Cesare Lombroso

 

www.treccani.it

di Giuseppe Armocida

LOMBROSO, Cesare (Ezechia Marco, detto Cesare). - Terzo dei sei figli di Aronne e di Zefora Levi, nacque a Verona il 6 nov. 1835, in una famiglia israelita di stretta osservanza religiosa, le cui condizioni economiche, inizialmente floride, avevano subito un drastico ridimensionamento a seguito di errori finanziari. Sulla sua prima formazione esercitarono un'indubbia influenza durante il periodo adolescenziale il cugino David Levi, appartenente alla famiglia materna residente in Piemonte, presso la quale aveva trascorso qualche tempo, e il medico trevigliano Paolo Marzolo: il primo, nota figura del Risorgimento, lo aprì al culto della ragione e della libertà di pensiero, così contrastante con la religiosità ortodossa del padre; dall'altro fu indirizzato allo studio dell'umanità con strumenti di linguistica fisiologica e storica. Sulla base di tale impostazione culturale, non accettò l'indirizzo educativo ufficiale e, assecondando personali scelte di studio, nel 1850, lasciate le scuole pubbliche, proseguì l'istruzione privatamente. Nel 1853 si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Pavia, dove fu allievo, tra gli altri, di G. Balsamo Crivelli e di B. Panizza, e proseguì i corsi nelle Università di Padova e di Vienna.

Furono per il L. anni di intensa attività intellettuale, durante i quali, pur eccellendo negli studi, coltivò una notevole varietà di interessi: pubblicò articoli su questioni letterarie, storiche e naturalistiche, tra i quali il suo primo approccio ai temi psichiatrici, Sulla pazzia di Gerolamo Cardano, in Gazzetta medica italiana - Lombardia, s. 3, VI (1855), 40, pp. 341-345.

Rientrò poi nell'ateneo ticinese e vi concluse gli studi laureandosi nel 1858 con una tesi sul cretinismo in Lombardia. Tornato a Verona, allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza, attraverso la Svizzera, si portò in Piemonte e nel maggio 1859, dopo avere superato a Genova gli esami per la conferma della laurea nel Regno di Sardegna, si arruolò volontario nel corpo sanitario dell'Armata sarda: distintosi in modo particolare per il soccorso prestato ai feriti, fu decorato con due medaglie al valor militare e confermato nell'ufficio presso il suo corpo, di stanza nel capoluogo ligure, anche dopo la pace di Villafranca. Nel 1862, inviato per alcuni mesi in Calabria al servizio di battaglione nella campagna contro il brigantaggio, assecondando gli specifici interessi che andava maturando colse l'occasione per compiere importanti osservazioni di ordine antropologico ed etnologico anche in rapporto ai rilievi sanitari ed epidemiologici. Nell'aprile 1863, infine, ottenne il trasferimento da Genova all'ospedale divisionale di Pavia, dove poté riprendere contatto con gli ambienti universitari.

Il L. cominciò in quel periodo a prestare interesse a vari problemi inerenti alla psichiatria, alla psicologia e all'antropologia: la sua attività scientifica, molto apprezzata dalla facoltà medica, divenne pienamente operante quando nel maggio 1863, mentre era ancora impegnato nel servizio militare, dette inizio come docente privato a un corso libero di clinica delle malattie mentali e antropologia. L'anno successivo, nominato professore incaricato e accettata la responsabilità di una quindicina di pazienti ricoverati nel reparto maschile degli alienati dell'ospedale S. Eufemia affidatagli dal direttore del nosocomio e docente di medicina legale G. Zanini, per dedicarsi completamente al nuovo lavoro richiese alcuni mesi di aspettativa dal servizio militare. In quel periodo ebbero inizio i suoi rapporti di amicizia personale e di collaborazione scientifica con P. Mantegazza e con altri esponenti dell'ambiente universitario. Deciso a dedicarsi esclusivamente alla carriera accademica, soprattutto, e insofferente della vita militare, oltre che in conseguenza di una sanzione disciplinare comminatagli, nel 1865 si dimise dall'Esercito. Richiamato alle armi nel giugno dell'anno successivo in occasione della terza guerra d'indipendenza, prese parte alla campagna come medico di battaglione del primo corpo d'armata, meritando una menzione onorevole per l'assistenza prestata ai colerosi presso l'ospedale di Treviso. Fu congedato nel novembre e, ripreso servizio nell'Università di Pavia, nel 1867 divenne straordinario di psichiatria e clinica delle malattie mentali e titolare dell'incarico dell'insegnamento di antropologia.

