VI Appendice Note sparse bibliografiche e varie


Introduzione allo studio della filosofia. È da vedere, a questo proposito, l'opera di Vincenzo Gioberti, intitolata appunto: Introduzione allo studio della Filosofia, seconda edizione, riveduta e corretta dall'autore, Bruxelles, dalle stampe di Meline, Caus e compagnia, 1844, 4 voli. in-8°. Non si tratta solamente di un lavoro tecnico rivolto a «introdurre» didascalicamente allo studio della filosofia, ma di un lavoro enciclopedico che si propone di «rivoluzionare» un mondo culturale, in tutta la sua complessità, trattando tutti gli argomenti che possono interessare una «cultura» nazionale, una concezione del mondo nazionale. L'opera di Gioberti sarà da studiare proprio da questo punto di vista. Dati i tempi e le circostanze storiche e data la personalità del Gioberti, l'attività filosofica dell'uomo non poteva essere rinchiusa in ischemi da intellettuale professionale : il filosofo e pensatore non poteva essere staccato dall'uomo politico e di partito. Per questo riguardo, la personalità storica del Gioberti può essere avvicinata a quella del Mazzini, con le differenze determinate dai diversi fini e dalle diverse forze sociali che rappresentavano i due, che appunto determinavano i fini. Mi pare che il prototipo possa ritrovarsi nel Fichte e nei suoi Discorsi alla nazione tedesca.

In Tertulliano (De Anima, 16) si trova l'affermazione che «Il naturale è razionale» e viceversa, ciò che può essere connesso con la proposizione di Hegel: «Ciò che è reale è razionale ecc.». La proposizione di Tertulliano è riportata e commentata dal Gioberti (Rinnovamento civile, parte II, capo I, pag. 227 della riduzione fattane da P. A. Menzio e stampata dal Vallecchi). È da pensare che il Gioberti abbia ricorso a Tertulliano per non ricorrere a Hegel e perciò appunto è da vedere ciò che precisamente Tertulliano vuol dire e se il Gioberti non l'abbia sforzato in senso hegeliano per non ricorrere ad Hegel per un concetto che gli era necessario.

Luciano Herr. Un Rapport sur l'état des études hégeliennes en Trance, di A. Koyré è riprodotto nei «Verhandlungen des ersten Hegelskongresses», vom 22. bis 25. Aprii 1930, ed. Haag-Mohr, Tübingen, 1931, in-8° gr., p. 243. Il Koyré fra gli altri, parla di Luciano Herr, che ha passato venticinque anni della sua vita a studiare il pensiero hegeliano, e che è morto senza aver potuto scrivere il libro che si proponeva di dare e che avrebbe preso posto a lato di quelli' del Delbos e di Xavier Leon; tuttavia ha lasciato un saggio di questi suoi studi, nell'articolo sullo Hegel pubblicato nella «Grande Encyclopédie», notevole per lucidità e penetrazione. Una Vie de Lucien Herr ha pubblicato Charles Andler nell'«Europe» del io ottobre 1931 e sgg. Scrive l'Andler: «Lucien Herr est présent dans tout le travail scientifique francais depuis plus de quarante ans; et son action a été decisive dans la formation du socialisme en France».

Di Lucien Herr sono stati pubblicati nel 1932 due volumi di Choix d'écrits (Paris, Rieder, in-160, pp. 282 e 292 in cui è riprodotto l'articolo su Hegel scritto nel 1890 nella «Grande Encyclopédie», e i frammenti di un altro studio, al quale lo Herr attendeva nel 1893. Un motivo (al quale accenna il Croce nella «Critica» del gennaio 1933) che potrebbe essere alla base del pensiero di Engels sul passaggio dal regno della necessità a quello della libertà e dell'ipotesi di un avvenire senza lotta e antagonismi dialettici, è contenuto in questi frammenti, là dove, lo Herr spiega (secondo le parole del Croce) «per quale processo mentale il filosofo tedesco fosse tratto a pensare che lo Stato politico (al pari della religione) aveva terminato il suo svolgimento, aveva toccato nella sua sfera l'assolutezza (come la religione col cristianesimo), e che perciò non c'era più luogo per rivoluzioni e tendenze a rivoluzioni. Si era entrati nell'età della vita contemplativa, della Filosofia: si era oltrepassato il mondo pel "sopramondo". Questo tratto antistorico c'era veramente in Hegel storicissimo». Accenni alla funzione avuta dallo Herr nel movimento popolare francese si trovano nelle lettere di Sorel a Lagardelle pubblicate nell'«Educazione Fascista» del 1933.

