Wikipedia
L'espressione rinascita dell'anno Mille designa una fase
storica del Basso Medioevo caratterizzata da una rinnovata
religiosità ma soprattutto da uno sviluppo economico che
comportò cambiamenti evidenti nella vita sociale, tanto da
determinare quello che alcuni storici hanno chiamato "Rinascimento
medievale".
Onde evitare confusioni con l'omonimo movimento culturale del XV
secolo, si è tuttavia preferito chiamare "rinascita" questa
fase di sviluppo culturale collocata intorno al secolo XI.
Una parte della storiografia medievale non contesta il fenomeno
della rinascita dell'anno Mille, ma ne mette in dubbio la
repentinità e ne vede piuttosto «una più lunga
evoluzione che, iniziata nel X secolo, si espande con sicurezza
nella seconda metà dell'XI secolo.»
La fine del mondo
Verso la fine del secolo X le già travagliate vite dei popoli
dell'Occidente vengono investite da un'ondata di superstizioso
terrore causata da racconti popolari basati anche su testi
evangelici. "Mille e non più mille" aveva detto Gesù
secondo la tradizione. Si avvicinava la fine del mondo con il
Giudizio universale. Così era scritto nell'Apocalisse:
«Dopo Mille anni Satana sarà disciolto.»
Nuove energie, ma non diaboliche, infatti prorompono intorno al
Mille in tutta l'Europa occidentale, dalle rive del Mare del Nord
alla pianura del Po, nelle valli degli Appennini. Il mondo non
finisce; sta invece rinascendo a nuova vita liberando quelle forze
che erano andate lentamente maturando nel corso dei secoli
barbarici.
È l'inizio di quella espansione dell'Occidente che
spingerà i popoli tedeschi con i loro pesanti aratri alla
ricerca di nuove terre da dissodare ad Oriente (Drang nach Osten)
«L'espansione germanica verso est assume le forme più
diverse: ora pacifica messa in valore di terre incolte, ora
insediamento di mercanti o coloni grazie a privilegi pacificamente
ottenuti, ora azione violenta di conquista, spesso mascherata dietro
pretesti religiosi. Gli ordini monastici vi giocano una parte di
primo piano.»
«La colonizzazione di questa pianura settentrionale fu forse
la principale impresa dei popoli germanici durante il Medioevo […]
Nulla è più importante nella storia germanica di
questa immensa e secolare migrazione, di questa mobile frontiera di
gagliarde famiglie campagnole che avanzano costanti verso oriente,
abbattendo foreste, bonificando terreni, prosciugando paludi.»
I popoli slavi dovettero ritirarsi di fronte a questa massiccia
ondata migratoria abbandonando le terre vicine al fiume Elba e
spingendosi sino al fiume Oder. Nel loro territorio s'insediarono
stabilmente nel secolo XIII gli ordini monastici cavallereschi dei
Cavalieri Teutonici e dei Portaspada.
L'espansione della "fede"
Urbano II bandisce la crociata (1095)
« Popolo dei Franchi, popolo d'oltre i monti, popolo eletto ed
amato da Dio, distinto da tutte le nazioni sia per il sito del
vostro paese che per l'osservanza della fede cattolica e per l'onore
prestato alla Santa Chiesa, a voi si rivolge il nostro discorso e la
nostra esortazione... Da Gerusalemme e da Costantinopoli è
pervenuta e più di una volta è giunta a noi una
dolorosa notizia: i Persiani, gente tanto diversa da noi, popolo
affatto alieno da Dio, ha invaso le terre di quei cristiani, le ha
devastate col ferro, con la rapina e col fuoco e ne ha in parte
condotti prigionieri gli abitanti nel proprio paese, parte ne ha
uccisi con miserevole strage, e le chiese di Dio o ha distrutte
dalle fondamenta o ha adibite al culto della propria religione[…] A
chi dunque incombe l'onere di trarre vendetta e di riconquistarlo
[il regno dei Greci] se non a voi cui più che a tutte le
altre genti Dio concesse insigne gloria nelle armi, grandezza
d'animo, agilità di membra, potenza d'umiliare sino in fondo
coloro che vi resistono? Vi muovano e incitino gli animi vostri ad
azioni virili, le gesta dei vostri antenati, la probità e la
grandezza del vostro re Carlo Magno e di Ludovico suo figlio e degli
altri vostri sovrani che distrussero i regni dei pagani e ad essi
allargarono i confini della Chiesa. Soprattutto vi sproni il Santo
Sepolcro del Signore Salvatore nostro, ch'è in mano d'una
gente immonda, e i luoghi santi, che ora sono da essa
vergognosamente posseduti e irriverentemente insozzati dalla sua
immondezza […] Non vi trattenga il pensiero di alcuna
proprietà, nessuna cura delle cose domestiche, ché
questa terra è fatta angusta dalla vostra moltitudine,
né è esuberante di ricchezza e appena somministra di
che vivere a chi la coltiva. Perciò vi offendete e vi
osteggiate a vicenda, vi fate guerra e tanto spesso vi uccidete tra
voi. Cessino dunque i vostri odi intestini, tacciano le contese, si
plachino le guerre e si acquieti ogni dissenso ed ogni inimicizia.
