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Figlio (Versailles 1754 - Parigi 1793) del delfino Luigi e di Maria
Giuseppina di Sassonia. Nipote di Luigi XV, fu il suo successore
(1774). Il fallimento della politica finanziaria attuata da R.-J.
Turgot e J. Necker per ridurre il deficit pubblico, a cui
mancò un deciso sostegno da parte del sovrano, aggravò
la crisi finanziaria e costrinse L. a convocare gli Stati generali
(maggio 1789). Da allora la storia del suo regno coincise con quella
della Rivoluzione, durante la quale egli cercò dapprima di
convivere con il nuovo regime costituzionale per poi passare
decisamente nel campo controrivoluzionario. Il suo tentativo di fuga
con la moglie Maria Antonietta e la famiglia reale (giugno 1791)
compromise in maniera definitiva la monarchia, che il 21 sett. 1792
fu proclamata decaduta dalla Convenzione. Dopo pochi mesi L. fu
ghigliottinato.
Vita e attività
Divenuto delfino alla morte del padre (1765), sposò (1770)
Maria Antonietta d'Austria. La semplicità di vita,
l'onestà dei costumi, suscitarono le migliori speranze al suo
avvento al trono (1774), ma la mancanza di energia di L. si scorse
già nei suoi primi atti di governo, con l'imprudente
restaurazione dei parlamenti e il debole appoggio che concesse a
Turgot e a Necker, permettendo in tal modo che essi fossero
rovesciati dalla coalizione degli interessi danneggiati dalle
tentate riforme, e sostituiti da uomini che non riuscirono a
ottenere la fiducia dei ceti privilegiati come Calonne (nov. 1783) e
Loménie de Brienne (maggio 1787). Il debole atteggiamento del
re durante il conflitto coi parlamenti (1787) scosse gravemente il
prestigio della monarchia. Una nuova ondata di fiducia parve
investirla con il richiamo di Necker (agosto 1788) e la convocazione
degli Stati Generali (maggio 1789): ma nel conflitto presto
delineatosi fra i privilegiati e il Terzo stato, il re svolse
un'azione quanto mai incerta, opponendosi al Terzo stato che
reclamava il voto individuale, e non più per ordine, come
conseguenza logica del raddoppio della sua rappresentanza, deciso
dallo stesso L. pochi mesi prima. Il licenziamento di Necker (11
luglio) fu una delle cause dell'assalto alla Bastiglia; il rifiuto
di sanzionare la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e l'abolizione
del regime feudale provocò una nuova esplosione di collera
popolare (5 e 6 ott. 1789). I tentativi di uomini come Mirabeau e La
Fayette di consolidare la monarchia su basi liberali non trovarono
presso L. efficace appoggio. La legislazione antiecclesiastica
spinse il re definitivamente nel campo controrivoluzionario.
Maturò così il proposito della fuga all'estero (fuga
di Varennes, 20-25 giugno 1791) che, scoperta e impedita, diede
l'ultimo colpo al prestigio della monarchia. Il re, sospeso dalle
sue funzioni, non le riprese che dopo il giuramento alla
Costituzione (13 sett. 1791); appoggiò quindi i girondini,
favorevoli alla guerra contro l'Austria, nella speranza che la
sconfitta della Francia aprisse la strada alla completa
restaurazione della sua autorità. Incoraggiato dai primi
rovesci subiti dagli eserciti rivoluzionari, si oppose alle misure
eccezionali deliberate dall'Assemblea legislativa; ma il suo veto
alle leggi contro gli emigrati e i preti refrattari condusse ai
fatti del 20 giugno 1792; il manifesto di Coblenza, in cui il duca
di Brunswick minacciava la distruzione di Parigi in caso di nuovi
attentati alla sicurezza del re (23 luglio), determinò poi
l'insurrezione del 10 ag. che portò la famiglia reale alla
prigione del Tempio; il 21 sett. la Convenzione proclamava la caduta
della monarchia. Si arrivò così al processo: il 13
nov. si aprì la discussione alla Convenzione; l'11 dic. ebbe
luogo l'interrogatorio del re, che in genere si difese abilmente. Ma
il dibattimento si concluse con una votazione che diede 387 voti per
la morte contro 334 per la detenzione o la morte condizionale (18
genn.). Il 21 seguiva l'esecuzione, affrontata da L. con dignitosa
fermezza.