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Rivoluzionario e uomo di stato cinese (Shaoshan, prov. Hunan, 1893 -
Pechino 1976). Nato da media famiglia contadina, passò la
giovinezza nello Hunan, dove svolse varî mestieri e
compì studî irregolari. Dal 1912 al 1918, presso la
scuola normale di Changsha, si avvicinò alla cultura
occidentale (Darwin, A. Smith, Rousseau, ecc.) e approfondì
nel contempo la conoscenza delle tradizioni filosofiche e letterarie
della Cina. Nel 1918 si trasferì a Pechino e lavorò
all'università come aiuto bibliotecario; a contatto con Li
Dazhao, direttore della biblioteca, e con le correnti radicali e
rivoluzionarie avvenne la sua maturazione politica e nel 1920
aderì al marxismo. In particolare, su di lui avevano fatto
presa gli sviluppi dell'Internazionale comunista e l'idea leniniana
che nei paesi meno sviluppati e in condizioni coloniali il processo
rivoluzionario dovesse acquistare caratteristiche nazionali,
coinvolgere cioè con le classi popolari la borghesia
nazionale in una lotta di liberazione.
Nel 1921 partecipò a Shanghai alla fondazione del Partito
comunista cinese, sezione della terza Internazionale, che
aderì al partito nazionalista, il Guomindang, guidato da Sun
Zhongshan, dal 1923 sostenuto dai Sovietici e favorevole alla
collaborazione con i comunisti. Dirigente del Guomindang di
Shanghai, nel 1925 M. Z. divenne tra i leader più influenti
della sezione agraria del Guomindang; tornò nello Hunan per
organizzarvi le masse rurali e in alcuni scritti (Analisi delle
classi nella sociatà cinese, 1926; Inchiesta sul movimento
contadino nello Hunan, 1927) delineò un originale progetto
politico rivoluzionario incentrato sulle potenzialità di
liberazione delle masse contadine, progetto al quale corrispondeva
l'esigenza di forgiare un partito capace di operare apertamente tra
le masse nella prospettiva di una presa del potere che sarebbe
scaturita non da un'insurrezione ma verosimilmente da una lotta di
lungo periodo.
La figura di M. Z. emerse dopo che Jiang Jieshi, nuovo leader del
Guomindang succeduto a Sun, provocò la rottura con i
comunisti (apr. 1927, massacro dei comunisti a Shanghai):
sostenitore di un'insurrezione generale che coinvolgesse
città e campagna, fu tra gli organizzatori della
"sollevazione dei raccolti d'autunno" e commissario delle operazioni
nello Hunan. La rivolta fu sedata dal Guomindang e M. Z.
guidò i suoi nella ritirata, mentre il partito lo accusava di
avventurismo militare e lo escludeva dal comitato centrale.
Dalla riflessione su questa sconfitta emerse finalmente la linea che
avrebbe caratterizzato gli anni a venire, incentrata essenzialmente
nel nesso tra rivoluzione sociale (innanzitutto la riforma agraria)
e liberazione progressiva del territorio nazionale. A questo scopo
M. Z. iniziò, con i reduci della fallita insurrezione dello
Hunan, l'edificazione dell'Armata rossa, esercito a base contadina
che divenne parte integrante del partito maoista, mentre l'altro
spezzone del partito, guidato da Li Lisan, più vicino alle
posizioni sovietiche, continuava, peraltro senza successo, a
organizzare rivolte a base urbana.
Dal nov. 1927 il movimento di M. Z. si estese dai monti Jinggang
alle province di Jiangxi e Fujian; nel sett. 1931 fu proclamata la
repubblica socialista di Jiangxi e M. Z. ne fu eletto presidente,
mentre i Giapponesi invadevano la Manciuria. Allorché lo
Jiangxi fu investito dalle durissime "campagne di annientamento" del
Guomindang, M. Z. rispose (ott. 1934) con una storica ritirata (la
"lunga marcia") verso Yan'an, nello Shaanxi, che salvò il
partito dalla distruzione, e nel corso della quale (circa 10.000 km)
furono conquistati alla causa rivoluzionaria i contadini di varie
regioni.
Intanto alcuni influenti dirigenti comunisti (tra questi Zhou Enlai)
si erano convinti delle tesi maoiste e nel genn. 1935 (conferenza di
Zunyi) a M. Z. fu conferita la leadership del partito. Si
formò allora quello "spirito di Yan'an" al quale la politica
maoista si sarebbe sempre richiamata e al quale, dopo la
rivoluzione, si sarebbe informato a lungo lo stato cinese:
egualitarismo, frugalità, comunitarismo, fusione tra civile e
militare e tra teoria e pratica, prevalenza della cultura popolare e
contadina e delle sue radici nazionali, ecc.
Il periodo di Yan'an fu inoltre per M. Z. estremamente fecondo sul
terreno della produzione letteraria (scrisse molte delle sue poesie,
in stile tradizionale, largamente diffuse) e filosofica: i saggi
(1937) Sulla pratica e Sulla contraddizione riprendono i temi della
dialettica ereditati da Hegel, Marx e Lenin, inseriti però
nel contesto della tradizione filosofica cinese (vi sono rinvenibili
chiare ascendenze taoiste), con una forte caratterizzazione in senso
antimetafisico e un'insistenza sull'origine pratica della conoscenza
e sull'universalità della contraddizione.