Alessandro Levi. Sono da ricercare i suoi scritti di filosofia e di storia. Come Rodolfo Mondolfo, il Levi è di origine positivistica (della scuola padovana di R. Ardigò). Come punto di riferimento del modo di pensare del Levi è interessante questo brano del suo studio su Giuseppe Ferrari («Nuova Rivista Storica», 1931, p. 387): «No; a me non pare che nel Nostro (il Ferrari) ci sia un "certo" e nemmeno... un incerto, materialismo storico. A me sembra invece, che vaneggi proprio l'abisso tra la concezione ferrariana della storia e della sua pretesa filosofia della storia ed il materialismo storico, rettamente inteso, cioè non come un mero economismo (ed anche di questo, per verità, ci sono nel Ferrari assai più vaghe tracce che non nella concreta storia di un Carlo Cattaneo), bensì come quella dialettica reale, che intende la storia superandola con l'azione, e non scinde storia e filosofia, ma, rimettendo gli uomini in piedi, fa di questi gli artefici consapevoli della storia, e non i giocattoli della fatalità, in quanto i loro principi, cioè i loro ideali, scintille che sprizzano dalle lotte sociali, sono precisamente stimolo alla prassi che, per opera loro, si rovescia. Superficiale conoscitore della logica hegeliana, il Ferrari era un critico troppo precipitoso della dialettica ideale per riuscire a superarla con la dialettica reale del materialismo storico».

Antonino Lovecchio, Filosofia della prassi e filosofia della spirito, Palmi, Zappone, 1928, pp. 112. Dalla recensione apparsa nell'«ICS» e scritta da Giuseppe Tarozzi (giugno 1928) si traggono queste indicazioni: il libro consta di due parti, una sua filosofia della prassi, l'altra sul pensiero di B. Croce, che sono connesse fra loro dal contributo del Croce alla critica della filosofia della prassi. La parte conclusiva è intitolata «Marx e Croce». Discute le tesi sulla filosofia della prassi specialmente di Antonio Labriola, Croce, Gentile, Rodolfo Mondolfo, Adelchi Baratono, Alfredo Poggi. È un crociano (pare molto inesperto criticamente). Il Tarozzi scrive che il libretto è un abbozzo, ricco di molti e non lievi difetti di forma. (Il Lovecchio è un medico di Palmi).

Giovanni Gentile. Sulla filosofia del Gentile è da cfr. l'articolo della «Civiltà Cattolica» (Cultura e ■filosofia dell'ignoto, 16 agosto 1930) che è interessante per vedere come la logica formale scolastica può essere idonea a criticare i banali sofismi dell'idealismo attuale che pretende essere la perfezione della dialettica. E infatti, perché la dialettica «formale» dovrebbe essere superiore alla logica «formale»? Non si tratta che di strumenti logici e un buon vecchio arnese può essere superiore a uno scadente arnese più moderno; un buon veliero è superiore a una sconquassata motonave. In ogni caso è interessante leggere le critiche dei neoscolastici al pensiero del Gentile (libri del padre Chiocchetti ecc.). Gentile col suo seguito di Volpicelli, Spirito ecc. (è da vedere il gruppo di collaboratori al «Giornale critico della filosofia italiana») si può dire che ha instaurato un vero e proprio «secentismo» letterario, poiché nella filosofia le arguzie e le frasi fatte sostituiscono il pensiero. Tuttavia il paragone di questo gruppo a quello di Bauer satireggiato nella Sacra Famiglia è il più calzante e letterariamente più fecondo di svolgimenti (i «Nuovi Studi» offrono molti spunti e svariati per lo svolgimento).