L'ateneo pavese, uno dei pochi collocati dal 1862 tra le Università italiane di prima classe, vantava una facoltà medica di notevole vivacità scientifica, impegnata a rifondare una scienza che fosse fortemente ancorata al materialismo scientifico, basata sul ripudio delle dottrine vitaliste e dei "sistemi", orientata secondo il metodo sperimentale e l'interpretazione dei fatti osservati al lume delle conoscenze della fisica e della chimica: impostazione che trovava sostegno anche nelle posizioni ideologiche e politiche che coinvolgevano su più vasta scala la vita nazionale. In questo stimolante contesto il L. dette inizio al suo magistero al passo con i nuovi criteri: organizzò un gabinetto speciale per le ricerche e le dimostrazioni didattiche agli studenti, rese più saldi i legami che già andavano stabilendosi tra psichiatria e medicina legale, recò un valido contributo alla fisiologia sperimentale pubblicando a Milano, nel 1869, la traduzione del trattato di J. Moleschott, La circolazione della vita. Lettere fisiologiche di Jac. Moleschott in risposta alle Lettere chimiche di Liebig.

A Pavia nel 1870 il L. inaugurò un corso libero di "Medicina legale sperimentale sull'uomo criminale, paragonato all'uomo sano e all'alienato" che terrà, con lezioni impartite il pomeriggio della domenica, per due anni. Nel 1871, vincitore di concorso, assunse la direzione del manicomio provinciale S. Benedetto di Pesaro, e nei pochi mesi in cui lavorò in quel ben organizzato frenocomio condusse un soddisfacente lavoro di ricerca sugli alienati e sui criminali che in gran numero poté esaminare nelle carceri. Tornato a Pavia per non allontanarsi dal mondo universitario, cominciò ben presto ad avvertire il disagio della permanenza in un ambiente angusto e addirittura ostile per le controverse questioni scientifiche che erano seguite alle sue ricerche sulla pellagra e alle sue proposte riformatrici sul mais, che avevano suscitato il malcontento anche tra i produttori agricoli. Vi proseguì, comunque, l'insegnamento della psichiatria, e nel 1873 fece parte del gruppo di alienisti che fondarono a Roma la Società freniatrica italiana; nell'anno accademico 1875-76, dopo l'improvvisa morte di G. Gandolfi, insegnò anche medicina legale e igiene pubblica. Si concluse così la sua esperienza pavese.

Superato il relativo concorso nel 1875, nel novembre dell'anno successivo il L. si trasferì nell'Università di Torino come professore ordinario di medicina legale: affrontando le difficoltà di adattamento in una sede poveramente attrezzata, sistemò gli strumenti scientifici e la raccolta museale che stava allestendo nei due locali messigli a disposizione dal Consorzio universitario nel palazzo centrale di via Po per il "Laboratorio di medicina legale e di psichiatria sperimentale". Aveva così inizio la sua lunga e feconda attività didattica e scientifica nell'ateneo torinese destinata a imporlo all'attenzione della comunità scientifica internazionale e a determinarne il coinvolgimento in questioni nazionali di grande attualità. Incaricato nel 1887 dell'insegnamento della medicina legale nella facoltà di giurisprudenza, nel 1890, succedendo a E. Morselli, assunse anche l'incarico di quello della psichiatria. Nel 1896 fu nominato ordinario di quest'ultima disciplina mantenendo come professore incaricato la titolarità dell'insegnamento di medicina legale fino al 1904, quando fu sostituito nell'ufficio dal genero Mario Carrara, e trasferì la sua sede nei nuovi edifici approntati per ospitare gli istituti biologici nel parco del Valentino. Ordinario di antropologia criminale dal 1907, mantenne fino alla morte l'incarico dell'insegnamento della psichiatria. Durante questi anni viaggiò molto, ovunque accolto da manifestazioni di apprezzamento e di stima: fu a Roma nel 1885, uno tra gli organizzatori del primo congresso di antropologia criminale che si svolse unitamente al congresso internazionale penitenziario, e nel 1889 partecipò a Parigi al congresso internazionale di psicologia fisiologica, dove però vide osteggiate soprattutto dai francesi le sue posizioni; nel 1897, effettuando anche una sosta in Ungheria, si recò a Mosca per partecipare al congresso di medicina, e nel 1900 ad Amsterdam, al quinto congresso di antropologia criminale. La sua produzione scientifica fu vasta, innovativa e complessa, oggetto, già lui vivente, di commenti e di valutazioni sovente contrastanti: autore oltremodo prolifico, pubblicò decine di volumi e circa mille articoli, sviluppando tesi e intuizioni originali che, pur determinandone l'indiscussa popolarità in campo medico-psichiatrico e socio-politico, ne hanno di fatto reso difficoltosa una critica serena e, a volte, la piena comprensione dell'opera.