Prendete la via del Santo Sepolcro, strappate quella terra a quella
gente scellerata e sottomettetela a voi: essa da Dio fu data in
possessione ai figli di Israele; come dice la Scrittura, in essa
scorrono latte e miele. »
Saranno queste nuove forze espansive che faranno arrivare un popolo
del Nord, forte e guerriero, di abili marinai che dalla penisola
scandinava e dallo Jutland si sposteranno verso Oriente ed Occidente
per poi s'insediarsi nella terra che si chiamerà da loro
Normandia e nelle fertili terre pugliesi e siciliane, che faranno
sognare ai Crociati (definiti Franchi dai musulmani del Vicino
Oriente) le terre e le ricchezze, che il papa promette loro insieme
alla salvezza delle anime. Le crociate, una sorta di pellegrinaggio
armato diretto ad aiutare i "fratelli d'Oriente" in cambio del
ritorno della Chiesa d'Oriente nel seno della Santa Romana Chiesa,
ma anche una valvola di sfogo alla cristianità della giovane
Europa gonfia di violente energie che rivolgeva contro se stessa.
«A una sola condizione si poteva imporre la pace cristiana a
un'Europa siffatta, che cioè le si offrisse in cambio
un'altra guerra, meglio la sua unica guerra.» nella quale
avrebbero trovato sfogo le energie compresse dei Franchi che
«...abituati a combattere iniquamente in guerra privata contro
i fedeli, [ora] si battano contro gli infedeli... Coloro i quali
sono stati finora dei briganti diventino soldati.»
Ad impiantarsi commercialmente al centro del Mediterraneo
sarà l'Occidente cristiano delle repubbliche marinare
italiche, che svolgeranno una proficua azione mediatrice col mondo
islamico proprio nel momento in cui l'Imamato fatimide, che dominava
l'Egitto, si opererà col massimo delle sue forze economiche e
militari in Siria al fine di annetterla e strappare poi
all'"usurpatore" califfato degli Abbasidi la guida politica e
spirituale della Umma (finendo però con l'ingolfarsi in
Siria). Ciò facilitò non poco i Turchi Selgiuchidi
nella loro azione di "tutela" del sunnismo e del califfato abbaside,
ponendo sotto il proprio controllo Baghdad nel 1071 e le regioni che
gravitavano sul Golfo Persico e su parte dell'Oceano Indiano.
Nasce per gli storici il problema di distinguere tra causa ed
effetto tra gli elementi che compongono la Rinascita dell'Occidente,
ma ciò che conta è indicarne le principali
manifestazioni.
«Quasi non c'è aspetto della vita degli uomini dei
secoli XI-XIII al quale non sia stato attribuito un carattere
rivoluzionario. Medievisti più o meno illustri hanno
così parlato di rivoluzione agraria, rivoluzione feudale,
rivoluzione commerciale, rivoluzione industriale, rivoluzione
urbana, rivoluzione intellettuale" tanto che da un Medioevo immobile
si è passati a uno addirittura rivoluzionario e in effetti
"nessuno può negare che siano avvenuti cambiamenti profondi e
persino radicati nelle strutture economiche, insediative, sociali,
politiche e mentali della società europea di quei
secoli.»