Nel 1937 sposava Jiang Qing, che gli sarebbe stata vicina per il
resto della vita.
Mentre perdurava la guerra civile tra il Guomindang e i comunisti
(che oltre allo Shaanxi controllavano varie regioni soprattutto
nella Cina centrale e settentrionale), l'invasione giapponese
(luglio 1937) costrinse le due forze all'armistizio e alla lotta
contro il comune nemico. M. Z. guidò il partito in una
strategia che saldava insieme la lotta antimperialista e la lotta
antifeudale applicando la riforma agraria nelle zone liberate (Il
ruolo del Partito comunista cinese nella guerra nazionale, 1938;
Sulla nuova democrazia, 1940; Sul governo di coalizione, 1945),
linea che diede modo all'Armata rossa di combattere in un più
ampio fronte di liberazione e al partito di radicarsi in larga parte
del paese, creando così le premesse della fase successiva
della rivoluzione.
Nel frattempo il prestigio di M. Z. nel partito cresceva al punto
che il VII congresso (1945) consacrava il pensiero di M. Z. come
"l'unica guida per l'azione".
Uscito di scena il Giappone (ag. 1945), la fragile tregua firmata da
M. Z. e Jiang (ott. 1945) lasciò posto ben presto al
riaccendersi della guerra civile, ma ora i rapporti di forza nella
società cinese erano largamente favorevoli al partito
comunista e il Guomindang andò incontro alla sconfitta
decisiva e riparò a Taiwan: il 1° ott. 1949 fu proclamata
la Repubblica Popolare di Cina e M. Z. divenne presidente del
Consiglio del governo centrale del popolo, primo organismo del nuovo
stato. Questo nasceva con una forte impronta maoista (La dittatura
democratica popolare, 1949), che avrebbe conservato fino alla morte
del "grande timoniere" e per certi versi successivamente, anche se
M. Z., che pur avrebbe mantenuto a vita la presidenza del comitato
centrale del partito e goduto di un enorme prestigio, non tese a
impersonare il potere in ogni suo aspetto, bensì a guidare le
principali svolte politiche, sviluppando una concezione
sostanzialmente inedita dello stato socialista, sintetizzata, poi,
in un discorso del 1957 (Sulla giusta soluzione delle contraddizioni
in seno al popolo); qui M. Z. sottolineava come, oltre alle
"contraddizioni antagoniste" (quelle con il nemico di classe), ve ne
fossero altre prodotte dallo stesso sviluppo socialista, la cui
soluzione andava cercata in un "costante processo di
riaggiustamento", lasciando aperta la dialettica e la competizione
tra tutte le componenti della società (il partito, i
contadini, gli operai, gli intellettuali, ecc.).
Dopo la prima fase di assestamento della Cina postrivoluzionaria,
con l'adozione della costituzione del 1954 M. Z. assunse la
presidenza della Repubblica, che avrebbe mantenuto fino al 1959. Dal
1955 la presenza di M. Z. si caratterizzò soprattutto
nell'accentuazione della collettivizzazione agricola (contro le
tendenze neoborghesi e quelle ispirate al modello sovietico) e nella
riproposizione dello spirito di Yan'an in funzione antiburocratica.
Si delineava così un percorso diverso da quello sovietico e
la destalinizzazione offrì l'occasione per l'esplicitazione
di un dissenso (1957) che avrebbe in seguito coinvolto non solo i
due partiti comunisti ma anche i due stati e l'intero movimento
comunista internazionale.
Sul piano interno, l'insistenza di M. Z. su una linea
antiburocratica che privilegiava l'agricoltura generò forti
opposizioni nel partito e nello stato, alle quali M. Z. rispose
radicalizzando il conflitto, peraltro con un pronunciato piglio
ideologico contro il "revisionismo filosovietico", e mobilitando
l'esercito (col sostegno del ministro della Difesa Lin Biao), i
giovani della guardia rossa, molti intellettuali, e giungendo infine
a scatenare (nov. 1965) la rivoluzione culturale. Questa, che
investì nella critica il presidente della Repubblica Liu
Shaoqi e assunse talora gli aspetti di una guerra civile, si
concluse dopo tre anni con la completa vittoria dei maoisti, tale
che il congresso del partito del 1969 proclamava nuovamente il
pensiero di M. Z. base teorica del comunismo cinese.
Ciò non risolveva tutti i conflitti in seno al nuovo gruppo
dirigente e la rottura tra M. Z. e Lin Biao, sostenitore in politica
estera di una strategia rivoluzionaria terzomondista, si risolse nel
1971 a favore del primo; già verificatisi scontri armati con
i Sovietici sul confine dell'Ussuri (1969), la caduta di Lin preluse
a un avvicinamento della Cina agli Stati Uniti (1972, incontro a
Pechino tra M. Z. e R. Nixon) e alla CEE.
