Curzio Malaparte

 

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Curzio Malaparte, nome d'arte di Kurt Erich Suckert (Prato, 9 giugno 1898 – Roma, 19 luglio 1957), è stato uno scrittore, giornalista e ufficiale italiano del Novecento. Si cimentò inoltre, in una sola occasione, come regista cinematografico. Particolarmente noto, soprattutto all'estero, per i suoi romanzi Kaputt e La pelle, resoconti autobiografici della sua esperienza di giornalista e ufficiale durante la seconda guerra mondiale e Maledetti Toscani. Lo pseudonimo, che usò dal 1925, fu da lui ideato come umoristica paronomasia basata sulla parola "Bonaparte".

Kurt Erich Suckert nacque a Prato da madre italiana (la milanese Edda Perelli) e dal tintore sassone Erwin Suckert. Dopo la scuola dell'obbligo frequentò il liceo classico Cicognini di Prato.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914), decise, sedicenne, di partire volontario per il fronte. Siccome l'Italia era neutrale, si arruolò nella Legione Garibaldina, inquadrata poi nella Legione straniera francese. Nel 1915 anche l'Italia entrò in guerra. Malaparte poté arruolarsi nel corpo degli Alpini del Regio Esercito. Subito dopo la guerra tentò di pubblicare il suo primo libro, Viva Caporetto!, un saggio-romanzo sulla guerra che vedeva nella Roma corrotta il principale nemico da combattere. Terminata la stesura dell'opera, nel 1919 cominciò l'attività giornalistica. La sua opera prima, dopo essere stata respinta da molti editori (tra cui anche l'amico Giuseppe Prezzolini) venne dapprima pubblicata a spese dell'autore a Prato nel 1921 e, subito sequestrata, ripubblicata con il nuovo titolo La rivolta dei santi maledetti lo stesso anno.

Già dal 1920 Malaparte aveva aderito al partito fascista di Benito Mussolini e nel settembre 1922 partecipò alla Marcia su Roma. Nel 1924, sotto il nuovo regime, amministrò diverse case editrici tra cui quella de La Voce di Prezzolini. All'indomani del delitto Matteotti, fu il più accanito sostenitore dello "squadrismo intransigente": fondando e dirigendo la rivista "La conquista dello Stato" che (al pari de "Il Selvaggio" di Mino Maccari) sospinse Mussolini, col discorso del 3 gennaio 1925, alla dittatura. Sempre nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti. Teorizzando con Leo Longanesi e Mino Maccari il movimento "Strapaese" (ma contemporaneamente, teorizzando con Massimo Bontempelli il suo opposto, cioè il movimento "Stracittà"), Malaparte fu uno degli "ideologi" del fascismo. Riassunse in sé gli elementi tradizionali e contadino-agrari (per l'appunto Strapaese) e quelli legati alla modernità e all'industrializzazione (Stracittà), opposti elementi che peraltro tenzonavano nella stessa contraddittoria personalità mussoliniana. Tanto che Piero Gobetti, pur da avversario riconoscendone il talento, gli scrisse la prefazione al saggio che volle pubblicargli, Italia barbara (Gobetti, Torino 1925). Firmò questo eccellente saggio come Curzio Malaparte Suckert: prendendo spunto da un libretto ottocentesco (I Malaparte e i Bonaparte nel primo centenario di un Malaparte-Bonaparte), decise, nel dicembre 1925, di firmarsi Curzio Malaparte. Dal fascismo cominciò comunque, in modo sornione, a prendere le distanze, anche perché il regime, instaurata la dittatura dopo il 3 gennaio 1925, cominciava a deludere le speranze di rivoluzione sociale che lo avevano originariamente attratto. Nel 1928 assunse la direzione della rivista L'Italia letteraria. Diviene nel 1929 direttore de La Stampa di Torino (chiamandovi Mino Maccari quale redattore-capo). Nel 1931 pubblicò, in Francia, il libro Tecnica del colpo di stato, riconosciuto come un profondo attacco nei confronti di Hitler e Mussolini. A causa del libro e del carattere individualista dei suoi scritti, venne dapprima allontanato dal quotidiano La Stampa Malaparte al confino di Lipari nel 1934.

Nel 1933 venne confinato all'isola di Lipari, con l'accusa di aver svolto attività antifasciste all'estero. Tecnica del colpo di Stato venne generalmente considerato come un invito alla conquista violenta del potere attraverso il rovesciamento dello Stato, nonostante Malaparte sostenesse, al contrario, che il suo intento fosse compiere un'analisi tecnica ai fini della difesa dello Stato stesso. In questo periodo continuò tuttavia a pubblicare una serie di elzeviri sul Corriere della Sera sotto lo pseudonimo di «Candido». «Meglio un giorno da leone che 100 da Agnelli! » Per via della relazione amorosa con la vedova di Edoardo Agnelli, Virginia Bourbon del Monte, si scontrò più volte col capostipite della famiglia Agnelli, il Senatore Giovanni Agnelli. La leggenda urbana vuole che sia egli il padre di Umberto Agnelli, fratello dell'avvocato Gianni Agnelli.

Solo con l'intervento di Galeazzo Ciano, suo amico e ministro degli Esteri, Malaparte poté ritornare in libertà, lavorando come inviato del Corriere della Sera. Nel 1936 fece costruire a Capri, su progetto dell'architetto Adalberto Libera, la suggestiva "Villa Malaparte"; questa residenza, una vera e propria maison d'artiste arroccata su una scogliera a strapiombo sul mare, divenne spesso ritrovo di artisti e intellettuali, uno dei più esclusivi salotti mondani del periodo. Fondò e diresse la rivista Prospettive (I Serie: 1937-1939; II Serie: 1939-1943).

