e sopratutto costretta dalla
necessità di mostrarsi coerente ai principî che aveva
proclamato ed in nome dei quali aveva combattuto ed abbattuto
l'assolutismo, adottò il suffragio universale. Il quale fu
cominciato ad attuare prima negli Stati Uniti d'America, poi in
Francia nel 1848, ed in sèguito in tutti gli altri paesi
retti a regime rappresentativo.
Ora giammai i molti, specialmente se poveri ed ignoranti, hanno
diretto i pochi, sopratutto se essi sono relativamente ricchi ed
intelligenti; e perciò la così detta dittatura del
proletariato non potrebbe essere che quella di una classe assai
ristretta esercitata a nome del proletariato; e forse la nozione di
questa verità, penetrata più o meno chiaramente nella
coscienza o nella subcoscienza delle classi dirigenti, ha
contribuito a far loro accettare senza molta resistenza il suffragio
universale. Ma, una volta che tutti hanno acquistato il diritto al
voto, è inevitabile che dalla stessa borghesia si distacchi
una frazione, la quale, nella gara per arrivare ai posti migliori,
cercherà di appoggiarsi sugli istinti e sugli appetiti delle
classi più numerose, insegnando ad esse che l'uguaglianza
politica significa presso che nulla se non è accompagnata da
quella economica e che la prima può servire benissimo di
strumento per ottenere la seconda.
E ciò è avvenuto ed avviene tanto più
facilmente in quanto la borghesia, non solo è rimasta in
certo modo prigioniera dei suoi principî democratici, ma anche
di quelli liberali; e si sa che il liberalismo accetta come
verità assiomatica che ogni credenza, ogni opinione ha il
diritto di essere senza alcun ostacolo predicata e propagata. Certo
che il liberalismo e la democrazia non sono la stessa cosa, ma hanno
un certo fondo comune in quella corrente intellettuale e
sentimentale formatasi nel secolo decimottavo e che si fondava sopra
una concezione ottimistica della natura umana, o meglio dei
sentimenti e delle idee che necessariamente avrebbero dovuto
prevalere nelle collettività umane. Sicchè, come la
democrazia deve ammettere che il governo migliore è quello
che emana dal consenso della maggioranza numerica dei consociati, il
liberalismo deve credere che basti il buon senso popolare a
distinguere la verità dall'errore ed a far giustizia delle
idee antisociali e dannose. E, dato che le classi dirigenti hanno
informato la loro condotta ai principi accennati, non è da
maravigliare se in molti paesi siasi affermata e grandemente diffusa
una nuova dottrina, e si potrebbe anzi dire una nuova fede, la
quale, se si può presumere e dimostrare inetta a ricostruire
un sistema di ordinamento sociale e politico migliore, e sopratutto
più morale, di quello esistente, è certamente
attissima a distruggerlo417.
Se a tutto ciò aggiungiamo la grandissima complessità
della moderna economia e la conseguente specializzazione delle
attività necessarie alla produzione ed alla distribuzione
delle derrate e dei servizi più indispensabili alla vita
quotidiana dell'intiera società, e quindi dello Stato,
ciò che rende possibile a piccole minoranze di causare,
incrociando semplicemente le braccia, gravissimi perturbamenti in
tutto il corpo sociale, potremo formarci un concetto sommario degli
elementi dissolvitori, che corrodono la compagine degli attuali
ordinamenti politici e sociali e ne minacciano l'esistenza418. Ma di
questo argomento crediamo per ora di aver detto abbastanza, tanto
più che ce ne dovremo di nuovo occupare nell'ultimo capitolo
del presente lavoro.
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
I. I due principi e le due tendenze che si possono riscontrare nelle
varie classi politiche. — II. Il principio autocratico. — III. I due
strati della classe politica e l'autocrazia burocratica. — IV. Il
principio liberale. — V. Analisi della tendenza democratica. — VI.
Analisi della tendenza aristocratica. — VII. Risultati
dell'equilibrio fra i due principi e le due tendenze.
I. — Secondo scrisse Platone in uno dei suoi ultimi dialoghi, la
monarchia e la democrazia sarebbero le due forme di governo
fondamentali, dalle quali, mercè combinazioni più o
meno felici, deriverebbero tutte le altre419. Questo concetto,
accortamente interpretato e completato, si può anche oggi
accettare; perchè realmente in tutte le forme di
organizzazione politica o l'autorità viene trasmessa
dall'alto verso il basso della scala politica e sociale, in maniera
che la scelta del funzionario inferiore viene lasciata a quello
superiore, finchè si arriva al supremo gerarca che sceglie i
suoi immediati collaboratori, come dovrebbe accadere nella monarchia
assoluta tipica, ovvero dal basso viene delegata a coloro che stanno
in alto, dai governati ai governanti, come si usava nell'antica
Grecia ed in Roma repubblicana.
Bisognerebbe aggiungere che i due sistemi possono essere fusi e
contemperati in vari modi, come accade oggi nei governi
rappresentativi; e si potrebbe citare in proposito la forma presente
di governo degli Stati Uniti d'America, nei quali il Presidente
è scelto dalla universalità dei cittadini ed egli alla
sua volta nomina tutti i funzionari del governo federale ed i
magistrati della Corte suprema.
Il primo tipo di organizzazione politica, quello nel quale
l'autorità viene trasmessa dall'alto della scala politica ai
funzionari inferiori, e che fu da Platone appellato monarchico, noi
crediamo più esatto di chiamarlo autocratico; perchè
un monarca nel senso lato della parola, ossia un capo dello Stato,
si trova quasi sempre in tutte le forme di regime politico.
Più difficile riesce la scelta del vocabolo adatto ad
indicare il secondo. Seguendo l'esempio di Platone, si potrebbe
chiamarlo democratico, ma, siccome per democrazia s'intende oggi
comunemente una forma di regime politico nella quale tutti
ugualmente partecipano alla formazione dei poteri sovrani,
ciò che non sempre è accaduto nel passato nei regimi
nei quali il popolo scieglieva i suoi governanti, perchè
spesso per popolo s'intendeva una ristretta aristocrazia, crediamo
più opportuno di appellarlo liberale420. E questa
denominazione ci sembra tanto più appropriata in quanto
è prevalso l'uso di ritenere liberi quei popoli nei quali,
stando alla legge, i governanti dovrebbero essere scelti da tutti o
anche da una parte dei governati e la legge stessa dovrebbe essere
una emanazione della volontà generale. Mentre nei regimi
autocratici essa o ha un carattere immutabile e sacro, oppure
è una espressione della volontà dell'autocrate o
meglio ancora di coloro che agiscono in suo nome.
Viceversa ci sembra più adatto di chiamare democratica quella
tendenza che, latente o manifesta, agisce sempre con maggiore o
minore intensità in tutti gli organismi politici e che mira a
rinnovare la classe dirigente, sostituendola con elementi
provenienti dalle classi dirette. E naturalmente chiameremo
aristocratica la tendenza contraria, anche essa costante sebbene di
varia intensità, la quale mira alla stabilizzazione della
direzione sociale e del potere politico nei discendenti di quella
classe che, in un dato momento storico, se ne è impossessata.
A prima vista parrebbe che la prevalenza di quello che noi
denomineremo principio autocratico dovrebbe accoppiarsi a quella che
chiameremo tendenza aristocratica; e che al contrario il principio
opposto, che chiameremo liberale, dovrebbe accoppiarsi alla tendenza
che abbiamo appellato democratica. E realmente dall'esame di molti
tipi di organizzazione politica potrebbe trarsi la conclusione che
esiste una certa simpatia fra l'autocrazia e l'aristocrazia da una
parte ed il liberalismo e la democrazia dall'altra; ma però
sarebbe questa una di quelle regole che sono soggette a moltissime
eccezioni. Riuscirebbe facile infatti trovare esempi di autocrazie
che non hanno ammesso l'esistenza di classi alle quali la nascita
conferiva privilegi legali, e si potrebbe citare in proposito
l'impero chinese durante lunghi periodi della sua storia; ed anche
più facile sarebbe di trovare esempi di regimi elettivi nei
quali il popolo elettore era costituito solo dalla classe dirigente
ereditaria, come avveniva a Venezia e nella repubblica polacca.
Ad ogni modo, tenendo anche conto che riesce difficile assai di
trovare un regime politico nel quale si possa constatare
l'esclusione assoluta di uno dei due principî, o di una delle
due tendenze, ci sembra certo che la forte prevalenza
dell'autocrazia o del liberalismo, della tendenza aristocratica o
della democratica, possa fornire un criterio sicuro e fondamentale
per determinare il tipo al quale l'organizzazione politica di un
dato popolo, in una data epoca, appartiene. Ed è
perciò che ora ci sembra molto utile di iniziare un breve
studio sui vantaggi e gli inconvenienti che ad ognuno e ad ognuna di
esse si possono attribuire.
II. — Pare indiscutibile che l'autocrazia abbia formato la base
della organizzazione politica dei primi grandi aggregati umani.
Tutti gli antichi grandi imperi dell'Asia e l'antico Egitto erano
organizzati autocraticamente, come pure secondo il principio
autocratico erano organizzati il nuovo impero persiano dei Sassanidi
ed i califfati arabi421. Fino a pochi anni fa erano autocratici i
regimi politici del Giappone, della China e della Turchia, che, per
la natura della sua civiltà, potea essere considerata come
paese asiatico. In Europa si può considerare come autocratico
il governo dell'impero romano dopo Diocleziano e quello dell'impero
bizantino e fu retta da una pura autocrazia la Russia di Ivano IV il
terribile e di Pietro il grande e quella di Alessandro III e dei
primi tempi di Niccola II. Abbiamo visto come, anche nell'Europa
occidentale, la formazione del grande Stato moderno, mercè la
distruzione di tutte le sovranità intermedie che
caratterizzavano il regime feudale, abbia dato luogo alla creazione
di governi autocratici; che poi si trasformarono nei regimi
rappresentativi moderni. Finalmente anche in America erano
autocraticamente organizzati il Messico ed il Perù, ossia i
soli due grandi Stati che gli Europei trovarono nel nuovo
continente422.
È evidente che un sistema di organizzazione politica
così diffuso e così duraturo fra popoli di
civiltà diversissima, e che spesso nessun contatto nè
materiale nè intellettuale avevano avuto fra di loro, deve,
se non sempre, spessissimo corrispondere alla natura politica
dell'uomo, perchè ciò che è artificioso od
eccezionale non sussiste lungamente. L'autocrazia infatti, sia che
il capo supremo che sta al vertice della piramide politica eserciti
la sua autorità in nome di Dio e degli Dei, sia che egli la
riceva dal popolo o da coloro che presumono di rappresentarlo,
fornisce una formola politica, ossia un principio d'autorità
ed una giustificazione del potere, chiara, semplice e che tutti
facilmente comprendono. Non ci può essere una organizzazione
umana senza una gerarchia, e qualunque gerarchia necessariamente
richiede che alcuni comandino e gli altri ubbidiscano; e,
poichè è nella natura degli uomini che molti di essi
amino il comandare e che quasi tutti si adattino ad ubbidire, riesce
assai utile una istituzione, la quale dà a coloro che stanno
in alto la maniera di giustificare la loro autorità e nello
stesso tempo aiuta potentemente a persuadere coloro che stanno in
basso a subirla.
Si potrebbe obiettare che se l'autocrazia è un regime molto
adatto alla formazione di grandi organismi politici, come furono gli
antichi imperi mesopotamici e l'antica Persia, ed in tempi
più recenti la China, la Turchia e la Russia, e ad
assicurarne la durata per parecchi ed alle volte per molti secoli,
essa non consente ai popoli che l'hanno adottato, e sopratutto alle
loro classi dirigenti, di raggiungere tutta quella elevazione morale
ed intellettuale di cui l'umanità civile è capace.
Difatti l'arte ed il pensiero della Grecia e di Roma furono in
complesso superiori a quelli degli imperi orientali e nessuna delle
civiltà asiatiche antiche e recenti ha avuto una vita
intellettuale così intensa da potere sostenere il confronto
con quella delle grandi nazioni dell'Europa centrale ed occidentale
e dell'America del secolo decimonono. Ma l'epoca splendida di Atene
durò circa un secolo e mezzo, perchè iniziatasi colla
battaglia di Platea, che ebbe luogo il 479 avanti Cristo, si
protrasse tutto al più fino alla guerra lamiaca, cioè
fino al 323 a. C. Ed anche Roma potè cominciare ad essere
considerata come un grande Stato ed un centro di cultura alla fine
della seconda guerra punica, cioè al 203 a. C.; ma già
al 133 s'iniziarono con Tiberio Gracco le lotte civili, ed al 31 a.
C, dopo un secolo di tumulti quasi continui, di proscrizioni, di
guerre intestine, l'antico Stato città dovette tramutarsi
nell'impero d'Augusto.
Fra le grandi nazioni moderne l'Inghilterra ed il Nord-America sono
quelle che da più lungo tempo si reggono secondo il principio
liberale, ma abbiamo già visto che la prima lottò
contro l'assolutismo fino al 1689, e sappiamo che la data della
nascita degli Stati Uniti può essere fissata al 1783. E
l'Inghilterra del 1689 era per potenza, ricchezza e valore
intellettuale assai diversa da quella di oggi; come pure è
noto che la grande repubblica nord-americana, fin quasi alla
metà del secolo decimonono, era un paese quasi esclusivamente
agricolo, sobrio, ristretto in se stesso, attaccato alle antiche
tradizioni, molto lontano dalla opulenza e dalla importanza mondiale
che oggi ha raggiunto. Sicchè parrebbe quasi che il principio
liberale facilmente prevalga in quei periodi eccezionali della vita
dei popoli durante i quali alcune delle più nobili
facoltà dell'uomo si manifestano con tutta la loro
intensità ed energia e maturano i germi che produrranno a
breve scadenza un notevolissimo aumento di potenza politica e
prosperità economica. Ma sembra pure che a questi periodi, i
quali segnano alcune delle tappe più importanti raggiunte nel
cammino della civiltà, altri ne seguano, durante i quali le
società umane sentono quasi il bisogno di un lungo riposo,
che politicamente trovano adagiandosi in un autocratismo più
o meno larvato, e più o meno adattato al grado di sviluppo e
di cultura raggiunto.
Il regime autocratico naturalmente presuppone l'esistenza di un
autocrate, di un uomo cioè che personifichi l'istituzione in
nome della quale agiscono tutti coloro che sono investiti di una
parte o di una particella qualsiasi della pubblica autorità.
Ora l'autocrate può essere ereditario, nel quale caso si ha
una combinazione del principio autocratico colla tendenza
aristocratica, o elettivo, nel quale caso la combinazione avverrebbe
colla tendenza democratica. Non bisogna però dimenticare che
gli autocrati a vita tendono sempre a trasformarsi in ereditari e
che, come avveniva a Roma durante l'impero, l'autocrate, il quale
nominalmente ha ricevuto il mandato dal popolo, molto spesso viene
creato dalle classi dirigenti, o meglio da quella frazione delle
classi dirigenti che ha i mezzi più efficaci per imporsi alle
altre, ovvero finalmente da quel gruppo di alti funzionari che
tengono in mano le fila colle quali si dirige la macchina dello
Stato423.
L'eredità, quando è regolata in maniera che non
possano nascere dubbi sui diritti dell'erede al trono, presenta
certamente il vantaggio di assicurare meccanicamente la
stabilità e la continuità del potere e di evitare che
ogni successione fornisca facili occasioni a guerre civili e ad
intrighi di Corte a favore o contro i vari pretendenti. Da questo
lato il sistema adottato dalle monarchie europee, nelle quali la
famiglia legale è stata ed è sempre monogama e la
successione è toccata sempre al maschio primogenito, ha dato
risultati migliori di quello usato nelle monarchie orientali, che
non hanno mai regolato il diritto di successione in modo così
chiaro e preciso e hanno sempre ammesso che il sovrano regnante
possa cambiarlo. Ciò che naturalmente ha aperto la porta agli
intrighi della sultana favorita, degli alti funzionari ed anche del
basso personale di Corte, che col sovrano ha quotidiani contatti424.
La prima origine delle dinastie autocratiche è dovuta molto
spesso ad una individualità forte ed energica, la quale, dopo
che è arrivata al potere supremo, ha saputo acquistare tale
prestigio nella classe politica ed anche fra le masse popolari ed ha
saputo costituire tale una rete intessuta d'interessi e di devozione
fra gli alti funzionari, da fare sembrare molto opportuno, e quasi
naturale, che la successione venga trasmessa ai suoi discendenti.
Sappiamo infatti che in China le nuove dinastie sono state
generalmente fondate da avventurieri energici e fortunati che,
ponendosi a capo di una rivolta vittoriosa, rovesciavano la dinastia
precedente. Origine simile ebbe nel Giappone la dinastia degli
Shogun Tokugava e si sa pure che in India il turco Baber, postosi a
capo di una grossa banda di avventurieri suoi compatriotti,
riuscì a fondare, nei primi decenni del secolo decimosesto,
l'impero del Gran Mogol. In Europa simili casi sono avvenuti assai
più raramente; Napoleone non potè trasmettere il trono
al re di Roma, ed il figlio di Oliviero Cromwel potè occupare
la carica di lord protettore soltanto per meno di un anno. Un caso
tipico, che si potrebbe in proposito ricordare, fu quello di Gustavo
Wasa che, figlio di un nobile svedese, ma ridottosi nella sua
gioventù a fare il pastore ed il minatore nella Derecarlia,
si pose poi a capo di una rivolta dei suoi compatriotti contro i
Danesi, e fu il fondatore di una dinastia che, dai primi decenni del
secolo decimosesto, regnò nella Svezia fino all'avvento dei
Bernadotte. Invece più di frequente è avvenuto fra noi
che una dinastia, nata piccola e debole, siasi a poco a poco
fortificata ed ingrandita mediante il lavorìo costante di una
serie di generazioni. E basterebbe citare l'esempio dei Capetingi,
dei Savoia, degli Hohenzollern e forse anche degli Habsburgo.
In una autocrazia ereditaria è assai difficile che la persona
destinata dalla nascita ad occupare la difficilissima carica di capo
supremo di un grande Stato abbia le qualità necessarie per
effettivamente e bene disimpegnarla. A dir vero l'eredità
familiare e l'educazione possono contribuire molto a far sì
che un sovrano ereditario riesca ad acquistare il contegno esteriore
e le forme che più convengono alla posizione che occupa. Ma,
benchè le forme abbiano la loro importanza, sopratutto quando
ogni gesto ed ogni parola possono attirare l'attenzione di un intero
popolo, esse non bastano a supplire alla deficienza delle
qualità più sostanziali: quali sarebbero la
capacità di lavoro, l'energia, la volontà di dominio,
la conoscenza degli uomini ed anche una certa insensibilità
affettiva tanto utile per i regnanti, che non dovrebbero troppo
commuoversi per i dolori altrui, ma dovrebbero invece sapere
reprimere gli slanci del cuore ed evitare studiosamente quei momenti
critici nei quali l'animo umano è irresistibilmente spinto a
rendere palesi i sentimenti ed i pensieri più intimi425.
Alla deficienza accennata si ripara nella maggior parte dei casi
affidando a due diversi personaggi le funzioni autocratiche;
all'autocrate titolare resta la parte rappresentativa e decorativa
della carica, mentre il potere effettivo viene affidato ad un'altra
persona, che si può chiamare maestro di palazzo, primo
ministro o vizir. Spesso però quest'ultimo compito è
affidato, anzichè ad una persona sola, ad un Consiglio
formato di un piccolo gruppo di maggiorenti, come sarebbero stati il
Consiglio dei Ministri, che assisteva il principe in Europa sotto
l'antico regime, il Tsong-li-yamen in China, il Divano in Turchia,
il Ba-ku-fu nel Giappone dei Tokugava426. Ma ordinariamente in
questo piccolo gruppo vi è un individuo il quale ad una
maggiore capacità di lavoro accoppia una più forte e
più ferma volontà di dominio e che perciò
predomina sugli altri. Quando il principe titolare regna ed il primo
ministro governa, e le circostanze esigono un cambiamento radicale
d'indirizzo politico, esso si può effettuare cambiando il
ministro e lasciando in piedi la dinastia ed il sovrano regnante.
Naturalmente di fronte a questo vantaggio sorge il pericolo che il
sovrano di fatto, cioè colui che effettivamente governa, si
sforzi di conservare il potere per tutta la vita e cerchi anche di
trasmetterlo ai suoi figli; come accadde in Francia all'epoca dei
maestri di palazzo ed è accaduto replicatamente nel Giappone,
dove, assai prima che s'istituisse lo Shogunato dei Tokugava, il
potere del Mikado era diventato nominale ed era di fatto esercitato
dal capo di qualche grande famiglia feudale427.
Non è facile di teorizzare sul come e sul quando diventa
necessaria la divisione accennata del potere autocratico. Certo
è che essa si rende inevitabile quando la dinastia
autocratica è invecchiata ed ammollita, sicchè
l'autocrate legale, chiuso nel suo palazzo e spesso snervato dai
piaceri sensuali, perde ogni contatto coi grandi e col popolo e non
conosce più l'arte di fare agire le ruote della macchina
statale. Ma non mancano, specialmente in Europa, numerosi esempi di
discendenti di antiche dinastie, che come Carlo V e Filippo II di
Spagna, Luigi XIV di Francia, Vittorio Amedeo II di Savoia, Pietro
il grande di Russia e Federico il grande di Prussia, hanno saputo
dirigere effettivamente il governo dei loro Stati. Studiando uno ad
uno i personaggi indicati, e quegli altri che si potrebbero
indicare, facilmente si potrebbe constatare che, malgrado la
varietà dei caratteri individuali, essi avevano comuni due
qualità fondamentali: cioè una grande capacità
di lavoro fisico ed intellettuale ed una forte volontà di
dominio.
È naturale che in origine, e si potrebbe anche dire a caso
vergine, la scelta dell'autocrate coadiutore, che esercita il potere
effettivo, spetti all'autocrate titolare, e che il primo
perciò debba essersi saputa accaparrare la fiducia del
secondo. Ma col tempo un carattere forte può acquistare tale
ascendente sopra un carattere debole che questo non oserà
più revocare ciò che una volta ha liberamente
concesso; sicchè il mandatario volontariamente scelto
può diventare un tutore che si subisce. Si aggiunga che la
prima e la più urgente cura del vice-principe è quasi
sempre quella di mettere in tutte le cariche elevate persone legate
a lui da vincoli di famiglia, di riconoscenza, o, meglio ancora, da
complicità in azioni basse od in vere ribalderie.
Poichè cosi facendo egli può contare sulla
fedeltà della camarilla che ha contatti frequenti col
principe e tenere da lui studiosamente lontani tutti coloro che ad
essa non appartengono.
Del resto la formazione di un gruppo di persone, che, secondo i
casi, può comprendere due o tre dozzine o anche un centinaio
d'individui, i quali monopolizzano la direzione dello Stato e
occupano, alle volte a turno, le cariche più importanti,
è un fatto che avviene in tutte le autocrazie, anzi in tutte
le forme di regime politico. Variano soltanto i criteri con i quali
questo gruppo, che forma il primo strato della classe dirigente,
viene selezionato, a seconda che il regime è autocratico o
liberale o che prevale la tendenza democratica o quella
aristocratica. Ma, in tutti i casi ed in tutti i regimi, un criterio
costante, e che ha sempre grande importanza, consiste nel gradimento
di coloro che del gruppo già fanno parte. In tempi normali,
quando si tratta di arrivare ad uno dei posti che permettono di
disporre effettivamente di una parte delle forze di uno Stato, e
quindi della sorte di molti individui, quasi sempre sono necessari
il consenso o almeno la simpatia e l'acquiescenza di coloro che ai
posti accennati sono già arrivati. Non per nulla dice il
proverbio che non si entra in Paradiso a dispetto dei santi.
Nei paesi nei quali prevale nello stesso tempo il principio
autocratico e la tendenza aristocratica, il gruppo al quale abbiamo
accennato viene formato a preferenza dai membri della più
alta nobiltà, i quali dalla nascita sono destinati ad
occupare gli uffici e le mansioni più importanti dello Stato.
La Corte allora suole spesso essere il teatro dove si svolgono le
gare di preminenza fra le più grandi famiglie del reame, come
avveniva in Francia all'epoca delle lotte fra il conte di Armagnac
ed il duca di Borgogna, in Sicilia nella seconda metà del
secolo decimoquarto ed in Spagna sotto il debole Carlo II. Ma,
quando il sovrano titolare ha ingegno e forza di volontà,
riesce alle volte a rompere il cerchio delle camarille
aristocratiche, che lo servono e nello stesso tempo lo
padroneggiano, e spesso lo padroneggiano più di quanto lo
servano, e lo rompe portando a posti molto elevati persone di
nascita mediocre, che, dovendo tutto a lui, sono strumenti
più efficaci e più fedeli della sua politica. Si sa
infatti che i due principali ministri di Luigi XIV, Colbert e
Louvois, non appartenevano all'alta nobiltà francese, e che
Pietro il Grande di Russia affidò spesso cariche elevate ad
avventurieri di origine straniera o anche a Russi di bassa
estrazione. Nelle autocrazie orientali non era neppure inaudito il
caso di persone di origine molto bassa che arrivavano prima alle
cariche più elevate e poi al potere supremo, e si potrebbero
citare gli esempi di Basilio il Macedone nel secolo nono a Bisanzio
e di Nadir Scià nella Persia del secolo decimottavo428. Non
occorre dire che queste carriere eccezionali erano dovute ad una
straordinaria assistenza della fortuna, a doti eccezionali
d'intelletto e sopratutto all'arte di valersi di tutte le
circostanze propizie per salire in alto; la quale arte consiste
sopratutto nel sapersi rendere utili, e meglio ancora necessari, a
coloro che già si trovano in alto, sfruttandone tutte le
qualità buone e cattive.
III. — Al di sotto del primo strato della classe dirigente ve ne
è sempre, e quindi anche nei regimi autocratici, un altro
molto più numeroso, che comprende tutte le capacità
direttrici del paese. Senza di esso qualunque organizzazione sarebbe
impossibile, perchè il primo strato non basterebbe da solo ad
inquadrare e dirigere l'azione delle masse. Sicchè dal grado
di moralità, d'intelligenza e di attività di questo
secondo strato dipende in ultima analisi la consistenza di qualunque
organismo politico, la quale suole essere tanto più grande
quanto maggiore è la pressione che il senso degli interessi
collettivi della nazione o della classe, riesce ad esercitare sulle
cupidigie individuali di coloro che ne fanno parte. Perciò le
deficienze intellettuali e morali di questo secondo strato
rappresentano per l'organismo politico un pericolo più grave
e più difficilmente rimediabile di quello nel quale si
incorre quando le stesse deficienze si riscontrano nelle poche
dozzine di persone che tengono in mano i meccanismi della macchina
statale429.
Nei regimi autocratici primitivi, ed in generale in quelli
più antichi, questo secondo strato della classe politica era
quasi sempre formato dai sacerdoti e dai guerrieri. Cioè da
quello due categorie di persone che disponevano della forza
materiale e della direzione intellettuale e morale della
società e che, come conseguenza più che come causa,
del predominio intellettuale e morale, avevano anche quello
economico; e, date queste condizioni della società, era
naturale che al regime autocratico si accoppiasse quasi sempre il
prevalere della tendenza aristocratica. Ma, col decorrere del tempo,
colla fusione completa della razza conquistatrice colla conquistata,
là dove la differenziazione delle classi era dovuta in
origine all'invasione di popoli stranieri, coll'aumento della
civiltà e quindi della ricchezza e della cultura, e colla
conseguente necessità di una preparazione tecnica per bene
disimpegnare le cariche pubbliche, le autocrazie aristocratiche si
sono quasi sempre più o meno trasformate in autocrazie
burocratiche. Tali erano infatti l'impero romano, specialmente dopo
Diocleziano, e quello bizantino, l'impero chinese, almeno negli
ultimi secoli della sua esistenza, la Russia dopo Pietro il Grande,
i principali Stati europei nel secolo decimottavo e, con qualche
riserva, poteva anche essere considerato come un'autocrazia
burocratica il Giappone dopo la creazione dello Shogunato dei
Tokugava430.
Perchè un'autocrazia inizi la burocratizzazione di un grande
Stato è senza dubbio necessario che l'organizzazione politica
sia già così salda da potere regolarmente prelevare
una parte delle entrate dei privati sufficiente a fornire un
trattamento ai pubblici funzionari ed a potere mantenere una forza
armata permanente. Ma, come spesso avviene nei fenomeni sociali,
alla sua volta una burocratizzazione già bene iniziata
permette di accrescere grandemente l'efficacia coercitiva della
macchina statale e rende quindi possibile alla classe dirigente, e
sopratutto al gruppo che la guida, di esercitare un'azione sempre
più forte sulle masse governate, orientandone gli sforzi
verso i fini voluti dai governanti. In altre parole, un'autocrazia
burocratizzata è un'autocrazia perfezionata, con tutti i
vantaggi e gli inconvenienti dovuti al perfezionamento. Tra i primi
si possono enumerare la possibilità di affidare le diverse
funzioni dirigenti agli specialisti, e quella di aprire le porte
alle capacità provenienti dagli strati meno elevati della
società e di fare così largo al merito personale.
Rendendo con ciò omaggio ad un canone di giustizia
distributiva, che ha avuto sempre presa nel cuore degli uomini, e
che ne ha sopratutto oggi; canone che vorrebbe stabilire un rapporto
esatto e quasi matematico fra il servizio che ogni individuo rende
alla società ed il grado che egli raggiunge nella gerarchia
sociale.
Ma, come scrive il Ferrero, il merito personale, è una delle
cose che le passioni e gli interessi degli uomini sanno meglio
falsificare431. E si potrebbe forse aggiungere che nei regimi
autocratici, dove il successo dipende dal giudizio di una o di poche
persone, può bastare per falsificare l'intrigo; mentre in
quelli liberali, sopratutto quando prevale anche la tendenza
democratica, ed occorre quindi per farsi avanti anche la stima e la
simpatia attiva di molti, all'intrigo bisogna accoppiare una buona
dose di ciarlataneria. Ad ogni modo, anche prescindendo da questa
obiezione pregiudiziale, e, se si vuole, troppo pessimista, è
certo che ogni giudizio sul merito e sulle attitudini di una persona
sarà sempre più o meno subbiettivo e che perciò
ogni giudice apprezzerà maggiormente, ed in piena buona fede,
nei candidati, quelle qualità intellettuali e morali che egli
stesso possiede. Ed è questa certamente una delle ragioni
principali di quel conservatorismo cieco, di quell'incapacità
a correggere i propri vizi e le proprie debolezze che spesso si
riscontra nei regimi esclusivamente burocratici432.
E per evitare questo grave inconveniente non basta che i funzionari
superiori, dai quali dipende l'ammissione e la carriera di quelli
inferiori, siano persone di alto intelletto, ma bisogna pure che
abbiano il cuore molto generoso ed elevato. Difatti alle volte anche
le persone dotate delle qualità più rare ed eccelse
dell'intelletto umano prediligono coloro che hanno le qualità
più comuni e secondarie, le quali danno meno ombra al
superiore e lo completano meglio. Poichè coloro che le
posseggono fanno ciò che egli non sa fare, o disdegna di
fare, e sono quasi sempre più insinuanti, non avendo, o
sapendo meglio dissimulare, quella baldanza giovanile, che spesso
può sembrare od anche essere presunzione, e che di frequente
si riscontra negli uomini di verde età e d'ingegno vivace; i
quali riescono spesso a vedere subito ciò che gli altri,
anche vecchi, o non vedono affatto o vedono molto tardi.
Che se poi, diffidando della umana imparzialità, alla scelta
ed all'indicazione dei superiori si vogliono sostituire regole di
avanzamento meccaniche, le quali non possono essere basate che sulla
anzianità, avviene infallibilmente che uguale è la
carriera del pigro e del solerte, dell'intelligente e del mediocre,
e che quindi il funzionario, persuaso che far meglio e più
degli altri non serve a nulla, farà solo quel minimo che
è indispensabile per non perdere il posto o la promozione.
Allora le carriere burocratiche tendono a diventare l'asilo dei
mediocri o di coloro che hanno urgenza assoluta di avere un posto
rimunerato per potere provvedere alla propria sussistenza, ed un
uomo intelligente che entra nella burocrazia consacra al suo ufficio
solo una parte, e spesso non quella migliore, della propria
attività e del proprio ingegno.
Va da sè che, per quanto una burocrazia possa essere
legalmente aperta a tutte le classi sociali, di fatto essa viene
quasi sempre reclutata nella classe media, cioè in quel
secondo strato della classe dirigente di cui abbiamo parlato;
perchè i nati in questa classe trovano assai più
facilmente i mezzi di procacciarsi l'istruzione necessaria e nello
stesso ambiente familiare acquistano la nozione pratica dei modi
più adatti per entrare nella carriera e per fare carriera; e
non occorre neppure dire quanto possano a ciò giovare la
guida e la protezione del padre o di parenti ed amici di famiglia
altolocati. Perciò si può in genere affermare che, sia
nel regime autocratico puro, sia in quello combinato con il regime
liberale, quasi identico è il livello morale della burocrazia
e della classe dirigente del paese. Quindi è più
elevato dove questa classe ha tradizioni radicate di probità
e di onore, perchè da più lungo tempo formata e
raffinata e da molte generazioni si è consacrata al servizio
dello Stato, tanto nelle carriere civili che in quella militare. Ed
è più basso quando essa è di data più
recente, e proviene o da avventurieri procaccianti e fortunati o da
famiglie di contadini e piccoli commercianti, appena digrossate,
nelle quali, sebbene abbiano acquistato una certa agiatezza, molto
spesso ancora perdurano la mancanza di ogni idealità e la
inveterata e sordida avidità del grosso ed anche del piccolo
guadagno.
È in questi casi che l'organizzazione burocratica dà i
frutti peggiori: che sarebbero il favoritismo sfacciato dei
superiori, la bassa servilità dei subalterni, in tutti la
tendenza a barattare con favori di qualsiasi genere quel tanto
d'autorità che la carica mette a loro disposizione. Nei casi
più gravi il baratto si converte in vendita, ed allora si ha
quella corruzione pecuniaria che, quando diventa comune nei gradi
alti e bassi della scala burocratica, disgrega e paralizza ogni
azione dello Stato. Difetto poi comune a tutte le burocrazie, e
quindi anche a quelle moralmente più elevate, è la
convinzione della propria infallibilità; per la quale sono
sempre oltremodo restie ad accogliere quelle critiche e quei
suggerimenti che provengono da persone estranee alla loro carriera.
IV. — Abbiamo già visto nelle pagine precedenti come il
principio liberale abbia uno stato di servizio più brillante,
ma certo più ristretto e più breve, di quello
autocratico. Agli esempi di Stati liberali antichi e moderni che
allora abbiamo addotto, si potrebbero aggiungere quelli della
Polonia, dell'Olanda, delle città anseatiche, di Genova, di
Firenze e della Svizzera, paesi nei quali il regime liberale
durò più o meno lungamente, e finalmente di Venezia,
dove un regime liberale, nel senso da noi attribuito al vocabolo, e
nello stesso tempo oligarchico, prevalse per molti secoli. Ma anche
quasi tutti gli altri Stati che abbiamo menzionato, ad eccezione di
qualche piccolo cantone della Svizzera, erano governati da
aristocrazie più o meno ristrette, ed in Polonia, cioè
in quello che raggiungeva la massima estensione, l'aristocrazia
presto degenerò in una turbolenta anarchia.
Come abbiamo pure accennato, le caratteristiche del regime liberale
consistono nel fatto che la legge è basata sul consenso della
maggioranza dei cittadini, i quali però possono anche essere
una esigua frazione degli abitanti dello Stato, e che i funzionari i
quali la applicano sono nominati direttamente od indirettamente dai
loro subordinati e sono temporanei e responsabili della
legalità dei loro atti. Nei grandi Stati liberali
generalmente i cittadini, anzichè esercitare personalmente il
potere legislativo, lo delegano ad assemblee direttamente od
indirettamente da loro nominate, e l'azione dei funzionari elettivi
viene completata ed integrata da una vera e propria burocrazia.
Inoltre, dove prevale il principio liberale, lo Stato suole
riconoscere certi limiti ai suoi poteri nei suoi rapporti coi
singoli cittadini e coi sodalizi da essi formati. Questi limiti, non
completamente ignoti alla Grecia classica ed a Roma antica, sono
quasi sempre sanciti nei moderni Statuti e riguardano la
libertà di religione, di stampa, d'insegnamento, di
associazione e riunione e le guarentigie per la libertà
personale, per la proprietà privata e l'inviolabilità
del domicilio.
Anche negli Stati nei quali prevale il principio liberale troviamo
quei due strati della classe dirigente, il primo molto piccolo, il
secondo molto più largo e profondo, dei quali abbiamo parlato
a proposito del regime autocratico. Il sistema elettivo non esclude
infatti che si formino dei gruppi più o meno chiusi, i quali
si contendono le cariche più elevate dello Stato e fanno capo
ciascuno ad un pretendente alla carica più elevata, che
potrebbe essere quella di Presidente della Repubblica o di
Presidente del Consiglio dei Ministri; gruppi che corrispondono alle
camarille di Corte, fra le quali nelle autocrazie si scelgono i
coadiutori immediati del supremo gerarca. Naturalmente i metodi
usati sono diversi, perchè nelle autocrazie per arrivare
basta influire sopra di uno o di pochi uomini, sfruttandone tutte le
passioni buone e cattive; mentre nei regimi liberali bisogna guidare
la volontà di almeno tutto il secondo strato della classe
dirigente, il quale, se non costituisce da solo il corpo elettorale,
fornisce i quadri che ne formano le opinioni e ne determinano
l'azione. Perchè dal suo seno escono i comitati che dirigono
le associazioni politiche, gli oratori dei comizi ed i redattori dei
giornali, ed infine quel piccolo numero di persone capaci di
formarsi una opinione propria sugli uomini e sugli avvenimenti del
giorno e che perciò esercitano una grande influenza sui
moltissimi incapaci, e preparati quindi, senza saperlo, ad
accogliere sempre quella degli altri.
Molto diversi sono i risultati che dà l'applicazione del
principio liberale a seconda che il corpo elettorale, dal quale
dipende la scelta di coloro che occupano le cariche pubbliche
più elevate, è molto ristretto, ovvero molto largo.
Nel primo caso è evidente che una buona parte della classe
politica, o di coloro che avrebbero le attitudini a farne parte, ne
resta esclusa. Questa esclusione fa sì che il regime liberale
diventi molto somigliante ad un'autocrazia larvata di una classe
ristrettissima, che alle volte si riduce a poche famiglie potenti e
quasi onnipotenti, come accadeva in Polonia negli ultimi decenni
anteriori alla sua spartizione. Inoltre quando il corpo elettorale
è molto ristretto, quasi tutti gli elettori sono o possono
credersi effettivamente eleggibili, e quindi quasi tutti diventano
candidati, ossia giudicabili, senza che resti un numero sufficiente
di giudici433.
Ordinariamente perciò nei corpi elettorali ristrettissimi o
si forma una cricca unica, composta dai titolari delle cariche e dai
loro consorti e cointeressati, o se ne formano due, delle quali una
sta al potere e l'altra fa un'opposizione astiosa e sistematica. I
pochi che si mantengono al di fuori delle due cricche ordinariamente
restano isolati e vengono lasciati in disparte; e riescono ad
esercitare un'azione efficace solo nei momenti critici, quando una
serie di gravi scandali o di grandi insuccessi rendono inevitabile o
facile la caduta della cricca che stava al potere.
Nel secondo caso, cioè quando tutti o quasi tutti sono
elettori, lo studio principale delle diverse organizzazioni di
partito in cui si divide la classe dirigente diventa quello di
captare i suffragi delle classi più numerose, che sono
necessariamente le più povere ed indotte. La prima e la
più spontanea e naturale aspirazione di queste classi,
costrette a subire un governo che spesso non amano e del quale
ancora più spesso non capiscono gli scopi e gli ingranaggi,
sarebbe quella di esser governata il meno possibile, ossia di fare
per lo Stato il minor numero possibile di sacrifizi; la seconda, che
si sviluppa sopratutto coll'esercizio del suffragio, sarebbe quella
di trarre da esso profitto per migliorare la propria situazione
economica e per sfogare quel risentimento compresso e quell'invidia
che spesso, non sempre, l'uomo che sta in basso sente per colui che
sta in alto, e specialmente per colui che è il suo superiore
immediato.
Or, quando nella lotta fra le diverse frazioni della classe
dirigente il successo dipende dall'appoggio e dalla simpatia delle
masse popolari, è inevitabile che quella frazione, la quale
dispone di mezzi d'influenza meno efficaci, si valga delle due
aspirazioni accennate, e sopratutto della seconda, per trascinare
con sè gli strati più umili della società. A
questa frazione si uniscono di frequente, per sentimento o per
interesse, quegli individui che, nati nelle classi meno elevate,
hanno saputo da esse sollevarsi, in grazia della loro speciale
intelligenza ed energia, ovvero per la loro eccezionale furberia434.
Ma, qualunque sia la loro origine, i metodi seguiti da coloro che
vogliono monopolizzare e sfruttare la simpatia delle plebi sono
stati e sono sempre identici: essi consistono nel porre in luce,
naturalmente esagerandoli, l'egoismo, l'insipienza ed i godimenti
materiali dei ricchi e dei potenti, nel denunziare i loro vizi ed i
loro errori reali ed immaginari e nel promettere di soddisfare quel
senso così comune e diffuso di grossolana giustizia, che
vorrebbe abolita ogni gerarchia sociale fondata sui vantaggi che
conferisce la nascita e vorrebbe nello stesso tempo raggiungere
l'uguaglianza assoluta dei godimenti e delle pene.
Accade poi spesso che i partiti ai danni dei quali si rivolge la
propaganda demagogica per combatterla usino mezzi assai analoghi a
quelli dei loro avversari. Anche essi perciò fanno promesse
impossibili a mantenere, adulano le masse, ne lusingano gli istinti
più rozzi e sfruttano e fomentano tutti i loro pregiudizi e
tutte le loro cupidigie, quando stimano di poterne trarre vantaggio.
Ignobile gara, nella quale coloro che ingannano volontariamente
abbassano il loro livello intellettuale fino a renderlo uguale a
quello degli ingannati, e moralmente scendono ancora più in
basso435.
Tutto sommato quindi il principio liberale trova le condizioni
migliori per la sua applicazione quando il corpo elettorale è
composto in maggioranza da quel secondo strato della classe
dirigente che forma la spina dorsale di tutte le grandi
organizzazioni politiche. Quando perciò esso è
abbastanza numeroso perchè la maggior parte degli elettori
non possa aspirare alle candidature, sicchè i candidati
possono trovare in essi dei giudici e non già dei rivali o
dei compari, e nello stesso tempo abbastanza ristretto perchè
non diventi necessario per riuscire di rendere omaggio alla
mentalità ed ai sentimenti delle classi più incolte,
allora soltanto può diventare, non diciamo completa, ma non
del tutto illusoria, quella responsabilità dei mandatari
verso i mandanti, che è uno dei principali presupposti del
regime liberale436.
Come è noto, e come abbiamo accennato, altro suo vantaggio,
presunto od effettivo, sarebbe la pubblica discussione degli atti
dei governanti, sia nelle assemblee politiche e nei consigli
amministrativi, che per opera della stampa periodica. Ma,
perchè questo ultimo ed efficacissimo mezzo di controllo
potesse realmente illuminare la pubblica opinione, bisognerebbe che
i giornali non fossero l'organo di camarille politiche o
finanziarie, o gli strumenti ciechi di una fazione, e, quando lo
sono, bisognerebbe che il pubblico lo sapesse e potesse tenerne
conto.
V. — La tendenza democratica, cioè verso il rinnovamento
delle classi dirigenti, si può affermare che agisce
costantemente, con maggiore o minore intensità, in tutte le
società umane. Alle volte il rinnovamento avviene in modo
rapido e violento, più spesso, anzi normalmente, mercè
la lenta infiltrazione di alcuni elementi provenienti dagli strati
più umili nelle classi elevate.
Nel passato i rinnovamenti violenti avvenivano non raramente in
seguito ad invasioni straniere, quando un popolo veniva conquistato
da un altro popolo che si stabiliva nello stesso paese e, senza
distruggerli o cacciarli, si sovrapponeva agli antichi abitanti.
Così avvenne nell'Europa occidentale dopo la caduta
dell'impero romano, nella Persia dei Sassanidi dopo l'invasione
araba, in Inghilterra dopo la vittoria di Guglielmo il
conquistatore, nell'India dopo l'invasione dei Maomettani ed in
China dopo l'invasione dei Mongoli e poi dopo quella dei Tartari
Mandchù. Però in questo caso, quasi sempre, frammenti
dell'antica aristocrazia paesana sono entrati in quella nuova di
origine straniera. E forse, in tutti i casi summentovati, uno studio
attento delle condizioni dei popoli conquistati ci farebbe
constatare che la conquista straniera è stata quasi sempre
agevolata da un principio di dissolvimento interno, che aveva
già indebolito e disgregato la classe dirigente indigena, o
l'aveva moralmente separato dal resto della popolazione.
In tempi più recenti si sono talora avuti rinnovamenti
violenti e molto larghi delle antiche classi politiche in seguito a
gravi rivolgimenti interni. Essi corrispondono alle vere e proprie
rivoluzioni, ed avvengono quando fra la organizzazione politica
ufficiale ed i costumi, le idee ed i sentimenti di un popolo si
determina una grande disarmonia ed artificiosamente vengono tenuti
in condizione subordinata molti elementi che sarebbero attissimi a
partecipare alla direzione politica. Un esempio classico di questo
genere si ebbe colla grande rivoluzione francese; un altro si sta
svolgendo sotto i nostri occhi in Russia437.
Ma le crisi violente, che cambiano radicalmente i criteri in base ai
quali si reclutano le classi dirigenti e che ne mutano o modificano
profondamente nel giro di pochi anni il personale, possono essere
considerate come un fatto piuttosto eccezionale, il quale
caratterizza alcune epoche storiche; fatto che qualche volta ha dato
un energico impulso al progresso intellettuale, morale e materiale,
e qualche altra volta è stato l'inizio o la conseguenza di un
periodo di decadenza e dissoluzione di una civiltà.
Viceversa, anche in tempi normali, possiamo quasi sempre constatare
che un lento e graduale rinnovamento della classe politica avviene
mediante infiltrazioni di elementi provenienti dagli strati
inferiori in quelli superiori della società. Senonchè
questa tendenza, che noi abbiamo chiamato democratica, alle volte
prevale ed agisce in modo più efficace e più rapido,
alle volte invece più copertamente, attraverso mille ostacoli
creati dalle leggi, dalle consuetudini e dai costumi, e
perciò in modo assai più blando.
Come abbiamo già osservato nella prima parte di questo
lavoro, la tendenza democratica prevale più facilmente nei
tempi agitati, quando una mentalità nuova riesce a scalzare
le antiche concezioni sulle quali si basava l'edificio della
gerarchia sociale, quando i progressi scientifici e tecnici hanno
creato nuove fonti di guadagno o hanno prodotto un cambiamento negli
ordinamenti militari, o anche quando un urto esterno ha costretto
una nazione a fare appello a tutte le sue energie e ad attitudini
che, in tempi quieti, sarebbero rimasti allo stato potenziale438.
Perciò in generale i cambiamenti di religione, le nuove
dottrine filosofiche e politiche, la scoperta di armi nuove o di
nuovi strumenti di guerra, l'applicazione di nuovi ritrovati alla
produzione economica e lo stesso aumento di essa, le lunghe guerre,
sono tutti elementi che favoriscono il rapido scambio delle molecole
che compongono i vari strati sociali. Aggiungiamo che questo scambio
avviene sempre più agevolmente nei paesi nuovi, dove
abbondano ancora le ricchezze naturali poco sfruttate, che danno
modo agli uomini energici ed intraprendenti di arrivare più
facilmente, o almeno meno difficilmente, alla ricchezza e quindi
alla notorietà. Gli esempi dei diversi Stati americani e
dell'Australia ci sembrano a questo riguardo abbastanza calzanti e
persuasivi.
Non si può negare che la tendenza democratica, sopratutto se
contenuta in limiti moderati, sia in certo modo indispensabile a
ciò che si chiama, e spesso è realmente, il progresso
delle società umane. Infatti, se tutte le aristocrazie
fossero rimaste sempre chiuse ed immobili, il mondo non sarebbe mai
cambiato e l'umanità si sarebbe fermata nello stadio
raggiunto all'epoca delle monarchie omeriche o degli antichi imperi
orientali. La lotta fra coloro che stanno in alto e coloro che, nati
in basso, aspirano a salire è stata, è, e sarà
sempre il fermento che ha costretto gli individui e le classi ad
allargare i proprii orizzonti ed a cercare quelle vie nuove che ci
hanno condotto fino al grado di civiltà raggiunto nel secolo
decimonono. A quel grado che ha reso possibile nel campo politico la
creazione del grande stato rappresentativo moderno, il quale, come
abbiamo visto nel precedente capitolo, fra tutti gli organismi
politici è quello che è riuscito a coordinare una
somma maggiore di energie e di attività individuali verso
fini d'interesse collettivo.
Si può aggiungere che la tendenza democratica, quando la sua
azione non tende a diventare eccessiva ed esclusiva, rappresenta
ciò che in linguaggio volgare si chiamerebbe una forza
conservatrice. Perchè essa permette di rinsanguare
continuamente le classi dirigenti mercè l'ammissione di
elementi nuovi, che hanno innate e spontanee le attitudini al
comando e la volontà di comandare, ed impedisce così
quell'esaurimento delle aristocrazie della nascita, che suole
preparare i grandi cataclismi sociali.
Però, come abbiamo già accennato, a cominciare dalla
fine del secolo decimottavo e durante il decimonono, e forse anche
oggi, da quando cioè il dogma dell'uguaglianza umana,
rimodernato secondo la mentalità dei tempi, ha acquistato
nuovo vigore, e si è riputato possibile che esso possa avere
completa applicazione nel mondo terreno, molti hanno creduto, e non
pochi hanno finto di credere, che ogni vantaggio proveniente dalla
nascita debba, col tempo con opportuni ordinamenti, venire eliminato
e che l'avvenire potrà vedere dei consorzi umani nei quali vi
sarà una corrispondenza completa fra il reale servizio reso
alla società ed il grado occupato nella gerarchia sociale439.
Ma, sebbene questa aspirazione mai forse come ora sia stata diffusa
e nettamente formulata, sarebbe assurdo credere che sia nata
soltanto poco meno di duecento anni fa; poichè essa invece ha
sempre costituito la base morale di ogni attacco che mirava al
rinnovamento o al rinsanguamento della classe dirigente. Ogni volta
che si è voluto forzare la barriera, che separava
un'aristocrazia, di diritto o di fatto ereditaria, dal resto della
società, si è sempre fatto appello in nome della
religione o dell'uguaglianza naturale degli uomini o almeno di
quella dei cittadini, ai diritti del merito individuale contro il
privilegio della nascita. Su questo riguardo le democrazie della
Grecia e di Roma, i contadini inglesi guidati da Wat Tyrel, i Ciompi
di Firenze e gli Anabattisti di Münster, senza avere in mano la
dichiarazione dei diritti dell'uomo, pensavano ed operavano come i
riformatori francesi del secolo decimottavo e come i comunisti di
oggi440.
Senonchè, ogni volta che il movimento democratico ha potuto
parzialmente o totalmente trionfare, abbiamo visto costantemente la
tendenza aristocratica risorgere per opera di coloro stessi che
l'avevano combattuta e talora ne avevano proclamato la soppressione.
A Roma i plebei ricchi, dopo avere forzato le porte che precludevano
loro l'accesso delle cariche più elevate, si fusero
coll'antico patriziato e formarono una nobiltà nuova, nella
quale l'accesso agli estranei, legalmente permesso, era di fatto
molto difficile. A Firenze alle famiglie nobili, delle quali si
volle distruggere l'influenza politica mercè i famosi
ordinamenti di giustizia, si sostituì l'oligarchia dei
popolani grassi. In Francia la borghesia del secolo decimonono
sostituì in parte la nobiltà dell'antico regime.
Dappertutto, appena si è abbattuta l'antica barriera, se ne
è edificata un'altra, talora forse più bassa e meno
irta di triboli e di spine, ma tale che presentava sempre un
ostacolo abbastanza efficace a coloro che la volevano superare.
Dappertutto gli arrivati ai primi gradini della scala sociale hanno
costituito una difesa per sè e per i loro figli contro coloro
che volevano arrivare441.
Si dirà che ciò è un prodotto necessario della
proprietà individuale, che rende ereditaria la ricchezza e
facilita grandemente, a coloro che la ereditano, le vie per arrivare
al potere e per restarci. Ed è certo che in questa obiezione
vi è una gran parte di verità, e non diciamo tutta la
verità perchè le cognizioni e le relazioni dei padri
possono essere trasmesse parzialmente ai figli anche quando la
famiglia non ha un patrimonio vero e proprio. Ma pochi si rendono
oggi conto che in uno stato collettivista l'inconveniente accennato,
che ora ha per base la proprietà privata, non sparirebbe,
anzi si presenterebbe in forma più grave. Perchè, come
abbiamo già dimostrato nell'ultimo capitolo della prima parte
di questo lavoro, e come attualmente accade in Russia, coloro che
reggono uno Stato organizzato secondo i principi collettivisti
avrebbero facoltà e mezzi d'azione molto maggiori dei ricchi
e dei potenti di oggi. Infatti in uno Stato collettivista i
reggitori cumulerebbero il potere politico con quello economico e,
disponendo così della sorte di tutti gli individui e di tutte
le famiglie, avrebbero mille modi di distribuire favori e castighi e
sarebbe strano che di queste facoltà non si valessero per
procacciare ai loro figli i posti migliori.
Per abolire intieramente il privilegio della nascita bisognerebbe
dunque abolire anche la famiglia ed adottare la Venere vaga, facendo
discendere l'umanità fino al livello della più bassa
animalità442. E crediamo per giunta che neppure questo
provvedimento così radicale sarebbe sufficiente a stabilire
nel mondo quella giustizia assoluta che, mai attuata, sarà
sempre invocata da coloro che vogliono rovesciare il sistema vigente
delle gerarchie sociali. Perchè abbiamo visto che, quando il
clero cattolico, il quale non poteva legalmente avere figli,
disponeva di una grande potenza economica e politica, è sorto
il nepotismo; e, quando non ci saranno neppure i nipoti, l'uomo
è così fatto che saprà trovare sempre qualcuno
dei suoi simili che amerà e proteggerà a preferenza
degli altri.
E resta poi a vedere se sarebbe sempre vantaggioso per la
collettività che fosse tolto ogni vantaggio alla nascita
nella lotta per entrare a far parte della classe dirigente e per
arrivare ai gradi più elevati della gerarchia sociale.
Poichè, quando tutti gli individui potessero prendervi parte
a condizioni uguali, questa lotta diverrebbe senza dubbio acuta fino
al parossismo e produrrebbe quindi un enorme dispendio di forze e di
energie dirette a raggiungere un fine individuale, senza che, nella
maggior parte dei casi, vi fosse un corrispondente profitto per
l'organismo sociale443. Mentre potrebbe benissimo darsi che certe
qualità intellettuali e sopratutto morali, le quali sono
utili e forse anche necessarie affinchè una classe dirigente
mantenga il suo prestigio e disimpegni bene la sua funzione,
richiedano, per svilupparsi ed affermarsi, che per parecchie
generazioni le stesse famiglie possano conservare una posizione
sociale abbastanza elevata. Ma di questo argomento ci dovremo
intrattenere a preferenza nel susseguente paragrafo e durante il
seguito del nostro lavoro.
VI. — Scrivendo nel primo quarto del secolo ventesimo, quando ben
pochi sono coloro che in pubblico non si dichiarano partigiani
entusiasti della democrazia, potrebbe sembrare superfluo di esporre
i danni e gli svantaggi del soverchio prevalere della tendenza
aristocratica, ossia della stabilizzazione del potere politico e
dell'influenza sociale in determinate famiglie. Però, siccome
questa stabilizzazione, tanto comune nelle civiltà tramontate
ed in quelle rimaste estranee alla presente cultura europea, anche
oggi fra noi di fatto è attenuata ma non distrutta, siccome
lo spirito aristocratico non è morto, e probabilmente non
morrà mai, non crediamo superfluo di consacrare qualche
pagina a questo argomento.
Parlando poco fa di alcuni vantaggi della tendenza democratica
abbiamo indirettamente accennato ad alcuni svantaggi di quella
aristocratica. Aggiungeremo ora che, quando un popolo è retto
lungamente da un'aristocrazia chiusa o semichiusa, è quasi
inevitabile che in essa nasca e si accentui uno spirito di corpo o
di casta per il quale i suoi membri si credono infinitamente
superiori al resto dell'umanità. Quest'orgoglio, che spesso
si accompagna ad una certa frivolezza di spirito e ad un culto
eccessivo per le forme esteriori, fa sì che facilmente coloro
che stanno in alto stimino che tutto sia loro spontaneamente dovuto,
senza che essi abbiano doveri precisi verso coloro che sono fuori
della loro casta, che considerano quasi come destinati ad essere
ciechi strumenti delle loro mire, delle loro passioni e dei loro
capricci444.
Questa maniera di pensare e di sentire, la quale si forma quasi
spontaneamente negli individui che fin dalla nascita sono destinati
ad occupare cariche più o meno elevate e che fin
dall'infanzia godono di molti privilegi e ricevono molti omaggi,
impedisce che essi generalmente comprendano, e quindi compatiscano,
i dolori e le pene di quegli altri che stanno negli ultimi gradini
della scala sociale e gli stenti e gli sforzi di coloro che hanno
saputo coll'opera propria salire qualcuno dei gradini della scala
accennata. Inoltre l'esagerazione dello spirito aristocratico fa si
che si evitino i contatti con gli strati più umili della
società e che quindi si trascuri di studiarli attentamente. E
questa trascuratezza produce spesso una completa ignoranza delle
loro reali condizioni psicologiche; che alle volte vengono
raffigurate, attraverso la letteratura ed i romanzi, come assai
vicine alla semplicità e bontà primitiva dell'uomo,
alle volte invece vengono assimilate senz'altro a quelle dei bruti.
Naturalmente tutte e due le esagerazioni hanno il comune risultato
di togliere alla classe dirigente qualunque influenza sulla
formazione della mentalità e dei sentimenti delle masse e di
renderla perciò inetta alla loro direzione.
Raramente nella storia troviamo esempi di classi elevate ereditarie
che, avendo coscienza, come debbono averla, della loro
superiorità intellettuale e morale, abbiano spontaneamente
avuto un'uguale coscienza dei doveri che questa superiorità
imponeva loro verso le classi inferiori. E più raramente
ancora fra gli individui appartenenti alle classi dirigenti
ereditarie si è diffuso quel sentimento di vera e reale
fratellanza e solidarietà universale, che forma la base e
l'onore delle tre grandi religioni mondiali, il Buddismo, il
Cristianesimo e l'Islam; sentimento il quale fa si che l'uomo
più elevato riconosca e comprenda che anche l'uomo più
basso fa parte integrante di quella umanità alla quale tutti
e due appartengono. Ciò che in fondo corrisponde a quel tanto
di vero che può essere contenuto in tutta quella grande
congerie di sogni e di menzogne che oggi appellasi democrazia.
Il più insidioso nemico di tutte le aristocrazie della
nascita è senza dubbio l'ozio, che genera la mollezza e la
sensualità, fomenta la frivolezza e produce l'aspirazione ad
una vita nella quale i piaceri non sono accompagnati dai doveri. E
bisogna confessare che, quando manca la necessità quotidiana
dell'obbligo ad un determinato lavoro, e quando non si è
già contratta nei primi anni della giovinezza l'abitudine di
lavorare, è difficile sfuggire alle insidie di questo
terribile nemico. Ma le aristocrazie che da esso non sanno
sufficientemente difendersi decadono rapidamente, giacchè, se
pure nominalmente conservano per qualche tempo il loro rango e le
loro funzioni, queste vengono di fatto esercitate dai subalterni,
che presto diventano i padroni effettivi; essendo impossibile che
chi fa e sa fare non riesca pure col tempo a comandare.
Senonchè non bisogna dimenticare che l'esenzione dei lavori
materiali, la sicurezza di potere vivere e conservare la propria
posizione sociale senza che ad essa corrisponda la necessità
impellente di un'occupazione grave e quotidiana, può dare in
certi casi ottimi risultati dal lato dell'interesse collettivo, e
che l'essersi un certo numero di uomini trovati nelle condizioni
accennate è una delle cause precipue dei progressi
intellettuali e morali della umanità.
Uno scrittore spagnuolo contemporaneo, Miguel de Unamuno, ha scritto
l'elogio della fannulloneria. Egli ha voluto dimostrare che il mondo
molto deve agli oziosi, perchè, se fra i nostri antenati non
ci fosse stato un certo numero di persone, che non dovevano lavorare
colle proprie braccia e che potevano interamente disporre del loro
tempo, non sarebbero nate nè la scienza, nè l'arte,
nè la morale445.
La tesi è ardita e contiene molta parte di vero, ma la
quistione non ci sembra posta nei suoi veri termini. Nel caso
contemplato ciò che i non iniziati, i quali possono
appartenere tanto alle classi superiori che alle inferiori, chiamano
ozio, molto spesso, lungi dall'esser tale, è la forma
più nobile di lavoro umano. Quella forma cioè che non
si propone una utilità immediata per l'individuo che vi si
dedica, o anche per altri determinati individui, ma cerca di
rendersi conto delle leggi che regolano l'universo, del quale
facciamo parte, e dello svolgimento del pensiero e delle istituzioni
umane, senza altra spinta che la passione disinteressata di
allargare un poco i confini del noto a spese dell'ignoto, senza
altro fine che quello di chiarire alquanto, e nei limiti del
possibile, quei problemi gravi ed angosciosi, che travagliano
l'anima e l'intelletto umano e gli danno quell'impronta
caratteristica che lo solleva al di sopra dell'animalità. Or
è evidente che questi istinti hanno avuto la maggiore
facilità, e diremmo quasi la possibilità di
affermarsi, solo fra uomini, che appartenevano ad una classe
dirigente così raffermata nel suo dominio da rendere
possibile che alcuni dei suoi membri fossero esenti dalle cure
materiali della vita e dalla preoccupazione di difendere giorno per
giorno la propria posizione sociale. Ed è perciò che
si deve ammettere che la scienza e la morale sociale sono state
originariamente elaborate in seno alle aristocrazie e che anche oggi
trovano in esse a preferenza i loro cultori più devoti446.