Notevole fu la varietà dei temi che il L. affrontò nella sua pluridecennale attività di ricerca. Esordì con accurate indagini epidemiologiche, condotte con metodo statistico, volte allo studio del manifestarsi di particolari forme morbose e del loro evolversi in relazione a determinati fattori geografici e climatici, in considerazione del rapporto uomo-ambiente e in una visione sociale della medicina preventiva e curativa, tra le quali si ricordano: Tre mesi in Calabria, in Rivista contemporanea, XI (1863), pp. 399-433 (osservazioni antropologiche e mediche riprese, dopo ampie revisioni, nel volume In Calabria (1862-1897). Studii con aggiunte del dr. Giuseppe Pelaggi, Catania 1898); Studi per una geografia medica d'Italia, saggio pubblicato in Gazzetta medica italiana - Lombardia e poi in estratto, Milano 1865; Sulle cause principali di decesso nell'Armata italiana nel 1864, in Riv. clinica di Bologna, V (1866), pp. 322-329; Sulla mortalità degli ebrei di Verona nel decennio 1855-1864, ibid., VI (1866), pp. 33-37. Nell'ambito di queste ricerche, notevole importanza, soprattutto per i loro riflessi socio-economici e per i dibattiti che ne seguirono, ebbero i suoi studi sulla endemica presenza in diverse province italiane di cretinismo, gozzo e pellagra. Delle prime due forme morbose, egli, in una serie di osservazioni iniziate nel 1858 a Verona e proseguite con l'esame dei soggetti chiamati alla leva militare a Genova, individuò il rapporto etiologico con la disfunzione tiroidea dipendente soprattutto dalla qualità dell'acqua, oltre che da fattori ambientali e familiari, descrisse le caratteristiche cliniche e indicò efficaci misure profilattiche: espose una visione globale delle sue conclusioni nella voce Cretinismo redatta per la Enciclopedia medica italiana edita da Vallardi, Milano 1866-99, II, 2, pp. 1945-1969, comprendente anche elementi dei suoi ormai avviati studi di antropologia sperimentale. La pellagra, drammaticamente diffusa tra le popolazioni contadine del Veneto e della Lombardia, fu attentamente studiata dal L. non solo in relazione alle sue manifestazioni di interesse psichiatrico, ma anche nell'intento di individuarne l'ancora misteriosa etio-patogenesi (Mania pellagrosa con arresto di sviluppo e guarigione, in Riv. clinica di Bologna, VII [1868], pp. 243 s.; Studii clinici ed esperimentali sulla natura, causa e terapia della pellagra, ibid., VIII [1869], pp. 289-314, 321-344; IX [1870], pp. 126-131, 215-229, 242-254, 269-286, 298-324, 368-373; Dialoghi sulla cura della pellagra. Dedicati ai contadini, Pavia 1870): egli, a seguito di ricerche condotte anche con risorse offertegli dalla Carlo Erba, ritenne che la malattia fosse conseguenza di un'intossicazione provocata da sostanze nocive formatesi nel mais alterato dall'attacco di un fungo, Sporisorium maidis, del quale tentò di dimostrare l'innocuità per gli animali e per l'uomo (Indagini chimiche, fisiologiche e terapeutiche sul maiz guasto, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1872, vol. 5, pp. 882-901, in collaborazione con F. Duprè; Sulle sostanze stricniche e narcotiche del mais guasto, ibid., 1876, vol. 9, pp. 133-154). Sostenne con ostinato accanimento la sua tesi, anche quando la commissione incaricata di verificarne la validità presieduta da S. Biffi, la cui costituzione egli stesso aveva sollecitato, riferì l'impossibilità di fornirne le prove, e avviò un'intensa propaganda a favore di misure profilattiche di ordine igienico e sociale (Trattato profilattico e clinico della pellagra, Torino 1892); contrastò decisamente la tesi sostenuta da F. Lussana e dai suoi seguaci della carenza di principî nutritivi essenziali nella dieta povera, squilibrata, prevalentemente maidica delle popolazioni rurali (La pellagra in rapporto alla pretesa insufficienza alimentare, in Giorn. della R. Acc. di medicina di Torino, s. 3, XXVI [1879], pp. 403-442, 475-513), la cui felice intuizione sarebbe invece apparsa evidente quando, nel 1938, C.A. Elvehjem avrebbe individuato nell'acido nicotinico, presente nel mais in forma non assorbibile, il fattore antipellagroso (si veda Enc. medica italiana, XI, coll. 1379 s., s.v. Pellagra).