La rivoluzione demografica
L'aspetto più sensazionale di questa espansione
dell'Occidente è, a detta degli storici, l'aumento della
popolazione che però non si può calcolare in modo
certo per l'assenza di documenti anagrafici ma che risulta evidente
da una serie di prove indirette come ad esempio l'aumento
dell'estensione delle terre messe a coltura. Tra il secolo XI e XII
ci sono documenti che testimoniano il dissodamento estensivo di
terre vergini: lo provano le carte contrattuali con cui i feudatari
concedono vantaggiose opportunità per coloro che si insedino
e coltivino le terre incolte. Nei catasti si trovano piante a
scacchiera o a spina di pesce dei terreni coltivati. Ulteriore prova
l'aumento delle decime che la Chiesa riscuote dai contadini: il
prevosto della cattedrale di Mantova alla fine del secolo XII annota
che in meno di un secolo le terre di proprietà della Chiesa
sono state «truncatae et aratae et de nemoribus et paludibus
tractae et ad usum panis reductae.» (dissodate ed arate
risanate dai boschi e dalle paludi e riutilizzate per trarne pane.)
Quando si parla di estensione delle superfici coltivabili si pensa
in genere alle terre strappate alla foresta ma si dimentica che
questa era una fonte di sopravvivenza per i villaggi contadini che
in essa trovavano gli animali da cacciare, la legna per scaldarsi,
le ghiande per i loro animali, spesso un ruscello dove pescare e
integrare la loro povera dieta: la foresta spesso è tanto
preziosa quanto la terra coltivabile. Dalle foto aeree e dall'esame
dei pollini risulta indubbio che la foresta sia arretrata in
quest'epoca, ma è piuttosto il suo margine che viene
intaccato: il sottobosco che offre meno resistenza al disboscamento
spesso praticato con il fuoco o con mezzi primitivi.
Vengono ora messe a coltura anche le terre meno fertili, le terre
fredde. Si realizzano veri e propri dissodamenti collettivi di
grandi dimensioni, di cui il più vistoso è quello che
si verificò nei Paesi Bassi dai "contadini delle paludi", gli
agricoltori fiamminghi che faranno sorgere dal mare i "villaggi di
diga". Il conte di Fiandra Roberto II donerà all'incirca
nell'anno 1090 all'abbazia di Bourbourg lo scorre (terra strappata
al mare) e tutto quello che i monaci riusciranno a togliere al mare
(quicquid ibi accreverit per iactum maris).
È questa l'epoca in cui con sforzi giganteschi viene
bonificata dalle paludi e dagli acquitrini la pianura padana e in
cui i versanti degli Appennini vengono dai signori feudali divisi in
lotti e assegnati a quei contadini che s'impegnino a liberarli dalla
vegetazione e a coltivarli.
Secondo recenti calcoli questo fu l'andamento della crescita di una
popolazione contraddistinta dalla brevità di vita e
dall'elevata mortalità infantile ma anche dalle numerose
nascite e formazioni di gruppi familiari caratterizzate dalla
giovane età: verso il 1050 la popolazione europea è
stata stimata in 46 milioni nel 1100 era di 48 milioni, 50 verso il
1150 e 61 verso il 1200.
Questo imponente aumento della popolazione dell'Occidente cristiano
fece crescere di conseguenza i corpi da nutrire, vestire, alloggiare
e le anime da salvare.
La rivoluzione agricola
Lo sviluppo agricolo già iniziato nell'età carolingia
è causa ed effetto della rivoluzione demografica. L'aumento
della produzione di prodotti agricoli è dimostrato non solo
dalla quantità delle terre messe a coltura ma anche dalla
qualità delle pratiche agricole che si avvantaggiano di
progressi tecnici. La prima di queste innovazioni tecnologiche fu
l'uso dell'aratro a ruote e a versoio, che permetteva di incidere la
terra più a fondo rispetto al più primitivo aratro di
legno a chiodo, che scalfiva appena il terreno.
Si è detto che questa dell'XI secolo fu la vera "età
del ferro", sempre più utilizzato a partire dal Mille, anche
se ancora parzialmente negli strumenti, soprattutto agricoli, che
conservano manici in legno. Richiama l'uso del ferro la diffusione
nei paesi anglosassoni del cognome Smith (fabbro). Ed è
questa innovazione che segna un'inversione di tendenza rispetto alla
più evoluta civiltà orientale e pone le premesse delle
moderne innovazioni tecnologiche.
