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Patriota (Migliarina, Carpi, 1798 - Modena 1831). Commerciante, di
idee liberali, entrò, per il tramite di E. Misley, in
contatto col duca Francesco IV di Modena e si adoperò
perché questi si facesse capo del movimento liberale
nazionale, allacciando nello stesso tempo, tramite il fratello
Celeste (v.), rapporti con l'emigrazione politica italiana in
Francia. Ingannato dallo stesso duca, M. fu arrestato la sera del 3
febbr. 1831 nella sua casa, mentre prendeva coi compagni di
cospirazione gli accordi definitivi di azione. Fatto trasferire a
Mantova dal duca in fuga per il sopravvenuto scoppio della
rivoluzione, fu processato sommariamente e giustiziato (26 maggio
1831) al ritorno del duca di Modena.
*
DBI
MENOTTI, Ciro.
Nacque a Migliarina, frazione di Carpi in provincia di Modena, il 23
genn. 1798 da Giuseppe e da Anna Bonizzi.
Il padre aveva una ben avviata e redditizia attività nella
lavorazione del truciolo e nella produzione dei cappelli di paglia.
Dopo gli studi ginnasiali a Carpi e una fugace esperienza come
ufficiale nella guardia ducale, il M. iniziò
l’attività imprenditoriale operando una notevole
diversificazione degli investimenti.
Dopo aver costituito in società con un vecchio giacobino,
Antonio Lugli, un’agenzia per la spedizione delle merci, che
aprì ai prodotti paterni la via dei mercati inglesi, il M.
acquistò una vasta tenuta a Saliceto Panaro e vi
impiantò (1823) un’industria per l’allevamento del baco da
seta e la lavorazione della seta. Per la prima volta nel Ducato
modenese una macchina a vapore fu adibita alla filatura della seta
con esiti economicamente assai soddisfacenti, tanto che quando, nel
1826, il M. sposò Francesca Moreali, che già gli aveva
dato un figlio adulterino ed era rimasta da poco vedova, il M.
poté acquistare e fare ampliare a Modena un palazzo
signorile.
Con l’apertura di una distilleria a Saliceto Panaro (1825), seguita
dalla costruzione di una fonderia a Casinalbo e di una ferriera a
Vignola (1826), la presenza del M. nell’economia locale si era fatta
sempre più complessa; quando, sempre nel 1826, entrò
come socio nell’industria paterna del truciolo, i lavoratori
impiegati a vario titolo e con varie modalità nella
produzione superarono la cifra di 1000. Invece la distilleria e la
filanda, nonostante inizi molto incoraggianti e a dispetto della
spregiudicatezza del M. sempre più deciso ad affrontare la
concorrenza estera, furono presto costrette a chiudere per una serie
di circostanze sfavorevoli, tra le quali va annoverato anche il
mancato ottenimento di misure protezionistiche da parte del duca
Francesco IV d’Austria-Este (il quale, peraltro, era stato in visita
alla filanda interessandosi di persona della produzione). In
realtà una protezione il duca la accordò, ma solo nel
1830 e a esclusivo vantaggio della lavorazione del truciolo e della
numerosa manodopera in essa impegnata.
La conoscenza di Lugli fece sì che già all’inizio
degli anni Venti il M., che in precedenza non aveva lesinato qualche
atto di ossequio al sovrano, si accostasse al mondo della
cospirazione carbonara. Nel 1821 era finito anche in una retata
della polizia perché ritenuto con altri responsabile della
diffusione di un proclama in latino ai soldati ungheresi ricco di
sentimenti antitirannici.
La vera svolta ebbe luogo nell’ottobre del 1829 quando, entrato in
contatto con l’avvocato modenese Enrico Misley e, tramite lui, con i
liberali francesi e con i gruppi di esuli residenti a Parigi, il M.
restò coinvolto in un oscuro complotto destinato a passare
alla storia con il nome di «congiura estense»,
così chiamata per il fatto di avere tra i suoi obiettivi
quello di portare Francesco IV sul trono di Sardegna al posto del
principe Carlo Alberto di Savoia Carignano, uscito molto male dai
moti del 1821.