Un giudizio sull'idealismo attuale di Gentile. Dall'«Italia Letteraria» del 23 novembre 1930, articolo di Bruno Revel, Il VII Congresso di Filosofia: «... l'idealismo attuale ci ripresenta ancora la storia come la suprema istanza di giustificazione. Badando: questa storia è pregna di tutti i valori universali e positivi in se stessi che si solevano un tempo isolare in un regno trascendente di essenze e di norme. Perciò questo idealismo immanentistico, valendosi di tali valori nel corso del tempo sapientemente isolati e assolutizzati — e validi assolutamente sol perché affermati come trascendenti, puri — può permettersi di predicare e d'insegnar morale quasi ignorando il proprio inguaribile relativismo e scetticismo. E giacché l'evoluzione sociale, contrassegnata da una crescente organizzazione attorno alla fabbrica, tende a centralizzazioni razionali e bene agencées, cosi l'idealismo attuale non fa che prestar fede d'assoluto, dignità metafisica a tale evoluzione secondo la sua teoria dello Stato e crede di conferire cosi un carattere etico assoluto alle contingenti necessità industriali dello Stato moderno». Contorto e abborracciato, ma vi si vede l'influsso del materialismo storico.

Ideologia, psicologismo, positivismo. Studiare questo passaggio delle correnti culturali dell'800: il sensismo più l'ambiente danno lo psicologismo: la dottrina dell'ambiente è offerta dal positivismo (Brandes, Taine nella letteratura ecc.).

Alessandro Chiappelli (morto nel novembre 1931). Verso la metà del decennio 1890-1900, quando uscirono i saggi di Antonio Labriola e di B. Croce, il Chiappelli scrisse sulla filosofia della prassi. Deve esistere del Chiappelli un volume o un saggio su Le premesse filosofiche del socialismo; è da vedere la bibliografia.

Il «Saggiatore». Ecco come nella «Critica fascista» del I° maggio 1933 è riassunto il punto di vista del «Saggiatore»: «Siamo nel campo dell'oggettivismo assoluto. Solo criterio di verità è l'esperimento, l'immanenza del pensiero nel realmente saputo. (O nel realmente vissuto? cioè nell'identità di teoria e pratica?) Sola mediazione fra il pensiero e il reale, la scienza. (Ma la scienza non è anch'essa pensiero? invece di scienza-tecnologìa, e allora, tra scienza e reale sola mediazione la tecnologia.) E realmente voluto è solo quello che l'uomo può fare, e fa, nella sua vita storica, che è vita associata circostanziata, definita dai concreti compiti emergenti dallo svolgimento. Di questa attività umana, che si realizza nella storia, lo Stato (Ma cosa significa Stato? Solo l'apparato statale o tutta la società civile organizzata? O l'unità dialettica tra il potere governativo e la società civile?) è il controllo e la misura. Esso distingue, praticamente, fra quelle che sono le velleità vaganti dell'individuo disperso e le effettuali posizioni di una volontà operosa che la storia sancisce, unificandole e facendole durevoli nelle creazioni collettive».

I punti di vista del gruppo del «Saggiatore» sono interessanti in quanto dimostrano l'insofferenza per i sistemi filosofici verbalistici, ma esso stesso è un qualcosa di indistinto e incondito. È però un documento di quanto la cultura moderna sia permeata di concetti realistici della filosofia della prassi. È da notare come contemporaneamente (cfr. stesso articolo della «Critica Fascista») si moltiplichino le cosi dette «ricerche di Dio»: G. Gentile, in scritti recenti, si offriva a provare l'esistenza di Dio con argomenti attualistici (è da vedere cosa intende dire il Gentile e se non giuochi sull'equivoco).

II prof. Carlini ha svolto, in «Vita e Pensiero», una lunga polemica con mons. Olgiati — polemica raccolta ora in volume — sulla neo-scolastica, l'idealismo e lo spiritualismo; in altri termini, sul «problema di Dio». Nel «Leonardo» del marzo 1933, il Carlini passa in rassegna una serie di volumi sul «problema di Dio», specialmente francesi.