Si potrebbe obiettare che le grandi scoperte nel campo scientifico e
le grandi affermazioni nel campo morale sono dovute ad uomini dotati
di ciò che comunemente si dice il genio, cioè di una
capacità d'intelletto e di sentimento e di una forza di
volontà eccezionali, e che il genio raramente è
ereditario. E ciò è vero; ma il genio suole a
preferenza manifestarsi in individui che appartengono a quei popoli
ed a quelle classi nelle quali il livello medio dell'intelligenza
è più elevato, ed è notorio che le
qualità intellettuali, le quali, senza essere straordinarie,
sono superiori alla media, facilmente si tramandano dai genitori ai
figliuoli. Or non è arrischiato supporre che in origine le
classi elevate, qualunque sia stato il criterio con il quale vennero
costituite, dovettero attirare nel proprio seno molti degli
individui più intelligenti e, quando esse non sono
ermeticamente chiuse, continuamente si rinsanguano cogli elementi
più intelligenti che provengono dagli strati inferiori della
società447.
Certamente poi più spiccato è il fenomeno
dell'eredità familiare per quel che riguarda le
qualità morali, nello sviluppo delle quali grande è
l'influenza dell'educazione, e sopratutto di quella educazione
indiretta che proviene dall'ambiente in cui si nasce e si vive. Non
senza una profonda ragione in tutti i tempi e in tutti i luoghi si
è pregiata l'antichità di una famiglia, ossia il fatto
che per una lunga serie di generazioni essa ha potuto conservare una
posizione sociale elevata. Perchè è relativamente
facile di arrivare in alto, quando i tempi e la fortuna aiutano, ed
un individuo possiede una certa dose d'intelligenza, di
attività, di perseveranza e sopra tutto ha una grande e ferma
volontà di farsi avanti; ma nelle cose umane
l'immobilità è artificiale ed il cambiamento naturale,
sicchè occorrono una prudenza costante ed una vigile e
durevole energia per conservare, attraverso i secoli e per una lunga
serie di generazioni, ciò che si è acquistato per il
merito, o per un colpo di fortuna, e qualche volta anche per la
mancanza di scrupoli, di un lontano antenato.
Perciò le famiglie, che hanno potuto resistere lungamente a
questa prova, sono soltanto quelle nelle quali la maggioranza almeno
di coloro che ne facevano parte hanno saputo conservare il senso del
limite e della misura ed hanno saputo resistere alla tentazione di
cedere a desideri ardenti, che si aveva la possibilità di
immediatamente soddisfare; che in altre parole hanno conosciuto e
praticato l'arte di comandare a se stesso, più difficile di
quella di comandare agli altri, che alla sua volta è
più difficile di quella di obbedire448. Avviene quindi
naturalmente una selezione per la quale tutti i casati nei quali
fanno difetto le virtù accennate presto ricadono
nell'oscurità e perdono il rango che avevano acquistato. Or
è evidente che, perchè la selezione accennata abbia
luogo, è necessario che la classe dirigente abbia una certa
stabilità e che non venga perciò ad ogni generazione
rinnovata; ed è forse questa necessità che spiega la
grande persistenza della tendenza aristocratica e costituisce la sua
migliore giustificazione.
Uno degli organismi più saldi e duraturi che ricordi la
storia è senza dubbio la Chiesa cattolica, la quale ha sempre
ammesso nelle file del clero individui provenienti da tutte le
classi ed all'occorrenza ha saputo portare al posto più
insigne della gerarchia ecclesiastica uomini provenienti dagli
strati più umili della società, e si potrebbero
facilmente citare in proposito i nomi dei Papi Gregorio VII, Sisto V
e Pio X. Si sa che il celibato dei preti ha impedito che si formasse
nella Chiesa una vera aristocrazia ereditaria, ma è pure
notorio che parecchie furono nel passato le grandi famiglie che
avevano quasi sempre uno dei loro membri nel Sacro Collegio, e che
la maggioranza dei Papi e dei Cardinali provenivano nei secoli
scorsi, e forse provengono ancora, dalla classe elevata e da quella
media. Ed oggi forse una delle maggiori difficoltà con la
quale il Cattolicesimo deve lottare sta nel fatto che la vecchia
aristocrazia e l'alta e la media borghesia in molti paesi non danno
più alle file del clero un numero sufficiente di adepti.
Or, se da questo esempio, e da altri analoghi che si potrebbero
facilmente portare, si potesse trarre una regola, diremmo che la
penetrazione degli elementi provenienti dalle classi più
umili in quelle elevate riesce utile quando avviene in proporzione e
con criteri tali che i nuovi venuti si assimilano presto le
qualità migliori dei vecchi dominatori, e riesce dannosa
quando questi vengono in certo modo assorbiti ed assimilati dai
nuovi compagni. Perchè in questo caso l'aristocrazia non si
rinsangua ma anche essa diventa plebe.
Una delle qualità più essenziali delle classi
dirigenti è, o dovrebbe essere, la lealtà nei rapporti
coi propri subordinati. Infatti la menzogna, schermo molto usato
dall'inferiore verso il superiore, dal debole contro il forte,
diventa doppiamente ripugnante e vile quando il forte l'usa a danno
del debole. Essa toglie perciò a chi comanda ogni
rispettabilità e lo rende spregevole di fronte al
subordinato, e si può aggiungere che, appunto perchè
gli uomini vi ricorrono troppo spesso, acquista un grande prestigio
colui che se ne astiene. Or l'aborrimento dalla menzogna è
una qualità che di solito si acquista in seguito ad una lunga
ed accurata, e diremmo quasi tradizionale, educazione morale; ed
è naturale perciò che si trovi a preferenza in quelle
classi dirigenti nella formazione delle quali l'elemento ereditario
ha una parte preponderante.
Altro requisito importantissimo, e diremmo quasi indispensabile dei
ceti dirigenti, anche in tempi relativamente pacifici e mercantili,
è il coraggio personale. Appunto perchè gli uomini
ordinariamente scansano il pericolo e temono la morte, ammirano
coloro che sanno all'occorrenza esporre intrepidamente la vita;
perchè, quando non lo si fa per incoscienza o frivolezza,
ciò richiede una gran forza di volontà ed un gran
dominio sopra se stesso, che fra tutte le qualità morali
è forse quella che più impone il rispetto e
l'obbedienza. Perciò quando si farà una storia
dettagliata della maniera come si formarono, vissero e decaddero
molte classi dirigenti, si potrà constatare che quelle che
avevano un'origine ed una tradizione militare sono state più
salde ed in generale hanno durato più a lungo di quelle che
avevano soltanto una base industriale e plutocratica449. Ed ancora
oggi nell'Europa occidentale e centrale una delle migliori difese
della classe dirigente consiste nel coraggio personale che gli
ufficiali, i quali uscivano dal suo seno, hanno in generale
dimostrato davanti i propri soldati.
È assurdo il pregiudizio che considera le classi dirigenti
come economicamente improduttive, perchè esse, mantenendo
l'ordine e tenendo unita la compagine sociale, creano le condizioni
nelle quali il lavoro produttivo può meglio esplicare la sua
azione, ed inoltre forniscono ordinariamente alla produzione il
personale tecnico e direttivo. Però su questo riguardo
sarebbe interessante di esaminare se una classe dirigente di origine
recente si contenta nella ripartizione della ricchezza di una parte
minore di quella che è sufficiente per una classe dirigente
di antica data, nella quale perciò prevale la tendenza
aristocratica. Ciò che in altri termini equivale a giudicare
se la democrazia sia per una società più economica
della aristocrazia450.
Il giudizio è molto difficile e potrebbe assai variare
secondo i tempi ed i popoli. Perciò ci limiteremo a far
notare che in generale i grandi sogliono ostentare un lusso
chiassoso a preferenza nelle nazioni barbare o in quelle di recente
arricchite. E si sa che qualche cosa di simile avviene fra i singoli
individui delle classi dirigenti, nelle quali coloro che più
si distinguono per lo spreco insensato dei frutti del lavoro umano
sono appunto quelli che più di recente sono arrivati ai
fastigi della ricchezza e del potere.
Ciò premesso, non bisogna però dimenticare, che nella
distribuzione della produzione economica fra le varie classi sociali
è necessario che alla classe politicamente dirigente sia
attribuita una parte sufficiente a far sì che essa possa dare
ai propri figli una educazione lunga ed accurata, e quindi costosa,
e che possa conservare un tenore di vita decoroso. Tale insomma che
le permetta di non mostrarsi troppo attaccata ai piccoli guadagni ed
ai piccoli risparmi, a quelle lesinerie che pur troppo, talora
più di qualche cattiva azione, abbassano l'uomo agli occhi
dei propri simili.
VII. — Platone nel suo dialogo sulle leggi, che già abbiamo
ricordato e nel quale egli espose il pensiero della sua età
matura, sostenne che la migliore forma di governo era quella nella
quale l'autocrazia e la democrazia, che, come abbiamo già
visto, erano per lui le due forme tipiche di regime politico,
venivano fuse e contemperate451. Aristotile, nella sua immortale
Politica, dopo avere obiettivamente descritto le sue tre forme
fondamentali di governo, cioè la monarchia, l'aristocrazia e
la democrazia, mostra la sua preferenza per un'aristocrazia
temperata, e più ancora per una democrazia temperata, nella
quale, non diciamo gli schiavi ed i metechi, ma neppure gli
artigiani, avrebbero dovuto essere ammessi alle cariche
pubbliche452. Quasi due secoli dopo Polibio giudicava ottima la
costituzione politica di Roma perchè secondo lui in essa i
tre tipi fondamentali della costituzione aristotelica trovavano
contemporaneamente la loro applicazione453. Circa un secolo dopo
Polibio presso a poco analogo era il concetto esposto da Cicerone
nel suo libro sulla repubblica e, più di dodici secoli dopo
Cicerone, quando la scienza politica accennava a rinascere, San
Tommaso nella Summa dimostrava pure la sua preferenza per i governi
misti454. Come si sa, Montesquieu si emancipava dalla
classificazione aristotelica e divideva i governi in dispotici,
monarchici e repubblicani, ma prediligeva la monarchia temperata,
nella quale i tre poteri fondamentali, cioè il legislativo,
l'esecutivo ed il giudiziario, erano affidati ad organi diversi
indipendenti l'uno dall'altro, e quindi si accostava anche egli al
concetto di un equilibrio, necessario fra le diverse forze ed
influenze politiche455. E finalmente ricorderemo che anche Cavour in
politica si dichiarava partigiano del juste milieu, del giusto
mezzo, che equivale in fondo ad equilibrio e contemperanza fra le
diverse forze o correnti politiche456.
Sembra perciò che tutti questi grandi pensatori abbiano avuto
una intuizione comune: cioè che la saldezza delle istituzioni
politiche dipenda da una opportuna fusione o contemperanza di
principî e tendenze diverse, ma costanti, che agiscono
immancabilmente in tutti gli organismi politici. E crediamo per ora
prematuro formulare una legge, ma ci pare che si possa senz'altro
avanzare l'ipotesi, che la stabilità degli Stati e la
rarefazione di quelle crisi politiche violente, che, come avvenne
alla caduta dell'impero romano, e come avviene oggi in Russia,
procacciano a tanta parte dell'umanità sofferenze
inenarrabili, ed interrompono, alle volte per lunghi secoli, il
progredire della civiltà, provengano principalmente dalla
prevalenza quasi assoluta di uno dei due principî o di una
delle due tendenze che abbiamo testè esaminato. Questa
ipotesi, che potrebbe già essere corredata di un numero
considerevole di esperienze storiche, si appoggia sopratutto sul
fatto che solo l'opposizione, e diremmo quasi la concorrenza, del
principio o della tendenza contraria, può impedire
l'accentuazione dei vizi congeniti a ciascuno di essi od a ciascuna
di esse, vizi che abbiamo tentato di rapidamente descrivere.
Questa conclusione corrisponderebbe presso a poco all'antica
dottrina del giusto mezzo che trovava ottimi i governi misti,
dottrina che verrebbe rinnovata in base ad una conoscenza più
esatta e profonda delle leggi naturali che agiscono sulle
organizzazioni politiche. Rimarrebbe però sempre la
difficoltà di trovare dove sia il giusto mezzo, il quale
è un punto assai difficile a precisare, sicchè ognuno
facilmente lo può porre là dove meglio conviene alle
sue passioni ed ai suoi interessi.
Dopo averci molto pensato non troviamo in proposito che un solo
metodo pratico da suggerire alle persone di buona volontà, le
quali hanno la mira esclusiva del bene e della prosperità
generale, indipendentemente da qualsiasi interesse personale e da
qualsiasi preconcetto sistematico; e questo metodo consiste
nell'osservare, per dir così, le vicende atmosferiche dei
tempi e dei popoli, fra i quali e nei quali si vive.
Quando, per esempio, regna una calma glaciale, nella quale non spira
alito di discussione politica, ovvero quando quasi tutti inneggiano
a qualche grande personalità che ha restaurato l'ordine e la
pace, allora si può star sicuri che troppo prevale il
principio autocratico su quello liberale; ed il contrario accade
quando quasi tutti maledicono i tiranni e propugnano la
libertà. Similmente quando romanzieri e poeti vantano le
glorie delle grandi famiglie ed imprecano contro il volgo profano,
si può sicuramente ritenere che soverchia è la
prevalenza della tendenza aristocratica; e finalmente quando spira
un vento furioso di uguaglianza sociale e tutti si dichiarano teneri
degli interessi degli umili, è evidente che la tendenza
democratica è in forte rialzo e quindi assai pericolosa. In
fondo non si tratta che di seguire la regola contraria a quella
adottata, consciamente od inconsciamente, dagli arrivisti di tutti i
tempi e di tutti i paesi; e ciò facendo, quel piccolo nucleo
di intelletti saldi e di anime elette, che in ogni generazione
impediscono all'umanità di intieramente corrompersi, potranno
alle volte rendere un grande servizio ai loro contemporanei e
sopratutto ai figli dei loro contemporanei. Perchè nella vita
politica gli errori di una generazione sono quasi sempre scontati da
quella susseguente.
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
I. Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli
Stati e quello della classe politica. — II. Rapporti fra il valore
intellettuale e morale della classe politica e quello dei governati.
— III. Confutazione del materialismo storico. — IV. Se sia possibile
il governo dei migliori e quali siano politicamente i migliori. — V.
La giustizia assoluta e la giustizia relativa nelle organizzazioni
politiche. — VI. Se i progressi della scienza politica potranno in
avvenire evitare le grandi crisi sociali.
I. — È innegabile che vi debba essere uno stretto rapporto
fra il valore intellettuale e morale di tutto il secondo e maggiore
strato della classe dirigente e quello di colui che effettivamente
sta a capo di tutta l'organizzazione politica e del piccolo gruppo
di persone che direttamente lo coadiuvano. Giacchè gli uomini
che occupano i posti più elevati devono necessariamente
essere più o meno imbevuti delle idee, dei sentimenti, delle
passioni, e perciò del modo di vedere, degli strati sociali
che vengono immediatamente dopo di loro, con i quali strati sono in
continuo ed immediato contatto e senza l'aiuto dei quali non
potrebbero governare.
Ma, così complicata è la storia delle società
umane e così diversi sono i fattori materiali, morali ed
intellettuali i quali contribuiscono a determinarne lo svolgimento,
che non è stato e non è raro il caso di classi
politiche, che avevano la capacità di una salda
organizzazione ed erano ancora abbastanza ricche di elementi
energici e devoti al pubblico bene, le quali hanno avuto od hanno
alla loro testa, anche in momenti difficili, duci mediocrissimi e
qualche volta corrotti, e che perciò, in altre parole, hanno
dovuto sopportare o sopportano il rex fatuus di cui parla la Bibbia,
come di uno dei flagelli dei quali Dio si serve per castigare i
popoli.
Per spiegare questo fatto si possono addurre molte ragioni e
principalmente questa che una classe politica nella scelta dei suoi
duci supremi è in certo modo prigioniera delle idee e dei
criteri che in proposito essa ha adottato; idee e criteri che sono
un risultato della sua storia e del grado di maturità
intellettuale alla quale essa è pervenuta, e che
perciò non si possono da un giorno all'altro mutare. Tali
sarebbero, ad esempio, il criterio ereditario ed anche quello
elettivo, quando i meccanismi elettorali si cristallizzano e
diventano uno strumento comodo in mano di piccole cricche di
politicanti, che se ne servono per arrivare al potere e per restarvi
il più lungamente possibile.
Ciò premesso, si deve però constatare che, quando una
civiltà od una nazione hanno avuto una classe dirigente
vitale ed energica, il danno prodotto dalla fatuità, ed anche
dalla malvagità dei suoi duci supremi, è stato assai
minore di quanto si potrebbe aspettare. Difatti, malgrado che
qualche storico abbia tentato di riabilitarli, crediamo che si possa
sicuramente ammettere che Caligola, forse anche Claudio, e
certamente Nerone, non erano per le loro qualità personali
uomini adatti a stare a capo di un organismo politico così
importante come l'impero romano. Eppure si sa che, se della loro
stravaganza e nequizia e di quella degli uomini che erano i loro
immediati strumenti ebbero molto a soffrire le grandi famiglie
romane, che stavano a contatto diretto con l'imperatore, viceversa
il resto del mondo, durante il loro governo, continuò a
godere della pace romana e ad assorbire quella cultura che
un'amministrazione relativamente saggia ed ordinata sapeva
diffondere per tutte le provincie. Come pure è notorio che
Giorgio III d'Inghilterra fu uomo di poco ingegno, testardo ed
afflitto inoltre da frequenti accessi di vera follia e che,
ciò non ostante e malgrado che l'influenza funesta della
regale volontà siasi alle volte fatta sentire in modo
pernicioso per la cosa pubblica, durante il suo lunghissimo regno la
Gran Bretagna conquistò l'India ed il Canada, vinse
Napoleone, gettò le basi salde del suo impero mondiale e
diventò la padrona assoluta dei mari457.
E se vogliamo poi approfondire di più l'argomento, facilmente
possiamo constatare che l'opera più duratura ed efficace di
tutti i grandi capi di stato, le cui gesta sono ricordate dalla
storia, consistette in una felice trasformazione della classe
politica della quale resero migliore il reclutamento e
perfezionarono gli ordinamenti; con questa riserva che alle volte
l'opera accennata era stata iniziata e condotta a buon punto dai
loro immediati predecessori.
Infatti gli storici hanno molto disputato, e forse ancora molto
disputeranno, sulle vere intenzioni di Augusto, ma tutti concordano
nel riconoscere che egli compì la trasformazione della antica
organizzazione repubblicana in un'altra più adatta ai bisogni
dei tempi e che rinsanguò la vecchia classe politica romana,
decimata da quasi un secolo di guerre civili, introducendovi molti
elementi nuovi; concetto che poi fu ripreso e completato da
Vespasiano, il quale fece entrare in Senato i rappresentanti di
molte fra le più illustri famiglie italiche. Si sa che in
Francia la formazione dello Stato assoluto burocratico fu il
principale risultato dell'opera costante ed assidua di Richelieu,
Mazarino e Luigi XIV e dei suoi ministri Louvois e Colbert; i quali
tutti seppero a poco a poco creare un'amministrazione salda ed
efficace, una finanza corrispondente ai nuovi bisogni dello Stato ed
un forte esercito stanziale. Analogamente nell'Europa orientale la
trasformazione dell'antica e debole Moscovia in quell'impero degli
Czar, che tanto pesò sui destini dell'Europa e dell'Asia,
avvenne mediante le successive riorganizzazioni della classe
politica dovute agli sforzi di Ivano IV il terribile, di Pietro il
Grande e di Caterina II458. Ed infine non bisogna dimenticare che
Alessandro Magno non avrebbe potuto conquistare la Persia e
diffondere la cultura ellenica per tanta parte del mondo asiatico se
suo padre Filippo non avesse riorganizzato di sana pianta la
Macedonia e non avesse saputo creare l'esercito macedone459. Ed una
analoga riflessione si potrebbe fare a proposito di Federico il
Grande di Prussia e del suo immediato predecessore.
E se dopo la prova vogliamo fare la controprova, facilmente possiamo
constatare che, quando il caso o la disperazione hanno fatto
sì che un uomo superiore arrivasse a capo di un organismo
politico in completa dissoluzione, i suoi sforzi sono stati quasi
sempre impotenti a salvare lo Stato od a ritardarne notevolmente la
fine. L'infelice imperatore Magioriano, di cui tutti gli storici
lodano concordemente l'energia, l'alto intelletto e le ottime
intenzioni, non riuscì a ritardare forse neppure di un anno
la caduta dell'Impero romano d'occidente460. L'impero di Bisanzio
potè essere rinvigorito dalla dinastia isaurica nell'ottavo
secolo e potè acquistare nuova vitalità nel nono e
decimo secolo sotto la dinastia macedone poichè le sue classi
dirigenti conservavano ancora, nelle epoche accennate, notevoli
riserve di forza intellettuale e di patriottismo e le popolazioni
potevano ancora fornire larghe entrate all'erario e numerosi
soldati. Ma, alla fine del secolo decimoquarto, la civiltà
bizantina era così esaurita che i cronisti contemporanei
poterono scrivere che l'imperatore Manuele IV avrebbe salvato
l'impero se questo avesse potuto ancora essere salvato; ed è
noto poi come, qualche generazione dopo, la condotta energica e la
morte eroica dell'ultimo imperatore Costantino Dragases non abbia
ritardato che di poche settimane la caduta della capitale e la fine
dello Stato461.
II. – Senonchè, molti, che crederanno forse facilmente che vi
possa essere un rapporto abbastanza stretto fra le qualità
morali ed intellettuali del capo supremo di uno Stato e del gruppo
dei suoi immediati coadiutori e quello dell'intiera classe politica,
sarebbero molto restii ad ammettere l'esistenza di un identico
rapporto fra l'intiera classe politica e la grande massa dei
governati. Mentre noi opiniamo al contrario che questo secondo
rapporto sia più sicuro e costante del primo; perchè
molti elementi occasionali, che agiscono solo in dati momenti, quali
sarebbero la prevalenza di alcune dottrine politiche, la
volontà dei pochi uomini che già occupano le cariche
supreme e quelli che si chiamano i casi fortuiti, perchè
imprevedibili, e fra questi si potrebbe mettere anche la nascita,
hanno un'azione assai più efficace quando si tratta di
determinare la scelta di coloro che arriveranno ai primissimi posti
anzichè nello stabilire i criteri in base ai quali si esplica
quella grande e continua selezione da cui viene fuori tutta la
classe dirigente.
Nei tempi nei quali abbiamo vissuto ci è capitato spesso di
sentire affermare che il popolo è naturalmente buono e
virtuoso e che la classe dirigente è viziosa e corrotta, e
non diciamo che questa affermazione non possa avere talvolta una
qualche parvenza di verità. Ma coloro che la fanno quasi
sempre non tengono conto che è facile di conservare certe
virtù quando è materialmente impossibile di acquistare
certi vizi, che ad esempio la prepotenza non può essere
praticata dai deboli e che il lusso, lo spreco insensato ed il
soverchio amore dei godimenti sono inaccessibili ai poveri. Volendo
fare quindi un paragone esatto fra il senso morale di due classi
sociali diverse, sarebbe necessario di osservare i costumi e le
tendenze di coloro che dalla classe più bassa riescono ad
innalzarsi e ad entrare in quella più alta, e solo se essi ed
i loro figli fossero realmente migliori dei loro nuovi compagni di
classe si potrebbe con qualche sicurezza proclamare la
superiorità morale della classe diretta rispetto a quella
dirigente. Non sembra che un'indagine di questo genere dia in
generale risultati favorevoli per i nuovi arrivati.
Si potrà obiettare che fra le classi dirette solo i peggiori
riescono a farsi avanti e ad entrare nelle classi dirigenti; ma
l'obiezione ci sembra fondata sopra una concezione incompleta e
confusa, e quindi inesatta, dei criteri secondo i quali è
regolata la lotta per la preminenza sociale, criteri nei quali
bisogna rintracciare la causa prima del "per che una gente impera ed
altra langue". Senza dubbio vi sono alcune qualità che in
tutti i tempi ed in tutti i luoghi devono esser possedute da coloro
che dal basso riescono a salire in alto, qualità che anche i
loro discendenti devono fino ad un certo punto conservare, se non
vogliono ricadere nella condizione dei loro padri o dei loro
antenati, e tali sarebbero la capacità di lavoro e la
costante volontà di innalzarsi e di restare in alto; ma ve ne
sono altre variabili assai secondo i tempi ed i luoghi e che
rispondono appunto ai bisogni ed alla natura delle varie epoche ed
alle tendenze dei vari popoli. Ed in generale si può dire che
in ogni società il successo, a parità di circostanze,
è a preferenza riservato a quegli individui che posseggono in
modo eminente le doti che in quella società sono più
comuni, e quindi più apprezzate.
Infatti è evidente che per riconoscere ed apprezzare il
valore di una qualità intellettuale o morale nei nostri
simili bisogna in qualche modo possederla: è questa una
regola che crediamo di potere enunciare basandoci sull'esperienza
della vita, e di cui ognuno, guardandosi attorno, può
constatare la verità. Si sa che per sentire il fascino di un
grande artista bisogna fino ad un certo punto possedere il senso
dell'arte, e nello stesso modo per ammirare sinceramente un gran
coraggio od una grande rettitudine bisogna essere coraggiosi e
retti; poichè non è possibile di comprendere le
qualità più nobili dell'intelligenza e del carattere
umano se esse sono totalmente estranee alla nostra natura.
Viceversa, dove la furberia, l'intrigo e la ciarlataneria sono molto
comuni e pregiate, i più furbi, i più intriganti ed i
più ciarlatani, a parità di condizioni, faranno
fortuna; dove la maggioranza crede che l'inganno sia la via migliore
per raggiungere il successo, lo conseguiranno preferibilmente coloro
che raggiungeranno l'eccellenza nell'arte dell'ingannare.
Naturalmente in tutti i paesi ed in tutti i tempi l'uomo che vuole
farsi avanti dove avere un certo grado di quella che comunemente si
chiama abilità; cioè deve possedere l'attitudine a far
valere le proprie doti e ad imporsi all'attenzione, e qualche volta
all'ammirazione, dei propri simili, rendendoli persuasi della
propria superiorità462. Ma il genere di abilità
necessario alla riuscita varia molto secondo i tempi ed i luoghi. Si
sa che vi è la magia bianca e quella nera, la prima basata
sulle qualità superiori dell'ingegno e del carattere, la
seconda sulle inferiori. Forse in nessun paese ed in nessun luogo la
magia bianca è riuscita e riesce veramente efficace se non
è mescolata ad un poco di quella nera, o quanto meno all'arte
di mettere in mostra i lati migliori del proprio carattere e della
propria intelligenza, tenendo nella penombra quelli peggiori; ma le
dosi della mescolanza possono variare assai da una nazione ad
un'altra e nella stessa nazione secondo le epoche. Variano
perchè generalmente quando, in un dato ambiente sociale, la
quantità di magia nera è soverchia, il gusto del
pubblico non la tollera, e l'individuo che di questa mescolanza fa
uso resta squalificato, come succede al giocatore che bara. Ora
riesce evidente che, in un ambiente di gusto più raffinato,
si faranno avanti a preferenza coloro che meglio sanno e possono
usare le arti della magia bianca, mentre precisamente il contrario
accadrà in quegli altri nei quali più comuni, e quindi
più tollerate, sono quelle della magia nera.
Studiando la storia dei popoli noi possiamo facilmente constatare
che ve ne sono stati e ve ne sono di quelli che hanno lungamente
subito e subiscono la dominazione straniera, o che sono stati
lungamente governati da aristocrazie di origine straniera. Tale
è stato, ad esempio, il caso dell'Egitto dopo la dominazione
persiana, dell'India, dopo le prime invasioni maomettane, avvenute
verso il mille dell'era volgare, e fino ad un certo punto della
Russia463; nella quale la formazione del primo impero si dovette ad
un gruppo di avventurieri scandinavi e dove, dopo Ivano IV e sopra
tutto dopo Pietro il Grande, elementi stranieri entrarono in gran
numero nella sua classe dirigente.
Ed alle volte è avvenuto che, fino a quando la classe
dominatrice di origine straniera si è mantenuta abbastanza
pura, lo Stato ha conservato la sua forza ed il paese la sua
prosperità; ma poi, a misura che la detta classe si andava
fondendo e confondendo con gli elementi indigeni, la compagine
politica si è indebolita o la nazione è ricaduta
nell'anarchia od in un'altra dominazione straniera.
Or questi fatti, quando si sono costantemente ripetuti ed hanno
durato per lungo volgere di secoli, dimostrano che l'elemento
indigeno di quelle nazioni nelle quali sono accaduti non possedeva
le attitudini, le virtù necessarie a cavare dal proprio seno
una classe dirigente degna di dirigere e che, se in origine queste
virtù aveva posseduto, come fu il caso dell'Egitto e
dell'India, le aveva in seguito perdute. Abbiamo già detto
quanto il comandare sia più difficile dell'obbedire e, quando
un popolo od una razza non possiedono elementi atti al comando, o
quando questi elementi intisichiscono e non possono svilupparsi,
perchè soffocati dalla generale mediocrità
intellettuale e morale, allora questo popolo o questa razza sono
destinati ad obbedire agli stranieri, o ad elementi dirigenti di
origine straniera.
Questa ultima osservazione, insieme a quelle che già abbiamo
fatto in questo e nel precedente capitolo, permettono di fare meglio
rilevare la grande importanza pratica che è destinata ad
assumere la nuova dottrina, la quale mira a concentrare gli sforzi
degli studiosi nell'indagine relativa alla formazione ed
organizzazione delle varie classi politiche.
Infatti le antiche e viete classificazioni di Aristotile e di
Montesquieu mettevano in fondo un'etichetta comune a vasi il cui
contenuto era quanto mai disparato; per la prima, ad esempio,
potevano senz'altro essere classificate come democrazie quella di
Atene e quella che attualmente è in vigore nella Svizzera o
negli Stati Uniti d'America; e per la seconda potevano essere messe
fra le repubbliche quella di Roma antica e quella di Venezia, o
anche quelle dell'Argentina e del Brasile. Mentre la nuova dottrina
non ha saputo ancora trovare delle etichette ma costringe a studiare
il contenuto dei vasi, ad indagare ed analizzare i criteri che
prevalgono nella formazione di quelle classi dirigenti dalle quali
dipende, come si è visto, la forza o la debolezza degli
Stati, e nelle quali si può sempre trovare l'immagine fedele
delle virtù e delle manchevolezze politiche di ogni popolo e
di ogni razza. Il nuovo metodo è certamente più
difficile e richiede sopratutto uno spirito di osservazione, una
esperienza della vita politica ed una cultura storica infinitamente
superiori a quelle che potevano bastare coi metodi antichi; ma esso
è indiscutibilmente più positivo, e può
condurre, se usato con discrezione e con la dovuta preparazione, a
risultati più sicuri; e finalmente è più
corrispondente a quel grado di maturità intellettuale che gli
elementi più colti della presente generazione hanno
già quasi raggiunto.
III. – Ma anche il nuovo metodo potrà dare tutti i suoi
frutti solo quando saranno distrutti certi preconcetti che
rappresentano i residui della mentalità dei secoli
decimottavo e decimonono, preconcetti i quali impediscono che esso
sia efficacemente applicato allo studio dei fatti politici o che
almeno ne ostacolano e conturbano l'applicazione. Abbiamo già
ricordato nella prima parte di questo lavoro che il disimparare
è cosa assai più difficile dell'imparare; aggiungeremo
ora che il maggiore ostacolo alla prevalenza di un'idea o di un
metodo più conformi alla verità si riscontra quando
l'intelletto umano è già abituato ad un'altra idea o
ad un altro metodo meno perfetti, che lo ingombrano e impediscono
che in esso concetti nuovi possano agevolmente penetrare.
Or precisamente uno dei sistemi d'idee oggi molto diffusi e che
rendono difficile la retta visione del mondo politico è
quello che viene comunemente chiamato materialismo storico, il quale
non è soltanto un articolo di fede per i moltissimi seguaci
del Marxismo, ma ha eziandio più o meno influenzato molti di
coloro che alle dottrine marxistiche completamente non aderiscono.
Ed il pericolo maggiore della diffusione del cennato sistema e della
grande influenza intellettuale e morale che esercita consiste nella
piccola parte di verità che esso contiene; perchè
nella scienza, come in generale nella vita, le bugie più
pericolose sono quelle mescolate con una certa dose di
verità, che serve a meglio mascherarle ed a colorirlo in modo
da renderle facilmente credibili. Sicchè, sebbene tanto nella
prima che nella seconda parte di questo lavoro, non manchino molti
accenni diretti ed indiretti alla fallacia della detta dottrina,
crediamo indispensabile di tornare di proposito sull'argomento.
Il materialismo storico si può riassumere in due proposizioni
che ne costituiscono, per dir così, gli assiomi fondamentali,
sui quali si basa la dimostrazione di tutti i teoremi che ne
derivano.
Secondo il primo assioma, tutta l'organizzazione politica, giuridica
e religiosa di una società sarebbe costantemente subordinata
al tipo prevalente di produzione economica ed alla natura dei
rapporti che esso crea fra i detentori dei mezzi di produzione ed i
lavoratori manuali. Perciò, cambiando il sistema di
produzione economica, dovrebbero necessariamente cambiare la forma
di Governo, la legislazione che regola i rapporti fra gli individui
e fra questi e lo Stato e finalmente anche quelle concezioni
religiose e politiche che forniscono la base morale
all'organizzazione dello Stato; come sarebbero, ad esempio, il
concetto del diritto divino dei Re o quello della sovranità
popolare. Il fattore economico sarebbe quindi la causa unica ed
esclusiva di tutti i mutamenti materiali, intellettuali e morali che
avvengono nelle società umane e tutti gli altri fattori non
sarebbero tali, ma dovrebbero essere considerati come semplici
effetti e conseguenze di esso.
Il secondo assioma, che sarebbe in certo modo un postulato del
primo, afferma che ogni epoca economica racchiude i germi i quali,
mano mano maturandosi, rendono necessario l'avvento di quella
successiva con la conseguente trasformazione di tutta l'impalcatura
politica, religiosa e legislativa della società.
Perciò, durante la presente epoca borghese, sopratutto
mediante l'accentramento progressivo della ricchezza in pochissime
mani, si andrebbero preparando quelle condizioni economiche e
sociali, che quanto prima dovrebbero rendere inevitabile e fatale il
collettivismo. Quando poi si sarà arrivati a quest'ultima
fase dell'evoluzione storica, sparirà per sempre ogni
disuguaglianza fondata sulle istituzioni sociali, sarà reso
impossibile il predominio e lo sfruttamento esercitato da una classe
a danno delle altre e verrà inaugurato un nuovo sistema
basato, non già sull'egoismo individuale, ma sulla
fratellanza universale464.
Ora riguardo al primo assioma faremo anzitutto osservare che si
potrebbero addurre moltissimi esempi storici per dimostrare che
nelle società umane sono avvenuti cambiamenti
importantissimi, i quali ne hanno mutato radicalmente gli
ordinamenti politici, ed alle volte anche le concezioni fondamentali
sui quali questi ordinamenti erano fondati, senza che vi sia stata
una contemporanea, o quasi contemporanea, modificazione nei sistemi
di produzione economica e nei rapporti fra i detentori degli
strumenti di produzione ed i lavoratori. La repubblica romana, ad
es., si trasformò nell'impero di Augusto e dei suoi
successori, e perciò lo Stato città classico
diventò un organismo politico a base burocratica, senza che i
sistemi di produzione si fossero minimamente modificati e senza che
le leggi che regolavano la proprietà e la distribuzione della
ricchezza si fossero alterate. Il solo cambiamento che avvenne, e
che non fu certamente generale, fu quello delle persone dei
proprietari, perchè, sopratutto dopo la seconda guerra
civile, molti beni dei privati furono confiscati e distribuiti ai
soldati dei triumviri465. Il trionfo del Cristianesimo
apportò nel mondo antico un grande rivolgimento intellettuale
e morale; molte idee fondamentali, molti sentimenti, e per
conseguenza molte istituzioni, e basterebbe in proposito ricordare
il matrimonio ed altri rapporti di famiglia, furono dalla nuova
religione modificati; ma non consta, anzi si può escludere,
che lo stesso sia avvenuto nel quarto e quinto secolo dell'era
volgare nei rapporti fra coloro che possedevano gli strumenti della
produzione economica, dei quali principalissimo era allora a terra,
ed i lavoratori manuali.
È difficile citare un rivolgimento di tutta una
società paragonabile per la sua importanza alla caduta
dell'impero romano di occidente, all'inabissarsi della splendida
civiltà antica in tanta parte d'Europa466; eppure noi vediamo
che il sistema di produzione economica restò identico prima e
dopo le invasioni dei barbari; giacchè oggi è notorio
che il colonato, e quindi la servitù della gleba, non
trassero origine dalle invasioni barbariche, ma erano già
istituzioni generalizzate nel Basso Impero. Si potrebbe invero
citare come uno dei coefficienti della caduta dell'impero
d'Occidente l'esaurimento economico della società di
quell'epoca, dovuto alla diminuzione della produzione e quindi della
ricchezza; ma, esaminando attentamente il fenomeno, si vede che il
generale impoverimento fu piuttosto un effetto anzichè una
causa della decadenza politica, perchè esso fu in gran parte
dovuto alla cattiva amministrazione finanziaria467.
E, se dall'antichità veniamo a tempi meno remoti, vediamo in
Italia, verso la fine del secolo decimoterzo e durante il secolo
decimoquarto, i Comuni trasformarsi generalmente in Signorie senza
che i sistemi di produzione, e quindi i rapporti fra i lavoratori ed
i detentori delle terre e dei capitali si fossero sensibilmente
modificati. Analogamente vediamo in Francia costituirsi lo Stato
moderno assoluto e cominciare a formarsi il medio ceto, durante il
secolo decimosettimo, senza che fosse contemporaneamente avvenuta
nessuna importante modificazione nei sistemi di produzione e nei
rapporti economici che ne derivano; perchè la servitù
della gleba era in quell'epoca quasi dappertutto scomparsa e non ne
restavano che quelle poche traccie, che durarono fino alla grande
rivoluzione francese.
Nè si deve credere che vi sia un perfetto sincronismo fra il
sorgere della grande industria moderna e l'adozione del sistema di
governo rappresentativo, con la conseguente diffusione delle idee
liberali, democratiche ed anche socialiste. Infatti in Inghilterra
gli inizi della grande industria si ebbero nella seconda metà
del secolo decimottavo, quando il governo parlamentare funzionava
già da circa mezzo secolo, ma la classe dirigente conservava
ancora le sue antiche basi aristocratiche. In Francia, in Germania,
negli Stati Uniti d'America ed in tutto l'occidente d'Europa, lo
sviluppo della grande industria ed il grande accentramento di
capitali e di operai, che ne è la conseguenza, ebbe luogo in
generale dopo il 1830; perchè allora soltanto cominciò
ad essere diffusa l'applicazione del vapore alle navi ed ai
trasporti terrestri ed il carbon fossile acquistò
un'importanza capitale come fattore materiale della produzione.
Tutto quello che in proposito si può concedere è che
la grande fabbrica, con le grandi agglomerazioni di lavoratori
manuali che essa ha reso necessarie, ha contribuito fortemente allo
sviluppo ed alla popolarizzazione delle idee comuniste, che erano
state già precedentemente enunciate e che sono in fondo il
corollario naturale di quelle democratiche, già formulate da
Rousseau468.
Con ciò non si vuole negare che il sistema prevalente di
produzione economica, coi particolari rapporti che esso determina
fra coloro che la produzione dirigono e che ne posseggono gli
strumenti ed i loro coadiutori, non sia uno dei fattori che
maggiormente influiscono nel modificare gli ordinamenti politici di
una società e che questo fattore non abbia il suo necessario
contraccolpo anche nelle concezioni che servono di fondamento morale
agli ordinamenti accennati. L'errore del materialismo storico sta
nel credere che il fattore economico sia l'unico degno di essere
considerato come causa e che tutti gli altri debbono essere
riguardati come suoi effetti; mentre ogni grande esplicazione
dell'umana attività nel campo sociale è nello stesso
tempo causa ed effetto dei mutamenti che avvengono nelle altre:
causa, perchè ogni sua modificazione influisce sulle altre;
ed effetto, perchè sente l'influenza delle loro
modificazioni469.
Nessuno ha mai affermato, e speriamo che nessuno mai
affermerà, che le mutazioni che avvengono negli ordinamenti
politici abbiano come causa unica quelle che il cambiamento delle
armi, della tattica e dei sistemi di reclutamento hanno già
introdotto negli ordinamenti militari. Eppure abbiamo già
ricordato, nel corso del presente lavoro, quali effetti politici
abbia avuto nella città greca la sostituzione degli opliti,
come arma decisiva, agli antichi carri da guerra ed alla cavalleria
e come la vittoria definitiva della regalità sulla
feudalità, vittoria che ebbe luogo nel periodo che corre fra
la metà del secolo decimoquinto e la metà del
decimosettimo, sia stata in gran parte dovuta all'introduzione ed al
perfezionamento continuo delle armi da fuoco470. Aggiungeremo ora
che un esame attento della storia dell'ultimo secolo della
Repubblica romana potrebbe mettere in luce gli effetti politici
della modificazione introdotta nel reclutamento delle legioni da
Caio Mario, il quale arruolò anche i nullatenenti ed i figli
dei liberti, che prima, tranne in momenti eccezionalissimi, come ad
esempio verso la fine della seconda guerra punica, erano esclusi dal
servizio militare471. E, quando si potrà con mente serena
fare la storia del secolo decimonono e del ventesimo, facilmente si
potranno mettere in evidenza gli effetti politici del servizio
militare obbligatoriamente esteso a tutti i cittadini, che,
introdotto già dalla rivoluzione francese, venne poi adottato
e perfezionato prima dalla Prussia e poi dagli altri Stati del
continente europeo.
E diremo pure che ci sembra assurdo di annoverare fra i semplici
effetti, senza dar loro mai la dignità di causa, quelle
dottrine politiche e quelle credenze religiose, che forniscono agli
organismi statali la base morale e che, penetrando profondamente
nella coscienza delle classi dirigenti e delle masse, legittimano e
disciplinano il comando e giustificano l'obbedienza e creano quegli
speciali ambienti intellettuali e morali, che tanto contribuiscono a
determinare i fatti storici ed a dirigere perciò il corso
degli avvenimenti umani. Senza il Cristianesimo e la forza che esso
acquistò nella coscienza delle masse e delle classi dirigenti
e senza il tenace ricordo dell'unità che il mondo civile avea
conseguito sotto Roma, non si spiegherebbe la lotta secolare fra il
Papato e l'Impero, che fu uno degli avvenimenti principali della
storia medioevale. Come senza Maometto ed il Corano non sarebbe
sorto il grande Stato musulmano, che tanta parte ha avuto ed ha
ancora nella storia del mondo e che, dove ha potuto impiantarsi e
durare, ha introdotto uno speciale tipo di civiltà. E, se noi
non avessimo ereditato dai nostri lontani antenati Greci e Latini la
concezione della libertà politica e la dottrina della
sovranità popolare, che fu poi adattata ai tempi nuovi e
modificata da Rousseau e dagli altri scrittori politici del secolo
decimottavo, non sarebbe sorto lo Stato rappresentativo moderno e
l'organizzazione politica europea del secolo decimonono non si
sarebbe così profondamente differenziata da quella del secolo
decimottavo472.
Ed è inutile discutere se le forze morali hanno preponderato
su quelle materiali più di quanto queste abbiano messo al
loro servizio quelle morali. Come crediamo di avere già
dimostrato nella prima parte di questo lavoro, ogni forza morale
cerca, appena può, d'integrarsi creando a suo vantaggio una
base d'interessi costituiti, ed ogni forza materiale procura di
giustificarsi appoggiandosi a qualche concezione d'ordine
intellettuale e morale473.
In India le popolazioni di razza ariana aveano certo da parecchi
secoli sottomesso e relegato negli strati inferiori della
società gli indigeni di razza dravidica quando gli scrittori
dei Vedas insegnarono che i Bramini uscirono dalla testa di Brama, i
Ksiatria dalle braccia e le caste inferiori, ossia i Vaisia ed i
Sudra, dalle gambe e dai piedi del Dio. Il Cristianesimo nacque come
forza puramente intellettuale e morale, eppure, appena fu molto
diffuso, si tramutò in forza anche materiale; acquistò
ricchezze, seppe premere sui pubblici poteri ed infine i suoi
vescovi ed i suoi abati divennero anche sovrani. Nel Maomettismo la
concezione religiosa si integrò subito coll'esercizio del
potere sovrano, ma, senza la conversione disinteressata e sincera
dei suoi primi seguaci, ciò non sarebbe stato possibile.
Infine anche il moderno socialismo nacque come pura forza
intellettuale e morale, ma oggi, dove può e quanto
può, cerca di creare tutta una rete d'interessi materiali, la
quale serve mirabilmente a mantenere fedeli i gregari ed a
rimunerare la classe dirigente che in esso si è costituita. E
d'altra parte oggi anche le influenze puramente materiali della
plutocrazia cercano di mascherarsi, sovvenendo largamente giornali
di tinta spiccatamente democratica, influendo sui comitati
elettorali, chinando la cervice al battesimo della sovranità
popolare e mandando spesso nei Parlamenti i propri rappresentanti a
sedere fra le file dei partiti più avanzati.
La verità è dunque che i grandi fattori della storia
umana sono così complessi ed intrecciati fra di loro che
qualunque dottrina semplicista, che voglia determinare quale sia fra
essi il principale, quello che non è mosso giammai ma muove
sempre gli altri, conduce necessariamente a conclusioni e ad
applicazioni errate; specialmente quando essa intende spiegare,
seguendo il metodo cennato e guardandoli da un solo punto di vista,
tutto il passato ed il presente dell'umanità. E peggio ancora
accade quando, seguendo lo stesso sistema, se ne vuole predire il
futuro.
Dovremmo ora occuparci del secondo degli assiomi sui quali si fonda
il materialismo storico, ma, come abbiamo già accennato, esso
può essere considerato come una conseguenza del primo e
quindi perde ogni importanza quando questo è distrutto. Ad
ogni modo faremo rilevare come l'affermazione generica che ogni
epoca storica contiene i germi, i quali poi sviluppandosi la
trasformeranno in quella immediatamente successiva, equivale ad
enunciare una verità così evidente e di tanto facile
percezione per coloro che hanno una certa pratica della storia da
potere essere considerata quasi come un luogo comune; e ricorderemo
incidentalmente che alla regola accennata abbiamo già
parecchie volte dovuto fare allusione nel corso del presente lavoro.
Senonchè per il Marx questi germi sarebbero soltanto quelli
d'indole economica, mentre noi crediamo di aver dimostrato che sono
molto più numerosi e complessi.
E questa limitata visione del fenomeno sarebbe già
sufficiente a far respingere l'affermazione, che è uno dei
capisaldi della dottrina marxista, secondo la quale la presente
epoca borghese starebbe maturando, o secondo altri avrebbe
già maturato, quei germi che renderanno inevitabile l'avvento
del collettivismo. Ma, anche astraendo da questa considerazione,
è noto che omai la statistica ha dimostrato che quella
concentrazione della ricchezza e dei mezzi di produzione in
pochissime mani, che avrebbe dovuto preludere alla loro
collettivizzazione ed avrebbe reso facile all'infinita falange dei
proletari l'espropriazione dei pochissimi proprietari, non era prima
della grande guerra avvenuta e neppure era incamminata verso una sua
prossima attuazione474. E, se la guerra ha recentemente dappertutto
più o meno peggiorato la condizione delle classi medie,
ciò è dovuto ad altre cause non preannunziate
nè previste dal materialismo storico; ed anche oggi se la
compagine dello Stato borghese è stata in qualche paese
distrutta, ed in altri si dimostra molto scossa, ciò non
avviene per la concentrazione della ricchezza in pochissime mani, ma
per ben altre ragioni alle quali avevamo già accennato nella
prima parte di questo lavoro e sulle quali dovremo ancora tornare
nel capitolo seguente.
Assolutamente fantastica poi ci sembra la conclusione del secondo
assioma e di tutta la dottrina del materialismo storico: cioè
che, una volta attuato il collettivismo, esso sarà l'inizio
di un'era di uguaglianza e di giustizia universale, durante la quale
lo Stato non sarà più l'organo di una classe e quindi
non ci saranno più sfruttati e sfruttatori. Non ci
attarderemo a confutare ancora una volta questa vera utopia,
perchè, insieme a tanti altri scrittori, anche noi l'abbiamo
già confutato durante tutto il presente lavoro. Ricorderemo
soltanto che essa è la conseguenza naturale e necessaria di
quella concezione ottimistica della natura umana che, nata nel
secolo decimottavo, non ha ancora compiuto, ma è forse
prossima a compiere, il suo ciclo storico. Concezione in base alla
quale l'uomo nasce buono e la società, o meglio le
istituzioni sociali, lo renderebbero malvagio; sicchè,
cambiando queste, la stirpe di Adamo, come liberata da una ferrea
compressione, avrebbe potuto esplicare tutta la sua naturale
bontà. Ed è ovvio che i seguaci di questa scuola
dovessero indicare la proprietà privata come origine prima ed
unica dell'egoismo umano, anzichè ammettere, come già
aveva fatto Aristotile, che l'egoismo fosse la causa che rendeva
inevitabile la proprietà privata475.
Difatti a cominciare da Morelly, da Mably e da Babeuf, venendo fino
a Luigi Blanc, a Proudhon ed a Lassalle, tutti gli scrittori che
hanno voluto tracciare un piano completo di rigenerazione umana
hanno sempre messo nel loro programma l'attuazione parziale e
graduale, ovvero completa ed immediata, del comunismo e l'abolizione
della proprietà privata. Il Marx, invece, seguendo in certo
modo le indicazioni di Pietro Léroux, sostituì al
piano concepito da un individuo il fatale corso della storia, che,
secondo lui, doveva condurre allo stesso risultato. E senza dubbio
il metodo da lui adottato si è dimostrato in pratica assai
più efficace di quello dei suoi predecessori; perchè
non si può criticare e demolire ciò che si presume che
debba fatalmente avvenire, come si critica e si demolisce un
progetto di riforme fondamentali, che poggia soltanto
sull'autorità di un uomo; e perchè, fra tutti gli
argomenti a favore di una dottrina, il più convincente di
tutti è quello che ne vuole dimostrare inevitabile il
più o meno prossimo trionfo.
IV. — Un'altra concezione, che, dal tempo in cui Platone scrisse i
suoi dialoghi, ha preoccupato, più o meno, le menti di coloro
che hanno meditato sopra argomenti politici, è quella secondo
la quale al Governo di un paese dovrebbero arrivare i migliori; e
conseguenza di questa aspirazione è stato, e forse è,
lo studio di trovare un sistema politico il quale faccia sì,
o almeno renda possibile, che tale concetto diventi una
realtà. Naturalmente, negli ultimi decenni del secolo
decimottavo e durante la prima metà del secolo decimonono, e
magari anche per qualche decennio ancora, la cennata aspirazione si
è intensificata, perchè essa ha trovato alimento in
quella opinione ottimista sulla natura umana della quale abbiamo
fatto tante volte parola; opinione la quale rendeva facile supporre
che, cambiando le istituzioni, si sarebbero senz'altro soppressi od
atrofizzati tutti gli istinti meno nobili che travagliano la povera
umanità.
Or, per esaminare quel tanto di vero e di falso che ci può
essere nell'idea accennata, conviene anzitutto stabilire chi siano
coloro che meritano di essere appellati migliori.
Ed anzitutto ci sembra evidente che, nel linguaggio comune, essendo
la parola migliore il comparativo ed, usata in senso assoluto, anche
il superlativo di buono, essa dovrebbe servire ad indicare quelle
persone che, rispetto al comune degli uomini, possono essere
giudicate di eccezionale bontà. I migliori dovrebbero
perciò essere i più altruisti, i più inclinati
a sacrificare se stessi agli altri, anzichè gli altri a se
stessi, coloro che nella vita molto danno e poco ricevono, che,
secondo Dora Melegari, sono più faiseurs de joie
anzichè faiseurs des peines476; e nei quali quindi più
compressi e domati sono gli istinti che mirano soltanto a superare
od a sopprimere gli ostacoli che si frappongono alla soddisfazione
delle proprie passioni e dei propri interessi.
Ma si dovrebbe omai sapere che la bontà, intesa in questo
senso, che è poi quello letterale, è una
qualità la quale serve molto agli altri e quasi sempre assai
poco a coloro che la posseggono. Essa tutto al più riesce
poco nociva quando si ritrova in persone nate od arrivate, quasi per
caso, in posizione sociale talmente elevata da togliere ogni
tentazione a coloro che vorrebbero abusarne. Ma, anche in questo
caso, l'individuo, al quale si può legittimamente applicare
l'aggettivo buono, deve sapere rinunziare a salire in alto tanto
quanto per le sue altre qualità gli sarebbe possibile.
Perchè per sollevarsi nella scala sociale, anche in tempi
calmi e normali, il primo requisito è senza dubbio la
costante capacità di lavoro, ma, immediatamente dopo, viene
l'ambizione, la volontà decisa di farsi avanti, di
primeggiare sui propri simili, e questa mal si concilia con una
soverchia sensibilità e, diciamolo pure, con la bontà.
La quale non può restare indifferente alle sofferenze di
coloro che, per farsi avanti, bisogna spingere indietro, e che,
quando è veramente profonda e sentita, si fa scrupolo di
calcolare i meriti, i diritti ed i dolori degli altri infinitamente
meno dei proprî.
E può sembrare a prima vista strano che gli uomini, i quali
in generale vorrebbero che i loro governanti avessero le
qualità morali più elevate e squisite e che pensassero
molto all'interesse pubblico e ben poco al proprio, poi, quando sono
essi stessi in ballo, e sopratutto quando cercano di farsi avanti e
di arrivare, se possono, ai posti più eminenti, non si curano
generalmente di osservare quei precetti che vorrebbero fossero guida
costante dei loro superiori. Mentre tutto quello che giustamente si
potrebbe a costoro richiedere è di non riuscire inferiori al
livello morale medio della società che governano, di
identificare fino ad un certo punto il loro interesse con quello
pubblico e di non commettere azioni troppo vili, basse e ripugnanti,
di quelle che squalificano, nell'ambiente in cui vive, l'uomo che le
ha compiute.
Senonchè l'espressione migliore applicata alla vita politica
può anche significare, ed anzi ordinariamente significa, che
l'uomo reputato tale possiede i requisiti che lo rendono più
atto a governare i proprî simili. Inteso in questo senso
l'aggettivo può essere sempre, in tempi normali, applicato
alle classi dirigenti, perchè il fatto che sono tali dimostra
che in una data epoca, ed in un dato paese, esse contengono gli
elementi più atti a governare; ciò che non sempre
significa che siano gli elementi più elevati
intellettualmente e sopratutto moralmente477. Perchè, per
governare gli uomini, più del senso della giustizia e molto
più dell'altruismo, e anche più della vastità
delle cognizioni e delle vedute, giovano la perspicacia, la pronta
intuizione della psicologia degli individui e di quella delle masse
e sopratutto la confidenza in se stessi e la forza di
volontà. E non per nulla poi Machiavelli metteva in bocca a
Cosimo dei Medici la famosa frase che abbiamo citato nella prima
parte di questo lavoro: che gli Stati cioè non si governano
coi paternostri.
Ed a questo proposito occorre analizzare una distinzione, che
già comincia ad entrare nella mentalità comune,
cioè quella fra uomo di Stato e uomo di Governo. Uomo di
Stato è colui che per la vastità delle sue cognizioni
e per la profondità delle sue vedute acquista una coscienza
chiara e precisa dei bisogni della società in cui vive e che
sa trovare la via migliore per condurla, con le minori scosse e le
minori sofferenze possibili, alla meta alla quale dovrebbe, o almeno
potrebbe, arrivare. Uomini di Stato in questo senso furono Cavour,
Bismark e Stolypine, il Ministro russo che nel 1906 comprese che in
Russia, dato l'aumento della popolazione e la necessaria
intensificazione dell'agricoltura, il sistema della proprietà
collettiva indivisa fra i contadini non poteva più durare e
promosse provvedimenti tali che, in mezzo secolo circa, avrebbero
creato colà una classe di contadini proprietari individuali
ed una vera borghesia rurale478. Mentre l'uomo di governo è
colui che ha le qualità richieste per arrivare ai posti
più elevati della gerarchia politica e per sapervi restare.
È una vera fortuna per i popoli quando alla loro testa vi
sono persone che alle qualità eminenti e rare dell'uomo di
stato sanno accoppiare quelle secondarie dell'uomo di governo, ed
è una fortuna meno grande, ma pure ragguardevole, quando i
suoi uomini di governo sanno trarre profitto delle vedute degli
uomini di Stato.
Platone nella conchiusione del suo dialogo sulle leggi, ribadendo un
concetto che può considerarsi come quello che appare
fondamentale nei suoi studi politici, dice che una città non
potrà essere bene governata finchè i Re, ossia i
governanti, non saranno filosofi, od i filosofi non saranno Re. Egli
naturalmente per filosofi intendeva i sapienti, coloro che
possedevano le cognizioni necessarie all'uomo di Stato e che erano
nello stesso tempo al disopra delle passioni basse e volgari479. Ora
qualche volta l'eredità od il caso hanno fatto sì che
a capo di uno Stato vi fosse un filosofo come l'intendeva Platone,
ma non sempre il filosofo Re è passato alla storia come il
modello di un buon reggitore di popoli480. Ed è difficile
assai poi che, in tempi normali, nella lotta per la preminenza, che
avviene fra coloro che aspirano ad arrivare ai posti supremi,
riportino la vittoria i filosofi come Platone li concepiva. Prima di
tutto perchè molto spesso la vera saggezza non eccita
l'ambizione ma la smorza, e poi perchè le alte qualità
del carattere e dell'intelletto non li avvicinano, ma piuttosto li
allontanano, dalle cariche più elevate; sopratutto quando non
sono integrate dalle qualità dell'uomo di governo e quando
l'individuo non ha abbastanza senso pratico per mettere, almeno per
qualche tempo, a dormire le prime e fare agire le altre481.
Come abbiamo già accennato si può esser quindi
contenti se al potere ci stanno uomini di governo il cui intelletto
e la cui moralità non sono al di sotto di quella media della
classe dirigente. Ed aggiungeremo che, quando il livello
intellettuale e morale di essa è abbastanza elevato per
comprendere ed apprezzare le concezioni dei pensatori che studiano a
fondo i problemi politici, non è necessario che questi ultimi
arrivino al potere per attuare i loro programmi; perchè la
pressione intellettuale della intiera classe politica, ciò
che comunemente appellasi la pubblica opinione, farà
sì che gli uomini di governo debbano più o meno
conformare la loro azione alle vedute di coloro che rappresentano
quanto di meglio l'intelligenza politica di un popolo sa e
può produrre.
V. — Il fatto che coloro i quali occupano ordinariamente le cariche
elevate non sono quasi mai i migliori in senso assoluto, ma
piuttosto gli individui che posseggono le qualità più
adatte a dirigere ed a padroneggiare i propri simili, dimostra
già come sia arduo e quasi impossibile, nei casi ordinari, di
applicare negli ordinamenti politici la giustizia assoluta, quale
l'uomo sa e può concepirla. Ma, siccome l'attuazione di
questo concetto è stato, da Platone in poi, il sogno di molte
anime nobili e di molte menti elevate e, diciamolo pure, anche il
comodo pretesto invocato da tanti ambiziosi, più o meno
volgari, per mettersi al posto di coloro che stavano in alto, ci
sembra opportuno di intrattenerci alquanto sopra di esso.
La giustizia assoluta negli ordinamenti politici naturalmente
dovrebbe significare che in ogni individuo il successo, il grado che
occupa nella scala politica, corrisponde perfettamente alla reale
utilità del servizio che egli ha reso o rende alla
società. In fondo si tratta dell'applicazione del concetto
che fu formulato in modo preciso forse per la prima volta da
Saint-Simon, concetto al quale abbiamo già accennato e che
fornì la formola famosa colla quale i sansimonisti
riassunsero il loro programma482.
La prima obiezione che sorge in proposito è quella relativa
alla difficoltà di valutare esattamente, e con una certa
sollecitudine, il valore esatto del servizio che ogni individuo ha
reso o rende, alla società di cui fa parte; e diciamo con
sollecitudine perchè, se la valutazione dovesse avvenire dopo
qualche secolo, o dopo alcune dozzine di anni, il guiderdone od il
castigo tarderebbero tanto che l'uomo al quale converrebbe di dare
l'uno o l'altro, sarebbe già nella tomba, o almeno in
età molto avanzata. Or, a farlo apposta, le benemerenze o gli
errori d'indole politica, dai più grandi ai più
piccoli, sono quelli i cui risultati si veggono ordinariamente a
più lunga scadenza. Difatti solo dopo un tempo ordinariamente
abbastanza lungo si può, con serenità e con una certa
sicurezza, giudicare se l'opera di un funzionario, un voto dato in
una Camera, o una deliberazione presa in un momento grave da un
Consiglio dei Ministri corrispondano o no agli interessi di un
paese. A dir vero gli uomini quasi sempre non aspettano tanto per
giudicare gli atti accennati, ma appunto perciò il loro
giudizio è tanto spesso influenzato dalle passioni e dagli
interessi, od artificiosamente sviato dalle arti dell'intrigo e
della ciarlataneria.
