Carlo Morandi

 

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di Mauro Moretti

Nacque a Suna, oggi frazione di Verbania, il 6 marzo 1904, da Eugenio Ambrogio, farmacista, e da Maria Carolina Cambieri.

Il padre, che lo stesso Morandi definì «di sinistra » (Delle Piane, 1981, p. 284), morì nel 1938; con la madre, donna di origine popolare e di viva religiosità – «l’angelica Signora Rosetta », presente al momento della precoce scomparsa del figlio (Rota, 1950, p. 173) – mantenne sempre un rapporto profondo.

La sua prima formazione va ricondotta all’ambiente pavese, al quale rimase poi legato nella maturità, come è testimoniato anche da alcune pagine storiche. Sin dalla giovinezza afflitto da problemi fisici, in specie alla vista, ebbe un brillante corso di studi; nel 1921 concluse il liceo classico e si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’ateneo pavese, ottenendo un posto presso il collegio Ghislieri, dove ebbe fra i compagni il socialista Ezio Vanoni e il cattolico, e futuro storico, Mario Bendiscioli.

Cattolico, aderì alla FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) pavese e in quest’ambito, con la collaborazione al periodico Studium, avviò un’intensa attività pubblicistica, modalità di intervento che avrebbe contraddistinto tutta la sua opera di studioso, segnata da una marcata sensibilità per i problemi dell’organizzazione contemporanea del lavoro intellettuale. Durante gli anni universitari, legato a don Cesare Angelini, si occupò molto di letteratura e teatro.

L’orientamento dei suoi studi fu determinato dall’incontro con Antonio Anzilotti, docente a Pavia nel 1922-1923, e poi da quello con Ettore Rota. È stato osservato che «di un vivo interesse politico come avviamento agli studi storici, non sembra lecito parlare per Morandi » (Ragionieri, 1975, p. 672). Tuttavia Anzilotti costituì un tramite retrospettivo con l’esperienza della Voce, che per Morandi fu significativa anche per quel che riguarda le forme dell’azione culturale e gli intenti di pedagogia civile. Inoltre, nell’opera di quei maestri si evidenziavano snodi importanti della storiografia italiana recente, fra studi economici e giuridici, ‘realismo’ vociano e temi e suggestioni di matrice idealistica. Nella prospettiva di cattolicesimo nazionale – e, in senso lato, ‘concordatario’ – entro la quale si muoveva il giovane Morandi, i temi affrontati per la redazione della tesi di laurea (l’intreccio fra dimensione regionale ed europea del movimento nazionale italiano, le sue origini prerivoluzionarie, i nessi fra la storia economica e sociale e gli orientamenti culturali e spirituali) si collocavano all’interno di una più ampia riflessione sulla tradizione nazionale (Una polemica sulla libertà d’Italia a mezzo il Seicento, in Nuova rivista storica, XI, 1927, pp. 99-124, ried. in Scritti storici, I, pp. 112-144), nella quale il motivo risorgimentale della ‘decadenza’ veniva rivisto tanto sul terreno della storia politica e istituzionale quanto su quello della coscienza civile. Fu questo un punto di raccordo fra Morandi e la storiografia crociana; ma furono altri gli autori ai quali Morandi guardò con maggiore continuità fra gli anni Venti e Trenta. Notevole, poi, era lo spazio da lui attribuito nella storia del pensiero politico italiano a una linea moderata che da Vincenzo Cuoco, attraverso Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni, giungeva a Vincenzo Gioberti.

La tesi di laurea, Idee e formazioni politiche in Lombardia dal 1748 al 1814, discussa nel 1925 e pubblicata nella collana della facoltà di Scienze politiche di Pavia (Torino 1927), rimase il suo lavoro più ampio. A differenza di quanto avvenne per Federico Chabod, il Medioevo, come oggetto di studio e fonte di problemi storiografici, svolse un ruolo marginale nel suo itinerario. Morandi è infatti uno dei primi veri e propri ‘modernisti’ italiani, in un momento in cui il riassetto delle istituzioni nazionali di ricerca storica sanciva proprio in quegli anni il superamento dell’antico limite cronologico al 1500 per i progetti di edizioni di fonti della storia italiana.

Dopo la laurea ottenne il premio per il perfezionamento interno nel 1929-1930, oltre ad altri contributi, e intraprese un viaggio di studio a Parigi. Alla storiografia francese guardò con interesse: si pensi all’articolo Problemi storici della Riforma (in Civiltà moderna, I [1929], pp. 668-680, ried. in Scritti storici, I, pp.99-111), nel quale «tradusse, cioè traspose, ampliò, modificò per gli studiosi italiani le esperienze di ricerca del Febvre» (Cantimori, 1971, p. 261), ma anche all’attenzione per le nuove indagini sulla storia della Rivoluzione. Supplente a Pavia, vinse nel 1928 il concorso per la cattedra liceale di storia e filosofia, insegnando per un anno a Taranto prima di rientrare a Pavia. Nel novembre 1930 conseguì la libera docenza in Storia medioevale e moderna, quando era già stato ammesso alla Scuola di storia moderna e contemporanea di Roma, dove entrò all’inizio del 1931.

