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Giornalista e uomo politico italiano (Paola 1878 - Roma 1955). Fu
tra i fondatori del movimento nazionalista, condirettore dell'Idea
nazionale e vicedirettore della Tribuna quando questo giornale,
sotto il fascismo (dal quale M. ebbe alti incarichi), assorbì
il primo. Deputato e, dal 1939, senatore del Regno.
DBI
di Daniele D'Alterio
Nacque a Paola il 15 genn. 1878 da Pietro e da Emilia Miceli, in una
delle famiglie più ricche e influenti del Cosentino.
Giovanissimo, cominciò a militare nel locale movimento
socialista; dopo aver compiuto gli studi liceali a Napoli,
all'inizio del Novecento si trasferì a Roma, dove si
laureò in giurisprudenza e cominciò a lavorare,
dapprima come funzionario del ministero della Pubblica Istruzione e
quindi come avvocato. Nella capitale il M. si legò agli
ambienti del sindacalismo rivoluzionario, e fu tra i primi ad
abbandonare il socialismo e l'"azione diretta" per spostarsi, fin
dal 1908-09, verso il nascente movimento nazionalista.
Insieme con E. Corradini, L. Federzoni, F. Coppola - nonché
con l'amico e compagno di studi, d'identica provenienza
sindacalrivoluzionaria, R. Forges Davanzati -, il M. fu figura di
spicco del gruppo nazionalista romano, dal 1909 raccolto intorno
alla rivista Il Carroccio e nucleo direttivo dell'Associazione
nazionalista italiana (ANI), nata ufficialmente al congresso
costitutivo di Firenze (3-5 dic. 1910); collaboratore dal 1911 de
L'Idea nazionale, ne fu condirettore tra il 1920 e il 1922.
Il M. fu tra coloro che, fin dal principio, più orientarono
il nazionalismo italiano in senso nettamente antiparlamentare, oltre
che filomonarchico, imperialista e antisocialista. In questo quadro
egli si batté al fine di emarginare le componenti più
democratiche e tradizionalmente irredentistiche dell'ANI, raccolte
soprattutto attorno a S. Sighele, P. Arcari, E. Rivalta, che furono
espulse al congresso di Roma del 1911. Dopo la guerra di Libia,
primo grande evento catalizzatore delle energie nazionaliste
italiane, il M. appoggiò la trasformazione dell'ANI da
movimento a partito, vale a dire a raggruppamento capace "di attuare
nello Stato un disegno politico nuovo: di fare cioè una
politica nazionalista" (Perfetti, 1984, p. 173).
In tal senso il M., alternativamente presente sia nella giunta
esecutiva sia nel comitato centrale dell'ANI, caldeggiò un
orientamento volto a fare del nazionalismo il fulcro d'un nuovo,
aggressivo cartello di estrema destra, il quale mirava ad aggregare
liberalconservatori e clericali, e che alle elezioni amministrative
di Roma del 1914 si raccolse nel cosiddetto "blocco d'ordine",
schierato in funzione antisovversiva, ma anche antimassonica e
antigiolittiana, contro l'ex sindaco E. Nathan.
Erano gli albori d'un progetto che sarà poi compiutamente
fascista, e che gli eventi traumatici della prima guerra mondiale
renderanno attuabile nel Paese intero.
Interventista, poi volontario nella Grande Guerra, il M.
esasperò in questi anni il suo antisocialismo, divenuto dal
1917 antibolscevismo, ma anche l'opposizione ai partiti e allo Stato
liberali.
Dinanzi all'emergere di forze che, come il comunismo e il socialismo
massimalista, venivano giudicate "antinazionali", egli riteneva i
valori della nazione non più tutelati a sufficienza dai
partiti d'ispirazione risorgimentale. Prendeva così corpo un
discorso, e quindi un pensiero politico, che possono essere
considerati compiutamente controrivoluzionari: di fronte
all'agnosticismo dello Stato liberale e al parallelo pericolo
bolscevico, l'azione delle forze nazionali doveva essere eversiva,
ovvero rivolgersi contemporaneamente contro lo Stato e contro il
comunismo, quindi abbattere il primo, sostituendolo con una nuova
forma totalitaria sul piano politico e giuridico, al fine di
combattere davvero il secondo. Il fil rouge degli scritti del M.,
d'altronde, può essere riconosciuto in un'idea cardine:
"Stato e nazione non [sono] due fenomeni distinti, bensì due
aspetti di uno stesso fenomeno. Ma la identificazione si trasforma
presto nell'affermare il predominio dello Stato sulla nazione",
sì che il suo nazionalismo, "partito dalla necessità
di reagire ai limiti posti dal determinismo democratico al concetto
di patria […] si tramuta in una fobìa del popolo" (Arcari,
II, pp. 760, 762).