Questo nuovo tipo di aratro, essendo infatti in ferro e più
pesante, permetteva l'aratura anche di terreni freddi e duri:
essendo poi il solco più profondo, si dava maggiore
protezione e nutrimento ai semi che attecchivano meglio e
producevano di più.
Insieme con l'aratro si adottò un nuovo modo di attaccare gli
animali, migliorandone l'efficacia della trazione. Sino ad allora si
era utilizzato il cosiddetto pettorale, una cinghia in cuoio che
attraversava trasversalmente il petto degli animali attaccati, che
ne venivano quasi soffocati. In seguito si passò al collare
di spalla, chiamato anche collare rigido o collare imbottito, per il
cavallo, e giogo frontale per il bue.
Gli animali con il collo libero così, respiravano liberamente
e ne veniva sfruttata tutta la forza esercitata dal collare o dal
giogo che faceva pressione sulle spalle. Si è calcolato che
la trazione in questo modo aumentasse di quattro, cinque volte. La
ferratura degli zoccoli del cavallo permetteva poi di utilizzare
questo animale finora escluso per l'aratura perché meno
potente del bue. Certo il cavallo era meno forte del bue, ma
più veloce e soprattutto meno costoso, per cui il suo
rendimento alla fine si rivelò superiore del cinquanta per
cento rispetto ai buoi. Il cavallo, inoltre, era più
resistente e poteva prolungare la giornata di lavoro di almeno un
paio d'ore, quando ad esempio si doveva profittare in fretta delle
condizioni climatiche favorevoli per l'aratura e la semina. Per i
contadini che avevano il loro campo lontano il cavallo era un comodo
mezzo di trasporto che permetteva, inoltre, la formazione di
popolose borgate rurali al posto dei piccoli e sperduti villaggi,
permettendo uno stile di vita semiurbano con i vantaggi sociali
conseguenti.
Un altro grande cambiamento in agricoltura fu l'adozione di una
forma di avvicendamento triennale delle colture che consentiva uno
sfruttamento più intensivo dei terreni. In assenza di concimi
chimici i campi in passato, dopo il raccolto, venivano lasciati a
riposo perché recuperassero le sostanze nutritive: era la
parte della terra non coltivata, chiamata maggese, che riguardava
all'incirca la metà del campo coltivabile. L'anno successivo
si operava all'inverso, attuando quello che si definisce
avvicendamento biennale. In seguito si introdusse invece la
rotazione triennale: il terreno veniva diviso in tre parti
all'incirca uguali e solo un terzo è lasciato a riposo: in
questo modo la produzione saliva dalla metà all'incirca ai
due terzi della produzione possibile con un aumento di un sesto
della produzione su tutta la terra coltivabile e di un terzo
rispetto al metodo biennale. Ma non si tratta solo di un
miglioramento quantitativo: cambia anche la qualità delle
colture. Una parte del terreno, infatti, viene seminata in autunno
per i raccolti invernali (ad esempio frumento e segale) l'altra
è seminata in primavera ad avena orzo o legumi per i raccolti
estivi. Solo un terzo del campo viene lasciato a riposo e nell'anno
seguente si alternano le colture. Da questo nuovo metodo deriva un
triplice vantaggio: con i raccolti d'avena si nutrono le bestie e
gli uomini; in caso di carestie in una stagione si può
sperare nell'altro raccolto della stagione successiva, ma
soprattutto si ottiene una variazione della dieta e l'introduzione
in essa dei legumi, fondamentali per il loro apporto di proteine.
«La coppia cereali legumi diventa normale al punto che il
cronista Orderico Vitale, parlando della siccità che nel 1094
ha colpito la Normandia e la Francia, dice che essa ha distrutto
segetes et legumina, messi e legumi.»