Antropologia, psichiatria e medicina legale, le tre discipline così intimamente legate e convergenti sullo studio psicofisico dell'uomo sano e dell'anormale e su quello dei loro rapporti con l'ambiente e la società, costituirono il grande campo di indagini del Lombroso. Iniziò le sue ricerche con un'indagine sulle caratteristiche anatomiche e psicologiche sulle razze (L'uomo bianco e l'uomo di colore. Letture sull'origine e la varietà delle razze umane, Padova 1871) e con lavori di antropometria in relazione a problemi medico-legali compiuti nel laboratorio di psichiatria e medicina legale dell'Università pavese, dove aveva raccolto una schiera di validi allievi (Raccolta di casi attinenti alla medicina legale, in Annali universali di medicina, 1874, vol. 227, pp. 478-512; vol. 228, pp. 3-29; Sulla medicina legale del cadavere secondo gli ultimi studi di Germania ed Italia. Trattati, Torino 1877 (pubblicato poi in 2a edizione a Pinerolo nel 1900); Cranio, in Enc. medica italiana, II, 2, pp. 1813-1907; Lezioni di medicina legale, seconda edizione interamente rifatta, Torino 1900). Recò un indubbio contributo alla nascita della psichiatria scientifica, e ricercò costantemente l'esistenza di malattie e anomalie organiche alla base delle varie forme di alienazione. Rivolse una particolare attenzione ai rapporti tra genio, follia e crimine, che volle indagare con metodo medico-psicologico, secondo l'indirizzo esposto in Prelezione al corso di clinica di malattie mentali nella R. Università di Pavia, in Gazzetta medica italiana - Lombardia, s. 5, II (1863), pp. 185-187. Pubblicò in varie edizioni aggiornate e ampliate un'opera che ebbe grande notorietà e fu tradotta in francese, inglese e russo: Genio e follia, Milano 1872; Genio e follia in rapporto alla medicina legale, alla critica e alla storia. Quarta edizione con nuovi studi sull'arte nei pazzi, sui grafomani criminali; sui profeti e sui rivoluzionari; su Schopenhauer, Passanante, Lazzaretti, Guiteau; sulla geografia delle belle arti; e sull'azione meteorica ed ereditaria, Torino 1882; L'uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all'estetica. Sesta edizione completamente mutata, ibid. 1894. In successive elaborazioni del tema, coniò il termine "mattoide" a indicare la figura di passaggio tra sano e alienato a volte contrassegnata da espressioni pseudo-geniali, non di rado identificabile nei moderni tribuni (Due tribuni studiati da un alienista, Roma 1883; Tre tribuni studiati da un alienista, Torino 1887), e pubblicò ancora: Genio e degenerazione. Nuovi studi e nuove battaglie, Palermo 1897; Nuovi studi sul genio, da Colombo a Manzoni, ibid. 1902. A lato degli aspetti strettamente clinici della psichiatria, il L. ne affrontò le imprescindibili implicazioni forensi, soprattutto in relazione alla questione dell'imputabilità (La medicina legale delle alienazioni mentali studiata col metodo sperimentale. Saggio, Padova 1865) e della "follia morale" intesa come disturbo grave del comportamento sociale e devianza scomoda dalle norme caratteristici del delinquente nato (La pazzia morale e il delinquente nato, in Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell'uomo alienato e delinquente, III [1882], pp. 365-379). Convinto della natura sostanzialmente patologica del delinquente nato, della possibilità di spiegarne la degenerazione morale con le sue anomalie fisiche, e sostenitore dei principî di irresponsabilità, egli fu di fatto il fondatore dell'antropologia criminale: dopo avere ricercato per lunghi anni in alienati e criminali l'esistenza di particolari anomalie somatiche, credette di averne individuata un'importante varietà in una fossetta di alcuni centimetri presente alla base del cranio in luogo della normale cresta occipitale, rinvenuta nel 1870 all'esame autoptico del brigante calabrese Villella. Comunicò questa prima osservazione ed estese i suoi esami ad altri 181 casi, costruendo la sua teoria dell'anomalia cranica del criminale, varietà infelice di uomo più patologica di quella dell'alienato (Della fossetta occipitale mediana in rapporto collo sviluppo del vermis cerebellare. Studi, in Riv. sperimentale di freniatria e di medicina legale, II [1876], pp. 121-130). Dopo altri contributi su importanti casi di psichiatria forense (come i processi degli omicidi V. Verzeni e A. Agnoletti: Verzeni e Agnoletti studiati dal prof. Cesare Lombroso, in Riv. di discipline carcerarie in relazione con l'antropologia, col diritto penale, con la statistica, ecc., III [1873], pp. 193-213), illustrò la sua concezione sulla correlazione tra stigmate somatiche e deformità mentali in riferimento a precisi fattori (atavismo, degenerazione, epilettoidismo) in L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Milano 1876: l'opera, diretta anche a magistrati e giuristi, subito nota e giudicata innovatrice malgrado le inevitabili polemiche suscitate dalla complessità delle idee che vi erano esposte, fu pubblicata in successive edizioni italiane e in una francese fino a quella definitiva, in 4 volumi, L'uomo delinquente studiato in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza, alle discipline carcerarie ed alla psichiatria. Appendice sui progressi dell'antropologia criminale nel 1895-96, Torino 1896-97. Pubblicò ancora vari studi sui criminali, sul loro comportamento, sulla loro personalità (Sull'incremento del delitto in Italia e sui mezzi per arrestarlo. Seconda edizione ampliata e corretta, ibid. 1879, in riferimento al celebre caso Passanante; Palinsesti del carcere, Raccolta unicamente destinata agli uomini di scienze, ibid. 1888; Le più recenti scoperte della psichiatria ed antropologia criminale, ibid. 1893), talvolta confondendo la degenerazione legata all'atavismo con la patologia: dette del resto un chiaro esempio della sua tendenza alla disinvolta e acritica confusione delle linee teoriche di impostazione evoluzionistica con la patologia in Studi sui segni professionali dei facchini e sui lipomi delle Ottentotte, camelli e zebù, in Giorn. della R. Acc. di medicina di Torino, XXVII (1879), pp. 299-337.