Negli ultimi anni M. Z. tese a consolidare i risultati conseguiti
con la rivoluzione culturale e il X congresso del partito (1973)
diede l'avvio alla seconda repubblica, la cui costituzione
entrò in vigore nel genn. 1975. La ripresa della lotta tra
moderati e maoisti si saldò ben presto con i problemi di
successione posti dalla morte di Mao. A difenderne le posizioni
rimase in prima fila un gruppo di dirigenti di Shanghai (in seguito
spregiativamente denominati banda dei quattro) guidati dalla vedova
Jiang Qing, che vennero battuti in un lungo scontro che vide
peraltro l'eclissarsi di Hua Guofeng (1980).
Con l'emergere della nuova leadership attorno a Deng Xiaoping, la
complessa, articolata e talora contraddittoria eredità di M.
Z. è stata oggetto di molte critiche, legate al progressivo
allontanamento della politica cinese dalle strategie maoiste,
critiche che non hanno investito il ruolo di M. Z. come principale
artefice della Cina moderna.
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Mao Tse Dong
Biografia
Nato il 26 dicembre 1893 a Shaoshan, Mao Zedong (scritto anche Mao
Tse-Tung) è l'uomo che ha cambiato il volto della Cina. Nel
bene e nel male, Mao è stato uno dei personaggi più
influenti e controversi del XX secolo, in patria come all'estero. La
sua dottrina ha lasciato tracce profonde all'interno dell'ideologia
comunista. Ma le repressioni, le violenze della Rivoluzione
Culturale, i fallimenti economici gettano un'ombra scura sulle
scelte del leader comunista, la cui immagine ancora svetta
all'entrata della Città Proibita a Pechino.
Intellettuale, fine stratega, poeta, Mao Zedong guidò la
Terra di Mezzo per più di 30 anni, influenzando il pensiero
di molti comunisti di tutto il mondo. Eppure la figura di Mao rimane
ancora tuttora controversa, in Cina così come nel resto del
mondo.
La sua visione politica, la sua capacità di resistere,
superare e annientare gli avversari, la strada da lui tracciata per
la nascita di uno stato moderno, per molti furono l'alternativa allo
stalinismo e alle atrocità commesse dal dittatore sovietico,
denunciate dal suo successore Kruscev.
La Rivoluzione Culturale del 1966 rappresentò, per le
generazioni ribelli, la possibilità di abbattere le
costrizioni e le ipocrisie della borghesia. Il comunismo di Mao, il
Maoismo, ben diverso da quello realizzato nella industrializzata
Unione Sovietica, ispirò una grossa fetta di politici,
rivoluzionari, intellettuali in tutto il mondo.
Ma la conta delle vittime, la fame patita dai cinesi negli anni del
Grande Balzo in Avanti, le deriva violenta della Rivoluzione
Culturale e la dura repressione dei oppositori, restituiscono
un'immagine ben diversa del leader comunista.
La Cina del 1949, anno in cui Mao proclamò la nascita della
Repubblica Popolare, era un paese minacciato da più di un
secolo dall'ingerenza straniera, arretrato, la cui economia era
ancora a prevalenza agricola, dove la rivoluzione industriale non
era stata capace di permeare, nel bene e nel male, le tradizionali
strutture economiche e sociali. Mao fu capace di costruire una
nazione indipendente e moderna, ma a costo di una delle più
spietate dittature della storia.
La carriera politica di Mao iniziò molto presto, in una Cina
ancora governata dalla dinastia imperiale. Nel 1911, infatti, il
giovane rivoluzionario, all'epoca diciassettenne, si unì alla
rivolta anti-imperiale, che in poco più di unno avrebbe
portato alla fine della dinastia Qing. Ma dopo la breve esperienza
politica, Mao decise di continuare gli studi e recarsi nella
capitale dove divenne aiuto-bibliotecario.
Nella formazione di Mao, come degli altri leader rivoluzionari,
giocò un ruolo importante la cultura occidentale. Le letture
di Rousseau e Montesquieu, Adam Smith, Darwin, Spencer, offrirono
agli intellettuali progressisti di inizio secolo una visione ben
diversa della realtà, della storia e delle dinamiche sociali
e economiche.
Per la prima volta oggetto di discussione erano l'individuo e la sua
realizzazione personale, svincolato dalle rigide strutture
gerarchiche tradizionali della società cinese, dove la
ribellione all'autorità non era in alcun modo contemplate. In
questo senso, la vera "rivoluzione" fu la conoscenza della dottrina
marxista, al quale Mao si avvicinò a partire dal 1918 grazie
a Li Dazhao, capo della biblioteca dove il giovane lavorava.
La nascita della repubblica cinese coincise con un ulteriore
indebolimento della nazione. Dopo la morte di Yuan Shikai la Cina,
infatti, si trovò inglobata nella famelica espansione
nipponica. Così a partire dal 1919, con la fine della Prima
Guerra Mondiale, nacquero i primi veri movimenti rivoluzionari a cui
presero parte intellettuali e masse popolari.
Il Movimento del 4 maggio, in particolare, sancì la fine del
confucianesimo tradizionale, rinvigorendo le speranze di chi voleva
trasformare la Cina in una nazione moderna. Intanto, la Rivoluzione
d'Ottobre in Russia aveva indicato una nuova alternativa politica e
ideologica, con il suo accento di internazionalismo in una possibile
rivoluzione socialista.