Ed alle volte, anche dopo che l'ala del tempo e le generazioni
trascorse hanno fatto tacere gli interessi e spento le passioni, e
che, insieme agli interessi ed alle passioni, sono venute meno le
opere dell'intrigo e della ciarlataneria, anche quando non vi sono
più turbe che applaudono perchè a ciò
ammaestrate, scrittori o giornali che in piena malafede vi esaltano
o vi deprimono, l'uomo per lo più è così fatto
che, pur essendo dedito agli studi, non riesce ad essere obiettivo
ed imparziale. Abbiamo già accennato come l'indagine storica
dia sempre risultati più o meno incerti quando essa vuole
giudicare le grandi personalità del passato, mentre le sue
deduzioni e le sue conclusioni sono assai meno incerte quando essa
rievoca e chiarisce le istituzioni, le idee, le opere delle grandi
civiltà tramontate483. Or l'incertezza accennata dipende in
buona parte dalla passionalità degli scrittori, i quali non
riescono ad esprimere la loro ammirazione per una grande
personalità vissuta quasi venti secoli prima di noi, senza
deprimerne un'altra che fu ad essa contemporanea; che non sanno, ad
esempio, scrivendo nel secolo decimonono, esaltare Cesare, senza
contemporaneamente deprimere il povero Cicerone. Ciò che
dimostra come, anche quando tacciono gli interessi e le cupidigie
personali, possano bastare le antipatie e le simpatie, nel senso
classico della parola, cioè le affinità o le
disaffinità della mente e del carattere, a renderci ingiusti
verso coloro che sono da tanti secoli scomparsi dalla terra.
Appare quindi evidente che lo stabilire un rapporto esatto ed
infallibile fra i meriti ed il successo, fra le opere di ogni
individuo ed il premio od il castigo che gli spettano, è
opera cosi sovrumana che solo un Essere onnisciente ed onnipossente,
che sa sollevare i veli che ricoprono tutte le coscienze, e che non
ha nessuna delle nostre ignoranze, nessuna delle nostre debolezze,
nessuna delle nostre passioni, vi potrà riuscire. Ed è
perciò che quasi tutte le grandi religioni, a cominciare da
quella degli antichi Egiziani, hanno rimandato il giudizio
definitivo sull'operato dell'uomo alla fine della sua vita terrena e
l'hanno affidato agli Dei od a Dio.
Una certa equivalenza fra il servizio reso e la ricompensa ricevuta
si potrebbe rinvenire nelle libere contrattazioni che avvengono
nella vita privata; ma questa equivalenza non è fondata sopra
un principio morale, come dovrebbe esser quella che si vorrebbe
stabilire nella vita politica, ma semplicemente sulla domanda e
sull'offerta; ossia sul bisogno relativo dei due contraenti, il
quale fa sì che si apprezzi di più il servizio quando
esso è molto richiesto, e si apprezzi più la
ricompensa quando l'offerta di questa scarseggia e quella del
servizio sovrabbonda. Ed aggiungeremo che questa equivalenza
puramente economica, che non tiene conto, come la morale vorrebbe,
del sacrifizio che il servizio ha costato, non funziona più
quando i servizi non sono resi a determinati individui od a
determinati gruppi d'individui, ma a tutta intiera la
collettività. Tutti sanno infatti che le grandi scoperte
scientifiche, sia nel campo delle scienze fisiche che in quello
delle scienze morali, non hanno fatto sì che i loro autori
fossero investiti delle cariche eminenti dello Stato o arrivassero
ai fastigi della ricchezza; esse anzi quasi mai hanno fornito agli
inventori i parasoli dorati e gli elefanti folli d'orgoglio che,
secondo gli antichi scrittori dei Vedas, spettavano ai potenti della
terra. Viceversa le applicazioni pratiche di queste scoperte, che
hanno potuto essere sfruttate da determinati individui, hanno quasi
sempre arricchito e reso influenti i loro autori. Veramente, almeno
nei paesi di antica e solida cultura, dovrebbe essere uno degli
uffici dei governanti il dare ricompense morali e materiali a quegli
scienziati, che, come Copernico, Galileo, Volta e Champollion hanno
fatto scoperte utili all'umanità intiera, ma non direttamente
utilizzabili da singoli individui; e qualche volta i governanti
hanno più o meno bene adempito a questo dovere, generalmente
quando ciò poteva loro riuscire utile perchè
corrispondeva al voto di un'opinione pubblica molto illuminata.
Ma se, fino a quando l'umanità non sarà realmente
plasmata ad immagine e somiglianza di Dio, non vi sarà mai
nel mondo una giustizia assoluta, nelle società più o
meno bene ordinate vi è stata, vi è e vi sarà
sempre una giustizia relativa; cioè un insieme di leggi, di
consuetudini, di norme imposte dalla pubblica opinione, tutte
variabili secondo le epoche ed i popoli, in base alle quali viene
regolata quella che noi abbiamo chiamato la lotta per la preminenza;
cioè lo sforzo che ogni individuo fa per migliorare e
conservare la propria posizione sociale484. Secondo questa giustizia
relativa quasi sempre per ottenere il successo è necessaria
una certa quantità di lavoro, ciò che generalmente
corrisponde ad un vero e reale servizio reso alla società, ma
il lavoro viene quasi sempre più o meno coadiuvato
dall'abilità, cioè dall'arte di farlo valere, e
naturalmente anche da ciò che comunemente appellasi la
fortuna, cioè da quelle circostanze imprevedibili che
sopratutto in certi momenti possono molto aiutare e molto
danneggiare un uomo; e ricorderemo in proposito che, in tutti i
paesi ed in tutti i tempi, spesso la migliore delle fortune, o la
peggiore delle sfortune, è quella di nascere figlio del
proprio padre e della propria madre485.
Accade in fondo nella vita quello che avviene ordinariamente nei
giuochi di carte, nei quali il vincere dipende in parte dalla cieca
sorte, in parte dall'abilità del giocatore o dagli errori dei
suoi avversari. Però come il gioco si convertirebbe in truffa
se venisse tollerata la sostituzione delle carte, così non
dovrebbe essere mai permesso, nella grande partita che ogni uomo
gioca nella sua vita, di violare le norme stabilite, ossia di
barare; e misera e disordinata sarà sempre quella
società nella quale è quasi tacitamente ammesso che il
giocatore abile possa anche correggere la fortuna486.
Spesso, ed oggi molto spesso, coloro che più e meglio sanno
mettere in evidenza le contraddizioni, alle volte stridenti, fra la
giustizia assoluta e quella relativa sancita dalle leggi e dalle
consuetudini, sono uomini che hanno in mano carte cattive e che
desidererebbero di averle migliori, e che quindi bramerebbero che
fosse sospesa la partita e rimescolato il mazzo, e forse anche che
questo carico fosse loro affidato. Perchè quasi sempre gli
individui più altruisti, e che più sinceramente
abborriscono la menzogna e la frode, coll'esperienza della vita
finiscono coll'acquistare la persuasione che il raggiungimento della
giustizia assoluta è impossibile, e che quindi la
lealtà e la bontà vera e cosciente devono essere
necessariamente accompagnate dalla generosità, che sa donare
senza speranza di nulla ricevere in cambio.
VI. — Prima di terminare questo capitolo dobbiamo fare cenno di una
grave quistione, che forse praticamente è la più
importante di tutte quelle che la scienza politica può e deve
trattare. Si tratta cioè di esaminare se i progressi di
questa scienza potranno un giorno eliminare, o rendere più
rare e meno gravi, le grandi catastrofi che di tanto in tanto
interrompono il corso della civiltà e ricacciano nella
barbarie, sia pure relativa e temporanea, popoli che avevano
acquistato un posto glorioso nella storia dell'umanità.
Volendo aggiungere qualche elemento nuovo, che possa riuscire utile
alla soluzione di questo intricato problema, occorre di porlo
anzitutto nei suoi termini precisi.
Le catastrofi accennate si dice generalmente che avvengano quando un
popolo è invecchiato e quando, come conseguenza naturale
della vecchiaia, avviene la sua morte. Or ci sembra evidente, e
l'abbiamo già accennato nel primo capitolo della prima parte
di questo lavoro, che, quando si parla della vecchiaia e della morte
di un popolo, o di una civiltà, si usa una metafora la quale,
non dà, sopratutto a coloro che non si sono approfonditi
negli studi storici, un'idea precisa del fenomeno che si vuole
studiare. L'individuo infatti invecchia fatalmente e muore quando le
sue forze vitali sono esaurite, o quando un'infezione od una causa
violenta sopprimono od impediscono la funzione di un organo
necessario alla continuazione della vita; mentre in una
società l'invecchiamento materiale non si concepisce,
perchè ogni generazione nuova deve avere tutto il vigore
della gioventù, nè la morte materiale è
possibile, perchè a ciò occorrerebbe che almeno una
generazione intera si astenesse dalla procreazione487.
Sarebbe facile invero citare il caso di genti scomparse senza
lasciare una discendenza. È noto che sono così spariti
gli indigeni della Tasmania, che sono in via di sparizione quelli
dell'Australia, che forse pochi sopravvivono fra i discendenti dei
Guanchi delle Canarie, che molte tribù indigene dell'America
sono scomparse ed altre in via di scomparire. Ma, si tratta, o si
trattava, di popolazioni rade, che vivevano o vivono di caccia e di
pesca, alle quali la colonizzazione bianca avea tolto o va togliendo
i mezzi di sussistenza e che, quando vennero in contatto coi
Bianchi, erano troppo arretrate per adattarsi alla vita agricola e
per potere adottare i loro metodi di produzione488.
Ben diverso è il caso quando ci troviamo davanti a
popolazioni già pervenute allo stadio agricolo, che hanno
costituito nazionalità numerose, ordinate e potenti e creato
o fecondato una civiltà. Allora quella che sarebbe la morte
materiale, lo spegnersi della razza per mancanza di discendenti,
forse mai è avvenuta. Un popolo arrivato allo stadio di
cultura accennato, potrà perdere la sua fisonomia originale,
essere assorbito da altri popoli, da altre civiltà, cambiare
la sua religione e qualche volta la sua lingua, potrà infine
subire un'intiera trasformazione intellettuale e morale, continuando
a sopravvivere materialmente489.
E la storia è piena di queste trasformazioni e di queste
sopravvivenze. Sopravvissero i discendenti degli antichi Galli e
degli antichi Iberi, sotto lo strato di civiltà latina dalla
quale furono plasmati, e sopravvissero i discendenti delle antiche
popolazioni mesopotamiche e siriache, sebbene abbiano adottato la
lingua e la religione degli Arabi, che nell'ottavo secolo le
conquistarono; e lo stesso è avvenuto in Egitto, dove la
massa della popolazione così detta araba conserva ancora i
caratteri fisici dei suoi veri antenati, che crearono e fecero
durare per più di quaranta secoli la civiltà dei
Faraoni, Gli Italiani moderni sono ancora prevalentemente i
discendenti degli antichi Italici e nelle vene dei Greci moderni,
per quanto molto commisto ad altro sangue, scorre ancora quello
degli Elleni contemporanei di Pericle e di Aristotile e quello dei
Bizantini del nono e del decimo secolo.
Ciò premesso, e non tenendo conto dei popoli assimilati per
opera di una dominazione straniera di origine ma apportatrice di una
cultura superiore, come avvenne nel caso citato dei Galli, degli
Iberi e delle altre genti più o meno barbare che la
virtù di Roma antica seppe fondere in una gente sola,
è evidente che la morte di un popolo, il quale ha saputo
creare e mantenere per un lungo corso di secoli una propria
civiltà, può avvenire ed avviene sopratutto per due
cause, che lo minano e corrodono internamente e che fanno sì
che il minimo urto esteriore basti ad ucciderlo; cause che del resto
sono quasi sempre fatalmente accoppiate. Muoiono infatti i popoli
quando manca alle loro classi dirigenti la capacità di
riorganizzarsi secondo i bisogni dei tempi e di attingere negli
strati più bassi e profondi della società elementi
nuovi che le rinsanguino, e, come abbiamo già accennato, sono
pure destinati a morire i popoli, quando vengono meno in essi quelle
forze morali che li tenevano uniti e facevano sì che una
quantità importante di sforzi individuali potesse essere
riunita, disciplinata e diretta verso scopi d'interesse
collettivo490. In altre parole, la vecchiaia, che è prodromo
della morte, si aggrava sugli organismi politici in seno ai quali
perdono ogni prestigio, senza che esse siano sostituite, quelle idee
e quei sentimenti che li rendono capaci dello sforzo collettivo
necessario a mantenere intatta la propria personalità.
E ciò spiega quel cieco attaccamento alla tradizione, ai
costumi ed agli esempi degli antenati, che costituiva il fondo delle
religioni e della mentalità politica di tutte le grandi
nazioni dell'antichità, a cominciare dalle vecchie
civiltà della Mesopotamia e dell'Egitto venendo fino a Roma;
attaccamento che si è mantenuto fortissimo, fino a qualche
generazione fa, nel Giappone e nella China, e che, malgrado le
apparenze contrarie, non è del tutto ignoto alle moderne
nazioni di civiltà europea, e specialmente a quelle di razza
anglo-sassone. Pare che l'anima nazionale istintivamente senta che
per non morire deve restare fedele a certi principî, a certe
idee fondamentali e caratteristiche, che impregnano tutti gli atomi
dalla unione dei quali è formata, e che solo a questa
condizione essa può conservare la propria personalità
e mantenere intatto il proprio edificio sociale, facendo sì
che ogni pietra che lo compone non perda il cemento che la unisce a
tutte le altre491.
Disgraziatamente, o fortunatamente, il culto del passato, quando
è eccessivo ed esclusivo, ha per conseguenza necessaria la
immobilità, e perchè fosse permesso ad una nazione di
restare impunemente immobile bisognerebbe che non si muovessero
tutte le altre; la China ed il Giappone che, durante i secoli
decimosettimo, decimottavo e parte del decimonono, hanno cercato di
adagiarsi nell'immobilità, pur non essendovi completamente
riusciti, hanno poi dovuto subire dei bruschi risvegli492. Ed
è ovvio che ciò sia avvenuto, perchè
l'immobilità completa è in una società umana
artificiale, mentre il cambiamento continuo nelle idee, nei
sentimenti e nei costumi, il quale non può non avere il suo
contraccolpo nella organizzazione politica, è naturale. Per
impedirlo bisognerebbe distruggere gli effetti dello spirito
d'osservazione e d'indagine, dell'allargarsi delle cognizioni, della
maggiore esperienza, che rendono inevitabili il maturarsi di una
mentalità nuova e l'affermarsi di nuovi sentimenti, i quali
necessariamente corrodono la fede negli insegnamenti dei maggiori e
nei concetti tradizionali, che formavano la base dell'edificio
politico.
Un Greco, ad esempio, contemporaneo di Platone e di Aristotile,
assai difficilmente potea credere negli Dei, quali li concepiva
l'infantile antropomorfismo omerico, e molto meno ammettere che essi
fossero soliti di aiutare coi loro consigli e la loro assistenza
quei capi ereditari delle città, che il sommo poeta della
Grecia soleva chiamare pastori di popoli; come un francese
contemporaneo di Voltaire assai difficilmente si sarebbe persuaso
che Luigi XV avesse avuto da Dio il mandato di governare la Francia;
e come oggi un Chinese od un Giapponese, che abbiano frequentato una
Università europea od americana, stentano a conservare la
convinzione che nei libri di Confucio sia contenuta la più
perfetta e completa espressione della saggezza umana.
Così stando le cose, risulta evidente che l'unico metodo per
evitare ciò che si chiama la morte di uno Stato o di una
grande nazione, ossia uno di quei periodi di crisi acuta che
talvolta producono o rendono possibile la sparizione di un tipo di
civiltà e sono causa di sofferenze inenarrabili per le
generazioni che vi assistono, come fu ad esempio quella che
determinò e che seguì la caduta dell'impero romano
d'Occidente, e come è quella che oggi travaglia la Russia,
consiste nella lenta ma continua modificazione della classe
dirigente e nella lenta e continua assimilazione di nuovi elementi
di coesione morale, che gradatamente si vanno sostituendo ai vecchi.
Forse anche in questo caso la giusta contemperanza fra due tendenze
naturali diverse e contrarie, la conservatrice cioè e la
innovatrice, finisce col dare i risultati praticamente migliori. In
altre parole quindi un organismo politico, un popolo, una
civiltà possono essere a rigor di termine immortali,
purchè sappiano continuamente trasformarsi senza mai
dissolversi493.
E se la morte dei popoli, lo sfasciamento completo degli organi
politici, le crisi sociali durature e violente, che interrompono il
corso della civiltà e ricacciano l'uomo verso la
bestialità, fossero a rigore evitabili, il sorgere e
l'affermarsi di una vera scienza politica potrebbe certamente molto
contribuire ad evitarle.
Noi crediamo che nel passato più d'una delle crisi accennata
sia stata alle volte notevolmente ritardata dal semplice empirismo
politico, purchè non sviato da false dottrine ed illuminato
dal lampo del genio494. Ci sembra evidente che opera assai
più efficace si potrà svolgere mercè la
conoscenza esatta delle leggi che regolano la natura sociale
dell'uomo; la quale conoscenza se non altro insegnerebbe a
distinguere ciò che può avvenire da ciò che non
può e non potrà mai avvenire, evitando così che
molti intenti generosi e molte buone volontà si disperdano
improficuamente, ed anche dannosamente, nel volere conseguire gradi
di perfezione sociale che sono irraggiungibili, e renderà
inoltre possibile di applicare alla vita politica lo stesso metodo
che la mente umana mette in pratica quando vuole padroneggiare le
altre forze naturali. Metodo che consiste precisamente nel
comprenderne il meccanismo mediante un'attenta osservazione e nel
saperne dirigere l'azione senza mai brutalmente violentarle495.
Abbiamo già accennato come sia nostra opinione che il secolo
decimonono ed i primi decenni di quello presente abbiano già
elaborato, mercè i progressi delle indagini storiche e quelli
delle scienze sociali descrittive, tale quantità di dati, di
fatti accertati, di materiale scientifico da rendere possibile alla
generazione presente ed a quelle immediatamente successive
ciò che è stato impossibile alle passate, cioè
la creazione di una vera politica scientifica. Ma è assai
difficile precisare quando essa potrà affermarsi e sopratutto
quando potrà diventare un fattore attivo capace d'integrare e
modificare gli altri, che finora hanno determinato il corso degli
avvenimenti umani496. Infatti, perchè un sistema d'idee possa
diventare una forza politica attiva bisogna che esso plasmi la
coscienza della maggioranza almeno della classe dirigente, e che
diventi preponderante nel determinare il suo modo di pensare e
quindi di sentire; or le idee veramente scientifiche sono a
ciò le meno adatte, perchè sono le meno adattabili, e
quindi poco o nulla si prestano all'eccitamento delle passioni del
giorno ed alla soddisfazione immediata degli interessi del momento.
CAPITOLO VI.
Conclusione.
I. Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo
decimonono. — II. Programma politico del detto secolo. — III.
Risultati pratici dell'esecuzione di questo programma. — IV. Germi
di dissoluzione politica che esso conteneva e contiene. — V.
Pericoli e danni che presentano le tre soluzioni radicali possibili
della crisi che ora traversa il regime rappresentativo. — VI.
Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi
più adatti per effettuarla.
I. — Un'epoca spesso viene indicata mediante il secolo che ad essa
corrisponde, perchè generalmente cento anni sono uno spazio
di tempo sufficiente per modificare sensibilmente la
mentalità, i costumi e le istituzioni di un popolo o di una
civiltà. Però, volendo precisare l'anno nel quale
questi cambiamenti riescono più sensibili e nel quale
è possibile stabilire che un'epoca finisce ed un'altra
comincia, difficilmente accade che fra l'epoca ed il secolo vi sia
una corrispondenza perfetta, anche perchè spesso vi sono dei
periodi di transazione, più o meno laboriosi, e qualche volta
accompagnati da crisi violente, fra la fine di un periodo storico e
l'inizio di un altro.
Così, ad esempio, ci sembra che, volendo stabilire il momento
preciso in cui terminò l'epoca che corrisponde al secolo
decimottavo, l'anno più indicato sarebbe il celebre 1789 e
non già il 1800; e, se la stessa indagine vogliamo fare sul
periodo successivo, pare che si possa stabilire che una nuova
êra si iniziò nell'anno 1815 e che terminò
precisamente quasi cento anni dopo nel 1914. Lo spazio di ventisei
anni, che corre fra il 1789 ed il 1815, corrisponderebbe ad una di
quelle parentesi contrassegnate da crisi violente che spesso, ma non
sempre, accompagnano le grandi trasformazioni delle società
umane497.
Volendo quindi esaminare quale sia stata in Europa l'opera politica
del secolo decimonono, bisogna evidentemente studiare gli
avvenimenti compresi fra il 1815 ed il 1914, anno che forse potrebbe
corrispondere all'apertura di una nuova parentesi, che si dovrebbe
poi chiudere coll'inizio di un'epoca nuova, che prenderebbe il nome
dal secolo ventesimo. Or, trovandoci in un momento storico, che
potrebbe essere decisivo per l'avvenire della nostra civiltà,
sarebbe forse opportuno che la generazione presente, e sopratutto la
parte più giovine di essa, prima di agire si raccogliesse per
qualche ora in se stessa per fare ciò che la Chiesa chiama un
esame di coscienza. E se i viventi di oggi, e sopratutto i giovani,
a quest'esame non volessero assoggettarsi, attribuendo ogni
eventuale peccato alle tre generazioni che li hanno preceduto,
siccome essi ad ogni modo hanno dai loro padri ricevuto
un'eredità alla quale non possono rinunziare, sarebbe molto
utile che almeno ne facessero l'inventario.
II. — Come si sa, durante il secolo decimonono i popoli di
civiltà europea si sforzarono di attuare in politica il
programma idealmente tracciato dal secolo precedente, programma che
si può riassumere in tre concetti fondamentali, che vennero
espressi con tre magiche parole: libertà, uguaglianza e
fratellanza.
Abbiamo già visto come il concetto di libertà, nel
senso che alla parola viene dato nella vita politica, gli Europei
moderni l'abbiano ereditato dai Greci e dai Romani antichi.
Confusamente ed imperfettamente inteso nel Medio Evo, ed in modo
assai più chiaro e preciso dopo il Rinascimento, questo
concetto fu popolarizzato ed interpretato conformemente alle
condizioni della società del secolo XVIII da Rousseau e da
altri scrittori a lui contemporanei498. Però, siccome era
impossibile la trasformazione dello Stato assoluto burocratico, che
vigeva nel secolo decimottavo, in uno Stato-città come erano
state Atene, Sparta ed anche Roma all'epoca di Fabrizio e di Attilio
Regolo, il concetto ereditato dagli antichi dovette subire un
ulteriore adattamento e si cercò di attuarlo prendendo come
modello quel tipo di organizzazione politica, che già nel
secolo decimottavo funzionava in Inghilterra ed i cui vantaggi erano
stati assai bene illustrati da un altro celebre scrittore, ossia da
Montesquieu.
Quindi invece delle Assemblee della Grecia classica e dei Comizi di
Roma, nei quali tutti i cittadini potevano intervenire e si
approvavano le leggi e si eleggevano i titolari di quasi tutte le
cariche pubbliche, si ebbero dei Parlamenti, quasi sempre di due
Camere, con preponderanza morale più che legale di quella che
più direttamente proveniva dal suffragio popolare, alle quali
furono affidati il potere legislativo, l'approvazione delle imposte
e delle spese ed un controllo generale su tutta l'amministrazione
dello Stato. Inoltre, allontanandosi anche qui dagli esempi della
classica antichità, non si estese l'applicazione del sistema
elettivo nè all'organizzazione amministrativa dello Stato,
nè, in generale, a quella giudiziaria. L'importanza delle
mansioni, che già sulla fine del secolo decimottavo
l'organismo statale europeo esercitava, e la tecnicità quasi
sempre indispensabile per l'esercizio di queste funzioni resero
necessario che esse continuassero ad essere affidate, anzichè
a funzionari elettivi e temporanei, come era avvenuto nell'antico
Stato-città, ad impiegati stabili e di carriera; reclutati
generalmente in seguito a concorsi o scelti liberamente da coloro
che stavano ai sommi gradi della loro gerarchia499.
Quindi l'impalcatura burocratica degli antichi regimi assoluti,
lungi dall'essere soppressa, venne mano mano sempre più
sviluppandosi ed affermandosi per le nuove mansioni che durante il
secolo decimonono veniva assumendo lo Stato, ed essa in fondo venne
a costituire due dei poteri fondamentali dei moderni regimi
politici, cioè il potere esecutivo ed il giudiziario. Parvero
provvedimenti sufficienti a temperarne le esorbitanze l'affidare,
come abbiamo ricordato, ai Parlamenti il controllo delle entrate e
delle spese ed il diritto di sindacare tutta l'amministrazione dello
Stato e, nei paesi retti a governo parlamentare, il preporre ai
diversi rami della macchina burocratica dei capi scelti a preferenza
fra i membri della Camera elettiva e perciò indirettamente
provenienti dall'elezione popolare.
In quasi tutti i paesi di civiltà europea gli ordinamenti
militari sono stati poi quella parte dell'organizzazione dello Stato
che, pure enormemente sviluppandosi e notevolmente modificandosi, ha
conservato a preferenza, durante il moderno regime rappresentativo,
quella fisonomia che ad essa avevano impresso gli antichi regimi
assoluti.
Infatti si è a dir vero quasi dappertutto adottato il
servizio militare obbligatorio esteso a tutte le classi dei
cittadini, in maniera che ora è possibile in caso di guerra
di mobilizzare tutta la popolazione valida di un paese, e si sono
aboliti i privilegi che conferivano all'antica nobiltà il
monopolio dei gradi superiori della milizia, sebbene traccie dei
privilegi cennati siano rimaste in alcuni eserciti europei fino a
tempi molto recenti500. Ma la forza armata conservò un
ordinamento strettamente autocratico, perchè l'avanzamento
nella carriera militare restò sempre esclusivamente
dipendente dal criterio di coloro che occupano i gradi superiori, e
perchè sopratutto si mantenne, più o meno
rigorosamente, ma sempre abbastanza notevole, l'antica distinzione
fra gli ufficiali e gli uomini di truppa. I primi generalmente
militari di professione e provenienti dalle classi alte e medie, e
quindi per la loro origine e per la loro istruzione ed educazione ad
esse legati; i secondi quasi sempre reclutati mercè il
servizio militare obbligatorio e che hanno perciò in grande
maggioranza la mentalità ed i sentimenti degli operai e dei
contadini.
Questa distinzione, che è la base della disciplina e
dell'organizzazione militare, unita alla maggiore cultura generale e
militare degli ufficiali, fa sì che gli uomini di truppa
diventino ordinariamente uno strumento sicuro nelle loro mani. Ed
è sopratutto mercè di essa che la moderna
società europea ha potuto raggiungere il risultato mirabile
di affidare le armi ai proletari senza che questi se ne potessero
servire come mezzo di dominio. Ed è sempre grazie alla
distinzione stessa che l'esercito è rimasto quasi dappertutto
una forza conservatrice, un elemento di ordine e di stabilità
sociale501.
Ma il concetto di libertà politica non si è, nella
moderna Europa, ed in generale in tutti i paesi di civiltà
europea, attuato soltanto coll'istituzione dei regimi
rappresentativi, ma quasi dappertutto esso è stato più
o meno completato mercè una serie di istituzioni, che
assicurano agli individui ed alle coalizioni di individui parecchie
efficaci guarentigie di fronte ai detentori dei pubblici poteri. Nei
paesi perciò che a buon diritto sono stati finora reputati
liberi noi troviamo che le proprietà private non possono
essere arbitrariamente violate, che un cittadino non può
essere arrestato e condannato se non mercè l'osservanza di
norme determinate, che ognuno può seguire la religione che
crede migliore senza menomazione dei suoi diritti civili e politici,
che la stampa non può essere soggetta a censura preventiva e
che essa può liberamente discutere e criticare gli atti dei
governanti; che i cittadini infine, seguendo certe norme, possono
riunirsi per prendere deliberazioni d'indole politica e che essi
possono pure associarsi allo scopo di raggiungere fini morali,
politici o professionali.
Queste ed altre simili libertà, che possono essere
considerate come delle vere autolimitazioni che lo Stato mette ai
suoi poteri sovrani nei suoi rapporti con i singoli cittadini, sono
in buona parte una imitazione di leggi che l'Inghilterra aveva
adottato alla fine del secolo decimosettimo, dopo la sua seconda
rivoluzione, od anche in epoca posteriore, e costituiscono un
complemento necessario del regime rappresentativo; che assai male
potrebbe funzionare se ogni libera attività politica degli
individui fosse soppressa e se essi non fossero tutelati abbastanza
contro l'azione arbitraria del potere esecutivo e del giudiziario.
Nello stesso tempo queste libertà trovano la loro massima
guarentigia nell'esistenza del regime rappresentativo, il quale fa
sì che il potere legislativo, che solo avrebbe il diritto di
toglierle o restringerle, sia l'emanazione di quelle stesse forze
politiche che hanno interesse a conservarle502.
Assai più difficile, perchè contraria alla natura
delle cose, e quindi meno reale e concreta, è stata
l'attuazione del concetto di uguaglianza.
Naturalmente furono aboliti, poichè alla borghesia stessa
interessava di abolirli, quei privilegi di classe che ancora
sussistevano alla fine del secolo decimottavo, e tutti i cittadini
furono solennemente proclamati uguali davanti alla legge, ma non si
poterono abolire gli effetti delle disuguaglianze naturali e neanche
di quelle per dir così artificiali, che sono una conseguenza
dell'eredità familiare, come sarebbero le differenze di
ricchezza, di educazione e di cultura.
Anzi mentre l'uguaglianza, che dovrebbe portare come conseguenza
necessaria la sparizione delle classi sociali, veniva ufficialmente
proclamata, giammai forse la distanza fra la mentalità, il
modo di sentire e perfino le inclinazioni delle varie classi sociali
è stata più accentuata di quanto lo sia nella
società europea del secolo ventesimo e giammai forse esse si
sono meno scambievolmente comprese. Ciò che non è
esclusivamente dovuto alla disuguaglianza delle ricchezze,
perchè quasi sempre l'intelletto e la psicologia di un
piccolo borghese, che abbia potuto ottenere una laurea od anche un
diploma d'istituto secondario, si accosta più a quella di un
milionario anzichè a quella di un operaio, sebbene
economicamente il piccolo borghese sia senza dubbio più
vicino a quest'ultimo anzichè al milionario. Ma piuttosto
è un effetto del progresso della cultura e di ciò che
dicesi la civiltà, la quale fa sì che coloro che si
dedicano ai lavori intellettuali, e qualche volta anche agli ozi
raffinati, sempre più si debbano necessariamente
differenziare da quegli strati sociali che sono adatti e dedicati
esclusivamente ai lavori manuali.
Come guarentigia e prova tangibile dell'uguaglianza, durante il
secolo decimonono e nei primi decenni del ventesimo, la borghesia
europea ed americana ha concesso a tutti i cittadini, compresi gli
analfabeti, che in alcuni paesi formano ancora una parte notevole
della popolazione, il suffragio universale, ossia il diritto di
partecipare in misura uguale alla elezione dei membri della Camera
elettiva. Come abbiamo già accennato, questa concessione fu
sopratutto una conseguenza delle dottrine politiche prevalenti nelle
classi dirigenti, dottrine che facevano parte dell'eredità
intellettuale che il secolo decimottavo aveva trasmesso al
decimonono ed in base alle quali unico governo legittimo veniva
considerato quello basato sulla sovranità popolare, intesa
come sovranità della maggioranza numerica dei membri del
consorzio sociale. Sicchè la largizione del voto a tutti i
cittadini maggiorenni diventò un atto indispensabile
affinchè la minoranza, che realmente avea in mano la
direzione politica, potesse evitare la taccia d'incoerenza e potesse
mettere in pace la propria coscienza.
Ma, fin dall'epoca di Aristotile, quando ancora la maggioranza dei
lavoratori manuali era esclusa dalla cittadinanza e quindi dal
suffragio, era stata rilevata la difficoltà di conciliare
l'uguaglianza politica, che dava la preponderanza ai poveri sui
ricchi, colla disuguaglianza economica. Non è quindi da
maravigliare che precisamente davanti la stessa difficoltà si
siano trovate, dopo la concessione del suffragio universale, le
classi dirigenti europee ed americane. Se esse prima della grande
guerra poterono con relativa facilità affrontarla e fino ad
un certo punto superarla, ciò fu dovuto in parte alla
impreparazione politica delle classi popolari, che in molti paesi si
sono lasciate in principio agevolmente regimentare entro i quadri
dei partiti borghesi, in parte alla grande forza di resistenza dei
moderni organismi statali e finalmente, in parte forse maggiore
delle altre, alla grande prosperità economica, che fu una
delle caratteristiche più spiccate della seconda metà
del secolo decimonono e che si accentuò fortemente durante
gli ultimi venti o trent'anni anteriori al 1914. Prosperità
la quale rese in molti paesi possibile di fare notevoli concessioni
d'indole economica alle classi più numerose senza impedire
l'aumento dei risparmi privati, senza soverchiamente intaccare
l'inviolabilità della proprietà privata e senza
imporre carichi insopportabili alle grandi ed alle medie fortune503.
Anche più vacua, più priva di contenuto
dell'attuazione della uguaglianza dovea infine riuscire quella della
fratellanza.
La fratellanza, ossia l'amore reciproco fra tutti gli individui
umani, era stata già proclamata e predicata, prima che dai
filosofi dei secoli decimottavo e decimonono, da un certo numero di
pensatori dell'antichità, che però credevano in
generale che essa dovesse essere a preferenza praticata fra i membri
dello stesso popolo o della stessa città. Non mancarono
però, in una delle epoche di maggiore cultura che abbia avuto
la classica antichità, degli scrittori che, come Seneca,
insegnarono che essa doveva essere estesa a tutta l'umanità,
ma in generale restarono poco ascoltati. L'amore reciproco
universale entrò anche nei programmi delle tre grandi
religioni mondiali, ossia del Buddismo, del Cristianesimo e del
Maomettismo; ma in tutte e tre furono poi a preferenza riguardati
come fratelli coloro che seguivano la stessa fede ed anche fra
compagni di fede la fratellanza fu in pratica tutt'altro che
perfetta. Perchè essa possa diventare una realtà
occorrerebbe infatti che nell'uomo, pur non tenendo conto degli
inevitabili conflitti d'interessi e delle gare indispensabili per
arrivare alla preminenza sociale, restasse solo il bisogno di amare
e si estinguesse quello di odiare il proprio simile; sia esso vicino
o lontano, parli o no la stessa lingua e segua o no la stessa
religione o le stesse dottrine politiche. E disgraziatamente il
cennato bisogno finora non sembra prossimo ad estinguersi504.
Date queste condizioni della psiche umana, riesce perfettamente
spiegabile che il senso della fratellanza universale, anche nel
secolo decimonono e negli inizii del ventesimo, sia rimasto e
rimanga molto fiacco. Tanto più che le delusioni sofferte per
la mancata attuazione dell'uguaglianza dovevano e debbono
contribuire ad indebolirlo, acuendo la naturale rivalità fra
i ricchi ed i poveri, i potenti e gli impotenti, i felici e gli
infelici. Mentre il grossolano materialismo prevalente fino a pochi
anni fa, e contro il quale solo da poco tempo e fra le classi
più colte è sorta una certa reazione, rinfocolando le
aspirazioni verso i beni terrestri e togliendo ogni consolazione ai
vinti della vita, necessariamente fomentava sempre più
l'odio, non già l'amore, fra i popoli, fra le classi e fra i
singoli individui.
III. — Ciò nondimeno noi crediamo che, quando i nostri
lontani nepoti potranno giudicare spassionatamente l'opera dei loro
antenati, dovranno riconoscere che l'epoca, che sarà
appellata nella storia col nome del secolo decimonono, è
stata una delle più grandi e magnifiche fra tutte quelle che
l'umanità ha attraversato.
Difatti durante essa il pensiero umano, non più limitato e
costretto entro confini che non poteva violare, sia nel campo delle
scienze naturali che in quello delle scienze storiche e sociali, ha
ottenuto risultati che hanno di molto superato il patrimonio
intellettuale che le civiltà del passato ci avevano
tramandato. Giammai, come negli ultimi cento o centoventi anni,
l'uomo ha avuto a sua disposizione tanti potenti e nuovi strumenti
di osservazione e tanta copia di esatte informazioni sui fenomeni
naturali e su quelli sociali, e giammai quindi ha potuto rendersi e
si è reso un conto così esatto e minuto delle leggi
che governano il mondo in cui vive e di quelle che regolano i suoi
stessi istinti e le sue stesse azioni ed ha potuto meglio conoscere
l'universo di cui fa parte e se stesso.
E gli effetti dell'applicazione delle cognizioni accennate ai
progressi della vita materiale sono troppo noti e troppo sono stati
celebrati perchè sia necessario di ricordarli. Tutti sanno
infatti che oggi, con lo stesso sforzo, il lavoro umano può
raggiungere un risultato che alle volte è decuplo di quello
di cento anni fa, e che il progresso dei mezzi di comunicazione e
della tecnica agraria ed industriale hanno reso possibile lo scambio
di prodotti, di servizi e di cognizioni fra paesi remoti, e che
tutto ciò ha prodotto un'agiatezza, proporzionatamente
diffusa fra tutte le classi sociali, che mai nel passato era stata
raggiunta.
A tutti questi risultati scientifici ed economici deve avere
necessariamente contribuito il regime politico, ma, anche limitando
ad esso la nostra indagine, dobbiamo riconoscere le grandi
benemerenze, che, attraverso le illusioni che lo hanno guidato,
costituiscono e costituiranno il merito imperituro del secolo
decimonono. — Certo che quel governo della maggioranza e quella
uguaglianza politica assoluta, che il secolo avea scritto nella sua
bandiera, non furono attuate perchè non potevano diventare
una realtà, e che lo stesso si può dire della
fratellanza; ma le file delle classi dirigenti sono rimaste aperte,
le barriere che impedivano agli individui delle classi più
umili di entrarvi sono state tolte od almeno abbassate e la
trasformazione dell'antico Stato assoluto nel moderno Stato
rappresentativo ha reso possibile a quasi tutte le forze politiche,
ossia a quasi tutti i valori sociali, di partecipare alla direzione
politica della società.
E bisogna inoltre ricordare che la trasformazione accennata ha
suddiviso la classe politica in due rami distinti: quello
proveniente dalle elezioni popolari e quello burocratico; e che
ciò non ha soltanto permesso di utilizzare meglio tutte le
capacità individuali ma ha reso possibile quella ripartizione
delle funzioni sovrane, ossia dei poteri dello Stato, che, dove le
condizioni della società sono tali da renderla effettiva,
costituiscono il merito principale dei regimi rappresentativi,
quello per il quale essi hanno dato risultati migliori di tutti
quegli altri che hanno potuto finora essere applicati a grandi
organizzazioni politiche505. Rousseau si propose un fine
irraggiungibile quando volle dimostrare che unica forma di governo
legittima è quella fondata sull'espresso consenso della
maggioranza dei consociati; ma Montesquieu invece espose un concetto
molto più pratico e profondo quando sostenne che,
affinchè un popolo sia libero, cioè governato secondo
la legge e non secondo l'arbitrio dei suoi reggitori, bisogna che
abbia una organizzazione politica nella quale il potere arresti e
limiti il potere e non vi sia perciò nessun individuo e
nessuna assemblea che abbiano nello stesso tempo la facoltà
di fare la legge e quella di applicarla. E, per completare questa
dottrina, basta tener presente che l'azione di un organo politico
può essere efficace solo quando esso rappresenta una frazione
della classe politica diversa da quella rappresentata dall'altro
organo che deve esser limitato e controllato.
Se poi facciamo il debito conto delle libertà individuali,
che difendono il cittadino contro la possibile azione arbitraria di
tutti i poteri dello Stato, e sopratutto della libertà della
stampa, che, insieme a quella delle discussioni parlamentari,
può richiamare l'attenzione del pubblico su tutti i possibili
abusi dei governanti, facilmente possiamo renderci ragione della
grande superiorità dei regimi rappresentativi. La quale ha
permesso la costituzione di una forma di Stato fortissima, che ha
potuto incanalare verso fini d'interesse collettivo una somma
immensa di energie individuali e nello stesso tempo non le ha
schiacciate e soppresse; e ha perciò lasciato ad esse una
vitalità sufficiente per conseguire altri grandi risultati,
sopratutto nel campo scientifico e letterario ed in quello
economico. — Si può quindi con quasi sicurezza affermare che,
se durante l'epoca che ora accenna a tramontare, i popoli di
civiltà europea hanno potuto mantenere il loro primato nel
mondo ciò si deve in massima parte ai benefici effetti del
loro regime politico506.
A dir vero, fin dal secolo decimottavo, quando vigeva ancora il
regime assoluto burocratico, si era già affermata la
superiorità militare ed amministrativa degli Stati europei su
quelli di civiltà asiatica. Difatti la Turchia dopo i due
trattati di pace di Carlowitz e di Passarowitz, che furono conchiusi
nel 1699 e nel 1718, non costituiva più una minaccia
permanente per l'Europa e, già nella seconda metà del
secolo decimottavo, la conquista inglese dell'India era condotta a
buon punto; ma forse non fu effetto del caso se essa avvenne per
opera di quello Stato europeo che per il primo avea adottato il
regime rappresentativo. Ed è noto poi che la prevalenza degli
Stati europei su quelli asiatici si è sempre più
affermata ed è rimasta inconcussa per tutto il secolo
decimonono fino al 1904, quando il Giappone, avendo già
adottato l'organizzazione militare ed amministrativa europea,
potè vincere la Russia. E naturale che questa vittoria abbia
fatto nascere la speranza di una prossima riscossa nei popoli di
civiltà asiatica, speranza che si è notevolmente
accresciuta dopo che l'ultima grande guerra ha esaurito tanta parte
dell'Europa ed ha messo in evidenza i lati deboli della sua
organizzazione.
Certamente, già prima del 1914, ad un osservatore sagace non
poteva sfuggire che il centro di gravità della civiltà
europea tendeva a spostarsi verso l'America, dove specialmente gli
Stati Uniti, il Canada, il Brasile e l'Argentina dispongono di
vastissimi territori e di grandi ricchezze naturali, ancora assai
incompletamente sfruttate, e potrebbero nell'avvenire sostentare una
popolazione almeno quadrupla di quella odierna. Ma, fino alla
vigilia della grande guerra europea, questi paesi per sviluppare le
loro ricchezze avevano ancora bisogno di capitali e di lavoratori
che solo l'Europa poteva loro fornire507. Sicchè il pericolo
della loro prevalenza sul vecchio mondo potea ancora essere
considerato come non imminente, anche perchè parecchi Stati
europei avevano già iniziato a loro profitto la
valorizzazione dell'Africa equatoriale ed australe, dove sono pure
grandi territori abitati da popolazioni primitive, e quindi per un
pezzo facilmente governabili, e sono quindi suscettibili col tempo
di fornire quelle materie prime delle quali la sovrapopolata Europa
ha indispensabile bisogno508.
IV — Come tutti i regimi politici, anche il regime rappresentativo
conteneva, durante l'epoca che corrisponde al secolo decimonono, i
germi che ne preparavano la lenta trasformazione o la rapida
dissoluzione. Abbiamo già detto nel capitolo precedente come
solo mediante la lenta e continua trasformazione dei regimi politici
si possono evitare quei periodi di rapida dissoluzione, che sono
accompagnati da crisi violente apportatrici di inaudite sofferenze
alle generazioni che le subiscono, e che quasi sempre le fanno
tornare indietro nel cammino della civiltà.
Il primo di questi germi è stato ed è senza dubbio la
contraddizione evidente fra uno dei fini principali che il secolo si
era proposto ed il risultato che aveva raggiunto. L'Europa, e
sopratutto l'Europa centrale ed occidentale, ha avuto finora una
forma di governo che assicurava abbastanza la libertà
individuale, che faceva sì che l'azione dei governanti fosse
sufficientemente controllata e moderata, che ha reso possibile lo
sviluppo di una grande prosperità materiale, ma che, come
abbiamo visto, non ha attuato l'uguaglianza nè dato alle
maggioranze la direzione effettiva dei vari paesi. Giacchè le
masse popolari tutto al più, al momento delle elezioni, sono
state lusingate con la promessa di qualche vantaggio materiale,
spesso più apparente che reale, e che, quando è stato
realmente concesso, spessissimo ha danneggiato gli interessi della
economia nazionale e quindi anche quelli delle classi più
umili509.
Date queste condizioni psicologiche e materiali della società
europea, non riesce difficile comprendere come in seno alla stessa
borghesia siasi costituito un fortissimo partito politico, in parte
formato d'idealisti ed in parte da ambiziosi, che aspirava ed aspira
a rendere reale l'uguaglianza e la partecipazione delle masse alla
direzione dello Stato, e come a questo partito abbiano aderito
moltissimi fra coloro che, nati nella classe dei lavoratori manuali,
sono riusciti ad acquistare una certa cultura. Ed è naturale
che questo partito sia arrivato subito alla conclusione che, senza
l'abolizione della proprietà privata, non poteano essere
instaurate nel mondo nè una giustizia assoluta nè una
reale uguaglianza.
Piuttosto può sembrare a prima vista meno naturale che la
borghesia europea abbia durante il secolo decimonono, e si
può dire fino al 1914, combattuto in generale assai
mollemente e saltuariamente la diffusione delle dottrine socialiste
e l'organizzazione di quelle forze politiche che queste dottrine
aveano abbracciato. Ma ciò è avvenuto per una serie di
motivi, fra i quali vanno compresi l'omaggio a quei principii
liberali, secondo i quali si dovrebbe affidare al buon senso del
pubblico lo sceverare la verità dall'errore, ciò che
è attuabile dall'inattuabile, e quel senso di vago ottimismo,
che durò quasi inalterato fino agli ultimi decenni del secolo
scorso. Il quale manteneva salda la fiducia nella ragionevolezza e
nella bontà umana, nella futura educazione delle masse
popolari affidata ai maestri di scuola, e facea comunemente
ammettere come sicuro che il mondo fosse incamminato verso un'era di
concordia e di felicità universale. E poi, diciamolo pure, la
mentalità borghese è stata fino a ieri impregnata di
molti dei concetti che formano la base intellettuale del socialismo;
sicchè la borghesia, prigioniera dei propri pregiudizi, lo ha
combattuto fino alla vigilia del 1914 con la mano destra legata e
con la sinistra notevolmente impacciata. Anzi, invece di apertamente
combatterlo, in molti paesi d'Europa è venuta con esso a
patti ed ha accettato transazioni dannose e qualche volta
indecorose.
E le conseguenze di questa debolezza si sono aggravate per il fatto
che, fra tutti i vangeli socialisti, fu dichiarato canonico ed
universalmente adottato quello che, mentre prometteva il trionfo
sicuro della dottrina, più eccitava quel sentimento che
è fra tutti il più atto a minare e distruggere la
compagine di un popolo o di una civiltà: cioè l'odio.
Abbiamo già notato nella prima parte di questo lavoro quanto
fosse efficace e perniciosa la propaganda dissolvitrice di odio fra
le classi sociali contenuta nelle pagine del Capitale di Carlo Marx;
oggi da una recente pubblicazione possiamo apprendere che
l'eccitazione di questo sentimento entrava precisamente nei fini che
l'autore coi suoi scritti si proponeva di raggiungere510. E, se si
obietterà che fra tanti socialisti o comunisti forse uno fra
mille avrà letto e compreso il libro accennato, risponderemo
che dal nuovo Vangelo si è avuto cura di estrarre un breve
catechismo, che tutti hanno potuto facilmente imparare a memoria.
Sicchè oggi non vi è quasi operaio della grande
industria il quale non creda, o per lo meno non abbia sentito
ripetere, che la ricchezza del padrone o degli azionisti, che hanno
fornito il capitale alla fabbrica, è stata costituita
sottraendo ai lavoratori manuali una parte del salario che loro
spettava, e non vi è quasi in moltissimi paesi un contadino
che lavori a giornata al quale una analoga notizia non sia arrivata.
Ma se il socialismo, e la sua frazione più avanzata che oggi
appellasi comunismo, sono pericolosi per lo stato d'animo che creano
e mantengono nelle masse e per la organizzazione dei loro seguaci,
che secondo i vari paesi è più o meno forte, un altro
pericolo incombe sugli Stati moderni che è forse più
grave. Perchè esso non proviene da uno stato mentale, che
può essere modificato, o dall'eccitamento di alcune passioni,
le quali possono a poco a poco essere calmate, ma dalla natura
stessa dell'organizzazione economica che la società moderna
ha adottato e che non può abbandonare senza che rinunzi a
gran parte del suo benessere, alla soddisfazione di molti bisogni
recenti ma che ornai sono entrati nel numero delle cose
indispensabili.
La divisione del lavoro e la specializzazione nella produzione hanno
difatti nella società europea raggiunto tali progressi che
senza le ferrovie, la navigazione a vapore, le poste, il telegrafo e
senza il carbon fossile necessario per fare muovere tutte le
macchine, nessuna grande città potrebbe vivere più di
qualche mese, e qualche grande nazione sarebbe, dopo pochi mesi,
ridotta nella impossibilità di nutrire più della
metà della propria popolazione. Giammai come oggi la vita
materiale di ogni individuo è stata in diretta dipendenza del
perfetto funzionamento di tutti i meccanismi sociali. E, siccome il
funzionamento di ogni meccanismo è affidato ad una
determinata classe di persone, la vita normale dell'intiera
collettività viene a dipendere dal buon volere di ognuna di
queste classi.
Da questa condizione di cose, che riesce assai difficile di
modificare, è nato il pericolo sindacalista,, cioè la
possibilità che una piccola frazione della società
s'imponga a tutta la società. Oggi a rigore non è
necessario che si ripeta fedelmente il famoso apologo di Menenio
Agrippa, cioè che tutte le membra congiurino a danno dello
stomaco, o, come sarebbe più esatto di dire, a danno del
cervello, ma basterebbe che un solo membro, un solo organo
importante, cessasse di prestare il proprio ufficio perchè il
cervello, e tutti i centri nervosi che da esso dipendono, potessero
restare immobilizzati.
È naturale che ogni classe di persone addette ad una speciale
funzione, avendo una certa omogeneità di spirito, di cultura
e sopratutto d'interessi, abbia cercato di organizzarsi in sindacati
professionali sotto proprii capi, e che i sindacati, una volta
organizzati, abbiano subito intuito la loro potenza ed il profitto
che potevano trarne. Quindi ciò che comunemente appellasi
sindacalismo è diventato per gli Stati moderni un pericolo
forse più grave di quello rappresentato negli Stati
medioevali dal feudalismo. Infatti nell'età di mezzo, data
l'organizzazione primitiva della società e quindi dello
Stato, ogni frazione di esso poteva bastare a se stessa,
poichè disponeva di tutti gli organi necessari alla propria
vita, e perciò la contrapposizione della parte rispetto al
tutto avveniva secondo criteri locali, mentre oggi la
contrapposizione della parte al tutto avrebbe una base funzionale.
Allora un potente barone od un grosso Comune, od una lega di baroni
e di Comuni, potevano imporre la propria volontà
all'Imperatore od al Re, oggi un potente sindacato, ed a forziori,
una lega di sindacati, potrebbe imporla allo Stato.
Per scongiurare questo pericolo sarebbe necessario che ad ogni costo
s'impedisse la rinascita di una nuova sovranità intermedia
fra l'individuo e lo Stato, del genere di quella che esisteva nel
Medio Evo, quando il vassallo obbediva direttamente al barone e non
già al Re; ossia in altre parole sarebbe indispensabile che i
capi degli attuali governi fossero sempre più obbediti dei
capi dei sindacati e che la devozione agli interessi della nazione
fosse sempre più forte della devozione agli interessi della
classe. Ma è noto pur troppo che una delle maggiori debolezze
della presente società europea, un altro di quei germi di
dissoluzione dei moderni regimi rappresentativi ai quali abbiamo
accennato, consiste appunto nella rilassatezza di quelle forze di
coesione morale, le quali sono le sole capaci di riunire tutti gli
atomi che compongono un popolo in un comune consenso di sentimenti e
di idee, e costituiscono perciò il cemento senza il quale
ogni edificio politico rimane sempre barcollante e caduco.
Difatti l'antica religione, la cui dottrina fondamentale ha sempre
mirato ad affratellare tutti i cittadini della stessa nazione e
tutte le nazioni cristiane fra di loro, ha perduto, specialmente
negli ultimi due secoli, buona parte del suo prestigio e della sua
efficacia pratica, per una serie di cause che non è qui il
luogo di enumerare. Diremo soltanto che, sopratutto per quel che
riguarda le nazioni latine, fra esse va rilevata l'ostilità
delle classi dirigenti, le quali troppo tardi ora si accorgono che,
emancipando le plebi da quelle che, con soverchia leggerezza,
venivano chiamate viete superstizioni, le gettavano in braccio ad un
gretto e grossolano materialismo ed aprivano la strada a
superstizioni peggiori511. Indebolito il legame religioso, si
è creduto di poterlo sostituire con la fede nei tre principii
già enumerati, cioè nella libertà,
nell'uguaglianza e nella fratellanza, la cui attuazione avrebbe
dovuto inaugurare in questo mondo una nuova êra di pace e di
giustizia universale. Ma la propaganda socialista non ha dovuto
stentare molto a dimostrare che questa fede non si appoggiava sulla
verità, che la democrazia per quanto larga non impediva che
il potere restasse in mano alle classi dirigenti, a quella che i
socialisti chiamano borghesia e che, secondo loro, sarà
sempre divisa da un insanabile contrasto d'interessi dalle classi
più umili della società.
Come principale fattore di coesione morale ed intellettuale nel seno
dei diversi popoli europei è rimasto perciò il
patriottismo. Anche esso combattuto generalmente dai socialisti come
una invenzione delle classi dirigenti, destinata ad impedire
l'unione pronosticata da Marx dei proletari di tutto il mondo contro
la borghesia di tutto il mondo, ma che, avendo oggi radici
più salde nell'anima dei popoli moderni, ha meglio resistito
agli attacchi dei suoi avversari. Il patriottismo infatti ha la sua
base nella comunità d'interessi che lega coloro che abitano
lo stesso paese, e nella comunità di sentimenti e d'idee, che
quasi infallibilmente si stabilisce fra uomini che parlano la stessa
lingua, che hanno lo stesso passato, che hanno avuto comuni le
glorie, le fortune e le sventure, ed esso infine soddisfa quel
bisogno che ha l'animo umano di amare la collettività alla
quale si appartiene a preferenza di tutte le altre.
Sarebbe assai arrischiato, e forse anche non corrispondente a
verità, l'affermare che la borghesia europea abbia avuto una
chiara e precisa coscienza del grande ostacolo morale che il
patriottismo opponeva ai progressi del socialismo; ma è certo
che, a cominciare dai primissimi anni del secolo ventesimo, si
notò nella gioventù colta di quasi tutti i paesi
europei un potente risveglio di sentimenti patriottici.
Disgraziatamente l'amore per la propria nazione ed il desiderio
naturale che essa sempre più si affermi nel mondo spesso si
accoppiano alla diffidenza e qualche volta all'odio verso le nazioni
straniere; sicchè la sovraeccitazione del patriottismo
contribuì a creare quell'ambiente morale ed intellettuale che
rese possibile lo scoppio della guerra mondiale.
V. — Le gravi e profonde conseguenze della lunga guerra, durante la
quale ognuno dei popoli che vi parteciparono tese all'estremo le sue
forze, sono ornai troppo note perchè sia necessario di
minutamente descriverle512. Accenneremo quindi soltanto che alla
fine del 1918 tutti gli Stati belligeranti si erano caricati di un
enorme debito pubblico e, siccome la maggior parte delle somme
procacciate mercè i debiti erano state dedicate a scopi
guerreschi economicamente improduttivi ed un'altra parte avea
trasmigrato presso le nazioni neutrali o che molto tardi entrarono
in guerra, così fra le nazioni che maggiormente sostennero il
peso della guerra anche i capitali privati si trovarono in
quell'epoca notevolmente diminuiti. Era quindi inevitabile che al
periodo di prosperità anteriore al 1914 dovesse susseguire un
periodo di relativa povertà, il quale fra le nazioni
già meno ricche e sopratutto fra quelle vinte, e
perciò peggio trattate, potè inacerbirsi fino a
diventare miseria.
Ed al disastro economico si aggiunse quello morale per la mutata
distribuzione di quel tanto di ricchezza che pure restava. Difatti,
nelle nazioni che avevano preso parte al terribile cimento, ed
anche, sebbene in proporzioni minori, in quelle rimaste neutrali,
mentre una parte notevole della popolazione sensibilmente
impoveriva, una minoranza più o meno numerosa trovava nella
guerra occasione di improvvisi e lauti guadagni. Ora nessuna cosa
demoralizza più gli uomini quanto il vedere la ricchezza
acquistata rapidamente e senza meriti speciali accanto alla
povertà improvvisa e che non è conseguenza di una
colpa. Questo spettacolo ferisce da un lato il sentimento della
giustizia e sovraeccita dall'altro oltremodo l'invidia e la
cupidigia. Molti, che fino al grande cataclisma si erano conservati
onesti, divennero disonesti, perchè vollero ad ogni costo
entrare fra i nuovi ricchi anzichè subire la sorte dei nuovi
poveri.
Ma ciò che sopratutto ha contribuito a diminuire la saldezza
dell'organizzazione politica ed a turbare l'equilibrio fra le classi
sociali, è stato l'impoverimento della classe media, di
quella parte della borghesia che viveva e vive del frutto di piccoli
risparmi, di mediocri proprietà immobiliari e sopratutto di
quello del proprio lavoro intellettuale. Abbiamo già visto
come il sorgere di questa classe sia stato uno dei fattori che hanno
creato le condizioni necessarie per il retto funzionamento del
sistema rappresentativo; è quindi naturale che la sua
decadenza economica, che, se duratura, sarà necessariamente
seguita da quella intellettuale e morale, renderà molto
difficile la continuazione del regime accennato.
Infine, in tutti i paesi che presero parte lungamente alla guerra,
la macchina dello Stato dovette sobbarcarsi a tale ed a tanto
lavoro, dovette comprimere e schiacciare tale una quantità di
passioni, di sentimenti e d'interessi individuali, che non è
da maravigliare se i suoi congegni ad un certo punto accennarono a
guastarsi e ad arrestarne il funzionamento. Anzi, si può dire
che, dove essa era più debole, cioè in Russia, il
guasto fu tale che ne andò senz'altro distrutta; ma anche in
tutti gli altri paesi è evidente che ha più o meno
bisogno di riposo e di riparazioni.
Queste ed altre cause secondarie hanno reso in quasi tutti gli Stati
europei più o meno arduo il funzionamento del regime politico
in vigore prima della guerra. Sicchè è sorta,
sopratutto in qualche paese più travagliato degli altri dai
comuni dolori, l'idea che la crisi presente si possa e debba
risolvere mediante una profonda e radicale trasformazione delle
istituzioni ereditate dal secolo precedente, e che questo debba
essere appunto il compito della nuova generazione, della
gioventù, la quale, dopo aver fatto la guerra, dovrebbe
disfare l'opera politica dei suoi padri per rifarla seguendo un
indirizzo nuovo e migliore.
Or, esaminando le presenti condizioni economiche, intellettuali e
morali della società europea, tenendo conto delle diverse
correnti d'idee, di sentimenti e d'interessi che in essa si agitano,
tre sarebbero le sole soluzioni radicali possibili della presente
crisi politica: quella già adottata in Russia, cioè la
così detta dittatura del proletariato con il relativo
esperimento comunista, il ritorno all'antico assolutismo
burocratico, ed infine il sindacalismo, cioè la sostituzione
nelle assemblee legislative della rappresentanza delle classi a
quella degli individui.
Gli effetti della così detta dittatura del proletariato, dopo
l'esperimento che di essa ha fatto e sta facendo la Russia, sono
omai abbastanza noti e tali che molti antichi e ferventi seguaci del
Marxismo sono oggi più o meno apertamente contrari
all'attuazione immediata del programma del loro maestro513. Difatti,
sebbene coloro che attualmente governano l'antico impero degli Czar
si sforzino oggi di temperare l'attuazione del programma accennato,
sebbene sia inevitabile che in Russia col tempo dalle fila di coloro
stessi che hanno fatto la rivoluzione esca una nuova borghesia e si
ristabilisca, nella sostanza se non nella forma, la proprietà
privata, riuscì colà impossibile di evitare nei primi
momenti l'attuazione di un tentativo di comunismo integrale514. E si
sa come il tentativo accennato abbia rapidamente prodotto la
disorganizzazione completa di ogni genere di produzione e quindi la
carestia e la fame. Nè crediamo che se il comunismo
trionfasse in altre parti d'Europa sarebbe possibile di evitare un
esperimento analogo, che avrebbe infallibilmente effetti identici e
forse anche peggiori; perchè la sovrapopolata Europa
occidentale ha bisogno continuo, anche in tempi normali, di alcune
materie prime che sono indispensabili alla vita quotidiana e che
solo le altre parti del mondo, e segnatamente l'America, possono ora
fornirle.
Oltre a questi risultati d'indole economica la dittatura del
proletariato avrebbe, in qualunque paese, risultati morali
disastrosi, ancora peggiori forse di quelli che abbiamo descritto e
predetto, quasi trenta anni fa, nella prima parte di questo
lavoro515. In nome di quella dittatura infatti in Russia si è
quasi sterminata l'antica classe dirigente e la si è
sostituita con un'altra, certo più avveduta ed energica, e
forse anche più intelligente, ma che è stata ed
è, quasi per necessità, moralmente assai più
bassa. Poichè, per reggersi contro il malcontento generale,
per fronteggiare la disperazione di tutti coloro che di essa non
fanno parte e per supplire ad altre sue deficienze, deve governare
tirannicamente, passando di sopra a tutti gli scrupoli ed imponendo
l'obbedienza col terrore.
