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Nome usato (per la prima volta pare dai fisiocrati) per indicare il
complesso di principi in materia di politica economica (detto anche
o mercantilista ), corrispondente alla prassi dell’epoca in cui si
formarono i grandi Stati nazionali (16°-18° sec.). Il
termine fu largamente diffuso dalle critiche di A. Smith, che del m.
mise in luce soltanto due elementi caratteristici: la politica
indirizzata ad aumentare, entro lo Stato, la disponibilità di
moneta e il protezionismo tendente a rendere la bilancia commerciale
attiva. In realtà il m. è qualcosa di più
complesso e organico e può definirsi come il sistema di
politica economica delle grandi monarchie assolute, che con il loro
intervento nell’economia miravano a dare più solide basi
all’unità statale e a fare dell’incremento della ricchezza
nazionale lo strumento per accrescere la forza dello Stato nei suoi
rapporti con l’estero.
1. Scrittori mercantilisti
Come dottrina il m. non ebbe trattazione sistematica. Gli scrittori
mercantilisti si occuparono infatti di problemi singoli, soprattutto
monetari e commerciali, e sempre da un punto di vista essenzialmente
pratico, anche quando le loro indagini sembrano preludere a un
pensiero scientifico. I principali furono tutti inglesi: G. Malynes,
E. Misselden, T. Mun, W. Temple, J. Child, C. Davenant; in Italia
può dirsi mercantilista soltanto M.A. de Santis. Qualche
spunto di m. si trova però anche in altri scrittori,
frammisto a idee più libere e chiare (A. Serra, G. Botero, A.
Genovesi, J. Bodin, W. Petty, J. Locke ecc.).
2. Principi del mercantilismo
Come indirizzo di politica economica il m. ha avuto invece assai
maggiore importanza e, attraverso successive evoluzioni, ha dominato
tutta l’età moderna, raggiungendo il suo culmine verso la
metà del 17° sec. nell’Inghilterra di O. Cromwell e nella
Francia di J.-B. Colbert, dove si trasformò in un vero
sistema protettore dell’industria nazionale e fu detto anche
colbertismo .
Alcuni elementi propri della politica mercantilistica si possono
già ritrovare nella prassi dei maggiori Comuni medievali,
specialmente italiani, in cui l’intervento del potere pubblico in
materia industriale, commerciale e monetaria aveva assunto sempre
maggiore importanza, ma fu soprattutto la trasformazione del potere
sovrano da feudale in assoluto che determinò il sorgere di
nuove funzioni e conseguentemente di nuove esigenze finanziarie. La
creazione di una burocrazia professionale stipendiata al centro e
alla periferia, di rappresentanze diplomatiche all’estero e di un
esercito permanente, la necessità di rinnovare le opere di
difesa e di provvedere a qualche opera e servizio pubblico di
interesse generale imponevano grandi spese che le rendite
patrimoniali della Corona e i donativi dei parlamenti erano
insufficienti a fronteggiare; di qui il bisogno di nuove fonti di
entrata che spinse i governi a interessarsi dei problemi economici
nazionali. «Il commercio è la sorgente delle finanze e
le finanze sono il nerbo vitale della guerra» scriveva Colbert
nel 1666, riassumendo l’essenza della politica mercantilistica che
subordina l’economia alle finalità dello Stato e che torna ad
affermarsi tutte le volte che si sente la necessità di
cementare la coesione e l’indipendenza nazionale (tanto è
vero che si è parlato di ritorno al m. o di neomercantilismo
anche nel Novecento, dopo la Prima guerra mondiale).
Grande è però la varietà di mezzi cui si
è fatto ricorso nei vari paesi e nei vari periodi per
realizzare lo stesso fine; ed è questa varietà di
mezzi che ha dato aspetti diversi alle singole politiche
mercantilistiche, per quanto siano state tutte ispirate alle stesse
errate premesse, alla identificazione cioè della moneta
posseduta da un paese con la ricchezza e alla convinzione che un
paese possa in definitiva esportare senza importare.
3. Sviluppo del sistema mercantilistico
In genere lo sviluppo del sistema mercantilistico si suole
distinguere in tre fasi: la prima, precedente alla scoperta
dell’America, caratterizzata da divieti di esportazione della moneta
e dei metalli preziosi; la seconda detta ‘della bilancia dei
contratti’, in cui si cercava di incrementare la
disponibilità di metalli preziosi attraverso l’obbligo
imposto ai mercanti di riportare in moneta nel paese parte almeno
del prezzo ricavato all’estero; la terza che, attraverso dazi
all’importazione, premi all’esportazione e divieti all’uscita delle
materie prime, mirava a creare una bilancia del commercio
favorevole. Perduto un po’ alla volta di vista il fine originario di
accrescere il saldo attivo in moneta, durante il 17° sec. il m.
andò poi sempre più trasformandosi in un sistema
tendente a sviluppare le industrie nazionali e a proteggerle dalla
concorrenza estera.
Ed è soprattutto in questo periodo, che prende più
propriamente nome da Colbert, che il sistema mercantilistico si
completò con la creazione delle grandi compagnie commerciali,
con l’incremento della marina mercantile, con la politica coloniale,
con misure di politica demografica indirizzate a favorire l’aumento
della popolazione, con provvedimenti miranti a realizzare o ad
accentuare la formazione di un unico mercato nazionale, con una
sempre più stretta disciplina della produzione, con la
concessione a privati di esenzioni fiscali, privilegi e monopoli e
con la creazione di industrie di Stato. Non tutti i provvedimenti
raggiungevano i loro obiettivi, ma la potenza dei grandi Stati in
complesso cresceva e ciò confermava per i più la
bontà del sistema, anche se già alcune voci si
levavano a denunciarne i difetti in nome degli interessi
dell’agricoltura e soprattutto in nome della libertà.