Il rapporto con Gioacchino Volpe e il sodalizio romano con Chabod e Walter Maturi sono fra gli aspetti più noti della sua biografia. Occorre però rilevare che Morandi mantenne strette relazioni con gli ambienti pavesi e con la facoltà di Scienze politiche. Agli Annali collaborò nel corso degli anni Trenta, con contributi rilevanti su Ruggiero Bonghi, sulla politica nell’età dell’assolutismo, su Luigi XIV. Inoltre dal 1932, e in parallelo con la sua attività romana, tenne a Pavia, per incarico, l’insegnamento di Storia moderna. Il collegamento con personaggi come Arrigo Solmi, le relazioni personali che si riannodarono attorno all’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) a Milano, la possibilità di coltivare interessi sia di natura metodologica – con le discussioni, che rinviano anche a uno sfondo crociano, sulla storia delle dottrine politiche, alle quali Morandi prese parte – sia indirizzati verso la storia delle relazioni internazionali, e dell’espansione coloniale, sono elementi che invitano a non focalizzare l’attenzione solo sull’incontro con Volpe.

Morandi era già in contatto con le imprese che facevano capo a Giovanni Gentile e a Volpe. Nel 1929 consegnò la prima delle 45 voci stese per l’Enciclopedia italiana; nel 1930 apparve a sua cura l’edizione del Della ragion di Stato di Giovanni Botero nella collana di classici del pensiero politico dell’Istituto nazionale fascista di cultura, alle cui riviste – da Leonardo fino a Civiltà fascista – collaborò regolarmente, con scelte, in materia, sempre più prudenti, come mostra l’abbandono della Nuova rivista storica, oggetto nel 1932 di attacchi politici, e il passaggio alla più istituzionale Rivista storica italiana. Il frutto principale dell’alunnato romano fu il volume del 1935 che raccoglieva le Relazioni di ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti (1693-1713), accompagnato da una serie di saggi sulla politica europea fra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, che segnarono un allargamento delle prospettive storiografiche di Morandi, anche nel confronto con l’opera di Friedrich Meinecke e con la tradizione storiografica tedesca. Proprio nel 1935 si avviava il progetto di una storia della politica estera italiana dall’Unità alla Grande guerra, fra Scuola romana, ministero degli Esteri e ISPI, nel quale Morandi sarebbe stato coinvolto per il periodo 1896-1908, progetto irrealizzato, ma che orientò una parte significativa del lavoro svolto fra gli anni Trenta e Quaranta.

Al momento della riapertura delle iscrizioni al Partito nazionale fascista, nel 1932, Morandi chiese la tessera, che gli fu negata a causa, fra l’altro, dei suoi rapporti con Nello Rosselli. Ne seguì un’inchiesta, conclusa positivamente nel 1934. L’incidente dovette avere conseguenze sull’atteggiamento di Morandi, avviandone una fase di deciso avvicinamento al fascismo. Rientrato a Pavia nel 1934, tornò all’insegnamento. Nel giugno 1936 il ministro Cesare Maria De Vecchi lo nominò provveditore agli studi a Piacenza; fu una parentesi, dato che Morandi entrò nella terna dei vincitori del concorso per la cattedra di Storia del Risorgimento bandito dall’Università di Pisa. La prolusione pisana, nel gennaio 1937, fu dedicata a Le origini diplomatiche della guerra libica; Morandi tenne anche per incarico il corso di Storia e politica coloniale.

Erano, quelli, gli anni della riorganizzazione degli istituti storici romani, dello scontro fra De Vecchi e Gentile, di tensioni, interne al regime, fra diverse prospettive di governo della cultura. Legato a Volpe, solidale con Gentile, in debito con De Vecchi, Morandi si mosse all’interno di una rete di relazioni riprese o consolidate, come quelle con Guido Calogero e Delio Cantimori; e da Pisa strinse i propri contatti, anche tramite Ugo Spirito, con Giuseppe Bottai, che divenne per lui un importante interlocutore. Erano, poi, gli anni della svolta in politica estera del fascismo e delle leggi razziali. Se i suoi consensi alla politica imperiale del fascismo e all’impegno in Spagna furono espliciti, meno definibile è l’atteggiamento verso le leggi razziali, ma con tracce che non sembrano condurre nella direzione del dubbio. Il sodalizio con Bottai, che portò Morandi a collaborare con il ministro anche per la politica scolastica, si tradusse soprattutto nella presenza sulla rivista Primato, con scritti storici e culturali, ma anche a sostegno delle ragioni della guerra italiana, specie verso il Mediterraneo, e nella prospettiva del nuovo ordine europeo.