Considerato che Francesco IV era imparentato con gli Asburgo
d’Austria e che già nel 1822 aveva inaugurato un’epoca di
dura repressione antiliberale, riesce difficile pensare che i
carbonari modenesi potessero vedere in lui il futuro sovrano di un
regno ingrandito. Fatto sta che soprattutto tra gli esuli in Francia
si diffuse una certa fiducia nel progetto accarezzato da Misley di
una serie di possibili cambiamenti nell’assetto interno dell’Italia
tali da favorire le ambizioni di Francesco IV e realizzare al
contempo le aspirazioni dei liberali.
È probabile che a Modena il duca con un atteggiamento
sufficientemente ambiguo, e certamente non ostile all’Austria, desse
a intendere al M. che c’era qualche spazio per questi progetti,
convinto di essere sempre in grado di controllarli e di poterne
ricavare comunque qualche vantaggio. Ma la complicazione imprevista
della rivoluzione di febbraio in Francia che portò sul trono
Luigi Filippo d’Orléans indusse Francesco IV a un rapido
ripensamento: si aprì così un fosco scenario di
intrighi nel quale il M., presentato da alcuni provocatori come un
agente del sovrano (con cui era da tempo in contatto), si
trovò invischiato. La consapevolezza di ciò non lo
distolse dalla trama avviata con la creazione di una rete di
«raggi» che si erano diramati nel Ducato e fuori, fino a
coprire le Legazioni, la Lombardia, il Ducato di Parma e parte dello
Stato pontificio. I raggi erano in pratica comitati locali che
avrebbero dovuto, allo scoppio della rivoluzione, far capo a un
Comitato centrale italiano con sede a Parigi. Quando, nel dicembre
del 1830, il M. sentì approssimarsi il momento della crisi
finale, inviò a Misley perché lo sottoponesse ai
rappresentanti degli esuli in Francia un manifesto in cui, come
diceva il titolo, erano esposte le «Idee per organizzare delle
intelligenze fra tutte le città d’Italia per la sua
indipendenza, unione e libertà»: si trattava in
sostanza di un programma moderato, probabilmente ispirato – come
dimostreranno le ricerche di A. Sorbelli e G. Ruffini – dalle tesi
costituzionali di G.D. Romagnosi, che fissava come obiettivo la
creazione in Italia di una monarchia rappresentativa cui sarebbe
spettato il compito di unificare la Penisola portandone la capitale
a Roma; la bandiera del nuovo regno sarebbe stata il tricolore
«composto ancora della croce, che così avvicina il
simbolo del trionfo della Libertà e della Religione. Senza il
vessillo della Religione, si potrebbe temere di trovare una
reazione» (Candeloro, II, p. 170).
Negli ultimi giorni del 1830, ebbe inizio una fase concitata dei
rapporti del M. con il duca, l’uno ormai sempre più
sospettoso dell’altro, l’uno intenzionato ad attirare l’altro in un
doppio gioco reciproco dal quale il M. sarebbe voluto uscire come il
capo di una rivoluzione unitaria vittoriosa, mentre il duca,
abbandonata ogni velleità di salire sul trono sardo con un
colpo di mano, puntava con una efficace controrivoluzione ad
acquistare benemerenze presso il sistema metternichiano delle
potenze. Alcuni segnali di effervescenza giunti dalle Legazioni
pontificie diedero a entrambi la sensazione che la situazione stesse
per precipitare e che convenisse agire di sorpresa, cosa che ognuno
fece alla sua maniera, Francesco IV facendo arrestare la mattina del
3 febbr. 1831 alcuni congiurati, tra i quali anche il giovane Nicola
Fabrizi, il M. anticipando alla sera dello stesso giorno l’inizio
del moto. Il piano prevedeva l’assalto al palazzo ducale e il
sequestro del duca, il quale però, probabilmente informato
per tempo, la sera stessa del 3 ordinò alle sue truppe di
assalire la casa del M. dove i cospiratori si erano riuniti. Ebbe
luogo una sparatoria nel corso della quale tre soldati e un
cospiratore persero la vita, mentre il M. venne catturato con altri
43 rivoltosi dopo un vano tentativo di fuga (altri 23 arresti furono
compiuti il giorno dopo). Francesco IV si accingeva a scatenare la
repressione quando il 5 febbraio, avuta notizia dell’insurrezione
scoppiata a Bologna il giorno prima (con un orientamento di fondo
municipalista ben lontano dalle illusioni unitarie cullate dal M.) e
della possibilità che colonne di insorti arrivassero a
Modena, si affrettò a lasciare il suo Stato e a rifugiarsi a
Mantova portando con sé il M. e lasciando invece i suoi
compagni di cospirazione in un carcere cittadino. Ne risultò
ulteriormente accreditata la tesi di precedenti accordi con i
rivoluzionari che a cose finite non sarebbe stato opportuno per il
sovrano fare emergere.