Infiltrati all'interno del Partito Nazionalista Cinese (Kuomintang,
KTM) di Sun Yat, i membri infiltrati del Komitern sovietico (la
parola tedesca è contrazione dei Kommunistische
Internationale, cioè la Terza Internazionale Comunista, il
comitato che coordinava i partiti comunisti di tutto il mondo)
appoggiarono la nascita di un Partito Comunista Cinese (PCC), che
avvenne a Pechino nel 1921.
Nei suoi primi anni di vita, il PCC si vide costretto a collaborare
con il KTM per riunificare la Cina e annientare il potere dei
signori della guerra, supportati dai ricchi latifondisti.
Inizialmente riluttante alla collaborazione con il KTM, Mao
riuscì ad approfittare della situazione.
In un clima politico incerto, in un paese ancora pressato
dall'ingerenza straniera, il giovane rivoluzionario vide proprio nei
contadini la forza eversiva che avrebbe potuto portare la Cina sulla
via del comunismo.
Dall'esperienza di quegli anni, infatti, Mao trasse ispirazione per
la formulazione di una nuova visione della rivoluzione socialista. A
differenza di quanto era accaduto in Russia, in Cina la rivoluzione
industriale non aveva permeato a fondo la struttura economia. Il
paese era ancora legato all'agricoltura, in cui i ricchi proprietari
terrieri, sfruttavano il lavoro dei braccianti. In questa
particolare situazione, Mao vide proprio nelle agitazioni contadine
la fonte da cui attingere per la rivoluzione.
I contadini cinesi non erano come gli operai di Marx, motivati da
precise scelte ideologiche, ma la loro ribellione era molto
più vicina alle imprese epiche dei banditi-eroi delle
insurrezioni popolari della storia cinese. La capacità di Mao
fu proprio quella di saper indirizzare la disperazione dei poveri
agricoltori in rivoluzione, tanto che nel 1928 il VI congresso
comunista appoggiò la nascita in Cina di veri e propri Soviet
rurali.
Dopo la morte di Sun Yat, la guida del KTM fu affidata al suo
braccio destro, Chiang Kai-shek, le cui posizioni politiche andarono
radicalizzandosi nel partito sempre più verso destra, tanto
da rompere l'alleanza tra Partito Nazionalista e PCC.
A partire dal 1925, il Kuomintang divenne l'unico partito a capo
della Cina unificata. Dalla nuova capitale Nanchino, il governo
lanciò una dura repressione contro i militanti comunisti e,
in quel periodo, lo stesso Mao rischiò la vita più di
una volta.
Mao organizzò la resistenza agli attacchi dell'esercito di
Chiang Kai-shek, cercando di coinvolgere anche le popolazioni
rurali. Intanto, a partire dal 1934, i militanti comunisti
ripiegarono dalla regione centro orientale dello Jiangxi verso
occidente dove, nello Hunan, raggiunsero altri gruppi di insorti.
Ebbe inizio quella che fu chiamata la Lunga Marcia che si concluse
con la consacrazione di Mao a capo del partito. In quell'occasione,
anche la strategia rivoluzionaria cambiò segno. Dalla
guerriglia urbana, i comunisti crearono un vero e proprio esercito,
la cosiddetta Armata Rossa.
Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, però, PCC e KTM
dovettero coalizzarsi nuovamente per arginare l'ennesima avanzata
nipponica. La paura dell'invasione giapponese fornì a Mao
un'importante occasione per motivare le masse all'insurrezione. La
vittoria della Cina sul nemico giapponese, reso possibile grazie
all'intervento statunitense e sovietico, aprì una nuova fase
nella storia cinese.
Da un lato il KTM ormai aveva perso prestigio, minacciato dalla
dilagante corruzione interna, dall'altro il PCC aveva guadagnato
sempre consenso, facendosi portavoce delle aspirazioni delle classi
più deboli. Ancora una volta Mao seppe approfittare della
situazione.
Fu proprio la sua proposta di creare una sorta di coalizione
nazionale, in cui classe operaia, contadini, piccola borghesia
urbana e borghesia nazionale, si univano sotto la direzione del PCC
per sconfiggere i Nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek e portare
la rivoluzione socialista in Cina a rivelarsi vincente.
La guerra civile tra KTM e PCC, in realtà, fu poco più
che l'ascesa inarrestabile dei comunisti, i quali da Nord Est, dove
avevano riparato nel secondo dopoguerra, entrarono vittoriosi a
Pechino. Il primo ottobre 1949, nella piazza Tienanmen, dichiararono
la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Mao, ormai leader
indiscusso del partito, divenne il presidente del governo centrale.
La Cina di Mao si avviò verso la modernità, forte di
un primo sostegno economico e militare da parte sovietica. Ma il
desiderio di riforme drastiche spinse il Grande Timoniere, come
ormai Mao veniva chiamato, ad attuare una serie di riforme,
economiche e sociali, che avrebbero portato la Cina a competere con
le atre nazioni industrializzate.