Nel corso del secolo X si era poi rotto l'equilibrio tra le terre
che il signore amministrava direttamente servendosi delle
prestazioni d'opera gratuite dei servi (pars dominica) e quelle
affittate ai coloni, di solito le più difficili da coltivare,
(pars massaricia). Ora l'antica suddivisione della proprietà
in pars massaricia e in pars dominica finisce per scomparire. Anche
la pars dominica viene divisa in lotti poiché ormai i
contadini riservano il più possibile del loro lavoro ai loro
campi e diminuiscono sempre più i servi obbligati a lavorare
per il signore. Finisce l'economia curtense e con essa il modo di
pensare e di sentire «anche se gli usus non hanno perso il
loro valore. All'antico torpido adagiarsi negli schemi della
consuetudine orale subentra una smania di mettere per iscritto, di
fissare canoni, di precisare posizioni reciproche. Non è
soltanto riscossa di ceti bassi. È una nuova mentalità
che si fa strada, tanto in alto che in basso.»[20] ciao
La rivoluzione edilizia
Un ulteriore sfruttamento della forza di traino degli animali si
raggiunse con la diffusione del sistema dell'attacco in fila che
abbinato, a partire dalla prima metà del secolo XII, con il
carro a quattro ruote permetteva il trasporto di grandi carichi
più stabili e più pesanti rispetto a quando si usava
il carretto a due ruote. Si potevano ora trasportare grandi blocchi
di pietra e legnami con cui costruire le grandi chiese che come
diceva un cronista dell'epoca: «stanno ricoprendo di un bianco
manto la superficie del mondo». Il carro e i buoi li troviamo
spesso celebrati sulle pareti delle cattedrali perché si deve
alla loro fatica l'erezione della grande costruzione. A tutto questo
si deve aggiungere il perfezionamento delle macchine edilizie.
Le cattedrali: il posto per risanare le anime ma anche il luogo
d'incontro degli abitanti per le loro assemblee, dove discutere al
coperto dei problemi di utilità pubblica. Somme enormi che
impegnano più generazioni successive di signori feudali
vengono spese per la costruzione di questi edifici che si stagliano
da lontano con la loro massa bianca emergente dalle piccole case che
le attorniano. Esse diventano un luogo di attrazione e di meraviglia
e contemporaneamente un luogo di commerci profani sempre più
intensi e redditizi per il signore e i borghesi che hanno investito
i loro denari nella costruzione della grande chiesa. È
all'ombra delle cattedrali, di solito contornate da un grande
spiazzo, che si tengono le fiere dove gli uomini si scambiano merci,
notizie ed idee.
Il nuovo spiritualismo emanato dalla riforma cluniacense si esprime
anche nel novo stile romanico delle cattedrali, enormi, forti e
massicce come i castelli. Esse sono infatti l'espressione del potere
e della ricchezza della Chiesa, più che ad accogliere i
fedeli sono fatte per far capire a tutti la gloria di Dio. E le
masse in realtà rimangono stupefatte di fronte alla grandezza
dell'edificio ma non capiscono il linguaggio dell'arte romanica
utilizzata come strumento di propaganda. I fedeli nella loro
ingenuità non potevano comprendere l'ermetico simbolismo
rappresentato sulle pareti della cattedrale e la raffinatezza
pittorica delle scene sacre rappresentate.
Le cose cambiano nella metà del secolo XI quando con la
rinascita dell'economia e con la riforma spirituale di Cluny compare
una maggiore libertà nello stile romanico, indizio di un
mutamento che nel permanere di una rappresentazione sacra tende a
divenire più popolare anticipando l'architettura gotica. La
verticalità si accentua ed ora il fedele capisce il simbolo
della tensione verso Dio e il senso di distacco dalle cose terrene.
La rivoluzione "industriale"
Nel secolo XI si comincia ad usare una nuova macchina, il telaio a
pedale, così importante per lo sviluppo della unica industria
medioevale che per la produzione diffusa di tessuti merita questa
definizione. Non sappiamo nulla di chi adottò per primo
questo semplice ritrovato di applicare un pedale al preesistente
telaio a mano riducendo così la fatica dei tessitori e
velocizzando la tessitura. I telai a pedale si diffondono dalle
Fiandre all'Impero bizantino. I tessitori cominciano a contare
qualcosa, sebbene molto poco ancora, ma diverranno a poco a poco i
primi nuclei di quella rivoluzione industriale ancora di là
da venire. Si verifica poi l'effetto cumulativo tipico delle
innovazioni tecnologiche: l'accelerazione della tessitura si
riflette sulla velocizzazione della filatura con l'applicazione
della ruota a pedale; cominciano così ad essere considerate
figure ancora più umili dei tessitori: le filatrici.
