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Uomo politico e sindacalista italiano (Pozzaglio, Cremona, 1879 -
Milano 1954); organizzatore dei contadini cattolici del Cremonese,
fondatore (1904) del giornale cattolico L'Azione, diresse i primi
scioperi delle leghe bianche contadine fino al 1915; fu deputato dal
1913 al 1923. Entrato nel Partito popolare, ne capeggiò la
corrente di sinistra; dopo il trionfo del fascismo fu costretto a
emigrare (1925-26). Fu in Francia, Belgio, Germania e URSS,
studiando il problema contadino in varî paesi. Nel 1941 fu
arrestato in Francia dai Tedeschi; fuggito in Italia,
partecipò alla Resistenza; fu nuovamente arrestato nel 1944 a
Cremona. Dopo il 1945 divenne capo del Movimento cristiano per la
pace, e condirettore (con R. Grieco) del settimanale Nuova terra. Ha
scritto: La collectivisation des campagnes soviétiques
(1934); Con Roma e con Mosca. Quarant'anni di battaglie (1945).
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DBI
di Giuseppe Sircana
MIGLIOLI, Guido. – Nacque il 18 maggio 1879 a Castelnuovo Gherardi,
in provincia di Cremona, da Colombo e da Paolina Villa, agricoltori
benestanti. Laureatosi in lettere (1901) e poi in legge (1903)
all’Università di Parma fece pratica presso lo studio legale
di E. Sacchi, deputato cremonese ed esponente di spicco della
Sinistra radicale. Dopo la brusca rottura con il Sacchi e gli
ambienti radicali il M. iniziò a militare nel Movimento
cattolico, dando vita, il 7 genn. 1905, al settimanale L’Azione,
rivolto al proletariato agricolo cremonese, e impegnandosi nella
diffusione e nel consolidamento delle leghe contadine d’ispirazione
cristiana.
In competizione con le leghe «rosse», accusate di voler
ridurre i contadini a salariati di Stato, le leghe
«bianche», promosse dal M., perseguivano forme di
compartecipazione aziendale al fine di rendere più forte e
stabile il rapporto dei lavoratori con la terra.
Le lotte per i patti colonici del 1907 accrebbero la
popolarità del M. che al congresso dell’Unione popolare,
svoltosi a Genova nel marzo 1908, emerse come uno degli esponenti di
punta dell’ala progressista del Movimento cattolico. Al congresso
cattolico di Modena (9-11 ott. 1910) si oppose con successo, insieme
con L. Sturzo, alla creazione di unioni sindacali di carattere
confessionale aperte sia ai dipendenti sia ai datori di lavoro e
riuscì a far passare una linea favorevole all’autonomia
programmatica e operativa dei cattolici in campo elettorale.
Oppositore di G. Giolitti e contrario alla guerra di Libia, il 26
ott. 1913 fu eletto alla Camera al primo turno, beneficiando
più dei suoi avversari nel collegio di Soresina – il radicale
A. Pavia e il socialista C. Lazzari – dell’introduzione del
suffragio universale maschile.
Dopo aver votato, nel marzo 1914, la fiducia al governo Salandra,
avendone apprezzato l’attenzione ai problemi dell’agricoltura, il
M., interprete dei sentimenti diffusi tra le masse rurali, fu
risolutamente contrario all’intervento in guerra, esponendosi ai
violenti attacchi degli interventisti cattolici e a minacce e
aggressioni da parte dei nazionalisti.
Nel 1914 avviò il processo di organizzazione su scala
nazionale dei lavoratori della terra cattolici che, nel settembre
1916, portò alla costituzione della Federazione italiana dei
lavoratori agricoli (FILA), di cui divenne presidente. Nel
dopoguerra fu alla testa del movimento per «la terra ai
contadini», slogan che egli, diversamente dai socialisti,
intendeva come conquista graduale della proprietà attraverso
l’associazione dei lavoratori alla conduzione dell’azienda agricola.
Per perseguire tale obiettivo il M. definì una piattaforma di
lotta che aveva come punti principali la conquista delle otto ore di
lavoro, il controllo delle assunzioni e dei licenziamenti,
l’imponibile di manodopera, l’equo canone d’affitto e la
suddivisione degli utili.