Il primo passo da compiere, infatti, era statalizzare l'economia,
per poi sostenere uno sviluppo rapido sia dell'agricoltura che
dell'industria. I tentativi di costruire una società
comunista, la volontà di riscattare la Cina dalla sua
arretratezza e dalla continua subordinazione alle nazioni straniere,
portò Mao a spingere sull'acceleratore delle riforme, che non
sempre ottennero il successo desiderato, anzi in molti casi si
rivelarono delle vere e proprie tragedie per tutto il popolo cinese.
Ancor prima del Grande Balzo in Avanti, Mao lanciò una prima
campagna di autocritica per distanziare il comunismo cinese dalla
rigidità sovietica.
La Campagna dei Cento Fiori iniziò nel 1956 con lo scopo di
democratizzare la Cina, favorendo la produzione artistica e
intellettuale di chi intendeva criticare l'operato del Grande
Timoniere.
Nel 1957, Mao aveva scritto il libro "Sulle contraddizioni in seno
al popolo", in cui esprimeva un aspetto fondamentale del Maoismo: la
possibilità che, dopo la rivoluzione, all'interno del popolo
potessero sorgere delle contraddizioni, anche se non "antagoniste",
capaci di restaurare comunque il capitalismo. Tali forze avrebbero
dovuto essere annientate con il dibattito e la rieducazione.
Ben presto però le proteste contro l'establishment si
moltiplicarono, coinvolgendo il Partito stesso e la forma di Stato e
legandosi allo scontento di contadini ed operai.
Nel 1957 Mao decise allora di dichiarare conclusa l'esperienza della
Campagna dei Cento Fiori, dando inizio alla repressione che, fu
estremamente facile.
Molti degli intellettuali, studenti e politici che avevano aderito
all'invito a manifestare liberamente il proprio pensiero, furono
presto identificati, arrestati e inviati nei campi di rieducazione.
Il primo tentativo di modernizzare la Cina prese il nome di Grande
Balzo in Avanti, un piano quinquennale di riforme partito nel 1958.
In quegli anni, alle cooperative di lavoratori si sostituirono le
Comuni popolari, veri e propri distretti urbani, dove a fianco dei
campi agricoli, sorsero le prime industrie.
La creazione delle Comuni riguardò milioni di cinesi.
Già verso la fine del 1958, infatti, furono create 25.000
Comuni, ognuna delle quali contava circa 5.000 famiglie.
Venne bandita la proprietà privata, abolito il salario e
sostituito con dei punti lavoro. L'ambizione di Mao era quella di
fare della Cina un paese moderno, la cui industria pesante avrebbe
potuto competere con quella europea.
Pertanto da Pechino arrivò l'ordine per decine di milioni di
contadini di abbandonare i campi. I contadini vennero trasformati in
manodopera per la nascente industria siderurgica. Ben presto,
però, il Grande Balzo in Avanti si rivelò un disastro.
Sebbene la Cina potesse disporre di una manodopera a bassissimo
costo, mancava di un adeguato stuolo di tecnici e esperti. Complice
del fallimento furono le gravi carestie che colpirono la Cina tra il
1959 e il 1960.
Nel 1959, il Fiume Giallo ruppe gli argini, causando la morte di
circa 2 milioni di persone. La siccità e la scarsità
del raccolto gettarono la Cina in ginocchio. Le stime sul numero di
vittime causate dalle carestie è del tutto impreciso, e
oscilla tra i 14 milioni e 43 milioni (come spesso succede, la conta
dei morti dipende da chi pubblica le relative stime, pertanto per il
governo cinese le vittime si aggiravano attorno ai 14/20 milioni).
Da un punto di vista economico, il fallito tentativo di modernizzare
il paese, favorendo l'abbandono della produzione agricola,
bloccò lo sviluppo della Cina. Infatti, se nel 1958 la
produzione di acciaio era aumentata del 45% e del 30% nei successivi
due anni, nel 1961 l'industria pesante crollò a picco, tanto
da non raggiungere nemmeno il livello produttivo del 1957. Lo stesso
Mao, infatti, si vide costretto a fermare il programma di riforme in
anticipo.
Il Grande Balzo in Avanti, quello che doveva rappresentare la
rivoluzione industriale cinese, si tramutò in un fallimento
totale che mise a repentaglio la stessa leadership di Mao.
Tra i maggiori oppositori di Mao, Deng Xiaoping e Liu Shaoqi, le cui
posizioni erano molto più moderate, guadagnarono sempre
più consensi all'interno del Partito Comunista. Ma ancora una
volta, Mao seppe sfruttare la difficile situazione politica e
riportarsi alla guida indiscussa del paese.
Per arginare la crescente opposizione interna, Mao lanciò un
nuovo programma di riforme che avrebbe epurato dal Partito e da
tutto il paese tutti quegli elementi borghesi, e quindi corruttori
del socialismo reale che Mao voleva realizzare in Cina, così
come aveva teorizzato nel libro "Sulle contraddizioni in seno al
popolo".
La strada per diffondere la dottrina comunista nel vastissimo
territorio cinese prese il nome di Rivoluzione Culturale. A partire
dall'estate del 1966, Mao coinvolse nella programma centinaia di
miglia di giovani, per lo più studenti universitari,
appartenenti alla "terza generazione", cioè ragazzi e ragazze
nati dopo il 1949, anno della Rivoluzione, i quali dovevano essere
educati dagli eroi della "prima generazione" (cioè quella di
Mao).