Ma diremo di più: cioè che in Russia bene o male
è stato possibile di trovare un'altra classe dirigente che ha
sostituito l'antica; mentre nell'Europa occidentale ciò
riuscirebbe quasi impossibile e quindi il comunismo si risolverebbe
o meglio si dissolverebbe presto in una completa anarchia. In Russia
infatti l'antica borghesia è stata sostituita dalla piccola
borghesia ebraica e da altri elementi più o meno allogeni,
come sarebbero i Lettoni, gli Armeni ed i Tartari maomettani, ed in
ognuno di questi elementi gli individui che lo compongono erano e
sono fra loro legati da un'antica solidarietà di razza, di
lingua e di religione e dalle comuni piccole persecuzioni ed
esclusioni dalle quali erano colpiti sotto il governo degli Czar, e
quindi gli attuali reggitori possono contare sulla loro
fedeltà516. Nell'Europa occidentale queste minoranze diverse
per razza e per religione dal resto della popolazione non esistono,
e, se pure ve n'è qualcuna, essa si trova in condizioni tali
da farle nella sua grande maggioranza temere assai l'avvento del
comunismo. Sicchè la nuova classe dirigente, necessariamente
reclutata fra la frazione più violenta della plebe e la parte
meno sana della vecchia borghesia, riuscirebbe intellettualmente
insufficiente e mancherebbe quasi sicuramente di quel minimo di
moralità che deve regolare i rapporti fra coloro i quali
commettono insieme una grande bricconata, se si vuole che questa
raggiunga un duraturo successo.
Ed accenneremo infine che anche minori probabilità di durata
di una schietta e sincera dittatura del proletariato avrebbe
attualmente nell'Europa occidentale un esperimento di socialismo
sedicente temperato che, lasciando provvisoriamente e nominalmente
sussistere la proprietà privata, la sottomettesse a tali pesi
ed a tali limitazioni da renderne impossibile il funzionamento. Un
simile regime sarebbe sempre esposto ai violenti attacchi dei
comunisti puri, senza avere l'autorità e la forza di
reprimerli, e non disporrebbe oggi di quel margine di ricchezza che
è indispensabile per potersi permettere gli sperperi che sono
inevitabili anche quando si vuole attuare un socialismo temperato.
Perciò esso, a causa dei suoi insuccessi e delle delusioni
che creerebbe, o degenererebbe presto nel comunismo puro o
preparerebbe senz'altro la trasformazione dell'attuale regime
politico ed economico in una dittatura burocratica e militare.
Questa trasformazione, che corrisponderebbe alla seconda delle
soluzioni della crisi presente del regime rappresentativo, potrebbe
forse diventare momentaneamente opportuna in qualche paese d'Europa,
ma presenterebbe anche essa inconvenienti gravissimi se fosse
adottata come soluzione definitiva. Poichè ciò
significherebbe che l'elemento elettivo, il quale, in tutti i paesi
retti con una delle diverse modalità del sistema
rappresentativo, ha avuto fino al 1914 una partecipazione importante
ed efficace nell'esercizio dei poteri sovrani, dovrebbe scomparire
dalla vita pubblica o venire ridotto a contentarsi di funzioni
secondarie o decorative, lasciando alla burocrazia civile e militare
un'autorità effettiva quasi incontrastata517.
Infatti abbiamo già visto quanto sia grande l'importanza che
ha nello Stato moderno la partecipazione dell'elemento elettivo e
come la grande superiorità e la forza precipua dei moderni
regimi politici risiedano nell'accorta contemperanza, che essi
consentono, del principio liberale con quello autocratico, il primo
rappresentato nelle Camere e nei Consigli dei corpi locali, il
secondo costituito dalla burocrazia stabile. Ed abbiamo visto come
questa compartecipazione sia necessaria perchè tutte le forze
e le capacità politiche siano ammesse nella vita pubblica e
si possa ottenere quel controllo e quella limitazione reciproca fra
i poteri sovrani, che è condizione indispensabile della
libertà politica, la quale altrimenti diventa un'espressione
priva di significato pratico. Poichè anche la libertà
della stampa e tutti in genere i diritti individuali, ossia tutte le
guarentigie concesse ai cittadini contro gli arbitri dei pubblici
funzionari, sarebbero insufficientemente tutelate una volta che
l'elemento elettivo venisse a pesare poco o nulla nella bilancia dei
pubblici poteri.
Si ritornerebbe in altre parole a quel regime assoluto,
probabilmente mascherato da una larva di sovranità popolare,
per distruggere il quale i nostri padri strenuamente lottarono, che
la giovine generazione non ha visto e che generalmente non sa
neppure come fosse fatto. Ora le conseguenze di questo regime
sarebbero oggi infinitamente più gravi di quello che potevano
essere un secolo o anche mezzo secolo fa; perchè nel
frattempo le attribuzioni dello Stato, e con esse la quantità
di ricchezza che questo assorbisce e distribuisce, sono oltremodo
aumentate. Sicchè l'assolutismo dei governanti non troverebbe
più come una volta, e come accade ancora nelle organizzazioni
politiche rozze e primitive, un freno ed un limite nella scarsezza
dei mezzi di cui il governo dispone. Oggi, data l'attuale perfezione
ed il grande sviluppo preso dalla macchina statale, una burocrazia
il cui potere non fosse limitato e controllato, facilmente potrebbe
spezzare qualunque resistenza individuale e collettiva, sopprimere
ogni iniziativa di elementi estranei ad essa ed esaurire l'intiero
corpo sociale succhiandone tutte le forze vitali.
E finalmente non impiegheremo molte parole per descrivere i pericoli
della terza soluzione radicale dell'attuale crisi del regime
parlamentare, cioè della soluzione sindacalista;
poichè dopo quanto abbiamo scritto in proposito poche pagine
avanti ci sembra che essi debbano già riuscire evidenti.
Difatti una Camera che disponesse di poteri sovrani, che
partecipasse alla formazione delle leggi e che fosse la
rappresentanza legale dei sindacati di classe fornirebbe la migliore
base possibile per la organizzazione di quella sovranità
intermedia fra gli individui e lo Stato, la quale rappresenta forse
la minaccia più grave che incombe sulla società
nell'attuale momento politico. Poichè, per mezzo dei loro
rappresentanti, i sindacati stessi potrebbero esercitare un'azione
efficacissima entro lo Stato e contro lo Stato e paralizzare ogni
sforzo che questo potrebbe fare per sottrarsi alla loro tutela.
E sarebbe ingenuo supporre che la coesistenza di un'altra Camera, o
anche di altre due Camere, formate coll'antico sistema della
rappresentanza individuale o con altri elementi estranei ai
sindacati, sarebbe sufficiente a controbilanciare l'azione della
terza Camera eletta dai sindacati. Si dovrebbe infatti omai sapere
che l'efficacia di un organo politico, l'importanza che esso assume
nella direzione effettiva dello Stato, non è prevalentemente
in relazione coi poteri legali che gli statuti fondamentali gli
conferiscono, ma piuttosto proviene dal prestigio di cui l'organo
stesso gode nella pubblica opinione e sopratutto dalla
quantità di forze sociali, d'interessi, di idee e di
sentimenti che in esso trovano la loro espressione. Ed è
appunto per questa ragione che fino ad oggi le Camere che
provenivano direttamente dall'elezione popolare hanno in generale
esercitato maggiore influenza di quelle formate con criteri diversi,
sebbene spessissimo queste ultime contassero fra i loro membri un
numero maggiore di capacità tecniche e di valori individuali.
Ora, data l'importanza che l'opera delle singole classi ha
acquistato nella vita economica di ogni paese civile, non è
esagerato supporre che l'azione della Camera sindacale potrebbe
facilmente prevalere su quella delle altre; molto più se si
tiene presente che i sindacati più numerosi potrebbero coi
loro suffragi compatti e disciplinati influire moltissimo sulle
elezioni dei membri della Camera che conservasse la presente base
individuale.
Nè si deve infine credere che in una Camera composta dai
rappresentanti dei sindacati facilmente prevarrebbero gli elementi
più colti, come sarebbero ad esempio i rappresentanti dei
magistrati e dei professori, o quelli degli avvocati e degli
ingegneri. Anzi molto probabilmente la preponderanza sarebbe quasi
immediatamente assunta dai rappresentanti dei ferrovieri, dei
marinai, degli scaricatori dei porti ed, in Inghilterra ed in
Germania, anche da quelli dei minatori; perchè la forza di un
sindacato non sarebbe in ragione della cultura dei suoi aderenti, ma
piuttosto in ragione del loro numero e sopratutto della
indispensabilità della funzione, che ad ogni classe è
affidata, per la vita quotidiana della società. Ed è
certo più indispensabile la funzione dei ferrovieri e dei
panattieri che quella dei professori e degli avvocati. Perciò
se i sindacati più incolti e più numerosi, tutti
più o meno iniziati alle dottrine marxiste e studiosamente
allevati nella credenza della necessità della così
detta lotta di classe, si mettessero d'accordo, essi potrebbero
senz'altro impadronirsi della direzione dello Stato. Se poi, come
è probabile, l'accordo alla lunga riuscisse impossibile,
allora si avrebbe una grande disorganizzazione economica, che
sarebbe completata dall'anarchia politica518.
VI. — Da quanto abbiamo detto risulta evidente che le tre sole
soluzioni radicali possibili della crisi che ora attraversa il
regime rappresentativo condurrebbero le nazioni europee all'adozione
di un regime politico meno perfetto, e si potrebbe anche dire
più rozzo, di quello finora esistente. Esse sarebbero
l'indizio di una decadenza politica, che al solito diventerebbe
nello stesso tempo causa ed effetto di una decadenza generale della
civiltà. Certo che nessuno vorrà affermare che il
regime rappresentativo non possa essere suscettibile di notevoli
perfezionamenti e che esso non possa col tempo essere sostituito da
un altro migliore. Anzi, se l'Europa potrà vincere le
difficoltà del momento presente, è probabile che,
nell'anno duemila e forse anche prima, fra trenta quarant'anni,
spontaneamente, come conseguenza delle nuove idee, dei nuovi
sentimenti e dei nuovi bisogni che saranno maturati, potranno essere
attuati altri ordinamenti politici preferibili a quelli ora
esistenti.
Disgraziatamente i risultati morali ed economici della lunga guerra
hanno reso proprio in questo momento difficile il retto
funzionamento delle istituzioni che erano in vigore fino al 1914; le
quali, come abbiamo visto, richiedevano e richiedono, come
condizione necessaria per mantenere integra la loro vitalità,
la continuazione di quel periodo di pace relativa e di
prosperità generale di cui il mondo ha goduto negli ultimi
decenni del secolo scorso e nel primo di quello corrente. La guerra
non ha creato, ma bensì ha reso più virulenti ed
attivi, i germi di dissoluzione che il regime rappresentativo, come
qualunque altro, conteneva e contiene; e l'azione di questi germi
oggi ne minaccia l'esistenza prima che le forze riparatrici, le
quali agiscono nel seno di ogni società la cui
vitalità non sia esaurita, abbiano potuto elaborare gli
elementi necessari per la creazione di un nuovo tipo di
organizzazione politica più elevato di quello finora in
vigore. In altre parole, la vecchia casa minaccia di crollare prima
che siano pronti i materiali per costruire la nuova; e
perciò, se il crollo avvenisse, bisognerebbe rifugiarsi fra i
ruderi di una casa ancora più vecchia, e che fu da due o tre
generazioni abbandonata, ovvero in una capanna improvvisata.
Ed è per queste ragioni che pur avendo quarant'anni fa
iniziato la nostra carriera di scrittore con un volume giovanile,
che però non rinneghiamo, nel quale abbiamo cercato di
mettere a nudo le menzogne contenute nei presupposti del regime
rappresentativo e le magagne del Parlamentarismo, oggi che
l'età avanzata ha reso più cauti ed oseremmo dire
più ponderati i giudizi e più meditate le conclusioni,
considerando attentamente e spassionatamente le condizioni di molti
popoli europei e sopratutto quello della nostra Italia, ci sentiamo
costretti a raccomandare alla generazione novella la restaurazione e
la conservazione di quel regime politico che essa ha ereditato dai
suoi padri519.
È evidente che l'opera non è facile. Anzitutto
perchè occorre che siano almeno iniziati la restaurazione
economica dell'Europa ed il conseguente miglioramento delle
condizioni della classe media, senza la cooperazione della quale
nessuna forma di regime rappresentativo riesce alla lunga possibile,
ed è noto che alla cennata restaurazione fanno pur troppo
ostacolo gli odî ancora vivi fra le varie classi sociali e
quelli ancora più vivi fra i diversi popoli europei, odii che
la guerra ha terribilmente eccitato e che non si sono fino ad oggi
sopiti. Bisognerebbe perciò che nella mente e nei cuori di
tutte le nazioni europee entrasse finalmente la convinzione che esso
hanno molti comuni e supremi interessi da salvaguardare, e che sono
tra loro legate da tale una fitta rete di rapporti intellettuali,
sentimentali ed economici ed hanno tali affinità psicologiche
e culturali che riesce impossibile che le sofferenze, l'avvilimento,
la decadenza di una di esse non abbiano il loro contraccolpo su
tutte le altre.
La restaurazione del sistema rappresentativo non significa poi che
esso non possa e non debba, sopratutto in qualche paese, subire
alcune modificazioni. Secondo noi una delle più importanti
dovrebbe riguardare la legislazione sulla stampa; nella quale non
dovrebbe poi riuscire impossibile di conservare integra la
libertà dell'indagine scientifica e l'esercizio di una onesta
critica verso gli atti dei governanti, rendendo più difficile
quella corruzione d'intelletti, che sono e saranno eternamente
minorenni, la quale finora è stata, in qualche nazione
europea, liberamente esercitata. E, volendo raggiungere questo fine,
bisognerebbe sopratutto adottare il principio che la
responsabilità dei reati di stampa, come quella di qualunque
altro reato, deve essere attribuita a colui che realmente li ha
commesso, cioè allo scrittore520. Un'altra modificazione
necessaria ed urgente, se non in tutti in parecchi paesi d'Europa,
dovrebbe riguardare i limiti della libertà di associazione,
che alle volte sono così vaghi ed indefiniti da permettere ad
un governo forte ed autoritario di sopprimere con misure di polizia
ogni associazione e da non offrire nello stesso tempo ad un governo
debole e timido alcuna efficace difesa di fronte all'organizzazione
di elementi contrari alla forma attuale dello Stato e che mirano ad
impadronirsi dei suoi stessi organi per sopraffarlo521.
Ma per superare la presente crisi, che minaccia gli ordinamenti
politici e la stessa compagine sociale, più di ogni altra
cosa occorre che la classe dirigente, spogliandosi di molti
pregiudizi e modificando la propria mentalità, acquisti la
coscienza di esser tale ed abbia quindi chiara la nozione dei propri
diritti e dei propri doveri. E questa nozione non potrà avere
se non saprà elevare il livello della propria cultura
politica, fino ad oggi deficiente anche nei paesi più colti
d'Europa ed in qualcuno deficientissima. Perchè allora
soltanto imparerà a giudicare rettamente l'opera dei suoi
capi, potrà riacquistare presso le masse il prestigio, che in
gran parte ha perduto, e saprà guardare un po' al di
là dei suoi interessi immediati, senza sciupare più
quasi tutta la sua energia per il conseguimento di scopi che giovano
solo a determinati individui ed alle piccole consorterie che attorno
ad essi si formano. Bisogna infine una buona volta convincersi che
oggi siamo in condizioni tali che, per fare degnamente parte di
quella scelta minoranza alla quale sono affidate le sorti di ogni
paese, non basta l'avere conseguito una laurea d'avvocato od il
saper dirigere un'azienda commerciale od industriale, e neppure
l'aver saputo nobilmente esporre la propria vita nelle trincee, ma
sono necessari lungo studio e grande amore.
In ogni generazione vi è un certo numero di caratteri,
generosi che sanno amare tutto ciò che è, od appare,
nobile e bello e consacrano una buona parte della loro
attività ad elevare od a salvare dalla decadenza la
società nella quale vivono. Costituiscono essi quella piccola
aristocrazia morale ed intellettuale che impedisce
all'umanità di imputridire nel fango degli egoismi e degli
appetiti materiali, ed a questa aristocrazia principalmente si deve
se molte nazioni sono uscite dalla barbarie e non vi sono mai del
tutto ricadute. Raramente coloro che di quest'aristocrazia fanno
parte arrivano ai posti più eminenti della gerarchia
politica, ma essi fanno opera forse più efficace,
perchè, plasmando la mentalità ed orientando i
sentimenti dei loro contemporanei, riescono per questa via ad
imporre il proprio programma ai reggitori degli Stati.
È impossibile che nella generazione novella vi sia mancanza o
deficienza di questi caratteri generosi. Ma più di una volta,
nel corso ornai lungo della storia, è accaduto che i loro
sforzi ed i loro sacrifizi sono stati impotenti a salvare un popolo
od una civiltà dalla decadenza e dalla rovina.
Senonchè, a guardarci bene, noi crediamo che ciò sia
in gran parte accaduto perchè allora i migliori non hanno
avuto una visione chiara e precisa dei bisogni della loro epoca e
quindi dei metodi e dei mezzi più adatti a conseguire la
salvezza. Terminiamo perciò facendo voti vivissimi che questa
visione non manchi oggi alla parte più nobile della
gioventù o che Dio illumini la sua mente e riscaldi il suo
cuore in modo che essa sappia meditare ed agire durante la pace cosi
fortemente come, durante la guerra, ha saputo combattere.
INDICE ALFABETICO DEGLI AUTORI
CITATI NEL VOLUME
A
Althusius
Amari Michele
Ammiano Marcellino
Ammon Otto
Antonelli
Apuleio
Aristotile
Averroè
B
Bacone Francesco
Bagehot Guglielmo
Bakunine
Ball John
Bebel
Bellamy
Beloch Giulio
Bertolini Pietro
Bismark
Blanc Luigi
Block
Bluntschli
Boisgilbert Edmund
Boissier Gaston
Bossuet
Botero Giovanni
Brissot de Warville
Brougham
Brugsch
Bryce
Buchanan
Buchez
Buckle
Buffon
Buonarroti
Burke
C
Cabet
Cantarelli Luigi
Capponi Gino
Caussidière
Cedreno
Celso
Cesare
Cherbuliez (Valbert)
Claudiano
Clavel
Cognetti De Martiis
Colajanni Napoleone
Compagni Dino
Comte Augusto
Confucio
Crosa
D
De Gobineau
De Gourmont
De La Hodde Luciano
De La Marck
De La Mazelière
De Mas Sinibaldo
De Pabieu
De Quatrefages
De Sanctis Gaetano
De Solis Antonio
De Unamuno Miguel
De Varigny
De Witt Cornelius
Diehl Carlo
Donnat Léon
Dostoiewsky
Dumas George
Dupont White
E
Ébelot Alfred
Ecclesiaste
Engels Federico
Erodoto
Esiodo
F
Federico 2° di Prussia
Ferrari Giuseppe
Ferraris Galileo
Ferrero Guglielmo
Ferrero Guglielmo e Barbagallo
Ferrero Lombroso Gina
Ferri Enrico
Fischel
Firmin
Fouillée Alfred
Fourier
Fustel de Coulanges
G
Garofalo Raffaele
Gerhart Émile
George Enrico
Glaber Raoul
Grave
Gregorio Rosario
Grote
Guicciardini
Gumplwicz
H
Hammer Pürgstall
Hammurabi (Codice di Hammurabi)
Hartmann
Holtzendorf
Huart
Huc
J
Janet Paolo
Jannet Claudio
K
Karamzine
Keines John Meynard
L
Lamartine
Lapouge
Las Casas
Lassalle Ferdinando
Le Bon Gustavo
Lenin (Ulianof)
Lenormant
Léroux Pietro
Leroy Beaulieu Anatole
Letourneau
Libro dei Giudici
Libro dei Re
Libro di Samuele
Lombroso Cesare
Loria Achille
Luzio Alessandro
M
Macaulay
Mably
Machiavelli
Malaterra Goffredo
Manzoni
Marat
Marco Aurelio
Mablo Carlo (Vinkelblech)
Marsilio di Padova
Marquardt
Marx Carlo
Maspero
Massaja
Mayer Gustavo
Melegari Dora
Memor (Raffaele De Cesare)
Merlino
Messedaglia Angelo
Metchnikof
Michels Roberto
Mickiewicz Adamo
Mirabeau
Mommsen e Marquardt
Mommsen Teodoro
Montesquieu
Morelly
Mosca Bernardo
Mosca Gaetano
Mongeolle
N
Nisco Niccola
Nitti Francesco Saverio
Nobili Vitelleschi
Novikov Giacomo
O
Oberwalder
Odescalchi Baldassare
O' Connell
O' Meara
Omero
Origene
Ostroorski
P
Pacchioni Giovanni
Pantaleoni Diomede
Pareto Vilfredo
Pascal
Platone
Plauchut Edmondo
Polibio
Pollock Federico
Prins Adolfo
Proudhon
Puglia
R
Réclus Élisée
Renan
Rensi Giuseppe
Rituale dei Morti degli antichi Egiziani
Rodbertus
Rodriguez Olindo
Rousseau Gian Giacomo
Rousset Léon
Ruffini Francesco
Rutilio Numaziano
S
Saint-Simon Claudio Enrico
Sallustio
Salviano
Sant'Agostino
San Tommaso
Scababelli Ignazio
Schäffle
Schérer
Schlumberger
Schuré Édouard
Scolari Saverio
Seamen
Sénart Émile
Seneca
Senofonte
Sernicoli
Sheldon Amos
Spencer
Stanley Enrico
T
Tacito
Tarde
Tchernychevski
Thiers Adolfo
Thureau-Dangin
Tocqueville Alessio
Toreno
Tucidide
Turiello
U
Ulpiano
V
Vico Gian Battista
Vigo de Roussillon
Villetard
Voltaire
Von der Goltz
W
Waliszewski
Wellington
Winschell
Worms René
Z
Zakharof
INDICE
PARTE PRIMA
CAPITOLO I.
Il metodo nella scienza politica.
I. Origini e scopi della scienza politica. — II. Perchè si
è scelta questa denominazione. — III. Il metodo sperimentale
e l'origine delle scienze. — IV. Varie applicazioni di questo metodo
nella scienza politica. — V. Sistema che dà la prevalenza
all'ambiente fisico nello studio della scienza politica. — VI. Della
prevalenza dei popoli del settentrione su quelli del mezzogiorno. —
VII. Continua lo stesso argomento. — VIII. I vari tipi di
organizzazione politica e le diversità di clima. — IX.
Importanza della diversa configurazione del suolo. — X. Sistema che
fa dipendere i fenomeni politici dalla diversità delle razze
umane. — XI. Razze superiori ed inferiori. — XII. Il genio delle
razze. — XIII. Il sistema evoluzionista e la lotta per l'esistenza.
— XIV. Il progresso politico ed il miglioramento fisico delle razze
umane. — XV. Riassunto delle teoriche evoluzioniste. — XVI. Il
metodo storico fondato sulla identità fondamentale delle
tendenze ed attitudini politiche delle grandi razze umane. — XVII.
Nuovi materiali di cui questo metodo dispone. — XVIII. Obiezioni che
ad esso si fanno. — XIX. Condizioni alle quali questo metodo
può essere bene adoperato. — XX. Continuazione dello stesso
argomento e conclusione.
CAPITOLO II.
La classe politica.
I. Predominio di una classe dirigente in tutte le società. —
II. Importanza politica di questo fatto. — III. Prevalenza delle
minoranze organizzate sulle maggioranze. — IV. Forze politiche. Il
valor militare. — V. La ricchezza. — VI. Le credenze religiose e la
cultura scientifica. — VII. Influenza dell'eredità nella
classe politica. — VIII. Periodi di stabilità e di
rinnovamento della classe politica.
CAPITOLO III.
Nozioni preliminari.
I. La formola politica. — II. Il tipo sociale. — III. Rapporti tra
il tipo sociale e le religioni universali. — IV. Efficacia di queste
religioni. — V. La formola politica e le religioni universali. — VI.
Lo Stato feudale e lo Stato burocratico. — VII. Differenze fra
questi due tipi di ordinamento politico. — VIII. Cenno sulle cause
della decadenza degli Stati burocratici.
CAPITOLO IV.
Rapporti tra la classe politica ed il tipo sociale.
I. Tendenza degli organismi ad estendere il proprio tipo sociale. —
II. Coesistenza di diversi tipi sociali in unico organismo politico.
— III. Unità e differenze di tipo sociale tra le varie classi
dello stesso popolo. — IV. Rapporti tra la diversità dei
costumi e la varietà del tipo sociale. — V. Psicologia delle
plebi. — VI. Conseguenze della diversità di tipo sociale tra
la plebe e la classe dirigente.
CAPITOLO V.
La difesa giuridica.
I. Varie opinioni intorno al progresso del senso morale. — II. La
scuola evoluzionista. — III. Dottrina del Buckle - Disciplina del
senso morale. — IV. Influenza delle credenze religiose nella
disciplina del senso morale. — V. Influenza dell'organizzazione
politica. — VI. Il semplicismo politico in rapporto alla difesa
giuridica. — VII. I Governi misti - Completamento della teoria di
Montesquieu sulla divisione dei poteri. — VIII. Influenza della
separazione del prestigio religioso dal potere laico. — IX.
Influenza della distribuzione della ricchezza. — X. Rappresentanza
ed equilibrio di tutte le forze politiche. — XI. L'unità di
tipo nella classe politica.
CAPITOLO VI.
Polemiche.
I. La teoria democratica. — II. Rapporti fra il regime
rappresentativo e la difesa giuridica. — III. Significato della
così detta azione dello Stato. — IV. Questioni intorno ai
limiti di questa azione. — V. La dottrina del Comte sui tre stadi
intellettuali e politici. — VI. Valore pratico del parallelismo
stabilito dal Comte. — VII. Classificazione degli Stati, secondo lo
Spencer, in militari ed industriali. — VIII. Debolezze e lacune di
questa classificazione.
CAPITOLO VII.
Chiese, partiti e sette.
I. Istinto della lotta fra le collettività umane. — II. Altri
coefficienti delle gare religiose e politiche. — III. Qualità
dei fondatori di nuove religioni e dottrine politiche. — IV. Nuclei
dirigenti di ogni nuova religione o dottrina politica. — V.
Condizioni transitorie per l'adattabilità delle dottrine
religiose e politiche ai vari momenti storici. — VI. Condizioni
permanenti per la loro adattabilità alla natura umana. — VII.
Transazioni pratiche di certe dottrine. — VIII. Organizzazione
stabile dei nuclei dirigenti. — IX. Contemperanza dei sentimenti
generosi e degli interessi materiali. — X. Sistemi per attirare e
dominare le masse. — Efficacia della forza materiale. — XI. Altre
arti adoperate allo stesso scopo. — XII. Conclusione del capitolo.
CAPITOLO VIII.
Le rivoluzioni.
I. Carattere delle rivoluzioni nelle città elleniche e nei
Comuni medioevali. — II. Guerre civili e rivoluzioni in Roma antica,
nell'Europa feudale e nei paesi maomettani. — III. Rivoluzioni in
China. — IV. Insurrezioni di carattere nazionale. — V. Insurrezioni
rurali in Europa. — VI. Rivoluzioni tipiche della Francia moderna. —
VII. Condizioni per la riuscita di queste rivoluzioni.
CAPITOLO IX.
Gli eserciti stanziali.
I. La funzione militare nelle civiltà primitive. — II. Lo
Stato burocratico e gli eserciti mercenari e stanziali. — III.
Preponderanza politica abituale dell'elemento militare. — IV.
Ragioni per le quali questa preponderanza è stata limitata e
distrutta nei paesi di civiltà europea. — V. Importanza
pratica delle moderne milizie cittadine. — VI. Diversità di
classe fra la bassa forza e gli ufficiali in molti eserciti
stanziali. — VII. Giudizi e pregiudizi intorno alle speciali
attitudini militari dei vari popoli. — VIII. Gli eserciti stanziali,
la guerra e l'avvenire della civiltà di tipo europeo.
CAPITOLO X.
Conclusione.
I. Scopo della conclusione. — II. I tre problemi della vita moderna
— Il problema religioso. — III. L'avvenire del Cristianesimo. — IV.
Il Cristianesimo e la scienza positiva. — V. Il problema politico. —
VI. Esame critico del Parlamentarismo. — VII. Le riforme del
Parlamentarismo. — VIII. Quale sarebbe la riforma fondamentale —
Ostacoli che incontra. — IX. Il problema sociale — Origine della
democrazia sociale. — X. Estensione ed importanza della democrazia
sociale — Varie scuole nelle quali si divide. — XI. Esame critico
del collettivismo. — XII. La giustizia nell'organizzazione sociale.
— XIII. Esame critico dell'anarchia. — XIV. La lotta di classe. —
XV. Effetti pratici della democrazia sociale. — XVI. Cause della
stessa. — XVII. Probabilità di trionfo della democrazia
sociale. — XVIII. Rimedi atti a combatterla. — XIX. Missione della
scienza politica.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I.
Origini della dottrina della classe politica
e cause che
ne ostacolano la diffusione.
I. La dottrina della classe politica è nata da circa un
secolo. — II. Cause estrinseche che ne hanno ostacolato lo sviluppo.
— III. Cause intrinseche della sua mancata diffusione e cenni sui
modi di eliminarle.
CAPITOLO II.
Descrizione dei diversi tipi
di organizzazione
politica.
I. I primi nuclei politici. — II. I grandi imperi orientali. — III.
Formazione dello Stato ellenico. — IV. Originalità e
debolezze dello Stato ellenico.
CAPITOLO III.
Continua il tema del capitolo precedente. — I. Caratteri speciali
della città-Stato romana. — II. Sua graduale trasformazione
in uno Stato burocratico-militare durante l'Impero. — III.
Dissolvimento dello Stato e della civiltà romana. — IV. Cause
che prepararono lo Stato feudale e sue caratteristiche. — V,
Graduale trasformazione dello Stato feudale nello Stato assoluto
burocratico. — VI. Cause intellettuali ed economiche che preparano
la trasformazione dello Stato assoluto burocratico nello Stato
rappresentativo moderno. — VII. La Costituzione inglese del secolo
XVIII fornisce il modello formale allo Stato rappresentativo
moderno. — VIII. Caratteristiche dello Stato rappresentativo moderno
ed elementi dissolvitori che lo minacciano.
CAPITOLO IV.
Principi e tendenze diverse che si affermano nella
formazione e nella organizzazione della classe politica.
I. I due principi e le due tendenze che si possono riscontrare nelle
varie classi politiche. — II. Il principio autocratico. — III. I due
strati della classe politica e l'autocrazia burocratica. — IV. Il
principio liberale. — V. Analisi della tendenza democratica. — VI.
Analisi della tendenza aristocratica. — VII. Risultati
dell'equilibrio fra i due principi e le due tendenze.
CAPITOLO V.
Schiarimenti e Polemiche.
I. Rapporti fra il valore intellettuale e morale dei capi degli
Stati e quello della classe politica. — II. Rapporti fra il valore
intellettuale e morale della classe politica e quello dei governati.
— III. Confutazione del materialismo storico. — IV. Se sia possibile
il governo dei migliori e quali siano politicamente i migliori. — V.
La giustizia assoluta e la giustizia relativa nelle organizzazioni
politiche. — VI. Se i progressi della scienza politica potranno in
avvenire evitare le grandi crisi sociali.
CAPITOLO VI.
Conclusione.
I. Quale è il periodo storico che corrisponde al secolo
decimonono. — II. Programma politico del detto secolo. — III.
Risultati pratici dell'esecuzione di questo programma. — IV. Germi
di dissoluzione politica che esso conteneva e contiene. — V.
Pericoli e danni che presentano le tre soluzioni radicali possibili
della crisi che ora traversa il regime rappresentativo. — VI.
Opportunità di una restaurazione del detto regime e modi
più adatti per effettuarla.
1 Il Ferrari nel suo Corso sugli scrittori politici italiani
(Milano, 1862) ne novera parecchie centinaia quasi tutti
appartenenti ai secoli accennati.
2 La differenza fra la politica come arte di governo
(Staatskunst) e la politica come scienza di governare
(Staatswissenschaft) è stata svolta, a dir vero con non molta
precisione e chiarezza, dall'Holtzendorff nei due primi capitoli del
libro Principes de la politique. Introduction à
l'étude du droit public contemporain. Tradotto in francese
dal Lehr. Hambourg, 1887.
3 Negli ultimi venti o trent'anni è nata la tendenza di
spiegare con lo studio dei fenomeni economici tutti i fatti politici
che avvengono nella storia dell'umanità. In Italia questo
ardito concetto è stato svolto dal Loria nel libro La Teoria
economica della Costituzione politica (Torino, 1886). A noi pare
questo un modo di vedere troppo unilaterale ed esclusivo. Vi sono
fenomeni sociali e politici, ad esempio il sorgere ed il diffondersi
delle grandi religioni, il rinascere di alcune antiche
nazionalità, il costituirsi di alcune grandi monarchie
militari, che non si possono esclusivamente spiegare col variare
della distribuzione della ricchezza o con la lotta fra il capitale
ed i proletari o fra il capitale mobile e l'immobile, come vorrebbe
il Loria.
4 È usato, oltre che dal citato Holtzendorff, dal
Bluntschli, dal Donnat, dallo Scolari, dal Brougham, dallo
Sheldon-Amos, dal De Parieu, dal Pollock e da altri scrittori del
secolo decimonono e del ventesimo.
5 Francesco Bacone, come si sa, paragonava il metodo
esperimentale, che del reato era stato usato molto prima di lui, ad
un compasso che permette, anche ad una mano inesperta del disegno,
di tracciare circoli perfetti, ossia di ottenere dei risultati
scientifici esatti (Vedi Macaulay, Essais politique et
philosophiques, tradotti da Guglielmo Guizot. Paris. Michel
Lèvy, 1872).
6 Per qualcuno che non lo rammentasse o che non avesse letto I
Promessi Sposi, il ragionamento di Don Ferrante era il seguente: in
rerum natura non vi sono che sostanze ed accidenti. Ora il contagio
non può essere accidente perchè non potrebbe passare
da un corpo all'altro, e non può essere sostanza
perchè le sostanze sono terree, acquee, ignee ed aeriformi.
Se fosse sostanza terrea sarebbe visibile, se acquea bagnerebbe, se
ignea brucerebbe, se aerea volerebbe alla sua sfera.
7 Mougeolle, Statique des civilisations. Paris, Leroux, 1883 e
Les problèmes de l'histoire. Paris, Reinwald, 1886;
Bluntschli , Politik ah Wissenschaft. Stuttgart, 1876.
8 Gli abitanti di un paese scarsamente popolato, e
perciò pastorale o boschivo, vivono in un ambiente fisico
differente di quelli che stanno in una contrada molto popolosa e
perciò intensivamente coltivata.
9 L'essere la popolazione abbastanza fitta è condizione
quasi indispensabile al nascere di una civiltà; essa non
è infatti possibile dove cento uomini vivono dispersi in
mille chilometri quadrati. Or, perchè molti uomini possano
vivere in uno spazio relativamente piccolo (almeno in 10 o 20 per
chilometro quadrato), è necessaria la coltivazione dei
cereali. Difatti troviamo la civiltà chinese contemporanea o
posteriore alla cultura del riso, quella egiziana e mesopotamica
basata sulla cultura del frumento, dell'orzo e del miglio,
l'americana indigena su quella del maiz. Forse in qualche paese
tropicale alcune frutta o radici farinacee, come il banano e la
manioca, possono sostituire i cereali.
10 Rammentiamo che ora sembra provato che le più antiche
dinastie fiorirono a Tanis ed a Menfi, che Tebe acquistò
importanza soltanto dopo l'invasione dei Pastori, che l'Etiopia fu
incivilita dagli Egiziani e che solo molto tardi divenne un regno
indipendente.
11 Nello stesso paese, a parità di condizioni, la parte
più civile e prospera è quasi sempre quella che ha
comunicazioni più facili con le contrade che formano il
focolare o il centro irradiatore di quella tale civiltà alla
quale il paese stesso appartiene. Per esempio, in Sicilia la parte
più prospera e civile fu la costa orientale finchè
l'isola appartenne all'antica civiltà ellenica, che avea
appunto il suo centro all'Oriente della Sicilia (Beloch, La
popolazione della Sicilia antica. “Archivio storico siciliano”
1887). Durante il periodo arabo, più colta, più ricca,
più popolata fu la Sicilia occidentale, più vicina
all'Africa, da dove s'irradiava la civiltà maomettana (Amari,
Storia dei Musulmani in Sicilia. Firenze, Le Monnier, 1854-58-68).
Al giorno d'oggi la maggiore popolazione e ricchezza è sulla
costa settentrionale dell'isola, che guarda verso il nord di Europa.
12 Generalmente fa più impressione quella data specie
d'immoralità alla quale siamo meno abituati e perciò
facilmente gli uomini di un altro paese si giudicano peggiori di
quelli del nostro. Però è comune anche il vezzo di
giudicare più immorale degli altri quel paese in cui prima o
meglio si è avuto occasione di conoscere ed apprezzare i vizi
e le debolezze, che son proprie di tutti gli uomini.
13 Colajanni, Sociologia criminale, vol. II, cap. VII, Catania,
Tropea editore, 1889.
14 Vedi le opere del Maury, del Lombroso, del Ferri, del
Puglia.
15 Tarde, La Criminalitè comparée, cap. IV.
16 Sarebbero i dipartimenti dei Pirenei orientali
dell'Ardèche e della Lozère.
17 Nella già citata Sociologia criminale del Colajanni
(vol. II, cap. VII) si contengono altri numerosissimi e calzanti
esempi, che dimostrano la scarsa o nessuna influenza del clima nella
criminalità.
18 Per farsi un concetto dell'importanza e dello sviluppo che
ebbe l'antica costituzione siciliana si può consultare:
Rosario Gregorio, Introduzione allo studio del diritto pubblico
siciliano e Considerazioni sulla Storia di Sicilia (Palermo, 1794 e
1831-34). Se Montesquieu avesse esteso i suoi viaggi un po'
più a mezzogiorno, avrebbe trovato in Sicilia un ordinamento
politico nel quale, anche ai suoi tempi, l'autorità regia era
molto più temperata che in Francia.
19 Citeremo l'esempio della Sicilia: quest'isola, sopra una
superficie di circa 25,000 chilometri quadri ha una popolazione di
più di tre milioni e mezzo d'abitanti, ossia più di
130 per chilometro quadro. Non ha grandi industrie, nè grande
abbondanza di capitali, il suo suolo è in gran parte
montagnoso, ricco di sole ma povero di acque: or, in queste
condizioni, perchè una popolazione possa vivere con
un'agiatezza appena discreta è necessario un lavoro agricolo
indefesso ed anche abbastanza ben diretto.
20 Era Curdo Saladino, Albanese Mehemet Ali, primo
Kedivè d'Egitto. Circassi erano i famosi bey mammalucchi, che
per tanti secoli tennero il dominio dell'Egitto.
21 Vedi fra gli altri Quatrefages, Histoire generale des races
humaines. Paris, 1889; Gumplowicz, Der Rassenkampf. Insprück,
1884; Lapouge, diverse monografie pubblicate nella “Revue
d'Anthropologie „ del 1887 e del 1888, oltre ai lavori dell'Helwald,
del De Gobineau (Essai sur l'inègalitè des races
humaines. Paris, 1884, ed. Didot), ecc.
22 Vita di Gesù, cap. I. In altri lavori lo stesso
autore descrive il Semita in modo poco lusinghiero.
23 Vedi articoli citati nella “Revue d'Anthropologie”. Il
Morselli, in un articolo pubblicato nella “Illustrazione popolare”
del 1887 (Biondi e Bruni) fa sua la tesi del Lapouge, sostenendo la
superiorità dei biondi sui bruni; perchè le nazioni
più civili sono quelle dove prevalgono più i biondi e
nella stessa nazione è sempre più civile quella
regione o provincia dove i biondi sono più numerosi. Ammesso
che il fatto sia vero, bisognerebbe pure provare che nel passato i
popoli bruni non siano mai stati più civili e più
forti dei biondi, giacchè, in questo caso, la presente
superiorità delle nazioni e Provincie dove il pelo fulvo
è più comune potrebbe essere dovuta ad altre cause.
24 È accertato che, fin da un'epoca preistorica
abbastanza remota, la razza americana indigena avea quei caratteri
fisici che ancora la distinguono; in bassorilievi egiziani molto
antichi (di circa venti secoli prima dell'èra volgare) le
figure dei Negri, dei Semiti, degli Egiziani indigeni hanno quei
caratteri fisici, che ancora distinguono queste razze.
25 I Greci ed i Romani seppero maravigliosamente espandere la
loro lingua e la loro civiltà facendole adottare dai popoli
barbari. In Francia il sostrato della popolazione è ancora
celto-kimrico, mentre il francese è un linguaggio
essenzialmente neo-latino. Anche in Ispagna è probabilissimo
che nel nord della penisola prevalga il sangue basco, mentre nel sud
dev'essere fortissima la mescolanza del sangue arabo-berbero. Nella
stessa Italia vi sono certo differenze etniche sensibilissime tra
gl'Italiani del nord e quelli del sud e delle isole, sebbene i varii
dialetti siano tutti essenzialmente neo-latini. Andando fuori
dall'influenza della lingua latina troviamo che i Fellah,
discendenti dagli antichi Egiziani, hanno dimenticato l'antichissima
lingua di Mizraim ed adottato l'arabo, la quale lingua si è
inoltre generalizzata nell'Irak-Arabi, nella Siria e va sempre
più diventando la lingua parlata dai Berberi dell'Africa.
Nell'India dialetti provenienti dal sanscrito sono parlati da
popolazioni che nel colore della pelle e nei lineamenti mostrano
fortissima la mescolanza, e forse anche la prevalenza, del sangue
dravidico. Nella Slesia, nel Brandeburgo, nella Pomerania e nella
vecchia Prussia il tedesco è parlato da popolazioni di
origine in parte slava o letta. Finalmente ai giorni nostri i Celti
dell'Irlanda e del nord della Scozia vanno sempre più
adottando l'inglese.
Queste considerazioni sono ovvie; pure si continuano a fare le
classificazioni etnografiche, specialmente quelle dei popoli
europei, appoggiandosi unicamente sopra i criterii filologici. In
verità in favore di questo sistema si può addurre che
la somiglianza delle lingue, occasionando fra certi popoli un
maggiore scambio d'idee e di sentimenti, contribuisce a dar loro una
somiglianza di tipo intellettuale e morale molto più forte di
quella che si suole attribuire alla consanguineità.
26 L'ipotesi non ha niente d'impossibile perchè
conoscevano altri metalli, come l'oro ed il rame.
27 Vedi Cinq-annes au Congo. Traduttore Gerad Harry. Paris.
1885. editore Dreyfus.
28 Porfirio Diaz, già presidente della repubblica
messicana, che seppe assicurare al suo paese un lungo ed inconsueto
periodo di tranquillità, era un meticcio.
29 Autore del libro l'Égalité des races humaines.
Paris, 1885. – Citato dal Colajanni, Sociologia criminale, vol. II,
pag. 227.
30 Progress and poverty, cap. ultimo. London. 1883.
31 Non parliamo della razza polinesia, la quale ha forse
attitudini superiori, ma, essendo scarsa di numero, e dispersa quasi
tutta in piccole isole, non ha potuto creare alcuna grande
civiltà.
32 Vedi Leroy-Beaulieu Anatole, Les juifs et
l'antisémitisme. Nella "Revue des Deux Mondes" del 1891, 92 e
93. Secondo quest'autore l'Ebreo moderno è un prodotto
dell'isolamento in cui è stato tenuto per tanti secoli dalla
Thora, dal Talmud e dal Ghetto.
33 Si potrebbero citare moltissimi casi nei quali
l'affinità etnica fra due popoli costituisce un legame quasi
impercettibile di fronte a quelli che risultano dalla somiglianza di
religione, o dalla comunanza di storia e di civiltà. Gli
eruditi hanno scoperto che un Magiaro è più stretto
parente di un Chinese di un Turco anzichè di un Francese od
un Tedesco, ma chi potrà asserire che egli moralmente ed
intellettualmente sia più vicino ai primi che ai secondi? Gli
Arii maomettani della Persia e dell'Indostan hanno certo più
affinità morale cogli Arabi e coi Turchi, anzichè coi
loro consanguinei europei, e gli Ebrei stabiliti da lungo tempo
nell'Europa occidentale si sentono certo moralmente più
vicini ai popoli tra i quali abitano, anzichè agli Arabi loro
parenti, che hanno abbracciato la civiltà orientale.
34 A proposito di popolazioni interamente distrutte dai
vincitori si cita il caso dei Tasmaniani, degli Australiani e delle
Pelli-Rosse. Ma in verità queste tribù selvaggie,
scarsissime di numero o sparse sopra territori immensi, sono perite
e periscono principalmente perchè la cultura e l'invadente
civiltà fanno diminuire la grossa selvaggina, che costituiva
il loro principale mezzo di sussistenza. In qualche sito, nel quale
le Pelli-Rosse hanno potuto adattarsi ad una grossolana agricoltura,
si sono sottratte alla distruzione. Nel Messico e nel Perù,
dove gl'indigeni erano numerosi perchè pervenuti allo stadio
agricolo, malgrado le stragi dei conquistatori spagnuoli, essi
costituiscono sempre la gran maggioranza della popolazione. Anche in
Algeria la stentata e sanguinosa conquista, che ne hanno fatto i
Francesi, non ha prodotto la diminuzione numerica degli indigeni.
35 In alcune regioni che per cause particolari erano rimaste
indietro dal movimento generale dell'Europa, la trasformazione che
abbiamo accennato è stata più rapida e sopratutto
più profonda. Chi conosce anche superficialmente la storia
della Scozia e della Sicilia potrà fare un rapido paragone
fra lo stato sociale del primo di questi paesi nel 1745 e quello che
aveva raggiunto nel 1845, e fra le condizioni sociali della Sicilia
nel 1812 e quelle odierne. Il rapido incivilimento dei montanari
scozzesi è stato anche osservato dal Colajanni, nell'opera
già citata, e da altri autori.
36 Lenormant scrive (Histoire ancienne de l'Orient, vol. II,
cap. II, Paris, 1881) che "a datare dai torbidi e dalle guerre
civili nelle quali perì Nitocri (Nit-aqrit) un'eclisse
subitanea e finora inesplicabile si produsse nella civiltà
egiziana. Dalla fine della VI dinastia al cominciare della XI
Manetone conta 436 anni, durante i quali i monumenti sono
assolutamente muti. L'Egitto allora sembra di essere sparito dal
numero delle nazioni e quando la civiltà riappare sembra che
ricominci il suo corso senza tradizione del passato".
L'A. a dir vero non esclude che durante questo periodo non siano
avvenute invasioni straniere, ma, oltre che di esse non vi è
alcuna traccia nei monumenti e nelle iscrizioni, è certo ad
ogni modo che dovettero seguire non precedere la decadenza della
prima civiltà egiziana.
37 È forse un'eccezione la grande invasione dei Goti
avvenuta sotto l'imperatore Decio e che fu respinta da Claudio II.
Ma essa desolò le provincie orientali dell'impero, paesi dove
la civiltà greco-romana dovea durare ancora per lunghissimi
secoli.
38 Di questa rapidissima decadenza della penisola iberica si
dà la colpa alla cacciata dei Mori, avvenuta principalmente
nel 1609 sotto Filippo III. Ma la cacciata dei Mori non poteva
danneggiare che alcune provincie, parte cioè di Valenza e
dell'Andalusia, che furono poi quelle che meno soffrirono
nell'esaurimento generale della Spagna. Il Portogallo e l'Italia,
che decaddero contemporaneamente alla Spagna sebbene in modo meno
sensibile, non ebbero certo a soffrire della cacciata dei Mori.
39 Rammentiamo ad esempio che gli Anglo-Sassoni moderni non
discendono già dai Romani e dai Greci, non dai Semiti della
Siria, fra i quali nacque quella religione che ha così
fortemente fissato la sua impronta nei popoli della Gran Bretagna e
delle sue colonie, non dagli Arabi a cui si debbono tante delle
cognizioni fisiche e matematiche, che gli Inglesi e gli Americani
moderni hanno così maravigliosamente applicato e fecondato.
Essi sono eredi non del sangue, ma delle elaborazioni scientifiche e
psicologiche dei popoli summentovati. Alle volte un popolo
può valersi, risorgendo a civiltà, del lavorìo
intellettuale e morale dei suoi antenati, che, dopo essere stati
civili, erano ricaduti nella barbarie. Tale fu il caso degli
Egiziani antichi e degli Italiani del Rinascimento; ma questo fatto,
a volerlo considerar bene, fornisce un altro argomento contro la
teoria che fa dipendere il progresso sociale dalla eredità
organica.
40 Quest'ultima osservazione l'abbiamo tolta dal George, opera
citata, capo ultimo.
41 È difficile provare che i cervelli dei Francesi
contemporanei di Voltaire erano diversamente conformati di quelli
dei loro padri, che avevano fatto la strage di S. Bartolomeo e la
lega santa. Si può invece agevolmente dimostrare che, in poco
più di un secolo e mezzo, si erano profondamente modificati
lo stato economico e politico e l'ambiente intellettuale della
Francia.
42 Vedi Lenormant, Maspero, Brugsch, ecc.
43 Basti osservare che la China ha avuto anch'essa il suo
periodo feudale e che, almeno fino a poco tempo fa, era retta da una
burocrazia che si reclutava per mezzo di concorsi. Anche la
religione ed il regime della proprietà vi hanno subito
vicissitudini diversissime. Vedi Rousset, A travers la Chine. Paris,
1879, Hachette; Metchnikof, La civilisation et les grandes fleures
historiques. Paris, 1889, Hachette; Élisée
Réclus, Nouvelle gèographie universelle, vol. VII.
Paris, 1882, Hachette.
44 Utili per chi? Per l'individuo che le commette o per la
società? Pur troppo le due utilità sono molto separate
e distinte e ci pare che ci voglia... assai poca pratica del mondo
per sostenere che un'azione utile per la società riesca
generalmente tale per l'individuo che la fa e viceversa.
45 Letourneau, L'évolution de la morale. Paris, 1887. I
brani riportati sono nella lezione seconda, nella quale l'A. spiega
l'origine delle inclinazioni (penchants) morali, e nella ventesima.
46 Avevamo già scritto queste pagine quando abbiamo
letto un articolo di Alfred Fouillée (La psychologie des
peuples et l'anthropologie nella "Revue des Deux Mondes" del 25
marzo 1895). In esso si sostiene presso a poco e con alcuni
argomenti analoghi la tesi che noi abbiamo propugnata; l'A., ad
esempio, scrive che "les facteurs ethniques du caractère
national ne sont ni les seules, ni les plus importants,
l'uniformité de l'instruction, de l'éducation, des
croyances communes compensent, et au delà, les
diversités des familles ethniques". Anche il Colajanni e il
Metchnikof, nelle opere citate, combattono fortemente e
brillantemente coloro che amano esagerare l'importanza della razza
come fattore sociale.
47 La somiglianza psicologica è sempre maggiore fra
popoli, che hanno raggiunto un grado di civiltà, se non
uguale, non troppo diverso, anzichè fra quelli che sono
più vicini cronologicamente ed etnograficamente. Un Italiano
od un Tedesco moderno è più vicino nel suo modo di
pensare ad un Greco dell'epoca di Platone e di Aristotile
anzichè ad un suo antenato del Medio Evo. Basta consultare la
letteratura delle diverse epoche per accorgersi che questa
asserzione è esatta.
48 Per convincersi che ciò che si chiama il caso
fortuito, cioè una serie di circostanze che sfuggono
all'azione ed alla previdenza umana, ha un'influenza nella sorte dei
popoli, basta tener presente che finora non raramente la sorte di
una nazione è stata decisa dall'esito di una battaglia (ad
esempio, a Platea, a Zama, a Xeres, a Poitiers, ad Hastings), e
nell'esito delle battaglie, specialmente prima che la guerra fosse
combattuta con criteri scientifici, il caso fortuito ha avuto gran
parte.
49 Queste pagine furono scritte nel 1894, noi non le
rinneghiamo; ma oggi un più attento studio ci ha indotto ad
attribuire maggiore importanza al coefficiente etnico. Crediamo
infatti che, come dimostra assai bene il Le Bon (Les Opinions et les
Croyances, Paris, Flammarion, 1911, libro VI), il passato di un
popolo, che in certo modo s'identifica con la razza alla quale
appartiene, determini in esso la formazione di abitudini e di
tendenze intellettuali e sopratutto morali, le quali, appunto
perchè si sono formate attraverso un lungo corso di
generazioni umane, hanno talora bisogno di molti secoli
perchè siano sostanzialmente modificate.
50 È il caso di rammentare i pregiudizi diversi che,
secondo lo Spencer, si oppongono al progresso delle scienze sociali.
Certo lo studioso di scienza politica deve riguardare le
nazionalità, le religioni, i partiti, le dottrine politiche
obiettivamente e solo come fenomeni dello spirito umano. Ma il
precetto è più facile a darsi che ad essere applicato,
e per la sua applicazione occorrono nell'osservatore un'attitudine
speciale e sopra tutto un lunghissimo studio della storia umana, che
contribuisce moltissimo a sviluppare quell'obiettività di
vedute alla quale abbiamo accennato.
51 Non bisogna dimenticare quello che avviene nell'Economia
politica. Il libero scambio, ad esempio, è dai cultori
spassionati di questa scienza unanimemente giudicato come
vantaggioso, ed intanto le nazioni più civili tornano al
più feroce protezionismo.
52 Ad esempio vi furono epoche in cui alle cariche pubbliche
pare si arrivasse per esami ed all'esercito era preposta una
ufficialità educata ed istruita in speciali scuole militari.
53 Ad esempio, se si tien presente soltanto la storia degli
stati greci dell'epoca di Pericle, si può credere che la
storia del mondo consista soltanto nella lotta della democrazia
coll'aristocrazia (o meglio di due oligarchie, l'una più
ristretta, l'altra più larga) e dell'ellenismo coi barbari.
Se si pon mente alla sola storia dell'Europa dal mille cinquecento
al mille seicento, si può conchiudere che tutto il movimento
dell'umanità siasi esplicato nella lotta fra Cattolici e
Protestanti e fra la civiltà europea e la maomettana.
54 Alcuni sociologi anzi rimontano più avanti ed
analizzano attentamente le società animali, e negli alveari
delle api, nei formicai, negli strupi dei quadrupedi e dei
quadrumani rintracciano le prime origini di quei sentimenti sociali,
che poi si manifestano completamente nei grandi organismi politici
umani.
55 Crediamo che, per illuminarci sulle vere condizioni sociali
di un dato popolo, valga più un documento autentico come le
leggi di Manù, i frammenti delle Dodici Tavole o il Codice di
Rotari, che le relazioni di parecchi viaggiatori contemporanei.
Ammettiamo però che la relazione del viaggiatore potrebbe
servire molto utilmente per illustrare e commentare il documento.
È superfluo ricordare che, trattandosi di tribù
selvaggie, i documenti mancano affatto.
56 Mosca, Teorica dei Governi e Governo parlamentare, cap.
1°. Torino, 1884, Loescher.
57 Si sa che quella che Aristotele chiamò democrazia non
era che un' aristocrazia più larga, e lo stesso Aristotele
avrebbe potuto osservare che, in ogni Stato greco, aristocratico o
democratico che fosse, vi erano sempre una o pochissime persone che
aveano un'influenza preponderante.
58 Fra gli autori che ammettono questa coesistenza basta citare
lo Spencer.
59 Il Re Casimiro II il Grande (1333) tentò invano di
porre un argine a questo prepotere dei guerrieri e, quando i paesani
venivano a reclamare contro i nobili, si limitava a domandare loro
se non avessero bastoni e pietre. Più tardi, nel 1587, la
nobiltà imponeva che tutti i borghesi delle città
fossero costretti a vendere le loro terre, in maniera che la
proprietà di queste non poteva appartenere che a nobili,
contemporaneamente faceva pressione sul Re affinchè iniziasse
a Roma le pratiche necessarie per ottenere che non potessero
d'allora in poi essere ammessi in Polonia negli ordini sacri che i
soli nobili, volendosi così escludere assolutamente dalle
cariche onorifiche e da ogni importanza sociale i borghesi ed i
contadini. Vedi Mickiewicz, Slaves, cap. IV, pag. 376-80; Histoire
populaire de Pologne, cap. I e II. Paris, 1875, ed. Hetzel.
60 Leroy-Beaulieu Anatole, L'Empire des tzars et les Russes,
vol. I, pag. 338 e seg. Paris, 1881-82, Hachette.
61 Cesare fa rilevare replicatamente che il nerbo degli
eserciti gallici era costituito dai cavalieri reclutati nella
nobiltà. Gli Edui, ad esempio, non potevano più
resistere ad Ariovisto dopo che la maggior parte dei loro cavalieri
era stata uccisa combattendo.
62 Col crescere della popolazione suole crescere, almeno in
certe epoche, la rendita ricardiana, segnatamente perchè si
creano quei grandi centri di consumo, che sono o furono costituiti
da tutte le metropoli e dalle altre grandi città antiche e
moderne. Or una popolazione discretamente fitta e la creazione di
grandi città sono condizioni quasi necessarie di una
civiltà avanzata.
63 Vedi Claudio Jannet, Le istituzioni politiche negli Stati
Uniti d'America, parte II, cap. X e seg. ("Biblioteca politica"
Unione tipografica editrice, Torino). L'A. cita moltissimi autori e
giornali americani, che rendono la sua asserzione irrecusabile.
64 Jannet, opera e capitoli citati (La corruzione privata.
Onnipotenza del danaro. La plutocrazia, ecc.). I fatti citati oltre
che attestati da quest'autore con numerosissimi documenti sono
confermati da molti scrittori americani di cose politiche, dal
Seamen ad es. e dal George, che pur sono di principi differenti. Del
resto coloro che hanno qualche pratica della letteratura americana
sanno che essi sono ammessi da romanzieri, commediografi e
giornalisti come cosa risaputa. Il socialista George ha più
che all'evidenza dimostrato (vedi opera già citata) come il
suffragio universale non basti ad impedire la plutocrazia, dove vi
è una grande disuguaglianza di fortune. È sua
l'asserzione che negli Stati dell'Ovest un ricco si può
cavare il capriccio di ammazzare impunemente un povero. Lo stesso
autore nel "Protection and free trade" (London, 1886) accenna
continuamente all'influenza dei grandi industriali nelle decisioni
del Congresso.
65 Secondo qualche autore solo i barbieri e certe categorie di
battellieri sarebbero stati esclusi, insieme ai loro figli, dal
diritto di concorrere ai vari gradi del mandarinato. Rousset, A
travers la Chine. Paris, 1878, Hachette.
66 Sinibaldo de Mas, Chine et puissances chrétiennes,
pag. 332-34; Huc. L'Empire Chinois.
67 Almeno così era fino a pochi anni fa, quando gli
esami dei mandarini versavano soltanto sulle discipline letterarie e
storiche alla maniera, ben inteso, come queste discipline erano
comprese dai Chinesi.
68 Ci pare del resto che quest'arte di governo, meno casi
eccezionali, sia una qualità molto difficile a constatare in
individui, che ancora non hanno fornito la prova pratica di
possederla.
69 Il principio democratico della elezione a suffragio molto
largo parrebbe a prima vista in contraddizione con questa tendenza
alla stabilità della classe politica, che abbiamo accennato.
Ma bisogna osservare che riescono quasi sempre eletti coloro che
posseggono le forze politiche, che abbiamo già enumerato e
che spessissimo sono ereditarie. Difatti nel Parlamento inglese ed
anche in quelli francese ed italiano vediamo frequentemente sedere i
figli, i fratelli, i nipoti e i generi di deputati ed ex-deputati.
70 Op. cit. Questo concetto si ricava da tutto lo spirito del
lavoro, ma è nettamente affermato nel libro 2°, cap.
XXXIII.
71 Sembra anzi accertato che, fra tutti i coefficienti di
superiorità sociale, quello nel quale l'eredità si
afferma con minore efficacia sia la superiorità
intellettuale, poichè i figli degli uomini di mente
più elevata spesso hanno intelletto mediocre; ed è
perciò che le aristocrazie ereditarie non si sono mai fondate
sulla sola superiorità intellettuale, ma piuttosto su quella
del carattere e della ricchezza.
72 Scrisse Mirabeau che, per qualunque uomo, una grande
elevazione nella scala sociale produce una crisi, che guarisce i
mali che ha e glie ne crea alcuni, che prima non aveva. Vedi
Correspondance entre le comte de Mirabeau et le comfe de La Marek,
vol. II, pag. 228. Paris, 1851. Librairie Le Normant.
73 Del resto l'asserzione del Gumplowicz che la
differenziazione delle classi sociali dipenda massimamente dalle
varietà etniche meriterebbe almeno di essere provata; di
contro a quest'asserzione si possono addurre facilmente molti fatti,
e fra gli altri quello, tanto ovvio, che spessissimo i rami della
stessa famiglia appartengono a classi sociali molto differenti.
74 Lenormant, Maspero, Brugsh, opere citate. Durante il periodo
della cacciata degli Hiqsos abbiamo il resoconto della carriera di
un alto ufficiale, che aveva cominciato la carriera da semplice
soldato. Frequentissimi erano poi i casi in cui lo stesso individuo
serviva successivamente nella milizia, nell'amministrazione civile e
nel sacerdozio.
75 Mommsen e Marquardt, Manuel des antiquités romaines.
Trad. Humbert, Ed. Thoria, Paris, 1887; Fustel de Coulanges,
Nouvelles recherches sur quelques problèmes d'histoire.
Paris, 1891, Hachette.
76 Non citeremo esempi di popoli, che si trovano in periodi di
rinnovamento perchè nel nostro secolo sarebbero superflui.
