Costituzione spagnola

K. Marx

 

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Vi è poi una decina di articoli sulle vicende rivoluzionarie spagnole, che costituisce una sorta di piccolo saggio autonomo. In Spagna lo stato, nell’accezione moderna del termine, non possiede alcuna incarnazione nazionale, eccezion fatta per l’esercito in cui si sono concentrate le forze vitali della nazionalità spagnola. Nonostante tre secoli di monarchia asburgica e uno di monarchia borbonica, le libertà municipali sono sopravvissute e il centralismo statale non è riuscito a radicarsi. Le grandi monarchie nazionali europee erano riuscite ad affermarsi nel XVI secolo proprio grazie alla decadenza delle contrapposte classi feudali dell’aristocrazia e delle città. Negli altri stati, però, la monarchia assoluta aveva promosso l’unità sociale, rendendo possibile alle città il cedere la sovranità locale medievale in cambio del dominio generale della borghesia e del potere della società civile. In Spagna invece “mentre l’aristocrazia sprofondava nel degrado senza perdere i suoi peggiori privilegi, le città perdevano il loro potere medievale senza guadagnare l’importanza moderna” (p. 352).

Il declino della vita commerciale industriale delle città spagnole ha finito per favorire il rafforzamento dell’indipendenza delle province e dei comuni, mentre la monarchia assoluta ha impedito che si sviluppassero interessi basati sulla divisione nazionale del lavoro e sugli scambi interni, le uniche fondamenta sulle quali sarebbe stato possibile creare un sistema amministrativo uniforme. La Spagna andrebbe quindi assimilata alle forme asiatiche di governo piuttosto che alle monarchie assolute europee.

Quando Napoleone occupò la Spagna, la prima rivolta spontanea nacque dal popolo mentre le classi dominanti erano disposte a sottomettersi al dominio napoleonico vedendo nei francesi l’unico baluardo contro la rivoluzione. Come tutte le guerre d’indipendenza condotte contro la Francia, anche quella spagnola presentava l’impronta della rigenerazione insieme a quella della reazione: un movimento nazionale che proclamava l’indipendenza della Spagna e nello stesso tempo un movimento reazionario che contrapponeva alle leggi napoleoniche i costumi antichi e contrastava con la ‘santa religione’ l’‘ateismo’ francese. La minoranza del partito nazionale spagnolo era composto dagli abitanti delle città e delle capitali provinciali, in cui si erano sviluppate le condizioni materiali della società moderna, ma la maggioranza era formata dai contadini e dagli abitanti delle cittadine più piccole imbevuti di pregiudizi religiosi e politici. I due elementi rimasero uniti finché si trattò di difendere il paese, ma si separarono al momento di redigere la nuova costituzione e inevitabilmente gli interessi conservatori della vecchia società si nascosero dietro i pregiudizi popolari per difendersi da futuri progetti rivoluzionari.

La costituzione del 1812 è una riproduzione dei vecchi fueros (documenti medievali che stabilivano diritti e doveri di città e villaggi nel campo giuridico, fiscale, del governo locale, ecc.) reinterpretati alla luce della rivoluzione francese. La Costituzione è così un prodotto originale della vita intellettuale spagnola che ha rigenerato vecchie istituzioni nazionali facendo anche inevitabili concessioni al pregiudizio popolare. Quando la Costituzione, cacciati i francesi, venne proclamata a Madrid fu accolta con gioia dalle masse che si aspettavano, da un semplice cambio di governo, la scomparsa delle loro sofferenze sociali. Nel momento in cui scoprirono che la costituzione non aveva questi poteri miracolosi le speranze si trasformano subito in delusione e le classi interessate alla restaurazione del vecchio regime (aristocrazia e clero) sfruttarono il malcontento popolare.

È possibile secondo Marx delineare alcuni paragoni con la rivoluzione francese e la sua storia costituzionale: paradossalmente, durante i moti del 1830, la costituzione francese del 1791, di fatto reazionaria, venne ritenuta colpevole di giacobinismo: “Nel 1791 il potere monarchico e le forze dominanti della vecchia società (...) non avevano ancora subìto le trasformazioni che avrebbero permesso loro di inserirsi ed esistere tra gli elementi della società nuova. Allora era necessaria un’azione rivoluzionaria per spezzare la resistenza della vecchia società, non una Costituzione che sancisse un compromesso impossibile con essa. Nel 1830, invece, essendo divenuta possibile una monarchia con poteri limitati, si comprese ampiamente che ciò avrebbe comportato il dominio della borghesia invece che l’emancipazione del popolo. La Costituzione del 1791 sembrò allora un anacronismo incendiario. Lo stesso discorso può valere per la Costituzione spagnola del 1812” (pp. 390-1).