Già nel maggio del 1964, grazie al lavoro di Lin Piao,
dirigente comunista, era stato pubblicato il famoso Libretto Rosso,
breve raccolta di scritti di Mao, destinato soprattutto all'esercito
e ai giovani.
La propaganda comunista doveva passare anche attraverso il culto
della personalità. Così da Pechino arrivò
l'ordine di esporre in tutti i luoghi pubblici ritratti e busti del
Grande Timoniere.
A partire dal 16 giugno al 5 agosto 1966, gli studenti, forti degli
insegnamenti contenuti nel Libretto Rosso, attaccarono il
revisionismo che si era insinuato all'interno del PCC, nonché
le autorità accademiche critiche dell'operato del regime.
Cominciarono a tenersi comizi e adunanze di massa in cui Mao veniva
osannato come un idolo pop.
Così, mentre il Partito sembrava volersi sbarazzare del
Grande Timoniere, i giovani della Rivoluzione eressero un vero e
proprio muro a difesa della sua leadership, e Mao, il 16 giugno del
1966, all'età di 73 anni, dimostrò al mondo intero la
sua forza, non solo politica, con la famosa nuotata nel fiume Yanzi.
Negli anni successivi, la Rivoluzione Culturale andò
espandendosi sempre più, tanto che i giovani di Mao si
organizzarono dando vita alle cosiddette Guardie Rosse, il cui nome
aveva origine nella scuola media connessa al politecnico di Pechino.
Gli unici giovani ammessi a partecipare alla Rivoluzione Culturale
dovevano provenire da "5 tipi di rosso", cioè essere figli
degli operai, dei contadini poveri, dei quadri di partito, dei
martiri e dei soldati della rivoluzione del 1949.
Man mano che il movimento cresceva, però, la Cina era sempre
più sull'orlo della guerra civile. In poco tempo gli studenti
avevano distrutto moltissime opere Nel giugno 1967, infatti, le
Guardie Rosse occuparono il ministero degli esteri e l'ambasciata
russa, mentre bruciarono quella indonesiana e quella britannica.
Pochi mesi dopo il paese precipitò nel baratro. Gli studenti,
a cui lo stato aveva pagato viaggi e mezzi di sussistenza per
portare la dottrina di Mao in tutta la Cina, si scontrarono contro
alcune fazioni dell'esercito, contrarie alla Rivoluzione Culturale.
Mao ordinò il ritorno alle aule, vietando agli studenti di
viaggiare per il paese. Il nuovo motto degli studenti di Mao divenne
"Usate la razione, non la violenza", con quale occuparono
pacificamente le università.
Sebbene l'ordine di fermare le violenze provenisse proprio da Mao e
le Guardie Rosse fossero state sciolte, gli scontri più
cruenti durarono fino al 1969. Ma gli strascichi della Rivoluzione
Culturale rimasero fino alla morte dello stesso Grande Timoniere.
Ormai malato di Parkinson, la figura di Mao era divenuta del tutto
simbolica, e a Pechino attendevano la sua morte. Uno degli ultimi
impegni del leader cinese fu l'incontro con il presidente degli
Stati Uniti, Richard Nixon.
Lo storico summit del 1972 fu fondamentale per creare quel clima
politico che avrebbe portato alla distensione degli anni '70 nei
rapporti tra est-ovest, e al tempo stesso, avrebbe segnato l'inizio
dell'apertura cinese nei confronti del mondo occidentale.
*
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MAO TSE-TUNG
A cura di Diego Fusaro
"Il mondo è vostro quanto nostro, ma, in fin dei conti,
è a voi che appartiene. Voi giovani siete dinamici, in piena
espansione, come il sole alle otto o alle nove del mattino. In voi
risiede la speranza. Il mondo appartiene a voi. A voi appartiene
l'avvenire." (Conversazione con alcuni giovani, 17.11.1957).
[...]
IL PENSIERO
Con la figura di Mao Tse-Tung ci troviamo di fronte, non meno che
con Lenin, ad una concretizzazione (molti preferiscono parlare di
“trasfigurazione”) della prassi rivoluzionaria teorizzata da Marx e
da Engels, ai quali Mao direttamente si richiama. L’esperienza del
comunismo cinese ha avuto un ruolo decisivo anche in forza
dell’influenza esercitata sull’Occidente, nella misura in cui
(soprattutto nel periodo di rottura tra URSS e Cina, nel 1959-61)
molte frange studentesche e molti dissidenti dei partiti comunisti
hanno assunto il maoismo come modello.