Rammentiamo soltanto che, nei paesi di recente colonizzazione, il
fenomeno del rapido rinnovarsi della classe politica si presenta
più di frequente e più spiccato. Dappoichè,
quando comincia la vita sociale nei detti paesi, non esiste una
classe dirigente bella e formata e, durante il periodo in cui si
costituisce, è naturale che il suo ingresso resti più
accessibile. Inoltre il monopolio della terra e di altri mezzi di
produzione vi è, se non del tutto impossibile, certo
più difficile che altrove. È perciò che le
colonie greche offrirono, almeno fino ad una certa epoca, un largo
sbocco a tutti i caratteri energici ed intraprendenti dell'Ellade, e
che negli Stati-Uniti d'America, dove la colonizzazione di nuove
terre ha durato per tutto il secolo decimonono e nuove industrie
sono continuamente sorte, gli uomini che dal nulla arrivano alla
notorietà ed alla ricchezza sono ancora frequenti, ciò
che contribuisce a mantenervi l'illusione che la democrazia sia una
realtà.
77 Teorica dei Governi, cap. I.
78 Per la dimostrazione di questo concetto vedi Mosca, Teorica
dei Governi e le Costituzioni moderne. Dovremo tornare
sull'argomento anche durante il corso del presente lavoro.
79 È la boria nazionale di cui parla Vico.
80 Opera citata, parte 2a, cap. XXXVII.
81 Ciò è riconosciuto dallo stesso Gumplowicz.
Vedi Opera e capitolo citati.
82 Vedi in proposito Mosca, Fattori della Nazionalità.
"Rivista Europea" del 1882.
83 Vedi il capitolo primo di questo lavoro.
84 Intendiamo parlare delle influenze morali ed intellettuali,
giacchè materialmente delle mescolanze coi barbari vicini, ne
saranno sempre avvenute, se non altro perchè ad essi si usava
dare la caccia per ridurli schiavi.
85 Vedi la famosa stela di Mesa re di Moab. Si trova tradotta
nell'opera citata del Lenormant ed in altri scrittori di storia
dell'antico Oriente.
86 Il linguaggio che Rab-Sache ambasciatore assiro avrebbe
indirizzato al popolo radunato sulle mura di Gerusalemme illustra i
concetti che abbiamo accennato. "Rendetevi al mio signore, diceva
egli, perchè come gli altri Dei sono stati impotenti a
salvare i loro popoli dalla conquista assira così Javeh non
potrà salvare voi". In altre parole Javeh era un Dio, ma era
meno potente di Assur, perchè il popolo di Assur vinceva gli
altri. I Siri di Damasco una volta avrebbero evitato di dare
battaglia ai Re d'Israele nelle montagne, perchè credevano
che nelle regioni montuose Javeh fosse più potente del loro
Dio (Cronache e libro dei Re).
87 L'Ebraismo padre del Cristianesimo e del Maomettismo
è divenuto anch'esso, mediante un lungo processo evolutivo
che rimonta ai Profeti, una religione prevalentemente umanitaria,
però si è poco diffuso. Forse anche, sebbene in
origine fosse una religione nazionale, avea tendenze umanitarie la
religione di Zoroastro.
88 In India si sa che le religioni ora prevalenti sono la
maomettana e la braminica; la quale, benchè non sia una
religione umanitaria, è fortemente organizzata e, colle sue
caste e colle sue minute prescrizioni, che moltiplicano i casi
d'impurità ai menomi contatti con persone fuori della casta,
ha una grande efficacia coibente ed ostacola moltissimo qualunque
lavorìo di assimilazione sociale.
89 Vedi Leroy-Beaulieu, L'Empire des tzars et les Russes.
90 Fu sotto la dinastia dei Tang che queste tribù turche
si stabilirono nelle provincie di Scen-si e di Kan-sou, chiamatevi
per combattere le invasioni dei Tibetani. Nel 1861 l'antipatia, che
sempre ci era stata tra i maomettani ed i loro conterranei buddisti,
diè origine ad una terribile insurrezione, nella quale i
primi fecero una guerra di sterminio ai secondi. Dopo avere desolato
orribilmente le provincie accennate la guerra civile si restrinse
nella Kashgaria al di là della gran muraglia, e non
finì che nel 1877 coll'assassinio del capo dei maomettani
Jakoub-beg (Rousset, opera citata).
91 Basta avere una superficiale conoscenza della storia dei
paesi maomettani per esserne convinto. Eredi della civiltà
persiana dell'epoca dei Sassanidi e mercè lo studio degli
antichi autori greci, i Musulmani, per parecchi secoli del Medio
Evo, furono assai più spregiudicati dei cristiani
contemporanei (Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia). Quest'autore
traduce e riporta una corrispondenza fra l'imperatore Federico II e
parecchi dotti musulmani, suoi contemporanei, nella quale si sente
un forte sapore di razionalismo.
92 Si sa che il gran Lama, dal quale dipendono i Buddisti del
Tibet, della Mongolia e di alcune provincie della China propriamente
detta, seguiva strettamente a Lassa, fino a pochi anni fa, le
ispirazioni del residente chinese. I Bonzi diffusi nella maggior
parte della China, non hanno un'organizzazione centralizzata e
rappresentano quasi i Protestanti del Buddismo. Il Governo li
tollera e spende spesso alcune somme per calmare le superstizioni
popolari mediante feste buddistiche. Le classi colte, come si sa,
seguono in China il positivismo agnostico di Confucio, che si
può anche confondere con un vago Deismo.
93 Leroy-Beaulieu, opera citata e segnatamente il libro dove
parla delle religioni della Russia.
94 Ciò accadde sopratutto durante le più antiche
ed anche al tempo di alcune fra le più recenti dinastie.
Bisogna tener presente che la storia dell'antico Egitto dura circa
trenta secoli, spazio di tempo durante il quale, malgrado la pretesa
immobilità orientale, una società ha comodamente il
tempo di passare più volte dallo stadio feudale al
burocratico e da questo tornare all'ordinamento feudale.
95 Anche la China traversò il suo periodo feudale e nel
Giappone questo ordinamento è durato fino alla fine del
secolo decimosesto, e le sue traccia sparvero solo dopo la
rivoluzione del 1868. È ancora feudale l'organizzazione
dell'Afganistan e lo era in gran parte quella dell'India, quando fu
conquistata dagli Europei. Si può dire anzi che ogni grande
società ha dovuto traversare una o parecchie volte il periodo
feudale.
96 Secondo Gino Capponi (Storia della Repubblica di Firenze.
Firenze, 1876 ed. Barbera) le ultime cavallate, ossia spedizioni
militari alle quali i nobili ed i ricchi mercatanti fiorentini
presero personalmente parte, rimontano al 1325.
97 Il pensiero ricorre subito all'esempio della Polonia.
98 Come è accaduto nell'impero romano, che in Occidente
sopravvisse un secolo e mezzo ed in Oriente più di undici
secoli alla adozione del Cristianesimo. Analoghe osservazioni si
potrebbero fare sulle nazioni moderne, che dal diritto divino sono
passate al regime parlamentare.
99 Vedi Huc, Réclus, Rousset, Opere citate.
100 Bisogna tener presente che coll'organizzazione feudale
è più pesante, diretta ed arbitraria l'autorità
che un membro della classe dirigente può esercitare su
parecchi od anche molti individui della classe sottomessa, mentre
colla organizzazione burocratica è più efficace
l'azione dell'intera classe politica sul resto della società.
101 È da notare che nell'Egitto antico, come nella
China, non era ancora conosciuta la coniazione dei metalli preziosi.
I tributi perciò si prelevavano in natura, oppure si
calcolavano in metalli preziosi, che erano pesati. Ciò era un
ostacolo non indifferente al funzionamento del regime burocratico e
vi si suppliva mercè una complicata e minuziosa
contabilità.
Importante poi è, dal lato psicologico, il fatto che, quando
le circostanze sociali sono identiche, l'uomo a migliaia d'anni di
distanza si rivela, anche nelle piccole cose, sempre lo stesso.
Esistono infatti (sono tradotte e riportate dal Lenormant nell'opera
citata, e dal Masperol lettere di ufficiali egiziani, che descrivono
i disagi delle lontane guarnigioni della Siria ed altre lettere di
funzionari, che si annoiano nelle piccole città di provincia
e sollecitano la protezione dei superiori e... il trasloco nella
capitale.
102 Alla fine del lungo regno di Ramses II, col quale comincia
la decadenza della terza civiltà egiziana, le imposte erano
divenute intollerabili, come è attestato da parecchi
documenti privati, che si trovano decifrati nelle opere del Maspero,
del Lenormant, ecc. È noto che la vera causa della decadenza
dell'impero romano fu la diminuzione della popolazione e della
ricchezza, che dovette essere principalmente causata dalla gravezza
delle imposte e dalla ignorante ingordigia con cui si esigevano
(Vedi principalmente Mommsen e Marquardt, opera citata nel volume
che tratta dell'Organizzazione finanziaria dei Romani). Anche in
Francia la popolazione e la ricchezza diminuirono alla fine del
lungo regno del gran re Luigi XIV e si rimisero in buono stato sotto
il governo del pacifico cardinale Fleury.
103 Come dovette avvenire alla più gran parte del fiore
delle dieci tribù d'Israele trasportate al di là
dell'Eufrate.
104 Specialmente in quella contrada che prese dopo d'allora il
nome di Franconia.
105 Si sa che il principale inspiratore ed autore di questa
vasta colonizzazione fu il Gran Maestro Hermann di Salza.
106 Vedi Mommsen Teodoro, Le provincie dell'impero romano da
Cesare a Diocleziano. Traduzione di De Ruggiero. Roma, 1887, ed.
Pasqualucci.
107 Ciò si vede benissimo leggendo la ritirata dei
diecimila: basta ricordare l'episodio di Siennesi re di Cilicia,
quello del passaggio attraverso i Carduchi, e gli altri riguardanti
la marcia attraverso i Mosineci e gli altri popoli del Ponto Eusino.
108 Il neo impero persiano dei Sassanidi, sebbene assai
più piccolo dell'antico, pure, essendo quasi tutto abitato da
popoli affrattellati dalla comune dottrina dell'Avesta,
superò tempeste molto più forti e numerose di quelle
che ebbe a patire l'antico impero persiano, e durò più
di quattro secoli.
109 Ciò avviene o perchè i governi dell'Oriente
hanno minori risorse e quindi minor forza di assimilazione di quelli
europei, o perchè in Oriente vi è più vero
spirito di tolleranza che fra noi. Rammentiamo la maniera come
scomparvero le floride e numerose colonie maomettane della Sicilia e
della Spagna, appena qualche secolo dopo che ebbero perduto il
dominio politico. Anche oggi, nella penisola balcanica, appena un
paese è sottratto al Governo del Sultano, i suoi abitanti
maomettani tendono a diminuire rapidamente e qualche volta
spariscono del tutto.
110 Queste righe furono scritte nel 1895, non troviamo che si
debbano modificare neppure dopo gli avvenimenti del 1912 e 1913;
perchè i recentissimi disastri della Turchia sono
esclusivamente dovuti alla disorganizzazione ed incapacità
della sua classe dirigente, intensificate da trenta anni di
dispotismo hamidiano e da quattro anni di regime giovane turco. Ma i
soldati turchi hanno dimostrato ancora una volta di saper combattere
e morire per la loro fede, che per essi si confonde con la patria.
111 Naturalmente ci erano delle eccezioni fra i generali
più importanti e fra questi noteremo Kutuzof, Barclay di
Tolly, Bennigsen, Doctorof, Bagration, ma nessuno può negare
che la istruzione e capacità media dei generali russi fosse,
al principiare del secolo scorso, notevolmente inferiore a quella
degli ufficiali austriaci o prussiani. Il famoso Souvarof conosceva
assai bene la psicologia del soldato russo e l'arte di condurlo alle
imprese più arrischiate, ma era del resto un temerario
più che dotto condottiero.
112 Neppure l'ultimo dei contadini consentiva sotto le
più forti minaccie ad insegnare la strada ai Francesi (Vedi
le storie del Thiers, del Toreno e le memorie del colonnello Vigo de
Roussillon pubblicate nella "Revue des Deux Mondes" del 1891). La
mediocrità degli eserciti regolari spagnuoli, composti in
massima parte di reclute e privi di ufficiali sperimentati, oltre
che dagli autori francesi è attestata pure nella
corrispondenza del duca di Wellington e di altri ufficiali inglesi.
113 Si sa che l'esercito di Championnet erasi fermato avanti
Capua e che fu chiamato ed incoraggiato a dar l'assalto a Napoli dai
repubblicani napoletani. Quest'assalto inoltre non sarebbe stato
dato, nè probabilmente avrebbe avuto esito felice, senza la
consegna proditoria di Castel S. Elmo e l'attacco alle spalle dei
difensori di porta Capuana; l'una e l'altro opera degli stessi
repubblicani napoletani.
Questi fatti spiegano le terribili vendette, non solo regali ma
anche popolari, che ebbero luogo dopo abbattuta l'effimera
repubblica partenopea.
114 Il fatto è attestato dal Renan e da altri scrittori
e risulta evidente poi per chi abbia un po' di pratica della
società e della cultura maomettana.
115 In Francia, ad es., Voltaire, al principio della sua Storia
del secolo di Luigi XIV, fa rilevare come la nobiltà
francese, quando quel principe cominciò effettivamente a
regnare (1660), fosse ricca d'ingegno naturale, ma rozza di modi ed
ignorante. In Inghilterra il Cobbett verso la fine del secolo
decimottavo così metteva in luce la differenza fra gli
affittaioli del buon tempo antico (cioè di quando egli era
fanciullo) e quelli dell'epoca in cui scriveva: "Una volta gli
affittaioli alloggiavano e nutrivano tutti i loro contadini,
sedevano insieme alla loro gran tavola di quercia e, dopo la
preghiera del pastore, bevevano la stessa birra; ma ora i costumi
sono cambiati, il salariato tocca la sua paga e va a mangiarla solo
in qualche buco, mentre l'affittaiolo si è trasformato in un
gentilomastro, ha delle caraffe di cristallo, delle forchette col
manico d'ebano, dei coltelli col manico d'avorio, dei piatti di
porcellana. I suoi figli in ogni caso non lavoreranno mai la terra,
faranno piuttosto i commessi, gli scritturali, i garzoni di
bottega...". Una simile trasformazione si è compiuta negli
ultimi cento anni fra i grossi affittaioli ed i medii proprietari
del Napoletano e della Sicilia; i loro bisnonni erano ricchi forse,
ma in ogni caso contadini; essi ora, anche poveri, sono sempre
galantuomini, ciò che nei dialetti locali significa persone
che hanno ricevuto un'educazione civile.
116 Si può obbiettare che i poveri servono generalmente
a malincuore coloro che sono arricchiti da poco tempo. Ciò
è vero, ma nel caso ci sono altri elementi dei quali bisogna
tener conto: il neo arricchito facilmente suscita l'invidia, inoltre
è spesso più duro e più avaro di colui che
è dalla nascita abituato all'agiatezza, infine, quasi sempre,
invece di conservare comunanza di abitudini e di sentimenti colla
classe dalla quale proviene, fa di tutto per adottare quelli della
classe superiore; giacchè il far dimenticare la propria
origine suole essere la sua principale ambizione e preoccupazione.
117 Histoire populaire de Pologne, già citata.
118 Qualche seguace del Gumplowicz potrebbe osservare che, nel
caso dell'Irlanda, l'odio sopravvenuto fra proprietari e contadini
potea essere un effetto della diversità di razza, dal
trovarsi il Celta di fronte al Sassone, per usare l'espressione
favorita dal famoso O' Connell. Di passaggio facciamo rilevare che
le prime famiglie anglo-normanne stabilite nel medio-evo in Irlanda,
ad esempio i Talbot ed i Fitzgerald, ecc., le quali fecero una lunga
dimora in quel paese, finirono coll'adottare le costumanze celtiche,
e, nelle varie insurrezioni, combatterono nelle file degli Irlandesi
contro gli Inglesi. Ma vediamo piuttosto quello che accade in
Russia, dove, fra la massa della nobiltà ed i contadini non
vi è certo differenza di razza, ma vi è piuttosto una
gran differenza di tipo sociale e sopratutto di costumi fra la
classe colta, povera o ricca che sia, la quale ha adottata
l'educazione europea, ed il resto della popolazione, che conserva
idee e costumi asiatici. Sentiamo ciò che in proposito ci
dicono i rivoluzionari russi: "Il popolo (scrive Tchernychevski,
accennando ad una possibile rivoluzione dei contadini) ignorante,
pieno di pregiudizi grossolani, e d'un odio cieco per tutti coloro
che hanno abbandonato i suoi selvaggi costumi" (ecco l'antipatia
proveniente dalla differenza del tipo sociale) "non farebbe alcuna
differenza fra le persone che portano l'abito alla tedesca", (che
hanno abbandonato il costume tradizionale russo e vestono
all'europea); "con tutti agirebbe alla stessa maniera, egli non
farebbe grazia nè alla scienza, nè alla poesia,
nè all'arte e distruggerebbe tutta la nostra civiltà".
Leroy-Beauliau, opera citata, vol. II, pag. 524 e seguenti.
119 Si sa che in America dalle coalizioni operaie sono
generalmente esclusi i Negri ed in special modo i Chinesi.
120 A voler essere giusti anzi bisogna riconoscere che il
cosmopolitismo è presentemente una qualità che,
più che nei poveri, trovasi in modo spiccato in una frazione
della classe dirigente; in quella cioè più ricca e
più scioperata.
121 Così infatti accade fra gli Europei in India ed in
China ed in generale in tutte le contrade di civiltà molto
differente dalla nostra.
122 È un fenomeno analogo a quello che abbiamo osservato
nel principio del capitolo parlando dei paesi dove diversi tipi
sociali, nel senso stretto dell'espressione, vivono mescolati.
123 Si sa che Tacito dipinge i costumi dei Germani come
oltremodo semplici, frugali e virtuosi; più di tre secoli
dopo, durante le invasioni barbariche, Salviano attribuiva le
vittorie dei Goti, dei Vandali, dei Franchi, ecc. alla loro
superiorità morale; giacchè, secondo quest'autore,
gl'invasori erano casti, frugali, veritieri ed i Romani,
specialmente quelli delle classi elevate, fornicatori, intemperanti,
fedifraghi. Machiavelli nel descrivere i costumi e le abitudini dei
Tedeschi dei suoi tempi evidentemente risente l'influenza di Tacito.
Nel secolo passato molti filosofi celebrarono la santità di
costumi dei selvaggi e la rustica semplicità delle plebi.
Pare dunque che sia una tendenza frequente, se non generale, delle
civiltà molto mature, dove vi sono classi politiche che hanno
una cultura letteraria molto raffinata, di entusiasmarsi per
antitesi della semplicità dei selvaggi, dei barbari, dei
contadini (si rammenti l'Arcadia), ai quali si attribuiscono
virtù e sentimenti immaginari e convenzionali. In fondo a
questa tendenza vi è sempre il concetto nettamente espresso
dal Rousseau: che la natura umana è buona, ma è guasta
dalla società e dalla cultura. Su questo concetto, che ha
avuto una influenza grandissima su tutte le idee politiche del
secolo scorso, dovremo ritornare nei seguenti capitoli.
124 Facciamo notare ad esempio che l'Inghilterra ha nel secolo
decimonono adottato pacificamente e senza scosse violente quasi
tutte le più essenziali riforme civili e politiche, che sono
state la conseguenza della grande rivoluzione francese e che sono
costate così caramente alla Francia. È indiscutibile
che il vantaggio evidente della Gran Brettagna si deve in gran parte
alla maggiore energia, al maggior senso pratico ed alla migliore
educazione politica che ebbe, fin quasi agli ultimi anni del secolo
scorso, la sua classe dirigente.
125 Del resto quest'ultima avvertenza è quasi inutile;
perchè, tranne momenti ed individui eccezionali, gli uomini
non hanno mai preso sul serio le massime accennate.
126 Vedi History of civilisation in England (London, 1861,
editori Parker e Comp.), e sopratutto il vol. I, cap. IV,
intitolato: "Comparison between moral and intellectual laws".
127 Vedi la citazione del Letourneau, che abbiamo fatta nella
prima parte di questo lavoro.
128 Non occorre rammentare che, tranne nei brevi periodi di
rivoluzione violenta, le qualità personali sono, per arrivare
ai gradi più elevati, un coefficiente sempre meno efficace
della nascita; giacchè in qualunque società, sia o no
apparentemente democratica, il nascere in alto è il migliore
titolo per restarvi.
Per evitare poi un equivoco nel quale facilmente si può
incorrere, bisogna tener presente che le famiglie da parecchie
generazioni arrivate ai primi gradini della scala sociale spesso
mancano delle qualità, che abbiamo segnalate come più
adatte a portare un uomo dal basso in alto, e ne acquistano invece
altre ben diverse.
Così, ad esempio, tranne casi eccezionali dovuti ad
un'accurata educazione, le vecchie famiglie aristocratiche non si
distinguono per una straordinaria attività, e nello stesso
tempo un vero raffinamento del senso morale può determinarsi
in quelle persone, che, per salire in alto, non hanno avuto bisogno
di combattere lotte accanite, oscure e spesso degradanti. Insomma i
pregi ed i difetti che aiutano un plebeo a forzare le porte di una
aristocrazia, sono qualche cosa di molto differente dei pregi e dei
difetti delle aristocrazie.
129 Si sa che nel rituale dei morti degli antichi egiziani e
specialmente in quelle parti di esso che rimontano ad un'epoca
più antica, si trovano precetti molto simili ai dieci
comandamenti di Dio. Vedi Lenormant, Maspero, ecc.
130 Lo stesso rapporto, in proporzioni naturalmente minori, che
si trova fra la morale del selvaggio e del fanciullo rispetto a
quella dell'adulto e del civile, si trova fra la morale dell'uomo
rozzo e quella di colui che ha una cultura superiore. Ciò che
noi chiamiamo delicatezza di sentire non è che l'intuito di
una morale superiore applicata ad un numero maggiore di rapporti
sociali.
Si sa che i viaggiatori europei dell'interno dell'Africa hanno
trovato, in generale, gli avventurieri arabi individualmente
preferibili ai Negri. Gli è che gli Arabi, eredi di un'antica
civiltà, sebbene anch'essi capaci di tradimenti, di rapine e
di assassinii, sanno, quando vogliono, assumere le forme di
gentiluomini ed hanno almeno la nozione di una morale superiore e
perciò più vicina alla nostra.
131 Il Tarde in un articolo della "Revue des Deux Mondes",
(Foules et sectes au point de vite criminel, pag. 377, 15 novembre
1893) esprime l'opinione che ci sia una vera decadenza morale nella
moderna società europea dovuta a ragioni d'indole sociale.
132 È caratteristico il quadro che Tucidide fa della
demoralizzazione sopravvenuta in Grecia in seguito alle lotte tra le
diverse città ed alle lotte civili entro le città
stesse, che ebbero luogo durante la guerra del Peloponneso. È
da notare che a tutti i cataclismi sociali, che distruggono la
disciplina morale, tiene sempre dietro un periodo di rilassamento di
questa disciplina, che non si va ricostituendo che lentamente. Il
Letourneau nel suo libro “La Sociologie après l'ethnographie”
ha fatto molto bene rilevare come i progressi intellettuali presso i
barbari ed i selvaggi, siano assai più rapidi di quelli
morali. E questo fatto, che avviene anche nelle società
civili che escono da un periodo di disorganizzazione sociale, e che
proviene dalla lentezza con cui si stabiliscono e ristabiliscono le
abitudini morali, contribuisce a dare un'apparenza di verità
alla dottrina del Buckle sulla stabilità assoluta del senso
morale.
Il lettore, che è al corrente dei moderni studi sociologici,
avrà notato che noi abbiamo affatto evitato ogni indagine
sulla origine degli istinti morali od altruistici; infatti per i
nostri studi ci è sufficiente di constatare che essi sono
innati nell'uomo e necessari per la vita sociale. Avrà pure
notato che il nostro modo di vedere è opposto a quello
sostenuto dal Rousseau, che l'uomo, cioè, naturalmente
è buono, ma che la società lo fa cattivo e perverso.
Noi invece crediamo che la organizzazione sociale avendo per
conseguenza il freno reciproco degli individui umani, li migliori;
non già distruggendone gl'istinti malvagi, ma abituando a
domarli.
133 Anche il cardinale Massaja nei suoi Trentacinque anni di
missione in Etiopia (Roma-Milano, 1885-95) fa rilevare la scarsa
efficacia pratica che il Cristianesimo ha nella vita degli Abissini.
134 Parliamo di atti collettivi non di quelli individuali;
giacchè, per quel che riguarda questi ultimi, gli esempi di
uomini isolati, o anche di gruppi d'uomini, che danno prova di
straordinaria abnegazione e di completo sacrificio di sè, non
sono molto rari nè in alcuna epoca, nè in alcun popolo
civile. Essi abbondano in ogni guerra, in ogni epidemia grave, in
qualunque occasione insomma nella quale è utile e necessario
che qualcheduno soffra od affronti un pericolo per tutti.
Nelle stesse occasioni è stato notato da parecchi che, come
si vede una sublimazione della virtù in alcuni, si vede in
altri una esagerazione di codardia ed egoismo, che davanti la
gravità del pericolo e del sacrificio gettano la maschera di
cui si solevano ricoprire. Ed a proposito di ciò è da
ricordare che come vi sono nelle masse le rare febbri di abnegazione
e di sacrificio, vi sono pure quelle che hanno a base i sentimenti
cattivi: la cupidità, la rabbia sanguinaria e la paura.
135 Si sa che quest'autore definisce la libertà politica
“un prevalere delle leggi e degli ordini pubblici sull'appetito
degli uomini particolari”, (Vedi opere inedite, Firenze, Barbera e
Bianchi editori, 1858, vol. 2», pag. 169). Se per uomini
particolari intendiamo i singoli individui, compresi anche coloro
che hanno nelle mani il potere, difficilmente si può trovare
una definizione più rigorosamente scientifica; che ha il
merito di essere antichissima, perchè l'autore, forse senza
saperlo, riproduce il concetto espresso nella sentenza di uno dei
famosi sette savi della Grecia.
Lo stesso Guicciardini, che certo non era un ingenuo, nei suoi
“Pensieri” e nei “Discorsi” ripete spesso questo giudizio: “che gli
uomini in generale amano il bene e la giustizia tutte le volte che
l'amore dell'interesse proprio e dei congiunti o il timore della
vendetta altrui non fa traviare il loro intendimento”. In queste
parole vi è il riconoscimento di quella legge psicologica che
noi abbiamo dato come base della difesa giuridica.
136 Si sa, ad esempio, che nel passato regno di Napoli, come
accade forse anche oggi in Russia, l'azione delle leggi e della
magistratura potea essere annullata dalla polizia. Anche la
uguaglianza davanti le leggi, ufficialmente proclamata, può
riuscire irrisoria. E, per citare esempi antichi, che sono meno
scottanti, osserveremo che nel Codice teodosiano (XI-7-12) è
stabilito che i più grossi proprietari (potentiores
possessores) dovevano pagare l'imposta per mezzo dei governatori
delle provincie; perchè pare che i magistrati municipali,
incaricati generalmente dell'esazione, fossero troppo umili e deboli
davanti a loro. Sotto Arcadio è riconosciuto astrattamente al
colono libero il diritto di citare il proprietario davanti la
giustizia imperiale, ma quest'atto è qualificato come
un'audacia (V. Fustel de Coulanges. Richerches sur quelques
problèms d'histoire, pag. 100 e 120. Paris, 1885, Hachette).
137 Alludiamo a Juarez Celman, ex presidente della Repubblica
Argentina, ed ai suoi complici. Vedi Alfred Ébelot, La
Révolution de Buenos-Ayres. “Revue des Deux Mondes”, 1°
dicembre 1891.
138 Ad esempio Spagnuoli e Siciliani sono comunemente ritenuti
come popoli di scarsa moralità politica, ma non crediamo che
si possa asserire che, nei rapporti di famiglia e nelle loro private
amicizie, siano moralmente inferiori agli altri Europei.
139 Basti ricordare che i califfati arabi di Bagdad, di Cordova
e del Cairo furono per qualche secolo alla testa della
civiltà umana, ma non realizzarono mai sensibili progressi
politici.
140 È notorio che parecchi dei personaggi citati, prima
che arrivassero al supremo potere avevano mostrato carattere mite e
del tutto alieno dagli eccessi ai quali poi si diedero in preda.
Ciò vale sopratutto per coloro, che per la nascita non
parevano destinati ad arrivare al supremo potere. Napoleone I diceva
a Sant'Elena al dottore O' Meara: “Nessuno, eccettuato me stesso, mi
ha fatto del male, io posso dire di essere stato il mio unico
nemico; i miei propri progetti, la spedizione di Mosca e gli
accidenti che ne vennero in seguito, furono le cause della mia
rovina , (Vedi O' Meara, Napoleone nell'esilio, dialogo del 6 aprile
1817). Neppure il genio, neppure il proprio interesse ben inteso
hanno potuto dunque impedire ad un despota di commettere i falli,
nei quali naufragò la propria fortuna e per i quali perirono
centinaia di migliaia di vite umane.
141 Nella vita privata ed anche familiare ognuno che abbia un
mediocre spirito d'osservazione può trovare quegli esempi,
che confermano la regola che abbiamo dato. Facciamo rilevare che in
uno Stato moderno, che ha così vasta estensione e così
grande complicazione burocratica ed amministrativa, l'azione del
capo dello Stato, tolte alcune risoluzioni decisive, quali
sarebbero, ad esempio, la scelta fra la guerra e la pace, nella vita
ordinaria della società è così piccola che
spesso sussistono a preferenza gli abusi ai quali i sovrani sono
personalmente più avversi. Alessandro I, Nicola ed Alessandro
II di Russia, Ferdinando II di Napoli erano certo contrarissimi alla
corruzione amministrativa e pure l'uso di comprare la connivenza dei
funzionari con mancie pare che duri ancora in Russia e non si
potè mai sradicare nel Regno di Napoli (Lerot-Beaulieu, opera
citata; Nisco, Il Regno di Ferdinando II).
Nella storia si trovano esempi nei quali lo stabilirsi del governo
di un despota ha giovato ad un popolo, almeno momentaneamente. Si
dice che Cesare Borgia abbia fatto respirare la Romagna,
distruggendo tutti i tirannetti ed i ladroni che la infestavano.
Anche Mehemet Alì, collo sterminio dei Mamelucchi, diede un
po' di tranquillità all'Egitto. Ciò non significa
altro che il dispotismo, sebbene sia il peggiore tipo di regime
politico, è sempre preferibile all'anarchia, che è
l'assenza di qualunque regime.
142 Pare infatti che il Bramanesimo sia diventato più
rigoroso, immobile e formalista dopo la lotta vittoriosa che esso
sostenne nell'India col Buddismo. Vedi Édouard Schuré.
La légende de Chrisna e Le Bouddha et sa legende. “Revue des
Deux Mondes” del 15 agosto 1895 e del 1° agosto 1888, e
sopratutto Un roi de l'Inde au troisième siècle avant
notre ère. Acoka et le Bouddhisme di Émile
Sénart. “Revue des Deux Mondes” del 1° marzo 1889.
143 Vedi opera citata, vol. I, pag. 86.
144 È appunto perciò che, come già abbiamo
accennato nel capitolo 3°, tutte le lotte civili e le
rivoluzioni fra i Maomettani hanno preso per pretesto una riforma
religiosa od una pretesa al vicariato del Profeta. Ciò
è avvenuto nelle lotte fra Ommiadi, Abbassidi e Fatimiti, che
insanguinarono i primordi dell'Islam, in quelle che tanto
sconvolsero l'Africa settentrionale e la Spagna nei secoli undecimo
e dodicesimo e nei recentissimi movimenti, che abbiamo già
rammentato. Naturalmente in tutti questi movimenti, accanto ai
motivi religiosi, non mancarono mai quelli di carattere
assolutamente mondano.
145 Si è già accennato che vi contribuisce pure
la separazione più o meno completa del potere temporale dallo
spirituale. Del resto, tranne la Russia e la Turchia, crediamo che
giammai nell'Europa moderna ci sia stato un paese in cui il capo del
Governo abbia esercitato più autorità personale di
quella che ebbero Federico il Grande di Prussia e suo padre.
L'indole particolare di questi sovrani, la piccolezza dello Stato da
loro amministrato, le circostanze speciali del momento storico,
fecero sì che le loro amministrazioni fossero il vero
fondamento della grandezza prussiana.
146 Le cause che rendono possibile o che valgono a temperare o
distruggere questa onnipotenza saranno esaminate in altro capitolo.
147 Al giorno d'oggi la democrazia sociale non ha più
nel suffragio universale la stessa fiducia che ponevano in esso i
democratici anteriori al 1848; il George, nel suo Progresso e
Povertà, dice esplicitamente che il dare a tutti il diritto
del voto riesce inefficace e quasi irrisorio là dove vi
è una grande disuguaglianza di ricchezze. Si sa che gli
anarchici, ad es. il Merlino, si scagliano ardentemente contro
l'inefficacia e l'assurdità del Parlamentarismo.
148 Alludiamo alla così detta libertà di stampa,
strumento nuovissimo di difesa giuridica, che è stato
adottato solo nel secolo decimosettimo in Inghilterra e nel secolo
decimonono nei paesi costituzionali e parlamentari del continente
d'Europa.
149 Ricordiamo i taciti esempi della borghesia francese prima
del 1789 e di quella inglese prima del 1832.
150 È difficilissimo che la proprietà immobiliare
possa attualmente avere gli stessi modi d'imporsi di quella
mobiliare. Infatti, per quanto la proprietà dei terreni possa
essere poco divisa, lo è sempre abbastanza perchè
riesca molto difficile in un grande paese ad un piccolo numero di
grandi proprietari coalizzati di dettare leggi al mercato e di
imporsi al Governo. E ciò è tanto vero che il
protezionismo industriale ha preceduto quello agrario, che è
venuto su come reazione e mezzo di indiretto compenso alle
conseguenze del primo.
Un monopolio temporaneo possono esercitare i proprietari di terreni
posti nelle adiacenze immediate delle grandi città che hanno
un rapido sviluppo edilizio; in questo caso vediamo sorgere le
stesse forme di corruzione, che abbiamo additate come speciali alla
proprietà immobiliare.
151 Fino all'ottanta dopo Cristo, la lotta elettorale per
arrivare alle cariche di duumviro ed edile in alcuni municipi era
ancora vivacissima, come è dimostrato dalle numerose grafiti
pompeiane nelle quali si raccomandano dei candidati e si fa il loro
elogio.
152 Su questo riguardo si potrebbero citare molti autori
antichi e moderni; ci contentiamo di ricordare Mommsen e Marquardt,
Manuel des antiquités romaines. Traduzione francese di
Humbert, vol. 1°, pag. 115, 158, 214, 225, e vol. 2°, pag.
187 e seguenti. Paris, 1858, Thorin editore.
153 Come si sa, alla carica di curiale andava annessa una grave
responsabilità finanziaria; perchè il corpo dei
curiali era solidamente garante del pagamento delle imposte di tutta
la città. Questa responsabilità senza dubbio
contribuì allora alla rovina economica del medio ceto.
154 Infatti il mezzo scelto a ripararle non era il più
idoneo, perchè un alto impiegato deve avere, quasi
necessariamente, i modi di vedere, le passioni ed anche i pregiudizi
della classe alla quale appartiene, ed i suoi sentimenti ed i suoi
interessi lo spingono ad agire in modo da meritare la benemerenza
della stessa, piuttosto che quella di un'altra classe, alla quale si
sente moralmente ed intellettualmente estraneo, e che forse è
già abituato a trattar male ed a disprezzare.
155 Naturalmente l'azione di questa terza sezione ha avuto dei
periodi di calma e di recrudescenza.
156 Come si sa partecipa all'esercizio del potere esecutivo.
157 Johnson, arrivato alla Presidenza alla morte di Lincoln
(1866-69), si oppose costantemente a che il Sud, già vinto,
fosse abbandonato al saccheggio dei politicanti repubblicani,
conosciuti sotto il nomignolo di carpets baggers. Hayes, anch'egli
repubblicano, benchè arrivato al potere per mezzo di
spostamenti di voti poco corretti, sanzionati dal lodo,
evidentemente parziale, del magistrato della suprema Corte, fece
subito cessare il regime di spoliazione e di terrore, che avea
durato per otto anni negli Stati democratici del Sud, durante la
doppia Presidenza del troppo famoso Simpson Grant. Cleveland,
presidente democratico eletto nel 1884, fra gli altri atti
sommamente meritori, ebbe il coraggio di mantenere al posto alcuni
funzionari repubblicani, che i suoi partigiani volevano destituiti;
generoso tentativo di abolire il sistema di Jackson, secondo il
quale ogni partito vincitore si attribuisce tutti i posti
retribuiti. Lo stesso Cleveland da governatore dello Stato di
New-York si era reso celebre per la lotta fortunata sostenuta contro
il Tammany Ring, vasta associazione di malfattori, che signoreggiava
nel Consiglio comunale di quella città.
158 Nei primordi dell'Unione americana il suffragio era
generalmente sottoposto a condizioni di censo; in origine anzi negli
Stati della Nuova Inghilterra prevaleva il sistema puritano, per il
quale questo diritto veniva attribuito ai membri delle congregazioni
religiose, poi s'introdusse anche colà il sistema censitario.
Condizioni di censo elevatissime erano pure determinate per
l'eligibilità a membro delle Camere alte locali ed a
governatore. Il suffragio universale si cominciò ad
introdurre nel principio del secolo decimonono negli Stati
dell'Ovest, dove tutti erano immigranti nuovi e proprietari, poi fu
adottato, per tutti i Bianchi, negli Stati del Sud, in fine si
estese anche allo Stato di New-York ed a quelli della Nuova
Inghilterra. La evoluzione non fu compiuta che nel 1850 sotto
l'influenza dei nuovi immigranti e delle idee democratiche francesi.
Agli uomini di colore si sa che il suffragio non fu accordato che
dopo il 1865. Il Tocqueville, il cui valore come osservatore
è stato forse alquanto esagerato, non vide che il principio
di questo movimento democratico e non ebbe modo di esaminare la
democrazia pienamente trionfante.
Contemporaneamente all'allargamento del suffragio si andò
introducendo il principio della diretta eligibilità e
temporaneità dei giudici. Gli antichi Stati della Nuova
Inghilterra furono anche questa volta quelli che più
resistettero alla corrente, ma finirono coll'esserne anche essi
travolti.
Vedi Seamen, Système du gouvernement américain. Trad.
Hippert. Bruxelles, 1872: Claudio Jannet, Le istituzioni politiche e
sociali degli Stati Uniti d'America. “Biblioteca di scienze
politiche” vol. IV, parte 1a, capitoli II e VII.
159 Basta leggere le opere di Luigi Blanc, Lamartine e di quasi
tutti gli scrittori democratici francesi anteriori al 1848 per
convincersi che essi attribuivano la così detta corruttela
della Monarchia di Luglio e tutti gl'inconvenienti del
Parlamentarismo all'intervento del Monarca e sopratutto al suffragio
ristretto. Credenze analoghe erano comunissime in Italia fino a
trenta anni fa; esse anzi formavano e formano il fondamento della
scuola mazziniana.
160 Vedi Teorica dei Governi e Governo parlamentare. Torino,
1884, Loescher; Le Costituzioni moderne. Palermo, 1887, Andrea
Amenta editore.
161 Per semplificare la dimostrazione abbiamo supposto che il
voto sia uninominale. Ma questa libertà limitatissima, che ha
nella scelta del deputato la gran maggioranza degli elettori, e
questa influenza preponderante dei comitati sono fatti inevitabili
(e l'abbiamo dimostrato nelle opere citate), con qualunque sistema
elettorale. Col così detto scrutinio di lista può anzi
avvenire che il numero dei candidati che hanno probabilità di
riuscire sia meno del doppio di quello degli eligendi.
162 Costituzioni moderne, cap. III.
163 Comprendiamo che questo è un argomento a doppio
taglio: perchè le masse non sempre sono più oculate,
nello scorgere e tutelare i loro interessi, di quanto lo siano i
deputati. Conosciamo anzi qualche paese in cui il pubblico
malcontento, più che gli errori dei deputati e dei Governi,
ha ostacolato i rimedi che vi si volevano apportare.
164 Vedi Seamen e Mosca, op. cit.; Schérer, La
Démocratie et la France, ecc., ecc.
165 È indiscutibile, ad esempio, che, in molti paesi, se
gli aumenti delle imposte fossero sottoposti al referendum sarebbero
stati sempre respinti, anche quando fossero stati giustificati dal
più evidente tornaconto del servizio pubblico dalla
più imprescindibile necessità.
166 Vedi capitolo III, pag. 104.
167 Vedi capitoli III e IV là dove abbiamo parlato dei
danni del soverchio svolgimento dato ai lavori pubblici, del
protezionismo economico, dell'influenza antigiuridica che esercitano
sui poteri politici i direttori delle Banche e delle grandi
Compagnie per azioni, dei risultati che ha l'ingerenza del Governo
nelle Banche di emissione.
168 Osservazioni identiche si potrebbero fare sui giudici
conciliatori, sugli amministratori delle Opere pie e sui preposti a
qualche altro degli uffici che in Italia sono affidati a persone che
non fanno parte della burocrazia. Vero è che si potrebbe
obiettare che la nomina dei titolari alle cariche accennate viene
fatta, più o meno direttamente, dai corpi locali elettivi.
169 Scrive infatti Dupont White (L'Individu et l'Etat, pag.
172. Paris, 1857, ed. Guillaumin): L'État c'est l'homme moins
la passion; l'homme à une hauteur où il entre en
commerce avec la vérité même, où il ne
rencontre que Dieu et sa conscience.
170 Questa obiezione alle teorie del Comte fu fatta già
da molto tempo. Perchè il Comte stesso scrive: "cette
coexistence passagère des trois états intellectuels
constitue aujourd'hui le seul fondement plausible des
résistences que les penseurs arriérés opposent
encore à ma loi". Vedi Système de politique positive,
vol. 3°, pag. 41. Paris, 1853, Carillan ed.
171 Natio est omnium Gallorum admodum dedita religionibus,
scriveva già Cesare, esprimendo un giudizio che qualunque
individuo appartenente ad un popolo più colto dà
sempre di un popolo meno colto. È da notare che anche le
persone credenti nelle religioni rivelate, se hanno una certa
cultura scientifica, si guardano bene dall'attribuire all'intervento
continuo degli enti soprannaturali lo svolgersi dei fatti di questo
mondo, come accade fra le genti più rozze e gli individui
più ignoranti.
172 Dobbiamo rammentare che, secondo le idee del Comte, il
monoteismo medioevale e l'ontologia rappresentano la transizione fra
il politeismo, ossia il pieno periodo teologico, e la scienza
moderna. Così pure il feudalesimo, che egli crede un
militarismo difensivo, rappresenta nel suo concetto il ponte di
passaggio fra il periodo militare e l'industriale. Questo modo di
vedere, ad esempio, risulta chiarissimo dal seguente passo: "En
effet, le monothéisme convient autant à la
défense que le polithéisme à la
conquéte. Les seigneurs feudaux formèrent, entre les
commandants militaires et les chefs industriels, une transition
aussi complète que celle de l'ontologisme entre la
théologie et la science" (Système de politique
positive, vol. 3°, pag. 66).
Non possiamo, con tutto il rispetto dovuto al Comte, non rilevare
come la prima asserzione, che il monoteismo cioè sia adatto
alla difesa, come il politeismo alla conquista, dimostra
l'ignoranza, o almeno una trascuranza completa di gran parte della
storia del mondo; ad esempio, della storia del mondo musulmano.
Affermazioni così recise e così poco sussidiate dai
fatti infirmano gravemente i risultati di un'opera che ha la pretesa
di essere positiva.
173 Uno dei più caratteristici scrittori del periodo che
abbiamo accennato è senza dubbio il monaco Raoul Glaber, che
scrisse una cronaca che va fino quasi alla metà del secolo
undecimo (Vedi Émile Gebhart, L'ètat d'âme d'un
moine de l'an 1000. "Revue des Deux Mondes" , ottobre 1891). Per
questo monaco gli antichi scrittori classici, compreso Virgilio,
apparivano ai loro lettori sotto forma di demoni. La fede di Glaber
è cieca ma priva di carità, ed in essa la paura
dell'Ente malefico, del demonio, occupa un campo forse maggiore
dell'amore e del culto per l'Ente buono, per il Dio misericordioso
dei Cristiani. Satana, per lui sempre presente, partecipa a tutti
gli avvenimenti umani, non ci è forse individuo che non
l'abbia veduto; lo stesso Glaber, malgrado la sua energia e lo zelo
con cui adempiva alla regola del suo ordine, l'avea visto apparire
tre o quattro volte.
A dir vero non tutti gli scrittori contemporanei, o quasi,
manifestano lo stesso turbamento delle facoltà intellettuali,
ma nessuno ne è completamente immune.
Il normanno Goffredo Malaterra, che racconta con abbastanza
discernimento e serenità di giudizio la conquista che il
Conte Ruggiero fece della Sicilia sui Saraceni, e che alle volte si
mostra capace di osservare i fatti umani spregiudicatamente, venuto
alla descrizione della battaglia di Cerami, combattuta fra il detto
conte e gl'Infedeli, attribuisce la vittoria dei Cristiani
all'intervento diretto di S. Giorgio, che pugnò in persona
fra le file dei Normanni, ed aggiunge che, a prova del miracolo, un
bianco vessillo con una croce fu visto sventolare sull'asta del duce
cristiano.
L'epidemia demoniaca aveva anche guadagnato l'oriente bizantino;
Cedreno e la cronaca di Costantino Porfirogenito raccontano infatti
che la espugnazione di Siracusa, per parte dei Saraceni, fu
conosciuta nel Peloponneso assai prima che vi arrivassero i
fuggiaschi, perchè i demoni, di notte in un bosco conversando
fra loro, ne propalarono i particolari.
Il Comte per giustificare il propizio sistema scrisse: "On doit
enfin noter, comme caractérisant le véritable esprit
du catholicisme, sa réduction generale de la vie
théologique au seul domaine strictement nécessaire"
(Opera citata, vol. III, pag. 434). Egli però non tenne conto
che questa riduzione del soprannaturale allo stretto indispensabile,
avviene non solo col cattolicismo ma con tutte le religioni
monoteiste, quando sono professate da popoli civili che hanno una
larga cultura scientifica, come sono ad esempio gl'Inglesi moderni.
Non accade lo stesso quando sono professate da popoli barbari e
privi di qualunque cultura, perchè allora può restare
all'elemento soprannaturale un dominio molto maggiore di quello che
esercita presso popoli politeisti, ma di civiltà più
progredita.
174 Opera citata, libro IV, cap. 1°, pag. 83.
175 Opera citata, libro IV, cap. 5° e segnatamente pagine
368, 382, 393, 394.
176 Non bisogna dimenticare che per alcuni sociologhi, per
esempio, per il Letourneau, lo Stato industriale rappresenta
anch'esso un periodo eminentemente transitorio, che dovrà
tramontare quando la moralità umana avrà fatto altri
passi nel senso altruistico.
177 Principes de sociologie, traduttore Cazelles, vol. III,
cap. XVII, pag. 756. Paris, 1883, Germer-Baillière.
178 Per qualcheduno che non li avesse presenti rammentiamo che
si tratta dei capitoli XVII e XVIII del volume III dei Principii di
Sociologia.
179 Ricordiamo quello dei Pueblos, popoli che abitavano al nord
del Messico, classificati come appartenenti al tipo industriale,
perchè si limitavano alle guerre difensive ed eleggevano
liberamente i loro capi. Opera e volume citati, pag. 819. Del resto
a pag. 810 è detto che: "l'autorità che è
necessaria nel tipo industriale dovrebbe essere esercitata da un
organo istituito per constatare la volontà media. Un organo
rappresentativo è il più proprio ad adempiere
quest'ufficio".
180 Opera e volumi citati, cap. XVIII.
181 Idem., pag. 814.
182 Opera e volume citati, cap. XVIII, pag. 804.
183 Naturalmente questo freno agisce soltanto fra popoli
economicamente e scientificamente molto progrediti, perchè
allora soltanto la guerra danneggia infallibilmente, sebbene in
vario grado, il vinto ed il vincitore.
184 Opera citata, vol. III, cap. XVIII, pag. 803.
185 Naturalmente nell'Algeria e nella Tunisia il consolidarsi
della dominazione francese ha fatto quasi scomparire non solo le
rivolte contro i dominatori stranieri, ma anche le lotte intestine
fra le varie tribù e lo stesso è avvenuto
avverrà prima in Tripolitania e Cirenaica e poi nel Marocco.
186 A dir vero si appoggiarono poi a questi partiti e li
protessero a vicenda le varie correnti che prevalevano in Corte,
sicchè essi acquistarono una certa importanza politica,
sebbene non abbiano mai perduto il carattere di fazioni personali.
187 Modificazione del Manicheismo con spiccata tendenza verso
il comunismo dei beni e delle donne.
188 Solea dire, presente qualche giovanotto dei più
esaltati e parlando di qualcuno, che era di forte ostacolo ai suoi
disegni: non vi è alcuno che mi sappia liberare da questo
cane! Il discepolo correva a perpetrare un omicidio, che poi
Maometto naturalmente disapprovava affermando di non averlo
ordinato. Quanti capi di sette e di partiti politici hanno imitato
ed imitano, consciamente od inconsciamente, Maometto!
189 Sulla relazione che il padre Oberwalder, che stette
parecchi anni prigioniero dei Mahdisti, ha pubblicato intorno alla
sua prigionia è stato osservato che l'autore in un punto
giudica quel Mohamed Hamed mercante di schiavi, che fu il fondatore
del Mahdismo, come inspirato da sincero zelo religioso, mentre in un
altro punto lo fa apparire ipocrita e ciarlatano. I due giudizi,
secondo noi, non hanno nulla di inconciliabile, sopratutto se si
riferiscono a due periodi differenti della vita del Mahdi.
190 Un discepolo, verso la fine del Sansimonismo, scriveva ad
Enfantin: “Alcuni vi rimproverano di voler sempre posare, io sono
del vostro parere e penso con voi che ciò corrisponde alla
vostra natura, alla vostra missione, alla vostra capacità”.
Vedi Thureau Dangin, Histoire de la monarchie de juillet, vol. I,
cap. VIII. Paris, 1884, Librairie Plon.
191 Ad esempio, volendo, per stringere legami politici e per
soddisfare alla sua passione voluttuosa, aumentare il numero delle
mogli fino a sette, l'Arcangelo Gabriele venne con opportuni
versetti ad autorizzare l'apostolo di Dio all'inosservanza del
precetto che limitava a quattro il numero delle mogli legittime,
precetto che era stato precedentemente imposto a tutti i credenti.
Su questo e sugli altri dettagli della vita del fondatore
dell'Islamismo, che abbiamo rammentato e rammenteremo, vedi
Hammer-Purgstall. Gemäldesaal der Lebensheschreibungen grosser
moslimischer Herrscher. Leipzig, 1839.
192 Per semplificare la nostra esposizione abbiamo
implicitamente ammesso che il fondatore di ogni nuova dottrina
religiosa o filosofica sia sempre esclusivamente un solo individuo.
Ciò non è perfettamente esatto: alle volte, quando una
riforma è moralmente ed intellettualmente già
preparata e trova l'ambiente perfettamente favorevole, possono
sorgere contemporaneamente parecchi maestri, come fu il caso del
Protestantesimo, quando Zuinglio e Calvino cominciarono a predicare
quasi contemporaneamente a Lutero. Qualche volta la riuscita del
primo maestro fa nascere i plagiari, ad esempio Moseilama ed altri
cercarono di imitare Maometto proclamandosi alla lor volta apostoli
di Dio. Più frequente è il caso che il primo novatore
non riesca ad esplicare interamente e molto meno ad attuare la sua
dottrina ed allora sorgono uno od anche parecchi continuatori, e
l'ingiustizia della sorte può far sì che uno di
costoro dia il proprio nome alla dottrina a preferenza di colui che
primo l'ha concepita. Così pare che accada nella moderna
democrazia sociale, che generalmente proclama Marx per maestro,
mentre il suo primo padre intellettuale e morale è senza
dubbio Rousseau. Il maestro od i maestri, che continuano l'opera del
primo fondatore, non si devono mai confondere col gruppo degli
apostoli, di cui ora parliamo.
193 È perciò che parecchi sociologi moderni
affermano che la moltitudine è misoneista.
194 Tutto quello che si sa intorno a quest'autore è
ricavato dai brani riportati dai Santi Padri che lo confutavano e
specialmente dal libro Contro Celso di Origene.
195 Principalmente nel Marco Aurelio.
196 Fu questa appunto l'illusione caratteristica del 1789 in
Francia ed anche un poco del 1848 in Italia.
197 Del resto è nella natura dell'uomo il conservare un
grato ricordo dei tempi e degli individui durante i quali o per i
quali ha molto sofferto; ciò avviene specialmente quando
molti anni sono trascorsi dopo le sofferenze. Le masse finiscono
sempre coll'ammirare e col circondare di poetiche leggende quei
capi, che, come Napoleone I, hanno loro inflitto travagli e
sventure, ma che nello stesso tempo ne hanno appagato il bisogno di
emozioni e la fantastica sete di novità e di grandezze.
198 È una frase che abbiamo inteso attribuire al
principe di Bismarck questa: che bisogna un po' d'onestà
perchè le bricconate riescano. Infatti certe potenti
associazioni di malfattori, ad esempio, la mafia siciliana, hanno
certe regole ed un certo sentimento d'onore, che fa sì che i
loro affiliati mantengano alle volte la loro parola anche agli
estranei ai loro sodalizi e non si tradiscano facilmente tra di
loro. A questa limitazione della furfanteria si deve principalmente
la straordinaria vitalità di parecchie associazioni di
furfanti. Il Macaulay osserva che i complotti per assassinii non
riescono quasi mai nell'Inghilterra propriamente detta,
perchè gli assassini inglesi non hanno quel briciolo di senso
morale, che è necessario per potersi fidare gli uni degli
altri. Non sappiamo se il fatto sia rigorosamente vero, ma la
conseguenza che ne trae lo scrittore inglese è certamente
esatta.
199 Gli Assassini furono una degenerazione degli Ismaeliti,
setta molto diffusa verso il mille nel mondo maomettano e
relativamente innocua, la cui dottrina e disciplina avea molti punti
di contatto coll'odierna massoneria dei paesi latini. Vedi Clavel,
Storia della massoneria e di altre società secrete; Amari,
Storia dei Musulmani in Sicilia, vol. II, pag. 119 e seguenti ed
Hammer Purgstall, Origine, potenza e caduta degli Assassini. Dei
Thugs se ne è parlato in quasi tutte le opere che trattavano
dell'India di mezzo secolo fa. Come pure quasi tutti i viaggiatori,
che scrissero sulla China, parlano delle società secrete,
alcune delle quali, diffusissime, hanno od affettano scopi puramente
politici.
200 Vedi Gaston Boissier. Études d'histoire religieuse.
"Revues des Deux Mondes" del 15 gennaio 1890.
201 Pare, del resto, che quando i Musulmani hanno abitato
insieme ai Cristiani paesi largamente produttori di vino, siano
stati meno scrupolosi osservatori dei precetti del Profeta
riguardanti la proibizione delle bevande inebrianti. La storia dei
Saraceni di Sicilia rammenta parecchi casi di Maomettani ubbriachi.
Ad esempio Ebn-El Theman (Ibn-Thimna, secondo l'Amari), emiro di
Catania, era in uno stato di completa ubriachezza quando
ordinò che si aprissero le vene a sua moglie, sorella
dell'Emiro di Palermo. Ci fu perfino un poeta arabo, Ibn-Hamdis, che
cantò le lodi del buon vino di Siracusa del colore dell'ambra
e dell'odore del muschio. — Vedi Amari, Storia dei Musulmani in
Sicilia, vol. II, pag. 531.
202 Vedi Edmond Plauchut, Un royaume disparu. "Revue des Deux
Mondes", 1° luglio 1889.
203 Tranne per quel che riguarda la posa e la vanità,
comuni anche fra gli stoici.
204 A questo proposito ci viene in mente un giudizio, che
abbiamo spesso sentito esprimere. Siccome i briganti del mezzogiorno
d'Italia erano ordinariamente carichi di scapolari ed immagini di
santi e di Madonne e nello stesso tempo erano spesso rei di parecchi
omicidi ed altri misfatti, si è da questo fatto tratta la
conclusione che in essi le credenze religiose non avessero alcuna
utilità pratica. Or, per giudicare così, bisognerebbe
prima provare che, senza gli scapolari e le Madonne, i briganti non
avrebbero commesso qualche altro omicidio o qualche altro atto di
ferocia. Una sola vita umana, un solo dolore, una sola lacrima, che
quelle immagini avessero fatto risparmiare, ci sembrano sufficienti
per ammettere che esse riescono di qualche utilità.
205 È questa identificazione completa del concetto del
giusto e dell'onesto con una dottrina qualsiasi religiosa o
politica, anche moralmente elevata, ciò che negli animi retti
ma violenti produce i grandi fanatismi e qualche volta i reati
politici.
Per far vedere fino a che punto il fanatismo arrivi rapidamente a
spegnere ogni sentimento gentile in un popolo cavalleresco,
racconteremo un ultimo aneddoto relativo a Maometto. Ancora vivente
il profeta, nella battaglia che si combattè ad Onein fra i
suoi seguaci e gli avversari, fra le file di costoro era
Doreid-Ben-Sana, il Baiardo di quell'epoca e di quel popolo, che,
ormai novantenne, si era fatto condurre vicino alla mischia in
lettiga. Un giovine islamita Rebiaa-ben-Rafii arrivò fino a
lui, e gli misurò un fendente, ma l'arma andò in
frantumi. "Che cattiva spada ti ha dato tuo padre, giovanotto, disse
il vecchio eroe; prendi la mia ben temprata scimitarra e va a dire a
tua madre che hai ucciso Dorcid con quella stessa arma con cui egli
tante volte difese la libertà ed il buon diritto degli Arabi
e l'onore delle loro donne". Rebiaa prese la scimitarra di Doreid,
lo massacrò e spinse l'incoscienza fino a portare
l'ambasciata a sua madre, che, forse meno fanatica della nuova
religione perchè più avanzata in età, pare che
l'abbia accolto col meritato disprezzo. Vedi Hammer Purgstall, Il
Profeta Maometto.
206 Non occorre di rammentare che l'uomo che volesse reggere
uno Stato soltanto colle bestemmie, basandosi cioè
esclusivamente sugli interessi materiali e sui sentimenti bassi, per
quanto tristo, sarebbe altrettanto ingenuo di chi lo volesse
governare coi soli paternostri e, se Cosimo il vecchio fosse vivo,
non esiterebbe a biasimarlo.
Del resto coll'energia, l'abnegazione, l'attività, la
pazienza e, ove occorre, colla superiorità nelle conoscenze
tecniche, può, chiunque comanda o dirige, sentir meno il
bisogno di sfruttare i sentimenti bassi e può far maggior
fondamento sui sentimenti generosi e buoni dei suoi sottoposti. Ma
chi comanda è pure uomo, quindi non sempre possiede in grado
eminente le qualità accennate.
207 Si allude ad un episodio del notissimo romanzo I Promessi
sposi.
208 I modi meno scrupolosi sono più spesso usati nelle
associazioni in lotta colle autorità costituite e più
o meno segrete. Si sa, ad es., che fra le istruzioni di Bakounine vi
è questa: "Per giungere alla tenebrosa città di
Pandistruzione il primo requisito è una serie di assassinii,
di audaci ed anche pazze imprese, le quali mettano il terrore nel
potente ed abbaglino il popolo, fino a che essi credano nel trionfo
della rivoluzione" (In forma più cruda queste massime
somigliano alquanto all'"agitatevi ed agitate", di un altro grande
rivoluzionario). Nello stesso opuscolo intitolato I Principii della
Rivoluzione il Bakounine dice: "Col non ammettere altra
attività che quella della distruzione, noi dichiariamo che le
forme con le quali quest'attività dovrebbe manifestarsi
possono essere svariatissime: veleno, pugnale, knout. La rivoluzione
santifica tutto senza distinzione". Un altro russo che
diventò di principii molto diversi da quelli del Bakounine,
il Dostojewsski, così in un suo romanzo descrive i modi con
cui gli astuti attirano gli ingenui nel seno delle società
rivoluzionarie: "Prima di tutto occorre l'esca burocratica,
s'inventano titoli di presidente, segretario, ecc. Viene poi la
sentimentalità, che è l'agente più efficace;
sopra tutto vi possono il rispetto umano, la paura di avere una
opinione propria ed il timore di passare per antiliberali".
"Poi (aggiunge un altro personaggio) vi è anche il segreto di
associare i neofiti inconsapevoli ad un reato, per esempio facendo
assassinare un compagno da cinque colleghi col pretesto che sia una
spia; perchè l'assassinio cementa ogni cosa e trascina
nell'orbita i più riluttanti".
209 Questa dottrina è stata pubblicamente proclamata in
una lettera del Grand'Oriente della Massoneria francese al
Grand'Oriente della Massoneria italiana, che fu riprodotta da molti
giornali italiani del 1892. Del resto abbiamo attinto da molteplici
fonti che essa è accettata generalmente dalla Massoneria
francese, italiana, belga e spagnuola, e ne determina l'azione e le
tendenze politiche.
210 Si deve infatti a questo sovrano, tanto celebrato per i
suoi pregi cavallereschi, il massacro di tre mila prigionieri
maomettani presi, dopo strenua difesa, in S. Giovanni d'Acri, e si
deve alla magnanimità di Saladino se il terribile esempio non
fu in larga scala imitato dall'esercito maomettano.
211 Quando narra nella sua Cronica del tentativo da lui fatto,
ed apparentemente riuscito, di riconciliare i capi delle parti
Bianca e Nera, riunendoli in Chiesa ed inducendoli con acconcie
parole ad abbracciarsi a vicenda.