Nei primi mesi del 1919 le leghe bianche condussero insieme con
quelle rosse una lotta unitaria per il patto colonico che
portò, in maggio, alla conquista delle otto ore. Tale
risultato riaccese gli entusiasmi per il raggiungimento degli altri
obiettivi, a cominciare dalla partecipazione diretta dei contadini
all’azienda e alla cointeressenza, determinando la rottura con i
socialisti che insistevano per le rivendicazioni salariali mirando
all’abolizione della proprietà privata. Otto giorni di
sciopero e l’annuncio di una lotta a oltranza indussero gli agrari a
fare le prime concessioni sulla ripartizione degli utili
dell’azienda anche per i salariati agricoli. Tali concessioni furono
di lì a poco rimesse in discussione, provocando scioperi
durissimi, che in varie località del Cremonese diedero luogo
a scontri tra socialisti e «migliolini» e a sanguinosi
incidenti con la forza pubblica, in uno dei quali, il 12 giugno
1920, fu ucciso il capo-lega G. Paulli, vicino al Miglioli. Con il
patto di Parma del 19 giugno gli agrari accettarono il principio
della compartecipazione, ma ancora una volta gli accordi furono
disattesi. I lavoratori occuparono allora le aziende, che vennero
gestite dai «consigli di cascina».
La lotta proseguì per diversi mesi e, dopo l’intromissione
nelle trattative di R. Farinacci, si concluse il 10 ag. 1920 con il
lodo Bianchi, che riconosceva ai salariati la compartecipazione ai
capitali e agli utili, il controllo della contabilità e della
conduzione dell’azienda stessa e la possibilità di acquistare
le attività esistenti in bilancio alla fine del contratto. Fu
una vittoria di grande portata, ma destinata a non produrre effetti
concreti nella nuova situazione che vedeva il fascismo cremonese
farsi strumento sempre più aggressivo della reazione agraria.
L’intensa attività sindacale portata avanti nella sua terra
non distolse il M. dagli impegni politici sul piano nazionale.
L’evoluzione organizzativa e politica del Movimento cattolico non lo
convinceva: nel marzo 1918 giudicò la costituzione della
Confederazione italiana lavoratori (CIL) un’operazione calata
dall’alto e destinata ad approfondire il solco tra lavoratori
cattolici e socialisti. Fu anche critico – lui che da tempo si
batteva per la nascita di una forza politica dei cattolici – nei
confronti del Partito popolare italiano (PPI) che avrebbe voluto si
caratterizzasse come partito del proletariato cristiano. Decise
tuttavia di aderire al PPI alla vigilia del primo congresso
(Bologna, 14-17 giugno 1919), consapevole di rappresentare al suo
interno posizioni assai minoritarie.
Al congresso di Napoli (8-11 apr. 1920) chiese l’espropriazione
delle terre, la loro distribuzione ai contadini e l’alleanza con il
Partito socialista italiano (PSI). Al congresso di Venezia (20-23
ott. 1921), sotto l’incalzare dello squadrismo fascista,
tornò a perorare l’intesa con i socialisti, tentando, nel
marzo 1922, di realizzarla sul piano locale.
Sconfessato dai vertici nazionali del PPI e del PSI, si trovò
esposto alla reazione violenta dei fascisti di Farinacci che lo
aggredirono, devastarono la sua casa e lo misero al bando da
Cremona. In ottobre diede vita con F.L. Ferrari al settimanale Il
Domani d’Italia, che si batté per l’uscita dei popolari dal
governo Mussolini.
Non ricandidato alle elezioni del 6 apr. 1924, il M. si
pronunciò contro la secessione dell’Aventino e di lì a
poco, dopo un incontro con A. Gramsci, G. Di Vittorio e R. Grieco,
maturò la convinzione che fosse necessario realizzare
l’unità sindacale come primo passo verso l’unità di
classe tra operai e contadini. L’11 dic. 1924, in una intervista al
giornale comunista L’Unità, esternò questo
convincimento affermando che nessuna conquista sindacale poteva
considerarsi sicura senza la presa del potere politico da parte dei
lavoratori. Tali affermazioni destarono scalpore, provocando, il 24
genn. 1925, la sua espulsione dal PPI.