Mao partecipa attivamente alla fondazione del Partito Comunista Cinese (1921), e per qualche anno, attenendosi rigorosamente alla precettistica marxiana, è convinto che il protagonista della rivoluzione debba essere il proletariato urbano. Ma se Marx, soprattutto nel Capitale, puntava sulla classe operaia urbana, è perché si riferiva ad una realtà avanzata quale quella inglese: ora, nella Cina in cui Mao si trova a operare, non meno che nella Russia in cui operava Lenin, il proletariato urbano è una realtà pressoché inesistente, data l’arretratezza del Paese (in Cina il settore trainante era, com’è noto, quello agricolo). Si tratta cioè di trapiantare Marx in un mondo di contadini. Sicché, soprattutto dopo la dissoluzione del Partito (1927) e la sanguinaria repressione organizzata da Chiang Kai-Shek (leader del Kuomintang, ossia del Partito nazionalista cinese con cui, fino ad allora, i comunisti erano stati alleati), Mao matura la convinzione che in Cina la Rivoluzione debba caratterizzarsi essenzialmente come “rivoluzione contadina” ed essere condotta per “accerchiamento” delle città da parte delle campagne; queste ultime devono essere trasformate in veri e propri epicentri della prassi rivoluzionaria.
Seguendo questa sua innovativa lettura del marxismo, Mao, a partire dal 1929, promuove la creazione in campagna di “basi rosse”, dotate di proprie milizie, di vere e proprie cellule di uno Stato comunista in statu nascendi dal basso. Spetterà alla “lunga marcia” del 1934 a fare di Mao il leader indiscusso del Partito comunista cinese: con tale marcia, com’è noto, Mao condusse l’esercito rosso dalla Cina centrale alle regioni nord-occidentali del continente, in maniera da sfuggire alle truppe di Chiang. Quando il Giappone aggredirà la Cina (1937), le “due Cine” – quella di Chiang e quella di Mao – stringeranno un’alleanza (la versione cinese della politica dei “fronti popolari”) contro l’invasore, alleanza che si conserverà per l’intero periodo della guerra mondiale. Quando terminerà il conflitto bellico, riprenderà, con toni inaspriti, la guerra civile in Cina, che si concluderà soltanto nel 1949 col trionfo di Mao e con l’unificazione dell’intera Cina sotto il regime comunista. A seguito del consolidamento del potere, Mao avviò una fase di collettivizzazione rapida e forzata, che durò all'incirca fino al 1958.
Il PCC introdusse un controllo dei prezzi che riuscì con ampio successo a spezzare la spirale inflattiva della precedente Repubblica di Cina, ed una semplificazione della scrittura cinese che mirava ad aumentare l'alfabetizzazione. La terra venne ridistribuite dai proprietari terrieri ai contandini poveri e vennero intrapresi progetti di industrializzazione su larga scala, che contribuirono alla costruzione di una moderna infrastruttura nazionale. Durante questo periodo la Cina sostenne incrementi annui del PIL del 4-9%, oltra a un drastico miglioramento degli indicatori della qualità della vita, quali aspettativa di vita e alfabetizzazione. Il PCC adottò inoltre delle politiche intese a promuovere la scienza, i diritti delle donne e delle minoranze, combattendo al tempo stesso l'uso di droghe e la prostituzione. Il pensiero marxista di Mao trova espressione soprattutto in tre scritti: Sulla pratica, Sulla contraddizione (1937) e Sulle contraddizioni in seno al popolo (1957). Senza apportare grandi novità al “materialismo dialettico” di Marx, Engels e Lenin, questi scritti risultano curiosamente innervati dello spiritualismo confuciano della tradizione cinese e rappresentano una riflessione autonoma rispetto a quella staliniana.
Contrario a ogni irrigidimento dogmatico, Mao si richiama senza sosta agli insegnamenti della praxis e sostiene esplicitamente che, per qualsiasi problema (perfino quelli teorici), è necessario assumere la prassi come punto di partenza: ciò in base all’assunto (formulato in Sulla pratica) secondo cui “la conoscenza comincia con la pratica, raggiunge attraverso la pratica il piano teorico e deve poi ritornare alla pratica”. Il ritorno alla pratica è finalizzato a rinvenire in essa le conferme della teoria, ma anche e soprattutto, in un’ottica schiettamente marxiana, a dar vita ad un’azione trasformatrice della realtà esistente. Come aveva insegnato Hegel ancor prima di Marx, la realtà è intessuta di contraddizioni: ma essa non deve assolutamente essere imprigionata in schemi astratti e meramente concettuali; si tratta piuttosto di restare ancorati alla realtà, sottolineandone la determinatezza e l’incessante diversità che la caratterizza lungo il volgere dell’esperienza. Mao fa notare come, non appena la contraddizione presente sia stata risolta con la soppressione di uno dei due opposti, essa risorga e si ripresenti nella nuova situazione raggiunta: in ciò dev’essere individuata l’eredità taoista del divenire universale, oltre che l’idea di Trockij secondo cui la rivoluzione, per potersi affermare, deve assumere la forma di una “rivoluzione permanente”. Soprattutto con il saggio del ’57, Sulle contraddizioni in seno al popolo, Mao matura quest’idea della contraddizione, spingendola in direzione antistaliniana (siamo negli anni del XX Congresso del PCUS), ancorché egli non attacchi mai esplicitamente Stalin né aderisca al processo di destalinizzazione avviato in quegli anni nei Paesi dell’Est.