212 Vedi la Storia della Repubblica di Firenze di Gino Capponi,
già citata al capitolo III.
213 Nella prima parte di questo lavoro.
214 Del resto crediamo anche scarsamente all'efficacia pratica
dell'arte insegnata da Machiavelli e dubitiamo assai del profitto,
che ne avrebbero potuto trarre quegli stessi uomini politici che
abbiamo menzionato. Giacchè, quando si tratta di arrivare al
potere e di conservarlo, le leggi generali ricavate dallo studio
della psicologia umana, dalle tendenze costanti che si rivelano
nelle masse, valgono poco, e tutto si riduce a saper bene conoscere
ed usare le attitudini individuali proprie e degli altri, che sono
così disparate da sfuggire a qualunque sintesi. Un dato
consiglio per un tale, che lo saprà ben mettere in pratica,
sarà buono e per un altro cattivo; e lo stesso individuo
agendo alla stessa maniera, in due casi apparentemente identici,
potrà fare bene e male a seconda degli uomini diversi con cui
si troverà di fronte. Perciò il Guicciardini scriveva
nei suoi pensieri: "La teoria è assai diversa dalla pratica e
molti che intendono quella non sanno poi metterla in atto. Nè
giova il discorrere per esempi, perchè ogni piccola
varietà nel caso particolare porta grandissima variazione
nell'effetto”.
215 Ad esempio nella preparazione della congiura del 1476 che
produsse l'uccisione di Galeazzo Sforza.
216 Hammer Purgstall, opera citata.
217 È da notare che i Bonzi, o monaci buddisti,
reclutati per lo più fra le infime classi della popolazione,
sono, almeno ora, pochissimo stimati in tutta la China.
218 È sotto questo nome di Taè-ping che furono
comunemente intesi dagli Europei.
219 Sui particolari di questa insurrezione vedi le opere citate
sulla China e specialmente quella del Rousset, al capitolo XIX.
220 È noto che si deve in gran parte all'opera delle
società secrete la recentissima rivoluzione che
rovesciò la dinastia Mandschú.
221 Vedi le storie del Thiers (Consolato ed Impero) e quelle
del Toreno, dalle quali il Thiers ricavò in gran parte tutto
ciò che scrisse sulla grande insurrezione spagnuola del 1808.
222 Le abitudini rivoluzionarie contratte da un certo numero di
persone contribuiscono pure a spiegare le diserzioni e le
inconseguenze non rare nei civili rivolgimenti. Avviene infatti
qualche volta che gente, che si è battuta per un principio,
dopo il trionfo di questo continua a ribellarsi ed a battersi solo
perchè di ribellione e di battaglia sente il bisogno.
223 Fin dal luglio 1789 interi reggimenti erano passati alla
causa della Rivoluzione. In seguito si ebbe cura di trascinare
sotto-ufficiali e soldati nei clubs, dove ebbero la parola d'ordine
di obbedire alle inspirazioni dei comitati rivoluzionari
anzichè ai comandi dei loro ufficiali. — Il marchese di
Bouillè, comandante l'esercito dell'est, e che avea pur
saputo reprimere la pericolosa insurrezione militare di Metz,
scriveva sul finire del 1790 che l'esercito, ad eccezione di qualche
reggimento, era incancrenito, che i soldati avrebbero seguito il
partito del disordine o tutto al più chi meglio li avesse
pagati e che questi erano i discorsi che apertamente tenevano (Vedi
Currespondance entre le comte de Mirabeau et le comte de La Marck.
Paris, 1851, Lenormant).
224 Le famose giornate di febbraio 1848, che rovesciarono la
monarchia di Luigi Filippo, costarono la vita a 72 soldati e 287
insorti o curiosi.
225 Ciò è confessato dallo stesso Louis Blanc, il
quale, dopo avere respinto nella sua Histoire de la Revolution de
1848 (Paris, 1870, ed. Lacroix), l'ingiuriosa supposizione che la
repubblica fosse allora voluta da una minoranza, nella stessa opera
(volume 1°, pag. 85), ammette che il suffragio universale
avrebbe potuto dichiararsi contrario alle istituzioni repubblicane;
e più avanti (volume 2°, pag. 3) dice queste precise
parole: "A quoi bon en faire mystère? La plupart des
départements en février 1848 étaient encore
monarchiques”. Anche Lamartine, parlando delle impressioni che
destò in Francia la rivoluzione del 1848, riconosce che essa
ebbe "un caractère de trouble, de doute, d'horreur et
d'effroi, qui ne se présenta peut-être jamais au
même degré dans l'histoire des hommes".
226 Vedi le memorie dello stesso Caussidière. La
Prefettura di polizia fu anzi il solo ufficio in cui il basso
personale fu cambiato, le antiche guardie municipali essendo state
sciolte e surrogate dai montagnardi, antichi compagni di congiura e
di barricata del nuovo prefetto; il quale poi pronunziò la
famosa frase che faceva l'ordine per mezzo del disordine.
227 Sugli effetti di questa educazione rivoluzionaria vedi
Villetard, Insurrection du 18 mars, capitolo 1°. Paris, 1872,
Charpentier.
228 Fra queste fu famoso quel Luciano De La Hodde, uno dei capi
di tutte le congiure repubblicane dell'epoca di Luigi Filippo, che,
dopo la rivoluzione di febbraio, si scoprì che era stato un
agente segreto della polizia.
229 È questa una delle ragioni per le quali gli operai
parigini si batterono così accanitamente nel giugno 1848,
sebbene a ciò abbia contribuito, come spiega il Blanc nella
sua storia della rivoluzione del 1848, quella certa organizzazione
che aveano avuto negli opifici nazionali. L'elemento rivoluzionario
si battè anche meglio nel 1871, perchè, facendo esso
parte della guardia nazionale parigina, era stato accuratamente
armato, organizzato ed esercitato.
230 Vedi specialmente Thureau Dangin, Histoire de la Monarchie
de Juillet, volume ultimo.
231 Come nella costituzione serviana.
232 Abbiamo già parlato del predominio della classe
militare nel capitolo II, ed abbiamo già visto come, in
qualche caso, i guerrieri siano stati forniti esclusivamente dalla
classe dominatrice, mentre in altri casi questa ha fornito soltanto
i capi, gli ufficiali ed i corpi scelti, mentre un certo numero di
gregari delle armi meno pregiate si è reclutato fra le classi
meno elevate.
233 Vedi la relazione dell'Antonelli sulla zemeccià
ovvero spedizione ed organizzazione dell'esercito scioano pubblicata
nei Documenti diplomatici presentati al Parlamento italiano il 17
dicembre 1889.
234 Libro di Samuele, dal paragrafo 15 al paragrafo 18.
235 Questa trasformazione, come si sa, cominciò
nell'ultimo secolo della Repubblica ed era già compiuta
quando principiò l'impero.
236 Riguardo all'usanza di assoldare mercenari è da
notare che essa si sviluppa primieramente ed a preferenza nei paesi
non solo ricchi, ma nei quali la ricchezza è industriale e
commerciale piuttosto che agricola. Giacchè quivi la classe
dirigente è disabituata dalla vita dei campi, che è la
miglior preparazione a quella delle armi, e trova più il suo
tornaconto a dirigere il banco e la fabbrica, anzichè a
cavalcare in guerra. Così accadde in Cartagine, a Venezia ed
in generale nei più ricchi Comuni italiani, dove la borghesia
mercantile ed industriale perdette presto l'abitudine di combattere
personalmente le sue guerre e le affidò a preferenza ai
mercenari. Sicchè, come abbiamo rammentato, a Firenze le
cavallate, cioè le spedizioni armate che i cittadini, che pur
si erano battuti all'Arbia ed a Campaldino, eseguivano in persona,
sono ricordate solo fino al 1325.
I mercenari poi, quando l'armatura del soldato costa molto e la sua
maniera di combattere esige un lungo tirocinio, come era il caso del
cavaliere medioevale e dell'oplita greco, sono ordinariamente
cadetti o spostati di buona famiglia, che spontaneamente o per
necessità cercano ventura fuori del loro paese nativo, e
questa, ad esempio, era l'origine dei diecimila di Senofonte. Se al
contrario l'armatura costa poco e non si richiede un lungo periodo
di addestramento, allora si reclutano a preferenza nei paesi poveri,
dove le braccia abbondano e vi sono poca industria e pochi capitali.
Fino a poco tempo fa erano infatti le contee più povere
dell'Irlanda, che fornivano il maggior numero di reclute
all'esercito inglese; Machiavelli notava già la
difficoltà con cui i Tedeschi delle città industriose
andavano a servire come mercenari, e Voltaire rilevava che, ai suoi
tempi, fra tutti i Tedeschi, i Sassoni erano i meno propensi ad
arruolarsi come soldati, perchè la Sassonia era la regione
più industriosa della Germania. Ai giorni nostri, anche se il
Governo federale lo permettesse, non si troverebbero certo molti
Svizzeri da assoldare; perchè la Svizzera è ora un
paese abbastanza agiato, e parecchie sono le contrade europee che un
tempo erano use a pigliare ai loro stipendi gli Svizzeri e che,
forse a miglior mercato, sarebbero ora servite dagli elementi
indigeni.
237 Queste eccezioni sono avvenute qualche volta in Francia e
più spesso in Ispagna, dove gli eserciti stanziali hanno
cambiato qualche volta gli uomini che stavano al supremo potere ed
anche le forme di governo. Ma bisogna riflettere che ciò
è avvenuto in momenti di crisi e di disorganizzazione
sociale, e che, una volta iniziato l'uso dei cambiamenti di governo
per mezzo della violenza, ogni partito o classe sociale usa per
imporsi quei mezzi che più sono nelle sue abitudini ed alla
sua portata.
238 La costumanza di avere in proprietà compagnie e
reggimenti e di mettersi con essi allo stipendio dei vari Governi
durò fino alla fine del secolo decimottavo, specialmente per
i reggimenti svizzeri e tedeschi. Il reggimento di fanteria tedesca
De la Marck, al servizio della Francia, era, ad es., sempre
comandato da uno della famiglia De la Marck, veniva reclutato a
preferenza nella contea dello stesso nome, si trasmetteva per
eredità e gli ufficiali erano nominati dal colonnello; e
tutto ciò fino alla rivoluzione francese (Vedi l'introduzione
alla Correspondance entre le Comte de Mirabeau, etc, già
citata). La convocazione di tutta la nobiltà in armi ebbe
luogo in Francia l'ultima volta sul principio del regno di Luigi
XIV. Ma si vide allora che la riunione di dodici o quindicimila
cavalieri con armamento diverso, alcuni troppo giovani, altri troppo
vecchi, personalmente valorosi ma poco esercitati a combattere in
rango, avea in pratica poco valore.
Per analoghe ragioni la cavalleria polacca nel secolo decimottavo
perdette molto della sua importanza militare. Al 1809, quando i
francesi invasero l'Ungheria, fu convocata per l'ultima volta la
nobiltà magiara in armi. Ma il corpo così formato,
sebbene individualmente composto di brillanti cavalieri,
mostrò poca solidità nella battaglia del Raab.
239 In quelle contrade d'Europa dove si conservarono fino a
tardi immunità e privilegi medioevali, gli abitanti
mantennero gelosamente la prerogativa di custodire le mura e i
fortilizi delle città con milizie cittadine. Ad esempio in
Palermo, sotto la dominazione spagnuola, sebbene gli abitanti si
conservassero quasi sempre fedelissimi sudditi di Sua Maestà
Cattolica, pure non poteva entrare che un numero ben piccolo di
soldati stranieri per custodire il Palazzo reale ed il Castello a
mare, ed i baluardi con le artiglierie restavano in potere della
milizia cittadina formata dalle onorate maestranze. Qualche volta
che si trattò d'introdurre altre soldatesche in città,
le dette maestranze, sempre professando devozione e fedeltà
al Re, barricarono le strade e puntarono i cannoni dei baluardi sul
palazzo reale. La rivolta di Messina del 1676 fu in parte
occasionata dal tentativo, che fece lo stratigoto don Luigi
dell'Hoyo, di sorprendere i forti che erano custoditi dalla milizia
cittadina. Il timore che inspirava la soldatesca era fondato sulla
condotta licenziosa, che si supponeva dovessero tenere i soldati.
240 Federico II di Prussia si scusa nelle sue Memorie di essere
stato costretto, durante la guerra dei sette anni, a nominare
ufficiali persone che non erano nobili. Egli aveva una certa
ripugnanza per questa nuova classe di ufficiali, perchè,
secondo lui, il gentiluomo di nascita offriva maggiori garanzie
morali e materiali; giacchè, se si disonorava come ufficiale,
non poteva andare a fare un altro mestiere, mentre il plebeo trovava
sempre modo di occuparsi ed era perciò meno interessato ad
adempire scrupolosamente al dovere del suo grado. Questo
ragionamento di un uomo così spregiudicato come fu il
fondatore della potenza prussiana dimostra che in Germania, come
altrove, la formazione di una classe la quale ha un'educazione
elevata e che non fa parte della nobiltà è un fatto
relativamente recente.
241 Si sa che in Inghilterra è stata nel 1916 introdotta
la coscrizione.
242 È noto il carattere aristocratico che ha conservato
l'ufficialità inglese e come nell'esercito inglese fino al
1870 sia durato il sistema della compra dei gradi. Il Fischel (Vedi
La Constitution d'Angleterre, pag. 297. Paris, 1864, traduttore
Vogel, ed. Reinwald) nota giustamente, che non è stato il
Mutiny act che ha impedito all'esercito inglese di farsi strumento
di colpi di Stato, ma piuttosto il fatto che l'ufficialità
inglese appartiene per nascita e sentimento alle stesse classi, che
sono state fino a mezzo secolo fa a preferenza rappresentate nel
Parlamento.
Gli Stati Uniti d'America hanno seguito in ciò la tradizione
inglese. Il socialista George rileva che nell'esercito federale fra
il sott'ufficiale di grado più elevato e l'ufficiale
subalterno di grado più basso non vi è solo differenza
di grado ma anche di classe; vi è, dice egli, un vero abisso,
che si potrebbe paragonare benissimo a quello che separa il negro
dal bianco, là dove le distinzioni di colore sono
maggiormente tenute in conto.
243 Cornelius De Witt, Storia di Washington, pag. 104.
Riportata dal Jannet nell'opera più volte citata.
244 Vedi l'opera già citata, Le istituzioni politiche e
sociali agli Stati Uniti d'America di Claudio Jannet, parte I, cap.
XVII.
245 Vedi Apercu de la situation de la France et des moyens de
concilier la liberté publique avec l'autorité royale
pubblicato nella Correspondance entre le comte de Mirabeau et le
comte De La Marck, vol. II, pag. 418.
246 Vedi Thureau Dangin, Histoire de la Monarchie de Juillet,
vol. VII, cap. VII.
247 Il fatto che la guardia nazionale è durata
più a lungo nel Belgio, dove si è tardato molto ad
introdurre il servizio militare obbligatorio per tutti, farebbe
supporre che la seconda delle due ragioni, che abbiamo addotto, non
sia stata la meno efficace.
248 Vedi Papiro del Museo britannico dove è la
corrispondenza di Amon-em-apt, bibliotecario di Ramessou 2° (XIX
dinastia), col suo allievo il poeta Pen-ta-our. La traduzione, che
ne ha fatto Maspero, è riprodotta in tutte le moderne storie
dell'antico Oriente.
249 L'esame per il mandarinato militare si dava principalmente
davanti il Tchang-kün ossia il capo della guarnigione tartara,
che si trovava fino a qualche anno fa in tutte le città
strategiche della China. È vero che, dopo le guerre civili
della metà del secolo decimonono i gradi dei mandarini
militari ebbero poca importanza, perchè conferiti spesso
arbitrariamente in modo che chi in una provincia veniva congedato
con un grado abbastanza elevato, spesso, nella provincia limitrofa,
veniva arruolato come semplice soldato e viceversa. Però
è da notare che il comando dei grossi reparti di truppe era
affidato ai governatori delle Provincie e ad altri mandarini civili
di grado elevato; fra i quali l'avanzamento si conseguiva con
molteplici e rigorosi esami. Giacchè in China, come
nell'antica Roma, negli alti gradi, la gerarchia civile si confonde
con quella militare. Vedi in proposito Rousset, opera citata.
250 La distinzione fra la militia equestris e quella comune fu
originata dalla legge, che attribuiva ai comizi la nomina dei
tribuni militari e dei gradi superiori. Or le elezioni popolari
nell'antica Roma, come del resto avviene facilmente in molti paesi
che non sono in uno stato di rivoluzione latente e nei quali il
sistema elettivo vige da un pezzo, dava quasi sempre la prevalenza
ai ricchi ed alle persone le cui famiglie godevano già una
notorietà ed occupavano posizioni eminenti. Nei primi secoli
dell'impero continuò la stessa organizzazione, ed i tribuni e
gli altri ufficiali superiori furono scelti fra le più
cospicue famiglie romane; però a poco a poco gl'imperatori
esentarono prima i senatori e poi i cavalieri dal servizio militare,
perchè temevano in essi possibili concorrenti. Durante poi
l'anarchia militare, che ebbe luogo nel terzo secolo dopo Cristo e
che produsse il periodo dei trenta tiranni, fu possibile a' semplici
soldati diventare non solo generali ma anche imperatori. Vedi in
proposito il volume di Mommsen e Marquardt sull'Organizzazione
militare dei Romani che fa parte del citato Manuel des
antiquités romaines.
251 L'ultima grande guerra europea ha dimostrato che la
solidità degli eserciti devesi in buona parte alla forza dei
sentimenti patriottici inculcati da una lunga ed accurata educazione
intellettuale e morale negli animi delle classi dirigenti e delle
masse popolari.
252 L'Amari nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia pare che
attribuisca all'azione del Cristianesimo la fiaccona di cui diedero
spettacolo le genti greche durante l'impero bizantino. Or prima di
tutto è da osservare che questo impero durò dieci
secoli, durante i quali ebbe momenti di singolare energia militare.
Poi bisogna tener presente che il Cristianesimo non produsse gli
stessi risultati presso i Germani e gli Slavi e che gli spiriti
guerreschi presto rinacquero anche fra le popolazioni latine
dell'Occidente, una volta che colà l'amministrazione romana
fu materialmente annullata e dall'anarchia uscì fuori la
costituzione feudale. La verità è dunque che l'impero
e la pace romana avevano assolutamente disabituato le popolazioni
dalle armi, sicchè, una volta vinto l'esercito regolare, esse
restavano facilissima preda di qualunque invasore.
253 Si potrebbero portare moltissimi altri esempi a sostegno
della nostra tesi; è da notare anche che l'eccellere in
alcune armi e per certe determinate qualità militari
è, per le varie nazioni, cosa molto mutevole, che dipende
anzitutto dai loro ordinamenti civili e militari. Così
Machiavelli trovava la cavalleria francese la migliore d'Europa,
perchè quivi la nobiltà era tutta data alla vita
militare, mentre le fanterie della stessa nazione giudicava cattive,
"perchè composte d'ignobili e genti di mestiere sottomesse ai
baroni e tanto in ogni loro azione depressi che sono vili". Cambiato
l'ordinamento della società e degli eserciti, la fanteria
divenne il miglior nerbo della forza militare della Francia.
Muza, uno dei generali arabi che conquistarono la Spagna, nel fare
il suo rapporto al califfo Walid I, diceva: i Goti (con questo nome
intendeva tutti gli Spagnuoli) sono aquile a cavallo, leoni nei loro
castelli, a piedi donnicciuole. Anche durante la guerra
d'indipendenza contro la Francia, il duca di Wellington lamentava la
poca solidità della fanteria spagnuola in campo aperto,
mentre, dietro gli spaldi di Saragozza, Tarragona ed altre
città, essa mostrò valore e costanza straordinari. Or
bisogna considerare che all'epoca dell'invasione araba la cavalleria
doveva essere composta dalla nobiltà più abituata alle
armi, mentre la fanteria, come all'epoca della guerra
d'indipendenza, era forse formata da leve in massa, che solo dietro
gli spaldi delle fortezze poteano mostrare il loro coraggio
naturale; perchè non aveano quel coraggio acquisito, dovuto
alla lunga abitudine della vita militare ed ai buoni quadri, che
senza dubbio fu la dote precipua delle vecchie fanterie spagnuole,
che, da Ferdinando il Cattolico a Filippo IV, vennero riguardate
come le più solide di tutta l'Europa.
254 Alludiamo agli elementi rivoluzionari, i quali naturalmente
raccolgono quasi tutto ciò che di più avventuroso,
ardito e violento vi è nelle società moderne.
255 Il Von der Goltz (vedi la Nation armée nella
traduzione di Jaeglè, ed. Hirnischen. Paris, 1884,
nell'introduzione a pag. vii) lascia chiaramente indovinare un suo
concetto secondo il quale, nella storia militare dei popoli, si
può scorgere costantemente la lotta e l'alternato trionfo di
due diverse tendenze militari.
La prima porta ad aumentare la massa dei combattenti ed a vincere
colla preponderanza del numero, finchè, diventate le grosse
masse di difficile maneggiamento e troppo poco esercitate, sono
vinte da piccoli eserciti di soldati di mestiere, che rappresentano
la seconda tendenza, cioè la specializzazione della funzione
militare, la quale poi di nuovo tende a trasformarsi nell'armamento
delle masse. L'autore crede che ancora in Europa non sia esaurita la
tendenza ad aumentare il numero dei combattenti.
Or questo fenomeno storico accennato dal Von der Goltz non si
esplica certo sempre regolarmente, subisce anzi molte eccezioni e
perturbazioni, ma in qualche caso speciale si presenta abbastanza
netto. I Medo-Persiani, ad esempio, stando al racconto degli storici
greci, riuscirono a conquistare tutto il sud-ovest dell'Asia
mobilizzando delle grandi masse; l'aver tenuto Ciro, per più
di una stagione, un grosso esercito sotto le bandiere fu infatti la
causa della rapida caduta del regno di Lidia, e grossissimi nuclei
d'armati dovettero per lungo tempo tenere la campagna durante i due
blocchi di Babilonia, che ebbero luogo sotto il predetto Ciro e
sotto Dario d'Istaspe. Altre grandi masse si mobilizzarono pure
nella spedizione contro gli Sciti ed in quella di Serse, durante la
quale la macchina militare persiana cominciò a mostrare i
suoi difetti. Infatti i contingenti dei vari popoli che formavano
l'impero persiano, omai disabituati dalla guerra diuturna per il
fatto stesso che appartenevano ad un grande Stato, perdettero
gradatamente le loro qualità militari e si ridussero a turbe
senza coesione, che non reggevano avanti la carica degli opliti
greci, scarsi di numero ma molto esercitati, pesantemente armati e
che sapevano combattere in ordine serrato.
256 Il lettore avrà notato che l'ordinamento di un
esercito moderno è in certo modo contrario al principio
economico della divisione del lavoro ed alla legge fisiologica della
adattabilità dei vari organi ad un determinato scopo.
Ciò che dimostra ancora una volta la difficoltà di
stabilire analogie fra i fenomeni del corpo umano e quelli del corpo
sociale e fa rilevare le restrizioni che certe leggi economiche
devono avere nel campo politico; perchè la divisione del
lavoro troppo rigorosamente in esso applicata distruggerebbe
facilmente ogni equilibrio giuridico, facendo dipendere la
società intera da quella frazione, che esercita la funzione
non già intellettualmente e moralmente più elevata, ma
più indispensabile e che dà più facilmente modo
di imporsi agli altri; come è appunto la funzione militare.
257 Le ultime pagine del capitolo non furono, come tutto il
libro, scritte prima del 1896, quando non era possibile prevedere la
grande guerra europea, scoppiata nel 1914 e maturata negli anni
immediatamente precedenti. Facilmente oggi si può affermare
che questa grande guerra cambierà sensibilmente il corso
degli avvenimenti umani in quasi tutto il mondo civile. Essa non fu
evitata nè dagli interessi economici nè dalle
repugnanze morali alle quali avevamo accennato a pag. 245.
258 A questo proposito è degna di nota un'osservazione
che lo Cherbuliez (Valbert) fa a proposito di un libro pubblicato
dal dotto bramino Behramji. Questi, allevato dai missionari di
Surate, aveva abiurato la religione dei suoi padri, senza divenire
cristiano. “Parecchie centinaia di migliaia dei suoi compatrioti,
aggiunge l'A., si trovano nello stesso caso. Al Bengala, come al
Guzerate, il Cristianesimo è il più energico dei
dissolventi. Esso rode e distrugge insensibilmente le vecchie
idolatrie ma non riesce a rimpiazzarle, l'altare resta vuoto e viene
consacrato al Dio ignoto. Gl'Indù, che non credono più
alla Trimurti, alla incarnazione di Visnù ed alla
metempsicosi, non credono neppure alla Santissima Trinità,
all'incarnazione di Gesù Cristo, a Satana, all'inferno, ed il
Paradiso del quale S. Pietro tiene le chiavi ha per essi poche
attrattive”. Vedi Un voyage dans le Guzerate. “Revue des Deux
Mondes” 1° dicembre 1885.
Or questo stato d'animo degli Indù colti si spiega
facilmente. Da tutti coloro che sono iniziati alla scienza europea
la religione cristiana può essere ancora praticata
perchè ha radice nel sentimento non già nel
raziocinio. Ma, quando non si è nati cristiani o non si
è stati almeno educati in una famiglia cristiana,
difficilmente il sentimento può agire.
259 Vedi in proposito gli Études d'histoire religieuse
pubblicati da Gaston Boissier nella “Revue des Deux Mondes” del 1889
e 1890. Specialmente l'articolo intitolato Le lendemain de
l'invasion nella “Revue” del 1° maggio 1890, nella quale
l'autore scrive che “les misères de ce temps (dell'epoca
dell'invasione dei barbari), qui semblaient devoir porter un coup
funest au christianisme, assurèrent sa victoire”. Si sa
d'altronde che in parecchie grandi città dell'impero, a Roma
specialmente, le classi più elevate erano state fino al tempo
di Sant'Agostino generalmente ostili alla nuova religione.
260 Ed ancor più dei primi quattordici anni del secolo
ventesimo.
261 Specialmente se il clero saprà esercitare la sua
missione di carità. In Francia ed altrove, dopo una grave
epidemia od una sensibile catastrofe, si è sempre notato un
risveglio del pietismo. Ad esempio il cholera del 1832 fece
diminuire l'avversione, che la rivoluzione del 1830 avea destato
contro i preti. Altra reazione religiosa vi fu dopo l'annata
terribile del 1870-71. Si noti che in entrambi i casi si è
trattato di patimenti temporanei, che dopo qualche anno sono stati
dimenticati.
262 Nella Quintessenza del socialismo al paragrafo II.
263 Si sa che questo movimento fu poi interrotto dal prevalere
degli elementi radicali e socialisti. I quali, avendo quasi sempre
un intuito esatto dei loro interessi politici, sentono
istintivamente che le lotte acute fra lo Stato e la Chiesa riescono
a loro vantaggio.
264 Bisogna tener presente che nel 1870 il potere temporale non
cadde ad un tratto, come edificio nuovo colpito da violento
terremoto, ma venne giù come gli ultimi avanzi di una
fabbrica vecchia e tarlata alla quale si tolgono gli ultimi
puntelli.
Nei secoli scorsi infatti, anche dopo la Riforma, il dominio
temporale dei Papi non era un fatto isolato, giacchè vi erano
pure parecchi vescovi ed arcivescovi, che erano ancora sovrani. Al
1802 tutti i loro domini furono secolarizzati ed incorporati negli
Stati vicini, e la Rivoluzione francese già prima avea
occupato Avignone. Ristabilito nel 1814, e soltanto in Italia, il
dominio temporale di una autorità ecclesiastica, già
fin dal 1830 le fu necessario l'appoggio delle armi straniere, e dal
1848 in poi si resse soltanto in quelle parti, che erano presidiate
dai soldati di un altro Governo. È perciò circa un
secolo che il dominio temporale dei Papi è rimasto una
istituzione monca ed isolata, e che quaranta anni prima della sua
caduta avea cessato di vivere per forza propria. Questi concetti
sono ampiamente sviluppati nel capitolo 1° del lavoro di Diomede
Pantaleoni intitolato L'Idea italiana nella soppressione del potere
temporale dei Papi. Torino, 1884, Loescher.
265 È superfluo ricordare che quanto è esposto
nelle ultime pagine del testo fu scritto verso la fine del 1895. Del
resto quasi tutto quanto posteriormente è accaduto, e che ora
accade, non smentisce ma conferma ciò che allora pensavamo.
266 Vedi Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia e specialmente
la parte II, volume III, pag. 702 e seguenti. Si potrebbe anche
ricordare Averroe e l'Averroismo di Renan.
267 Tale è almeno il risultato pratico degli
insegnamenti di Confucio. Una volta Ki-lou, discepolo di questo
filosofo, avendo interrogato il maestro intorno alla morte ne
ottenne questa risposta: “Come è che voi, che non potete
arrivare a sapere ciò che sia la vita, potete desiderare di
conoscere ciò che sia la morte?”. Tze-Kong, altro discepolo,
avendogli domandato se i Mani dei defunti avevano conoscenza di
ciò che avviene nel mondo dei viventi, Confucio rispose: “Non
occorre, Tze-Kong, che abbiate alcun impegno di sapere se i Mani dei
nostri antenati abbiano cognizione di ciò che avviene tra
noi. Non vi è alcuna urgenza di risolvere questo problema.
Più tardi potrete vedere da voi stesso quale sia la
verità su questo riguardo”. Rousset, op. cit., cap. VI.
268 Forse il cattolicismo, in grazia della sua organizzazione
superiore e perchè più coerente nel suo dommatismo,
seguiterà a guadagnare un po' di terreno sulle diverse chiese
protestanti, segnatamente nell'Inghilterra e negli Stati Uniti
d'America.
269 Vedi più sopra capitolo VI, paragrafo 6° in
nota.
270 Non occorre quasi di rammentare che Rousseau, il vero
padre, come abbiamo già detto, della teoria della
sovranità popolare e quindi della democrazia rappresentativa
moderna, in qualche pagina del Contratto sociale (Vedi cap. XV) si
mostrò decisamente avversario alla delegazione della
sovranità ed al sistema rappresentativo. Invece ha dovuto
accettarlo la scuola democratica, fondata sui principii posti dal
filosofo ginevrino, per molteplici ragioni, fra le quali non va
dimenticata questa: che il modello pratico, che s'impose tanto ai
liberali che ai democratici per l'attuazione delle loro dottrine, fu
la Costituzione inglese quale era nel secolo decimottavo, che dalla
sua origine feudale avea tratto il principio della rappresentanza e
l'avea conservato e sviluppato.
271 Rammentiamo fin da ora, per qualcheduno che non lo
ricordasse, come recentemente fra gli scrittori di diritto pubblico
e fra coloro che si occupano di politica militante sia prevalso
l'uso, specialmente in Italia, di chiamare governi costituzionali
quelli nei quali il Presidente del Consiglio o Gran Cancelliere ed i
Ministri che dirigono il potere esecutivo non cambiano per i voti
contrari della Camera dei rappresentanti, ma solo per iniziativa del
Capo dello Stato, come avviene segnatamente in Germania, mentre
governi parlamentari sarebbero quelli in cui il Presidente del
Consiglio ed i Ministri sono nominati dal Capo dello Stato, ma
presentano le loro dimissioni ogni volta che perdono la maggioranza
nella Camera elettiva, come è uso quasi costante, ad esempio,
in Inghilterra, in Francia ed in Italia. In questi paesi, secondo
alcuni scrittori, il Gabinetto viene ad essere un comitato della
maggioranza della Camera elettiva. Vi sarebbe pure un terzo tipo di
governo rappresentativo, quello presidenziale, che è in
vigore negli Stati Uniti d'America, nel quale il potere esecutivo
non si modifica secondo i voti della Camera bassa, ma il Capo dello
Stato è elettivo ed inoltre lo Stato è ordinato
secondo il sistema federale.
272 Raccomandiamo in proposito ai lettori lo studio di un
interessantissimo libro venuto alla luce circa venti anni fa, nel
quale si descrive quale fosse l'organizzazione politica e sociale,
quale lo stato morale, del Reame delle Due Sicilie negli ultimi anni
della sua durata. Si noti che il Re Ferdinando II di cui si descrive
l'opera, era uomo di discreta intelligenza, attivo, amante, a modo
suo, del bene del suo popolo, moralmente superiore alla media dei
suoi sudditi. Vedi Memor, La fine di un regno, Città di
Castello, 1895, ed. Lapi.
273 Forse ci siamo fin troppo dilungati a dimostrare
l'utilità morale e sociale delle forme rappresentative, ma a
ciò siamo stati indotti da una certa omai antica tendenza a
denigrarle troppo e con soverchia leggerezza. Alcuni anni fa, ad
esempio, ci è capitato sott'occhi un opuscolo nel quale per
combattere il Parlamentarismo si affermava che il governo delle
Assemblee è dannoso perchè esse partecipano della
natura delle folle, facili a farsi trascinare dalla retorica e dal
calore degli oratori a risoluzioni inconsulte e precipitate. Non
occorre quasi di far osservare che le Assemblee non governano ma
controllano chi governa e ne limitano il potere, e che del resto
quasi sempre un'Assemblea di rappresentanti non è una folla,
cioè una riunione di uomini fortuita ed inorganica, ma suole,
al contrario, avere una organizzazione gerarchica di capacità
e di competenze riconosciute, e contiene moltissime persone da una
lunga esperienza salvaguardate contro i danni possibili che una
eloquenza calda ed affascinante può produrre nei cervelli
poco equilibrati.
Prima di lasciare l'argomento dobbiamo anche rammentare che alcuni
degli inconvenienti rimproverati alle Assemblee offrono in
contraccambio reali vantaggi, ad esempio la lentezza nel legiferare
non è una cosa sempre dannosa; poichè spesso le leggi
nuove richiedono nuovi impiegati e nuovi mezzi pecuniari per essere
applicate, ciò che è in massima dannoso negli Stati
moderni, dove la burocrazia ed i sistemi tributari sono già
tanto sviluppati.
274 Sugli inconvenienti del Parlamentarismo vedi
Schèrer, La démocratie et la France. Paris, 1883,
Librairie nouvelle; Prins, La démocratie et le regime
parlementaire. Bruxelles, 1884; Mosca, opere citate.
Dei mali cagionati dalla soverchia preponderanza dell'elemento
elettivo si occupano pure il Seamen, Le système de
gouvernement americain, traduttore Hippert. Bruxelles, 1872, ed il
Winschell in un articolo pubblicato nel numero di febbraio 1883
della “North-American Review”.
275 Alludiamo alla volgare dottrina, secondo la quale la
libertà sarebbe rimedio a sè stessa e, come la famosa
lancia d'Achille, guarirebbe i mali che essa stessa produce.
276 Se ne ebbe un esempio in Italia quando si discusse il
disegno di legge sullo stato degli impiegati civili nel marzo ed
aprile 1890, disegno di legge che, senza ragioni apparenti, fu
improvvisamente messo a tacere e poi decadde per la chiusura della
sessione, dopo che era stato approvato dalla Camera dei deputati. In
Francia si è fatto peggio, giacchè colle epurazioni
della burocrazia e della magistratura si è aumentato
l'arbitrio dei Ministri strumenti delle maggioranze parlamentari.
277 Solo nella Costituzione portoghese del 1826 veniva fatta la
distinzione fra il potere moderatore, che apparteneva esclusivamente
alla persona del Re (art. 21) ed il potere esecutivo che era
esercitato dal Re per mezzo dei Ministri (art. 75). In tutte le
altre costituzioni è detto solamente che il Capo dello Stato
esercita il potere esecutivo mediante Ministri responsabili nominati
e revocati a volontà. In Italia, ad esempio, nello Statuto
non si parla che dei singoli Ministri e non già del Gabinetto
e del Presidente del Consiglio, e le attribuzioni tanto dell'uno che
dell'altro sono state determinate da una serie di decreti reali, di
cui il più antico è quello dell'Azeglio del 1850 ed il
più importante quello del Ricasoli del marzo 1867, abrogato
un mese dopo dal Rattazzi e copiato in gran parte dal decreto
Depretis del 20 agosto 1876, e poi da quelli successivi.
278 Rammentiamo che nel 1783 il secondo Pitt fu chiamato al
Governo da Giorgio III contro la volontà della maggioranza
della Camera dei Comuni e che fin nel 1835 Guglielmo IV fece un
tentativo, che ebbe alcuni mesi di successo, per sostituire di sua
iniziativa Roberto Peel a Lord Melbourne.
279 Rammentiamo in proposito l'uso e l'abuso che in certi paesi
parlamentari si è fatto dei così detti Decreti-legge.
280 Potrebbe considerarsi come titolo equipollente alla laurea
universitaria l'aver raggiunto nell'esercito il grado di capitano,
l'essere stato deputato al Parlamento o sindaco di un comune di
più di diecimila abitanti ed anche l'aver presieduto
un'associazione operaia od agricola, che contasse un certo numero di
soci e possedesse un certo capitale.
281 Fra i libri pubblicati in Italia, ad es., la stessa idea
emerge dai duo volumi dell'opera del Turiello intitolata Governo e
Governanti (Vedi 2a edizione Zanichelli, ed. Bologna, 1887).
282 Così è, ad es., il limite che stabilisce il
giorno preciso della maggiore età, per il quale fino a venti
anni, undici mesi e ventinove giorni si è riputati incapaci
di dirigere i propri affari e l'indomani si diventa maggiorenne, e
quello che determina le condizioni precise per essere elettore,
là dove non vige il suffragio universale, ecc.
283 Non abbiamo alcuna difficoltà a confessare che le
nostre idee relativamente a tutto quanto abbiamo scritto sulle
trasformazioni possibili del regime parlamentare e, sopratutto
sull'argomento trattato nel capo VIII, si sono sensibilmente
modificate nei venti e più anni trascorsi dopo la
pubblicazione della prima edizione degli Elementi di Scienza
politica. Questa modificazione è avvenuta per diverse
ragioni, ma sopratutto per il fatto che, a causa delle sempre
accresciute mansioni dello Stato, la burocrazia assorbisce oggi tale
una quantità di attività e competenze che, nella
grande maggioranza delle regioni italiane, non si saprebbe con quali
elementi reclutare quella classe di funzionari onorari alla quale si
accenna nel testo.
284 Questa osservazione è ancora generalmente poco nota,
sicchè la si può sempre annunziare come una scoperta
nuova; ma fra i Francesi che già l'hanno fatto vi è il
Janet che la espose chiaramente in un pregevole lavoro sulle origini
del socialismo contemporaneo, che apparve nella “Revue des deux
Mondes” del luglio e dell'agosto 1880 ed anche il Thureau Dangin ed
il Block e fra gl'Italiani rammenteremo l'Odescalchi nelle sue
lettere sociali ed il Sernicoli nel suo libro sull'Anarchia e gli
anarchici pubblicato nel 1894. — Del resto siccome l'osservazione
è tale che salta subito agli occhi di chiunque voglia
studiare un po' seriamente le origini del socialismo, non è
da maravigliare che siano stati in parecchi coloro che l'hanno fatta
spontaneamente.
285 Chi fosse vago di conoscere maggiori particolari sulle
scuole socialiste sorte in altri tempi ed in altre civiltà
potrebbe consultare il Cognetti De Martiis, Socialismo antico.
Torino, 1885. Particolarmente interessanti sono i tentativi
socialisti avvenuti in China sui quali si possono citare Huc,
L'Empire chinois; De Varigny, Un socialiste chinois au XI
siècle. “Revue des deux Mondes” del 1880 e la Nouvelle
géographie universelle del Réclus (Paris, Hachette,
1882) a vol. VII, pag. 577 e segg. — Quest'ultimo lavoro si basa
principalmente sul lavoro dello Zakharov, Arbeiten des russischen
Gesandtschaft zu Peking. I più interessanti dei tentativi
accennati furono quello che fu iniziato dal ministro Wang-mang, il
quale sul finire del secolo III dell'êra volgare tentò
di ripristinare in China le antichissime comunità agrarie,
analoghe al mir russo, proibendo inoltre ad ogni privato di
possedere più di un trin, ossia 6 ettari di terra, e l'altro
più famoso che fu fatto nel 1069 dal ministro Wang-Ngan-Che
(Wang-ant-Che secondo il Réclus), tentativo che fu
prettamente collettivista, perchè con esso si pretendeva
attribuire allo Stato solo la proprietà di tutte le terre e
di tutti i capitali. — È superfluo dire che tutti e due i
tentativi fallirono miseramente, che furono entrambi preceduti da
periodi di malcontento e provocati da una critica demolitrice delle
istituzioni allora vigenti, e che, dopo la mala riuscita del primo,
un filosofo contemporaneo, forse disingannato, ebbe a scrivere: che
“neppure You (il fondatore della monarchia chinese) sarebbe riuscito
a ristabilire la proprietà comunale. — Chè tutto
cambia, i fiumi mutano di letto e ciò che il tempo cancella
sparisce per sempre”.
286 Già il Janet ebbe a scrivere nel suo lavoro citato
sulle origini del socialismo contemporaneo: “che è da
Rousseau che data quell'odio contro la proprietà e quella
collera contro l'ineguaglianza delle ricchezze, che alimentano di
una maniera così terribile le moderne sètte
socialiste”. È da notare però che tanto egli che gli
altri autori, che attribuiscono giustamente a Rousseau la
paternità intellettuale delle moderne teorie sovversive,
citano ordinariamente soltanto un passo molto divulgato della
dissertazione di questo scrittore: “Sull'origine dell'ineguaglianza
fra gli uomini”, il quale passo, considerato indipendentemente dal
resto dell'opera, è più declamatorio che concludente.
— Esso è il principio della seconda parte della dissertazione
accennata là dove l'autore scrive: “Il primo che avendo
chiuso un terreno credette opportuno di dire esso è mio, fu
il vero fondatore della società civile. Quanti delitti,
miserie ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui che,
togliendo i pali e colmando i fossi, avesse gridato ai suoi simili:
guardatevi dal dar retta a questo impostore, voi siete perduti se
dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra è di
nessuno”. Ora si potrebbe obiettare che nello stesso lavoro lo
stesso autore osserva che “conseguenza necessaria della coltura
delle terre fu la loro spartizione (leur partage)” venendo in certo
modo a riconoscere che non ci può essere civiltà senza
proprietà privata. I passi più decisivi, secondo noi,
si trovano quattro o cinque pagine dopo. Rammentiamo che Rousseau fa
una lunga descrizione, a modo suo, del lento e graduale passaggio
degli uomini dalla vita selvaggia, anzi animalesca, a quella civile,
e crede che i momenti più importanti di questa evoluzione
siano stati la scoperta dei metalli e dell'agricoltura. — Egli crede
inoltre che l'agricoltura, e quindi la proprietà privata, e
la disuguaglianza di fortune abbiano preceduto qualunque
organizzazione sociale, e che quindi vi sia stato un periodo di
anarchia in cui ognuno combatteva contro tutti, e durante il quale
chi aveva più da perdere era il ricco; allora (lasciamo la
parola all'autore): “le riche, seul contre tous, et ne pouvant,
à cause des jalousies mutuelles, s'unir avec ses égaux
contre des ennemis unis par l'espoir commun du pillage,
pressé par la nécessité, conçut le
projet le plus réfléchi qui soit jamais entré
dans l'esprit humain; ce fut d'employer en sa faveur les forces
mêmes de ceux qui l'attaquaient, de faire ses
défenseurs de ses adversaires, de leur inspirer d'autres
maximes qui lui fussent aussi favorables que le droit naturel lui
était contraire”. Segue poi narrando come su proposta dei
ricchi gli uomini consentissero ad organizzarsi sotto un governo e
sotto leggi, che apparentemente garentivano la vita e la
proprietà di tutti, ma di fatto giovavano solo ai potenti, e
conclude: “Telle fut ou dut être l'origine de la
société et des lois, qui donnèrent de nouvelles
entraves au faible et de nouvelles forces au riche,
détruisirent sans retour la liberté naturelle,
fixèrent pour jamais la loi de la propriété et
de l'inégalité, d'une adroite usurpation firent un
droit irrévocable et pour le profit de quelques ambitieux
assujètirent désormais tout le genre humain au
travail, à la servitude et à la misère”. Or non
occorre una molto profonda conoscenza delle odierne scuole
socialiste ed anarchiche per accorgersi che, nei brani citati, vi
è intero il concetto della lotta di classe, ossia del governo
istituito a beneficio di una sola classe, e vi è pure il
germe di tutte quelle teorie e quei sentimenti ai quali si inspirano
il principio collettivista, che, per impedire lo sfruttamento di una
classe a vantaggio di un'altra, vuole abolire la proprietà
privata delle terre, dei capitali e degli strumenti di lavoro, e,
più logicamente ancora, il principio anarchico, che vuole
abolire qualunque organizzazione politica per togliere radicalmente
il modo ai governanti di sfruttare e comandare con la violenza e
l'impostura i governati.
287 In questo libro intitolato Code de la nature, che è
un lavoro abbastanza volgare, sì per la forma che per
l'incoerenza delle idee, il Morelly sostiene che tre debbono essere
le leggi fondamentali di ogni società: 1° che non vi sia
proprietà privata; 2° che ogni cittadino debba essere un
pubblico funzionario; 3° che ogni cittadino debba contribuire
all'utilità pubblica. Partendo da questi principii l'autore
ammette che lo Stato debba nutrire ogni individuo e che ogni
individuo debba lavorare per lo Stato, e fa il quadro di una
società organizzata secondo i suoi ideali. Il Morelly, come
precursore e pioniere delle moderne idee collettiviste, meriterebbe
forse maggiore rispetto, almeno da parte dei suoi correligionari.
288 Le idee del Mably (che il Rousseau accusò spesso di
plagio) furono la prima volta adombrate in un lavoro intitolato:
Doutes aux économistes, pubblicato nel 1768 in risposta ad un
libro, pubblicato l'anno precedente, da Mercier de la
Rivière, che avea per titolo: “Ordre naturel et essentiel des
sociétés politiques”. Il secondo lavoro sull'argomento
dello stesso Mably, s'intitola Législations ou principes des
lois. In esso l'A. si pone l'obiezione che se si facesse la
divisione delle terre l'ineguaglianza sarebbe ristabilita in poco
tempo, e vi risponde così: “il ne s'agit pas de partage, mais
de communautè: il ne s'agit pas de partager la
propriètè, il faut l'abolir”. La frase accennata di
Brissot, che testualmente è questa: “La
propriètè exclusive est un vol”, trovasi in un lavoro
intitolato: Recherches philosophiques sur la propriètè
et sur le vol; e tanto il lavoro in genere che la frase furono molto
rimproverati all'autore quando divenne uno dei capi del partito
moderato della Convenzione. Per maggiori particolari si può
leggere l'articolo già citato di Paolo Janet pubblicato nella
“Revue des deux Mondes” del 1° agosto 1880.
289 Per esempio Marat scriveva nel suo giornale l'“Amico del
popolo” che i signori droghieri, procuratori e commessi di bottega
cospiravano coi signori del lato destro della Convenzione e coi
signori ricchi per combattere la rivoluzione e che bisognava
arrestarli tutti come sospetti e ridurli alla classe di sanculotti
“en ne leur laissant pas de quoi se couvrir le derrière”.
Cambon proponeva un prestito forzoso di un miliardo sui ricchi con
ipoteca sui beni degli emigrati. Con un decreto del 3 settembre 1793
si confiscavano tutti i redditi superiori alle 14.000 lire annue
sotto il nome d'imprestito forzoso. Alla Convenzione ci era chi
credeva la ricchezza una colpa e dichiarava cattivo cittadino chi
non si sapesse contentare di un reddito di 3.000 lire annue. Il
convenzionale La Planche, mandato in missione nel dipartimento del
Cher, così il 29 vendemmiale 1793 rendeva conto del suo
operato ai Giacobini: “Dappertutto ho messo il terrore all'ordine
del giorno, dappertutto ho posto contribuzioni sui ricchi e gli
aristocratici... Ho destituito i federalisti, messo in prigione i
sospetti e dato man forte ai sanculotti”. Nello stesso club dei
Giacobini si proponeva di requisire tutte le vettovaglie e
distribuirle al popolo, ed il procuratore generale Chaumette, quando
i fabbricanti chiudevano gli opifici, faceva la proposta che la
Repubblica s'impadronisse di tutte le fabbriche e le materie prime.
Per maggiori particolari leggere qualunque storia un po' dettagliata
della grande rivoluzione francese.
290 Il libro è intitolato: Histoire de la conspiration
de Babœuf e fu edito a Bruxelles. È da notare che il
Buonarroti, il quale diventò poi uno dei padri della
Carboneria, ebbe una parte importantissima in tutte le
società segrete, che, dopo la caduta dell'impero napoleonico,
agitavano la Francia e l'Italia.
291 Fourier, a dir vero, aveva pubblicato fin dal 1808 la sua
Théorie des quatre mouvements, ma pubblicò solo nel
1822 l'Association domestique et agricole e nel 1829 le Nouveau
monde industriel. Saint-Simon pubblicò il Nouveau
Christianisme nel 1824 e morì nel 1825. Però, sebbene
in quest'ultima fra le pubblicazioni siasi dal lato sentimentale
accostato in qualche modo al Socialismo, e benchè il
Sansimonismo che fiorì dopo il 1830 abbia contribuito a
preparare il terreno al vero socialismo ed abbia precorso molte di
quelle vedute che poi furono dal socialismo adottate, pure il
pensiero espresso da Saint-Simon nelle sue pubblicazioni precedenti
è troppo vasto, profondo ed originale perchè egli
possa essere senz'altro menzionato come uno dei tanti scrittori che
prepararono la moderna democrazia sociale.
292 Leroux pubblicò il suo libro De
l'égalité nel 1838, la Réfutation de
l'éclectisme nel 1839, Malthus et les économistes nel
1840. De l'humanitè nel 1840; del resto aveva cominciato a
scrivere fin dal 1832 nel giornale “Le Globe”.
293 Pubblicò nel 1840 la sua Organisation du travail.
294 Di Proudhon apparvero il Mémoire sur la
propriété nel 1840, la Création de l'ordre dans
l'humanité nel 1843, il Système des contradictions
économiques ou philosophie de la misère nel 1846.
295 Il libro del Buchez intitolato: Essai d'un traité
complet de Philosophie au point de vue du catholicisme et du
progrès, fu pubblicato nel 1839. Scrisse molto inoltre nel
giornale l'“Atelier”.
296 Alludiamo al già notissimo, ed ora dimenticato,
Viaggio in Icaria di Cabet, che venne alla luce nel 1840. In esso
l'autore finge di essere arrivato in un paese in cui non esiste la
proprietà privata, e descrive la felicità che godevano
gli uomini sotto un tale regime. Circa cinquant'anni dopo il
Bellamy, quasi sulla stessa tela, ordì il Looking Backward,
che ebbe una grandissima diffusione e fece la fortuna pecuniaria del
suo autore. Quasi nessuno ha rilevata la scarsa originalità
di questo lavoro e si e ricordato di Cabet.
297 Ricordiamo ancora una volta che queste pagine furono
scritte più di venti anni fa. È evidente che durante
l'ultimo ventennio una nuova mentalità ed una nuova corrente
di sentimenti si è andata formando nella gioventù
delle diverse nazioni europee.
Il solo paese nel quale la corrente intellettuale che aspira ad un
regime rappresentativo è stata fino a qualche tempo fa in
certo modo confusa con quella che vorrebbe radicali riforme della
proprietà e del presente ordinamento sociale e persino con
gli anarchici, è la Russia. Potremmo citare in proposito
pubblicazioni ufficiose e non molto antiche degli stessi comitati
nihilisti, che mostrano il carattere non bene determinato della loro
agitazione.
298 Ecclesiaste, paragrafo 4°, versetto 1°. Nei
versetti 2° e 3° continua:
“Onde io pregio i morti, che già sono morti, più che i
viventi, che sono in vita fino ad ora.
“Anzi più felice che gli uni e gli altri giudico colui, che
fino ad ora non è stato, il quale non ha veduto le opere
malvagie che si fanno sotto il sole”.
È importante il notare come questa malinconica e positiva
concezione della società si trovi pure in altri scritti di
pensatori che vissero fra popoli di antica cultura. Probabilmente
è il frutto della raffinatezza di senso morale e della lucida
percezione della realtà della vita che un lungo periodo di
civiltà rende possibili in chi ha mente e cuore elevati.
299 Per essere esatti dobbiamo rammentare che i seguaci della
prima formula sono intesi fra i socialisti col nome di comunisti;
mentre coloro che accettano l'altra, molto più in voga fra i
numerosissimi seguaci del Marx, si chiamano propriamente
collettivisti. Vero è che molti fra costoro ammettono che il
comunismo sia l'ideale al quale si deve mirare e che solo ha
l'inconveniente di non potersi immediatamente raggiungere. Come
vedremo più avanti, pare a noi che il collettivismo, pure
essendo una concessione che i riformatori fanno alla conosciuta
fragilità o meglio all'egoismo della natura umana, complichi
molto il sistema di rigenerazione sociale che essi vogliono attuare
ed offra un numero maggiore di argomenti validissimi a coloro che lo
combattono.
300 Questi apprezzamenti, che noi dividiamo, li abbiamo
raccolti dalla bocca del chiarissimo professore Saverio Scolari,
morto nel dicembre del 1893.
301 È perciò che, come abbiamo poco avanti
accennato, il nome di socialisti-democratici, col quale si appellano
i novatori tedeschi, ci pare il più adatto di tutti a
dinotare i vari scopi che il loro partito si propone di raggiungere.
302 Il lettore forse avrà notato che qualcuna delle
osservazioni teste fatte, trovavasi già nel capitolo V,
paragrafo IX del presente lavoro. L'importanza dell'argomento forse
varrà a farci perdonare la ripetizione.
303 Il lettore avrà notato che la nostra critica si
riferisce tanto ai postulati del comunismo che a quelli del
collettivismo e forse più ai primi che ai secondi. Or
facciamo espressamente rilevare che, dal punto di vista nostro, il
collettivismo si trova in condizioni di notevole inferiorità
rispetto al comunismo. Infatti, se trionfasse la democrazia sociale
più ortodossa, i governanti non solo avrebbero il diritto di
fissare per ognuno la qualità di lavoro da fare ed il luogo
dove andrebbe fatto, ma, non essendoci più una misura fissa
di retribuzione, dovrebbero fissare il correspettivo di ogni genere
di lavoro. Si vede subito la latitudine maggiore che potrebbe avere
il loro arbitrio ed il loro favoritismo. Ne ciò sarebbe
tutto: poichè il collettivismo permette l'accumulazione della
ricchezza privata non già sotto forma di capitali
industriali, ma bensì sotto l'altra di oggetti di puro
consumo, i quali certo si potrebbero sempre cedere a titolo gratuito
od oneroso e così rinascerebbe la corruzione elettorale e...
tante altre specie di corruzione proprie delle società
borghesi.
304 Naturalmente non tutti transigono allo stesso punto o nella
stessa maniera: le transazioni hanno varietà grandissime
rispondenti al maggiore o minore egoismo, al diverso grado di
delicatezza, alla diversa intensità degli scrupoli di ogni
individuo.
305 Fu detto già dal Burke, più di un secolo fa,
che qualunque sistema politico, che presupponga l'esistenza di
virtù sovrumane ed eroiche, ha per risultato il vizio e la
corruzione.
L'osservazione che abbiamo testè fatta, che la parte
demolitrice, cioè, delle dottrine socialiste ha il suo
fondamento nell'attribuire alla presente organizzazione sociale i
mali e le ingiustizie che sono proprie della natura umana, si trova
accennata in parecchi scrittori contemporanei. Ad esempio, vi alluse
replicatamente lo Schaeffle nella sua Quintessenza del socialismo,
che fu pubblicata fin dal 1874. Più chiaramente ancora
l'italiano Icilio Vanni scrisse nel 1890: "Il socialismo vecchio e
nuovo, razionalista ed evoluzionista che sia, riesce in sostanza
alla pretesa di attuare in questo povero mondo umano un ordine
assolutamente giusto, e così sempre si rivela il suo spirito
metafisico". Anche il Block nel suo libro L'Europe politique et
sociale (Paris, Hachette, 1893) dice: "Nous n'ignorons pas qu'il se
commet des injustices, mais celles-ci on ne les supprime pas en
changeant l'organisation sociale; on ne les supprimerait que si on
pouvait modifier la nature humaine". Allo stesso ordine d'idee si
riferiscono parecchi argomenti del libro intitotato: La
superstizione socialista, pubblicato dal Garofalo.
306 Lo scrisse il Bebel nel suo libro: La donna ed il
socialismo.
307 Il mondo potrebbe diventare un Eden anche con la presente
organizzazione borghese se ogni capitalista si contentasse di un
onesto e moderato guadagno e non cercasse di rovinare i suoi emuli,
di spremere quanti soldi può dalla tasca del consumatore, di
far colare l'ultima stilla di sudore dalla fronte dell'operaio.
Nello stesso tempo il proprietario di terre dovrebbe coltivare
diligentemente i suoi campi e trarne il puro necessario per la sua
frugale sussistenza, senza profittare delle oscillazioni del mercato
per vendere più cari gli oggetti di prima necessità.
Il mercante dovrebbe pure trarre dalla merce solo una quota limitata
e fissa di profitto e non dovrebbe mai abusare della inesperienza
del compratore per vendere più caro e frodarlo sulla
qualità e sulla quantità dei diversi generi. L'operaio
ed il contadino dovrebbero lavorare coscienziosamente per i loro
padroni, nè più nè meno di come farebbero per
conto proprio, senza mai ingannarlo, rubacchiarlo e farsi pagare la
giornata ad ufo. Tutti poi, invece di spendere il loro superfluo o
le loro economie in un fasto insultante, in soddisfazioni di
vanità, in vizi e bagordi, dovrebbero andare in traccia dei
più miseri, dei più inetti a guadagnarsi la vita per
soccorrerli. In maniera che per una mano che si stendesse per
domandare aiuto, dieci dovrebbero offrirsi, pronte e volonterose,
per darlo.
Il George, che fu certamente un nobile cuore ed un acuto ingegno,
credette che sia il sistema della concorrenza, e più
precisamente il pericolo di mancare del necessario in cui taluno
è messo da questo sistema, ciò che produce tutti i
mali, che noi imputiamo all'egoismo ed alla mancanza di giustizia e
di carità della maggior parte degli uomini.
Quest'autore, nel Progresso e Povertà, opera nella quale
sostiene questa tesi, citò l'esempio di ciò che
avviene in una tavola ben servita, dove, siccome ogni commensale sa
che ci è roba sufficiente per tutti, cerca di essere gentile
coi vicini e si evita così la gara ignobile di arraffare i
buoni bocconi e nessuno cerca di avere una quantità di cibo
maggiore degli altri.
Ora noi crediamo che il paragone non regga. E prima di tutto non in
tutte le tavole bene servite il contegno dei commensali è
così corretto come il George descrive. In secondo luogo poi
è da osservare che l'appetito materiale è
necessariamente limitato (Sancio Panza diceva che tre volte al
giorno mangia il povero e tre volte al giorno può mangiare il
ricco), sicchè in una tavola ben imbandita chiunque
può trovar modo di saziare la sua, anche straordinaria,
voracità senza usurpare la porzione degli altri. Così
non è quando non si tratta più di un banchetto
materiale, ma del banchetto allegorico della vita. Allora la voglia
di imporsi agli altri, di soddisfare i propri capricci, le proprie
passioni, le proprie libidini, può essere sciaguratamente
illimitata ed insaziabile; sicchè uno solo cercherà di
avere dieci, cento, mille porzioni, per potere, distribuendole agli
altri, ridurli alle sue voglie, nella lotta per la preminenza avendo
il trionfo chi può dispensare più largamente i mezzi
coi quali si soddisfano i bisogni ed i vizi umani.
Sicchè, se ad ognuno si assicurasse un minimum per provvedere
alle prime necessità della vita, la questione sociale non
sarebbe risoluta. Si contenterebbero di quel minimum solo i
più deboli ed i più poltroni, quelli che in ogni caso
sarebbero i più disadatti alla lotta per la preminenza, e gli
altri continuerebbero a farsi una concorrenza accanita.
308 Ci è capitata, tra le tante, sotto gli occhi una
pubblicazione di un anarchico italiano, nella quale si raccomanda ai
lavoratori di sterminare, nel giorno della loro vittoria, non solo i
borghesi adulti presi colle armi alla mano, ma anche i vecchi
inermi, le donne e i bambini di due o tre anni, di trattarli insomma
come gli antichi Ebrei trattavano i vinti, quando erano
espressamente colpiti dall'interdetto di Jahveh. La forma di questa
pubblicazione è tale che rivela nel suo autore buona cultura
ed anche una discreta intelligenza!
309 Si aggiunga che nella sua giovinezza Rousseau, che pure
proveniva da una onorevole famiglia ginevrina e ne aveva ereditato
gli istinti onesti e corretti, per la sua leggerezza, per la poca
attitudine ad un lavoro modesto e proficuo, per l'abbandono in cui
fu lasciato dal padre, decadde moralmente al punto da diventare per
circa dieci anni il mantenuto, non sempre bene accetto, di madama di
Warens. Recenti studi hanno messo in nuova luce la figura non solo
equivoca ma addirittura losca di questa signora, e pare omai
accertato che, mentre conviveva con Rousseau, abbia esercitato lo
spionaggio anche ai danni di Ginevra, però nello stesso tempo
non si può ad essa negare una certa bontà d'animo e
per Gian-Giacomo fu certo una vera benefattrice.
Indubbiamente, nell'età matura, la coscienza della bassezza
morale nella quale era caduto in gioventù dovette essere uno
dei più acuti tormenti del filosofo ginevrino; e, non potendo
o non volendo imputare a se stesso, a suo padre ed a madama di
Warens le cause di questo suo abbassamento morale, le
addebitò senz'altro alla società. Questa, secondo noi,
è la vera spiegazione psicologica del concetto fondamentale
che serve di base a tutto il sistema politico e sociale di Rousseau:
l'uomo nasce buono e la società lo rende cattivo.