Mulino ad acqua
Nello stesso periodo si diffonde un'altra nuova macchina: il mulino
ad acqua. Questo era già conosciuto nel periodo ellenistico
ma non era stato sfruttato a fondo. Ora si verificano le condizioni
per suo uso intensivo e conveniente. Il lavoro umano ha perso sempre
più importanza e si scopre che la schiavitù non
è più conveniente. Il costo dei servi e degli animali
per far girare le macine è troppo alto e il mugnaio deve
poter contare su un approvvigionamento di grano abbondante e
continuo. Ciò avviene nel momento in cui in Occidente gli
schiavi diventano servi e gli uomini liberi o non liberi di un
villaggio sono costretti a far macinare il loro grano nel mulino del
signore. Nell'Inghilterra dell'XI secolo si contano circa cinquemila
mulini, quasi uno ogni quattrocento abitanti.
Dopo la scoperta del fuoco l'acqua diventa un'altra grande fonte
d'energia per la produzione di beni di massa.
Il mulino ad acqua, mano a mano che nasce l'esigenza di nuovi
prodotti, viene esteso alle più diverse attività
manifatturiere. Ce ne si serve nella follatura dei panni e nella
triturazione dei colori delle tintorie e delle concerie, aziona il
mantice delle fucine e le seghe nelle segherie. Non si pensò
ad applicarlo anche alla tessitura e alla filatura ma forse il
lavoro di questi umili artigiani era così poco pagato e la
loro fatica così poco considerata che non valeva la pena di
trasformare un telaio a pedale.
La rivoluzione commerciale
Sin dalla seconda metà del secolo IX compare una nuova classe
quella dei negotiantes, i mercanti, che insieme a quella degli
artigiani, si va ad aggiungere a quelle degli aristocratici feudali,
del clero, dei liberi coloni e dei servi. Con l'aumento della
popolazione rinascono a nuova vita le vecchie città romane,
mai del tutto decadute e ne sorgono delle nuove. Sotto le loro mura
e dentro si tengono mercati e tornano a circolare quelle monete che
in passato erano tesaurizzate e nascoste.
«Si è visto che già negli ultimi tempi della
monarchia longobarda son ricordati nell'editto di Astolfo (750-754
d.C.) i negotiantes come una classe sociale distinta, divisa in tre
gradi, di cui il più alto è posto alla pari coi medi
proprietari di terre. Resta il dubbio se con quel termine si voglia
indicare, secondo il precedente romano, gli uomini d'affari che si
occupano di preferenza di affari di credito, o invece i mercanti di
professione.».
Poiché nell'età di Astolfo le città erano per
lo più spopolate sembra logico pensare che con il termine
negotiantes ci si riferisse non agli operatori di credito quanto
proprio ai mercanti girovaghi. È soprattutto però
nell'XI secolo che si ritrovano concessioni per aprire mercati entro
le città o sotto le loro mura. I mercanti trovano le merci da
vendere nella produzione artigiana ma non solo.
«Le merci si distinguevano in "grosse" e "sottili" e in base a
questa dizione si è ritenuto a lungo che gli articoli ricchi
costituissero il nerbo del commercio internazionale in quanto poco
ingombranti erano facilmente trasportabili a grandi distanze senza
notevoli spese, e per il loro alto pregio, anche se trattati in
piccole partite, davano alti guadagni (per esempio perle e pietre
preziose, profumi, spezie per la cucina...) Invece per le vie di
terra e quelle marittime circolavano in larga prevalenza carichi di
merci povere o comunque pesanti...»
Generi alimentari come sale, grano, vino, richiesti da paesi che ne
erano privi per carestie o guerre o materiali di cui si aveva
urgente bisogno come legname. Nell'età del telaio a pedale
naturalmente si trafficano lana, cotone e tessuti e quell'elemento
indispensabile per sgrassare le fibre e fissare il colore dei panni:
l'allume.