Mao distingue attentamente tra “contraddizioni principali e antagonistiche” (quelle dello scontro di classe) e “contraddizioni secondarie e non antagonistiche” (quelle che nascono in seno ad uno stesso partito, tra le diverse linee emergenti): nel caso in cui le “contraddizioni secondarie e non antagonistiche” si cristallizzino e si radicalizzino, esse diventano a loro volta contraddizioni antagonistiche; ma il partito rivoluzionario, secondo Mao, non deve in alcun caso soffocare gli antagonismi, pena il ricadere in un organismo burocratico e autoritario. Il partito deve anzi favorire le contraddizioni a sé interne: ed è sulla scia di questa convinzione che Mao, nel 1956, lancia la cosiddetta “politica dei cento fiori”, che però già nel 1957 assume una piega decisamente meno liberale. La politica dei cento fiori consiste nell’incoraggiamento della fioritura di libere discussioni nell’ambito dell’arte e della scienza. Ancor più che dai suoi scritti, le novità che Mao apporta al marxismo affiorano dalla sua prassi: in particolare, nell’opera che svolse nei decenni postrivoluzionari, allorché sorse il problema di costruire il socialismo in quello Stato arretrato e agricolo che era la Cina (ipotesi notoriamente non previste da Marx). Soprattutto avviando la cosiddetta “rivoluzione culturale”, nel 1965, destinata a durare per un quinquennio, Mao elaborò quella ricca serie di accorgimenti, di strategie e di precetti che vanno sotto il nome di “maoismo”: l’obiettivo era anche quello di contrapporsi all’URSS, con la quale la Cina aveva ormai rotto (soprattutto con la scelta delle “comuni agricole” e del cosiddetto “balzo in avanti” del 1958). Mao si propose anche di dare una soluzione all’annoso problema del rapporto tra struttura e sovrastruttura, lasciato in eredità da Marx stesso.
Rigettando l’idea che socialismo equivalga tout court a negazione della proprietà privata e dei mezzi di produzione, Mao resta fedele a Marx e sostiene che la struttura coincide con l’insieme dei rapporti sociali di produzione; la conseguenza è che la struttura non include esclusivamente la forma giuridica della proprietà, ma anche lo sviluppo delle forze produttive, la divisione del lavoro, il rapporto tra uomo e natura, tra uomo e macchina, tra uomo e uomo. Ne segue allora che il rapporto tra struttura e sovrastruttura non è il rapporto tra due componenti separate e autonome, ma piuttosto un rapporto in cui la sovrastruttura è intrinseca alla struttura materiale della società, ed è dunque inseparabile da essa. Da ciò scaturisce una concezione del processo rivoluzionario alternativa a quella sovietica: la rivoluzione è una trasformazione radicale e indivisibile, nel rapporto di produzione, dei rapporti sociali nella loro intera complessità. In forza di questa prospettiva, Mao rigetta il modello sovietico di accumulazione e sviluppo economico, incentrato sull’idea che un processo di rapida industrializzazione porterebbe automaticamente a una società socialista, secondo il motto di Lenin: “elettrificazione + soviet = socialismo”. Questo schema sovietico si rivela agli occhi di Mao catastrofico sotto due diversi aspetti: da un lato, crea una voragine tra industria e agricoltura, tra città e campagna, generando nuove disuguaglianze sociali ed economiche, dando vita ad un gruppo elitario di tecnici e scienziati, riproponendo, in forma enfatizzata, la dicotomia tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.
Dall’altro lato, il modello
sovietico genera una classe di burocrati separati dal popolo e
privilegiati, e commette l’errore di assumere la scienza e la
tecnica come paradigmi del tutto neutri e socialmente validi.
Riducendo il concetto all’estremo, il modello sovietico ripropone in
tutto e per tutto lo stesso modello capitalistico in forma ancora
più perversa. Mao è profondamente convinto che la
costruzione del socialismo da una parte implichi “balzi”
qualitativi, radicali rotture col passato, una rivoluzione senza
soluzione di continuità; e dall’altra, l’affermazione
antieconomicistica dell’egemonia della politica anche nella
trasformazione del dato strutturale. La trasformazione socialista
della sovrastruttura non è l’inaggirabile portato dello
sviluppo economico, ma anzi è il presupposto di esso. Da
tutto ciò segue un diverso modo d’intendere il rapporto tra
partito e masse contadine e operaie rispetto alla prospettiva
leniniana: il partito è sì la guida a cui devono
sottostare le masse, ma non è un qualcosa di esterno ad esse;
esso esiste soltanto in funzione di tali masse, a cui Mao riconsegna
dunque – antistalinianamente – il ruolo di protagoniste della
propria emancipazione. Il partito deve essere al servizio delle
masse, e i membri del partito, diceva Mao, quando parlano in
pubblico, devono impiegare il modello delle “otto gambe del tavolo”:
devono cioè esporre in otto maniere diverse lo stesso
discorso, in modo da spiegarsi tanto ai contadini analfabeti quanto
ai dottissimi mandarini. Nel caso in cui il partito tendesse a
separarsi dalle masse e a comandarle contro la loro volontà,
queste devono ribellarsi e far proprio il motto: “bombardare il
quartier generale”. Nel 1964, uscì il Libretto rosso, una
raccolta di pensieri di Mao. “Un sole rosso al centro dei nostri
cuori”, urleranno nelle piazze i manifestanti comunisti riferendosi
a Mao.