Visione cattolica del mondo. Cfr. Pietro Lippert, S. I., Visione Cattolica del Mondo. (Praelaectiones Theologiae Naturalis, Cours de Théodicée, tomo primo: De Dei cognoscibilitate, parte prima, Parigi, Beauchesne, 1933, in-8° gr., VI, 752. Scritto parte in latino e parte in francese e che può essere un utile repertorio di tutte le opinioni sull'esistenza di Dio.) È da leggere, sia per il testo del padre Lippert, che è uno dei più noti scrittori gesuiti tedeschi, sia per la prefazione del Bendiscioli. Il libro è apparso nella collezione «Metaphysik und Weltanschauung» diretta dal Driesch e dallo Schingnitz. Il Lippert, come i gesuiti tedeschi, si preoccupano di dare una soddisfazione alle esigenze che erano alla base del modernismo, ma senza cadere nelle deviazioni dall'ortodossia che furono caratteristiche del modernismo, perché in questa impostazione del problema cattolico non vi è traccia di immanentismo; il Lippert e i gesuiti tedeschi non si allontanano dai dogmi sistemati dalla chiesa coi sussidi logici e metafisici della filosofia aristotelico-tomistica e neppure li interpretano in modo nuovo, ma intendono tradurli per l'uomo moderno nella terminologia della filosofia moderna : «rivestire realtà eterne di forme mutevoli» dice letteralmente il Lippert.

Tomismo, materialismo, hegelismo. I cattolici (gesuiti) chiamano «argumen-tum liminare» della possibilità di dimostrare l'esistenza di Dio quello che consiste nel cosi detto «consenso universale». Recensendo l'opera del padre Pedro Descoqs S. J. ' la «Civiltà Cattolica» del 2 settembre 1933 scrive: «Il fatto, ossia l'universalità morale della " credenza " in Dio, è stabilito in modo rigoroso e scientifico sulla scorta dei più accreditati studi di etnologia e di storia delle religioni. Questo accertamento all'inizio della teodicea, ha un alto valore in quanto fa toccare con mano l'importanza e l'universalità del problema. Tuttavia il padre Descoqs non crede che esso da solo, offra una prova apodittica e rigorosa dell'esistenza di Dio; sebbene l'argomento che se ne deduce abbia una forza vehementer suasiva e sia di mirabile conferma, dopo che l'esistenza di Dio sia stata provata per altre vie».

Federico Jodl, Critica dell'idealismo. Tradotta ed annotata da G. Rensi, Roma, ed. «Casa del Libro», 1932, in-160, pp. 274. È interessante la breve recensione della «Civiltà Cattolica» del 2 settembre 1933, perché mostra come la filosofia di S. Tommaso possa allearsi al materialismo volgare. Lo Jodl critica l'idealismo da un punto di vista meccanicistico e naturalistico (quistione della realtà del mondo esterno) e questa critica piace ai gesuiti fino al punto in cui non se ne deducano conclusioni ateistiche: «Come mai menti colte, come quelle dello Jodl e del Rensi, non riescono a percepire nella filosofia cristiana, in quella di S. Tommaso specialmente, il sistema necessario per mantenere la realtà del mondo materiale senza menomare le esigenze e il primato dello spirito? Quando lo Jodl spiega in ultima analisi il mondo come l'effetto delle leggi e del caso, non si accorge di perdersi in vuote parole? E quando, avendo sostenuto il paradosso che le mire degli idealisti siano di appoggiare la teologia chiesastica — si pensi a Croce, a Brunschvicg, a tanti altri! — finisce col proporre il suo ideale, "il Cielo sulla Terra ", non si avvede che quel motto, posto in fine del suo libro, non può significare se non la soppressione di ogni Cielo?» Giustamente la «Civiltà Cattolica» rimprovera allo Jodl di identificare «l'idealismo col platonismo» «come se da Kant a Gentile le Idee trascendenti non fossero state lo spauracchio degli idealisti». Il libro dello Jodl può essere interessante (come quelli del Rensi) per fissare la fase attuale del «materialismo volgare» che non può riuscire a sconfiggere qualsiasi forma di idealismo perché non riesce a capire che l'idealismo non è che un abbozzo di tentativo di storicizzare la filosofia.

La polemica Carlini-Olgiati, Neoscolastica, idealismo e spiritualismo, Milano, «Vita e Pensiero», 1933, pp. 180, e l'articolo di Guido De Ruggiero sul-l'«Educazione Nazionale» (del Lombardo-Radice) del marzo 1933 non possono servire a dimostrare che l'idealismo appoggia il clericalismo, ma che singoli idealisti non trovano nella loro filosofia un terreno solido di pensiero e di fede nella vita. Su questa polemica anche cfr. lo stesso numero della «Civiltà Cattolica», articolo Brancolando in cerca di una fede e articoli nei nn. sgg. della «Civiltà Cattolica».