La rivoluzione religiosa
I nobili feudali, uomini rozzi e violenti che prendevano con la
forza terre ovunque fosse possibile, rimanevano nel loro animo
profondamente superstiziosi e quando sopraggiungeva la paura della
dannazione eterna cercavano di salvarsi la loro anima con le
preghiere di monaci a loro disposizione. Così il duca
d'Aquitania, dopo aver saccheggiato monasteri dovunque donò a
dei monaci benedettini nel 910 un suo padiglione di caccia a Cluny
in Borgogna.Il monastero avrebbe dovuto esser soggetto solo
all'autorità del papa che però era lontano e con il
suo potere in crisi per la lotta per le investiture con
l'imperatore.
«In un mondo sconvolto da disordine veniva di nuovo creata una
zona benedettina che godeva di pena libertà spirituale,
questa volta zelantemente protetta sia contro i nobili in perenne
conflitto sia contro i non meno avidi vescovi della
vicinanze.»
Il monastero era un'isola di pace non solo per i suoi signori
benefattori ma per chiunque chiedesse ospitalità e ricovero.
Una sorta poi di turismo religioso affluiva nei chiostri dove si
veneravano preziose reliquie dei santi. I monasteri si accrebbero
dunque di dimensioni e di numero. Dopo un secolo più di mille
erano i nuovi conventi nati e tutti erano soggetti all'abate di
Cluny come se ci fosse stato un unico convento diretto dall'abate,
vero capo di una sorta di Stato cluniacense nato dalla
libertà spirituale e dal potere politico di monaci che spesso
erano i consiglieri dei principi. Da Cluny nacquero numerosi altri
monasteri specie in Francia e in Italia dove si accentuò
quello spirito iniziale di libertà spirituale sino a divenire
una sorta di anarchia con uno stile di vita quasi selvaggio e
condotto in solitudine. Non si credeva più che la vita
comunitaria potesse veramente avvicinare a Dio, soggetta com'era ai
potenti. Nacque così l'anacoretismo quasi di stile orientale,
in Occidente dove gli eremiti si consideravano sciolti da ogni
vincolo di obbedienza sia nei confronti del monastero che di
qualsiasi istituzione feudale rigettando ogni forma di vita
spirituale organizzata.
Il desidero di una vita spirituale assolutamente libera si
trasferì dai monaci ai laici dando inizio alla diffusione
delle eresie di coloro che non fidandosi delle preghiere di monaci
compromessi con il potere temporale cercavano la salvezza delle loro
anime da soli. Con il tipico modo d'essere medioevale incapace di
una moderazione dei sentimenti e delle passioni, con l'abbandono
agli estremi di un comportamento eccessivo e smodato, anche il
desiderio di redenzione assunse queste caratteristiche. Nel 1028
l'arcivescovo di Milano fa arrestare trenta nobildonne di Monforte
in Piemonte che conducevano vita ascetica sotto la guida della
contessa di Manforte. « La verginità era il loro
ideale, non si cibavano di carne, dividevano tra loro ogni possesso,
pregavano e osservavano il digiuno giorno e notte. Mortificavano la
carne in espiazione dei peccati e quando si avvicinava la morte
naturale, più d'una si faceva uccidere dalle compagne per
essere liberata dall'odiato corpo... Dopo l'arresto diedero prova di
estrema fermezza: poste tra una grossa croce di legno e un rogo,
preferirono per la maggior parte gettarsi in mezzo alle fiamme, le
mani premute sugli occhi.»
Comportamenti così radicali non potevano trovare molto
seguito ed in effetti già dal 1051 se ne perse traccia ma non
perché erano finite le eresie ma perché finalmente con
la riforma gregoriana della Chiesa anche i laici, prima semplici
spettatori, venivano inseriti nella riforma iniziata dai monasteri.
La rivoluzione politica
L'impero era andato sempre più perdendo di potere di fronte
all'attacco dei grandi vassalli ma ora gli imperatori di Sassonia
decidono che è giunto il momento di rendere effettiva la
propria autorità e prendono a conferire insieme feudi e
nomine ecclesiastiche creando così la nuova figura feudale
del vescovo-conte. Si assicurano in questo modo la fedeltà
dei nuovi vassalli ed insieme il ritorno nelle proprie mani delle
terre concesse in possesso feudale. La casata di Sassonia e di
Franconia presero a nominare vescovi senza badare alla loro
dignità religiosa purché fosse sicura la loro
fedeltà e la loro disponibilità a lasciare il
pastorale per la spada. In fondo gli imperatori tedeschi imitavano
quei feudatari che da tempo in Germania, con l'istituzione delle
"chiese private", avevano preso a conferire in donazione o in
beneficio le terre destinate alla costruzione di conventi, chiese od
abbazie e a nominare loro stessi, fossero religiosi o laici, gli
abati o gli arcivescovi che dovevano loro garantire in preghiere per
la salvezza delle loro anime il buon esito della donazione o della
concessione del feudo.