310 Mentre la maggior parte degli anarchici (per es. il Grave
nella Société mourante et l'Anarchie) credono che
basti abolire la proprietà e le leggi perchè gli
uomini diventino tutti buoni, qualche altro meno ingenuo arriva a
conchiusioni, che somigliano molto alle nostre. Così un certo
De Gourmont negli Entretiens politiques et littéraires
(aprile 1892, pag. 147), scrive: “Data la mancanza di qualsivoglia
legge, l'ascendente degli uomini superiori diverrebbe unica legge ed
il loro giusto dispotismo sarebbe incontestato. Questo dispotismo
è necessario per mettere la museruola agli imbecilli: l'uomo
senza intelligenza morde”. Noi invece di uomini superiori diremmo i
più forti, invece di imbecilli i più deboli, e nel
resto, tranne il punto di vista completamente diverso, siamo
d'accordo.
Questa citazione l'abbiamo trovata nell'importante lavoro del
Sernicoli intitolato L'anarchia e gli anarchici, a pag. 70 del
volume secondo.
311 Fra i romanzi pubblicati verso la fine del secolo scorso
che descrivono come sarà il mondo dopo il trionfo della
rivoluzione sociale, ce ne è uno, pochissimo conosciuto in
Europa, che, per quanto anch'esso fantastico, ci pare esprima un
concetto più inspirato alla realtà e quindi più
pessimista di quelli più divulgati.
Il romanzo s'intitola Caesar's Column (la Colonna di Cesare), e fu
pubblicato a Melbourne nel 1892 (editore Cole), il suo vero autore
si nasconde sotto il pseudonimo di Edmund Boisgilbert. In esso si
descrive il trionfo del proletariato, che avverrà fra qualche
secolo sulla plutocrazia, quando “un giorno di giustizia sociale
salderà i secoli d'ingiustizia borghese”. Eccone la
descrizione sommaria: Cesare Lomellini, il capo dei proletari,
s'impadronisce dei tesori, dei vini e delle donne del principe dei
plutocrati Cabanus e li proclama suoi abbandonandosi all'orgia ed
alle crudeltà. Una tremenda carneficina intanto insanguina
l'Europa, l'America e l'Australia ed i lavoratori vittoriosi, dopo
avere ammazzato i plutocrati ed i loro satelliti ed aver consumato
le provvigioni accumulate, si ammazzano fra di loro finchè
tre quarti della popolazione e l'intera civiltà periscono. Il
romanzo si chiude con la erezione di una colonna di teschi ed ossa
umane (Caesar's Column) che Lomellini fa erigere a memoria
dell'avvenimento, nella quale una iscrizione scongiura i posteri,
nel caso che vogliano fondare nuove civiltà, ad evitare le
corruzioni, le iniquità, le menzogne, che causarono la rovina
di quella ora vigente.
312 Il giudizio sul risorgimento italiano l'abbiamo inteso
esprimere dal prof. Messedaglia. Sugli altri esempi da noi addotti
si può osservare che, quando Annibale venne in Italia e
riportò diverse vittorie sui Romani, in molte città
italiche la plebe cominciò a parteggiare per il duce
cartaginese, mentre i patrizi in generale si mantenevano fedeli a
Roma; ciò che si spiega facilmente perchè i poveri
sono sempre più desiderosi di novità ed hanno anche
meno tatto politico delle classi dirigenti. Anche per le Crociate si
può dire, che, specialmente verso la fine di esse, al
fanatismo religioso si mescolò l'amore del lucro, ma
però il constatare in un fenomeno sociale l'esistenza di un
coefficiente economico non significa già che esso sia il
principale e molto meno vuol dire che esso abbia determinato il
nascere del fenomeno stesso.
313 Il Loria nel suo libro Les bases économiques de la
constitution sociale (Paris, 1893, Alcan editore), in cui riproduce
e sviluppa i concetti ai quali avea già accennato nel suo
precedente lavoro: La teoria economica della Costituzione politica,
enumera tra i lavoratori improduttivi, gl'impiegati, i magistrati,
gli avvocati, i medici ed i giornalisti e dice che l'opera di
costoro, specialmente l'opera morale, impiegata a vantaggio del
capitale, è retribuita non con una parte del capitale, ma con
una larga partecipazione al suo reddito. Secondo l'A. “la funzione
del lavoro improduttivo è di garantire i detentori del
reddito contro la reazione di coloro, che sono esclusi dal possesso
della terra”; e, su questo argomento dei rapporti tra lavoratori
improduttivi e proprietari e capitalisti, cita, qualche pagina
avanti al brano che abbiamo riportato, una sentenza di Shakespeare
nella quale è detto che “quando i furbacchioni ricchi hanno
bisogno dei furbacchioni poveri, questi possono imporre ai primi le
condizioni che più loro convengono”. Evidentemente è
per questa ragione che, secondo l'A., i lavoratori improduttivi sono
così largamente rimunerati. Vedi opera citata, parte 3a cap.
11, pp. 172-74 e anche le seguenti.
314 Ci si permetta un altro paragone, che crediamo calzante. Se
si osserva una grande nave a vapore, di quelle che rappresentano gli
ultimi perfezionamenti dell'industria e della scienza moderna,
facilmente possiamo constatare che essa è stata costruita
mercè la cooperazione di capitalisti, ingegneri navali ed
operai e funziona mercè la cooperazione di un certo numero di
ufficiali e di un numero più grande di semplici marinai e
fuochisti. Or sarebbe giusto che questi ultimi insieme agli operai
costruttori, come rappresentanti la parte che il lavoro manuale ha
avuto ed ha nella costruzione e nel funzionamento della nave,
pretendessero tutto il prodotto della stessa e giudicassero rubata
quella parte che non va a loro? Evidentemente no: perchè se,
senza gli operai ed i semplici marinai, i capitalisti, gl'ingegneri
e gli ufficiali non potrebbero nè costruire, nè
condurre un battello a vapore, senza la cooperazione dei
capitalisti, degl'ingegneri e degli ufficiali, i rappresentanti del
lavoro manuale non avrebbero saputo fabbricare altro che
piccolissime barche, colle quali avrebbero potuto esercitare solo la
pesca ed il piccolo cabotaggio, guadagnando molto meno di quanto
complessivamente ritraggono dalla costruzione della nave a vapore e
dal navigare sopra di essa. Se applichiamo l'esempio ai vari rami
dell'attività sociale si vedrà che l'unione della
ricchezza, della cultura superiore e del lavoro manuale produce
ciò che complessivamente chiamasi la civiltà e
migliora complessivamente le condizioni di tutti.
315 Si potrebbe agevolmente dimostrare che il protezionismo non
può giovare ad una parte della produzione nazionale senza che
nuocia nello stesso tempo ad un'altra parte della stessa,
indiscutibilmente maggiore. Perciò se alcuni proprietari ed
industriali ne possono avere vantaggio, altri, più numerosi,
ne debbono ritrarre nocumento. E, insieme coi poveri, esclusivamente
danno ne ritrae tutta quella grossa frazione della classe ricca ed
agiata che vive cogli interessi dei titoli di Stato, o di capitali
dati a mutuo, oppure col commercio, coi guadagni professionali,
cogli impieghi. Una cattiva politica bancaria può giovare
soltanto ad alcuni industriali o politicanti che ottengono sconti di
favore, ma nuoce indiscutibilmente a tutti gli altri cittadini, e
specialmente poi a coloro che hanno danari. Un superficiale esame
dei fatti accennati dimostra perciò assurda l'accusa, che si
fa in qualche paese all'intera borghesia, di essere autrice
consciente di certi danni e di certi scandali. Sarebbe molto
più giusto ed esatto l'asserire che la gran maggioranza della
classe dirigente, non per malizia ma per ignoranza, ha tollerato o
consentito la sua rovina trascinando in essa anche quelle classi
più misere, la cui tutela era affidata non solo alla sua
onoratezza, ma anche al suo sapere.
316 Prima di lasciare quest'argomento crediamo doveroso
l'avvertire come gli autori, che colla storia hanno creduto di
dimostrare che le classi alte arbitre del potere politico ne hanno
usato costantemente per sfruttare i lavoratori, potrebbero essere
molto facilmente confutati. — La loro ipotesi e la maniera come
cercano di dimostrarla farebbero supporre che gli eventi umani
fossero stati diretti per secoli e secoli da una volontà
tenace e costante, che sapeva dove voleva giungere e preparava
astutamente i mezzi all'uopo, da una congiura continua e tenebrosa
delle classi ricche contro i poveri. Questa, per definirla
benignamente, non ci pare altro che una forma del delirio di
persecuzione; perchè in verità un osservatore calmo e
spassionato studiando la storia, vede subito che i fatti, che hanno
importanza sociale, sono determinati in parte da passioni, istinti e
pregiudizi, quasi sempre incoscienti e che quasi mai si rendono
conto dei risultati pratici che avrà la loro azione, in parte
da interessi che hanno ordinariamente un obiettivo immediato, ed in
parte finalmente da ciò che gli uomini chiamano il caso
fortuito.
Così, ad esempio, contrariamente a quanto mostra di credere
qualche scrittore socialista, il Cristianesimo non fu adottato
perchè è una religione che, promettendo la
felicità nell'altra vita, garantisce in questa ai potenti il
quieto godimento delle ricchezze; nè le guerre moderne furono
fatte con lo scopo di aumentare i debiti pubblici e quindi la
influenza politica del capitale improduttivo. Come, aggiungiamo noi,
l'America e l'Australia non furono scoperte col disegno di preparare
uno sbocco alla esuberante popolazione operaia ed agricola
dell'Europa nella seconda metà del secolo decimonono e nel
ventesimo e di garantirla in questo modo contro un soverchio
abbassamento dei salari.
Si sa poi come, alterando un poco alcuni fatti, tacendone altri,
qualunque caso di delirio di persecuzione possa assumere l'apparenza
di una realtà; ora il metodo che abbiamo accennato è
appunto quello seguito dagli scrittori socialisti per provare che le
classi dirigenti, che hanno fatto le leggi e determinato l'azione
dello Stato, si sono serviti della loro influenza politica per
depauperare coscientemente e costantemente le classi basse. Essi
citano generalmente quelle leggi e quei provvedimenti, che possono
essere giudicati dannosi a coloro che vivono di lavoro manuale, e
quando poi debbono rammentare qualcuno che evidentemente è
favorevole agli stessi, asseriscono, ben inteso senza provarlo, che
fu dai salariati strappato con la forza all'avarizia dei capitalisti
e dei proprietari.
Per addurre qualche esempio speciale rammenteremo che il Marx
afferma (vedi Il Capitale, capo XVIII) che "durante la genesi
storica dell'evoluzione capitalistica, la borghesia nascente si
valse dello Stato per regolare il salario, cioè per
deprimerlo fino al livello conveniente per mantenere il lavoratore
al grado di dipendenza voluta", e cita, in appoggio del suo assunto,
lo Statute of labourers del 1349, che stabilisce il maximum dei
salari, altri statuti inglesi consimili di epoche posteriori, ed
infine un'ordinanza francese del 1350.
Or di leggi di questo genere se ne trovano nei secoli scorsi anche
in altri popoli, ad esempio, ce ne furono in Germania dopo che la
guerra dei trent'anni ebbe spopolato il paese, e furono sempre fatte
quando o per una lunga guerra o in seguito a pestilenze (non
dimentichiamo che il 1348 fu l'anno della peste nera) la popolazione
era molto diminuita ed i salari quindi bruscamente rialzavano. Ma
provvedimenti così fatti non possono essere imparzialmente
apprezzati se non si mettono in raffronto con altri provvedimenti
contemporanei, o quasi; che stabilivano il maximum del pane, del
grano, delle stoffe, dell'affitto delle case, ecc. Evidentemente
quindi i reggitori dello Stato non volevano sistematicamente
favorire la formazione della borghesia, ma nella loro ignoranza
credevano di potere con le loro leggi mitigare o impedire i bruschi
squilibri economici, che provenivano dall'eccessivo rincaro di
qualunque merce, compreso il lavoro umano. — Il Loria fa anche
meglio: nella pag. 6 del libro testè citato, dopo aver detto
che ci fu un'epoca in cui, essendoci ancora terre libere, i
proprietari avevano interesse a che i proletari non risparmiassero
per acquistare il capitale necessario a coltivarle, enumera i metodi
usati per ottenere quest'intento e quindi per ribassare i salari;
essi sarebbero stati: "la riduzione diretta del salario, il
deprezzamento della moneta, l'impiego di macchine più costose
degli operai ch'esse sostituiscono, l'espansione del capitale
improduttivo impiegato negli affari di borsa e di banca, nella
moneta metallica, nei debiti pubblici, il numero eccessivo degli
intermediarii inutili, la creazione di una popolazione eccessiva,
che fa concorrenza agli operai occupati. — Tutti questi mezzi
(continua sempre l'egregio autore) arrivano indubbiamente a limitare
la produzione e per questa via anche a diminuire il profitto;
nondimeno la classe proprietaria non esita a ricorrervi
perchè sono la condizione necessaria per assicurare la durata
del profitto impedendo la elevazione del salario, che avrebbe per
risultato inevitabile la fine del reddito capitalista".
Or il chiarissimo professore di Economia politica, che non merita
certo la taccia di sicofante dei capitalisti, indirizzata dal Marx a
tanti altri cultori della stessa disciplina, avrebbe dovuto
provarci: 1° che in un'epoca, che non può essere molto
vicina a noi, perchè esistevano ancora nell'Europa
occidentale terre libere, la classe dirigente avesse avuto tante e
tali nozioni economiche da poter prevedere che le misure accennate,
ad esempio, l'espansione del capitale improduttivo, avrebbero
prodotto un ribasso dei salari; 2° che tutte queste misure,
compreso lo svilimento della moneta e il soverchio aumento della
popolazione, potessero essere la conseguenza di una volontaria
determinazione di coloro che avevano nelle mani il potere. — Noi,
attendendo questa dimostrazione, ci permettiamo di dubitare che
neppure ora i governanti ed i loro amici abbiano tanta preveggenza e
sopratutto che abbiano la possibilità di compiere tutti quei
rivolgimenti economici che il Loria loro attribuisce.
317 Pseudonimo del professore tedesco Vinkelblech.
318 Fra gli autori socialisti in cui i sentimenti benevoli sono
più forti, e quelli che hanno la loro base nell'odio sono
meno accentuati, ci piace menzionare il Colajanni ed Ignazio
Scarabelli, che ha pubblicato un libro Sul socialismo e la lotta di
classe. Ferrara, 1895, Tipografia Sociale.
319 Chiunque abbia una certa pratica degli opuscoli e dei
giornali collettivisti ed anarchici sa quanto in essi sia spiccato
questo carattere odioso della propaganda socialista, che si esplica
con la sovraeccitazione della malevolenza e dell'invidia. È
da notare che è appunto per mezzo degli opuscoli e dei
giornali che la parola dei maestri, popolarizzata e sminuzzata,
arriva alle masse.
320 La povertà che va accompagnata immancabilmente dal
dolore e dalla infelicità, come abbiamo già accennato,
è quella estrema, che non consente che si provveda ai
più elementari bisogni umani, oppure la povertà invida
di chi non sa rassegnarsi che altri abbia di quei godimenti e di
quelle soddisfazioni di vanità ai quali egli non può
aspirare, oppure finalmente la povertà che segue un
decadimento economico e produce quindi un peggioramento nel tenore
di vita al quale si era abituati. — A questo proposito osserviamo
che il godimento e la soddisfazione che si provano quando si
migliora di condizione economica e sociale sono molto meno intensi e
sopratutto più fugaci del dolore, che è conseguenza di
un analogo peggioramento. — Perciò i frequenti mutamenti di
fortuna, che portano molti in basso ed altri in alto, producono un
totale di sofferenze assai superiore al totale della gioia.
Prima di lasciare quest'argomento rammenteremo che il Nobili
Vitelleschi in un articolo intitolato Socialismo ed Anarchia,
pubblicato nella "Nuova Antologia" , del 15 gennaio 1895, scrisse
che "è nella distinzione fra la felicità e la
ricchezza che sta il motto dell'enigma, che turba i sonni
dell'Europa e del mondo".
321 Vedi Insurrection du 18 mars. Paris, Charpentier, 1872, nel
capitolo I.
322 Lo stato psicologico da noi accennato, che si ritrovava
più specialmente nella gioventù italiana, e che era
notorio a tutti coloro che avevano frequenti contatti cogli studenti
delle nostre Università, viene stupendamente descritto in un
lavoro giovanile di uno scrittore che dimostrò fin d'allora
ingegno veramente eccezionale. Alludiamo all'opuscolo di Guglielmo
Ferrero, intitolato Reazione (Torino, 1895, Roux editore). In esso
l'A. dopo avere, a pagina 54 e seguenti, spiegate le ragioni per le
quali la gioventù non credeva e non s'inspirava agli ideali
dei suoi padri, scrive:
“Che resta dunque? C'è sempre un certo numero di individui
che hanno bisogno di appassionarsi per qualche cosa di non
immediato, di non personale e di lontano; a cui la cerchia dei
propri affari, della scienza, dell'arte, non basta per esaurire
tutta l'attività dello spirito. Che rimaneva a costoro in
Italia se non l'idea socialista? Veniva da lontano, ciò che
seduce sempre; era abbastanza complessa ed abbastanza vaga, almeno
in certe sue parti, per soddisfare ai bisogni morali così
differenti dei molti proseliti; da un lato portava uno spirito vasto
di fratellanza e di internazionalismo, che corrisponde ad un reale
bisogno moderno; dall'altro era improntata a un metodo scientifico
che rassicurava gli spiriti educati alle scuole sperimentali. Dato
ciò, nessuna meraviglia che un gran numero di giovani si sia
inscritto in un partito dove almeno, se c'era pericolo d'incontrare
qualche umile uscito dal carcere o qualche modesto repris de
justice, non si poteva incontrare nessun panamista, nessun
speculatore della politica, nessun appaltatore di patriottismo,
nessun membro di quella banda di avventurieri senza coscienza e
senza pudore, che, dopo aver fatto l'Italia, l'hanno divorata. La
più superficiale osservazione dimostra subito che in Italia
non esistono quasi in nessun posto le condizioni economiche e
sociali per la formazione di un vero e grande partito socialista;
inoltre un partito socialista dovrebbe trovare logicamente il nerbo
delle sue reclute nelle classi operaie, non nella borghesia, come
era accaduto in Italia. Ora se un partito socialista si sviluppava
in Italia in condizioni sì sfavorevoli e in un modo
così illogico, si è perchè rispondeva
più che altro a un bisogno morale di un certo numero di
giovani, nauseati di tanta corruzione, bassezza e viltà; e
che si sarebbero dati al diavolo pur di sfuggire ai vecchi partiti
imputriditi sino nelle midolla delle ossa”.
323 Nei secoli scorsi il lusso avea di frequente un carattere,
per così dire, primitivo; esso si esplicava infatti
principalmente nel tenere una numerosissima servitù,
nell'esercitare largamente l'ospitalità, qualche volta nel
distribuire cibi e bevande alla popolazione di un'intera
città. Certo in tutti questi modi di disfarsi del superfluo
la vanità avea la sua parte, ma in conchiusione, mercè
di essi, una porzione di ciò che soverchiava ad alcuni era
goduta da coloro che più ne difettavano. In certe epoche
più raffinate la magnificenza dei grandi si applicò a
proteggere artisti e poeti e nell'agevolare quindi la creazione di
quei capolavori dell'arte e della letteratura, che recano un
godimento intellettuale squisitissimo non solo al proprietario od al
mecenate, ma a tutti coloro che sono capaci d'apprezzarli. Il lusso
moderno è nello stesso tempo più egoistico e meno
intellettuale; giacchè consiste principalmente nel
procacciare una quantità enorme di comodità e di
soddisfazioni sensuali a coloro che possono spendere. Come se
ciò non bastasse, i godimenti privati che esso procura a
pochi sono da costoro resi, con ogni industria, di pubblica ragione
mediante la descrizione che ne fanno i giornali quotidiani. Certo
questa non è in fondo che una delle tante esplicazioni della
vanità umana, ma l'effetto pratico delle pubblicazioni
accennate è indiscutibilmente di far reputare i piaceri, di
cui i ricchi soltanto possono godere, maggiori assai di quello che
realmente siano e di aumentare quindi l'invidia e l'appetito in
coloro che ne sono privi.
324 Parecchi autori dei più accreditati avevano
già fissato la data del trionfo del collettivismo,
prognosticandolo per la fine del secolo decimonono o per i primi
decenni del ventesimo.
325 Come non l'ebbero gl'ideali dei prischi cristiani dopo il
trionfo ufficiale del Cristianesimo.
326 È bene tener presente che lo svilupparsi delle
organizzazioni sindacaliste ed il loro antagonismo con lo Stato
può rendere assai meno sicuro l'uso di questi mezzi d'azione.
327 Alludiamo a quelle riforme mediante le quali lo si vorrebbe
trasformare nella così detta nazione armata, come sarebbero
la soverchia brevità della ferma, il reclutamento regionale
in tempo di pace, ecc.
328 Citiamo alcuni degli avvenimenti che potrebbero provocare
una rivoluzione sociale. Tali sarebbero, ad esempio, una guerra
disastrosa con qualche potenza straniera, una gravissima crisi
industriale ed agricola, il fallimento di uno di parecchi grandi
Stati europei.
329 Abbiamo già detto al capitolo VII che la forza
brutale può da sola reprimere o anche sopprimere una corrente
d'idee e di passioni solo quando essa è adoperata senza
scrupoli e senza riguardi, quando cioè è accompagnata
da una crudeltà che non si arresta davanti il numero delle
vittime.
Or, anche non tenendo conto che un tale uso della forza non è
certo desiderabile, ai nostri tempi e coi nostri costumi esso
è anche impossibile, almeno fino a quando non sarà
provocato da eccessi analoghi dei rivoluzionari.
330 Ad esempio nell'India coloro che in ogni città o
villaggio appartengono alla stessa casta, o meglio alla stessa
suddivisione di casta, si assistono e si aiutano reciprocamente.
Anche fra i maomettani l'assistenza reciproca è di rito fra i
membri della stessa tribù. In China la famiglia è
molto più numerosa che in Europa, giacchè
ordinariamente coabitano ed hanno comunità di interessi i
discendenti dello stesso antenato fino alla terza generazione. Nel
Giappone, a quanto ci ha assicurato il chiarissimo professore
Paternostro che vi ha abitato diversi anni, gli abitanti dello
stesso villaggio o dello stesso quartiere di una città si
credono consuetudinariamente obbligati a soccorrere un vicino che ha
subìto un disastro; se, ad esempio, gli s'incendia la casa,
glie la ricostruiscono a spese comuni.
Nell'occidente d'Europa, e specialmente nelle grandi città,
la famiglia da cui si può ricevere assistenza è
praticamente ridotta al padre, alla madre ed ai figli finchè
sono minorenni. Sicchè, se il capofamiglia, che vive di
lavoro, per un accidente qualsiasi vede interrotti per qualche mese
i suoi guadagni, la miseria e la disperazione sono inevitabili.
331 Ciò che si chiama l'individualismo europeo, il fatto
cioè che ognuno deve pensare solo per sè e Dio per
tutti, è stato in questo secolo prodotto in parte dai
frequenti spostamenti di fortuna, per i quali si rompono od
allentano i legami di famiglia, di colleganza, di vicinato, ed in
parte maggiore dalla soverchia mobilità della popolazione,
dovuta alla creazione di nuovi centri industriali, nuove grandi
città, ecc. Infatti è principalmente nelle grandi
città, abitate in gran parte da una popolazione avventizia,
dov'è raro che una famiglia risieda per dieci anni nella
stessa casa, e dove non si sa quasi mai chi sia il proprio vicino di
casa, che avvengono i più dolorosi casi di abbandono, nei
quali un individuo od una famiglia, soli in mezzo ad una
moltitudine, possono in qualche caso arrivare a morire letteralmente
di fame.
332 Alcune delle misure che molti caldeggiano, credendole una
giusta soddisfazione alle aspirazioni dei socialisti, sarebbero : il
diritto al lavoro, cioè l'obbligo imposto allo Stato di
stipendiare tutti i disoccupati; la suddivisione forzata dei
latifondi, che equivarrebbe alla prescrizione d'introdurre la
piccola cultura anche colà dove essa non ha le condizioni
naturali per vivere; il massimo di otto ore di lavoro, stabilito,
non per mutuo consenso fra operai e capitalisti, ma per legge dello
Stato; il tasso minimo dei salari stabilito pure per legge dello
Stato; l'imposta unica e fortemente progressiva, ecc., ecc. Ognuno
che abbia una mediocre conoscenza delle leggi economiche vede subito
come basterebbe l'applicazione dei provvedimenti accennati per fare
sparire nel volgere di pochi anni qualunque capitale privato.
Bisogna però confessare che i Governi di molti paesi d'Europa
si sono messi in una via tale, che, senza gravi strappi alla logica
ed all'equità, difficilmente possono respingere tutte queste
e le analoghe aspirazioni dei socialisti e socialistoidi.
Infatti quando si eleva artificialmente il prezzo del pane, sotto lo
specioso pretesto che bisogna assicurare ai proprietari un minimo di
rimunerazione per la coltura del grano, come si può negare
all'operaio che si stabilisca il prezzo minimo del suo lavoro?
333 Non sarebbe il primo caso di una società che decade
perchè si sono voluti applicare fino alle ultime conseguenze
logiche quei principii, quelle dottrine, quei metodi, che in origine
fecero la sua grandezza. Ad esempio, la forte organizzazione
burocratica fu nei primi tempi forza grandissima dell'impero romano,
che mercè di essa potè assimilare tanta parte del
mondo, e l'eccesso della burocratizzazione divenne poi una delle
cause principali del decadimento di quell'impero. Il fanatismo e la
fede cieca ed esclusiva nel Corano furono il coefficiente più
importante della pronta diffusione della civiltà maomettana,
ma, col correre dei secoli, diventarono anche la ragione precipua
della sua immobilità e decadenza.
334 Questo giudizio, che si trova implicito in tutte le opere
dell'egregio autore, è espresso esattamente nel Marco Aurelio
al capitolo XXI. Vedi Marc-Aurèle et la fin du monde antique.
Paris, 1882, Calman Lévy.
335 Garofalo, opera citata, pag. 240.
336 Come quando afferma che “in qualunque città, in
qualunque modo ordinata, ai gradi del comandare non giungono mai
più di quaranta o cinquanta persone”. Vedi Discorsi, Cap.
XVI.
337 Vedi Olindo Rodriguez, Saint-Simon et son premier
écrit, Paris, Librairie Saint-Simonienne, 1832. Il volume
contiene realmente tre dei principali scritti di Saint-Simon,
cioè le Lettere ad un abitante di Ginevra, la sua Parabola
politica ed il Nuovo Cristianesimo. Come pure vedi le Œuvres de
Saint-Simon et d'Enfantin, Paris, Dentu, anno 1865 e seguenti. In
questa grande raccolta, che consta di 47 volumi, si trovano
pubblicati scritti di Saint-Simon nei vo3. 15, 16, 18, 19, 20, 21,
22, 23, 37 e 39. I concetti che abbiamo accennato nel testo formano
i capisaldi delle dottrine di Saint-Simon e si trovano ripetuti in
quasi tutte le sue pubblicazioni. Crediamo superfluo ricordare che
il Saint-Simonismo, il quale si costituì e si diffuse alcuni
anni dopo la morte di Saint-Simon, si allontanò molto dalle
idee del primo Maestro da cui prese il nome. In proposito si
può pure consultare il lavoro di Paul Janet, sopra Saint
Simon et le Saint-Simonisme, Paris, Germer-Baillière, 1878.
338 La influenza intellettuale esercitata da Saint-Simon sopra
Augusto Comte è assai bene rilevata da George Dumas; vedi
Psychologie de deux Messies positivistes, Paris, Felix Alcan
editore, 1905, pagina 255 e seguenti.
339 Vedi Comte, Système de politique positive, Paris,
Carillan ed., 1853.
340 Il Grundriss der Sociologie, nel quale l'autore ribadiva e
sviluppava i concetti espressi nel Rassenkampf, comparve nel 1885.
341 Delle dottrine del De Gobineau e del Lapouge basate sulla
superiorità etnica della classe dirigente ci siamo già
occupati nella prima parte di questo lavoro (Capitolo 1°,
paragrafo 10). Riguardo agli autori ora citati l'Ammon avea
già pubblicato nel 1893 Die natürliche Auslese beim
Menschen, Jena, edizione Fischer, e nel 1898 venne alla luce la
prima edizione tedesca dell'Ordre social et ses bases naturelles
(Paris, Librairie Thorin, 1900), nel quale la teoria dell'immanenza
necessaria della classe politica, basata sopra una selezione
naturale che accadrebbe negli strati sociali superiori, è
largamente sviluppata. Quanto agli altri scrittori citati vedi
Novikof, Conscience et volonté sociale, Paris, Giard e
Brière ed., 1897; Rensi, Les anciennes régimes e La
democrazia diretta. Bellinzona, 1902; Pareto, Les systèmes
socialistes, Paris, Saint-Amand, 1902, ed il Trattato di sociologia
generale, Firenze, Barbèra, 1916; Michels Roberto, La
sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Torino,
Unione Tip., 1912. In questo lavoro, del quale comparve un'edizione
tedesca nel 1911, l'A. dimostra con validissimi argomenti che anche
i grandi partiti democratici e socialisti sono inevitabilmente
guidati, e spesso con ferrea disciplina, da minoranze organizzate.
342 Il Michels ha già rilevato la necessità
dell'omaggio che, nei paesi retti a governo rappresentativo, i
partiti conservatori devono rendere alle dottrine democratiche. Vedi
opera citata e sopratutto l'articolo di quest'autore intitolato La
democrazia e la legge ferrea dell'oligarchia, pubblicato nella
“Rassegna contemporanea”, anno III, N. 5.
343 Vedi Opere di Saint-Simon ed Enfantin, tomo XXI, pag. 211.
Sarà utile ricordare che per Saint-Simon il dominio dei
legisti e dei metafisici rappresentava il periodo di transizione fra
la dominazione dei sacerdoti e dei guerrieri e quella degli
scienziati e degli industriali. Inoltre egli giudicava che i legisti
ed i metafisici, adattissimi a distruggere il mondo antico, si
dimostravano inetti a ricostruire quello moderno.
344 Vedi Parte prima, Capitolo VI, paragrafi VII ed VIII.
345 Vedi Iliade nel secondo e nel nono canto. Nel canto secondo
vi è la minuta descrizione tanto del consiglio dei
maggiorenti che dell'assemblea generale di tutti i guerrieri. Vedi
anche il canto secondo ed il canto ottavo dell'Odissea.
346 Vedi Tacito, De origine, situ, moribus ac populis
Germaniae, al capo XI, dove dice che "De minoribus rebus principes
consultant de majoribus omnes". S'intende però tutti i
guerrieri che facevano parte della tribù.
347 Come accade precisamente nel citato canto secondo
dell'Iliade. Del resto anche Tacito parlando dei Germani in seguito
alle parole testè citate aggiunge: "ita tamen ut ea quoque,
quorum penes plebem arbitrium est, principes praetractentur".
348 Pare che ciò attualmente avvenga in qualche
tribù arabo-berbera della Cirenaica.
349 Anche Omero accenna ad uno dei Proci, Antinoo figlio di
Eupite, il quale aspirava a diventare re d'Itaca scalzando Telemaco
figlio di Ulisse. Vedi Odissea, canto ventiduesimo.
350 Difatti essendo le popolazioni galliche, all'epoca della
conquista romana, arrivate ad un grado di sviluppo economico e
politico superiore a quello dei Germani contemporanei a Tacito,
Cesare così descrive i loro ordinamenti politici: "In omni
Gallia eorum hominum qui aliquo sunt numero et honore sunt duo
(cioè i Druidi ed i cavalieri). Nam plebs poene servorum
habetur loco, quae nihil audet per se, nulli adhibetur Consilio" (De
bello gallico, Libro VI, Cap. XIII). Ed anche fra i Sassoni
dell'epoca di Carlo Magno, certo socialmente più sviluppati
dei Germani di Tacito, si distinguevano già nettamente due
classi: i nobili od Etelingi ed in semplici uomini liberi, ossia
Frilingi.
351 Ciò avvenne nell'alto Egitto, dove nel nono secolo
avanti Cristo i sommi sacerdoti di Ammon esercitarono ciò che
ora sarebbe il potere temporale.
352 Vedi Teorica dei governi, cap. II, § II, e la prima
parte di questo volume, cap. II, § VIII.
353 Senofonte, Anabasi.
354 Vedi Huart, Histoire des Arabes. Paris, ed. Geuthner, 1912,
volume I, cap. XIII. L'influenza persiana divenne preponderante
specialmente sotto i califfi abbassidi. Lo stesso titolo di vizir,
che si dava al primo ministro, era di origine persiana.
355 Questa causa fu rilevata da Averroè, uno dei
più forti intelletti che la civiltà maomettana nei
suoi bei tempi abbia prodotto. Vedi Renan, Averroès et
l'Averroïsme, deuxième édition. Paris. Michel
Lévy, cap. II, pag. 161.
356 Per esempio quelli di dare a mangiare all'affamato, di dare
a bere all'assetato, di non frodare la mercede all'operaio, di non
mentire, di non fare falsa testimonianza, ecc. Come si sa, il
così detto Rituale dei morti era una raccolta di testi sacri,
dei quali i più antichi rimontano alla XI Dinastia, ed i
più recenti alla XVIII, che si deponevano nelle tombe
perchè servissero di guida al defunto nell'altra vita. La
XVIII Dinastia regnò in Egitto circa 18 secoli prima dell'era
volgare.
357 È bene ricordare che la data approssimativamente
più esatta intorno all'epoca nella quale furono composti i
poemi omerici sembra la fine del nono secolo avanti l'êra
volgare. È quella presso a poco accennata da Erodoto nel
libro II, § 53, della sua storia.
358 Una città greca nell'epoca classica generalmente
distava da un'altra città greca una grossa giornata di
cammino ed il suo territorio raramente superava i mille chilometri
quadrati. In questo spazio, dato lo sviluppo agricolo dell'epoca,
potevano agevolmente vivere dalle trenta alle quarantamila persone,
fra le quali erano naturalmente compresi gli schiavi e gli stranieri
domiciliati. Si sa che l'Attica aveva un territorio di circa
duemilaseicento chilometri quadrati e che, nei suoi momenti
migliori, la sua popolazione superò forse i duecentomila
abitanti, e che anche Siracusa e Sparta avevano territori e
popolazioni notevolmente superiori a quelle di una città
greca normale, ma Atene, Siracusa e Sparta furono appunto gli Stati
più grandi e forti dell'antico mondo ellenico. Sulla
popolazione della Grecia antica si possono consultare gli ottimi
lavori del Beloch e di altri egregi scrittori ripubblicati nel IV
volume della Biblioteca di Storia economica di Vilfredo Pareto.
359 Già Esiodo parla dei Re con assai meno rispetto di
Omero. Difatti, quegli che fu detto il poeta dei contadini, li
accusa di vendere la giustizia, li chiama senz'altro divoratori di
regali, δοροφαγοί, e raccomanda caldamente a suo fratello Perseo di
stare da essi lontano.
360 Oltre alle cause accennate, d'indole prevalentemente
economica, alla democratizzazione della città greca dovette
contribuire il cambiamento dell'armamento e della tattica, avvenuto
appunto nell'epoca di cui trattiamo. Ai carri da guerra in uso
all'epoca omerica, nella quale essi formavano, per dir così,
l'arma che decideva dell'esito della pugna, carri che solo potevano
procacciarsi le persone molto doviziose, si sostituirono col tempo i
semplici cavalieri e poi anche gli opliti, fanti pesantemente
armati, che formavano il nerbo degli eserciti greci durante l'epoca
classica, l'arredamento dei quali, sebbene relativamente costoso,
era accesibile alle mediocri fortune. Nella costituzione di Dracone,
anteriore a quella di Solone, troviamo già sancito che
partecipavano alle cariche pubbliche tutti coloro che erano forniti
di armi (Vedi Aristotile, Costituzione di Atene, paragrafo IV).
361 Vedi Aristotile, Costituzione di Atene, paragrafo 42.
362 Perfino a Roma all'epoca dell'impero la separazione
perfetta fra giustizia ed amministrazione, che per noi è uno
dei concetti più familiari, non era stata introdotta. Vedi in
proposito Hartmann, La rovina del mondo antico, traduzione di Gino
Luzzatto. Roux e Viarengo editori, capitolo 2°. pag. 46.
363 Aristotile, nella Costituzione di Atene, enumera tutte le
cariche pubbliche che erano ritenute necessarie per il retto
andamento della repubblica. Esse occupavano parecchie migliaia di
cittadini ed i titolari erano per lo più designati dalla
sorte (Vedi opera citata nei paragrafi che vanno dal 42 al 62).
364 Però Aristotile nella sua Costituzione di Atene (al
paragrafo 42) ci informa che, arrivati all'età di diciotto
anni, tutti gli efebi ateniesi facevano un anno di esercizi militari
e poi per altri due anni custodivano armati il lido e gli altri
luoghi strategici dell'Attica. In fondo perciò in Atene vi
era ciò che ora si chiamerebbe la ferma triennale.
Però mancava totalmente un corpo permanente di ufficiali. Il
popolo sceglieva solamente ogni anno cinque cittadini probi che
avessero sorpassato i quarant'anni, i quali curavano
l'amministrazione degli efebi e sopraintendevano a ciò che
ora sarebbe il rancio (ogni efebo riceveva per il proprio
mantenimento quattro oboli al giorno), e due maestri di ginnastica
incaricati di insegnare il maneggio delle armi e gli esercizi
militari. Mancava inoltre un regolamento di disciplina ed un codice
penale militare, e sicuramente, almeno in tempo di pace, l'efebo era
sottoposto alla stessa giurisdizione degli altri cittadini. Nella
storia di Atene non vi è poi alcun indizio il quale faccia
supporre che questo corpo degli efebi sia intervenuto in sostegno di
ciò che ora sarebbe il Governo.
365 Si sa che, nel libro terzo della sua storia, Erodoto mette,
con assai poca verosimiglianza, in bocca a tre dei grandi di Persia
che avevano ucciso il falso Smerdi una disputa intorno ai pregi ed
ai difetti della monarchia, dell'aristocrazia e della democrazia.
Questa disputa prova che, fin dalla metà del secolo quinto
avanti l'êra volgare, cioè più di un secolo
prima che Aristotile dettasse i suoi libri, i Greci, non già
i Persiani, ammettevano l'esistenza di tre forme fondamentali di
governo ed esercitavano il loro spirito critico nell'esame dei
vantaggi e dei danni inerenti a ciascuna di esse.
366 Specialmente i libri sesto, settimo ed ottavo dell'opera
citata.
367 Vedi Politica, libro III, capitolo 7, paragrafo 7, e libro
VIII, capitolo 1, paragrafo 7. In quest'ultimo passo è detto
testualmente: γὰρ εὐγένεια ἕστιν ἀρετή ϰαὶ πλõυτος ἀρϰαῖος,
imperciocchè l'eugenia è la virtù e la
ricchezza di antica data (si sottintende nella famiglia).
368 Vedi Costituzione di Atene, paragrafo 27.
369 Vedi Costituzione di Atene, paragrafo 24. Ivi è
detto espressamente che alla spesa si provvedeva in parte coi
contributi degli alleati.
370 Vedi principalmente la Politica di Aristotile ed il dialogo
di Platone sulla Repubblica.
371 E ciò spiega in gran parte l'importanza grande che
Platone ed Aristotile attribuivano all'educazione della giovane
generazione, considerata già nella Grecia antica come una
delle funzioni dello Stato.
372 Vedi Politica, sopratutto nel libro VI, capitolo IX.
373 Però dei diecimila solo la terza parte era fornita
di armi e quindi, come osserva Aristotile, poteva prendere parte
alle cariche pubbliche. Questo progetto di costituzione ideale
d'Ippodamo è ricordato da Aristotile nel libro II, capitolo V
della Politica. Nel capitolo precedente Aristotile parla di un altro
tipo di costituzione ideale proposto da Falca di Calcedonia, nel
quale si proponeva la ripartizione uguale dei beni immobili fra i
cittadini; lo Stagirita con molto buon senso dimostra la
difficoltà di applicare, e sopratutto di mantenere integra,
una simile misura.
374 Vedi Politica, libro IV, capitolo IV. Aristotile aggiunge
che è necessario che i cittadini si possano conoscere tutti
scambievolmente, perchè possano giudicare delle loro
reciproche attitudini nell'esercitare le cariche pubbliche, e che
ciò riesce impossibile se la cittadinanza è troppo
numerosa.
375 Nel libro II, capitolo VI della Politica si afferma che
Sparta non poteva omai armare più di mille combattenti, ma
probabilmente la cifra è troppo esigua. Lo stesso autore
ammette che in epoche anteriori Sparta poteva avere circa diecimila
cittadini. È superfluo far rilevare che il numero dei
combattenti dovea sempre essere inferiore a quello dei cittadini.
Quanto ad Atene il Beloch ammette che nel 431, allo scoppiare della
guerra del Peloponneso, epoca della sua massima prosperità,
il numero dei cittadini abbia potuto raggiungere i 45.000,
comprendendovi i cleruchi, coloni ateniesi che abitavano in altre
città. "Vedi Biblioteca di Storia economica". Vol. IV, pag.
129.
376 Come accadde ad Atene dopo la battaglia di Egospotamos ed a
Sparta dopo quella di Leuttra.
377 Difatti nel Vecchio Testamento gli Ebrei sono considerati
come caduti in servitù quando sono sottomessi dagli Amaleciti
o dai Filistei, o quando vengono da Nabucco trapiantati in
Babilonia, ma non già quando hanno un re nazionale, sebbene
il governo duro ed arbitrario dei Re sia assai bene descritto da
Samuele agli anziani d'Israele nel libro dei Giudici.
378 Ci sono nella storia romana accenni all'esistenza della
carica regia presso gli Etruschi ed i Latini all'epoca in cui Roma
aveva ancora dei re o li aveva cacciati da poco, e basterebbe in
proposito ricordare l'esempio di Porsena. Pare che Veio avesse
ancora un re quando fu conquistata dai Romani nel 395 avanti Cristo.
Però quando Roma conquistò tutti i popoli italici
sembra che la regalità fosse stata già fra essi
dappertutto abolita.
379 Si sa che i diritti del cittadino perfetto (optimi juris)
erano il jus commercii, il jus connubii, il jus suffragii ed il jus
honorum. Col primo si otteneva il godimento di tutti i diritti
privati del cittadino romano, col secondo quello di contrarre nozze
regolari con un cittadino od una cittadina romana, col terzo quello
di partecipare ai comizi e col quarto quello di conseguire le
cariche pubbliche. Generalmente i due primi si concedevano con
maggiore facilità, ma essi servivano ordinariamente di
preparazione alla concessione degli altri.
380 Vedi Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani. Torino, ed.
Bocca. Vol. III, Cap. III, pag. 193.
381 Urbem fecisti quod prius orbis erat, cantava nel principio
del quinto secolo dopo Cristo Rutilio Numaziano. Lo stesso concetto
esprime il contemporaneo Claudiano nel suo carme In secundum
consulatum Stiliconis, nei versi che vanno dal centocinquanta al
centosessanta.
382 Una riforma democratica dei comizi centuriati, in modo da
togliere in essi la preponderanza delle classi più agiate, fu
certamente attuata nel periodo che corre dal 241 al 218 avanti
Cristo, cioè fra la fine della prima ed il principio della
seconda guerra punica. L'equiparazione delle leggi votate dai comizi
centuriati ai plebisciti votati da quelli tributi, nei quali il
numero prevaleva decisamente sul censo, sarebbe stata fatta da una
legge Ortensia del 286 avanti Cristo, ma su questo punto i
competenti fanno delle riserve. Del resto sul diritto pubblico
romano esistono ancora molte incertezze, forse anche perchè
noi vogliamo trovare in esso quella rigorosa delimitazione delle
attribuzioni fra i vari organi dello Stato alla quale siamo abituati
nelle Costituzioni moderne. Vedi in proposito Pacchioni, Corso di
diritto romano, Torino, Unione Tipografica, 1918. Volume I, Periodo
II. Capitolo IV.
383 Vedi De Sanctis, opera citata, Voi. III, cap. IV, pagg.
344-346. L'A. dimostra come i pochi centurioni che a quell'epoca
arrivarono fino al grado di tribuni si ha ragione di credere che
avessero raggiunto il censo equestre.
384 Vedi Ferrero, Grandezza e decadenza di Roma, vol. I, pag.
112.
385 Il trinundinum, che dovea intercedere fra la convocazione e
la riunione dei comizi, da alcuni autori viene calcolato di
ventiquattro giorni, da altri di diciassette, ad ogni modo era
sempre un periodo abbastanza lungo perchè si moltiplicassero
i casi di urgenza ai quali dovea provvedere il Senato.
386 Il censo dell'anno 28 avanti Cristo (tre anni dopo la
battaglia di Azio) dava la cifra di 4.164.000 cittadini, quello
dell'anno 8 avanti Cristo ne contava 4.233.000, l'ultimo di cui
abbiamo notizia del 48 dopo Cristo, sotto l'imperatore Claudio, ne
contava 5.894.012. Siccome non erano compresi nel censo le donne ed
i maschi inferiori ai 17 anni, così la prima cifra
corrispondeva già ad una popolazione di circa quattordici o
quindici milioni di persone, assai più di quanto ne poteva
contenere allora l'Italia, se teniamo conto pure degli schiavi e
degli stranieri domiciliati. Vedi Marquardt, De l'organisation
financière chez les Romains, Paris, Thorin, ed. 1888, 2a
parte, pag. 337 in nota.
387 Le leggi approvate dai comizi sono ancora importanti e
numerose sotto Augusto, diminuiscono in seguito e sono gradatamente
sostituite dai senatus consulta e poi dalle costituzioni imperiali.
L'ultima legge approvata dai comizi che si ricordi è la lex
agraria fatta sotto l'imperatore Nerva (96-98 dopo Cristo). Vedi
Pacchioni, opera citata, Periodo quarto, cap. 9, 10 ed 11.
388 La trasformazione dell'antico Stato città romano in
un impero burocratico è stata oggetto degli studi profondi di
molti storici e giuristi. Ricorderemo fra gli altri Pacchioni, opera
citata, voi. I, periodo IV; Hartmann, La rovina del mondo antico,
trad. di Gino Luzzatto, Torino, Roux e Viarengo; Guglielmo Ferrero,
Grandezza e decadenza di Roma, Milano, Treves, specialmente nel
volume IV; Bryce, Il sacro romano impero, traduttore Balzani,
Napoli, Vallardi editore.
389 Vedi Pacchioni, opera citata, Periodo IV, capitolo IX.
390 Pacchioni nell'opera citata (Periodo IV, capitolo XI)
sostiene con validi argomenti che i giureconsulti giustinianei
abbiano dato al famoso e noto passo di Ulpiano quod principi placuit
legis habet vigorem una interpretazione estensiva che in principio
non aveva. Ad ogni modo anche essi rendevano, per dir così,
omaggio al principio della sovranità popolare, riconoscendo
che il popolo avea delegato al principe la facoltà
legislativa in virtù della lex regia de imperio.
391 Interessantissimi sono in proposito i recenti lavori di
Guglielmo Ferrero intitolati: La ruine de la civilisation antique, e
pubblicati nella “Revue des deux mondes” del 15 settembre 1919, del
15 settembre e 1° giugno 1920 e del 15 febbraio 1921.
Ripubblicati poi in volume a Parigi, librairie Plon, 1921.
392 Come si sa, il corpo dei decurioni, costituito dai maggiori
censiti e che esercitava funzioni abbastanza analoghe a quelle dei
nostri Consigli comunali, era pure incaricato della riscossione
delle imposte dirette e, nel caso che la città non potesse
pagare interamente la quota assegnata, i decurioni doveano supplirvi
coi loro beni privati. Perciò la carica di decurione, prima
ambita come segno di distinzione sociale, diventò aborrita e
tutti cercavano di sottrarvisi.
393 È ricordato dagli storici un certo Bulla, che per
lungo tempo scorazzò per l'Italia a capo di una masnada di
seicento briganti; in Gallia durò molto a lungo il
brigantaggio dei contadini rivoltati, che si dicevano Bagaudi. Del
resto, per vedere quanto il brigantaggio fosse allora diffuso, basta
leggere uno dei pochi romanzi che l'antichità classica ci ha
lasciato, cioè l'Asino d'oro di Apuleio.
394 Certo il Cristianesimo neppure nel quinto secolo era
talmente penetrato nelle plebi campagnuole da rendere disusati
l'aborto procurato e l'esposizione dei neonati, la quale era
così comune nell'antichità che il riconoscimento di un
esposto è uno degli intrecci più comuni del teatro
antico.
395 Si sa ad esempio che, quando l'imperatore Valente
consentì che i Goti passassero il Danubio e si stabilissero
nelle terre dell'impero, i funzionari incaricati di distribuire loro
dei viveri e togliere le armi, corrotti dai doni, lasciarono loro le
armi e nello stesso tempo si appropriarono di buona parte dei
viveri. È inoltre molto istruttiva in proposito la relazione
di una inchiesta, avvenuta in Tripolitania verso la fine del quarto
secolo e riferita in tutti i suoi particolari da Ammiano Marcellino
noi libro XXVIII capo 6°, paragrafo 5°, della sua storia.
396 Vedi Mosca, Teorica dei Governi, capitolo II, paragrafo VI,
pag. 87. Torino, Loescher, 1884. È forse opportuno ricordare
che, verso la fine del quarto secolo e nella prima metà del
quinto, mentre l'impero d'occidente crollava, abbiamo nella Chiesa
una pleiade di uomini superiori, sant'Ambrogio, san Girolamo,
sant'Agostino, san Paolino da Nola, Paolo Orosio, Salviano, ecc.,
mentre, ad eccezione di Teodosio e dello sventurato Magioriano, uno
degli ultimi imperatori d'occidente, quasi nessun uomo di carattere
e di mente elevata di origine romana si dedica al servizio dello
Stato. È caratteristico in proposito l'aneddoto narrato da
sant'Agostino, di quel Pontitianus, che, mentre l'imperatore
è al circo, con altri tre ufficiali del seguito imperiale va
a passeggiare nei giardini vicino le mura di Treviri, durante la
passeggiata entrano in un monastero e leggono la vita di
sant'Antonio scritta da Atanasio arcivescovo di Alessandria, e la
lettura ha tale effetto che essi abbandonano immediatamente il
servizio imperiale e si danno alla Chiesa.
397 Vedi Giacomo Bryce, Il sacro romano impero. Traduzione di
Ugo Balzani, Napoli, Vallardi. 1886, cap. VII, pag. 84.
398 Sotto Enrico III di Franconia il potere imperiale e regale
raggiunse in Germania il massimo della sua efficacia; difatti egli
potè per lungo tempo far rimanere inoccupati parecchi dei
principali ducati, o farli occupare da parenti della casa regnante,
e ritenere sotto il suo diretto dominio il ducato di Franconia e,
per un certo tempo, anche quello di Svevia. Inoltre l'imperatore
aveva il diritto esclusivo di nominare i titolari dei grandi feudi
ecclesiastici, vescovati ed abbazie, i quali non erano ereditari e
comprendevano quasi la metà del territorio tedesco. La morte
immatura di Enrico III e poi la minore età e la debolezza di
Enrico IV e le sue lotte col Papato permisero all'alta
nobiltà tedesca di riguadagnare il terreno perduto. Vedi
Bryce, opera citata, capitolo IX.
399 Si sa che i baroni aragonesi adunati invitando il nuovo re
a giurare che avrebbe conservati gli antichi patti prima di
enumerarli dicevano: “noi di cui ciascuno vale quanto voi, e che
tutti uniti vagliamo più di voi, vi nominiamo nostro re a
queste condizioni”, e che, enumerate le condizioni, conchiudevano:
“e se no, no”.
400 Il processo di trasformazione della monarchia feudale in
monarchia assoluta burocratica, che abbiamo sommariamente descritto,
è quello che si potrebbe chiamare tipico o normale e che ebbe
luogo in Francia ed in parecchi paesi d'Europa. Però ce ne
furono altri che condussero, o che avrebbero condotto, allo stesso
risultato. Ad esempio nella valle del Po il comune di Milano,
trasformato prima in signoria e poi in ducato, sottomettendo molti
altri comuni avea acquistato, nella prima metà del secolo
decimoquinto, un territorio così vasto che avrebbe potuto
benissimo diventare un reame. Altrove furono dei grandi feudatari
che allargarono tanto i loro domini da trasformarli in regni, e
questo fu precisamente il caso dei marchesi di Brandeburgo, che
diventarono re di Prussia, e dei duchi di Savoia che diventarono re
di Sardegna.
401 Vedi in proposito nel capitolo precedente, nella nota a
pagina 357, [nota 360 di questa edizione elettronica] quanto
è detto relativamente all'influenza che la trasformazione
dell'armamento ebbe nelle vicende politiche della città
ellenica nel settimo e sesto secolo avanti l'êra volgare. Si
può aggiungere che anche nel Giappone il prevalere
dell'accentramento monarchico sulla feudalità, che ebbe luogo
alla fine del secolo decimosesto ed agli inizi del decimosettimo per
opera degli Shogun della famiglia Tokugava, fu di pochi anni
posteriore all'introduzione delle armi da fuoco, fatte conoscere in
quei paesi dai Portoghesi. Vedi De La Mazelliere, Le Japon, volume
3°, capitolo 2°. Paris, Librairie Plon, 1907.
402 La perdita degli antichi diritti sovrani e la
necessità di stare vicino alle Corti, per brigare ed ottenere
impieghi lucrosi, indussero molte famiglie nobili ad abbandonare le
loro terre per stabilirsi nelle capitali. L'allontanamento, come
quasi sempre accade, fece sì che esse dovessero affittare, o
anche vendere, in parte le loro proprietà rurali, e dagli
affittuari o dai nuovi proprietari sorse la borghesia rurale.
403 È opportuno ricordare che il diritto divino, come lo
intendeva Bossuet alla fine del secolo decimosettimo, cioè
che i popoli non potessero mai ribellarsi ai principi, anche
malvagi, e che questi dovessero render conto del modo come
esercitavano il potere soltanto a Dio, non fu mai ammesso dagli
scrittori medioevali nè da quelli posteriori fino al
seicento. San Tommaso, ad esempio, nella Summa in certi casi
giustificava la ribellione ed ammetteva che i popoli potessero
scegliersi la forma di regime politico che credevano più
conveniente, e manifestava anzi la sua preferenza per un governo
misto, nel quale le tre forme della classificazione aristotelica,
cioè la monarchica, l'aristocratica e la democratica fossero
fuse e contemperate.
404 Basta avere una certa dimestichezza con gli scrittori
politici medioevali, e anche con quelli posteriori del cinquecento e
del principio del seicento, per comprendere come essi adattassero il
concetto di sovranità popolare, ereditato dalla classica
antichità, alle condizioni della società nella quale
vivevano. Perciò quando San Tommaso, Marsilio da Padova,
Umberto Languet, Buchanan, Althusius, ecc. parlano del popolo, essi
pensano sempre che questo sia legittimamente rappresentato dai suoi
capi naturali, ossia dai baroni e dai capi delle corporazioni e dei
Comuni, che essi chiamano in vario modo, ossia selecti, ephori, ecc.
L'idea che tutti i singoli individui dovevano avere una parte uguale
nell'esercizio della sovranità non potea nascere se non dopo
che l'assolutismo burocratico ebbe frantumato gli antichi
conglomerati umani e distrutto ogni potere sovrano intermedio fra lo
Stato e l'individuo. Il Ruffini in una sua recente pubblicazione
(vedi Guerra e riforme costituzionali, nell'“Annuario
dell'Università di Torino”, del 1920 a pag. 22), ha sostenuto
che Marsilio di Padova intendeva la sovranità popolare alla
moderna, cioè come quella della maggioranza numerica dei
consociati; non crediamo che sia il momento ed il luogo di aprire
una discussione in proposito, ma, malgrado la grande autorità
dello scrittore, non dividiamo la sua opinione.
405 Vedi Mosca, Appunti di diritto costituzionale,
Società editrice libraria, Milano, 1921, cap. V, pagine 30 e
31.
406 Vedi Giovanni Botero, Relazioni universali, edizione
veneziana Bertani del 1671. Parte 2a libro 1°, pag. 257. Come si
sa, le Relazioni universali sono un trattato di geografia fisica e
politica, maravigliosamente esatto per l'epoca in cui fu scritto. Il
Botero evidentemente attingeva le sue notizie sui vari paesi ad
ottime fonti e sapeva distinguere quali fossero a preferenza le
notizie che importava di conoscere e di comunicare al lettore.
Difatti lo stesso autore rileva anche, a pagina 260 della stessa
opera, come i grandi baroni inglesi, a differenza di quelli
francesi, avevano già perduto ogni importanza politica,
perchè non esercitavano più alcuna giurisdizione,
nè avevano più castelli fortificati. Del resto la
preponderanza della Corte e della Corona nell'Inghilterra del secolo
XVI è generalmente ammessa, ed è provata dal fatto che
tutti i mutamenti religiosi, che vi ebbero luogo durante
quell'epoca, si compirono per iniziativa dei Re e delle due regine
Maria ed Elisabetta Tudor.
407 Il sistema di affidare molte cariche locali amministrative
e giudiziarie a funzionari scelti dalla Corona fra i notabili del
luogo costituì ciò che gli Inglesi chiamarono il
self-government e fu una delle cause principali del prevalere del
Parlamento sulla Corona. A cominciare dalla grande riforma
amministrativa del 1834 le attribuzioni dei funzionari onorari
furono prima diminuite e poi gradatamente abolite e ad essi si
sostituirono i consigli elettivi e la burocrazia stipendiata. Questa
trasformazione si potè considerare come compiuta nel 1894.
Vedi Bertolini, Il governo locale inglese, Torino, Bocca, 1899.
408 Si sa che Carlo I alle milizie ribelli delle città
non potè contrapporre che quelle delle campagne, guidate dai
così detti cavalieri. Perdette la guerra per i suoi
tentennamenti e perchè si trovò di fronte un uomo di
genio, Oliviero Cromwell, che per il primo seppe costituire in
Inghilterra un vero esercito stanziale, sul quale appoggiandosi
instaurò poi la dittatura militare. Appena avvenuta la
restaurazione degli Stuard con Carlo II quest'esercito fu sciolto.
Vedi Mosca, Appunti di diritto costituzionale, pagine 45 e seguenti.
409 Questa disposizione fondamentale, che rese possibile la
trasformazione avvenuta in tanti Stati europei della monarchia
assoluta in monarchia rappresentativa, è contenuta nel quarto
comma dell'Atto di stabilimento. Il Consiglio privato era un corpo
consultivo di alti funzionari, che assisteva il Re nell'esercizio
del potere esecutivo. Verso la fine del secolo decimosettimo le
adunanze del Consiglio privato cominciarono ad essere tenute
prò forma, e poi ad andare in disuso, perchè era
troppo numeroso, ed esse furono sostituite da quelle dei membri
più influenti del consiglio stesso, che costituirono
ciò che poi fu chiamato il Gabinetto. Vedi Mosca, opera
citata, pagine 55 e 56.
410 La censura preventiva era stata di fatto abolita in
Inghilterra nel 1694 ma la legislazione repressiva dei reati di
stampa continuò ad essere molto severa fino allo scorcio del
secolo XVIII. Diventò assai più mite dopo una legge
proposta dal Fox ed approvata nel 1778.
411 Lo Stato rappresentativo moderno naturalmente presenta
diverse varietà o sottotipi a seconda dei vari paesi che
l'hanno adottato: ad esempio uno di essi sarebbe quello monarchico
costituzionale, che vigeva in Germania fino al 1918, nel quale il
potere esecutivo non emanava dalla maggioranza della Camera
elettiva; un altro, quello monarchico parlamentare, che vige in
Inghilterra, nel Belgio ed in Italia, dove i Ministeri cadono quando
perdono la maggioranza nella Camera elettiva; inoltre vi è
quello repubblicano parlamentare, che è in vigore in Francia,
e quello repubblicano presidenziale degli Stati Uniti d'America, nel
quale il Presidente è nello stesso tempo capo dello Stato e
capo del Governo. Abbiamo adottato l'espressione di Stato
rappresentativo moderno, perchè con essa si possono
collettivamente indicare tutte le varietà che questa forma di
regime politico può presentare.
412 La preponderanza assoluta degli Stati di civiltà
europea rispetto a quelli di civiltà asiatica si era
già affermata nel mondo al principio del secolo decimottavo,
quando la Turchia, che fino all'assedio di Vienna, avvenuto nel
1683, non aveva perduto la sua forza offensiva, cominciò a
manifestare la sua debolezza rispetto al resto dell'Europa. La
conquista dell'India fu fatta dagli Inglesi nella seconda
metà del secolo decimottavo, ed avrebbe forse potuto esser
fatta dai Francesi se questi avessero capito a tempo l'importanza
della partita che colà si giocava. La preponderanza europea
si mantenne inconcussa durante il secolo decimonono, oggi è
già fortemente scossa dopo le vittorie del Giappone sulla
Russia, perchè gli Asiatici cominciano a comprendere che
è loro possibile di adottare l'organizzazione amministrativa
e militare dell'Europa e dell'America e trar profitto dei loro
progressi scientifici conservando il proprio tipo di civiltà.
413 Del fatto che anche in un regime rappresentativo a
suffragio molto largo il potere effettivo resta in mano a piccole
minoranze organizzate, quasi tutte composte di individui provenienti
dalle classi superiori e sopratutto da quelle medie, o che hanno
già acquistato i requisiti delle classi medie, ci siamo
già occupati nella Teorica dei Governi (Torino, Loescher,
1884) ed anche nella prima parte di questo lavoro. Sullo stesso
argomento si potrebbero utilmente consultare altri lavori, fra i
quali quello già citato del Michels, La sociologia del
partito politico nella democrazia moderna, Torino, Unione
Tipografica Ed., 1912, e quello classico dell'Ostrogorski,
intitolato La démocratie et l'organisation des partis
politiques, Paris, Calman-Léwy, 1903.