Dal cap. XI della II parte del Rinnovamento del Gioberti è da trarre questo brano di storia della filosofia: «L'umanismo si collega colle dottrine filosofiche anteriori ed è l'ultimo termine del psicologismo cartesiano, che, tenendo vie diverse in Francia e in Germania, riusci nondimeno allo stesso esito. Imperocché, trasformato dal Locke e dal Kant in sensismo empirico e speculativo, partorì a poco andare per forza di logica l'ateismo materiale degli ultimi condil-lacchiani e l'ateismo raffinato dei nuovi hegelisti. Già Amedeo Fichte, movendo dai principi della scuola critica, aveva immedesimato Iddio coll'uomo; come di poi Federico Schelling lo confuse con la natura: e l'Hegel, raccogliendo i loro dettati e consertandoli insieme, considerò lo spirito umano come la cima dell'assoluto; il quale, discorrendo dal punto astratto dell'idea nel concreto della natura e trapassando in quello dello spirito, acquista in esso la coscienza di se medesimo e diventa Dio. I nuovi hegelisti, accettando la conclusione, rigettano l'ipotesi insussistente dell'assoluto panteistico e l'edificio fantastico delle premesse; onde, invece di affermare col maestro che lo spirito è Dio insegnano che il concetto di Dio è una vana immagine e una larva chimerica dello spirito»■ Pare interessante la nota del Gioberti che la filosofia classica tedesca e il materialismo francese siano la stessa cosa in linguaggio diverso ecc. Il brano è da avvicinare a quello della Sacra Famìglia dove si parla del materialismo francese. (Ricordare che nella Sacra Famiglia appunto l'espressione «umanismo» è impiegata nello stesso senso del Gioberti — non trascendenza — e che «neo-umanismo» voleva chiamare l'autore la sua filosofia).

La tradizione intellettuale del Mezzogiorno. Forse sarebbe opportuno dare uno schizzo della tradizione intellettuale del Mezzogiorno (specialmente nel pensiero politico e filosofico) in contrapposizione col resto d'Italia, specialmente la Toscana, cosi come si riflette fino alla generazione del Croce (e Giustino Fortunato). Il libro di Luigi Russo sul De Sanctis e l'Università napoletana può essere molto utile, anche per vedere come la tradizione meridionale abbia col De Sanctis raggiunto un grado di sviluppo teorico-pratico di fronte al quale l'atteggiamento del Croce rappresenta un arretramento senza che l'atteggiamento del Gentile, che tuttavia pili del Croce si è impegnato nell'azione pratica, possa giudicarsi una continuazione dell'attività desanctisiana per altre ragioni. A proposito del contrasto culturale tra la Toscana e il Mezzogiorno si può ricordare (a titolo di curiosità) l'epigramma di Ardengo Soffici (credo nel Giornale di Bordo) sul «carciofo». Il carciofo toscano, scrive su per giù il Soffici, non si presenta a prima vista cosi vistoso e allettante come il carciofo napoletano; è ispido, duro, tutto spine, irsuto. Ma sfogliatelo; dopo le prime foglie legnose e immangiabili, da buttar via, sempre più aumenta la parte commestibile e saporita, finché, nel mezzo, si trova il nucleo compatto, polposo, saporitissimo. Prendete il carciofo napoletano; subito dalle prime foglie c'è qualcosa da mangiare, ma quale acquosità e banalità di sapore; sfogliate sempre, il sapore non migliora e nel centro trovate nulla, un vuoto pieno di pagliosità disgustevole. Opposizione tra la cultura scientifica e sperimentale dei toscani e la cultura speculativa dei napoletani. Solo che la Toscana oggi non ha una particolare funzione nella cultura nazionale e si nutre della boria dei ricordi passati.

Les chiens de garde. È da vedere il libretto di Paul Nizan, Les chiens de garde, Paris, Rieder, 1932; polemica contro la filosofia moderna, pare in sostegno della filosofia della prassi. Su questo volumetto cfr. due articolucci in «Critica Fascista» del I° febbraio 1933, di Giorgio Granata e Agostino Nasti. Poiché il Granata aveva scritto che la filosofia della prassi «è derivata proprio essa dai sistemi idealisti e si rivela astratta quant'altra mai» il Nasti ci tiene a far sapere che «Se con le parole " sistemi idealistici " il Granata intende alludere a quella che si chiama filosofia idealistica, da Hegel a Gentile, egli ripete un'affermazione che si fa da alcuni, in questi tempi, con l'ingenuo scopo di gettare il discredito su quella filosofia» ecc. «Che Marx, lui, abbia creduto di prender le mosse da Hegel, può anche darsi; ma che noi gli si debba riconoscere, oltre all'aver adottato come strumento utile o conveniente alle sue concezioni il meccanismo (!) logico, puramente formale (!), della dialettica di essere-non essere-divenire (!?), anche una filiazione o collegazione sostanziale con la filosofia idealistica, questo ci parrebbe uno sproposito assolutamente gratuito».