Si diffusero così tra il clero la simonia e il concubinato, i
mali dell'"età ferrea" della Chiesa. La protesta dei fedeli
per il clero indegno fu così accolta dai riformatori di
Cluny, assecondati dai papi tedeschi, con il sostegno degli stessi
imperatori che non si rendevano conto che una Chiesa così
riformata avrebbe rivendicato non solo la sua assoluta autonomia nei
confronti dell'impero ma anzi il primato sull'Impero stesso. Come
infatti avvenne con il grande sinodo o concilio di vescovi, il
Sinodo del Laterano del 1059, ispirato dal monaco cluniacense
Ildebrando di Soana, consigliere di papa Niccolò II. Il
sinodo vietò a chiunque di ricevere cariche ecclesiastiche
dalle mani di laici, fossero pure quelle dell'imperatore e
condannò nuovamente ogni forma di simonia e concubinato.
Stabilì inoltre nuove regole per l'elezione del papa
affidandola ad un collegio di vescovi delle principali diocesi,
chiamati cardinali, poiché essi erano i cardini della Chiesa,
ribadendo l'illegittimità delle nomine imperiali dei papi. Si
aprirà così il lungo conflitto tra l'Impero e la
Chiesa, una guerra che vedrà persino un attentato ordito da
un partigiano imperiale alla stessa vita del promotore di quel
rinnovamento spirituale e politico della Chiesa: Ildebrando da Soana
divenuto papa Gregorio VII. Il pontefice con il "Dictatus papae"
(1075) atto di supremazia sul potere imperiale, apriva quella "lotta
per le investiture" che vide alla fine soccombere il prestigio di
quelle istituzioni universali, il papato e l'Impero, che erano stati
i punti di riferimento politici e religiosi per gli uomini del
Medioevo.
Il sacrilego attentato alla persona di papa Gregorio VII in Roma
nell'anno 1075
Autore del sacrilego attentato secondo le cronache fu Cencio, antico
fautore di Cadalo e padrone di una torre sul Tevere dinanzi a Castel
Sant'Angelo. Uomo violento e senza scrupoli Cencio era uno di quei
"capitanei" della Campagna romana che per le sue malefatte era stato
condannato a morte da papa Gregorio VII.
Cencio riuscì a sfuggire alla pena per intercessione della
contessa Matilde di Canossa ma non poté comunque evitare che
la sua torre sul Tevere venisse abbattuta per ordine del papa.
Cencio colse l'occasione per vendicarsi nella notte di Natale del
1075.
Papa Gregorio aveva celebrato messa nella chiesa ad nivem, l'odierna
Santa Maria Maggiore, e mentre stava distribuendo la comunione,
Cencio con i suoi sgherri armati si slanciò contro il papa e,
spogliatolo dei sacri paramenti, lo caricò di peso su un
cavallo e fuggì nella notte. Ma il popolo romano che amava il
suo pontefice si mobilitò all'istante. Si chiusero subito
tutte le porte della città affinché il rapitore non
potesse rifugiarsi in qualche suo castello nella Campagna romana.
Mentre il popolo si riuniva sul Campidoglio per decidere il da
farsi, si sparse la voce che il papa era prigioniero in una torre
vicino al Pantheon. Lì accorse il popolo tumultuante
circondando la fortezza.
Cencio che invano con minacce di morte aveva tentato di farsi donare
dal papa una somma di denaro si vide perso e in ginocchio chiese
perdono del suo delitto. Il papa con grande magnanimità
placò il popolo, coprì con la sua stessa persona il
criminale salvandolo dalla furia della folla. Ancora sanguinante per
le percosse, il papa poi tornò nella basilica e riprese
serenamente il rito interrotto.