Nella produzione di Morandi, passato alla fine del 1939 sulla cattedra fiorentina di Storia moderna – ma tenne corsi anche presso l’Istituto Cesare Alfieri –, si profilarono temi che avrebbero caratterizzato l’ultima sua stagione di storico; sono del 1936 sia il saggio sulla formazione di Cesare Correnti (in Annali di Scienze politiche, vol. 9, ff. 2-3, pp. 99-133, ried. in Scritti storici, II, pp. 138-176), sia un articolo sui partiti politici nel Risorgimento (in Rassegna storica napoletana, IV, pp. 5-31). Ma ancora nel 1941, scrivendo su Primato delle tendenze storiografiche attuali, Morandi insisteva sull’importanza della storia diplomatica (il suo contributo all’edizione dei documenti diplomatici italiani, per il periodo 1896-1907, sarebbe apparso, postumo, nel 1953, a cura di G. Perticone). Notevole fu la breve vicenda, fra 1941 e 1942, della rivista Popoli, diretta assieme a Chabod, ma che di Morandi porta l’impronta, anche nella ricerca di forme e di linguaggi comunicativi nuovi: impresa editoriale che va collegata all’impegno sul terreno scolastico dopo la riforma Bottai.

Nel luglio 1940 Morandi individuava fra le Lezioni della guerra attuale il diverso esito avuto dal precedente conflitto nella vita dei popoli: «negli uni agì come lievito […] negli altri come stimolo verso un processo di decomposizione » che riguardava le «democrazie occidentali » (Primato, I, 15 luglio 1940, riedito in Scritti storici, 1980, III, p. 311). Delle reali lezioni della guerra Morandi avrebbe preso coscienza tardi, di fronte al fallimento del disegno fascista sul terreno sul quale Morandi si era impegnato, quello di un aggressivo nazionalismo rivendicativo con velleità modernizzatrici. Ancora nel 1943 dava alle stampe un opuscolo, Guerra per l’Europa, nel quale si presentava, nella prospettiva dell’Asse, l’Europa minacciata dalla «pressione delle forze anglosassoni ad ovest e bolsceviche ad est» (Roma 1943, p. 7).

Dopo l’8 settembre Morandi si trasferì con la madre a Barga, dove rimase, pur insegnando a Firenze, per quasi un anno. Con la liberazione di Firenze riprese una intensa attività pubblicistica e scientifica, senza incorrere, a livello accademico, in procedimenti disciplinari, verso i quali avrebbe manifestato, in generale, inquietudine.

Se ci si sottrae al fascino delle formule – dalla ‘redenzione’ al ‘dopoguerra storiografico’ – e si tiene conto, nel valutare documenti e prese di posizione, sia dell’incertezza e dei tempi della cronaca coeva, sia della pluralità degli interlocutori di Morandi, si possono cogliere le tappe di una transizione complessa, all’interno della quale, com’è provato dai testi, un largo riuso di spunti e motivi – si pensi all’europeismo – avveniva all’interno di coordinate generali ridefinite. Su periodici come Il Mondo e, più avanti, Belfagor e Il Ponte, Morandi pubblicò contributi di analisi politica – e va segnalata la valutazione ambivalente del ruolo e della politica sovietica in Europa, fra timori per la spinta espansiva e ammirazione per l’organizzazione economica –, recensioni e saggi storici.

Iscritto al Partito democratico del lavoro e attivo nel movimento federalista europeo, non accettò la candidatura per le elezioni della Costituente. Occupò allora una posizione di rilievo nell’ambito degli studi storici, nell’università e nella Rivista storica italiana. Alcuni fra i suoi scritti principali furono concepiti e realizzati in un punto di snodo fra elaborazione storiografica, impegno didattico e riflessione sul presente. Così fu per i contributi sull’idea dell’unità politica europea e per il corso del 1948-1949 sulle origini della seconda guerra mondiale. Fortunatissima fu poi la breve sintesi su I partiti politici nella storia d’Italia (Firenze 1945) che, nonostante gli squilibri compositivi che la caratterizzavano, divenne un punto di riferimento storiografico anche per ragioni legate a svolgimenti politici nel 1945 ancora indefiniti. La ricerca su un tema a lui caro, quello degli italiani fuori d’Italia (Appunti e documenti per una storia degli Italiani fuori d’Italia (A proposito di alcune note di Antonio Gramsci), in Rivista storica italiana, LXI, 1949, pp. 379-384, ried. in Scritti storici, I, pp. 78-84) si sarebbe incrociata con la pubblicazione delle note gramsciane sugli intellettuali. Sul terreno del magistero si può cogliere la funzione di mediatore, intellettuale e accademico, svolta in un passaggio difficile. Fra gli allievi pisani di Morandi furono Armando Saitta e Arsenio Frugoni, ma anche un politico come Alessandro Natta; fra i fiorentini, Giorgio Spini, Elio Conti, Ernesto Ragionieri, Giovanni Spadolini.

Morì improvvisamente a Firenze il 31 marzo 1950.