In tale quadro il M. fu non a caso, sin dal 1919, tra i più
benevoli all'interno dell'ANI di fronte alla costituzione dei Fasci
di combattimento e, dopo la marcia su Roma, si prodigò in
favore della confluenza dell'Associazione nel Partito nazionale
fascista (PNF), avvenuta ufficialmente con la firma del patto di
fusione il 23 febbr. 1923. Membro da questa data e a più
riprese degli organi direttivi del PNF e dello Stato mussoliniano,
presente in diverse, importanti commissioni (da quella per il
progetto di riforma elettorale, culminato nella cosiddetta legge
Acerbo del novembre 1923, all'altra, sempre del 1923, volta a
irregimentare i sindacati fascisti), prima vicedirettore poi
condirettore, dal 1926, insieme con Forges Davanzati, de La Tribuna
(fusasi nel 1925 con L'Idea nazionale), il M. divenne pertanto una
figura di primo piano del regime. Assommando fino agli anni Trenta
cariche istituzionali prestigiose (fu, tra l'altro, presidente della
Confederazione nazionale enti autarchici e della Società
anonima bonifiche calabresi), insegnò inoltre, dal 1928,
storia e dottrina generale del fascismo all'Università di
Perugia e, dal 1930, diritto pubblico in quella di Roma; tra il 1937
e il 1940 fu collaboratore del Nuovo Digesto italiano. Deputato dal
1924 al 1939, fu eletto nella XXVII, XXVIII e XXIX legislatura (la
prima nella circoscrizione elettorale Calabria e Basilicata, le
restanti nel collegio unico nazionale), mentre nel 1939 (XXX
legislatura) fu nominato senatore.
Fin dal 1922 e durante il progressivo consolidarsi del fascismo, il
M. si distinse per l'appoggio alla duplice linea politica fatta
propria da B. Mussolini: da un lato accelerare il processo di
completa sovrapposizione del PNF allo Stato, accentuando così
gli aspetti più totalitari e illiberali del regime, che
doveva potersi sbarazzare d'ogni altra formazione politica,
sì da rimanere solo nell'occupazione di tutti i gangli
istituzionali; dall'altro, nell'ambito della cosiddetta Destra
normalizzatrice in cui comparivano alcuni ex nazionalisti come
Federzoni, Corradini, A. Rocco, moderare le velleità
rivoluzionarie di R. Farinacci e della sinistra fascista. Va letto
in questa prospettiva il suo impegno a costruire un regime
rispettoso dell'istituto monarchico e della Chiesa, ma anche un
corporativismo pensato come necessario puntello sociale del
fascismo, e in cui le singole categorie dei produttori, sebbene
subordinate all'autorità sovrana dello Stato, venivano in
pratica a sostituire la tradizionale rappresentanza
politico-parlamentare.
Fin dal 1919 attivo nella militanza nazionalfascista nella sua
regione, in specie a Cosenza - dove nel 1921 alcuni squadristi, dopo
un suo comizio, avevano ucciso uno studente comunista -, il M. fu
inoltre, sino alla metà degli anni Trenta, un notabile di
prim'ordine della Calabria mussoliniana insieme con i conterranei M.
Bianchi, A. Lanzillo e L. Razza, tutti ex sindacalisti. Dalla fine
di quel decennio, tuttavia, egli appare sempre più defilato,
nell'ambito d'un regime che giudicava troppo estremista. Il suo
astro, d'altronde, era tramontato anche per il crescente discredito
presso il duce, a causa dei legami del M. con ambienti affaristici
capitolini e calabresi.
Tali legami, tra il 1924 e il 1934, avevano comportato per il M.,
oltre a guadagni favolosi, l'implicazione nel crac della Banca del
Sud e nella spregiudicata gestione della Società anonima
bonifiche calabresi (cfr. Roma, Arch. centr. dello Stato, f.
Maraviglia, Maurizio).
Alla caduta del regime egli, dopo essere stato recluso in un campo
di prigionia alleato, fu deferito all'Alta corte di giustizia per le
sanzioni contro il fascismo, ma definitivamente prosciolto nel 1948.
Ritiratosi a vita privata, il M. morì a Roma il 26 maggio
1955.