Prima ancora di abbandonare Modena il duca aveva istituito una
Commissione militare straordinaria incaricata di giudicare i
colpevoli con un processo statario. L’azione giudiziaria poté
aver luogo solo dopo che l’intervento austriaco ebbe ristabilito
l’ordine consentendo a Francesco IV il ritorno in città.
Iniziato il 25 apr. 1831, il processo a carico del M. si concluse il
9 maggio con una sentenza di condanna a morte per lesa maestà
e resistenza a mano armata.
Assistito da un difensore d’ufficio che aveva inutilmente sollevato
una questione d’incompetenza a giudicare dopo che Francesco IV con
un rescritto del 12 febbraio aveva già dichiarato reo
l’accusato, il M. sperò fino all’ultimo di potere ottenere la
grazia sostenendo che obiettivo principale della sua iniziativa era
stato l’ingrandimento del potere del duca. Sembra che anche il
vescovo di Modena facesse inutilmente pressione sul sovrano per
salvare la vita a colui che forse era diventato un testimone troppo
pericoloso per la sicurezza del trono.
Il 26 maggio 1831 la sentenza fu eseguita mediante impiccagione
nella cittadella di Modena. Con il M. fu giustiziato anche il notaio
V. Borelli, reo di aver rogato l’atto che il 9 febbraio, quattro
giorni dopo la fuga del duca, aveva dichiarato decaduto il suo
governo e sottoscritto il passaggio dei poteri al dittatore Biagio
Nardi.
I resti del M., sepolti nella zona sconsacrata dei giustiziati,
furono prelevati per volontà della famiglia nel 1848 e
inumati nella chiesa parrocchiale di Spezzano di Modena. Alla sua
memoria, entrata di diritto nel martirologio risorgimentale, fu
eretto a Modena nel 1880 un monumento dello scultore C. Sighinolfi.
Il M. vi è raffigurato mentre, tenendo in mano un tricolore,
guarda accigliato verso il palazzo ducale.
Celeste, fratello del M., nato a Carpi il 17 apr. 1802, prese parte
anch’egli dalla Francia, dove si recava spesso per ragioni di
commercio, alla preparazione del moto del 1831, e il 9 febbraio mise
la sua firma sotto la dichiarazione di decadenza del governo ducale.
Iniziata la repressione, cercò di raggiungere Corfù ma
fu fermato in mare con altri profughi e riportato a Venezia dove fu
interrogato dagli Austriaci e poi rilasciato. Esule in Francia,
entrò nella Giovine Italia e, diventato uomo di fiducia di
Mazzini, curò per conto di lui alcuni aspetti organizzativi
della spedizione in Savoia (1834), alla quale prese parte. Nel 1837
lo raggiunse in esilio la condanna alla galera a vita comminatagli
dalla Commissione straordinaria modenese. Rientrò in Italia
nel 1848 in occasione dei moti costituzionali ma, passata la
rivoluzione, espatriò nuovamente. Tornò in patria in
età avanzata e morì a Badia a Ripoli il 27 marzo 1876.