Partecipò alla Seconda guerra mondiale in un primo tempo con il grado di capitano degli Alpini e in seguito, lavorando come corrispondente per il Corriere della Sera, ebbe modo di viaggiare in diverse località europee, tra cui la Francia, la Germania, la Polonia e il fronte russo. Non si sapeva molto della vita di Curzio Malaparte negli anni tra il 1940 e l'8 settembre 1943. Alcuni documenti inediti provenienti dagli archivi americani fanno luce sui rapporti tra lo scrittore e le forze americane stanziate in Italia. Mobilitato col grado di capitano e arruolato nel 5º Reggimento alpini, Malaparte seguì la guerra italo-greca dal settembre 1940. Alla fine di marzo 1941 si spostò in Jugoslavia, dove fu l'unico corrispondente di guerra straniero al seguito delle truppe tedesche. Dopo la vittoria dell'Asse, si trasferì in Croazia, dove assistette «alla creazione e all'organizzazione del nuovo Stato di Croazia». Ai primi di giugno 1941 ricevette l'ordine di raggiungere la frontiera romeno-sovietica nell'eventualità di un conflitto con l'URSS. Dall'inizio della campagna seguì l'avanzata in Bessarabia e in Ucraina con una divisione dell'11ª Armata tedesca. Alla fine dell'anno poté tornare in Italia per trascorrere le Festività in famiglia. Ripartì da Roma il 7 gennaio 1942 per il fronte orientale. Malaparte, nei suoi precedenti scritti, aveva assunto un atteggiamento critico verso il regime nazista ed aveva lodato l'efficienza dell'esercito sovietico. Per questo le autorità tedesche non lo fecero avvicinare al teatro delle operazioni. Già in febbraio Malaparte lasciò il fronte orientale. Trascorse oltre un anno in Finlandia. Il 25 luglio 1943 lo raggiunse la notizia della caduta di Mussolini. Tornato in patria, si stabilì nella sua villa a Capri. Le esperienze vissute durante il conflitto fornirono il materiale per il primo romanzo, Kaputt, pubblicato nel 1944 presso l'editore-libraio Casella di Napoli, probabilmente la sua opera più nota all'estero. Questo romanzo, accusato spesso di autocompiacimento, rappresenta un vivido e surreale resoconto degli ambienti militari e diplomatici italiani e nazisti, nonché un forte atto di accusa verso le atrocità della guerra.

In novembre 1943 fu arrestato dal CIC, il controspionaggio alleato. Venne rilasciato pochi giorni dopo perché ritenuto il tramite tra Galeazzo Ciano ed il governo greco nelle trattative intercorse prima che l'Italia attaccasse il Paese. Da allora decise di collaborare col CIC, riferendo settimanalmente al suo responsabile, il colonnello Henry Cummings. La collaborazione durò fino alla Liberazione. Nel 1944, Malaparte rientrò nell'esercito italiano come ufficiale di collegamento con il comando alleato del Corpo Italiano di Liberazione, con il grado di capitano. L'arrivo delle forze di liberazione americane a Napoli, e il profondo stato di prostrazione della città partenopea, costituiscono il nucleo narrativo del secondo romanzo, La pelle, pubblicato nel 1949 presso le edizioni Aria d'Italia. L'opera venne messa all'Indice dalla Chiesa cattolica. Nel romanzo La pelle Malaparte appose la seguente dedica: «All'affettuosa memoria del Colonnello Henry H. Cumming, dell'Università di Virginia, e di tutti i bravi, i buoni, gli onesti soldati americani, miei compagni d'arme dal 1943 al 1945, morti inutilmente per la libertà dell'Europa. » Da inviato del giornale l'Unità rievocò le vicende dei franchi tiratori fiorentini che sparavano dalla sponda nord dell'Arno sugli americani per impedir loro di varcare il ponte Vecchio.

Trasferitosi a Parigi nel 1947, scrisse i drammi Du côté de chez Proust e Das Kapital, raccogliendo scarso successo. Già nel 1944 a Napoli, ma soprattutto nel dopoguerra, il suo sostanziale anarchismo (e camaleontismo) spinse Malaparte ad avvicinarsi al partito comunista italiano (che gli negò per molti anni la tessera d'iscrizione), attirandosi le critiche di larga parte della cultura italiana per la disinvoltura con cui mutava l'appartenenza ideologica e politica. Nel 1950 scrisse e diresse anche il film Il Cristo proibito che vinse l'anno successivo il premio Città di Berlino al Festival di Berlino. Negli anni seguenti collaborò al settimanale «Il Tempo» con una rubrica assai viva ("Il Serraglio", poi passata a Giovanni Ansaldo e quindi a Pier Paolo Pasolini) in uno stile toscanissimo. Nel 1957 intraprese un viaggio in URSS e in Cina, ma dovette tornare prima a causa della malattia polmonare che lo tormentava. In quei mesi di malattia si avvicinò al cattolicesimo. Morì nel luglio a Roma di cancro, da alcuni considerato come la conseguenza dell'intossicazione da iprite subita nel primo conflitto mondiale. Curzio Malaparte è sepolto in un mausoleo costruito sulla cima del Monte Le Coste chiamato dai Pratesi "Spazzavento", una collina dominante Prato, secondo le sue volontà. La frase "...e vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per sollevare il capo ogni tanto e sputare nella fredda gora del tramontano" è riportata sulla sua tomba assieme ad un'altra che recita "Io son di Prato, m'accontento d'esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo", entrambe tratte da Maledetti Toscani.