«Gli strumenti mentali e morali di cui l'uomo dispone sono sempre medesimi (?): l'osservazione, l'esperimento, il ragionamento induttivo e deduttivo, l'abilità manuale (?) e la fantasia inventiva. A seconda del metodo con cui questi mezzi sono usati si ha un indirizzo empirico o scientifico dell'attività umana; con questa differenza fra i due: che il secondo è molto piò rapido ed ha un rendimento molto maggiore». (Mario Camis, L'aeronautica e le scienze biologiche, in «Nuova Antologia» del 16 marzo 1928).

Esempi di un ragionare semplicisticamente che, secondo l'opinione comune, è il modo di ragionare della grande maggioranza degli uomini (i quali non si controllano e quindi non si accorgono di quanto il sentimento e l'interesse immediato turbino il rigore logico). II ragionamento di Babbitt sulle organizzazioni sindacali (nel romanzo di Sinclair Lewis): «Una buona associazione operaia è una buona cosa perché impedisce i sindacati rivoluzionari che distruggerebbero la proprietà. Però nessuno dovrebbe essere costretto a entrare in una associazione. Tutti gli agitatori laburisti che tentano di costringere chiunque a entrare in una associazione dovrebbero essere impiccati. In breve, sia detto tra noi, bisognerebbe non permettere nessuna associazione; e poiché questa è la maniera migliore di combatterle, ogni uomo d'affari dovrebbe appartenere a una associazione d'imprenditori e alla Camera di Commercio. L'unione fa la forza. Perciò ogni solitario egoista che non fa parte della Camera di Commercio dovrebbe essere costretto ad affiliarsi».

Il ragionamento di don Ferrante è impeccabile formalmente, ma errato nelle premesse di fatto e nella presunzione del ragionatore, onde nasce il senso di umorismo.

Il modo di ragionare di Iliic nella novella di Tolstoi, La morte di lliic («Gli uomini sono mortali, Caio è uomo, Caio è mortale, ma io non sono Caio,» ecc.).

Lettere del Sorel al Croce. Nelle lettere del Sorel al Croce si può spigolare più di un elemento sul «lorismo» o «lorianismo». Per esempio, il fatto che nella tesi di laurea di Arturo Labriola si scrive come se si credesse che il Capitale di Marx è stato elaborato sull'esperienza economica francese e non su quella inglese.

Senso comune. Cfr. il libro di Santino Caramella, Senso Comune, Teoria e Pratica, pp. 176, Bari, Laterza, 1933. Contiene tre saggi: 1) La Critica del «senso comune»; 2) I rapporti fra la teoria e la pratica; 3) Universalità e nazionalità nella storia della filosofia italiana.

Le nombre. Vedere il libro di Tobias Dantzig, professore di matematica all'Università di Maryland, Le nombre (Payot, Parigi, 1931), storia del numero e della successiva formazione dei metodi, delle nozioni, delle ricerche matematiche.

Economia. Deve essere molto interessante il volume di Heinrich Grossmann, Das Akkumulations- und Zusammensbruchsgesetz des kapitalistischen Systems (Zugleich eine Krisentheorie), in «Schriften des Instituts für Sozialforschung an der Universitt Frankfurt a. M.», Verlag C. L. Hirschfeld, Lipsia, 1929, pp. xvi, 628, di cui è pubblicata una recensione di Stefano Samoggi nel-l'«Economia» del marzo 1931 (pp. 327-332). La recensione non è molto brillante e forse non bisogna sempre fidarsi dei suoi riassunti (il Samoggi usa «tendenzioso» e «tendenziale» indifferentemente, «tracollo» per «catastrofe» e introduce affermazioni pseudoteoriche gradite solo a Gino Arias, ecc.).