La proposta del L. di prevenire i comportamenti criminosi tramite strumenti di controllo e di neutralizzazione, si concretizzò nell'impegno profuso nell'istituzione dei manicomi criminali e nella documentata elencazione dei soggetti che avrebbero dovuto esservi ospitati (Sull'istituzione dei manicomi criminali in Italia, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1872, vol. 5, pp. 72-83, 150-161; Osservazioni critiche intorno alla memoria del dottor S. Biffi sui provvedimenti che occorerebbero in Italia pei delinquenti divenuti pazzi, ibid., pp. 862-868): accolse quindi favorevolmente il disegno di legge Depretis sui manicomi e gli alienati (La nuova proposta di legge sui manicomi criminali, in Arch. di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell'uomo alienato e delinquente, II [1881], pp. 184-197), identificando nelle nuove strutture uno dei cardini della scuola positiva volta a conciliare la sicurezza con la terapia e l'umana comprensione (Misdea e la nuova scuola penale, Torino 1884, in collaborazione con L. Bianchi; L'uomo delinquente, 5a ed., III, ibid. 1897, p. 543). Sorprendenti furono le conclusioni alle quali giunse dopo numerose osservazioni su centinaia di donne: ritenne infatti che nel sesso femminile difettassero, rispetto a quello maschile, intelligenza e sensibilità, così come degenerazione, alienazione e tendenza al crimine, quest'ultimo realizzantesi principalmente nella prostituzione (La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, ibid. 1893, in collaborazione con G. Ferrero). Infine, pur fedele al pensiero materialista che sempre lo aveva guidato, prestò la sua attenzione anche alla parapsicologia, curioso di penetrare quei fenomeni psichici che sembrano sfuggire alle leggi psicofisiche: postuma fu pubblicata a Torino nel 1909 l'opera Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici. Nel 1880 aveva fondato, con R. Garofalo, il periodico Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell'uomo alienato e delinquente.

Impegnato anche nel campo politico e sociale, il L. sostenne le aspirazioni di democrazia e di miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate: a seguito dei suoi studi sulla pellagra si adoperò per il divieto di commercializzazione di mais avariato e per la riduzione della coltivazione del cereale; si fece promotore dell'intervento pubblico a favore di misure igienico-profilattiche; nel 1893 aderì al Partito socialista, di cui dal 1902 al 1905 fu consigliere comunale a Torino; pubblicò Il delitto politico e le rivoluzioni in rapporto al diritto, all'antropologia criminale ed alla scienza di governo, Torino 1890, in collaborazione con R. Laschi, e Gli anarchici, ibid. 1894.

Dal suo matrimonio con Nina De Benedetti ebbe i figli Paola Marzola, Gina Elena Zefora, Aronne Arnaldo Leo e Ugo, che divenne professore di fisiologia. I generi M. Carrara e Guglielmo Ferrero furono tra i suoi più stretti collaboratori.

Il L. morì a Torino nella notte tra il 18 e il 19 ott. 1909.