Il M. si avvicinò sempre più al mondo comunista e
nell’aprile 1925 fu invitato in Unione Sovietica per partecipare al
primo congresso dell’Internazionale contadina (Krestintern), di cui
divenne vicepresidente. Protrasse il suo soggiorno per studiare le
ripercussioni della rivoluzione russa nelle campagne (ne
parlerà nel volume Una storia, un’idea, Torino 1926). Dopo
una breve permanenza a Parigi rientrò in Italia tentando di
riunire in un’unica organizzazione i lavoratori della terra, ma
presto si convinse dell’opportunità di espatriare. La notte
del Natale 1926 riparò in Svizzera, dove si stabilì
per qualche tempo, prima d’intraprendere una lunga peregrinazione
che lo portò in Germania, Belgio, Francia, Spagna, Unione
Sovietica, Austria, Cecoslovacchia e Iugoslavia.
Con il nome di battaglia di Giuseppe il M. continuò a
collaborare con il movimento comunista senza mai aderirvi, per una
sua scelta di autonomia e per una certa diffidenza che i dirigenti
del Partito comunista italiano (PCI) mantenevano nei suoi confronti.
Nel 1937 si stabilì a Parigi e quando, nel giugno 1940, i
Tedeschi occuparono la città lanciò un suo programma,
«non aderire, non sabotare», prese contatto con le
autorità italiane in Francia e con esponenti del governo
collaborazionista francese e tentò di favorire un
riavvicinamento tra i due paesi. Nonostante ciò, il 15 febbr.
1941 venne arrestato e dalla prigione scrisse a Farinacci una
lettera in cui si diceva vittima della plutocrazia
ebraico-massonica, esaltava l’asse Roma-Berlino e rinnegava il lodo
Bianchi. Grazie probabilmente all’intervento di Farinacci il M. fu
trasferito in Italia e il 26 agosto rinchiuso nelle carceri di
Bolzano. Il 10 ottobre fu condannato a cinque anni di confino. Fu
confinato prima a Lipari e poi in Basilicata, a Lavello e a
Pescopagano, da dove il 29 maggio 1943 indirizzò una
petizione a B. Mussolini. Liberato dopo la caduta del regime, il 12
agosto, il M. si stabilì per qualche tempo a Roma, dove prese
contatto con diversi esponenti del mondo cattolico: dai
democristiani G. Spataro e A. De Gasperi, al fondatore del Movimento
cristiano-sociale G. Bruni, ai cattolici-comunisti F. Rodano e A.
Ossicini. Tornato a Cremona, dopo l’8 sett. 1943 si nascose
nell’abitazione di un nipote a Milano, ma il 21 apr. 1944 venne
arrestato. Farinacci, intenzionato a speculare sul suo
«pentimento», lo fece ricondurre a Cremona dove fu
sottoposto a libertà vigilata fino alla Liberazione.
Incerto se entrare in una delle formazioni cattoliche di sinistra,
promuoverne una nuova o aderire alla Democrazia cristiana (DC),
optò per quest’ultima, ma, dopo aver partecipato alla
campagna elettorale per le amministrative dell’aprile 1946, si vide
rifiutare la tessera del partito. Decise allora di collocarsi
definitivamente a sinistra, impegnandosi nelle organizzazioni
contadine comuniste. Nel dicembre 1947 promosse, insieme con R.
Grieco, la Costituente della terra e, dopo aver tentato di dar vita
a un movimento dei lavoratori cristiani, costituì con A.
Alessandrini il Movimento cristiano della pace. Aderì quindi
al Fronte democratico popolare, nelle cui liste fu candidato alle
elezioni del 18 apr. 1948 nella circoscrizione Cremona-Mantova senza
risultare eletto.
Con la Costituente della terra, fu alla testa dei grandi scioperi
del 1948 e del 1949 per la riforma agraria, i consigli di cascina e
la giusta causa delle disdette, ma presto maturò severe
critiche verso la politica comunista del settore.
Per quanto non avesse condiviso la scissione sindacale e la nascita
della Confederazione italiana sindacati dei lavoratori (CISL), il M.
tentò nuovamente di dar vita a un’organizzazione contadina
bianca, cercando di coinvolgere le Associazioni cristiane lavoratori
italiani (ACLI) e le Avanguardie cristiane di don P. Mazzolari. Alle
elezioni amministrative del 1951 presentò a Castelleone una
propria lista, denominata Avanguardia cristiana, per l’unità
della massa contadina, che non ebbe successo.
Il M. morì a Milano il 2 ott. 1954.