414 Qualche lettore, che potrà ricordare quanto abbiamo
scritto nella Teorica dei Governi a proposito del governo
parlamentare, avrà forse notato che le nostre idee
sull'argomento si sono abbastanza modificate. Era difficile infatti
che ciò non avvenisse a distanza di trentanove anni, ed i
primi segni di questa modificazione già si erano rivelati
nella prima parte di questo lavoro, che fu pubblicata per la prima
volta alla fine del 1895. In sostanza conserviamo anche oggi integro
il concetto fondamentale della Teorica dei Governi, cioè che
tutte le organizzazioni statali sono costituite da minoranze
organizzate e che per ciò ogni forma di regime politico, la
quale presume di basarsi sulla libera espressione della
volontà della maggioranza, contiene una insanabile menzogna,
che alla lunga ne deve produrre la decadenza. Riconosciamo pure
fondati quasi tutti gli altri appunti fatti allora al governo
parlamentare, ma una maggiore conoscenza della storia ed una
esperienza maggiore della vita ci hanno insegnato a considerarli con
maggiore indulgenza, avendo constatato come sia impossibile che
esista una forma di organizzazione politica la quale, nel suo
pratico funzionamento, non sia inquinata dalle immancabili debolezze
morali ed intellettuali della natura umana. Ed oggi ci atterrisce
piuttosto la previsione che ai tipi attuali di organizzazione
politica se ne possano sostituire altri, nei quali le debolezze
accennate avranno un campo d'azione assai più vasto e
potranno agire con efficacia maggiore.
415 Vedi in proposito la Parte prima del presente lavoro a Cap.
V, p. 132.
416 È interessante di rilevare come questa verità
sia stata nettamente percepita da Gian Giacomo Rousseau, il quale
nel Contratto sociale (Libro III, capitolo IV) scrisse: "A prende le
terme dans la rigueur de l'acceptation il n'a jamais existé
de véritable démocratie, et il n'en existerà
jamais. Il est contre l'ordre naturel que le gran nombre gouverne et
que le petit soit gouverné". Questo passo è un esempio
tipico di quella intuizione della necessaria esistenza della classe
politica alla quale abbiamo accennato nella prima pagina della
seconda parte di questo lavoro. Il passo di Rousseau, che abbiamo
ora citato, è ricordato anche dal Michels nel capitolo 3°
della parte seconda del suo libro sulla Sociologia dei partiti
politici.
417 Ricorderemo quanto abbiamo scritto in proposito nell'ultimo
capitolo della prima parte di questo lavoro e che trova ora la sua
conferma in quanto è avvenuto ed avviene in Russia.
418 Questo pericolo è stato già studiato e
segnalato in due nostri articoli che furono pubblicati nel "Corriere
della Sera" del 17 ottobre 1907 e del 27 maggio 1909, l'uno
intitolato Feudalismo funzionale, l'altro Il pericolo dello Stato
moderno. Un altro articolo sullo stesso argomento, intitolato
Feudalismo e Sindacalismo, abbiamo pubblicato nella "Tribuna" del
1° febbraio 1920. Vedi pure in proposito: Mosca, Appunti di
diritto costituzionale. Terza edizione, pagine 164 e 165.
419 Vedi il dialogo delle leggi in Platonis Opera, Parigi,
Firmin Didot editore, volume II, pagina 311. Anche Machiavelli
scrisse nello prime righe del Principe che "tutti gli Stati, tutti i
dominii che hanno avuto ed hanno imperio sopra gli uomini sono stati
e sono repubbliche o principati”, riconoscendo così anche
egli due forme fondamentali di reggimento politico, in una delle
quali i poteri sovrani si esercitano in nome di un individuo, mentre
nell'altra sono esercitati in nome del popolo.
420 Basta ricordare in proposito quel che accadeva nei regimi
indiscutibilmente liberali della Grecia e di Roma ed anche in molti
Comuni medioevali, nei quali cittadini perfetti erano soltanto gli
ascritti alle arti maggiori.
421 Si sa che i primi quattro Califfi furono eletti dalla
comunità musulmana, o, per dire le cose più
esattamente, dai più autorevoli membri di essa, che
presumevano di rappresentarla, ma che poi il califfato
diventò ereditario e restò infeudato in alcune
famiglie. È da notare però che il Sovrano musulmano,
per quanto assoluto, non può cambiare le leggi fondamentali,
che sono contenute nel Corano o desunte dalla tradizione trasmessa
dai più antichi dottori.
422 Nel Messico però i conquistatori spagnuoli trovarono
pure una repubblica, quella di Tlascala, che pare fosse retta da un
Consiglio di capi tribù. Essa si alleò con Cortes e
gli servì di base di operazione nella sua lotta contro
l'impero degli Aztechi. Vedi Antonio de Solis, Storia della
conquista del Messico.
423 I mezzi più efficaci e sicuri d'imporsi sono sempre
stati i soldi e sopratutto i soldati. Perciò nei regimi
autocratici molto spesso il successore del trono è stato
scelto da coloro che disponevano delle casse dello Stato e della
forza armata, e specialmente di quella parte della forza armata che
stava nella capitale a custodia del sovrano, della corte e degli
organi centrali del Governo. Basterebbe ricordare in proposito
quello che fecero i pretoriani a Roma, la guardia turca nel
califfato di Bagdad, gli strelitzi a Mosca fino a Pietro il Grande
ed i giannizzeri a Costantinopoli fino ai primi decenni del secolo
decimonono.
424 Si può ricordare l'influenza che ebbero spesso a
Costantinopoli gli eunuchi che stavano a servizio del Sultano e
quella che essi esercitavano non raramente in China, quando qualche
dinastia era nel periodo della decadenza.
425 Ricordiamo il detto di Luigi XI di Francia: qui nescit
dissimulare nescit regnare. Però un maligno potrebbe pensare
che quel sovrano avrebbe meglio operato se avesse messo in pratica,
come fece, il precetto senza enunciarlo e farlo passare alla storia.
N'ayez jamais d'attachement pour personne, scriveva di proprio pugno
Luigi XIV nelle istruzioni che dava a suo nipote Filippo, che andava
a regnare in Spagna (Vedi Michels, La sociologia del partito
politico, pag. 365).
426 Vedi De la Mazelière, Le Japon, volume VI, libro VI.
Paris, Plon editore, 1907.
427 Vedi De la Mazelière, opera citata, specialmente il
volume II, cap. II. Fra le grandi famiglie accennate le più
celebri furono quelle dei Taira, dei Minamoto, degli Hojo e degli
Ashikaga.
428 Basilio il Macedone, morto nell'ottocento ottantasei, era
figlio di un contadino. Assunto prima, per la sua abilità a
governare i cavalli, come scudiero di uno dei grandi della Corte,
egli, in grazia della sua intelligenza ed energia, riuscì a
diventare prima il favorito e poi il collega dell'imperatore Michele
III, e, quando questi si volle sbarazzare di lui, egli si
sbarazzò dell'imperatore assassinandolo e riuscendo a
sostituirlo. Non tenendo conto delle arti e dei delitti coi quali
era arrivato al trono, si può giudicarlo come uno dei
migliori imperatori che abbia avuto Bisanzio. — Nadir Scià,
figlio di un capo tribù turcomanno, esordì come capo
brigante; dopo varie vicende entrò al servizio di Tamasp
2° Scià di Persia della dinastia dei Sofi, in seguito lo
depose e fece prima proclamare Scià un figlio bambino di
Tamasp, di cui Nadir diventò il tutore; poco dopo fece
uccidere il padre ed il figlio e si fece proclamare Scià nel
1736. Energico ma crudelissimo, rialzò all'estero il
prestigio della Persia e riuscì a prendere Delhi, capitale
dell'impero del Gran Mogol, facendovi, dicesi, un bottino del valore
di due miliardi. Morì alla sua volta assassinato nel 1747.
Tanto Basilio che Scià Nadir avrebbero potuto fornire due
magnifici esempi degni di essere citati da Machiavelli nel Principe
accanto a quelli di Agatocle e di Cesare Borgia.
429 Porteremo in proposito un paragone che la recente guerra
mondiale ha reso facilmente comprensibile. Si sa ora da molti che la
saldezza di un esercito dipende principalmente dal valore
intellettuale e sopratutto morale degli ufficiali che hanno contatto
diretto colle truppe, a cominciare dal colonnello e terminando col
sottotenente. Sicchè se, per un caso impossibile,
scomparissero di un tratto tutti i generali e gli ufficiali di stato
maggiore un esercito subirebbe una scossa gravissima, ma esso
potrebbe restare in piedi e gli scomparsi potrebbero essere,
più o meno bene, in pochi mesi sostituiti, promovendo i
migliori comandanti di reggimento e facendo entrare nello stato
maggiore altri ufficiali fra i più colti. Ma, se scomparisse
di un tratto tutta l'ufficialità che inquadra i soldati,
l'esercito si dissolverebbe prima che fosse possibile di
sostituirla. Ora il primo strato della classe politica corrisponde
ai generali ed allo stato maggiore, il secondo agli ufficiali che
conducono personalmente la truppa di qualunque arma al fuoco.
430 Vedi De la Mazelière, opera citata, volume III,
libro VI. Si sa che dopo che Jeyasu, il quale regnò dal 1598
al 1616, ebbe fondato lo Shogunato dei Tokugava, il potere dei
daimios, o grandi feudatari, fu molto limitato.
431 Vedi Guglielmo Ferrero, Memorie e Confessioni di un sovrano
deposto. Milano. Treves, 1920, pag. 29.
432 Si potrebbe citare in proposito l'esempio della China,
dove, nella seconda metà del secolo decimonono l'alto
mandarinato, composto di persone colte, ma la cui cultura era quella
antica e tradizionale nel paese, si oppose tenacemente ad un nuovo
reclutamento dei funzionari basato sulla conoscenza delle lingue e
delle scienze europee. Viceversa nel Giappone gli uomini che
diressero la grande riforma del 1868 compresero subito la
necessità di apprendere la cultura europea, ma quegli uomini,
benchè quasi tutti provenissero dalla classe dei samurai e
fossero persone colte, non erano letterati e scienziati di
professione.
433 Qualche cosa di simile avviene in certe Camere elettive nei
paesi retti a governo parlamentare, nei quali la frequenza delle
crisi di gabinetto e la difficoltà di comporre i nuovi
Ministeri dipendono, almeno in parte, dal fatto che molto numerosi
sono i deputati che aspirano a diventare ministri o sottosegretari
di Stato. Cosicchè, essendo troppi i candidati, vengono a
scarseggiare i giudici, i quali dovrebbero essere costituiti da
coloro che non hanno alcuna delle aspirazioni accennate.
434 Il Michels nel suo interessantissimo lavoro sulla
Sociologia del partito politico, e specialmente nella parte quarta
del lavoro accennato, studia con molto acume il contributo apportato
alla direzione ed alla organizzazione dei partiti socialisti delle
varie nazioni dagli elementi provenienti dalla borghesia e da quelli
usciti dalla classe operaia e le rivalità e le gare che
spesso avvengono fra queste due frazioni degli stati maggiori
socialisti.
435 Il più antico saggio di eloquenza tribunizia
è quello che Omero, nel canto secondo dell'Iliade, mette in
bocca a Tersite il quale, uso a denigrare tutti i capi, accusa
Agamennone di arricchirsi mercè le fatiche e i pericoli
sopportati dai semplici soldati e di passare il tempo a godersi le
belle schiave, ed incita quindi i Greci ad un vero sciopero
militare, cioè a lasciare solo il loro duce, affinchè
riconosca che tutto deve alle fatiche dei soldati. Come insuperati
modelli di eloquenza tribunizia, nei quali vengono magistralmente
esposti, in modo da suscitare un'eco profonda nel cuore dei
diseredati, tutti gli argomenti che si possono addurre contro coloro
che le ricchezze e le cariche elevate devono alla nascita, si
possono citare il discorso che Sallustio nel capo LXXXV della guerra
giugurtina mette in bocca a Cajo Mario e quello che Machiavelli nel
libro III delle Storie fiorentine fa recitare ad un ignoto popolano
in occasione del tumulto dei Ciompi. I moderni demagoghi restano
quasi sempre assai inferiori a questi classici modelli.
436 Nella Teorica dei governi e nella prima parte di questo
lavoro abbiamo cercato di spiegare come in un sistema
rappresentativo, nel quale gli elettori sono molto più
numerosi dei candidati, gli eletti non possono essere mai il
risultato di una scelta spontanea della grande maggioranza del corpo
elettorale, il quale di fatto non ha che la facoltà di optare
fra i diversi candidati, che sono presentati e sostenuti da piccole
minoranze organizzate, composte dai comitati che dirigono i partiti
politici o da gruppi di grandi elettori. Manteniamo perfettamente
questo punto di vista, aggiungendo che, quando il corpo elettorale
è relativamente colto ed intelligente, può fare la sua
opzione con discernimento, mentre quando è inesperto ed
ignorante diventa necessario di impressionarlo ed attirarlo a
sè con i più grossolani ripieghi. Avviene allora il
fenomeno, al quale abbiamo teste accennato, dell'adattamento delle
classi più colte alla mentalità ed ai pregiudizi di
quelle più incolte.
437 Ormai è notorio che in Russia il regime dei Soviet
ha potuto durare perchè ad esso ha in generale aderito la
piccola borghesia ebraica, certo più attiva ed astuta e forse
anche più intelligente di quella di origine russa; ed
è noto che, durante il passato regime, gli Israeliti erano,
con mille piccole e grandi vessazioni, ostacolati nelle loro
aspirazioni di conseguire i posti elevati. Di fatti il popolino
russo, che vede il lato più appariscente della terribile
crisi che travaglia l'antico impero degli Czar, spesso l'attribuisce
senz'altro alla vendetta degli Ebrei.
438 È notorio che le rivoluzioni e le lunghe guerre
danno a molti uomini nuovi la possibilità di farsi valere.
È stato da molto tempo osservato che, se non vi fosse stata
la rivoluzione francese, Napoleone Bonaparte sarebbe probabilmente
diventato nella sua età matura un buon colonnello
d'artiglieria ed è pure sicuro che, senza le guerre della
rivoluzione e dell'impero, parecchi dei suoi marescialli sarebbero
rimasti semplici sottoufficiali.
439 Il concetto che in uno Stato idealmente organizzato debba
esservi una corrispondenza assoluta fra il servizio reso da un
individuo alla società ed il grado che questi in essa viene
ad occupare, fu per la prima volta nettamente formulato da
Saint-Simon, il quale sotto varia forma vi insiste in molte delle
sue opere. Lo stesso concetto diventò poi uno dei capisaldi
della scuola saint-simonista, che in altri campi molto si
allontanò dalle dottrine del suo Maestro. Vedi in proposito
la raccolta già citata delle opere di Saint-Simon ed Enfantin
e Bernardo Mosca, Il pensiero di Saint-Simon considerato dopo un
secolo, pubblicato nella "Riforma sociale" del 1° gennaio 1922.
440 Wat Tyrel era il capo di una nota ribellione dei contadini
inglesi contro i signori scoppiata nel 1381. Qualche anno prima,
mentre l'insurrezione si preparava, il prete John Ball aveva scritto
i famosi versi tante volte citati:
When Adam delved and Eve span
Who was then the gentleman?
Non occorre ricordare chi fossero i Ciompi e gli Anabattisti.
441 Vedi in proposito Gaetano Mosca, Il principio aristocratico
ed il democratico nel passato e nell'avvenire, pubblicato
nell'"Annuario dell'Università di Torino" del 1902.
442 Forse è opportuno ricordare che Platone, nella sua
Repubblica, propugnava appunto l'abolizione della famiglia quasi
come una conseguenza necessaria di quella della proprietà
privata. Sembra però che egli volesse limitare queste
abolizioni alla classe dirigente composta dai saggi e dai guerrieri
ed inoltre che non avrebbe voluto quello che oggi si chiamerebbe il
libero amore, ma piuttosto unioni temporanee nelle quali la scelta
dei due coniugi momentanei era determinata dai saggi, ed egli
inoltre stabiliva che i figli nati da queste unioni non dovessero
conoscere i loro genitori nè essere da questi conosciuti,
perchè secondo lui lo Stato doveva formare una sola famiglia.
Un sistema analogo è esposto e propugnato nella Città
del Sole di Campanella, che voleva pure abolite la proprietà
privata e la famiglia.
443 Vedi in proposito il lavoro citato sul Principio
aristocratico e democratico nel passato e nell'avvenire.
444 È giusto ricordare che spesso anche coloro che da
umile condizione hanno potuto arrivare ad una situazione elevata si
credono molto superiori al resto dell'umanità.
445 Vedi Miguel de Unamuno, En defensa de la haraganeria nei
"Soliloqui e conversazioni" pag. 153 e seguenti. Ricordiamo di aver
letto in una pubblicazione del Bagehot un pensiero molto simile a
quello dell'Unamuno testè citato; ciò non significa
che lo scrittore spagnuolo, il quale espone e difende la sua tesi
con molto spirito e molta coltura, abbia plagiato quello inglese, ma
piuttosto che è molto difficile di trovare oggi un'idea che
sia completamente nuova.
446 Sarebbe falso ed ingiusto affermare che la passione
disinteressata per il sapere non possa anche trovarsi in individui
nati negli strati più umili della società.
Senonchè bisogna pure tenere presente che le moderne nazioni
civili sono il frutto di una cultura molto antica e che in esse le
classi sociali hanno subito tanti rivolgimenti e tante mescolanze
che non è da maravigliare se qualche volta gli istinti
più aristocratici, ereditati da lontani antenati, si trovano
anche in individui di umile condizione. Una delle applicazioni
più felici della tendenza democratica consisterebbe nel
rendere possibile a questi individui di sviluppare le loro
qualità superiori. Però ciò non è facile
e sopratutto non crediamo che a ciò possa bastare
l'istruzione elementare obbligatoria.
447 La selezione che avviene nelle classi superiori, per la
quale la loro media intellettuale diventa e si mantiene più
alta di quella delle classi inferiori, è stata oggetto di
studi accurati dell'Ammon; il quale, nell'Ordre social (Paris,
Thorin, 1900) e specialmente nei capitoli XX e XXI, giustamente
dà molta importanza al fatto che i matrimoni avvengono quasi
sempre fra individui della stessa classe, sopra tutto per la
ripugnanza che hanno le donne delle classi superiori a sposare
individui di classe e quindi di educazione inferiore alla propria.
A questo proposito è opportuno mettere in evidenza un
apprezzamento inesatto nel quale spesso si incorre a causa dell'uso
europeo della trasmissione del cognome da padre in figlio. Quest'uso
fa sì che il solo antenato in vista sia quello di cui si
porta il cognome, mentre ve ne sono tanti altri che non hanno
fisiologicamente minor diritto ad essere presi in considerazione.
Difatti ogni individuo ha sempre due genitori, l'uno maschio e
l'altro femina, sicchè alla prima generazione si hanno due
antenati, alla seconda quattro, alla terza otto e, rimontando alla
decima generazione, mille e ventiquattro. Perciò il tipo
intellettuale e morale di una famiglia antica è piuttosto da
attribuire alla continuazione degli incrociamenti eugenici,
anzichè al lontano antenato, che ha dato alla generazione
presente la mille e ventiquattresima parte del suo sangue.
448 Raccontano gli storici greci che una volta Dionigi il
vecchio, tiranno di Siracusa, rimproverò aspramente un suo
figliuolo perchè questi aveva rapito la moglie assai bella di
un cittadino e gli fece osservare che egli, quando era giovine, non
aveva mai fatto una cosa simile. — Ma tu non sei nato figliuolo di
un re, obiettò il figlio al padre, e questi di rimando
rispose: — Ed i tuoi figli non saranno re se tu non cambierai i tuoi
diportamenti.
449 Parrebbe a prima vista contrario l'esempio
dell'aristocrazia veneziana, che seppe restare al potere per tanti
secoli ed era un'aristocrazia di commercianti e banchieri. Ma i
nobil'uomini veneziani comandavano anche le navi e le flotte e
qualche volta anche gli eserciti della Serenissima fino alla seconda
metà del secolo decimosettimo. Si divezzarono quasi
completamente dalle armi nel secolo decimottavo, quando la
Repubblica era in piena decadenza.
450 Va da sè che le classi dirigenti, sia democratiche
che aristocratiche, le quali per mantenersi al potere favoriscono
sistematicamente gli interessi dei privati di piccole minoranze
organizzate a spese della collettività, sono sempre le
più costose.
451 Vedi la fine del dialogo citato in principio del capitolo.
452 Vedi la Politica e specialmente il libro III, capitolo III
ed i libri VI e VII.
453 Vedi Polybii, Historiarum reliquiae, libro VI, Parigi,
Firmin Didot, 1859.
454 Afferma infatti nella Summa dopo avere descritto i vari
regimi politici: "Est etiam aliquod regimen ex istis commixtum quod
est optimum: et secundum hoc sumitur lex quam majores natu simul cum
plebe sanxerunt". — Vedi Divi Thomae Aquinatis, Summa theologica,
vol. secundum, quaestio XCV, articulus IV, pag. 681, Tipografia del
Senato, Romae, 1896.
455 Vedi le ultime parti dell'Esprit des Lois.
456 Vedi Fr. Ruffini, La giovinezza del Conte di Cavour,
Torino, Bocca, 1912.
457 Giorgio III regnò dal 1760 al 1820 e si sa che in
questo lungo periodo ebbe parecchi accessi di follia, durante i
quali assunse la reggenza il principe di Galles. La conquista del
Canada, e conseguentemente di tutti i vastissimi territori al nord
degli Stati Uniti d'America e che si estendono dall'Atlantico al
Pacifico, ebbe luogo durante la guerra dei sette anni, cioè
dal 1756 al 1763. La conquista inglese dell'India si può
considerare come seriamente iniziata colla battaglia di Plassey
vinta da Clive nel 1757, ma fu continuata e portata a buon punto
durante tutto lo scorcio del secolo decimottavo ed i primi decenni
del decimonono. Si potrebbe in proposito ricordare che durante il
regno di Giorgio III l'Inghilterra subì la ribellione ed il
distacco dei moderni Stati Uniti d'America, ma è assai dubbio
se li avrebbe potuto lungamente mantenere sotto la sua
sovranità.
458 Per quel che riguarda le riforme compiute da Ivano IV vedi
Waliszewski, Ivan le terrible, e specialmente la parte 3a al
capitolo II. Più note sono le trasformazioni compiute nello
Stato e nella società russa da Pietro il Grande e Caterina
II, le quali sono pure descritte dallo stesso autore nei volumi che
trattano di questi sovrani.
459 L'opera di Filippo re di Macedonia è minutamente
descritta sopratutto dal Grote; vedi Histoire de la Grèce,
traduction de Sadous, volume XVIII, capitolo II.
460 Sopra l'imperatore Magiorano, che resse il cadente impero
romano d'Occidente dal 457 al 461, si può consultare la
interessantissima monografia di Luigi Cantarelli, pubblicata a Roma
a cura della Società romana di storia patria nel 1883. Nella
cennata monografia sono raccolti i brani di tutti gli scrittori
antichi e moderni che trattano di questo valoroso e sfortunato
imperatore.
461 Fra i tanti lavori recentemente pubblicati sull'impero
bizantino, e che l'hanno in gran parte riabilitato, si possono
consultare quelli di Charles Diehl e specialmente l'Histoire de
l'empire Byzantin (Paris, Picard 1919) e Byzance, Grandeur et
décadence (Paris, Flammarion, 1919); come anche il
dettagliatissimo lavoro dello Schlumberger, L'épopée
byzantine à la fin du dixième siècle, Paris,
Hachette, 1896.
462 Oggi l'avere quest'attitudine è diventato un mezzo
di successo assai più efficace di quello che era fino a
qualche secolo fa, purchè si abbia l'amicizia e la protezione
dei quotidiani più diffusi. A dir vero sono più di
quattro secoli che Machiavelli scriveva nel Principe: "ognuno vede
quello che tu pari pochi sentono quel che tu sei",ma oggi parere
è diventato infinitamente più facile, dato che la
grande maggioranza forma il suo giudizio intorno agli uomini
politici, ai letterati ed agli scienziati su quanto ne dicono i
giornali.
463 Si sa che l'Egitto, dopo che Alessandro Magno vi ebbe
distrutto il dominio persiano, formò un regno indipendente
sotto i Tolomei, i quali vi introdussero la cultura ellenica, ed
allora la sua classe dirigente era di origine ellenica od
ellenizzata. Conquistato poi dai Romani ed alla caduta dell'impero
d'occidente governato dai Bizantini, fu durante il quinto e sesto
secolo una delle provincie più turbolente, finchè fu
nel settimo secolo conquistato dagli Arabi ed obbedì prima ai
califfi ommeyadi di Damasco e poi a quelli abassidi di Bagdad. Verso
la metà del decimo secolo ricuperò la sua autonomia
perchè fu conquistato da una dinastia e da un esercito
berbero, provenienti dalla Tunisia, che vi istituirono un califfato
fatimita, il quale ebbe sede al Cairo. Indebolitasi mano a mano la
dinastia berbera e mescolatasi cogli indigeni la popolazione di
origine berbera, fu aggregato verso la fine del dodicesimo secolo
all'impero di Saladino e, dopo la morte di questo sultano, fu quasi
sempre governato da capi di milizie mercenarie di origine straniera,
per lo più circassa, finchè nel secolo decimosesto fu
conquistato dai Turchi. I quali del resto presto tornarono ad
affidarne il governo ai bey dei Mammelucchi, milizia pure di origine
circassa, finchè questi furono prima vinti da Bonaparte e poi
sterminati da Mehemet Alì, il primo Kedivè che era di
origine albanese. Anche oggi in Egitto le famiglie della classe
elevata sono in maggioranza di origine turca, circassa ed albanese.
Quanto all'India sembra accertato che, assai prima delle invasioni
maomettane, abbia subito delle invasioni di barbari del
settentrione, dai quali discenderebbero alcune delle popolazioni
più guerriere, che hanno evitato studiosamente ogni
mescolanza con gli indigeni. Così hanno fatto, ad esempio, i
Radjaputi, che però abbracciarono la religione e la coltura
braminica. Viceversa ciò non potè accadere quando
vennero nel paese i più recenti conquistatori di origine
turca od afgana, che avevano già abbracciato l'Islamismo.
L'ultima conquista turca fu quella capitanata da Baber, che al
principio del secolo decimosesto gettò le fondamenta
dell'impero del Gran Mogol. A dir vero, trattandosi di paese
vastissimo ed in condizioni molto diverse da una contrada all'altra,
è accaduto che anche popolazioni di antica origine indiana e
di cultura braminica, come ad esempio la grande confederazione dei
Mahratti, vi abbiano, in tempi relativamente recenti, fondato Stati
abbastanza vasti e militarmente bene organizzati, ma in sostanza
quasi tutta la grande vallata del Gange e buona parte dell'India
centrale e meridionale erano, quando furono conquistate dagli
Inglesi, governate da sovrani maomettani vi era la classe dominante
in prevalenza di origine straniera.
464 Queste dottrine si trovano, come è noto, già
accennate nel Manifesto dei Comunisti, pubblicato dal marx e
dall'Engels nel 1848; ebbero poi uno sviluppo maggiore nella
Prefazione alla "Critica, dell'Economia politica", pubblicata dal
Marx nel 1859 e finalmente formano in certo modo l'ossatura del
primo volume del Capitale, pubblicato, come si sa, nel 1867,
poichè esse sono saltuariamente enunciate o sottintese
durante tutto lo svolgimento del lavoro. Chi non avesse la pazienza
di leggere o di rileggere le opere del Marx potrebbe consultare in
proposito l'ottimo lavoro di Achille Loria, intitolato Carlo Marx
(Genova, Formigini editore, 1916). Ricorderemo incidentalmente che
parecchie delle idee fondamentali del Marx non sono del tutto
originali, ma si trovano già esposte, certamente con minor
metodo e precisione, nelle pubblicazioni di altri precedenti
scrittori più o meno socialisti, e specialmente, insieme a
molte concezioni mistiche e trascendentali, in quelle di Pietro
Léroux (Vedi in proposito le pubblicazioni di questo
scrittore e specialmente l'Égalité pubblicata nel 1838
e l'Humanité pubblicata nel 1840). Anche per il Léroux
il Comunismo e l'uguaglianza assoluta doveano essere la conchiusione
fatale di tutta l'evoluzione storica dell'umanità; anzi,
secondo lui, il secolo decimonono rappresentava un periodo di
transizione fra un mondo di disuguaglianza, che stava per finire, ed
un mondo di uguaglianza che stava per cominciare.
465 Questa spogliazione e le due disastrose conseguenze morali
ed economiche sono assai bene descritte da Guglielmo Ferrero nel
volume III di Grandezza e decadenza di Roma, intitolato "da Cesare
ad Augusto".
466 Forse il paragone si potrebbe fare con la catastrofe che
ora ha colpito la Russia, che quasi sicuramente avrà durata
ed effetti minori, ma che è stata più intensa,
perchè si è svolta in pochissimi anni. In questo senso
si può considerare come abbastanza esatta un'affermazione di
Guglielmo Ferrero, il quale ha scritto in uno dei suoi articoli
pubblicati nell'Illustration française che la Russia ha in
quattro anni compiuto quel lavorìo di disgregazione sociale
per il quale occorsero alla civiltà antica nell'Occidente
d'Europa quattro secoli.
467 Basta ricordare il gravissimo danno che subì la
media proprietà, dovuto non solo all'inasprimento delle
imposte, ma anche al fatto che i decurioni, i quali nelle
città di provincia costituivano la media borghesia,
rispondevano coi loro beni del recupero integrale dell'imposta che
gravava sull'intiera città.
468 Vedi in proposito la prima parte di questo lavoro al
Capitolo X, paragrafo IX, nel quale abbiamo fatto menzione degli
scrittori comunisti che pubblicarono i loro lavori negli ultimi
decenni del secolo decimottavo e nei primi decenni del decimonono.
469 Ci sia concesso anche qui di ricorrere ad un paragone
materiale, che crediamo calzante, per spiegare meglio il nostro
concetto. Direbbe senza dubbio la verità colui che affermasse
che, se è malato il cervello, l'intiero organismo umano non
si trova più nello stato normale; ma lo stesso si potrebbe
dire dell'apparato digerente, di quello respiratorio e di qualunque
organo essenziale del nostro corpo. Sarebbe perciò un sofisma
concludere che tutte le malattie dipendono dal cervello, o da uno
qualsiasi dei nostri organi principali, mentre è evidente che
il benessere di ogni individuo dipende dal retto funzionamento di
tutti i suoi organi.
470 Vedi in proposito i capitoli II e III della seconda parte
di questo lavoro a pagine 357 e 382.
471 La cennata riforma di Caio Mario fu attuata precisamente
nel 107 avanti Cristo ed aggiungeremo che, pochi anni prima, nel 123
avanti Cristo, Caio Gracco avea fatto approvare una lex militaris,
che metteva a carico dello Stato la spesa per l'equipaggiamento e
l'armamento del soldato, alla quale fino allora questi dovea
provvedere con i propri mezzi; ciò che rese possibile che
nell'esercito entrassero anche i più poveri. Le due riforme
accennate contribuiscono molto a spiegare perchè negli ultimi
sessanta anni della Repubblica i soldati diventarono strumento cieco
in mano dei loro duci, che promettevano e concedevano largizioni e
distribuzioni di terre, spesso confiscate agli avversari politici.
Aggiungeremo che, durante il secondo triumvirato, furono anche
arruolati liberti e schiavi; or lo Stato repubblicano antico non
poteva reggersi se le armi venivano concesse agli infimi strati
della popolazione. Vedi in proposito Ferrero e Barbagallo, Roma
antica. Volume I, a pagine 251 e 272.
472 La storia delle dottrine politiche, abbastanza studiata in
Francia ed in Inghilterra ed anche in Germania e negli Stati Uniti
d'America, è stata quasi del tutto trascurata in Italia, dopo
la pubblicazione fatta, più di mezzo secolo fa, della storia
degli scrittori politici italiani di Giuseppe Ferrari; e ciò
è oltremodo deplorevole, perchè si tratta di un ordine
di studi destinato ad acquistare grande importanza se la scienza
politica, o, come altri l'appellano, la sociologia, deve veramente
diventare una scienza. Difatti, se si segue lo svolgimento del
pensiero politico attraverso le varie epoche storiche, facilmente si
constata che, se i fatti politici contemporanei allo scrittore hanno
grandemente influito nella formazione della sua mentalità e
quindi delle sue teorie, alla loro volta queste teorie, una volta
formulate, hanno potentemente contribuito a formare la
mentalità politica delle generazioni successive e quindi
hanno contribuito a determinare nuovi fatti. Di ciò si
potrebbero facilmente addurre moltissimi esempi ed in fondo è
questo uno dei tanti casi, così frequenti nelle scienze
sociali, nei quali ciò che in origine era un effetto si
tramuta in causa determinante. Su questo argomento si può
anche consultare il lavoro citato sul Principio aristocratico, a
pagina 4.
473 Vedi la parte prima del lavoro e specialmente il Capitolo
VI intitolato: Chiese, partiti e sétte.
474 Anche il Loria ammette che "la tesi dell'accentramento
progressivo della ricchezza presso un numero decrescente di
possessori e del correlativo progressivo immiserimento delle plebi
non è confermata, ma all'opposto è smentita dalle
statistiche più autorevoli del periodo successivo al Marx;
sebbene più avanti faccia rilevare che "la divergenza dei
redditi sia negli ultimi anni enormemente cresciuta e che
l'accentramento bancario e l'impero delle banche sull'industria
(fonte di sperequazioni crescenti nei patrimoni) abbia raggiunto
negli ultimi anni intensità imprevedibili dallo stesso Marx".
Vedi Loria, opera citata a pag. 41 e 42. Aggiungeremo infine che in
questo lavoro non ci è sembrato opportuno di ripetere la
confutazione, già tante volte fatta dagli economisti, degli
errori d'indole puramente economica del Marxismo, dei quali parla
anche nel lavoro citato lo stesso Loria.
475 Aristotele nella Politica, combattendo le teorie comuniste
di Platone, afferma che la proprietà privata è
indispensabile se si vuole che l'individuo produca e provveda quindi
ai bisogni suoi, della famiglia e della città (Vedi Politica,
libro II, specialmente nei capitoli I e II). Identica presso a poco
è la giustificazione che della proprietà privata
dà San Tommaso nella Summa; nè crediamo che ce ne sia
una migliore, perchè essa ci sembra inconfutabile
finchè l'uomo amerà se stesso e la propria famiglia
più di quanto ama gli estranei.
476 Si allude al titolo di un libro molto interessante di
questa egregia scrittrice.
477 È per questa ragione che ci sembra inesatta
l'espressione di èlite adoperata dal Pareto per indicare
quella che noi molti anni prima avevamo denominato classe politica.
478 Non fu colpa di Stolypine se egli prematuramente moriva,
ucciso nel 1911 dalle bombe di fanatici idioti, e se i provvedimenti
da lui presi non ebbero il tempo di produrre i loro effetti.
479 L'accoppiamento che fa Platone fra le qualità
più elevate del carattere e quelle della mente non crediamo
che sia destituito di fondamento. Abbiamo appreso da amici personali
del grande fisico Galileo Ferraris che questi opinava che nessuna
grande scoperta scientifica era possibile quando lo sperimentatore,
anzichè al progresso della scienza pura, mirava ad ottenere
risultati pratici, a strappare cioè alla natura qualche
segreto che rendesse possibile a qualche grande industria di
adottare procedimenti più remunerativi. Ora la massima che
Galileo Ferraris riputava applicabile alle scienze naturali crediamo
che abbia la sua conferma sopratutto in quelle sociali; nelle quali
riesce impossibile di trovare la verità se le qualità
dell'intelligenza non sono integrate da quelle del carattere; se il
pensatore non sa spogliarsi da ogni passione, da ogni interesse, da
ogni timore.
480 Marco Aurelio fu, come è noto, il vero tipo
dell'imperatore filosofo. Egli nacque intanto sui gradini del trono,
era buono ma non era sciocco, e quindi, come rilevasi dai suoi
Pensieri, l'esercizio del potere gli diede in generale un'idea poco
lusinghiera del carattere umano, ed era anche un discreto uomo
d'azione, sicchè guidò personalmente gli eserciti in
parecchie guerre e morì mentre conduceva una campagna sul
Danubio. Ciò malgrado è assai dubbio se la sua
bontà abbia sempre giovato alla cosa pubblica; gli stessi
storici a lui favorevoli gli addebitano a colpa di avere mantenuto
talvolta al governo delle provincie persone indegne, e sotto di lui
la disciplina militare, già egregiamente restaurata da
Trajano, cominciò di nuovo a rallentarsi e si ebbe nell'Asia
una grave insurrezione delle legioni, che proclamarono imperatore
Avidio Cassio; ed il competitore sarebbe stato molto pericoloso se
uno dei suoi centurioni non l'avesse ucciso.
481 Secondo Manzoni, don Ferrante, che era "uomo di studio non
amava nè di comandare nè di obbedire". A dire il vero
il don Ferrante manzoniano non era precisamente un filosofo, un
sapiente, come l'immaginava Platone; ma apparteneva un po' alla
famiglia, perchè "passava di grandi ore nel suo studio",
aveva una biblioteca piena di libri ed impiegava il suo tempo a
leggerli; egli era quindi ciò che ora si direbbe un
intellettuale. Ora le persone che realmente amano molto di meditare
si sanno alle volte assai bene adattare a comandare e ad obbedire,
quando ciò è necessario, ma generalmente non amano
molto nè l'una nè l'altra cosa.
482 Per chi non la ricordasse la formula era: a ciascuno
secondo la sua capacità, ad ogni capacità secondo le
sue opere.
483 Vedi sopratutto in proposito il capitolo I della seconda
parte del presente lavoro.
484 La coesistenza di una giustizia assoluta e di una giustizia
relativa è stata rilevata fin dall'antichità classica,
la quale sapeva distinguere il jus civile, fondato sulla legge, dal
jus naturale, basato sulla ragione e sull'equità naturale
dell'uomo. Si sa, per esempio, che per Seneca la schiavitù
era un istituto conforme al diritto civile, ma contrario a quello
naturale. Che la giustizia relativa varia poi da luogo a luogo e da
un'epoca all'altra è stato pure replicatamente rilevato e
basta il ricordare in proposito i Pensieri di Pascal.
485 Molti che negano, o vorrebbero molto ridurre, la parte che
ha ciò che comunemente chiamasi la fortuna nei successi degli
individui, ed aggiungiamo ora anche delle collettività,
dovrebbero leggere o rileggere i Pensieri del Guicciardini e
specialmente il 30° ed il 31° (Vedi Guicciardini, Ricordi
politici e civili, edizione completa a cura di Giovanni Papini,
edit. Carrabba, a pagina 19). In quest'ultimo è scritto:
“Coloro ancora che attribuendo il tutto alla prudenza ed alla
virtù, escludono quanto possono la potestà della
fortuna, bisogna almeno confessino che importa assai abbattersi o
nascere in tempi che le virtù o qualità per le quali
tu ti stimi siano in pregio”. La verità è che gli
uomini, i quali nella vita non hanno avuto tutto il successo che
speravano, volentieri ne addossano la responsabilità alla
fortuna, e che invece quelli, a riguardo dei quali il successo ha
perfino oltrepassato le loro aspettative, amano attribuirne tutto il
merito a loro stessi.
486 Sulla impossibilità di attuare nel mondo una
giustizia assoluta e sulla necessità che sia osservata una
giustizia relativa ha scritto recentemente pagine molto interessanti
e piene di acute osservazioni Gina Lombroso-Ferrero (Vedi L'Anima
della donna, Bologna, 1920, volume I, libro V). L'egregia scrittrice
sostiene che si raggiungerebbe già un grado elevato di
perfezione sociale se la lotta per arrivare ai posti elevati si
facesse lealmente, secondo quello che Essa chiama “un criterio
conclamato” invece che “secondo criteri inconfessabili”.
487 Renè Worms nella sua Philosophie des sciences
sociales (Paris, Giard et Brière, ed, 1903) tratta
magistralmente la questione relativa alla vecchiaia ed alla morte
dei popoli e conchiude che un'organizzazione politica può
essere immortale. Egli così scrive nel volume III, pag. 305
dell'opera citata: “Sans doute des théoriciens affirment que
les États sont, comme les individus, condamnè
fatalement à disparaìtre un jour ou l'autre. Mais
jusqu'à présent on n'a apporté aucune
épreuve valable de cette prétendue
nécessité et pour notre part nous n'y croyons pas.
Nous estimons au contraire que les peuples ayant la
possibilité de renouveler par la generation leurs
éléments, faculté qui n'ont pas les individus,
peuvent attendre à une véritable immortalité”.
488 Difatti nel Messico e nel Perù, dove le popolazioni
indigene all'arrivo degli Europei praticavano già
l'agricoltura, ed erano perciò molto più numerose,
esse non si sono spente e pare che anche negli Stati Uniti qualche
tribù di Pelli Rosse, che ha saputo adattarsi
all'agricoltura, non accenni a spegnersi.
489 Contro la tesi sostenuta si potrebbe citare l'esempio dei
Bretoni, i quali senza dubbio praticavano già l'agricoltura
quando il loro paese fu invaso dagli Anglo-Sassoni, che in gran
parte lo occuparono. Ma anzitutto la discendenza della popolazione
celtica primitiva sopravvive ancora nel nord della Scozia e nel
Galles, come anche nella Bretagna francese, dove emigrò sotto
la spinta dei Sassoni; ed in secondo luogo se nella più
grande parte della Gran Brettagna i Celti perdettero la loro lingua,
ciò non vuol dire che essi furono sterminati, ma che vennero
piuttosto assorbiti dagli invasori di razza germanica. Infatti,
benchè gli studi di questo genere diano spesso risultati
ambigui ed incerti, sembra che il fondo della popolazione nelle
contee occidentali dell'Inghilterra ed in gran parte della Scozia
sia rimasto celtico.
490 Vedi in proposito quanto è detto nel Capitolo III
della seconda parte di questo lavoro a pagine 375 e 376.
491 Il fatto storico che più ha contribuito a modificare
quel complesso di sentimenti e di credenze, che erano speciali ad
ogni nazione, è stato il sorgere ed il diffondersi delle
religioni mondiali, che mirano ad abbracciare tutta l'umanità
ed a fonderla in una universale fratellanza ed imprimono nei loro
seguaci uno speciale stampo intellettuale e morale. Difatti ad
ognuna delle tre grandi religioni mondiali, cioè al Buddismo,
al Cristianesimo ed all'Islamismo corrispondono tre speciali tipi di
civiltà; ciò che costituisce un altro argomento contro
il materialismo storico.
492 La China cercò di sottrarsi alle influenze europee e
di restare quindi in una immobilità relativa quando
l'imperatore Yung-Cheng, che regnò dal 1723 al 1735,
cacciò i missionari. Il Giappone l'aveva preceduto su questa
via, perchè fin dal 1639 un editto dello Shogun Yemitsu avea,
con pochissime eccezioni e con severissime pene, proibito ogni
commercio con gli stranieri. La China, come si sa, dovette
cominciare ad aprire i suoi porti dopo la guerra detta dell'oppio,
che ebbe coll'Inghilterra e che scoppiò nel 1839, ed il
Giappone dopo che la squadra del commodoro americano Parry
approdò sulle sue coste nel 1853.
493 Un esempio mirabilissimo di adattamento ai contatti
necessari con i popoli stranieri, senza rinunziare a quel complesso
di tradizioni e di sentimenti speciali che costituiscono il nocciolo
dell'anima nazionale, ci è stato dato negli ultimi cinquanta
o sessanta anni dal Giappone, che ha saputo trasformarsi
radicalmente senza dissolversi. Non sarà superfluo ricordare
che esso è stato, durante il periodo accennato, sempre di
fatto governato da una ristretta aristocrazia, che comprendeva gli
uomini più intelligenti del paese, e che non è escluso
il pericolo che, mano mano che certi altri concetti europei
penetreranno negli strati inferiori della popolazione, potrà
anche colà sorgere uno di quei contrasti insanabili fra la
mentalità vecchia e la nuova, che preparano le crisi alle
quali abbiamo accennato.
494 Noi crediamo, ad esempio, che Augusto, Traiano e forse
anche Diocleziano abbiano notevolmente ritardata la dissoluzione
dell'impero romano d'Occidente e che la Francia non si sarebbe
così bene e così prontamente riorganizzata, dopo la
grande rivoluzione, se non avesse avuto alla sua testa Napoleone
Buonaparte. Bisogna tener presente che qualche volta il ritardare
una grande crisi può equivalere ad evitarla per un tempo
molto lungo. La civiltà bizantina, ad esempio, dopo che ebbe
superato la crisi del quinto secolo, che trascinò con
sè l'impero romano d'Occidente, potè vivere ancora per
quasi altri dieci secoli.
495 Sarebbe un violentare le leggi naturali il seminare, ad
esempio, nell'emisfero boreale, il grano in luglio per mieterlo in
gennaio. Basta un po' di riflessione per comprendere che l'uomo, in
qualunque ramo della sua attività, ha potuto domare la natura
solo usando il metodo che abbiamo accennato, e che lo stesso metodo
deve usare se vuole correggere gli effetti della propria natura
politica.
496 Degli altri fattori abbiamo fatto cenno nella prima parte
di questo lavoro dove è detto che “un osservatore calmo e
spassionato, studiando la storia, vede subito che i fatti che hanno
importanza sociale sono determinati in parte da passioni, istinti e
pregiudizi, quasi sempre incoscienti e che quasi mai si rendono
conto dei risultati pratici che avrà la loro azione, in parte
da interessi, che hanno ordinariamente un obbiettivo immediato, ed
in parte finalmente da ciò che gli uomini chiamano il caso
fortuito” (Vedi Parte prima, Capitolo X, paragrafo XIV, nella nota
in fine del paragrafo).
497 Il concetto che fra il secolo decimottavo ed il decimonono
ci sia stata quasi una parentesi, ossia un periodo intermedio di
crisi, si trova già espresso nei famosi versi manzoniani del
Cinque maggio, nei quali, come è noto, il poeta, accennando
all'opera di Napoleone, canta:
Ei si nomò: due secoli
L'un contro l'altro armato
Sommessi a
lui si volsero
Come aspettando il Fato.
Ei fè' silenzio: ed
arbitro
S'assise in mezzo a lor.
498 Le diverse fasi storiche del concetto di sovranità
popolare, che spesso si identifica con quello di libertà
politica, durante il Medio Evo e l'età moderna fino alla
Rivoluzione francese, sono state assai bene esposte nell'opera di
Emilio Crosa, Sulla sovranità popolare. Bocca, editore,
Torino, 1915.
499 Quest'ultimo sistema prevale in America, dove è noto
che la burocrazia non gode di quelle guarentigie di stabilità
che ha conseguito in quasi tutti gli Stati d'Europa, ma essa viene
in generale licenziata e sostituita da elementi nuovi quando cambia
il partito che è al potere. Il sistema americano anche nel
nuovo mondo, insieme a qualche vantaggio, presenta molti
inconvenienti e non si potrebbe adottare in Europa, perchè da
noi si richiede dal pubblico impiegato una preparazione maggiore e
non è relativamente facile, come in America, di procacciarsi
una nuova occupazione quando si è perduta quella che
già si aveva.
500 Ricordiamo in proposito che nell'esercito inglese la
compera dei gradi, grazie alla quale l'ufficialità era quasi
tutta reclutata fra le classi più ricche, fu abolita soltanto
nel 1871 e che in Germania fino al 1914 alcuni reggimenti non
ammettevano nelle loro file ufficiali che non fossero nobili e che
colà fino allo scoppiare della grande guerra gli Israeliti
non potevano di fatto diventare ufficiali.
501 La borghesia europea non ha in generale piena coscienza
della importanza politica dei moderni ordinamenti militari e
perciò in qualche paese europeo non vedrebbe con soverchio
allarme che essi fossero radicalmente modificati, abbreviando
moltissimo la durata del servizio militare e sostituendolo con la
cosidetta educazione premilitare. Durante l'ultima grande guerra
alle volte si abusò talmente delle forze fisiche e morali
dell'uomo che, in quasi tutti gli eserciti europei, vi furono
momenti durante i quali la disciplina s'indebolì e
l'organizzazione militare presentò gravi sintomi di
dissoluzione. Si sa poi che la stoltissima borghesia russa, appena
scoppiata la prima rivoluzione, col famoso prikaz numero uno,
mediante il quale si toglieva agli ufficiali ogni autorità
sui soldati, si affrettò a distruggere il proprio esercito.
In seguito il governo bolscevico ha con molta sapienza creato il suo
esercito, organizzandolo con ferrea disciplina, e si sforza ora in
tutte le maniere di costituire un corpo di ufficiali che, per
educazione ed interessi, sia legato agli attuali dominatori della
Russia.
502 Vedi in proposito Mosca, Appunti di diritto costituzionale,
Terza edizione. Milano, Società editrice libraria, 1921, al
§ 17, pagg. 152 e segg.
503 La migliore e la più gradita delle concessioni
accennate fu il grande miglioramento dei salari effettivi reso
possibile, sopratutto negli ultimi decenni anteriori al 1914, dalla
maggiore produttività dell'industria e dell'agricoltura. A
dir vero, questo miglioramento ha potuto servire anche agli
agitatori, che si sono vantati di averlo strappato alla borghesia,
mercè l'organizzazione dei lavoratori manuali e l'azione dei
loro rappresentanti in Parlamento, nella quale affermazione, come
sanno tutti gli economisti, vi è un poco di vero e molto di
falso; ma certamente le migliorate condizioni economiche hanno reso
in complesso le classi lavoratrici meno proclivi alle azioni
disperate e violenti. Le altre concessioni alle quali abbiamo
accennato concernono la limitazione delle ore di lavoro,
specialmente per quel che riguarda il lavoro delle donne e dei
fanciulli, e le assicurazioni per la vecchiaia, le malattie, la
disoccupazione e gli infortunii sul lavoro. Questi provvedimenti
sono tutti accettabili quando non sono troppo esagerati e quando
l'industria, l'agricoltura e la finanza pubblica hanno la
capacità di sopportarne il carico; benchè quasi sempre
servano a giustificare la creazione di una numerosa burocrazia
ingombrante e fastidiosa.
504 Vedi in proposito quanto abbiamo scritto nella prima parte
di questo lavoro al Capitolo VII nei paragrafi dal primo al sesto.
505 Abbiamo già replicatamente accennato che le
condizioni sociali necessarie per il retto funzionamento del regime
rappresentativo consistono nell'esistenza di una numerosa classe
media la quale, restando al di fuori della burocrazia, ha la
capacità e l'indipendenza economica indispensabili per
realmente partecipare all'esercizio dei pubblici poteri.
506 Si potrebbe osservare che, se i regimi rappresentativi
hanno potuto, durante il secolo decimonono, regolarmente funzionare
nella maggioranza dei paesi che hanno abbracciato la civiltà
europea, ciò è dovuto al fatto che nei detti paesi le
condizioni culturali ed economiche erano tali da permettere che i
cennati sistemi bene funzionassero. Sarebbe questo uno dei tanti
casi nei quali, come abbiamo già accennato, l'effetto diventa
causa e la causa effetto; sicchè, invece di parlare di
effetti e di cause, sarebbe più esatto dire che si tratta
della collaborazione di vari fattori, nei quali l'azione dell'uno
deve essere necessariamente completata da quella dell'altro.
507 Veramente i lavoratori avrebbero potuto, e forse anche
voluto, fornirli anche la China, il Giappone e qualche altro paese
asiatico; ma si sa che la emigrazione gialla non si fonde in una o
due generazioni con la popolazione americana, come fa quella
europea, e che ciò potrebbe nell'avvenire creare un pericolo
del quale gli Stati americani giustamente si preoccupano.
508 Si potrebbe anche a questo proposito ricordare che fino ad
oggi la cultura artistica e scientifica di parecchi grandi paesi
europei, sopratutto per quel che riguarda le scienze storiche e
sociali, è notevolmente superiore a quella dell'America.
509 L'esempio più tipico di questo genere di concessioni
è stata la concessione del massimo di otto ore giornaliere di
lavoro; il quale limite, forse sopportabile in un paese molto ricco,
riesce esiziale in un paese povero. La stoltezza e la codardia delle
classi dirigenti di parecchi paesi europei fece loro accettare
questo limite all'indomani della grande guerra europea, quando i
popoli, oltremodo impoveriti, aveano bisogno urgentissimo di
intensificare il lavoro e la produzione.
510 Vedi la parte prima di questo lavoro al Capitolo X, §
XV. La recente pubblicazione alla quale alludiamo è quella
dell'epistolario fra Marx e Lassalle nel quale a pag. 170 è
riportata la seguente frase del Marx: "Gift infiltrieren wo immer
ist nun ratsam” (È ora consigliabile di infiltrare veleno
dovunque si possa). Vedi Der Briefwechsel zwischen Lassalle und
Marx, herausgegeben von Gustav Mayer, "Deutsche Verlag's Anstalt”,
Stuttgart, 1922. Per maggiori particolari si può consultare
utilmente il lavoro d'imminente pubblicazione di Alessandro Luzio
intitolato Carlo Alberto e Mazzini, Torino, Bocca, 1923.
A questo proposito ricorderemo che uno dei sofismi più comuni
di coloro che fanno propaganda di socialismo consiste nell'affermare
che non sono le dottrine socialiste che producono l'odio di classe,
ma che questo è un naturale effetto delle disuguaglianze e
delle ingiustizie sociali.
Si potrebbe facilmente rispondere che le disuguaglianze e le
ingiustizie sociali ci sono sempre state, mentre l'odio di classe
è stato nel passato molto intermittente e mai forse
così forte come oggi a causa della propaganda socialista. La
verità è che l'uomo non ha il potere di far nascere
nei proprii simili passioni nuove, che siano ad essi ignote, ma ha
quello di sovraeccitare le passioni di cui già esistono i
germi nel cuore umano, e fra queste sono comprese l'odio e
l'invidia. E si sa che uno dei mezzi più facili e comuni per
sovraeccitare le due passioni menzionate consiste nel far credere
che le sofferenze fisiche e morali, da cui tutti sono più o
meno travagliati, siano un effetto dell'altrui malvagità.
511 Ricordiamo in proposito quanto abbiamo scritto al § 11
del Cap. X della prima parte di questo lavoro.
512 Fra le molte descrizioni che se ne sono fatte ricorderemo
quella efficacissima di John-Meynard Keines (vedi Le conseguenze
economiche della pace. Milano, Treves, 1921 e l'opera di Francesco
Saverio Nitti intitolata L'Europa senza pace. Firenze, Bemporad,
1921.
513 Il dissidio fra quei Marxisti che vorrebbero l'attuazione
immediata e violenta del programma, che comunemente viene attribuito
al loro maestro, e quegli altri che ne propugnano l'attuazione lenta
e graduale ha fatto sì che i seguaci del Marxismo, in Italia
ed in altri paesi, si siano negli ultimi anni divisi in due
frazioni. Coloro che aderiscono alla frazione più violenta
hanno preso il nome di Comunisti, gli altri hanno conservato quello
antico di socialisti. Un criterio più scientifico per
distinguere il Socialismo dal Comunismo è quello che abbiamo
accennato nella prima parte del lavoro, secondo il quale nel
Socialismo la retribuzione che la comunità darebbe ad ogni
lavoratore sarebbe in rapporto coll'efficacia dell'opera prestata,
mentre nel Comunismo ogni lavoratore avrebbe una retribuzione
adeguata ai proprii bisogni (vedi Parte Prima, Cap. X, § XI, in
nota). Questo criterio è precisamente quello adottato da
Lenin, il quale afferma che in una prima fase si dovrà
attuare il sistema socialista, ed in una seconda fase, quando la
società si sarà completamente liberata dalle
sopravvivenze della moralità o meglio della immoralità
borghese, quello comunista. Vedi Lenin, Stato e Rivoluzione,
traduzione del prof. G. Sanna, da pagina 102 alla 116. Milano,
Tipografia editrice Avanti, 1920.
514 Naturalmente la previsione che abbiamo fatto relativamente
alla trasformazione della minoranza che ora domina in Russia in una
nuova borghesia parte dal presupposto che colà non debba fra
pochi anni avvenire una controrivoluzione; ciò che non sembra
a dir vero molto probabile, ma che non si può ancora ritenere
come impossibile.
515 Vedi Parte Prima, Capitolo X e specialmente i paragrafi XI,
XII, XIII e XIV.
516 Parecchie persone degnissime di fede ed estranee alle lotte
civili della Russia, perchè di nazionalità straniera,
le quali sono state in Russia durante il trionfo del Bolscevismo, ci
hanno assicurato che i Soviet sono in grande maggioranza costituiti
da elementi allogeni, Ebrei, Lettoni, Armeni, ecc., e che lo stesso
accade fra i funzionari dell'attuale governo russo. Qualcuno ci ha
perfino mostrato qualche documento che suffragava le sue
affermazioni, che sono del resto conformi a quelle che dicono in
proposito i profughi russi. Una famiglia d'Israeliti russi, che non
aveva preso alcuna parte alla rivoluzione, ha detto ad un Italiano
che essa viveva in continuo timore di una controrivoluzione,
perchè, se questa fosse avvenuta, non un Israelita sarebbe
rimasto vivo in tutta la Russia. Un altissimo funzionario
dell'attuale governo russo ha detto ad un altro italiano che ce l'ha
riferito: "il nostro è un governo pessimo, ma se esso cade
non ci sarà più in Russia alcun governo possibile".
Molte cose, che sarebbero oscure, si spiegano agevolmente se si pon
mente alle due ultime affermazioni che abbiamo citato e se ne
traggono le conseguenze.
517 Forse è opportuno ricordare che il regime
burocratico del quale noi ci occupiamo non sarebbe paragonabile a
nessuna delle diverse forme di regime rappresentativo: non a quella
parlamentare, che è in vigore in Inghilterra, in Francia e
normalmente anche in Italia, non a quella presidenziale, che
funziona negli Stati Uniti d'America, e neppure a quella
semplicemente costituzionale, che vi era in Germania fino al 1918.
Ma sarebbe invece una specie di Cesarismo, come quello che si ebbe
in Francia durante il primo impero napoleonico, ed anche, in modo
più temperato, durante il secondo impero fino al 1868;
cioè una forma di governo nella quale il Parlamento aveva una
funzione quasi esclusivamente decorativa. Forse anche il novello
Cesarismo cercherebbe di costituirsi una base legale mercè il
Referendum popolare, ossia i plebisciti, come appunto fecero i due
Cesarismi napoleonici.
518 Crediamo opportuno di avvertire il lettore che una parte
dei concetti svolti in questo paragrafo e nel susseguente furono
già esposti dall'autore in un discorso tenuto alla Camera dei
deputati il 7 marzo 1919 ed in due discorsi tenuti al Senato, l'uno
il 31 marzo 1920 e l'altro il 27 novembre 1922. Ma, siccome i
resoconti parlamentari sono generalmente ben poco letti, ci è
sembrato utile di ripetere, abbreviandola, l'esposizione delle
stesse idee nel presente lavoro. Alcune altre delle idee ora svolte
erano state già abbastanza largamente accennate in quegli
articoli pubblicati in giornali quotidiani che abbiamo ricordato a
pag. 400 del presente lavoro.
519 Può essere opportuno ricordare che il volume al
quale alludiamo è quello sulla Teorica dei Governi e sul
Governo parlamentare che già abbiamo citato.
520 Come si sa in Italia ed in altri paesi vige la
mostruosità giuridica che permette a colui che scrive in un
periodico, quando egli vuole restare anonimo od ignoto, di sfuggire
alla responsabilità penale che viene attribuita al cosidetto
gerente responsabile (Vedi a proposito Appunti di diritto
costituzionale, a pagine 167-168). Quando accenniamo ad una critica
onesta degli atti dei governanti intendiamo alludere anche a quella
critica che si basa sopra un fondamentale dissenso d'idee e di
principii politici, purchè essa non si abbassi fino
all'ingiuria volgare, alla menzogna consapevole e sfacciata ed al
turpiloquio.
521 In Italia si sa che non è stato mai possibile di
fare una legge speciale che disciplini il diritto di associazione,
di maniera che la norma principale e quasi esclusiva, che nello
stesso tempo limita e guarentisce questo diritto, consiste
nell'articolo 251 del Codice penale, che commina la detenzione da
sei a diciotto mesi a coloro che fanno parte di un'associazione, la
quale si propone come scopo l'apologia di un reato, l'incitamento
alla disobbedienza verso la legge, ovvero l'eccitamento all'odio di
classe in modo pericoloso per la pubblica tranquillità. Vede
subito ognuno come quest'apprezzamento possa essere subiettivo, come
oggi possa essere considerato come pericoloso ciò che ieri
era ritenuto innocuo e come lo stesso possa accadere da una
città all'altra dello stesso Stato (Vedi anche in proposito
Mosca, Appunti di diritto costituzionale, terza edizione, da pagina
160 alla 165).
Qualcuno forse rileverà che, fra i mezzi più adatti
per assicurare la durata del regime rappresentativo, non abbiamo
accennato ad una restrizione del suffragio politico. Rispondiamo che
la concessione del suffragio universale fu uno di quegli errori, non
rari nella vita pubblica come nella privata, sui quali non si
può tornare indietro se non commettendo un secondo errore,
che può anche esso avere conseguenze gravi e non facilmente
prevedibili.
Infine faremo notare come un breve periodo durante il quale un
governo forte ed onesto eserciti molti poteri ed abbia molta
autorità può in qualche nazione europea essere
riguardato come opportuno, perchè può contribuire a
preparare quelle condizioni che renderanno possibile, in un prossimo
avvenire, il normale funzionamento del regime rappresentativo. Anche
a Roma, nei migliori tempi della Repubblica, qualche volta si
ricorreva, per brevi periodi, alla dittatura.